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Tesi di specializzazione Allieva Dott.ssa Marisa Stellabotte TITOLO DELLA TESI Il metodo delle storie intrecciate in psicoterapia della Gestalt La storia di un viaggio dentro l'anima IGF Firenze 2008-2011

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Tesi di specializzazione

Allieva Dott.ssa Marisa Stellabotte

TITOLO DELLA TESI

Il metodo delle storie intrecciate in psicoterapia della Gestalt

La storia di un viaggio dentro l'anima

IGF Firenze 2008-2011

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“Ogni storia anche la più dolorosa ha la sua riserva sotterranea:

una riserva di vino dolce, di odori, di risate, di sogni,

di sogni da realizzare, di personaggi nuovi, nuove vite da sperimentare. ..

Ha una riserva di cose da imparare...

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INDICE

Prefazione pag. 3

Capitolo 1 Parte teorica

1.1 Il metodo delle storie intrecciate in psicoterapia della Gestalt pag. 5-6

1.2 La teoria della Gestalt pag.6-8

Capitolo 2 La narrazione

2.1 La narrazione come terapia pag. 9-14

2.2 Il terapeuta come narratore pag. 14

2.3 La terapeuticità del narrare in gruppo pag. 14

2.4 Memoria e processi narrativi pag. 14--17

2.5 Il mito e la metafora pag. 17-20

2.6 La narrazione e la percezione pag. 20-21

2.7 La narrazione in età evolutiva pag. 21

Capitolo 3 Ambiti di applicazione della terapia narrativa

3.1 La scrittura come terapia pag. 22

3.2 La Narrazione e la videoterapia in Gestalt pag. 23-24

Capitolo 4 Il metodo di lavoro

4.1 Gemma pag. 25-26

4.2 La diagnosi fenomenologica pag. 26

4.3 La storia pag. 27-48

Riassunto della storia pag. 49-50

Conclusioni pag. 51

Bibliografia

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PREFAZIONE

Sono venuta a conoscenza di questa tecnica nel primo incontro con Amedeo Galluppi, all'epoca

avevo appena cominciato a lavorare e cominciai a prendere dimestichezza di tale metodo con

uno dei miei primi pazienti: un uomo depresso P. di circa cinquanta anni separato, solo e

disoccupato da qualche anno. Già dai primi colloqui emerse la sua difficoltà estremamente

contagiosa di prospettarsi possibilità di miglioramento rispetto alla propria esistenza. Non è stato

facile trovare una modalità di lavoro che gli permettesse di immaginare prospettive di vita

migliori. M. non sperava più di trovare un lavoro, non aveva più fiducia nelle proprie risorse e la

sua condizione esistenziale di solitudine non facilitava il nostro lavoro. La tecnica delle storie

intrecciate si è rilevata particolarmente adatta in quanto è riuscita a supplire la sua incapacità ad

aprirsi e nel contempo gli ha permesso di sviluppare una modalità di adattamento creativa. Così

gli proposi di costruire insieme una storia e con curiosità ci addentrammo in questa esperienza.

Dopo un anno di lavoro con P. la sua esistenza subì dei cambiamenti significativi, riuscì a trovare

un lavoro stabile e a vedere possibile la realizzazione di un suo desiderio: un viaggio in Sud

America, era come se la storia gli avesse permesso di sperimentarsi in un'altra “vita parallela” e

quindi di credere nella possibilità che la propria vita possa realmente portare alla realizzazione

dei propri desideri. P. ha recuperato una condizione di possibilità e progettualità che lo ha reso

artefice della propria esistenza transitando da una posizione di passività ad una di attività.

Successivamente si rivolge al mio sportello G. e l'esperienza di co-costruzione con P. mi ha

permesso di improntare il lavoro con maggiore dimestichezza e fiducia.

Questo lavoro mi ha dato molte conferme sull'importanza dello sviluppo dell'immaginazione

nella relazione interpersonale e di quanto essa abbia il potere di creare una sintesi portatrice di

senso e significati per la persona. Attraverso l'uso di questa tecnica ho potuto confermare inoltre

quanto essa rappresenti uno strumento linguistico molto efficace sul piano esistenziale e quanto

il pensiero narrativo tenda a sviluppare modi più creativi ed istruttivi di interagire con il mondo.

L'obiettivo di questa tesi è quello di illustrare la tecnica delle storie intrecciate attraverso il

lavoro fatto con G, segue un breve cenno alla teoria della Gestalt per passare alla descrizione

del modello ed al lavoro fatto con Gemma.

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Capitolo 1 Parte teorica

1.1 Il modello narrativo delle “storie intrecciate” in psicoterapia della Gestalt

Dal vasto sfondo della terapia narrativa e dell’approccio gestaltico esistenziale prende corpo il

modello delle storie intrecciate, che si inserisce nel vasto panorama attuale delle arti-terapie.

Inizialmente applicato nelle psicoterapie individuali con pazienti psicotici, questo modello è

risultato valido, negli ultimi anni, in molti altri campi della salute mentale ed in ambito

formativo.

A tutt’oggi le storie intrecciate non costituiscono una semplice tecnica ma un vero e proprio

approccio clinico di tipo narrativo e, pur vivendo ancora una fase di sviluppo e di

sperimentazione, il modello può essere considerato uno strumento raffinato e d’avanguardia per

l’attenzione che pone alla relazione Io-Tu tra terapeuta e paziente.

Amedeo Galluppi, lo psichiatra fondatore del modello, lo definisce in modo piuttosto ampio, ma

preciso al tempo stesso, come un modo democratico e artistico di costruire e sviluppare la

relazione col paziente.

Egli parla così del suo modello di terapia: “ fu sviluppato originariamente nella relazione con

pazienti psicotici. Mi riferisco all’esperienza di trovarsi con persone che non possono figurarsi

(‘narrarsi’) in prospettiva, o che si ‘accorgono’ di una realtà esistenziale completamente o

fortemente passiva.

Immaginiamo la relazione di aiuto come percorso di ripristino di un flusso vitale.

Con la tecnica del racconto intrecciato armonizziamo la possibilità/capacità di esprimersi in una

trama di cura. La richiesta di aiuto viene espressa sotto forma di un racconto […] La ‘storia’ si

intreccia all’esperienza di vita e lega (cuce) fantasie, avvenimenti sia consci che inconsci.

Paziente e terapeuta sono in un rapporto reciproco senza distinzione di ruoli.”

Le storie intrecciate sono un campo terapeutico centrato sulla produzione immaginativa,

immediatamente accolta, reciprocamente sostenuta e rinforzata dal dialogo terapeuta-paziente.

La relazione terapeutica viene vista come uno spazio racconto co-costruito, contenitore e

armonizzatore di immagini-metafore organizzate nella trama narrativa e capaci di fare

riferimento in modo significativo ma non invasivo alle storie personali.

Quello che caratterizza principalmente il lavoro dell’intreccio di storie sta nel fatto che terapeuta

e paziente si impegnano nella narrazione di un racconto, di una storia che parte da zero. Sia nel

setting individuale che di gruppo essi danno forma ad uno spazio illimitato di invenzione e di

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fantasia, a partire comunque da un canovaccio che rappresenta delle indicazioni di lavoro. Le

intenzioni e le direzioni riguardo alla storia sono sottoposte al libero arbitrio (scelte) di ciascun

narratore e alla sua capacità di scambiare e modificare il materiale a disposizione in un preciso

momento. In sostanza, la terapia poggia su un canovaccio piuttosto che su una trama

precostituita, per poi sviluppare un tessuto narrativo fatto di ambienti, personaggi e azioni che

viaggiano lungo una trama sottile, continuamente modellabile, rivisitabile; dove l’esperienza

della coerenza, della cronologia e del significato scivola in secondo piano; dove la prospettiva

interpretativa del materiale che emerge viene completamente abbandonata per lasciare spazio

all’esperienza evocativa e dell’intrecciare.

“La proposta costante del terapeuta” dice Galluppi “è orientata a dare forma ad uno spazio, non

limitato, di invenzione e di fantasia. In esso tutto può succedere fra con-fusione e individuazione.

L’unica regola del gioco è quella della reciprocità. Si gioca, si rappresenta, si comunica con tutto

il corpo. Il gioco liberamente espresso, liberamente modificato porta verso una ‘direzione’, verso

il progetto di cura individuato strada facendo e l’intreccio creativo della storia consente

l’approfondimento dell’analisi di strutture profonde favorendo il cambiamento.

Paesaggi, personaggi, vicende, scenari di interni ed esterni trovano espressione in un gioco di

figure archetipiche sul terreno della metafora. Infatti in queste immagini-metafore il richiamo ad

archetipi universalmente conosciuti, variamente rappresentati e trasformati è costante.

La scarsa importanza assegnata all’interpretazione distingue chiaramente l’intreccio di storie di

Galluppi da altri approcci narrativi, la maggior parte di matrice psicoanalitica, dove l’elemento

teorico e quello interpretativo risultano ancora fondamentali, anche se molto discussi tra le varie

scuole di pensiero. Autori quali A. Ferro e F. Petrella mostrano ad esempio di cogliere il valore

delle storie in terapia come storie fondate prima di tutto sulla relazione, e con ciò si distaccano

dalla tradizione psicoanalitica.

Le storie intrecciate si sviluppano piuttosto all’interno della psicoterapia gestaltica ad

orientamento fenomenologico esistenziale e, pertanto, oltre a caratterizzarsi per la creatività,

l’ascolto emotivo e l’uso dell’immaginazione come risorse terapeutiche, si distinguono per la

qualità non interpretativa della relazione e per la pratica dell’epoché (la sospensione del giudizio

in merito a ciò che accade e in merito alla persona). Il lavoro è imperniato su un piano

essenzialmente metaforico, che assegna un ampio margine di libertà espressiva e comunicativa al

modello (B. Presenti, 2011).

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1.2 La teoria della Gestalt

La Gestalt è stata elaborata a partire dalle intuizioni di Fritz Perls, psicoanalista ebreo di origine

tedesca. Il suo atto di nascita ed il suo battesimo ufficiale sono datati nel 1942, data dell'uscita

del libro cardine: La terapia della Gestalt. Ma è ben più tardi che, in California, è divenuta

celebre in occasione del vasto movimento di “contro-cultura” del 1968 che doveva sconvolgere

tutto il Nord del pianeta, alla ricerca di nuovi valori umanisti di creatività, in grado di restituire a

ciascuna la sua parte di responsabilità e di rivalutare l'essere rispetto all'avere, di svincolare il

sapere dal potere.

Al giorno d'oggi la Gestalt, oltre come psicoterapia, si presenta senza dubbia una autentica

filosofia esistenziale, di un'”arte di vivere” nel contatto autentico, un modo particolare di

concepire i rapporti dell'essere vivente nel mondo, invertendo spesso il punto di vista

tradizionale: valorizza la sintesi in rapporto all'analisi, il finalismo (orientato verso il futuro)

rispetto ala causalismo “passista”, la creatività e l'originalità piuttosto che la normatività o la

“normalizzazione”. Il genio di Perls e dei suo collaboratori è stato quello di elaborare una sintesi

coerente di molte correnti filosofiche, metodologiche e terapeutiche europee, americane e

orientali, costituenti così una nuova Gestalt nella quale “il tutto è diverso dalla somma delle sue

parti”: utilizzando dei “mattoni” tradizionali, è arrivato a concepire un edificio nuovo, del tutto

originale. La Gestalt si colloca all'incrocio fra la psicoanalisi, le terapie psicocorporee

d'inspirazione reichiana, lo psicodramma, gli approcci fenomenologici ed esistenziali, le filosofie

orientali. La Gestalt sviluppa una prospettiva unificante dell'essere umano, integrando ad un

tempo le sue dimensioni sensoriali, affettive, intellettuali, sociali e spirituali e consentendo

un'esperienza globale in cui il corpo può parlare e la parola può incarnarsi. Essa pone l'accento

sulla presa di coscienza dell'esperienza attuale, il qui e ora che contempla l’eventuale riaffiorare

di un vissuto antico, e riabilita il sentire emozionale e corporeo ancora spesso censurato nella

nostra cultura, che giudica severamente l'espressione pubblica della collera, della tristezza,

dell'angoscia....ma anche della tenerezza, dell'amore e della gioia. La Gestalt favorisce un

contatto autentico con gli altri, un adattamento creativo dell'organismo all'ambiente, ed anche

una presa di coscienza di quei meccanismi interiori che ci spingono troppo spesso a dei

comportamenti ripetitivi e non più adeguati. Mette in risalto i nostri processi di blocco o di

interruzione del ciclo normale di soddisfazione dei bisogni e scopre ciò che evitiamo, le paure e

le inibizioni come pure le nostre illusioni. La Gestalt non mira semplicemente a spiegare le

origini delle nostre difficoltà ma tende a sperimentare nuove vie di soluzione: una ricerca di un

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“sapere perché” sostituisce “un sentire come”, foriero di un cambiamento. In Gestalt, ognuno è

responsabile di ciò che sceglie e di ciò che evita. Lavora al ritmo ed al livello che gli è più

congeniale, a partire da ciò che emerge in lui in quell'istante: che si tratti di una percezione, di

una emozione, o di una preoccupazione del momento, o anche di rivivere una situazione passata

irrisolta o “incompiuta” o ancora di esprimere incertezza riguardo alle prospettive per l'avvenire.

Il lavoro è di solito individuale anche quando avviene in gruppo quest'ultimo è utilizzato come

testimone, come supporto o come “eco” amplificatore. La Gestalt integra e combina in maniera

originale un insieme di metodi e di tecniche varie, verbali e non verbali. Non si preoccupa di

comprendere, analizzare o interpretare gli avvenimenti, i comportamenti o i sentimenti, ma

piuttosto di favorire una presa di coscienza globale del modo in cui funzioniamo, dei nostri

processi di adattamento creativo all'ambiente, di integrazione dell'esperienza presente, di ciò che

evitiamo e dei nostri meccanismi di difesa, o resistenze. (Serge Ginger. 2005)

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Capitolo 2 La Narrazione

2.1 La narrazione come terapia

La narrazione (A. Ferrara, 1999) è una delle forme più antiche di comunicazione ed il mezzo

attraverso il quale gli uomini hanno trasmesso la loro saggezza. Benjamin ricorda che i narratori

prendevano le proprie aspirazioni dall'esperienza contadina o dai viaggi e nel racconto emergeva

sempre la persona che narra. Nella nostra società pero sembra che i narratori, così come vissero

un tempo, abbino perso questo ruolo. Con l'avvento del romanzo la storia raccontata ha perso il

sopravvento su chi racconta. Tuttavia la narrazione, pur avendo perso gli spazi e i tempi dei suoi

modi tradizionali di esprimersi, abbia ancor oggi un grosso peso nella trasmissione della

conoscenza. D'altro lato le modalità narrative hanno anche assunto nuove forme che ispirate ad

antichi sistemi di lavoro sul sé, si sono aggiornate dando spazio all'essere comune, al racconto di

uomini e donne che non hanno particolare rilievo etico o culturale, ma narrano il proprio mondo

interno e quello delle loro relazioni, proponendo le loro storie di individui tesi a curare sintomi e

sofferenze, ma anche a dar senso alla propria vita. Con l'avvento della Psicoanalisi e delle

moderne psicoterapie va in primo piano il racconto del paziente ed è ovvio che, insieme ad esso,

emerga il racconto dell'uomo scoprendosi attraverso la sua stessa narrazione, si riconosce e ad

essa può riportare e assimilare i racconti di tanti altri uomini.

Il concetto di narrazione è molto ampio e travalica i confini del racconto orale e/o letterario; la

narrazione è riferibile al mito, alla leggenda, alla fiaba, alla novella popolare, all’epica, alla

storia, alla tragedia, al dramma, alla commedia, al mimo, alla pittura, al cinema, al teatro, ai

fumetti, alla conversazione. Indipendentemente da una suddivisione in buona e cattiva

letteratura, la narrazione sembra internazionale, transtorica, transculturale: la vita stessa è

narrazione in quanto storia (Bruner, 1988). Quando parliamo di narrazione non ci limitiamo alla

sola narrazione di tipo verbale ovviamente. L’operazione narrativa, infatti, può avvenire

attraverso vari canali,dal linguaggio parlato, alla scrittura, all’immagine video…. Narrare

rappresenta l’unico modo che l’essere umano possiede per far conoscere un accaduto o la propria

storia. Non è possibile, infatti, presentarsi al mondo se non narrandosi. Raccontarsi diventa cioè

uno strumento per rappresentare il passato, trasformare nel presente l'oggettivo in soggettivo, e

pronosticare il futuro; la narrazione risulta cosi essere la “negoziazione momento dopo momento

per l'individuo, per identificarsi e relazionarsi.

L'uso e la presenza costante della scrittura negli ultimi cinquemila anni di storia dell'uomo

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dimostra lo straordinario potere psicologico, oltre che comunicativo, di questo mezzo. Lo stesso

metodo di distinzione tra storia e preistoria mette in evidenza l'importanza della scrittura nella

rilettura della cultura umana: è storico tutto ciò che avviene dopo che l'uomo ha iniziato ad

lasciare documenti scritti .

Scrivere qualcosa, come leggerlo, può facilmente cambiare il nostro umore ed avere forti

implicazioni sul resto della nostra giornata. Non solo, la scrittura può cambiare i nostri stati

interiori e l'organizzazione dei pensieri, anche quando scrittore e lettore siano separati da una

consistente distanza spazio-temporale .

I motivi per cui l'uomo scrive possono essere ricondotti prevalentemente ad un forte bisogno

comunicativo insito nella mente umana, per sua natura prettamente linguistica. Alcuni autori

come Maturana vedono il linguaggio come caratteristica essenziale di una mente autocosciente

(Maturana, 1993). Secondo questo approccio la mente è funzione del linguaggio e non viceversa.

La scrittura ha un alto potere comunicativo essendo uno dei metodi più efficaci e sicuri per

scambiarsi informazioni. La scrittura, da un punto di vista psicologico, dà all'uomo l'illusione

benefica di poter lasciare un segno e di far sì che i propri pensieri gli sopravvivano.

Ma le funzioni della scrittura non si limitano all'ambito di una comunicazione tra figure reali. Si

può benissimo scrivere ad un altro immaginario e cogliere ugualmente i benefici di un'attività

liberatoria ed organizzatrice come questa .

I recenti approcci biografici e narrativi mostrano come proprio la narrazione sia un elemento

centrale nella vita dell'uomo. La narrazione individuale di storie genera l'organizzazione mentale

di una biografia personale che, adeguatamente intrecciata con le storie di altre vite, contribuisce

a donare un senso alle proprie esperienze ed alla propria esistenza. Le nostre vite sono infatti

incessantemente intrecciate alle narrazioni, alle storie che raccontiamo o che ci vengono

raccontate (nelle forme più diverse), a quelle che sogniamo o immaginiamo o vorremmo poter

narrare. Tutte vengono rielaborate nella storia della nostra vita, che noi raccontiamo a noi stessi

in un lungo monologo, episodico, spesso inconsapevole, ma virtualmente ininterrotto. Noi

viviamo immersi nella narrazione ripensando e soppesando il senso delle nostre azioni passate,

anticipando i risultati di quelle progettate per il futuro, e collocandoci nel punto di intersezione di

varie vicende non ancora completate. L’istinto narrativo è antico in noi quanto il desiderio di

conoscenza, è il modo privilegiato per attribuire significati. L’interesse per una "psicologia

narrativa" è emerso all’interno di un più generale orientamento "narrativo" nell’epistemologia e

nelle scienze dell’uomo; per ciò che riguarda la psicologia, questo interesse è stato favorito dallo

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sviluppo degli studi sulle storie (nella clinica e nella psicologia evolutiva). Non è facile dire in

che cosa una storia consista, e anche in campo linguistico non si è ancora pervenuti ad una sua

definizione univoca. Molti psicoterapeuti individuano nell’attività del narrarsi il fulcro del

processo terapeutico. Per questi, l’uomo costruisce e ricostruisce i propri mondi narrandoli. Si

può dire che essi abbiano scoperto l’importanza fondamentale che il narrare riveste nella

continua ridefinizione di un’identità. La terapia viene così vista come un racconto, come un

romanzo, come un’opera d’arte. "L’intera attività terapeutica è in fondo questa sorta di esercizio

immaginativo che recupera la tradizione orale del narrare storie: la terapia ridà storia alla vita".

(J.Hillmann Le storie che curano). In campo clinico, Erving Polster (1987) suggerisce che la vita

di ogni persona può essere vista come un romanzo: la scoperta di tale analogia sarebbe di per sé

terapeutica. Polster, come Hillman (1984), vede la psicoterapia come un processo estetico-

artistico. Il terapeuta deve usare gli stessi criteri selettivi e costruttivi che usa uno scrittore nel

produrre una storia, allo scopo di aiutare il cliente a "ri-scrivere" la sua biografia. È in questo

modo che all’interno del setting si produce una storia di cui terapeuta e cliente costituiscono i co-

narratori. Tale prassi d’intervento è sostenuta dalla "scoperta" teorica di un modo specifico di

funzionare della mente: il pensiero narrativo. Il pensiero narrativo sarebbe alla base di un modo

di rappresentare e conoscere il mondo guidato da regole portatrici di senso, prescrittive,

tematiche; una modalità peculiare con la quale l’uomo organizza, elabora e narra la realtà e

l'esperienza di sé.

Una volta assunto che la narrazione può costituire un veicolo di cambiamento, è lecito notare

come ci siano narrazioni (modi di rappresentarsi) più efficaci di altre; spesso non è sufficiente un

semplice narrarsi per promuovere un cambiamento. Attualmente l’attenzione dei ricercatori e dei

clinici è tesa a comprendere in quale modo la narrazione produce dei cambiamenti, "come" le

storie curano e in quali circostanze un tipo di narrazione può essere efficace. Questo perché, nel

corso della vita, non facciamo altro che raccontare noi stessi attraverso storie che rappresentano

dei veri e propri atti narrativi in quanto frutto di operazioni attive di organizzazione ed

elaborazione dei diversi episodi che riteniamo più importanti per la nostra vita (cfr.Callieri,

1999-2000). Tale operazione, tuttavia, non nasce esclusivamente dall’esigenza di raccontarci

all’esterno, bensì dalla necessità di dare un senso a ciò che ci accade, di collegare i diversi eventi

che costellano la nostra esistenza lungo una dimensione sia temporale che spaziale. Nasce dal

desiderio di raccontarci a noi stessi. Oltre ad essere un essenziale strumento relazionale quindi, la

narrazione rappresenta anche, e soprattutto, la via attraverso cui dare forma alla propria identità.

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Se parliamo di identità narrativa, possiamo dire che ogni volta che ci presentiamo sia a noi stessi

che agli altri, in realtà ci stiamo raccontando in un certo modo. Questo perché, come dice

Callieri, "…noi non siamo altro che la storia che raccontiamo di noi stessi e la nostra identità

narrativa si costituisce mediante la nostra storia" (1999-2000, pp.4). Sono le storie che le persone

raccontano e si raccontano della propria vita a determinare il significato che loro stesse

attribuiscono alle esperienze vissute. Le esperienze che l’Io compie danno forma all’identità:

narrarle dà loro un senso, le inserisce in un contesto, in un tempo e quindi in una storia già

esistente. Narrare rappresenta, quindi, un’operazione di consapevolezza in quanto equivale a

costruire una propria visione di se stessi e del mondo: sono io come narratore che, nel momento

in cui racconto qualcosa, opero una selezione, un’organizzazione del materiale disponibile.

L’elaborazione dei fatti in storie o "racconti personali" è necessaria perché le persone diano un

senso alla loro vita, perché acquistino un sentimento di coerenza e continuità. Creando dei

legami intenzionali tra le esperienze vissute. Non si può prescindere dal concetto di

intenzionalità in quanto, nel costruire storie, le persone determinano, oltre al significato che

attribuiscono all’esperienza, anche quali aspetti dell’esperienza vissuta vengono selezionati per

l’attribuzione del significato. Quello che narro, poi, è sempre influenzato da chi mi sta

ascoltando o da chi immagino mi stia ascoltando. Probabilmente il mio stile cambierà anche in

funzione del pubblico o di quello che immagino sia il mio pubblico. Nel momento in cui narro,

compio una scelta: scelgo cosa narrare di me e cosa no, cosa far trasparire, organizzo i tempi, le

intonazioni, le espressioni facciali, le parole, la voce, le pause. L’attività narrante quindi si

completa e acquista senso solo se c’è un ascoltatore della narrazione. Non è sufficiente, infatti,

che qualcuno narri se non c’è nessuno che ascolti ciò che sta narrando. All’intenzionalità di chi

racconta, quindi, è sempre indispensabile si leghi l’intenzionalità di chi sta ascoltando quel

racconto (un libro ha bisogno di un lettore per diventare narrazione, così come il diario ha

bisogno del mio ascolto affinché mi narri qualcosa). All’interno della relazione psicoterapeutica

si viene a creare tra paziente e terapeuta una polarità narratore-ascoltatore della narrazione. Tale

polarità necessita dell’intenzionalità di entrambi per dar vita ad una costruzione narrativa che li

coinvolga in quanto attori della relazione. Per tutto il percorso della terapia paziente e terapeuta

lavorano su realtà narrative che il paziente stesso crea rendendole racconti. Al terapeuta non

interessa se quelle realtà siano "veramente" accadute oppure no; ciò che a lui interessa è la

ricostruzione che il cliente fa di ciò che è avvenuto. Nel momento in cui si racconta qualcosa che

appartiene al proprio passato, infatti, non lo si rivive, lo si ricostruisce. "All’autore, pur sempre a

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qualcuno rivolgendosi, preme il gusto del ricordare non per fatti quanto piuttosto per significati

tratti dall’esperienza e quindi per riflessioni" Demetrio, 1995, pp.72). Il che non vuol dire che lo

si inventa ma che l’"Io tessitore", come lo definisce Demetrio (ibidem), dà vita ad un intreccio

tra realtà narrativa e realtà storica, ad un "come se". Più il racconto è coerente, più elevata sarà la

possibilità di confondere realtà narrativa e realtà storica con la realtà vissuta. Ciò permette al

terapeuta di liberarsi dai vincoli della verità e di lavorare sulla realtà narrativa che la persona sta

raccontando e ri-costruendo insieme a lui. Nel mentre che ci rappresentiamo e ricostruiamo "…

ripensiamo a ciò che abbiamo vissuto, creiamo un altro da noi. Lo vediamo agire, sbagliare,

amare, godere, mentire, ammalarsi e gioire: ci sdoppiamo, ci bilochiamo, ci moltiplichiamo"

(Demetrio, 1995, pp.12). Creiamo una "distanza estetica", creativa, in quanto ci osserviamo nel

nostro narrare; ci distanziamo dall’evento accaduto, entro un certo limite, per poterlo organizzare

in una forma narrativa. Il qui ed ora della terapia diventa il luogo e il tempo fertile all’interno dei

quali iniziare a vivere esperienze nuove, nuovi modi di sentire, versioni diverse della propria

esistenza e, quindi, nuovi racconti. Compito del terapeuta è quello di entrare nel mondo ipotetico

del "come se" del cliente, nelle sue diverse ricostruzioni ed ascoltare il nascere di connessioni

con la sua storia."Ricostruire una storia diviene dunque un costruire insieme un tratto di vita,

rimodellare parti di sé, delle rappresentazioni della propria identità e del proprio contesto

sociale" (Venturini,1995,pp. 56). Significa dare origine ad un racconto nuovo che, in quanto

condiviso, crea un confronto all’interno del quale il terapeuta si muove verso un obiettivo:

facilitare la persona nell’assunzione di responsabilità, aiutarla a rischiare possibilità diverse, ad

aprire un copione di vita che si ripeteva sempre nello stesso modo. La aiuta a riaprire il finale, in

un certo senso, in quanto gli offre la possibilità di togliere la parola fine. In questo senso

parliamo di narrazione creativa. Ovviamente, non spetta al terapeuta proporre una storia diversa:

egli può limitarsi a dare degli stimoli, a mettere in figura qualcosa che è sullo sfondo. Può

proporre al cliente di indossare delle alternative andando a vedere se nella storia che

quest’ultimo gli racconta è possibile inserire dei sottotesti, delle storie di personaggi secondari.

Sostanzialmente quella che compie è una riorganizzazione del campo narrativo giocando con gli

elementi della storia del cliente. Quindi anche la psicologia e la psicoanalisi non sono passate

indenni attraverso la svolta narrativa/biografica, tant’è che si parla ora di una vera e propria

psicologia narrativa, determinata dal rinnovato interesse per l’uso ed il significato delle storie in

terapia e più in generale della loro importanza nella costruzione del sé di un individuo. In ambito

psicoanalitico ha fatto la sua comparsa la categoria del sé narratore, dove il termine indica un sé

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che racconta storie e la descrizione del sé appartiene alla storia narrata. Non manca a questo

panorama narrativo l’identificazione del terapeuta con la figura di un "cercatore di storie". Gli

stessi sistemi di credenze, che impariamo con la cultura di cui facciamo parte, non vengono più

intesi semplicemente come sistemi di eventi reali, ma sono considerati piuttosto come storie che

gli esseri umani si narrano per organizzare e interpretare la loro esperienza. Vista in quest’ottica,

anche la "patologia" viene considerata come una particolare struttura narrativa, e la terapia un

intervento su di essa. Anche le diverse proposte metodologiche presenti in ogni particolare

scuola terapeutica possono essere definite come storie o narrazioni diverse; e così, accanto ad

una "storia" freudiana e neofreudiana, adleriana, junghiana, abbiamo anche una storia sistemico-

relazionale, una gestaltica, una analitico-transazionale, eccetera: narrazioni diverse, ma continue,

all’interno di quella narrazione più generalizzata che fin dal suo apparire è stato, ed è tuttora, il

movimento psicoterapeutico (A. Ferrara, 1999).

2.2 Il terapeuta come narratore

Kirin Narayan (1991) in "Insegnamento e cura con le storie", focalizza l'attenzione sul terapeuta

raccontatore in questo caso di storie prese dal folklore e da tematiche religiose

antropologicamente determinate (siamo nell'ambito della cosiddetta folk narrative). La

reinterpretazione narrata della storia da parte del gruppo-classe o del paziente rappresenta per

l'autore il nucleo dell'esperienza terapeutica. In questo contesto non mancano i riferimenti alle

metafore eriksoniane come esempio dell'uso terapeutico della "retorica del senso comune" come

accesso al "mondo magico" facilitato dalla figura del terapeuta narratore. Erikson infatti non

produsse una teoria psicoterapeutica sistematica, ma il suo talento era probabilmente legato alla

sua caratteristica di novelliere e inventore di metafore. Molti trattamenti eriksoniani non si

avvalevano neanche della tecnica ipnotica convenzionalmente intesa, egli usava piuttosto quella

che l'autore chiama "una forma retorica persuasiva" tesa a incoraggiare il comportamento di

cambiamento nel paziente. Userebbe cioè il "potere magico delle parole" basato

sull'individuazione di idiosincrasie fra la persona e il contesto. Gilligam si riferisce addirittura al

presente storico come "post-eriksoniano" e riflette sui 22 anni di pratica e di insegnamento di

Milton Erikson auspicando il recupero dell'importanza della narrazione di storie in ambito

psicoterapeutico (Sara Della Giovampaola, 2000).

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2.3 La terapeuticità del narrare in gruppo

Molti lavori fanno riferimento all'uso della narrazione nelle psicoterapie di gruppo

approfondendo i possibili significati della condivisione narrata e osservando in uno studio

condotto in diversi paesi secondo un'ottica antropologica, la dinamica di cambiamento stimolata

dal processo del raccontare storie l'un l'altro. L'autrice rintraccia nei principi di "mutualità",

"reciprocità" e "tolleranza" elicitati dal racconto di storie in contesti gruppali una possibilità

esperienziale terapeutica per i membri del gruppo, individuando negli stessi principi dei topos

costanti rispetto alle differenti culture e religione legati all'uso del racconto. Nell'ambito

esistenzialista il gruppo risulta un contesto terapeutico privilegiato che vede nella narrazione lo

strumento interattivo. E. Spinelli (1997) descrive nei termini di "storie fra sconosciuti" la

psicoterapia narrativa di gruppo ad orientamento esistenzialista, in cui i pazienti del gruppo

sperimentale si raccontano storie e in cui lo psicoterapeuta ha il ruolo di ascoltatore e facilitatore

della comprensione reciproca fra i membri del gruppo: il terapeuta e gli altri membri del gruppo

entrerebbero in contatto con la storia del narratore "osservandola dal suo punto di vista". Tale

metodologia è individuata come agevolatrice del processo di cambiamento dei singoli all'interno

del gruppo. Smorti (1997) parla di Sé come testo mettendo in relazione la costruzione delle

storie con lo sviluppo della personalità (Sara della Giovampaola, 2000).

2.4 Memoria e processi narrativi

La narrazione ( Daniel J. Siegel, 2001) di storie è parte fondamentale di tutte le culture del

mondo, e svolge un ruolo essenziale nelle interazioni fra adulti e bambini;quest'ultimi

incominciano a costruire racconti che si riferiscono ad avvenimenti e a esperienze esteriori della

loro esistenza quotidiana fin dai primi anni di vita. Ma che cos'hanno di speciale le storie? Perché

per la nostra specie umana è così importante raccontarle e ascoltarle? Con il termine “memoria

narrativa” si intende dei processi che ci permettono di immagazzinare e quindi di rievocare le

nostre esperienze sotto forma di racconti. La co-costruzione di storie di narrazioni per cui i

membri di una famiglia elaborano insieme storie che si riferiscono alla loro vita quotidiana, è un

processo fondamentale dal punto di vista antropologico.

Come prodotti fondamentali dell'esperienza sociale, le storie riflettono e includono regole e

modelli culturali comuni, analizzando le cause dei comportamenti umani e le conseguenze delle

deviazioni dalla norma. Catturano inoltre la nostra attenzione in quanto richiedono una nostra

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partecipazione attiva nella costruzione dei caratteri e delle esperienze dei personaggi coinvolti; in

questo senso, i racconti sono creati non solo da chi li narra, ma anche da chi li ascolta. Ogni

storia è il risultato di diverse componenti, che comprendono le azioni e gli stati mentali dei vari

personaggi coinvolti , la descrizione di conflitti e della loro risoluzione, e la prospettiva del

narratore, che può raccontare in prima o in terza persona, al passato o al presente.

Le storie, sotto forma di favole, miti, film, commedie, romanzi, conversazioni da salotto, sono

quindi una parte importante della nostra vita, e molte forme di relazioni interpersonali,

coinvolgono la costruzione collettiva di narrazioni basate sulla comunicazione di ricordi. I

processi narrativi svolgono un ruolo fondamentale a vari livelli:portano alla creazione di storie

che possiamo condividere con gli altri, danno origine a particolari forme di comportamento

(“performance narrativa”), e possono influenzare in maniera significativa il nostro mondo

interiore (inducendo sogni, fantasie sensazioni e stati della mente); inoltre potrebbero avere

effetti diretti sulla modulazione delle emozione e sull'organizzazione del sé.

Spesso l'atto di raccontare prevede l'interazione sociale: chi narra trasmette segnali verbali e non

verbali a chi ascolta, che li riceve e risponde con simili forme di comunicazione. Perché questo

intricato scambio di messaggi possa avvenire è necessario che entrambi gli individui coinvolti

abbiano la complessa capacità di identificare e interpretare tali segnali, di condividere il concetto

dell'esistenza di un'esperienza soggettiva della mente, e di partecipare rispettando le regole

culturalmente accettate del discorso. In ogni caso i processi narrativi richiedono quindi la

presenza di un sistema mentale sociale integro, che media questa elaborata forma di

comunicazione.

Le esperienze sociali possono inoltre contribuire allo sviluppo di una coerenza narrativa, ed è

attraverso l'analisi di questi meccanismi che possiamo incominciare a capire le relazioni fra la

co-costruzione di narrazioni e l'acquisizione di capacità di organizzazione del sé maggiormente

adattive e coerenti.

Le influenze dei processi narrativi sul nostro mondo interiore si manifestano in maniera

particolarmente evidente nei sogni, nei diari o quando vengono utilizzate tecniche di

immaginazione guidata, con rappresentazioni complesse e ricche di particolari che spesso sono

fonte di stupore per la mente conscia. I sogni danno origine a storie elaborate intrecciando nei

modi più disparati immagini che emergono da vari momenti del nostro passato, mentre con

l'immaginazione possiamo richiamare in maniera molto vivida esperienze che contengono temi

di riflessioni in qualche modo collegati alle nostre priorità o alla nostra situazione del momento.

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Definendo i processi narrativi come qualche cosa di più della semplice elaborazione verbale di

storie, possiamo capire come ciascuna di queste esperienze interiori sia influenzata e plasmata

dai temi narrativi centrali della nostra vita. Il racconto della nostra vita non può essere una storia

unica e fissa, in quanto noi stessi cambiamo continuamente e con noi i nostri ricordi.( Daniel J.

Siegel, 2001)

2.5 Il mito e la metafora

Per molti autori il (G. Maffei, 1993) mito consiste in un insieme di credenze condivise a livello

inconscio: un sistema di spiegazioni non verbalizzato. Per i Greci “Mitos” indica un fenomeno

fiabesco, qualcosa di assolutamente lontano dalla realtà, che si contrappone a “Logos”, che

rappresenta il pensiero razionale. Nel pensiero antropologico di Margaret Mead e di Malinosky

troviamo che i miti sono funzionali al mantenimento delle regole su cui si basa l'organizzazione

sociale. Per Levi- Strauss essi “costituiscono lo spazio mentale, contemporaneamente

immaginario, logico e comportamentale. Altri ancora lo definiscono un sistema simbolico di

lettura della realtà: un codice che permette di produrre sapere dall'osservazione e

dall'interpretazione del reale o un codice all'interno del gruppo, un linguaggio ed un sistema

condiviso di lettura della realtà. Per Bion i miti nascono per dare dei limiti, un'organizzazione ed

una comprensione a quelli che sono i fondamenti della vita e delle relazioni per il perpetuarsi

della specie. Il concetto di mito coincide, sia con l'idea di una forma sociale per comunicare

alcuni nodi in forma visibile (macchina narrativa), sia con la nozione di attività inconscia e il

narrare è un modo per condividere delle cose con il mondo e per l'appunto il mito utilizza

immagini, aprendo la via ad una narrazione attraverso la metafora.

La metafora sta a significare fondamentalmente un “trasporto di senso, uno spostamento di

significato”, fondato su una relazione di similarità e costituisce il meccanismo di fondo del

nostro stesso parlare e delle nostre interazioni comunicative. Non soltanto il linguaggio

letterario, ma anche quello quotidiano, è fondato sull'uso metaforico del linguaggio. Il nostro

parlare e il nostro fare esperienza è dunque metaforico, si fonda su una serie di trasferimenti di

senso. I significati si costruiscono insieme alla relazione terapeutica e in virtù dell'impiego di

metafore. La metafora dunque, sostanzia e fonda la realtà. Jung nella sua autobiografia sceglie il

mito per definire la sua intera esistenza: “che cosa noi siamo per la nostra visione interiore, e che

cosa l'uomo sembra essere può essere espresso solo con il mito. Il mito è individuale, rappresenta

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la vita con più precisione della scienza. La scienza si serve di concetti troppo generali per poter

soddisfare la ricchezza soggettiva della vita singola”. Capire il proprio, significa essere

consapevoli della propria equazione personale per usarla in maniera creativa e soprattutto per

costruire, a partire da essa, la propria metafora psicologica. Conoscere il proprio mito in modo da

essere capaci di viverlo, ma anche di vederne il carattere metaforico, pone le basi per una

condizione nella quale non si è vissuti dalle immagini interiori, ma si dialoga con esse. Il mito

individuale apre appunto l'accesso a una modalità metaforica dell'esperienza. Si passa in tal

modo da una condizione di vita inconscia in cui l'esistenza è subita, a una condizione nella quale

il rapporto con l'immaginario consente di ricreare, almeno parzialmente i presupposti del proprio

esistere. Il soggetto lentamente recupera una condizione di progettualità che lo rende artefice

della propria storia (G. Maffei, 1993).

Nella scuola fenomenologica (R.Otto), il mito viene considerato come una categoria del sacro

nella sua apparizione storica.

Un’evoluzione di questa visione tiene maggior conto del rapporto tra mito e rito, ed individua

nella “parola potente” la forza luminosa del mito. Il mito contiene un elemento in più della

parola sacra: la configurazione, “la forma”. Il mito crea dunque la realtà in un suo proprio tempo

che è fuori del tempo e senza tempo (Van der Leeuw, Fenomenologia della religione, 1933).

Jensen vi aggiunge il concetto di culto come caratteristica essenziale, come rappresentazione

drammatica degli avvenimenti descritti o come il semplice atto di raccontare il mito può divenire

un atto di culto.

Le tesi fenomenologiche (Campbell J. 2004) assumono massima consistenza nelle opere di M.

Eliade e K. Kerényi (che collaborò con C.G.Jung). Il mito appare come uno dei fatti sacri

accanto ai riti, alle forme divine, alle cosmologie ecc. Il mito ha un valore storico e archetipale.

La sua funzione principale è di fissare i modelli esemplari di tutti i riti e di tutte le azioni umane

significative in modo da formare un loro modello extratemporale e astorico.

«Perché avete bisogno della mitologia? (…) tutti questi Dei e roba del genere e i resti di tutta

questa roba coprono le pareti del nostro sistema interiore come i cocci del vasellame rotto in un

sito archeologico. Ma dato che siamo creature viventi in “tutta questa roba” c’è molta energia, e i

rituali la evocano» (Campbell J. 2004).

Il mito è una realtà contemporaneamente umana e cosmica: i due termini (uomo e mondo,

pensiero e realtà) si determinano reciprocamente in una realtà originaria ed archetipica alla quale

ci si può avvicinare solo tramite “l’ascolto” e la “partecipazione intuitiva” (Einfǘhlung) di tipo

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fenomenologico. Da qui si può rivelare la forza e la capacità del mito di ampliare la coscienza

rispetto ad esperienze umane originarie che da sempre accompagnano l’uomo.

In sintonia con la tesi fenomenologica Paolo Quattrini (2007), sostiene che alcune storie (come

i miti) accompagnano l’umanità dalla notte dei tempi, e sono stati ripresi da varie culture con

variazioni sul tema. Nelle storie il significato dev’esserci per essere fruibile. Viene fatta una

distinzione fra mito e costruzione del romanzo fra senso e significato, laddove nel romanzo vi

sono maggiori difficoltà sul piano del senso che non del significato. Poiché senso è percezione e

si realizza attraverso la strutturazione di Gestalten, insiemi che la mente dell’osservatore

costruisce in congruenza con i bisogni dell’organismo, la persona percepirà preferenzialmente

insiemi formati da elementi contingentemente presenti davanti ai suoi sensi o il paesaggio

secondo le linee di forza che la guidano. E’ possibile ipotizzare l’esserci di gestalten poiché si

manifestano fenomenicamente, senza conoscerne la struttura. Lo stesso vale per il mito, del

quale è possibile osservarne la forza senza teorizzarne l’essenza. Non rifiutando l’ipotesi

metapsicologica secondo la quale i miti siano il frutto di configurazioni strutturanti (archetipi),

Quattrini ne sottolinea la struttura fissa, anche se nulla impedisca loro di abitare nella dimensione

dell’infinito, nonostante gli archetipi le obblighino in cammini obbligati (Quattrini P. 2007).

Nella psicoterapia è importante osservare come si svolgono nella vita delle persone: la vita può

vanificarsi nell’incongruenza fra realtà e mito, e nell’elaborazione dell’incongruenza ricomporsi.

Il mito quindi insegna non soltanto a sperimentare che la vita debba essere vissuta nonostante la

morte, ma anche a risolvere vecchie Gestalten Inconcluse in cui la persona è ancora invischiata;

inoltre ad elicitarne di nuove che vadano in direzioni incongrue, in senso olistico alla persona.

Miti (ed anche fiabe e racconti), sono di grande aiuto per capire meglio la significatività delle

interazioni. Le direzioni della vita sono tante quanti sono i miti e la persona ha tante possibilità

di scelta quante sono le sue conoscenze del mondo, incluse quelle letterarie.

Se il problema della chiusura di Gestalten Inconcluse è relativamente semplice, altrettanto non lo

è l’apertura di nuove. La funzione orientativa della mitopoiesi non è quella del raggiungimento

di mete mitologiche, poiché le mete sono paragonabili a un punto di tendenza (metafora della

stella polare), ad un punto fisso senza il quale è impossibile orientarsi. Senza spiegare svela a chi

ascolta l’importanza di prendere le proprie decisioni. Come le metafore i miti costituiscono una

rete di viabilità dove la persona può scegliere la direzione e la strada che vuole percorrere, come

una carta geografica dell’anima che amplifica le possibilità di movimento nell’arco della vita.

Una metafora suggerisce un’idea di potenzialità, qualcosa che è nascosto dietro a ciò che è

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visibile.

La psicoterapia accompagna il viaggiatore, gli mostra i suoi inciampi richiamandolo alla

responsabilità nei confronti dei suoi bisogni e dei suoi desideri. Spesso le persone rinunciano ai

propri sogni perché costano troppo: l’aiuto è nell’aiutare a dare forme al comportamento che non

siano al di fuori della portata delle loro possibilità ed anche ad operare sacrifici narcisistici

accettabili e vantaggiosi. Ci sono varie possibilità e ognuna ci offre degli spunti per lavorare, per

riconoscere ciò che è ed utilizzare l’esperienza -mito come un mezzo di trasporto che ci consenta

di esplorare altre possibilità, anziché esserne inghiottiti.

Anche Hillman (1984)propone l’idea che nella nostra epoca il motivo per andare in analisi non è

per essere amati, curati o per il “conosci te stesso”, ma per ricevere una storia clinica, trovare se

stessi nel mito: nei miti dove gli Dei e gli uomini s’incontrano… In Aristotele le trame sono miti,

ed è nei miti che vanno trovate le risposte basilari del perché di una storia. Ma un mythos è più di

una teoria e più di una trama: è la fiaba dell’interagire dell’umano e del divino. Il fondamento

poetico della mente ci dice che la logica selettiva che opera nelle trame delle nostre vite è la

logica del mythos, è mitologia.

I miti, le fiabe e i racconti sono anche in stretto rapporto con le fasi della vita, con le cerimonie

di iniziazione attraverso le quali si passa dallo status di adolescente a quello di adulto

responsabile, dal celibato al matrimonio. Tutti questi rituali hanno a che vedere col mito;

alludono al riconoscimento e/o alla scelta di un nuovo ruolo in cui ci si può trovare, al processo

in cui si elimina ciò che è vecchio perché è disfunzionale nel presente, per lasciare spazio al

nuovo, accettando anche la responsabilità che deriva dall’esercizio di una nuova professione.

2.6 Narrazione e percezione

Diverse ricerche si concentrano intorno allo studio di variabili somatiche in ambito espressivo e

percettologico: il canale visivo e la voce sono processi strettamente legati al raccontare. Già

negli anni '60 erano state considerate queste variabili nell'ambito della narrazione di gesta epiche

(Ferry, 1963). Più recentemente Parker (1998), ne ha sottolineato l'importanza prendendo in

considerazione le storie autobiografiche in cui ipotizza che il narratore per

potersi rappresentare all'uditorio, tramite il canale vocale, deve avere una certa visione della

storia stessa. La storia di vita diventa psicoterapeutica secondo Parker in quanto "segnalatore dei

processi" storici e "rappresentazione artistica" di se stessi. Il raccontare, come "interpretazione

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mitopoietica", mediante l'integrazione di parola, vista e voce, offrirebbe cioè al soggetto la

possibilità di trasformarsi (Sara Della Giovampaola, 2000).

2.7 La narrazione in età evolutiva

Ampio spazio in letteratura hanno i riferimenti alla Psicologia dell'età Evolutiva. Nella

conversazione clinica con i bambini, l'approccio narrativo ha un valore largamente riconosciuto

in letteratura. Russell e Van den Broek nel 1988 studiarono il raccontare come agevolatore dello

sviluppo cognitivo in ambito psicoterapeutico coi bambini. Lund e Eron focalizzano l'attenzione

sul processo del "riraccontare" le storie narrate dai bambini, ponendo l'enfasi sul significato

terapeutico di questo tipo di conversazione. Il terapeuta stimolerebbe il racconto da parte del

bambino di storie legate all'ambiente religioso e culturale di appartenenza stimolandone

l'arricchimento attraverso domande tese a ricomporre il puzzle conflittuale della storia del

bambino. La terapeuticità del dialogo consisterebbe nella trasformazione del problema che da

"mistero" diventa evento spiegato e contestualizzato. La "storia rinarrata" viene poi raccontata e

condivisa con le figure genitoriali. La chiave terapeutica della narrazione in psicoterapia con

bambini e adolescenti secondo Freedman e Combs è basata sull'ascolto dei racconti e sulla

possibilità di catalogare l'esistente che da sconosciuto diviene ri-conosciuto (Sara Della

Giovampaola, 2000).

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Capitolo 3 Gli ambiti di applicazione della terapia narrativa

La storia di vita è uno strumento largamente usato in ambito relazionale: il "genogramma

intergenerazionale" nel lavoro clinico con le famiglie ampliato e modificato rispetto alla

versione tradizionale narrativa elabora la storia familiare a partire dalla sua forma grafica, come

attivatore di processi psico-corporei nella direzione della costruzione dell'identità. In ambito

gruppale la narrazione della storia di vita è utilizzata anche con gli anziani: il narratore (a

rotazione) raccontava la propria storia che veniva elaborata dal gruppo attraverso giochi

immaginativi. La storia di vita compare in letteratura di stampo comportamentale come

strumento terapeutico in pazienti affetti da AIDS (Viney, Bousfild, 1992): gli autori riportano un

caso clinico in cui il raccontare storie da parte del paziente sulla propria vita e sulla pericolosità

che rappresentava nel contingente per gli altri avrebbe permesso di modificare e riraccontare

l'intera storia di vita (Sara della Giovampaola, 2000).

3.1 La scrittura come terapia

Uno spazio altrettanto vasto rispetto alla narrazione orale ha in letteratura l'uso della narrazione

scritta. Scrivere sulle nostre esperienze emotive è secondo Pennebaker un processo

psicoterapeutico capace di elicitare cambiamenti fisici e mentali; l'autore propone uno studio

tendente ad individuare i paradigmi teorici basici presenti nella scrittura associata ai

cambiamenti in senso evolutivo dei processi linguistici e cognitivi. Sull'"utilità di scrivere

sull'esperienza emotiva" Bootzin rifacendosi a Pennebaker, considera la metodologia di questa

strategia d'intervento rilevando gli effetti benefici sulla salute e aprendo strade di ricerca tese a

individuare i campi d'intervento in cui lo strumento scrittura possa permettere una più diretta

espressione del vissuto interiore. La narrazione si differenzia dalla scrittura in quanto rappresenta

un metodo preverbale che insiste sulla descrizione andando a raggiungere dei livelli di tipo

sensoriali che sono a livello diverso alla stessa parola (Sara della Giovampaola, 2000).

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3.2 La narrazione e la videoterapia in Gestalt

L’uso delle immagini e del linguaggio non verbale in psicoterapia si va affermando sempre

di più, di generazione in generazione diventiamo sempre più sensibili al linguaggio

audiovisivo di comunicazione di massa, al linguaggio del cinema e della televisione. Le

immagini comunicano attraverso modalità diverse, a volte più dirette e creative, del canale

verbale. L’immagine non ha bisogno di parole o di commenti, arriva a noi diretta, a volte

prepotente e violenta, a volte commovente. Anche l’utilizzo del video è riconosciuto in

diverse aree della riabilitazione, dell’educazione, della formazione e della terapia, e si può

inscrivere all’interno del contesto più ampio delle terapie espressive e delle arti-terapie

(Cavallo, 1995).

La videoterapia sostiene O. Rossi (2003) “è il momento culminante di un percorso di

crescita che porta e sostiene la persona nell’incontro e nella re-visione di se stesso. La

videoterapia dà vita ad un’interazione dell’io con il me: l’immagine diventa l’interlocutore

del soggetto in un processo di facilitazione del confronto con se stessi.” (O.Rossi, pag. 30,

2003).

Gli utilizzi del video sono molteplici e diversificati, dalla videoconfrontazione al video

partecipativo, al counselling videoterapeutico, il video diventa un mezzo, un media che

facilita un lavoro di consapevolezza personale a vari livelli. Ad esempio, nella

videoconfrontazione il soggetto parla con la sua immagine e in questo senso non c’è

bisogno di stimolare il processo di identificazione e proiezione perché l’altra parte è lì,

parla, si muove ed è in qualche modo reale. Le persone raccontano la loro storia

concettualmente quindi è necessario passare dai concetti ai fenomeni. L’immagine è un

fenomeno percepibile direttamente senza necessità di mediazioni o facilitazioni

La metodologia utilizzata è il dialogo tra le due opposte polarità, il dialogo tra l’immagine

di me che vedo sullo schermo e il me che parla. L’immagine diventa il contenitore delle

mie proiezioni, dei miei contenuti interni e diventa una sorta di diario che consente la

possibilità di recuperare il filo narrativo della propria storia e di ridarle fluidità e senso.

Antonio Ferrara sottolinea come la narrazione non si limita a riferire i fatti, ma ciò che è

accaduto si cala nel relatore (Ferrara, 1999/2000). I vissuti dell'esperienza originaria

possono risvegliarsi e le emozioni, le sensazioni e le immagini si “ordinano e si danno

pace”, proprio come avviene nel processo terapeutico.

Il video è un ottimo strumento soprattutto per l’elaborazione di tematiche difficili grazie

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alla possibilità di costruire le storie e per la sua modalità di lavoro poco diretta. Attraverso

l'uso della videocamera e attraverso la drammatizzazione di eventi si agevola l'espressione

delle emozioni, il lavoro sul corpo, lo sviluppo dell'immaginazione e della creatività. La

videoterapia permette di sperimentare nuovi modi di comunicazione, di mettere “in scena”

esperienze personali elaborandole, di sperimentare la videocamera come strumento di

lavoro ha favorito la crescita personale attraverso momenti emozionali di forte intensità. La

possibilità di confrontarsi con la propria immagine, postura, gli sguardi e i movimenti del

corpo, permette un lavoro di consapevolezza; la storia e le immagini diventano contenitori

del proprio copione di vita. Il lavoro con l'immagine offre le basi per applicare il video e le

arti in generale, in diversi contesti e offre la possibilità di affrontare vaste aree di disagio

sociale e psicologico (Oliviero Rossi. (2006) La videoterapia e la narrazione.

Informazione Psicoterapia Counselling Fenomenologia. Roma ).

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Capitolo 4 Il metodo di lavoro

4.1 Gemma

Gemma ha circa 30 anni, è nubile e vive da sola da qualche anno. Ha degli spazi di autonomia

ma molto limitati in quanto continua ad affidarsi ancora alla madre e la fratello per il sostegno

economico. Nei primi colloqui riferisce di non avere un lavoro stabile e di passare le sue

giornate da circa un anno e mezzo a “prepararsi” per l'incontro del sabato sera con il disc jockey

di una discoteca. Lo aspetta per ore prima di poterci parlare con la speranza che lui la noti e che

possa invitarla ad uscire per poter iniziare una relazione. Questi momenti di attesa sono

caratterizzati da intense emozioni e speranze.

Dal primo incontro emerge in modo chiaro uno scarsissimo contatto con il piano di realtà, il suo

pensiero è polarizzato solo su questa persona che sembra rappresentare quasi la sua ragione di

vita. Appare evidente l'idealizzazione e il forte investimento che Gemma ha fatto su di lui. È

come se Gemma si stesse servendo di un pensiero magico per ancorarsi ad una realtà accettabile

che le permetta di tenersi insieme come individuo.

Nei primi due colloqui cerco di farla stare sul piano della realtà ma G. presenta delle grandi

difficoltà a stare su questo piano e decide di abbandonare per poi tornare un anno dopo con la

richiesta di cominciare un percorso terapeutico. Mi rendo subito conto che i miei interventi volti

a farla stare sul piano della realtà sono risultati poco efficaci ma nello stesso tempo mi hanno

dato uno spunto di riflessione che poi ho elaborato a distanza di un anno.

Al suo ritorno sostiene di sentirsi pronta a cominciare un percorso terapeutico e descrive il suo

stato d'animo con l'espressione “sento di essere uscita da un sogno durato un anno e mezzo”

perché è venuta a conoscenza dei commenti disprezzanti che il disc jockey ha fatto su di lei,

questo ha scaturito in lei un cambiamento, uno scossone e la volontà di riprendere in mano la

sua vita. Accenna ai colloqui di un anno con una consapevolezza diversa: allora non erano

presenti le condizioni ideali per intraprendere un cammino terapeutico soprattutto per la sua

difficoltà e poca chiarezza a individuare la sua problematica. È stanca, addolorata e delusa dal

ragazzo e sente di aver “perso” tanto tempo invano.

Il mio progetto terapeutico si pone come obiettivo quello di affrontare una persona immatura a

cui fare una terapia di tipo costruttivo che la possa aiutare a instaurare relazioni in un contesto

per lei accettabile.

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Le propongo un racconto che dia un senso alla sua vita: la co-costruzione di una storia, perché

ritengo che possa essere un contenitore efficace per lei, un mondo di magia, in cui può inventare,

immaginare e liberare le proprie energie creative. La storia può favorirle lo sviluppo della

capacità di vedersi e individuarsi. Inoltre la sua naturale spontaneità nell'uso delle metafore

emersa fin dai primi colloqui mi ha spinto ancora di più verso tale proposta.

4.2 La diagnosi fenomenologica

La diagnosi in ottica fenomenologica è una diagnosi descrittiva della persona e del suo mondo. Il

sintomo viene considerato come il miglior accomodamento che la persona è riuscita a strutturare

nel corso della sua esistenza, non è un elemento da rimuovere ma da osservare in quanto un

elemento che ha garantito la sopravvivenza e che evidenzia il disagio avvertito dalla persona e

solo da lei significabile. Con la narrazione la persona rileva il proprio significato. L'incontro tra

narratore e ascoltatore crea uno spazio all'interno del quale è possibile costruire nuove

narrazioni, lasciando fiorire possibili sensi. La diagnosi nasce dalla dialogicità e da una

intersoggettività coesistentiva. È una co-costruzione che implica le competenze delle persone che

partecipano come soggetti, all'incontro interpersonale tra pari, pur con competenze diverse. Si

può dire quindi che lo strumento conoscitivo per eccellenza è il mezzo relazione da cui

emergono informazioni che risultano significative solo in quanto ricollocate in quella relazione

specifica (Anna Ravenna, 2003).

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4.3 La storia

Un viaggio dentro l'anima

M: dove siamo, al mare, in montagna, in collina, in un paese?

Questa è la semplice domanda che permette di iniziare insieme una storia. I co-autori iniziano a

dare forma ad un territorio comune, un “campo scenico” in cui so trovano a costruire ambienti,

personaggi e vicende che si aggregano a costituire una trama narrativa. Sperimentando ciò che

succede con disponibilità a trasformare “quello che c'è nel campo”, a scambiarsi suggerimenti,

suggestioni e realizzano uno speciale contatto. Gli eventi narrativi e scenici liberamente

espressi, liberamente modificati portano verso una “direzione”, verso un progetto di cura

individuato strada facendo, frutto di uno scambio attivo e paritetico.

G: mi trovo davanti ad una montagna rocciosa vestita da scalatrice, ho tutta l'attrezzatura

necessaria per la scalata: abbigliamento, scarponcini e accessori vari ma per me è la prima

scalata,sono inesperta, non ho esperienza.....

M: come si chiama?

G: si chiama Clara

Gemma specifica subito che la protagonista della storia è se stessa.

Gemma comincia a realizzare uno speciale viaggio interiore facilitato dall’opportunità di

esprimersi per e con metafore...

M: come è fatta la montagna?

G: la montagna si presenta di colore marroncino chiaro, con una vegetazione un po' spenta.

L'intenzione del terapeuta in questa prima fase è quella di aiutare Gemma ad entrare

sensorialmente nella scena che si sta aprendo. Vi è, infatti una differenza importante da

sottolineare: quella tra iniziare a costruire una storia e l'entrare dentro questa. Tramite una

stimolazione sensoriale immaginifica si creano le basi che permettono il processo di

identificazione con l'ambiente e i personaggi che vengono creati e il successivo distacco

empatico, in cui è presente sia il vissuto del personaggio della storia, sia l'effetto che questo ha

sulla persona.

M:che cosa vuoi fare adesso?

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G: voglio salire fino alla vetta...la montagna ha una forma abbastanza lineare

La storia viene impostata alla prima persona, gradualmente porterò G. a parlare in terza

persona questo passaggio sarà molto importante perché le permetterà di superare la sua

difficoltà di vedersi da fuori e le consentirà di creare una sorta di distanza fra sé e gli eventi

M: cosa si vede intorno alla montagna?

G: vedo degli alberi ed altre montagne, ma la montagna che ho davanti non mi permette di

vedere cosa c'è oltre

L'esplorazione del proprio confine con l'ambiente umano e non umano, figurato da G. in questa

storia, è una delle costanti più significative presenti nelle narrazioni co-costruite. La co-

costruzione della scena e lo sviluppo della rappresentazione metaforizzano i due mondi interiori

del paziente e del terapeuta attraverso il contatto al paesaggio interno comune (ambiente umano

e non umano) seguendo la dinamica indifferenziazione/differenziazione: confondersi e

separarsi.

M: in che periodo dell'anno ci troviamo?

G:Ci troviamo nel mese di maggio e il clima è primaverile.

Il terapeuta con queste domande cerca di farsi descrivere il più possibile lo sfondo proprio per

rendere più vivida e ricca l’esperienza. Il campo relazionale che a va a costituirsi acquisisce

visibilità, consistenza e valore evocativo gradualmente. Piano piano si entra nella realtà

sognante di un racconto sensoriale.

M: qual è lo stato il tuo stato d'animo?

G: Il mio stato d'animo è simile a quello che si prova prima di una prova di resistenza ma cerco

di partire nel migliore di modi nonostante sappia quanto sarà dura per me questa impresa. Con lei

si trovano due amiche una si trova dietro e l'altra davanti a lei. Quella più vicina si sta

preparando per la scalata, ma non si dicono niente, ognuna è concentrata nel suo percorso

individuale. Tutte e tre sono unite da una corda.

G. mi riferisce che le ragazze sono due sue care amiche.

G:L'altra mia amica si trova dietro di me ma è più distante.

M: come è il paesaggio intorno?

G:La montagna copre tutta la visuale per cui non è possibile vedere l'ambiente circostante.

Nessuna di noi non ha mai fatto una scalata, non abbiamo le competenze ma non ci manca la

determinazione e la volontà di arrivare in cima.

In lontananza si vede un'altra ragazza...

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Il paesaggio circostante (l'ambiente non umano) è la metafora del suo stato d'animo

M: chi è?

G: è un 'altra mai amica che si trova davanti a me

In questo passaggio Gemma si rappresenta e si descrive come una persona che ha un obbiettivo

importante da raggiungere: salire la vetta della montagna, che intraprende insieme a due sue

amiche una posizionata davanti e l'altra dietro, questo sembra rassicurarla. Specifica che il

viaggio verso la vetta rappresenta la metafora dell'esperienza con il disc jokey in particolare

tutto il periodo del corteggiamento

G: loro non si trovano lì per caso...... prima erano in una palude di sabbie mobili seguita da una

radura di fiori dove Rosy correva e si divertiva. Anche io ho fatto lo stesso percorso ma a

differenza di lei ci sono rimasta meno tempo. Sono arrivata là percorrendo un altro sentiero che

si trova a più di meta del campo fiorito.

Dopo il campo fiorito ho attraversato una foresta e un prato.....poi ho trovato un'altra foresta e le

sabbie mobili dove ci sono rimasta per dieci giorni finché una liana non mi ha aiutato ad uscire.

In seguito ho trovato una collina molto facile da percorrere: sembrava un deserto scialbo e spento

qui ogni tanto trovavo e raccoglievo dei fiori. Nella collina ci sono rimasta due mesi.....da qui

potevo vedere tutto....

M: cosa vedevi?

G:da lontano intravedevo una foresta che mi metteva un po' di inquietudine...

Il prato l'ho percorso gradualmente ma sapevo che era breve e che indietro non ci potevo tornare.

Era come in un videogame in cui andando avanti ciò che si trova alle sue spalle scompariva.

Questo è quello che le è successo prima di trovarmi ai piedi della montagna.

Gemma sostiene che il breve prato rappresenti la metafora delle sue storie sentimentali . Ho la

sensazione che in questo momento abbia bisogno di trovare una sequenza temporale e di dare un

ordine alle relazioni sentimentali avute fino ad ora.

M: adesso cosa stai facendo?

G: sto salendo la montagna ci sono rocce, spuntoni e sento molto fatica. Mi arrampico, mi stanco

mentre i giorni passano

M: ad un certo punto noti un piccolo villaggio di gnomi emergere da una roccia. Che effetto ti

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fa?

G: come?..... un villaggio di gnomi?! Gli gnomi non esistono!

T: cosa senti in questo momento?

G: fastidio

Decido di inserire il villaggio degli gnomi per favorire un equilibrio diverso, per stimolare la

sua fantasia, per aprire il campo immaginativo e farle notare che il mondo non si ferma alla

montagna ma che è vasto. In questo punto della storia sento molta pesantezza e noia. Il villaggio

costituisce un mondo separato sul quale lei proietta la sua famiglia. Questa metafora le permette

di parlare della sua famiglia e del rapporto con suo padre in modo più ricco.

Prima i miei interventi erano limitati a fare solo domande adesso la maggiore disponibilità e

accettazione di alcuni miei elementi, mi porta a pensare che Gemma sta cominciando a sentire

che la relazione è utile per lei e da qui in poi sento che cominciamo a costruire insieme la storia .

M: come è fatto questo villaggio?

G: È come se fosse un villaggio tirolese con tanti fiori colorati, la cui attività si presenta

funzionale. È un posto sicuro, sereno, ordinato e autogestito.

Il villaggio le ricorda la sua famiglia in particolare il padre, accenna alle sue critiche

dispregiative rispetto al proprio corpo e di quanto lei non si sia sentita amata e riconosciuta da

lui come persona. Sostiene di desiderare una propria famiglia e torna a parlare del suo aspetto

fisico,lamentandosi dei chili di troppo e della sua difficoltà a mettersi a dieta. Sembra

cominciare a trovare un nesso tra le sue difficoltà di donna e le difficoltà legate alla relazione

paterna.

G: Nel frattempo sento urlare l'amica che si trova davanti a me dice che è arrivata alla cima della

montagna e mi suggerisce di scendere. Ma voglio andare avanti, e continuo ad osservare il

villaggio degli gnomi. Li considero stupidi e limitati e non capisco perché sono così felici

nonostante si trovino a vivere isolati tra le rocce. Passo il villaggio e continuo ad arrampicarmi

finché..

M: vede un cavallo bianco......e cosa succede?

Questa volta G. non reagisce spiacevolmente all'inserimento di questo elemento, lo accoglie

continuando a costruire la storia.

G: lei rimane stupita.....lo guarda e vede che si tratta di un cavallo da maneggio.... appare triste e

sofferente...

Inserisco la figura del cavallo, con l'intenzione di ravvivare la storia e dare la possibilità alla

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protagonista di potersi spostare fisicamente in modo da poter sviluppare la capacità di

immaginarsi alternative creative.

Il cavallo è una figura mitologica il cui ingresso cambia in questo momento lo scenario della

storia. Tale figura richiama l'intervento ex “machina degli dèi” (nota 1) usato dal tragediografo

Euripide per risolvere una situazione intricata e apparentemente senza possibile via di uscita.

Credo che il cavallo rappresenti per la protagonista un'idea di cambiamento, di speranza. È uno

degli aiutanti magici per eccellenza. Il cavallo, nella religione e nella fiaba, è un animale

suffragatore. La sua funzione è quella di mediazione fra due mondi. Egli porta l'Eroe nel regno

in capo al mondo. É come se Clara insieme al suo cavallo penetrasse negli inferi delle sue paure

e delle sue angosce,rappresentate nella storia dallo scenario e dallo sfondo. Ho l'impressione

che questa figura le possa trasmettere forza e coraggio nell'affrontare le sue paure e che per lei

sia un punto di riferimento importante.

M: quindi incontra questo cavallo bianco.. (nota 2)

G:si, è nato senza un'ala e lo voglio guarire e so che ci sarà bisogno di una fata. La montagna è

spigolosa per cui il cavallo non può sostare per molto.

Gemma specifica che da questo punto in poi il cavallo le farà compagnia lungo il suo cammino.

G:Il tempo sta cambiando è nuvoloso e umido, sembra un pomeriggio di novembre. Clara è

stanca e sente un filo di sfiducia rispetto a cosa l'aspetterà una volta arrivata in cima....Arriva in

cima alla vetta, ma c'è molta nebbia quindi ci mette un po' per rendersene conto dove si trova.

Guardo sotto e vedo la palude, alberi secchi, come se fossero tutti infettati dal muschio nero,

sento pure odore di marcio.

_____________________________________________________________________________

Nota 1: La frase trae origine dal teatro greco: in tale ambito, quando era necessario far intervenire un dio (o pù dèi) sulla scena, l'attore che interpretava il dio si posizionava su una rudimentale gru di legno, mossa da un sistema di funi e argani, chiamata appunto mechanè.

Nota 2: ”Le anime che più si fanno guidare dal cavallo bianco, sono le anime che più si avvicinano alla verità” Platone

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Piango ho un senso di incredulità, per la fatica fatta (nota 3), sono delusa per quello che ho

trovato in cima alla montagna... rimango qui per una settimana a contatto con il mio dolore e

penso che invece avrei voluto essere felice una volta arriva a destinazione. Provo a parlare con

Valeria ma lei è lontana.

Arriva in cima alla montagna e si la realtà si ridimensiona: si rappresenta in un realistico

rapporto con questo suo sogno, piange si dispera perché si rende conto dell'assurda fatica senza

speranza e che era un brutto sogno.

“Tutta la storia del genere umano è la storia della lotta tra la felicità e il vero, tra l’illusione e la

realtà, tra la vita e il sogno”. Giacomo Leopardi

Questa parte della storia mi rimanda all'immagine di una donna che a fatica avanza verso

l’interno, verso l’ignoto. L’unica salvezza per la protagonista è immergersi nel tempo, nel suo

fluire senza senso, perdendosi in un vortice di situazioni e sensazioni. Una volta raggiunta la

cima della montagna ha una specie di bagno di verità che le causa una grande sofferenza. Le

chiedo cosa evoca in lei questa parte della storia e mi parla del disc jokey della discoteca e si

accorge di quanto questa esperienza l'abbia delusa e anaridita, privandola dell'entusiasmo e

della voglia di amare. Finora non ha potuto accettare che lui non la contraccambiasse, ha

sperato di essere vista e considerata, non ha voluto abbandonare questa speranza, credendo che

questo sogno si potesse realizzare in maniera magica. Il disc jokey può essere visto facendo

riferimento a un possibile mito personale.

Nota 3: questo punto della storia richiama il mito di Sisifo che secondo la versione omerica, Sisifo doveva

continuamente spingere un masso di marmo fino alla sommità di un colle ma, poco prima di giungere alla sommità,

il masso insidioso gli sfuggiva sempre rotolando a valle. Questa figura mitica viene usata spesso; si dice - ad

esempio - "è una fatica di Sisifo", quando si tratta di un lavoro pesante, oppure si afferma che Sisifo significa in

realtà affrontare e iniziare le cose con rinnovata energia. Camus, analizza il momento in cui Sisifo,costretto a

portare in eterno un masso in cima ad una montagna per poi andarlo a riprendere una volta caduto, compie la sua

discesa dal monte. E' il momento chiave in cui Sisifo prende consapevolezza del suo destino e si rende conto che il

suo sforzo non lo condurrà a nulla. Ma è, nello stesso tempo, l'istante in cui Sisifo è più forte del proprio destino,

perché ne è cosciente (A. Camus).

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Gemma ha vissuto un anno e mezzo della sua vita inseguendo questo mito, un mito totalizzante,

che la portata a una depersonalizzazione.

Lei si è fatta trascinare da questo mito diventando come una bambina che insegue le farfalle.

Una volta giunta alla vetta della montagna si rende conto che non c'è niente e che il disc jokey è

inconsistente, un fantasma, a questo punto il mito inevitabilmente decade.

“L'uomo iniziò ad interrogarsi su quanto effettivamente le sue azioni fossero significative e su

quanto egli riuscisse ad avere potere sul corso degli eventi. Giunse alla conclusione che non gli

è concessa un'assoluta certezza del futuro poiché le sue azioni,nonostante possano essere

compiute in vista di un fine, non necessariamente lo ottengono e, talvolta, giungono perfino a

conseguenze opposte a quelle desiderate”. Tratto da: “Il senso del tragico” di Matteo Maculotti

G: Dopo una settimana comincio a scendere ma sento molto la fatica. Mi fanno male tutti i

muscoli ho dolori dappertutto, sono sfinita

Ho la sensazione che una missione del viaggio sia conclusa e che ci sia bisogno di guardarsi

dentro per sentire a che punto siamo.

M: qual è la storia di vita del cavallo?

G:È nato con un ala sola in una foresta incantata, un posto bellissimo.. fa parte di un branco con

il quale si sposta piacevolmente pur rimanendo sempre indietro. Un giorno viene cacciato dal

capo branco senza capire il motivo di questa cattiveria, si sente perso, non sa cosa fare e dove

andare...

Continua a scendere la montagna, si trova in un sentiero di sassi, sabbia chiara che a vederla

riporta l'immagine di un filo chiaro che spacca il sentiero...l' erba è verde scura e marrone, il

resto è grigio scuro, i colori sono autunnali, il cielo è grigio.

Scende dalla montagna ed ho la sensazione che questa esperienza così faticosa e dolorosa la

stia portando verso una crescita personale.

M: quando ad un certo punto vede arrivare verso di lei....... chi?

G: un uomo, sembra un messaggero medievale di circa 50 anni

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M: che porta con sé un oggetto un po' più grande di un portagioie, non si capisce bene cosa

sia......che fa poi il signore?

G: le consegna l'oggetto, lo apre e ci trova dentro una pergamena arrotolata, con una placca

rossa con lo stemma raffigurante un uccello rapace a tre lance. La ragazza sa che si tratta di uno

stemma importante. Srotola la pergamena...

M: c'è scritto qualcosa?

G: no, non c'è scritto niente, la pergamena è bianca....ma sa che quando arriverà il momento ci

leggerà qualcosa di utile per lei.

La figura del messaggero che le porta la pergamena vuota è come se le la esortasse ad attivare

le sue energie per trovare la risposta dentro di sé invece che dagli altri.

G: la ragazza prosegue il suo cammino, ai lati del sentiero c'è un campo grande con l'erba alta. Si

è ripresa dalla scalata e dalla stanchezza, pensa a quanto è stata sproporzionata la fatica rispetto a

quello che ha trovato e che avrebbe voluto faticare meno.

M: cosa ci ha preso da questa esperienza la ragazza?

G:una visione più ampia sulla valutazione degli ostacoli

M: poi che succede?

G: Ad un certo punto sul bordo del sentiero vede una tavolata coperta da tovaglie bianche ornate

con dei fiori, è addobbata da matrimonio.... Lo stile richiama il romanticismo delle favole. Vede

dei vassoi bianchi di plastica e avanzi di torta, crostate mezze mangiate, torte sfatte, profitteroles

schiacciati, tovaglie macchiate, come se qualcuno o una massa di persone si fosse messa a

distruggere tutto volontariamente.

Il senso che Gemma dà alla metafora della torta si riferisce rimanda al suo ritorno nella vita

reale al senso del gusto, è un'immagine sensoriale superiore rispetto a quella della foresta.

Inoltre dal lavoro che abbiamo fatto sul rapporto con la sua fisicità e chiedendole quale fosse il

suo mito di riferimento mi risponde che si sente molto identificata in questo momento della sua

vita alla protagonista del film “Il diario di Bridget Jones” nota 4. Esprime il desiderio di

accettarsi per come è e di riuscire ad avere una vita sessuale e sentimentale soddisfacente.

M: cosa sente la ragazza?

G: sente molto dispiacere per il poco rispetto che è stato dato al cibo.......quando arriva a metà

della tavolata vede una porzione di tovaglie più pulite...c’è un vassoio con una torta tonda a tre

piani, tutta coperta di cioccolato fondente lucida, è senza imperfezioni. In cima c’è una fragola

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grossa e davanti c’è un bigliettino, lo apre e ci trova scritto: “E' categoricamente vietato

mangiare, i trasgressori verranno severamente puniti”.

Gemma è pienamente entrata nella storia, cura i dettagli, usa la fantasia e riesce a creare

suspense

G: ha la sensazione che la torta a tre piani sia stata portata dopo lo sfacelo.

M: cos’altro vede la ragazza?

G: ci sono altri bigliettini nelle altre torte già mangiate che contengono lo stesso messaggio.

M: che tempo e che ore sono?

G: sono le ore 21 è come se fosse estate...ma la ragazza ha paura nel prendere un pezzo di torta

quindi decide di andarsene con un gran senso di fame.

M: come mai non c’è nessuno?

G: la ragazza si è fatta l’idea che una massa di persone siano arrivate e si siano sfamate,

liberando un istinto animalesco e poi se ne sono andate........si incammina un po’ e si leva la fame

mangiando roba secca e cracker...

M: si è lasciata alle spalle il tavolo e adesso come si sente?

G: un po’ frustrata.....

Nota 4 Il diario di una single, una trentenne in perenne battaglia con la bilancia, e in altrettanto disperata lotta con la conquista di

un uomo "sicuro" e affidabile, frustrata in tante situazione, però irriducibile e indomabile. Una perenne corrispondenza via e-mail

con l'affascinante collega Daniel, una dieta rigida e la rinuncia a sigarette e alcolici scandiscono le sue giornate, tormentate

dall'incombente e nevrotica madre. Essere single, non per scelta, non appare in questo diario molto esaltante, né così trasgressivo,

il tempo libero sembra perennemente impegnato dal restauro del proprio corpo e dal tentativo di controllare i propri successi

sentimentali e dietetici.

Gemma ha deciso di non far assaggiare la torta alla protagonista, ha rinunciato. In seduta mi

riporta la fatica e la frustrazione che sente durante i periodi in cui si impone di stare a dieta.

Alterna periodi in cui sta a dieta a periodi di discontrollo alimentare e il non riuscire a

raggiungere dei “risultati” la fa stare male; quando entra in questo circolo vizioso sente verso

di sé molta rabbia e sentimenti di squalifica.

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M: è salita la notte e insieme al cavallo si addormenta nel bosco e si sveglia la mattina seguente

in sella al cavallo in un altro luogo, quale?

Lo spostamento da un luogo ad un altro, è legato alla sensazione di noia che spesso ho sentito,

Gemma riportando lo stesso scenario mi rimanda la sensazione di un'impossibilità di

cambiamento di stato d’animo, è come se fosse cristallizzato. Per cui i miei prossimi interventi

saranno mirati a modificare l’ambiente circostante attraverso l’introduzione di nuovi elementi .

G: si sveglia in una foresta

M: come è fatta?

G: ci sono alberi fitti, alti, lei si muove insieme al suo cavallo

M: che sensazione le dà questa foresta?

G: sente sia paura che contentezza

M: che vede la ragazza davanti a sé?

Riprendiamo la storia dopo quasi un anno

G: non vede il fondo della foresta perché è ombreggiato ma vede in lontananza un laghetto,

vorrebbe farsi un bagno, si avvicina ma il fondo dell’acqua non si vede, ha paura di trovarci dei

mostri o dei pericoli, prende un bastone, smuove l'acqua, poi quando vede che è tutto tranquillo

va a farsi il bagno.... esce, si asciuga al sole.....quando vede qualcosa di bianco vicino ad un

albero

M: che cosa è?

Sono molto curiosa di capire di cosa si tratta.

G: è una tovaglia, sopra c'è una torta tutta ricoperta di cioccolato...

Mi colpisce come G abbia anticipato una mia intenzione: quella di mettere una torta per

chiudere la gestalt rimasta in conclusa precedentemente: quando aveva trovato la tavolata

piena di torte e non ne aveva assaggiata neanche una porzione. In questo periodo della sua vita

mi racconta che si sta aprendo a nuove amicizie e storie sentimentali. Sente di essere meno

timorosa e più propensa a sperimentare nuovi rapporti e si sottopone molto meno a rigide diete.

G: se la mangia tutta, è buonissima, la mangia proprio con gusto

M: e il cavallo la mangia?

G: no, no lui mangia solo l’erba, adesso è nel laghetto ad abbeverarsi

G: la ragazza si mangia con gusto la metà torta poi comincia a sentirla un po’ acida e

all’improvviso come per magia la torta sparisce. rimane perplessa, ha ancora molta fame,

l’avrebbe voluto mangiarne ancora, anche perché quando era sulla montagna ha un po’ patito la

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fame. Va a lavarsi le mani sporche di torta nel laghetto e procede per il fitto sentiero.

M: come è fatto l'ambiente circostante?

G: da una parte c'è una parete rocciosa e dall'altra c'è il bosco che le fa paura perché è un luogo

in cui si è ritrovata per caso, ma comincia anche a pensare che questo posto non è totalmente

negativo, non è proprio terrorizzata, è un po' sul chi va là.....procede con curiosità per vedere se

incontra qualcuno.....

lei e il cavallo sono ormai entrati in confidenza, lei riesce a comandarlo, il fatto che ha un'ala

sola le dà il solito dispiacere che aveva sentito all'inizio, lo accetta per come è, anche se da una

parte pensa a cosa si potrebbe fare per fargli avere un'altra ala. Non lo vede più come un essere

mutilato, lo accetta così per come è....ha una menomazione fisica ma non ha altri problemi, anzi

è molto intelligente

Ho la sensazione che lei si stia gradualmente accettando a livello fisico, sento che il suo

“dittatore interno” sta prendendo meno spazio

M: che rapporto ha instaurato finora con la ragazza?

G: tra di loro c'è sintonia...si vogliono bene, si comprendono al solo sguardo.

La ragazza non vuole far del male al cavallo volante e per ora non ci ha mai evitato di volare

insieme a lui. Per lui è faticoso volare con una sola ala, è molto scoordinato e non riesce a volare

diritto.

M: quindi lei non ha mai volato insieme a lui, allora come ci sono arrivati qua?

G: sono arrivati con il teletrasporto, ma di preciso non lo sa

M: la ragazza sente una musica da lontano

G: si fermano a capire se dove sia la festa, devia direzione girando fra gli alberi.....

la musica è tipo quella delle feste irlandesi, con la fisarmonica, è una musica allegra....

…. ha paura ma è anche molto curiosa, per cui scende dal cavallo per andare a piedi, vuole

vedere chi ha organizzato questa festa. Prosegue per il bosco

M:quando arriva una fata che la veste, come?

G:si guarda e si vede vestita da sera, ha un vestito corto nero

Introduco l’immagine della fata per stimolare la sua fantasia

M:la fata le dice qualcosa?

G: no è già sparita. Non si aspettava che una fatina le cambiasse il vestito

M: il vestito esalta qualche parte del corpo?

G:il vestito la fa sentire una bambolina, sembra più magra

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M:riesce a vedere qualcosa della festa?

G:è come se trovasse un muro, si intravede a malapena qualche luce, sposta le piante per formare

una piccola fessura

la suspense e la curiosità si fanno sentire

G: ha trovato una festa di fatine, svolazzano e sono piccoline, ballano, alcune suonano, è tutto

piccolissimo, c'è un gruppo di loro nel cielo che crea coreografie buttando fuori brillantini e

fuochi di artificio...

M: sono tutte femmine?

G:si

M: come mai?

G:non lo sa...................rimane sbalordita, meravigliata: ognuna di loro è vestita a forma di fiore,

c'è chi ha un vestito a forma di tulipano, chi a forma di rosa, l'insieme è bello a vedersi, dà l'idea

di delicatezza... ma le vede anche molto fragili....i loro vestiti non sembrano di stoffa ma sembra

che le fatine si siano vestite di fiori veri..

G è molto partecipe e attiva nella storia offre molte immagini e suggestioni

M:che decide di fare la ragazza a questo punto?

G: ha un po' di perplessità su come entrare, teme di spaventarle e comincia a vedere dove da

dove poter entrare....... sta attenta a non sciuparsi il vestito

M:la pergamena ce l'ha?

Faccio questa domanda perché credo che la pergamena posso servirle per trovare una soluzione

in questo momento di difficoltà

G: no ce l'ha il cavallo

M: è notte, è pomeriggio, in che momento della giornata ci troviamo?

G: è poco meno di buio cammina, cammina e si accorge che la siepe è fatta a forma di anello,

trova un imbocco che porta dalle fate

M: che cosa festeggiano le fate?

G: non capisce non le sembra che festeggino qualcosa di particolare anche perché non vede una

regina delle fate, non vede niente di particolare; forse stanno festeggiando un passaggio da una

stagione all'altra o qualcosa che riguarda i cicli lunari o la natura, non si tratta comunque di un

rito.....

M: si accorge che le fate l'hanno vista e cosa succede?

G: si sente in imbarazzo teme di fargli paura, sente che non c’entra niente con la loro razza, si

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sente fuori luogo, lei è gigante rispetto a loro.

Si rivolge a loro e gli dice: ”scusate, è permesso?” ma le fate non parlano, due di loro le vengono

incontro le afferrano le mani, la tirano e la portano vicino al cerchio di quelle che suonano, la

tirano in basso e capisce che si deve mettere a sedere. Si siede, incrocia le gambe e riparte la

musica. Le fatine riprendono a ballare mentre le altre continuano a suonare.

Passa il tempo e assiste ai fuochi d'artificio e alle varie coreografie che le fate mettono in atto nel

cielo....

Ad un certo punto si gira per vedere dove si trova il cavallo, lo vede seduto tranquillo e capisce

che non può fare del male alle fatine. Il cavallo si trova all'imboccatura dell'anello e questo da'

molta sicurezza alla ragazza, perché blocca il passaggio di eventuali malintenzionati

M: e le amiche a cui era legata ad un filo dove sono adesso?

G: Rosy sta ancora scalando la montagna, va avanti ma meglio di prima anche se è stanca,

adesso è più sicura e meno timorosa e meno incerta va verso la cima seguendo una direzione,

una linea, ha chiaro da dove deve passare. Valeria invece che si trovava davanti a Gemma la

vede camminare tra prati fioriti, boschi e sabbie mobili. Ci sono stati giorni dove è finita nel

pantano ma poi ne è uscita.

L'alternanza di paesaggi:il prato fiorito, bosco e le sabbie mobili, sembrano rappresentare la

metafora delle difficoltà esistenziali di G.

M: sono sempre unite dalla corda?

G: la corda fisicamente non c'è più, però sente che c'è un legame tra di loro, basta che pensi a

loro per riuscire a vedere cosa stanno facendo, su che tipo di percorso si trovano....

M: adesso come sta la ragazza?

G: è incantata e affascinata da questo spettacolo, è come se le fatine fossero la materializzazione

della magia, di una favola, di un cartone animato...... è incredula perché vede che quello che

appartiene solo alle favole e ai cartoni animati esiste anche nella realtà

M: poi cosa succede?

G: è sempre più rilassata gli occhi si fanno sempre più pesanti e si addormenta..........

......la mattina si sveglia con i rumori del bosco, sente gli uccellini cantare fra gli alberi, il fruscio

di qualche lucertola, il suono delle foglie tra gli alberi.....

lei è sempre sdraiata per terra, si alza e sente i movimenti del cavallo.......si accorge che il vestito

della festa è sparito, ha il suo solito vestito che aveva quando ha scalato la montagna ma nota che

qualcuno l'ha ricucito e rilavato...accanto a lei vede come un mucchio di lamiere, non capisce

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bene cosa siano e pensa che quello che ha visto la sera prima era solo un sogno ma quando vede

in mezzo all'erba i segni dei piccoli falò riconosce che c'è stata davvero la festa delle fate .......

ritorna a guardare il mucchio di lamiere e prende in mano un pezzo e vede che si tratta di pezzi

di armatura, questa armatura è fine come il coperchio di una lattina, non è pesante.... per

potersela montare addosso ci sono attaccati dei nastri di raso rosa......

ci sono due pezzi per le spalle, due per l'avambraccio, due per il polso, per le cosce e due per il

petto. Questa armatura è fatta a pezzi, è di color argento molto chiaro, più che argento è di colore

dell'acciaio chiaro, lucido brillante e nel suo complesso i nastri di raso lillà la rendono

un’armatura molto bella e femminile. Toccandola si rende conto che non è il materiale di cui è

fatto non è molto resistente, è di un materiale un po' malleabile.

È adatta ai piccoli attacchi non ai grandi scontri, la vede molto fine, è come piegare una latta.

Comincia a mettere in fila questi pezzi e piano piano se la prova addosso legando i nastri tra di

loro...

M: a cosa gli può essere utile?

G: la concepisce come un fattore di protezione in più ed è convinta che i vecchi vestiti glieli

hanno lavati le fatine per aiutarla nel suo cammino. Questa armatura gli da un po' di copertura

ma non è totale, alcuni punti sono scoperti come il collo, le ginocchia, i gomiti, i piedi e

soprattutto il punto più esposto è quello del tronco e della schiena.

M: è un po' incompleta

G: si però lei si sente più riparata di prima

Silenzio

Credo che la metafora dell'armatura segni un passaggio importantissimo nel percorso di

crescita di Gemma, l'armatura come una maggiore fortificazione rispetto a sé e la

consapevolezza che ci sono altri parti di sé ancora indifese.

G:torna dal cavallo e prende la borsa che contiene la pergamena, le viene di aprirla per vedere

cosa c'è scritto e in modo abbastanza sbiadito è comparsa una parola in caratteri tipicamente

medievali: PASSATO.....è contenta che nella pergamena è cominciato ad apparire qualcosa ma

ancora non riesce a trovare un senso a questa parola

la pergamena non le sta dando delle indicazioni precise ma sa che quando si ritroverà in altre

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situazioni lungo questo cammino forse le iniziative da prendere le verranno rilevate in un

secondo momento oppure si ritroverà in alcune situazioni in cui lei anche senza indicazione

capirà cosa fare

Gemma mi riferisce l’importanza che adesso attribuisce al suo passato

M: che effetto le fa e quale significato ci trova la ragazza?

G: tra la pergamena e l'armatura sente di avere degli strumenti in più, prima invece era più

esposta....

è come se cominciasse a collegare il fatto che le cose che le stanno succedendo in questo

cammino sono dei regali per lei: la pergamena, la torta da mangiare, le fatine che gli hanno

regalato i pezzi dell'armatura......

gli fa sempre paura questa strada ma comincia a vederla come una fonte da cui trovare delle cose

per sé....

poi ha trovato questo cavallo che è diventato un mezzo di trasporto ma anche una compagnia e in

un certo senso è anche un guardiano

è come se cominciasse a dare valore a ciò che sta scoprendo di sè

M: un protettore?

G: si

M: anche una guida?

G:non tanto una giuda perché in realtà è sempre lei che decide dove andare, lui non prende

iniziative, rispetto a lei è più gregario non è un leader che comanda.......... questa figura non le da'

totalmente il senso di protezione e per quanto lo veda fragile non le da’ l'idea di un animale

feroce......

Il cavallo rispetto alla ragazza ha una percezione più sviluppata, riesce ad avvertire prima di lei

un minimo rumore, o la presenza di qualcuno.....lo vede più come una figura di percezione

M: di preallarme?

G: si, un animale dotato dei sensi di pre-allerta ....non lo vede una figura molto forte

G mi parla della sua capacità intuitiva, del maggiore affidamento che sta facendo su di essa e di

quanto sia consapevole degli effetti che determina sul miglioramento della propria esistenza.

M: quindi lei si sveglia si trova l'armatura e si sente un po’ più protetta e il cavallo è li accanto a

lei?

G: si, monta in sella e si riavviano per il sentiero che avevano lasciato la sera prima

M: ed ad un certo punto lei sente dei rumori, come se ci fosse qualcuno che cammina quasi per

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scappare

G: lei ferma il cavallo guarda un po' in giro ma non vede nessuno

M: è curiosa è spaventata?

G: è un po' spaventata si chiede chi può essere

M: e si accorge che sono degli gnomi che stanno scappando, alla fine li vede con la coda

dell'occhio, che effetto le fa ?

La seduta successiva mi confida che anche lei aveva immaginato gli gnomi

G: a lei sinceramente non le va di fermarsi, vederli scappare di soppiatto le danno più l'idea di

dispettosi come se le potessero tendere una trappola o rubarle le sue cose che ha, non gli va di

seguire questi esseri...

M: quindi li considerata degli esseri

G: fastidiosi

M: fastidiosi, ostacolanti, che la possano mettere in difficoltà?

G: si magari gli possono rubare le sue cose

M: tra l'altro sono le cose che si è conquistata finora

G:si, per cui lei preferisce rimane in sella al cavallo e proseguire

M: e proteggersi rispetto a loro

G: si anche perché ormai sono scappati non ha interesse di seguirli per vedere dove sono, prende

nota che questi esseri ci sono e che e li potrebbe ritrovare dopo nel bosco

M: li ha anche incontrati in precedenza quando saliva la montagna, nel piccolo villaggio

G: a loro non ci si avvicinerebbe mai come invece ha fatto con le fatine, la loro figura le dava

molto più sicurezza

M: ok quindi decide di proseguire

G: lungo il sentiero sente un miagolio forte e intravede qualcosa sull'arancione

sono curiosa e anche questa volta G. riesce a creare suspense

G: e senza scendere vede che è un cucciolo di tigre ferito..........miagola forte e quando si

avvicina vede che una delle zampe è sporca di sangue secco e si rende conto che è stato ferito da

una tagliola, ha una zampa con una ferita profonda.....il tigrotto piange perché le fa male la

zampa

M: che sente per il cucciolo?

G:un enorme dispiacere e tenerezza, il cucciolo è molto bello

M: l'albero vicino a lei la guarda e cosa le dice?

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G: prendilo

G:La ragazza si avvicina verso il tigrotto ma lui ha paura e inizialmente le soffia, poi riesce ad

avvicinarsi, fa spazio nella borsa e ci mette dentro il tigrotto.....

pensa che sicuramente qualcosa di utile per curarlo troverà lungo il tragitto

M: che idea si è fatta della storia di questo tigrotto?

G: questo cucciolo è stato abbandonato precocemente dalla sua famiglia allo scopo di renderlo

indipendente, ma è rimasto subito ferito, ha forse scambiato la tagliola per un gioco.....

M: che sensazione le da' la storia del tigrotto?

G: pensa che la madre ha sbagliato qualcosa nella tempistica o non gli dato gli strumenti

necessari per permettergli di riconoscere i pericoli, è stata molto sbrigativa

M: il padre c'era o no?

G: no è servito per la procreazione e poi se ne è andato in un altro territorio....la ragazza sa che se

non cura la zampa del tigrotto gli può andare in cancrena, sa che se riesce a farlo crescere bene

diventerà una tigre dalle grosse potenzialità.

G mi spiega che il tigrotto rappresenta la metafora del legame che ha instaurato con una sua

cara amica, più giovane di lei e a suo dire molto bisognosa di essere guidata e accudita da lei.

Qui intreccia due piani narrativi: quello della vita e quello della storia.

G: la ragazza si incammina con il cavallo

M: il paesaggio è sempre lo stesso?

G: si

M: e come la fa stare emotivamente questo bosco?

G: ha sempre il timore di quello che potrebbe succedere, ha paura delle cose brutte, ha spesso i

sensi di allerta attivati

M: da lontano intravede un villaggio, un piccolo paesino molto animato, dove ci sono persone,

negozi....

Con questo intervento mi calo nel ruolo del regista e propongo un cambiamento improvviso di

scena. Durante una co-costruzione di una storia, infatti, è possibile giocare assumendo o

rappresentando diverse posizioni: registra, scrittore, narratore, scenografo, ed altri ancora.

Questa scelta del cambio di scena è emersa in questo momento come risposta al continuo clima

di pesantezza che la storia mi trasmette.

G:allora lei va, si incammina parte per il paese ma le viene un dubbio, non conoscendo chi

dimora in quel paese non sa come potrebbe venire accolto il pegaso se come un animale

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demoniaco, o come un animale da catturare o come uno scherzo della natura che uno strano

collezionista potrebbe catturare....

G parla del suo stato d'animo timoroso e spiega che è legato alle sue precedenti esperienze di

vita, mi confida che le è ancora rimasto il timore delle cose che “luccicano di oro all'inizio”,

cioè di ciò che le sembra in un modo ma che in realtà non è come lei se lo era immaginato e mi

riaccenna alla storia con il disc jokey e alla metafora della montagna. Medita sulla tematica

illusione/delusione Adesso dice che rispetto al passato si sente più prudente, riflessiva,

lungimirante e capace di vagliare le varie possibilità. Ho la netta sensazione che la co-

costruzione immaginifico-metaforica abbia aiutato G. a elaborare i propri vissuti rispetto al

mito del disc jokey e a far emergere gradualmente le proprie risorse delle quali sta cominciando

a fare affidamento.

M: si alza il vento, si vede dal movimento degli alberi, è un vento che la spinge ad andare in

avanti, anche il cavallo lo sente e comincia a galoppare più velocemente

G:scende dal cavallo e decide di portarsi la borsa con il tigrotto ma non il cavallo

M: dove lo lascia?

G:lo lega a un albero

M: si incammina e come si mostra questo paese?

G:è il tipico paese medievale in pietra, con le stradine in salite e in discesa

M:le piace questo paese?

G: è carino, ma lei è senza soldi, senza nulla, si aggira per le strade per capire da chi è abitato, se

da gnomi o da creature che non fanno parte del mondo umano

M: ma delle persone da lontano le aveva viste

Aggiungo questo particolare perché voglio che il paese sia popolato da persone in modo che

possa relazionarsi ad esse e rendere la storia più movimentata, visto che fino ad ora sono state

ben poche le possibilità di interagire con esseri umani.

G: infatti comincia a girare nella strada principale del paese e persone strane non le vede ma

vede esseri umani, che parlano la sua stessa lingua, mentre cammina si accorge che è come se

facessero parte di un'altra epoca: quella in cui un viandante o uno straniero veniva accolto e

ospitato dal villaggio o gli veniva offerto qualcosa senza dover pagare............

quindi mentre cammina comincia a pensare cosa potrebbe prendere gratuitamente da questo

paese....è mattina presto e non ha intenzione di rimanere a dormire nel villaggio perché non

vuole lasciare solo il cavallo, vuole andare via prima di sera, pensa di trattenersi un po' per

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riuscire a prendere tutto quello che le occorre.

M: ora come sta?

G: adesso quello che più le interessa è trovare un erborista, un farmacista..........

tipo una strega che nel periodo medievale veniva scambiata per eretica ma che in realtà aiutava

le persone

A questo punto le riferisco che anche a me mi è venuta in mente stessa immagine. Questo mi

colpisce moltissimo, varie volte in questo punto della storia abbiamo “visto” le stesse immagini:

il trullo, gli gnomi che scappavano nel bosco, la maga e il suo vestito...

M:a un certo punto lei vede una casetta, un trullo......

G. mi dice che anche lei lo ha immaginato il trullo

M:fumante con un ingresso che ha una tenda scaccia mosche che fa si muove ed emette dei suoni

G: lei prova ad andare lì, questa casa è distaccata dalla strada principale, la colpisce e sente che

ci deve andare

M: ha anche dei simboli fuori

G: dei simboli legati al mondo medievale, porta fortuna, ma non ne conosce il significato

si avvina alla porta e chiede se c'è qualcuno......

M: e arriva una donna con una gonna lunga, con un grembiule, da' l'idea di una donna abbastanza

ordinata, e che le dice, che effetto le fa?

G: di una donna indaffarata, come se stesse preparando qualcosa, una persona impegnata....arriva

alla porta e le dice: “straniera dimmi” e la ragazza le risponde: “buongiorno scusi il disturbo ma

ho un problema, ho trovato questo cucciolo che è ferito gravemente a una zampa, volevo sapere

se lei ha delle medicine per curarlo, però io purtroppo non ho soldi, non so come poter compare

le medicine non so se lei ha qualcosa da regalarmi oppure se entro stasera posso fare qualcosa

per lei per poter ripagare il debito mi rendo disponibile

M: lei le risponde: “si, si certo vieni accomodati, scusa ma devo andare a controllare la pentola

altrimenti mi si brucia tutto!”

M:la ragazza è contenta si siede, come è fatta la casa dentro?

G: anche se è mattina dentro non c'è tantissima luce, è un ambiente in penombra.

ci sono tante mensole di legno con sopra barattoli e ampolle...

al soffitto ci sono tante cose che vengono giù mazzi di fiori di vario tipo, rami di bacche, pentole,

pentolini, libri, ma vede anche un po' di disordine: stracci appoggiati sulle sedie, polvere, tre o

quattro grembiuli appoggiati in qua e là, barattoli con lo spirito e dentro degli animali,

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però, da una parte vede anche un cesto di uova, di frutta, pagnotte di pane, bottiglie di vino,

barattoli di marmellata..........e comincia a pensare che probabilmente la signora presta opere

sotto offerta alle persone del villaggio.....

M: tante cose

G: si, molte rispetto al fatto che vive lì da sola

M: adesso la vede la signora ?

G: è nell'altra stanza e sente che sta cucinando...

M: e le dice: “arrivo, lo sapevo che saresti arrivata, hai faticato tanto” che effetto le fa alla

ragazza?

G: si sente come se fosse spiata, ma non spiata in senso negativo

G: le risponde chiedendole: “come facevi a sapere che sarei arrivata?”

G si aspetta che risponda io ma decido di non farlo, me lo chiede ma voglio che sia lei a

inventare la risposta

G: risponde: “perché io vedo” e le chiede: “come fa a vedere?” le risponde: “con il potere della

mente”...........

M: quindi l'idea di essere spiata viene confermata, o no?

G: pensa che più che usare le carte o una sfera di cristallo, o la lettura dei caffè, questa donna ha

delle visioni come quando si sogna...

come quando la ragazza si concentra e vede Rosi cosa sta facendo, però capisce che è diverso

perché lei ha un legame di affetto con la sua amica mentre la signora ha questo dono al di là

dell'affetto e probabilmente chissà quante altre cose ha visto. Forse sapeva già che questa

ragazza sarebbe arrivata.

M: è una specie di sensitiva, allora

Inserisco intenzionalmente la figura della maga, visto che G mi ha sempre dato l'impressione

di vivere la sua vita reale come se fosse una specie di sogno, in una bolla rosa, con questo

intervento la faccio entrare nella sua “bolla rosa”, la spingo a descrivere la bolla e mi accorgo

che paradossalmente essa perde di consistenza. La storia le ha permesso di costruire uno spazio,

una possibilità di comunicare, esprimere e accogliere il suo delirio e l'ha aiutata a dare al

delirio stesso un volto, un luogo affinché potesse sgonfiarsi.

G:in questo percorso che sta facendo è come se ci fosse stato un sorta di cambio temporale, in

cui non si è resa conto quando è saltata da un'epoca ad un'altra, da un certo punto in poi tutto era

riferito ad una determinata epoca, dal villaggio degli gnomi in poi ha abbandonato il suo tempo.

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Si rende conto di essere entrata nel tempo e nel mondo come in una favola, forse l'unica cosa che

la richiama alla sua epoca è il cucciolo di tigre che è uguale sia in questo mondo che nell'altro

mondo

Ho la sensazione che lei stia descrivendo tutto quello che le è accaduto finora nella storia con

una distanza diversa rispetto a un anno fa.

M: la ragazza a questo punto fa vedere il cucciolo alla signora e lo prende in braccio e lo

comincia a medicare e la ragazza continua a guardare la casa, osserva e sente i profumi

provenienti dalla pentola che è sul fuoco e che succede?

G: le dice alla ragazza: “questa ferita non è brutta, farò un impacco e vedrai che piano piano i

tessuti si riprenderanno anche se le rimarrà un bel segno, la zampa non le rimarrà perfetta, prima

di riuscire a camminare e a correre ci vorrà molto tempo, e non correrà mai come le altre tigri

sarà più lenta”.

Lei vorrebbe chiedere tante cose alla signora, ma ha l'impressione che abbia molte cose da fare

in questo momento, crede che poi non le darebbe tutte le risposte che vorrebbe, la vede una

figura un po' enigmatica, che dice e non dice, la vede un po' misteriosa, come una persona che sa

ma che tiene per se' la sua conoscenza, in più pensa che entro buio deve andare a prendere il

cavallo ....

M: si sente bussare qualcuno alla porta, è un uomo del villaggio, bussa e entra, che tipo è?

G: è vestito dal lavoro, saluta e chiede se l'unguento è pronto. La signora lo va a prendere

M: lo ha visto nel volto?

G: si si sono guardati un attimo, ma Clara in questo momento preferisce essere ignorata......lui la

paga con delle monetine e se ne va, forse anche lui ha fretta

M: la signora la invita a pranzo, spiegandole che la preparazione dell'unguento richiede qualche

ora di tempo e le chiede :”ti vedo un po' preoccupata, c'è qualcosa che ti turba?

G: le risponde: “ sono contenta di aver trovato una cura per il cucciolo ma ho lasciato il mio

cavallo nel bosco penso che a una certa ora dovrei tornare da lui”

M: “pensi di andar via stasera? qui ci sarà una festa bellissima, festeggiamo il patrono del paese

è un evento unico che accade ogni 10 anni e se tu sei arrivata proprio oggi un motivo ci sarà “....

G: la ragazza infatti aveva visto le bandierine nel paese e le dice: “ma il mio non è un cavallo

normale” la signora: “ che vuoi dire ”? e lei “ non so se hai visto solo me o anche lui quando

sapevi che dovevo arrivare qui, è un pegaso con un'ala sola, non so in questo tipo di villaggio

come è visto dalle persone”

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M: non fa l'espressione molto stupita e le dice: “ecco adesso non sarà più solo.....” e lei: “Allora

ci sono altri cavalli? La signora annuisce. “Allora lo vado a prendere se c'è un prato dopo la festa

rimango a dormire con lui anche perché non ho soldi e non saprei dove dormire “

la signora : “non ti preoccupare da qui a stasera in qualche modo faremo”

Clara le chiede che cosa può fare in cambio dell'ospitalità e si mettono d'accordo per fare insieme

una torta. Va a prendere il cavallo e lo porta in una stalla non molto distante dal paese..

G: torna dalla signora e comincia ad cucinare per la festa...

Le chiedo che cosa le evoca questa parte della storia, sente molto dolore al pensiero di dover

essere lasciata dal pegaso perché teme che si possa trovare bene con gli altri cavalli e che

decida di rimanere con loro. Mi faccio la fantasia che questo dolore sia legato al distacco o

all'abbandono e quindi a una perdita ma penso anche che questo distacco possa essere visto

come possibile passaggio evolutivo per lei.

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Riassunto della storia

Una ragazza di nome Clara si trova ai piedi di una montagna, è vestita da scalatrice e vuole

raggiungere la cima. Durante la faticosa salita trova un piccolo villaggio di gnomi lo osserva con

fastidio e prosegue..... passano i giorni e i mesi e continua a salire, è molto determinata, vuole

assolutamente raggiungere la vetta. Insieme a lei attaccata a una corda ci sono due amiche: una

si trova davanti e una dietro. Ad un certo punto vede arrivare verso di lei un cavallo volante

bianco con un'ala sola che è stato abbandonato dal suo gruppo e si aggregherà a lei in questo

viaggio. Quando arriva in cima alla montagna, trova un clima nebuloso, un paesaggio paludoso,

odori cattivi, ed è delusa e addolorata.

Comincia a scendere insieme al cavallo e mentre cammina incontra un paggio del medioevo che

le dona una pergamena sulla quale non trova scritto niente, ma sa che quando arriverà il

momento apparirà qualcosa che le sarà di aiuto. Prosegue e trova una tavola imbandita per

matrimonio con tante torte alcune mangiate altre ancora intere, ma trova dei bigliettini sui quali

è scritto di non mangiare le torte e con grande delusione decide di non toccarle. Ha fame e

mangia quello che ha in borsa, oramai è scesa la notte, trova un giaciglio e si addormenta

insieme al pegaso. La mattina seguente si sveglia in un altro luogo: una foresta di alberi alti e fitti

che non le permette di vedere cosa c'è davanti. Prosegue con timore nella foresta e trova un

laghetto dove va a fare un bagno dopo aver controllato che non si siano presenze pericolose in

acqua. A un certo punto mentre si asciuga nota una tovaglia bianca con sopra una torta al

cioccolato. Si avvicina immediatamente e se la mangia con gusto e quando arriva a metà torta

questa scompare. Mentre Clara prosegue per la foresta sente una musica provenire da lontano,

c'è una festa di fatine...appare una fata che le cambia il vestito, adesso ha un vestito nero da

festa.....Clara si avvicina per guardare di cosa stanno facendo e loro la invitano e la spingono ad

entrare. Non parlano, lei si siede e assiste ai loro spettacoli coreografici.

Si addormenta e la mattina seguente al suo risveglio trova vicino a lei una corazza di latta, la

indossa e si sente più protetta nonostante copra solo alcune parti del suo corpo. Va a prendere la

pergamena per vedere se è apparso qualcosa e con gioia e sorpresa ci trova la parola PASSATO.

A d un certo punto sente miagolare da lontano.........sotto un albero c'è un cucciolo di tigre ferito

ad una zampa, ha bisogno di cure immediate, rischia di perdere una zampa allora Clara decide di

prenderlo sperando di trovare lungo il suo cammino un modo per curarlo.

Vede un villaggio in lontananza, ci sono negozi e persone che passeggiano, lega il cavallo ad un

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albero perché teme che possa spaventare la popolazione e si addentra insieme al cucciolo nel

villaggio. Si sente una straniera in questo villaggio ma il fatto che sia popolato da esseri umani

che parlano la sua stessa lingua la rassicura.

Una casa a forma di trullo colpisce la sua attenzione, decide di bussare alla porta sperando di

trovare una guaritrice sensitiva che possa curare il tigrotto. Lei la accoglie dicendole che la stava

aspettando e comincia a medicarlo e la invita alla festa patronale che ci sarà la sera stessa. Clara

cerca di trovare una sistemazione al suo cavallo, la signora le indica una stalla e lei lo a prendere

e lo lascia lì per la notte, esprimendo il desiderio di dormire con lui dopo la festa.

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Conclusioni

La storia termina lasciandomi una sensazione simile al risveglio di un sogno. Le ultime sedute

sono state particolarmente intense sia dal punto di vista immaginativo che emozionale,

soprattutto perché durante la co-costruzione abbiamo avuto e visto le stesse immagini. Questo

mi ha particolarmente colpito e nello stesso tempo affascinato ho sentito che in quei momenti

eravamo molto sintonizzate. Inoltre questa storia mi è sembrata rappresentare per G una specie di

nascita-rinascita. Il racconto ha rispettato l’ordine storico autobiografico facendo emergere

risonanze emotivo/affettive profonde e gli avvenimenti del passato sono stati attualizzati dai

personaggi con sequenze di immagini sensoriali in luoghi e tempi precisi nel tempo presente

permettendo di entrare appieno nell’esperienza. Nella storia c’è stato un richiamo ad archetipi e

miti variamente espressi e trasformati.

Questo lavoro mi ha permesso di comprendere l’importanza che ha nella relazione terapeutica

l’espressione dell’analogico, le immagini infatti provocano un effetto sulla persona e da questo si

può iniziare un lavoro terapeutico specifico che riporta in un orizzonte esistenziale intenzionato

l’esperienza vissuta.

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