IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE...

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IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE 5|2013 maggio www.cem.coop Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LII - n. 5 - Maggio 2013 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - Contiene I.R. ® Arte e intercultura Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia

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Arte e intercultura R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

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Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

DirettoreBrunetto [email protected]

Condirettori Antonio Nanni ([email protected]) Lucrezia Pedrali ([email protected])

SegreteriaMichela [email protected]

Redazione Federico Tagliaferri (caporedattore)[email protected]

Monica Amadini, Daniele Barbieri, CarloBaroncelli, Davide Bazzini, Giuseppe Bias-soni, Silvio Boselli, Luciano Bosi, PatriziaCanova, Azzurra Carpo, Stefano Curci, Mar-co Dal Corso, Lino Ferracin, Antonella Fu-cecchi, Adel Jabbar, Sigrid Loos, Karim Me-

tref, Clelia Minelli, Roberto Morselli, NadiaSavoldelli, Alessio Surian, Aluisi Tosolini,Rita Vittori, Patrizia Zocchio

Collaboratori: Roberto Alessandrini, RubemAlves, Fabio Ballabio, Michelangelo Belletti,Simona Botter, Paolo Buletti, Gianni Cali-garis, Andrea D’Anna, Gianni D’Elia, Marian-tonietta Di Capita, Alessandra Ferrario, Fran-cesca Gobbo, Cristina Ghiretti, Piera Gioda,Stefano Goetz, Grazia Grillo, Mimma Iannò,Renzo La Porta, Lorenzo Luatti, FrancescoMaura, Maria Maura, Oikia Studio&Art, Ro-berto Papetti, Luciana Pederzoli, Rita Ro-berto, Carla Sartori, Eugenio Scardaccione,Oriella Stamerra, Nadia Trabucchi, FrancoValenti

Direttore responsabileMarcello Storgato

Direzione e RedazioneVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax [email protected]. n. 11815255

Amministrazione - abbonamentiCentro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3774965 [email protected]

Quote di abbonamento10 num. (gennaio-dicembre 2013) € 30,00Abbonamento triennale € 80,00Abbonamento d’amicizia € 80,00Prezzo di un numero separato € 4,00

Abbonamento CEM / esteroEuropa € 60,00Extra Europa € 70,00

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegni di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

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Arte e intercultura R i v i s t a d e l C e n t r o E d u c a z i o n e a l l a M o n d i a l i t à ( C E M ) d e i M i s s i o n a r i S a v e r i a n i d i P a r m a c o n s e d e a B r e s c i a

Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967

Editore: Centro Saveriano Animazione Missio-naria - CSAM, Soc. Coop. a r.l., via Piamarta 9 -25121 Brescia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127in data 19/02/1993.

La testata fruisce dei contributi statali diretti dicui alla legge 250 del 7 agosto 1990.

editorialeLa fragilità di Dio 1Brunetto Salvarani

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 2

l’altroeditoriale/1Cambiare paradigma! 3Antonio Nanni

l’altroeditoriale/2Svantaggio o discriminazione? 4Elisabetta Sibillio

Sommarion. 5 / maggio 2013

«… Ma la più grande è la carità» 23 ottava puntata

a cura di Antonella Fucecchi, Antonio Nanni

ascuolaeoltre

bambine e bambini

«Che male vi fo?» - Ci domanda 6la tecnologia...Sebi Trovato

ragazze e ragazzi

Senza distinzione di razza 8Sara Ferrari

generazione y

Arte ed intercultura 10Antonella Fucecchi

in cerca di futuro

Segnali alla ricerca di senso 12Aluisi Tosolini

educazione degli adulti

La Carta della Terra 13Rita Roberto

l’ora delle religioni

Educare a scorgere l’alba 15Marialuisa Damini, Marco Dal Corso

agenda interculturale

Dal FSM 2013: agende educative 33Alessio Surian

seconde generazioni

La legge sulla cittadinanza 34Lubna Ammoune

domani è accaduto

Il vaiolo, la peste, la guerra 35fra Ballard e Camusa cura di Dibbì

spazio CEM

La cittadinanza pluralista 36Luciano Amatucci

Disegni ancora a mano?! 37Silvio Boselli

CEM-SudOltre le sbarre 38Gianluigi De Vito

crea-azione

Quali pedagogie per quale educazione? 39Nadia Savoldelli

mediamondo 41

nuovi suoni organizzati

Amjadali Khan 43Luciano Bosi

saltafrontiera

Willkommen, Benvenuto! 44Lorenzo Luatti

cinema

La grande rafle 45Lino Ferracin

i paradossi 47Io, i cinesi e i dubbi metafisiciArnaldo De Vidi

la pagina dei girovaghi 48Massimo Bonfatti

Arte e interculturaGiulia Innocenti Malini e Nadia Savoldelli

Intercultura e 18e interdipendenza nell’arteNadia Savoldelli

spread

Anato-che? 20Gianni Caligaris

La prospettiva interculturale 22dell’arte nella formazioneSem Galimberti

Star nel mondo cantando 28Candelaria Romero

Il teatro come esperienza 29di co-creazione culturale Giulia Innocenti Malini

tra dei ed eroi

L’arte di Tersicore 32Antonella Fucecchi

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brunetto salvarani | direttore [email protected]

La fragilità di Dio

editoriale brunetto salvarani | direttore [email protected]

@BSalvarani

ma che ha l’ambizione di andare oltre quanto ci è suc-cesso. Avendo vissuto in prima persona l’ansia e la pauraper l’accaduto mi è capitato più volte, infatti, in queilunghi giorni estivi, di soffermarmi sui riflessi umani, teo-logici ed ecclesiali del sisma. L’ho fatto, quando ero sfollato e il mio pc era fuori uso,scrivendo brevi considerazioni, che chiamavo effetti col-

laterali, dal Blackberry tramite Face-book: come messaggi in una bottigliagettata in mare. Da qui mi è nata l’ideadi questo volume, in parallelo alla ne-cessaria riscoperta della fragilità no-stra, delle nostre società e comunitàecclesiali, di fronte a un evento impre-visto e imprevedibile che - da una parte- ha messo a nudo appunto la povertàumana e quella di una diocesi piccola,la mia diocesi di Carpi epicentro deldramma, e dall’altra, agli occhi dei cre-denti, ha fatto riflettere sulla fragilitàcostituzionale del Dio biblico (per unostrano gioco del destino, il 20 maggio- giorno della prima scossa - è la datain cui si festeggia il patrono della cittàdi Carpi, San Bernardino da Siena).Ho pensato subito che, per affrontare

pur rapsodicamente e senza pretese di esaustività untema così complesso, avrei avuto bisogno dell’aiuto diparecchi amici, convocati per l’occasione, di diversechiese cristiane e di diverse religioni, che hanno accettatosubito di intervenire con generosa disponibilità: e cheper questo ringrazio, una volta di più, anche dalle paginedi CEM, di vero cuore. Ecco com’è nato La fragilità diDio. Contrappunti teologici sul terremoto, che esce ap-punto in coincidenza non casuale con il primo anniver-sario di quegli eventi. Con l’augurio che faccia pensare, e che possiamo tuttifar tesoro di quanto è successo: perché anche un’espe-rienza-limite quale un terremoto può trasformarsi, para-dossalmente, in uno spazio di umanizzazione. nnn

editoriale

Ècelebre la novella di Tolstoj La morte di Ivan Il’ič,il cui protagonista è un giudice che ha sempresaputo di essere mortale, e ha visto non pochi

amici, più o meno giovani, abbandonare la vita. Quandosi ammala, però, la concreta prospettiva di dover morirel’inquieta più di quanto avrebbe mai immaginato: cercadi pensare ad altro, si butta affannosamente sul lavoro,ma senza risultati, perché il dato inop-pugnabile della propria finitezza gli siriaffaccia di continuo alla mente. Men-tre in passato riteneva che la cosaavrebbe riguardato sempre altri, e nonlui. Qualcosa di simile è capitato a noiemiliani, con i terremoti del 20 e 29maggio 2012. Un’eventualità, quella diesser colpiti da un sisma importante,che non credevamo realistica, e rite-nevamo potesse accadere sì, ma al-trove: a L’Aquila, in Umbria, in Irpinia,in Friuli. Non qui, non in questa miaterra che ci siamo abituati a immagi-nare sin da piccoli appoggiata magi-camente sull’acqua di più o meno an-tichi sedimenti alluvionali. Rassegnàtifatalmente ai relativi fastidi locali - neb-bie e freddo pungente in inverno, afaumida e zanzare d’estate - ma non a questo. Ecco perchélo stupore di fronte a quello che è stato definito da piùparti un terremoto anomalo. E la cui anomalia, dal nostropunto di vista, riguarda soprattutto il fatto che stavoltaera toccato a noi, e non ad altri. A noi cui non potevasuccedere, come a Ivan Il’ič. È passato un anno. Già o solo un anno, difficile rispon-dere. Per non dimenticarlo, e per ricordare che oltre allecrepe delle case e degli edifici pubblici ci sono quelleinterne, meno visibili ma non per questo meno pericolose,sin dalla scorsa estate ho lavorato a un libro, che questomese vede finalmente la luce e di cui vorrei parlarvi inquesto editoriale. Si tratta di un lavoro che ha una genesioccasionale, essendo originato da un fatto di cronaca,

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Q uesto numero di CEM Mondialità chiude l’annata 2012-2013, dedicata al tema «Trovare l’alba dentro l’imbrunire.

Arte passione intercultura», con un dossier intitolato «Arte e intercultura», curato da Giulia Innocenti Malini e

Nadia Savoldelli. «Ogni esperienza estetica, in particolare quella del bello, può essere un momento di rifondazione

dell’umano, di educazione, di cura - scrive Giulia Innocenti Malini -, e la pratica dell’arte come promotore interculturale ri-

congiunge estetica ed etica anche grazie alla

bellezza, che intuitivamente ci spinge a co-

gliere noi stessi e gli altri alla luce del legame

e della relazione, come parti interconnesse

tra loro e con il tutto». «Arte non può più essere

un sistema definito - aggiunge Nadia Savol-

delli - ma è un complesso di relazioni che di

volta in volta si esprime e di cui dobbiamo ri-

cercare il senso -. Occorre perdere la presun-

zione della centralità di un’esperienza artisti-

co/culturale rispetto ad un’altra come dato

fondamentale dell’intercultura, verso la pro-

spettiva di dialogo nel riconoscimento parite-

tico della differenza». Il dossier, cui hanno con-

tribuito anche autori come Sem Galimberti e

Candelaria Romero, propone un’aggiornata

panoramica sul tema dei rapporti tra arte e

intercultura.

L’inserto centrale del «dossier», «Riscoprire oggi

le virtù», curato da Antonio Nanni e Antonella Fucecchi, conclude anch’esso il suo percorso dell’annata 2012-13 con un testo

dedicato alla «Carità», secondo Paolo la virtù più importante: «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza

e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità» (1 Cor 13,13)». Nella prima e terza parte della rivista, troverete le consuete

rubriche di CEM, tra le quali segnaliamo, nella prima parte, l’altroeditoriale/1, a firma di Antonio Nanni, che invita CEM a ri-

scoprire e a riproporre aggiornata quella «pedagogia dei gesti» che oggi torna ad essere di estrema attualità ed urgenza;

nella seconda parte la rubrica di cinema firmata da Lino Ferracin, che ci racconta di due film che affrontano la tragedia

della Shoah nella Francia collaborazionista del maresciallo Petain. nnn

Cari lettori, consultate il sito www.cem.coop, vi troveretearticoli e documenti non disponibili sulla rivista!

2 | cem mondialità | maggio 2013

Questo numero

a cura di Federico [email protected]

Fabrizio Quartieri

Le illustrazioni di questo numero sono state realizzate daFabrizio Quartieri, che ringraziamo di cuore. Ecco un suobreve profilo:

«Effequar, nato circa 40 anni fa, vive e lavora nellasua casetta in provincia di Piacenza insieme a Paola,Giorgio, Yuma (il suo cane) ed a tre bellissimigattoni (Bianca, Napo e Smeagol). Illustratore egrafico pubblicitario, tiene anche laboratori sullatecnica del fumetto, sul disegno e sullapubblicità, nelle scuole elementari e medie».

Per [email protected]: Effequar

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Cambiare paradigma!Perché il CEM deve rilanciare oggi la pedagogia dei gesti

antonio [email protected]

Gli eventi che si stannoverificando in questi ultimimesi non possono lasciarciindifferenti come movimentoeducativo. Sono convinto che essi sollecitino il CEM arilanciare un percorso e unaproposta che più di 20 anni faabbiamo chiamato«pedagogia dei gesti»anticipando i tempi, forse, ma che oggi torna ad esseredi estrema attualità ed urgenza.

Tre mi sembrano essere le principali ragioni percui rilanciare (aggiornandola) la nostra proposta:la prima ragione è la crisi economico-finanziaria

che si sta rivelando come crescente impoverimento col-lettivo e crisi di sistema. Il riferimento alle vecchie ideo-logie del liberismo capitalista, della socialdemocrazia edel comunismo non sembrano dare alcun esito positivo.Tutta l’economia va cambiata e ristrutturata ex novo manon più attraverso una teoria a tavolino. Occorre produrrefatti concreti, esperimenti virtuosi, sfondamenti provoca-tori, risultati di eccellenza che abbiano il potere di trainaree di contaminare.Alla crisi del sistema economico si aggiunge la crisi po-litica che è ancora più grave della prima e che riguardala concezione della democrazia rappresentativa dei partitie dei parlamenti. Anche qui siamo bloccati nelle sabbiemobili. Non si riescono a produrre riforme né in Italia,né in Europa, né nel mondo. E nessuno sembra avere intasca la ricetta miracolosa per tirarci fuori dal guado.Occorrono gesti, esperimenti, comportamenti virtuosi,immaginari, provocazioni che inventino nuove istituzionifinora mancanti, altrimenti la situazione non si sblocca.Quella della democrazia diretta è solo una via da praticaree da incrementare, ma non può essere la soluzione sal-vifica poiché il format della rivoluzione (come dice Grillo)

e la democrazia della rete rischia di essere, se viene as-solutizzata, solo una nuova ma ingenua utopia. Alla crisieconomica e politica deve essere però affiancato un fattonuovo ed imprevedibile che ha visto come protagonistala chiesa con le dimissioni di Benedetto XVI (con tutto losmarrimento che ha suscitato) ma ancora di più con l’ele-zione di Francesco a guida della chiesa universale. Èproprio Francesco la novità che ci induce a rilanciareoggi la pedagogia dei gesti, poiché il pensiero, anche il«nuovo pensiero» e le parole, pur dopo la loro ri-signifi-cazione, non bastano più perché non trasformano larealtà. È dunque necessario riproporre e attualizzare neltempo presente la nostra cultura dell’azione come via alcambiamento. Quando in passato il CEM ha lanciato questa sua pro-posta educativa uno slogan utilizzato era la formulaverba gestaque (con le parole e con igesti) a significare che la rivela-zione (rivoluzione) operata daGesù si è adempiuta non solocon le parole (pensiero) maanche con i gesti (azioni, se-gni miracolosi). E aggiun-gevamo che il primo libro delNuovo Testamento dopo i Van-geli (buona notizia) è intitolatonon a caso «Atti (praxis) degli Apo-stoli». Non è forse questa la via nuo-va che sta percorrendo e che ci staindicando oggi Francesco?A me sembra di sì, e sono persuasoche tutti i suoi gesti, dai più piccolie quasi insignificanti, ai più forti erappresentativi, siano molto più effi-caci di tante belle encicliche! Eccodunque le ragioni per cui come CEMvogliamo rilanciare al più presto la nostraantica e mai dimenticata pedagogia dei gesticome cambio di paradigma e via al cam-biamento. nnn

l’altroeditoriale/1

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Svantaggio o discriminazione?

elisabetta [email protected] l’altroeditoriale/2

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specifici, difficoltà derivanti dalla non conoscenza dellacultura e della lingua italiana perché appartenenti aculture diverse». Questa discutibile affermazione di-scende dalla premessa che la scuola italiana costitui-rebbe un modello di integrazione e inclusività (dueconcetti che a me sembrano fare a pugni con quello di«svantaggio culturale»). Applicando una logica sem-plice a questa frase se ne deduce che appartenere aculture diverse da quella italiana sia uno svantaggio e,simmetricamente, che non conoscere la cultura e lalingua italiana essendo italiani invece non lo sia. Comeconferma la consultazione dei più autorevoli vocabolariitaliani, la nozione di «svantaggio» si fonda su quella di«inferiorità», inferiorità che nel nostro caso sarebbe de-terminata semplicemente dal non essere italiani. Questoè il «nocciolo duro» della resistenza generalizzata nelnostro paese, e soprattutto nelle sue istituzioni, educativee non, all’integrazione e all’affermarsi di una solida no-zione di «intercultura». Qui si nasconde la ragione dellasordità dello ius sanguinis alle voci che da più parti re-clamano il diritto alla cittadinanza per chi vive, lavorae studia nel nostro paese o addirittura, pur apparte-nendo (e anche questo concetto di appartenenza an-drebbe approfondito) a «culture diverse», è nato qui.È evidente che seguire una lezione di qualunque di-sciplina in italiano non conoscendo l’ita-liano è un problema, ma non è certo unaquestione di svantaggio o di inferiorità.Ciò che non si conosce si può appren-dere e un sistema educativo inclusivo eaccogliente è quello che, senza pre-giudizi di qualsivoglia natura, è ca-pace di mettere i suoi saperi adisposizione di chiunque. Per co-minciare evitando di usare il lin-guaggio discriminante cheesprime concetti come quellodi «svantaggio». nnn

L’oggetto di questo interventoè la direttiva ministeriale«Strumenti d’intervento peralunni con bisogni educativispeciali e organizzazioneterritoriale per l’inclusionescolastica», firmata dalMinistro Tecnico il 27dicembre (!) 2012 e diffusa, al ritorno dalle vacanze,insieme a una montagna dialtre carte che è andata aingolfare le caselle di postadegli insegnanti della scuolapubblica.

Preciso subito che non mi propongo, per mani-festa incompetenza, di commentare gli aspettitecnici della direttiva che consistono soprattutto,

mi pare, nell’ennesimo taglio che questa volta colpiscegli insegnanti e i servizi cosiddetti «di sostegno». Vorreisolo cercare di sottolineare e rendere visibile un suoaspetto che a me pare estremamente rivelatore di unamentalità diffusa (soprattutto nei corridoi del Miur) cheè necessario contrastare con forza, se non si vuole chedei temi di quella che chiamiamo «intercultura» non cisia più nemmeno bisogno di parlare.Non riesco a tacere, nonostante lo spazio limitato dicui dispongo, il fastidio provocato dallo stile respingentedei documenti ministeriali, pieni di acronimi e di riferi-menti normativi; uno stile che può avere il solo scopodi scoraggiare la lettura. Nel cercare di non riprodurrequel fastidio e le sue conseguenze estrapolo un solopassaggio dal capitolo che definisce i Bes (bisognieducativi speciali): «L’area dello svantaggio scolasticoè molto più ampia di quella riferibile esplicitamentealla presenza di deficit. In ogni classe ci sono alunniche presentano una richiesta di speciale attenzioneper una varietà di ragioni: svantaggio sociale e culturale,disturbi specifici di apprendimento e/o disturbi evolutivi

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Jerome Bruner sostiene che la narrazione sia lo strumento privilegiato della trasmissione culturale,perché consente di organizzare l’esperienza, di costruire e trasmettere significati.

«Che male vi fo?»ci domanda la tecnologia...

bambine e bambinisebi [email protected]

ascuolaeoltre

ascuolaeoltre

avanti e re-indietro quandoun pezzo le piace o la turba.Che sta succedendo? Non so se vi siete mai chiestiperché i bambini rivedanomille volte lo stesso dvd, per-ché scelgano i pezzi da ri-guardare ancora e ancoracon attenzione maggiore e,anche se piccolissimi, impa-rino alla svelta a gestire i co-mandi: Fwd e Rew, avanti e

Sono una nonna mae-stra, quindi passo deltempo con la Dadi, mia

nipote, per la quale sono lanonna della colla e dei trave-stimenti. In ogni caso quelladell’amica dei nani (Bianca-neve) è la storia che le piacesentirsi raccontare semprenello stesso modo, guai se misbaglio a leggere, se inventoper accorciare i tempi. Col ci-piglio da maestra, compliceil mestiere annoso, il tempolo si passa tra libri, ritagli,giochini didattici, dise-gni con ogni tipo dimateriale (cioè fac-cio come a scuola...a questa età non c’ètempo da perdere etanto da imparare).Poi capita che la Dadisi ammali, non ha vogliadi giocare e sostiene che lavoce (stridula) della nonnache legge le fa male alle orec-chie. L’anziana antenata pro-cura allora dei cartoni daguardare col pc (pochi, si sa,perché la tv fa male), giustoper passare l’influenza. Comeavviene per le storie lette, laDadi seleziona d’istinto quelloche le piace di più e poi guar-diamo quello, sempre, ri-

ficati. Coloro che apparten-gono a una cultura condivi-dono le narrazioni di quellacultura; dai racconti indivi-duali alle narrazioni storichee religiose, alle concezioni delmondo e ai miti. La narrazio-ne rappresenta una partico-lare modalità cognitiva di or-ganizzare l’esperienza, unmodo per rappresentare glieventi e trasformarli in og-getto di analisi e di riflessione,una forma di pensiero diversadal pensiero razionale o lo-gico-scientifico. Il pensieronarrativo riguarda la realtàpsichica e si basa su una lo-gica intrinseca alle azioniumane (desideri, emozioni,affetti) e alle interazioni traindividui (regole e motivazionisociali). Noi adulti andiamoal cinema e guardiamo unfilm e, se proprio ci piace,qualche tempo dopo lo no-leggiamo, ma difficilmente,con tutto quello che dobbia-mo fare e vedere, ci sognia-mo di soffermarci troppo suuno. E qui, nel rapporto coimedia, quell’elemento deter-minante che, per NicholasNegroponte, non sarebbe dinatura sociale, razziale o eco-nomica, bensì generazionale,sta la grande differenza tra ibambini e adulti di oggi. Senoi grandi li usiamo per rilas-sarci e svagarci, i bambini liusano per studiare il mondo.Dadi ormai è diventata esper-ta nel decifrare voci, espres-sioni, colonne sonore, così mi

indietro, poi Play, sempre lostesso pezzo, infine, ad uncerto punto, con quello ba-sta, ma quante visioni ci sonovolute!

La narrazione, strumento privilegiatodella trasmissione culturale

Jerome Bruner sostiene chela narrazione sia lo strumentoprivilegiato della trasmissioneculturale, perché consente diorganizzare l’esperienza, dicostruire e trasmettere signi-

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maggio 2013 | cem mondialità | 7

spiega lei cosa debbo aspet-tarmi durante la visione…state vicini ad un cucciolo chefissa il suo cartone e, se glisiete simpatico e non vi stacompatendo, avrete da im-parare un sacco d’informa-zioni sulla vita, anche se nonlo avreste detto.

Interrogativi kantiani

Similarmente, potrete appro-fittarne anche per fornire voiqualche dritta, utilizzando lametafora del cartone in atto.Incredibile, la nonna e la Dadistanno sfiorando gli interro-gativi kantiani, le eterne do-mande della filosofia: Che co-sa posso conoscere? Che cosadebbo fare? Che cosa è lecitosperare? Che cos’è l’uomo?Ritengo non sia azzardato af-fermare che ogni Dadi cheguardi reiteratamente lo stes-so film animato cerchi e trovirisposte filosofiche; se ha vi-cino un adulto, potranno fareshare emotivo-esperienziale,senza gap generazionale. Ilcollega che scrive al ministrochiedendogli di riflettere sul-l’inserimento del digitale nellescuole primarie1 mi fa venirein mente Roberto Maraglia-no, che si è sempre professa-to contrario a quello che hadefinito l’adulto apocalittico,colui che considera i mediaun pericolo per il bambino.L’autore sostiene che, così fa-cendo, i grandi sottovalutinola notevole esperienza diutente che il piccolo ha giàed afferma che egli ha mag-gior consapevolezza di quellache gli attribuiamo. Di recente sui giornali si è po-tuto leggere di esperimenticon risultati positivi in ospe-dali esteri in cui, ai bambini

in attesa di operazioni impor-tanti, si mostravano cartonia scelta (in particolare hannovinto i Power Rangers) per se-dare l’ansia. I Supereroi ave-vano un effetto catartico suipiccoli pazienti, perché con-vogliavano le emozioni nega-tive nel nemico che stavanocombattendo.Tutto, ad ogni età, si giocasulle emozioni e un compu-ter/tablet /LIM maggiordomi,se vicino c’è un adulto cheparla con te, che ti insegna eche ti ascolta, oltre a crearne,può conservarne altre in me-moria: per questo sostengoda sempre che ciò che si fain classe col computer e laLIM debba essere inerente ivissuti emotivi dei bambini enon dovrà mai esserne slega-to. Ogni esperienza può ve-

Non so se visiete mai

chiesti perchéi bambinirivedano

mille volte lostesso dvd...

bini, una nonna con nipoteo una maestra con la sua clas-se, ha proprio questa grandeabilità: essendo multimediale,ci consentirà di conservare,utilizzando i più diversi lin-guaggi e mezzi, tutte le emo-zioni che hanno visto prota-gonisti i piccoli learners dellanostra comunità in un unicosupporto che, non a caso, Le-vy definisce unimedia multi-modale. Vista così, la tecno-logia che male ci fa? nnn

1 Cfr. «CEM Mondialità», numeri di feb-braio 2013, p. 5 e marzo 2013, pp. 36-37.

dere partecipe ogni mezzotecnologico, che non dovràmai essere un estraneo pro-duttore di giochi ripetitivi:usati così si trasformano inmacchine filosofiche che pos-sono servirci a mantenere inmemoria e rivisitare a piacerequei vissuti significativi cheogni bambino sperimentanella sua comunità. La tec-nologia, in un setting costi-tuito da un adulto e dei bam-

Insegnare a dominare le tecnologiePiù o meno come scriveva pochi mesi fa il collega alministro, il famoso eretico high tech, Clifford Stoll, il

Bastian contrario che usa le tecnologie, però lesconsiglia, sostiene: «Dai computer esceun’abbondanza di simboli, alla quale corrisponde

un impoverimento dell’esperienza. Davvero i nostribambini hanno bisogno di più icone, loghi

commerciali, font sgargianti? O non avrebbero bisognodi più tempo per correre, rotolarsi e capire comeavvicinare i propri simili?». E ancora: «I computer nonsono compatibili con la vita piena di plastilina, sporco epatacche di marmellata di un bambino di cinque anni»,ma io mi chiedo perché. «Mostratemi un programmaper computer che incoraggi la quieta riflessione», diceancora Stoll. Forse un software così, che faccia tutto dasolo senza l’intervento di un adulto, non esiste enemmeno ci importa, perché tutto il tempo intercorsotra la circolare sulle Nuove Tecnologie del 1997 el’effettivo arrivo delle LIM in classe ci ha permesso diriflettere su come agire senza cadere in quegli erroriche Stoll imputa alle scuole americane per l’infanzia. Si stupirebbe anche lui di quel che sanno inventare lenonne ed i docenti italiani che non dimenticano che «il gioco dei loro alunni è un agire sensato: unacostruzione continua, un fare inventare che un attivoincontro tra la realtà e la soggettività consente estimola. Sensato, dunque culturalmente produttivo». Che siamo nati o no prima della televisione o dellalavatrice, credo che vivere a fianco ai nostri piccolisenza passare per old and confused, sia un imperativomorale, in cui conoscere le tecnologie per insegnare adominarle senza assumerle passivamente sia il secondogradino di cui si dovrebbe estesamente parlare.

bambine e bambini

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Può il web essereletto, in lineateorica, come un

campo avente, tra lesue forze potenzialiimmanenti, una

predisposizione alladecostruzione dellastereotipia?

colte le definizioni, li tra-sporto altrove raccontan-do loro cosa accadde aSharpeville, Sud Africa,il 21 marzo del 1960:poliziotti sudafricaniuccisero 69 persone ene ferirono 180, stavanomanifestando pacifica-mente contro la legge cheimponeva ai neri un lascia-passare per entrare nellecittà dei bianchi. Da quiriparte il nostro viag-gio nella discrimina-zione.

Discriminati

«Chi sono, secondo voi, inItalia i discriminati?» Ecco lanostra classifica: neri, africanidel nord, meridionali, europeidell’est, cinesi, zingari, pro-stitute, senzatetto, gay, isla-

8 | cem mondialità | maggio 2013

«Canzonare un giocatore di colore durante un incontro di calcio, eccitando il disprezzo e lo schernonei suoi confronti con grida d’intolleranza, rappresenta una chiara manifestazione d’intolleranzarazziale» (Corte Suprema di Cassazione, sent. 23 gennaio 2007 n.1872).

ragazze e ragazzisara [email protected]

ascuolaeoltre

«Per tutti i simili/ sono unaseconda generazione/ il mionome è selvaggio/ vengo dauna brutta situazione/ lasocietà mi tiene inostaggio/ le mie originiantichissime africane/ oggigiovane le posso solamentericordare/ e intanto lì lagente muore/ li trattanocome un cane».«In ostaggio»dal cd «Straniero a chi?» di Nasty Brooker

Settimana d’azione con-tro il razzismo, cl. 3a:che cosa significa razzi-

smo? «Razzismo? Deriva darazza. È un ideale che qual-cuno è inferiore, è sbagliato.Discriminazione per il coloredella pelle. Di un essere mi-gliore per nascita. Non degnodi essere accettato. Odio percolore o caratteristiche fisichediverse. Suffragato da con-cetti scientifici (ma falsi). Pra-ticato sia in gruppo sia in mo-do individuale. Esclusione ediscriminazione verso chi èdiverso, fino alla violenza.Quelli che non vengono ap-prezzati dalla gente originariadel paese che li ospita». Rac-

Senza distinzionedi razza

dice che è razzismo, e ancheforte ci dice, che allo stadiosi sentono i cori e si leggonogli striscioni contro i giocatorineri! Ha ragione, e sembracosì lontano il sogno di Man-dela, dello sport che unisce epacifica («Usiamo lo sport percostruire la nazione e pro-muovere le idee che secondonoi condurranno alla pace ealla stabilità nel paese»). Perte, Giordano: «Canzonare ungiocatore di colore duranteun incontro di calcio, ecci-tando il disprezzo e lo scher-no nei suoi confronti con gri-da d’intolleranza, rappresen-ta una chiara manifestazioned’intolleranza razziale»1.

mici, immigrati, immigrati il-legalmente, di religioni diver-se, Vucumprà (Giada: «Noquelli toglili, sono troppo sim-patici!») …calciatori. QuandoGiordano dice calciatori, fac-ciamo un balzo, fraintenden-do (?), così lui specifica: cal-ciatori neri! È un fenomenodi razzismo pubblico, che inclasse tendiamo a sminuireperché quelli che giocano inserie A guadagnano un saccodi soldi e quindi ci sta ancheun’offesa ogni tanto, e inveceno, Giordano punta i piedi e

ascuolaeoltre

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ragazze e ragazzi

partecipazione. In conclusio-ne, il contenuto di ciò che cir-cola su internet è per la mag-gior parte caratterizzato daatteggiamenti inclusivi.All’inizio del nostro percorsoun allievo mi disse che subireil razzismo significa che nonsi è apprezzati dalla gente ori-ginaria del paese. In questafrase ho rilevato tutta quelladelicatezza, quel senso delpudore per definire l’isola-mento di una famiglia nor-dafricana in una comunitàchiusa, di paese. In molte re-altà le politiche d’inclusionenon passano dai servizi socialio territoriali, ma dal circolodel prete, dove tutti giocanoinsieme, s’incontrano e han-no un sostegno, e non soloumanitario. nnn

1 Corte Suprema di Cassazione, sent. 23gennaio 2007, n. 1872. In www. asgi.it/home_asgi.php?n=documenti&id=2057&l=it.2 Cfr. www.unar.it

Il potere discriminatorio delle paroleDal nostro elenco di discriminati eliminiamo tutto ciò chenon rientra nella discriminazione «per razza», punto drittoa «immigrati illegalmente», non faccio in tempo a finire discriverlo alla lavagna che Domenico chiede: «E come saiche quello è qui illegalmente?» effettivamente non lo so,così tendiamo a riunire tutti gli immigrati sotto taledefinizione, perché prevale nel nostro immaginario quelloche ci hanno fatto vedere, Erri: «Lo stato usa certimessaggi per distrarci dai problemi reali (ha l’anima dastorico-filosofo): i barconi, i camion col doppio fondo, imagazzini in cui i cinesi lavorano e dormono, i lavoratorinei campi di pomodori sotto caporalato...». Racconto chequalche anno fa un allievo albanese ci disse che erasbarcato a Milano, i ragazzi risero, io rimasi un momentoperplessa e lui continuò: «Con il volo da Tirana». Hannoquindi pensato ai compagni di scuola che provengono da

Romania, Albania, Marocco, Tunisia... nessuno di loro èarrivato sul barcone, né nascosto in un baule. E poi? Seanche fosse? Se uno di loro fosse arrivato nascosto in unfurgoncino stipato di merce? Che differenza fa ragazzi?«Vuol dire che è proprio disperato, che non ha niente e chepotrebbe fare anche cose disperate, come rubare». Eccoallora che si concretizzano le loro paure dell’altro: ladri,assassini, rapinatori, ma i loro discorsi sembrano menocondizionati degli adulti, sembra che covino menopregiudizi, forse perché guardano meno la televisione enon leggono i quotidiani? Infatti navigano, ed io con loro.Gioco sui luoghi comuni e li sovrappongo ad alcuneespressioni politicamente scorrette: ho lavorato come unnegro, fumi/bestemmi come un turco… «Qualcuno di voiha mai usato o sentite usare queste espressioni?». Lavorarecome un negro sì, l’hanno sentito, ma usata raramente, lealtre no. Proviamo a cercarle su internet, ma non troviamomolto, se non qualche link su Spike Lee, per via di Django.È stata fatta da alcuni motori di ricerca una pulizia delpoliticamente scorretto. Un inizio, dal web.

lenti gli approfondimenti - incontrotendenza rispetto astampa e televisione, che ri-portano fatti di cronaca in lu-ce negativa -, maggiore è l’at-tenzione alle politiche e allacultura, alla sfida all’integra-zione. La stessa informazioneche gira online non è schiavadegli stereotipi come quellatradizionale, il linguaggio èpiù neutro (immigrato/stra-niero contro la coppia immi-grato/clandestino), riporta

Il web per decostruire gli stereotipi

Molto interessante è il rap-porto dell’Unar, «Relazione alParlamento sull’effettiva ap-plicazione del principio di pa-rità di trattamento», ecc.,2011: «Può il web essere let-to, in linea teorica, come uncampo avente, tra le sue for-ze potenziali immanenti, unapredisposizione alla decostru-zione della stereotipia?»2.Prima di tutto sul web si trovail linguaggio della politica:espressioni stereotipate chemodificano la percezione col-lettiva (abusivo, comunitarionullafacente, carne da macel-lo, ecc.), o che attivano il ri-fiuto dell’altro e la paura; masostanzialmente sì, il webpuò decostruire gli stereotipi.Nelle ricerche sul tema del-l’immigrazione sono preva-

anche neologismi come «cit-tadini del mondo» o «nuoviitaliani», «che rappresentanole istanze di partecipazione ecittadinanza di cui le popo-lazioni stesse sono portatricie le nuove identità che a talipersone vengono attribuite».Stessa finalità ha un altro fe-nomeno interessante e posi-tivo, sempre nel web: l’atti-vismo, quello delle reti di G2,i giovani di seconda genera-zione che stanno conquistan-do spazio pubblico attraversola rete, in nome di equità e

Il web puòdecostruire gli

stereotipi: il contenutoche circola su internet

è per lamaggior partecaratterizzato

daatteggiamenti

inclusivi

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L’arte stimola la resilienza, è terapeutica, libera dalle angosce, dà forma al dolore, consentel’elaborazione di paure e l’esorcizzazione di ansie ancestrali.

generazione yantonella [email protected]

ascuolaeoltre

I l binomio è molto fecon-do per le implicazioni for-mative che presenta e per-

ché apre prospettive interes-santi sul piano della risignifi-cazione dinamica dell’arte li-berata dal suo paludamentoaristocratico ed elitario, ancheperché afferma il contributovitale e creativo che essa puòoffrire nella costruzione di unfuturo condiviso e plurale.Progettare l’avvenire implicanecessariamente un beneficorinnovamento dell’immagi-nario, che può avvenire sol-tanto attraverso il confronto,lo scambio e la rinegoziazio-

ne dei significati. L’intercul-tura intrecciata con l’arte of-fre un contributo rilevantenella ridefinizione degli spazidelle nostre città ormai plu-rietniche e nell’incrementodei consumi culturali che legiovani generazioni di G2stanno già mutando.Affrontare questa tematica si-gnifica valorizzare la vocazio-ne geneticamente intercultu-rale di ogni tipo di produzioneartistica, a prescindere dai pe-riodi storici, dai linguaggi im-piegati, dalle caratterizzazioniestetiche che l’hanno gene-rata e dalla ascendenze cul-turali degli autori.L’approccio scolastico è in ge-nere penalizzante perché as-soggettato ad una logica di-

sciplinare che tende a frazio-nare e a dividere, anziché il-lustrare il significato antro-pologico dell’opera d’arte eil rapporto che ha con la crea-tività insita in ciascuno di noi.La sua enorme valenza for-mativa ed educativa, sistema-ticamente ignorata nei nostripercorsi scolastici istituzionali,priva l’essere umano in cre-scita di una fonte d’ispirazio-ne, essenziale invece per cu-rare un devastante analfabe-tismo simbolico, emotivo edaffettivo. L’incapacità di ela-borazione di traumi e dolori,il desiderio di affermazionespontaneo e non guidato de-genera nell’aggressività postaal servizio della distruzione enon dell’evoluzione creativa.L’arte insegna, invece, comescoprire le proprie risorse, co-me incanalarne le energie pre-ziose nel momento potenzial-mente più fecondo della vita.

L’insopprimibile desiderio di creare

L’essere umano per sua na-tura produce oggetti culturalie genera simboli, non puònon operare connessioni, nonpuò non costruire sistemi er-meneutici e dare vita a nar-razioni che spieghino, illustri-no o indaghino per conget-tura quale sia la sua posizionenel mondo e quale rispostafornire agli interrogativi disenso più urgenti. Infatti l’homo faber non si limita adinventare ed escogitare solu-

Arte ed intercultura

L’arte insegnacome scoprire

le proprierisorse, come

incanalarne leenergie

preziose nelmomento

potenzialmentepiù fecondo

della vita

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La vocazioneinterculturaledell’opera d’arteLa creatività artistica nel mondogreco è abbinata alla figura diApollo, ma in realtà si sostanzia esi nutre anche del contatto e delcommercio con altre divinitàmeno olimpiche e piùmagmatiche: ad esempio Dioniso,dio dell’ebbrezza e del vino, edErmes, dio dei traffici, ma anchedelle trasformazioni, dio liminaleche instaura un contatto tramondi diversi, quello superiore equello infero. L’artista nonpresenta esclusivamente trattisolari, luminosi apollinei, ma harisvolti oscuri, opachi, non di radoambivalenti, e materiali, sialimenta di passioni poisublimate, di sangue e di sudore.L’opera d’arte è spuria econtaminata sin dalla nascita.La produzione artistica ha spiccatevocazioni combinatorie, spurie,ama le ibridazioni e non disdegnadi servirsi di ogni stimolo perraggiungere i suoi ineludibili finiespressivi. Infatti nella suaautonomia da obiettivimeramente pratici - ad eccezionedi casi in cui è asservita al potere olegata a vincoli di committenza -può a suo piacimento avvalersi dimatrici di senso precedentementeo altrimenti elaborati da altrisistemi di riferimento culturali coni quali non entra in rapporto diemulazione, più spesso difascinazione o ammirazione e dirimando.Essendo votata per natura allarisignificazione e all’eccedenza èin costante ricerca di fonti diispirazione, di forme e contenutipertanto non discrimina, nonnutre pregiudizi né rispetta tabù,anzi più spesso li viola e liinfrange, perché tende atrascendere confini e limiti.

Ma soprattutto l’arte ènaturalmente transculturaleperché aspira ad avere comeinterlocutore l’essere umano inquanto membro alla specie homo,a prescindere dalle appartenenzeetniche e geoculturali. Laproduzione artistica è legata allastoria e alle storie ed usalinguaggi e codici propri, ma lacarica comunicativa dell’operad’arte veicola messaggi econtenuti psichici ed emotivi cheentrano in risonanza con la nostraumanità: anche quando nonpossediamo tutte le chiaviinterpretative per decodificarlicorrettamente, siamo in grado dileggere in filigrana il segno diautentica ricerca di senso.L’arte è in sé generativa efeconda, si lascia sedurredall’alterità e dalla diversità comeportatrice del nuovo,dell’imprevisto edell’imprevedibile, non èautoreferenziale, né autocentrica.Al contrario è polimorfa,polivalente, polisemica, onnivora,impura, capace di mutare glielementi come un procedimentoalchemico.Infine l’arte è solidale, trasmettemessaggi costruttivi diricomposizione e di aggregazione,procede per associazioni, perquesto ha la potenza simbolica diunire e far convergere (dal grecosymballein, mettere insieme)nuclei di senso e contrasta ilpotere diabolico opposto (dalgreco diaballein, separare) didividere, disgregare e disperdere.L’arte stimola la resilienza, èterapeutica, libera dalle angosce,dà forma al dolore, consentel’elaborazione di paure el’esorcizzazione di ansieancestrali, rappresenta una sfidaall’inevitabilità della morte e dellafine per contrastare il vuotoriaffermando un’inesauribilefiducia nella vita.

generazione y

maggio 2013 | cem mondialità | 11

zioni pratiche per raggiungere la soddisfazionedi un bisogno materiale essenziale per la so-pravvivenza, ma caratterizza inevitabilmentetutte le sue produzioni con un tratto gratuitonon indispensabile e non necessario che eccedee oltrepassa la mera funzione. È il caso di unvaso inciso con rozze figurazioni geometriche,

delle pareti di una caverna sulle quali si pro-iettano angosce e paure, ma anche auspici escaramanzie relative alle scene di caccia (legrotte di Altamira). In questo l’uomo, fin dalsuo apparire, ha lottato per ricavarsi uno spaziovitale non solo fisico, ma anche sacro, magico,creativo, essendo per costituzione neuronalevotato all’esplorazione, alla ricerca, all’inven-zione. L’arte in tutte le sue manifestazioni piùo meno evolute, più o meno figurative, hadato corpo, voce ed anima a questo anelito:lasciare segni del proprio passaggio sul pianetaterra. Per tale motivo, tra le discipline e gli ap-procci al mondo del sapere e nella costruzionedi una testa ben fatta e non ben piena, comeafferma Edgar Morin, il contatto con la pro-duzione artistica rappresenta una via maestranella costruzione di una coscienza planetariache oltrepassi la logica delle piccole patrie edei codici culturali legati a presunte purezzeoriginarie.Non si tratta di passare in rassegna all’internodei vari periodi storici i casi di feconde conta-minazioni tra generi pittorici, letterari, musicalie teatrali, ma di mettere in evidenza i presup-posti per i quali l’arte è interculturale e tran-sculturale per natura. nnn

L’arte è polimorfa, polivalente, polisemica,

onnivora, impura, capace di mutare gli elementi

come un procedimento

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È sempre possibile leggere in modo «altro» il tempo e lo spazio in cui viviamo: uno «sguardo altro» e «de-centrato» è il punto di partenza di ogni innovazione di ogni «di-verso» stile di vita e di convivenza.

Segnali alla ricercadi senso

in cerca di futuroaluisi [email protected]

ascuolaeoltre

12 | cem mondialità | maggio 2013

C let Abraham è unfrancese che vive daoltre vent’anni in Ita-

lia. Prima a Roma, poi in pro-vincia di Arezzo ed infine aFirenze. Un artista un po’ par-ticolare (ma quasi tutti gli ar-tisti lo sono!!!) che negli ul-timi anni è salito alla ribaltaper le sue opere decisamentenon convenzionali e partico-larmente creative. L’attività di Clet consiste in-fatti nel reinterpretare e darenuova vita ai segnali stradali.Agli stop, ai sensi unici, ai di-vieti di sosta e di accesso checostellano in modo inesora-bile il paesaggio urbano e lavita di quanti si muovono incittà. E dare nuova vita nonsignifica staccare i segnali perraccoglierli in una galleriad’arte ma, al contrario, nelmodificarne qualche tratto onell’inserire smilzi omini neriche con la sola loro presenzafanno «cambiare di-segno» al«segnale» rendendolo polifo-nico, plurale, molteplice.Un’operazione che trasformala stessa città in opera d’artediffusa (cosa del resto nondifficile a Firenze) in museo

vivente ed all’aria aperta. Cosìil segnale di una strada chiusadiventa un crocifisso o unapietà, una curva pericolosaun signore che si piega a col-tivare un fiore nel suo imma-ginario giardino, un lavori incorso cui all’omino raffigura-to viene aggiunta la catenadel galeotto…E la città acquista un altro si-gnificato agli occhi di chi lausa, la attraversa, la vive di-strattamente. A dimostrazio-ne che è sempre possibile leg-gere in modo altro il tempoe lo spazio in cui viviamo eche uno sguardo altro e de-centrato è il punto di parten-za di ogni innovazione diogni di-verso stile di vita e diconvivenza. nnn

Meditazione multireligiosaLa City Hall è la sededella Greater LondonAuthority, che includel’ufficio del sindaco diLondra e la LondonAssembly. Si trova aSouthwark, sulla spondasud del Tamigi vicino aTower Bridge ed è stataprogettata dal notoarchitetto NormanFoster: è famosissima perla sua forma e perl’immensa scalaelicoidale che sta alcentro della costruzione.Alla sua base, al pianointerrato, c’è anche unsegnale inaspettato cherecita: «Multi-Faith/Meditation Room». Nel cuore di Londra, unastanza in penombra incui chiunque - diqualunque fede - puòritirarsi in preghiera. Un bel segnale. Come i cartelli/segnaliindicatori cheall’aeroporto di Lutonricordano ai credenti chesi recano nello spaziomultireligioso (un’oasi di silenzio nel cuoredell’aeroporto) ladirezione di Gerusalemmee della Mecca. Così che ifedeli ebrei e musulmanipossano pregare rivoltiverso il centro della lorofede. Cose impensabili in Italia?

Clet Abrahamè un artistaparticolare,

che negliultimi anni è

salito allaribalta per le

sue operecreative e nonconvenzionali

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La Carta della Terra

educazione degli adultirita [email protected]

ascuolaeoltre

A pro questo articolocon il preambolo del-la Carta della Terra,

un documento1 nato nell’am-bito delle Nazioni Unite, ri-sultato di un dialogo mon-diale su obiettivi e valori co-muni condotto e completatoda un’iniziativa della societàcivile: «Ci troviamo in un mo-mento critico della storia dellaTerra, un periodo in cuil’umanità deve scegliere il suofuturo. In un mondo che di-

La Cartadella Terra,documento

unico nelsuo genere,

ci mette difronte alla

sacralitàdella nostra

«casa», la Terra

La Carta della Terra è un appello ad una «responsabilità universale» per far fronte alle sfide della situazione globale. Facciamo in modo che la nostra epoca venga ricordata per il risvegliarsi di un nuovo rispetto per la vita.

Un documento unico nel suo genere

La Carta della Terra è consi-derata dall’Unesco uno deglistrumenti più innovativi edefficaci per la promozione diun’educazione sostenibile,nel quadro del decennio Onu2005-2014 sull’educazioneallo sviluppo sostenibile. Que-sto documento, unico nel suogenere, ci mette di fronte allasacralità della nostra «casa»,la Terra, sancisce un patto trai popoli, ci ricorda le sfide acui andiamo incontro, indicacon chiarezza le vie per af-frontarle e richiama tutti allapropria responsabilità, comeesseri umani, nei confrontidella «Creazione». La Carta èun richiamo a principi eticiche possono orientare le no-stre azioni per la costruzionedi un mondo sostenibile, masoprattutto vuole far prende-re coscienza ad ogni essereumano dell’appartenenza alla«rete della vita». La sosteni-

venta sempre più interdipen-dente e vulnerabile, il futuroriserva contemporaneamentegrandi pericoli e grandi pro-messe. Per andare avantidobbiamo riconoscere cheall’interno di una straordina-ria diversità di culture e di for-me di vita siamo un’unica fa-miglia umana e un’unica co-munità terrestre con un de-stino comune. Dobbiamounirci per promuovere unasocietà globale sostenibilefondata sul rispetto per la na-tura, diritti umani universali,giustizia economica e una

cultura della pace. A tal fineè imperativo che noi, popolidella Terra, dichiariamo le no-stre responsabilità reciprochee nei confronti della comunitàpiù grande della vita e dellegenerazioni future».

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14 | cem mondialità | maggio 2013

educazione degli adulti

bilità si realizza proprio nelmomento in cui prendiamocoscienza di essere un puntonodale di questa rete e ci im-pegniamo a alimentarla, cu-rarla e mantenerla. In sostan-za la Carta della Terra è unadichiarazione di «interdipen-denza e responsabilità». In-terdipendenza con tutte lecreature, e responsabilità ver-so tutti. Ci viene quindi chie-sta una trasformazione delnostro senso morale di co-munità che includa il sensodi responsabilità e la capacitàdi rendere conto delle nostreazioni agli altri esseri viventi.È quindi l’appello ad una «re-sponsabilità universale» perfar fronte alle sfide della si-tuazione globale attuale inuno spirito di solidarietà e fra-tellanza con tutta la vita.

I principi fondamentali

Seguendo le indicazioni diVittorio Falsina2, un giovanepadre saveriano scomparsonel 2001 che ha partecipatoalla stesura della Carta, pos-siamo leggere il documentoa diversi livelli, partendo daiquattro principi fondamentalie poi allargando lo sguardoai quattro gruppi di principidedicati rispettivamente al-l’ecologia, all’economia, allasocietà e alla politica e giun-gendo poi alle conclusioni,come inizio di un nuovo im-pegno. Per questioni di spaziovi riporto i quattro principifondamentali, che contengo-no in modo implicito tutti iprincipi della Carta della Terra,e le conclusioni:

Un nuovo rispetto per la vita

Facciamo in modo che la no-stra epoca venga ricordataper il risvegliarsi di un nuovorispetto per la vita, per la te-nacia nel raggiungere la so-stenibilità, per un rinnovatoimpegno nella lotta per lagiustizia e la pace e per lagioiosa celebrazione della vi-ta». La carta ci aiuta a ricor-dare che adulti e bambini ditutto il mondo appartengonoal grande cerchio della vita ei bambini lo sanno natural-mente, mentre gli adulti alle

volte lo dimenticano anchese nel loro cuore è scolpitaquesta verità. Bisogna ritor-nare al bambino dimenticato,al suo sguardo incantato epieno di stupore che restitui-sce la consapevolezza che il«maestro» è un adulto con ilcuore di bambino che acco-glie esseri viventi creativi,aperti, capaci di stupore esenso del sacro, desiderosi diapprendere. Perché vivere si-gnifica apprendere e appren-dere significa vivere. Il nostroimpegno come adulti educa-tori è di permettere la pienaespressione della creatività e

apertura alla vita di cui i bam-bini sono naturalmente dotatied evitare tutto ciò che possamortificarle per permettere eaccompagnare il completo di-spiegarsi della vita. nnn

1 Il testo finale della Carta della Terravenne approvato al quartier generaledell’Unesco, a Parigi, nel 2000. Contieneuna prefazione, 16 principi fondamen-tali, 61 articoli e una conclusione intito-lata «Uno sguardo al futuro». Cfr.www.cartadellaterra.it La Giornata dellaTerra si celebra il 22 aprile di ogni anno.2 Cfr. «Nel nome della madre. La sag-gezza della Terra come educazione», in«Atti del Convegno CEM 2000» di PràCatinat (To).

Principio 1 «Rispetta la Terra e la vita in tuttala sua diversità».Riconosci che tutti gli esseri viventi sonointerdipendenti ed ogni forma di vita havalore indipendentemente dal suo utilizzoper scopi umani.Afferma con fede la dignità intrinseca di ogniessere umano e nel potenziale intellettuale,artistico, etico e spirituale di tutta l’umanità.

Principio 5 «Proteggi e ristabilisci l’integritàdel sistema ecologico della terra facendoparticolare attenzione alla diversità biologicadei processi naturali che sostengono la vita».

Principio 9 «Sradicare la povertà è unimperativo etico, sociale ed ambientale».

Principio 14 «Integra nell’educazione di basee nella formazione permanente laconoscenza, i valori e le tecniche necessariead uno stile di vita sostenibile».

Conclusioni: un nuovo inizio«Mai come in questo momento, nella storiadell’umanità, il destino comune ci obbliga acercare un nuovo inizio. Tale rinnovamento èla promessa di questi principi della Cartadella Terra. Per adempiere a questa promessadobbiamo impegnarci ad adottare epromuovere i valori e gli obiettivi della Carta.Ciò richiede un cambio interiore, un cambiodel cuore e della mente. Richiede unrinnovato senso dell’interdipendenza globalee della responsabilità universale. Dobbiamo

sviluppare in modo immaginativo edapplicare la visione di un modo di viveresostenibile a livello locale, regionale,nazionale e globale. La nostra diversitàculturale è un’eredità preziosa e le diverseculture troveranno i propri percorsi specificiper realizzare questa visione. Dobbiamoapprofondire e ampliare il dialogo globaleche ha generato la Carta della Terra perchéabbiamo molto da imparare dallacollaborazione nella ricerca della verità edella saggezza. La vita spesso implicatensioni tra valori importanti. Questo puòsignificare scelte difficili. Tuttavia, dobbiamotrovare il modo di armonizzare la diversitàcon l’unità, l’esercizio della libertà con il benecomune, gli obiettivi a breve termine conquelli a lungo termine. Ogni individuo,famiglia, organizzazione e comunità ha unruolo vitale da svolgere. Le arti, le scienze, lereligioni, le istituzioni scolastiche, i media, leimprese, le organizzazioni non governative ei governi sono chiamati ad offrire unaleadership creativa. L’azione congiunta deigoverni, della società civile e delle imprese èfondamentale per un governo efficace. Per poter costruire una comunità globalesostenibile le nazioni della Terra devonorinnovare l’impegno fatto alle Nazioni Unite,adempiere ai propri obblighi in base agliaccordi internazionali in vigore e sostenerel’applicazione dei principi della Carta dellaTerra per mezzo di uno strumentosull’ambiente e lo sviluppo vincolante a livellointernazionale.

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Solocostruendo

spazi didialogo è

possibile dare aldialogo trareligioni la

possibilità difar scorgere

l’alba «oltrel’imbrunire»

l’ora delle religionimarialuisa damini | marco dal [email protected] | [email protected]

ascuolaeoltre

In un’epoca di «transito» come quella che stiamo vivendo, alle religioni della nuova alba è chiestodi re-interpretare il loro patrimonio simbolico creato in altra epoca. Non sono le culture o le religioniin astratto che s’incontrano, ma le persone che «vivono» culture e religioni diverse.

A ll’inizio del nostropercorso ci siamochiesti se e in che ter-

mini stiamo assistendo aduna sorta di «imbrunire» dellereligioni in un contesto so-cio-culturale in cui esse nongodono di buona salute. Cidomandiamo: in tale situa-zione è ancora possibile e conquali modalità educare allaricerca religiosa? E perché loriteniamo essenziale? Per ri-spondere a queste domande,che ci aiutano a «tirare le fila»del percorso di quest’anno,è importante ripensare alle«parole calde» che ci hannoguidato nel nostro cammino.Ne ricordiamo qui solo alcunecome oblio, memoria, ricor-do... Si tratta di «parole cal-de» perché veicolano emo-zioni e vissuti che si radicanonell’esistenza di ciascuno siacome singolo sia come ap-partenente ad una «comuni-tà», intesa in senso lato, ov-vero come gruppo di personeche si riconoscono in qualco-sa. Non si tratta, come giàabbiamo già visto, di parole«date» una volta per tutte. Inun’epoca di «transito» come

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Educare a scorgere l’alba

più utilizzabile nell’attualemondo multicentrico e mul-ticulturale. La necessità di svi-luppare l’arte di vivere conl’alterità in modo permanentee quotidiano è ormai inevita-bile1. Da questo punto di vistale religioni si presentano co-me una possibilità semprenuova di costruire «spazi co-muni» in cui sperimentare lapossibilità del dialogo nellasua «concretezza», ovvero ri-cordando che in dialogo nonci sono mai le religioni in

quella che stiamo vivendo, al-le religioni della nuova albaè chiesto, infatti, di re-inter-pretare tutto il loro patrimo-nio simbolico creato in altraepoca, davanti ad altre do-mande, ovvero di passare «dauna grammatica religiosa adun’altra, da un codice teolo-gico ad uno nuovo». Le reli-gioni si caricano, allora, di unforte valore progettuale, cheetimologicamente invita a«spostare lo sguardo» versoqualcosa che è «più avanti»di noi. In questa progettualitàleggiamo una forte spintaeducativa, che richiede di es-sere tradotta a scuola.

Costruire il dialogo

In tale contesto ciò che puòessere assunto come paradig-ma è, forse solamente, la pos-sibilità di costruire il dialogo.Di fronte ad una realtà sem-pre più globale e plurale, ildispositivo di conversione eassimilazione, cioè la ricettapremoderna per gestire lapresenza dell’alterità, non è

ascuolaeoltre

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l’ora delle religioni

quanto entità astratte, ma lepersone che si riconosconoin una religione. Ma anchequest’ultima affermazionepuò nascondere le insidie del-la reificazione, che è quantodi più pericoloso possa acca-dere se si vogliono costruirespazi di dialogo e di confron-to. Questo non solo perché«le appartenenze che conta-no nella vita di ognuno nonsono sempre quelle, ritenutefondamentali, che hanno ache vedere con la lingua, ilcolore della pelle, la naziona-lità, la classe sociale, la reli-gione»2, ma anche perché, inuna società complessa e «li-quida», «l’identità si configu-ra sempre più come un cam-po piuttosto che come unarealtà essenziale, come un si-stema di coordinate o di vet-tori di significato, con possi-bilità e limiti che possiamo ri-conoscere e che contribuia-mo a definire»3. In altri ter-mini, è importante ricordareche non sono le culture o lereligioni in astratto che s’in-contrano, ma le persone che«vivono» culture e religionidiverse.

Una riflessione sul linguaggio

Il nodo della questione staquindi nella possibilità di co-struire relazioni significativesenza «reificare» e «cristalliz-zare» concetti come identitàe cultura. Dal punto di vistaeducativo ciò impone una ri-flessione anzitutto sul lin-guaggio da utilizzare per co-struire percorsi di dialogo in-terreligioso. Deve trattarsi diun «linguaggio» non dogma-tico, che parta dall’esperienzae che, riconoscendo l’impre-scindibilità della relazione,

possa aiutare esperienze d’in-contro, anche indiretto (tra-mite il racconto di storie divita) con chi appartiene adaltre culture e religioni. Dalpunto di vista metodologico,l’educatore è chiamato a sti-molare la curiosità, invitandoal rispetto delle reciproche di-versità, utilizzando l’autobio-grafia come metodo forma-tivo e ricercando momentidialogici, al fine di realizzarequel bisogno di riconosci-mento dell’altro che si richia-ma alla necessità dell’esserein relazione che già Bertolini4

sottolineava come fonda-mentale. In questo senso ildecentramento, di cui già ab-biamo parlato la volta scorsa,assume il significato, al di làdel rischio del relativismo, di«mettersi nei panni di». Inquesto modo è possibile edu-care all’empatia, intesa come«l’itinerario che conduce al-l’altro, che conduce “a casasua”»5, ovvero la capacità dimettersi nei suoi panni purrestando se stessi. È proprioquesta metaprospettiva chepuò consentirci di approdaread una metaidentità, ovveroad un’identità arricchita, chepuò aprirsi a quello che Pa-nikkar definisce «dialogo dia-logale» e che riesce a superareil «dialogo dialettico». Non sitratta più, allora, di misurare

la verità dell’uno e dell’altro,quanto di capire che la veritàè sempre più in là delle nostredefinizioni, più grande di ogniteologia. Per questo l’incontrocon l’altro diventa fecondo:non nasce una nuova verità,ma la consapevolezza di avercapito qualcosa di più su diessa. Nello stesso tempo, ilconcetto di diversità si lega inmodo inestricabile a quello diidentità, anche - ma non solo- culturale. La sfida, allora,non è più «come ripensare lostraniero», anche dal puntodi vista religioso, ma come«ripensare noi stessi» a partiredall’alterità che ci chiama a«disapprendere», a rinunciarea pensare come al solito, ac-cettando l’estraneità a sestessi.

Una didattica che mettaal centro l’importanzadella relazione

Ciò significa, dal punto di vi-sta didattico, proporre inno-vazioni che rispecchino alcuniprincipi della pedagogia in-terculturale, che mettono alcentro (come abbiamo visto)l’importanza della relazione,

del dialogo, della valorizza-zione della diversità. Per que-sto fine le metodologie didat-tiche più adeguate paiono es-sere quelle «a mediazione so-ciale», come il cooperative le-arning. L’educazione interre-ligiosa è strettamente legataall’educazione interculturaleche ci richiama, a sua volta,come sostenuto da Giusti6, araccogliere gli «avvertimentidella pedagogia intercultura-le», ovvero ad imparare a nondare nulla per scontato nellaconvivenza reciproca, ad es-sere disposti a decodificaresimboli che non conosciamo,a conoscere codici educatividiversi, ovvero pensare a per-corsi educativi che, fondan-dosi sulla relazione in quantopotenziale di sviluppo inte-grale della persona, sviluppi-no la responsabilità, la cura,la fiducia, l’interdipendenzapositiva, finalizzate allo svi-luppo armonico del sé, intesocome soggetto attivo all’in-terno del proprio contesto(familiare, amicale, scolasti-co…) e partecipe alla vita del-la propria comunità attraver-so le relazioni che instaura. Solo costruendo spazi di dia-logo è possibile dare al dia-logo tra religioni la possibilitàdi far scorgere l’alba «oltrel’imbrunire». nnn

1 Z. Bauman, Conversazioni sull’educa-zione, Erickson, Trento 2012.2 A. Maalouf, L’identità, Bompiani, Mi-lano 1999 (2a ed. 2005), p. 21.3 A. Melucci, Culture in gioco. Differenzeper convivere, Il Saggiatore, Milano2000, p. 108.4 P. Bertolini, L’esistere pedagogico. Ra-gioni e limiti di una pedagogia comescienza fenomenologicamente fondata,La Nuova Italia, Firenze 1988.5 G. Milan, Comprendere e costruirel’intercultura, Pensa MultiMedia, Lecce2007.6 M. Giusti, Pedagogia interculturale.Teoria, metodologie, laboratori, Laterza,Roma-Bari 2004.

Il nodo dellaquestione sta

nellapossibilità di

costruirerelazioni

significativesenza

«reificare» e«cristallizzare»

concetticome identità

e cultura

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TROVARE L’ALBA DENTRO L’IMBRUNIRE. ARTE PASSIONE INTERCULTURA

ARTE E INTERCULTURA

TROVARE L’ALBA DENTRO L’IMBRUNIRE.

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OPERATORI E RICERCATORI, CHE IN DIVERSE FORME E MODI CONDUCONO ESPERIENZE ARTISTICHE, TESTIMONIANO COME L’ARTE, ESPRESSIONE

DELL’IDENTITÀ CULTURALE, SIA VIATICO DELL’INCONTRO INTERCULTURALE. CONOSCERE LE FORME ARTISTICHE E I PATRIMONI DI ALTRE CULTURE

EDUCA LE POSSIBILITÀ PERCETTIVE, IL SENSO ESTETICO, LE CATEGORIE, IL VISSUTO CORPOREO E RELAZIONALE. MA ANCOR PIÙ, L’INGAGGIO CO-

CREATIVO DEI LABORATORI COSTRUISCE I PONTI CHE TRANSITANO LA TRADIZIONE CULTURALE VERSO L’APERTURA A NUOVE INTER-CULTURE E

NUOVE COMUNITÀ. CIASCUNO SA «CHE NIENTE COLPISCE L’ANIMA, NIENTE LE DÀ TANTO ENTUSIASMO, QUANTO I MOMENTI DI BELLEZZA - NELLA

NATURA, IN UN VOLTO, UN CANTO, UNA RAPPRESENTAZIONE O UN SOGNO. E SENTIAMO CHE QUESTI MOMENTI SONO TERAPEUTICI NEL SENSO PIÙ

VERO: CI RENDONO CONSAPEVOLI DELL’ANIMA E CI PORTANO A PRENDERCI CURA DEL SUO VALORE»1. EPPURE IL VENTESIMO SECOLO HA MESSO IN

DISCUSSIONE IL VALORE DELLA BELLEZZA PER I GRAVI EVENTI CHE HANNO SCONVOLTO L’UMANITÀ E HA INTERROTTO IL LEGAME MILLENARIO TRA

ARTE E BELLEZZA, DICHIARANDO CON DISPREZZO LA CONTRADDIZIONE TRA BELLO E BUONO, TRA ESTETICA ED ETICA2. MA QUESTO NON HA

CANCELLATO IL VALORE DELLA BELLEZZA E DOPO UNA LUNGA RIMOZIONE, FINALMENTE ESSA TORNA A PROPORSI. QUALUNQUE SIA LA SUA DE-

FINIZIONE, ANZI PROPRIO IN FORZA DI UNA PLURALITÀ DI DEFINIZIONI, OGGI CONDIVIDIAMO CHE «LA BELLEZZA È UN’OPZIONE PER L’ARTE E

NON UNA CONDIZIONE NECESSARIA. MA NON È UN’OPZIONE PER LA VITA. È UNA CONDIZIONE NECESSARIA PER LA VITA COSÌ COME VORREMMO

VIVERLA. QUESTO È IL MOTIVO PER CUI LA BELLEZZA, A DIFFERENZA DI ALTRE QUALITÀ ESTETICHE, SUBLIME INCLUSO, È UN VALORE»3. OGNI

ESPERIENZA ESTETICA, IN PARTICOLARE QUELLA DEL BELLO, PUÒ ESSERE UN MOMENTO DI RIFONDAZIONE DELL’UMANO, DI EDUCAZIONE, DI

CURA; E LA PRATICA DELL’ARTE COME PROMOTORE INTERCULTURALE RICONGIUNGE ESTETICA ED ETICA

ANCHE GRAZIE ALLA BELLEZZA, CHE INTUITIVAMENTE CI SPINGE A COGLIERE NOI STESSI E GLI ALTRI ALLA

LUCE DEL LEGAME E DELLA RELAZIONE, COME PARTI INTERCONNESSE TRA LORO E CON IL TUTTO (G.I.M.)

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Parlare d’intercultura nel campo delle arti e di ciò cheesse esprimono significa affrontare questioni di sensoe relazione. Antonio Zimarino indica alcuni temi di fondo

da chiarire: è davvero necessario oggi pensare ad una inter-cultura delle arti? Ci sono situazioni storiche e sociali che ri-chiedono la necessità di cambiare paradigma riguardo alleattività artistiche? Il dialogo tra discipline artistiche in una cul-tura è complesso: una concezione estetica, un’idea e un rap-porto con l’arte, sono elementi che qualificano una cultura,pertanto quando le incontriamo, è proprio l’approccio conl’arte che spesso fornisce elementi identificativi che distin-guono alcune culture rispetto ad altre4. Proprio la conoscenzadell’arte consente di distinguere significati e modalità attraversocui una cultura si manifesta. Perciò è difficile ripensare all’artecome elemento di dialogo, abituati come siamo a concepirlacome elemento di distinzione e identità5. La necessità di unmodo autentico di dialogare che ci rimetta continuamente indiscussione appare l’unica possibilità per un’intercultura che

elabori significati nuovi, in una relazione reciproca rispettosadell’identità e della diversità di ogni espressione.

LE CONDIZIONI CONTEMPORANEE DELLE RELAZIONI TRA CULTURE

La comunicazione abbrevia le distanze nel processo di cono-scenza dei diversi fenomeni espressivi e oggi ci si può facil-mente confrontare con espressioni di tutto il mondo, in unavera arte globalizzata6. Conoscere in tempi rapidissimi checosa avviene nelle differenti culture consente di aumentare losviluppo creativo, le nuove tecnologie digitali aprono la pos-sibilità d’integrare facilmente tra loro diverse espressioni. At-traverso queste due spinte la ricerca e la sperimentazione ar-tistica vanno oltre se stesse. La comunicazione costringe al-l’incontro, ma non realizza un reale atteggiamento intercultu-rale; la sua natura pervasiva e veloce non favorisce la com-

NADIA SAVOLDELLI

ARTE E INTERCULTURA

INTERCULTURA E INTERDIPENDENZA NELL’ARTE

a cura di Giulia Innocenti Malini e Nadia Savoldelli

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maggio 2013 | cem mondialità | 19

LE ESTETICHE TRADIZIONALI, IN PARTICOLARE

QUELLA OCCIDENTALE, HANNO TENTATO DI

DEFINIRE TEORIE CON PROPOSTE

CONTRADDITTORIE, PERCHÉ PARTIVANO DA

VISIONI CULTURALI CIRCOSCRITTE. SE MANCA

UNA DEFINIZIONE, MANCA UN’IDENTITÀ SU CUI

COSTRUIRE SCALE DI VALORI.

È DUNQUE NECESSARIO RIVEDERE I PARADIGMI

SUI QUALI FINORA ABBIAMO PARLATO D’ARTE.

ARTE NON PUÒ PIÙ ESSERE UN SISTEMA

DEFINITO MA È UN COMPLESSO DI RELAZIONI CHE

DI VOLTA IN VOLTA SI ESPRIME E DI CUI DOBBIAMO

RICERCARE IL SENSO

prensione profonda delle esperienze e non con-sente la persistenza dei linguaggi: le opere sonospesso utilizzate per ragioni commerciali, nellaloro dimensione spettacolare e la percezione mo-mentanea dell’arte/spettacolo non consente di ac-cedere ad un’eventuale sostanza culturale7. Un rea-le atteggiamento interculturale invece non può chefondarsi su una struttura di dialogo costruttivo ri-spettoso dell’identità. L’estetica della globalizzazioneribadisce la necessità di ricerca e dialogo sui fon-damenti, sulle identità delle culture per far sì che lacomunicazione non nullifichi il senso stesso dell’in-contro con la sua pervasività e volatilità.

LA CRISI DELLE DEFINIZIONI E LA RIDEFINIZIONE DEI PARADIGMI

Questa relazione tra culture che la comunicazionerealizza mette in crisi le teorie estetiche tradizionali:in questa dimensione di relazioni antropologiche nulladi quello che è stato storicamente definito appare ido-neo a definire in modo esauriente «cosa è arte»8. L’im-possibilità di definire la questione dell’arte è il temadei filosofi dell’esteticaanalitica, che sostituiscealla pretesa di definizio-ne l’analisi dinamicadelle relazioni tra ele-menti che identificanoquesto campo9. Le este-

tiche tradizionali, in particolarequella occidentale, hanno ten-tato di definire teorie con pro-poste contraddittorie, perchépartivano da visioni culturali cir-coscritte. Se manca una defini-zione, manca un’identità su cuicostruire scale di valori. È dun-que necessario rivedere i pa-radigmi sui quali finora abbia-mo parlato d’arte. Arte non puòpiù essere un sistema definitoma è un complesso di relazioniche di volta in volta si esprimee di cui dobbiamo ricercare ilsenso10. Occorre perdere la presunzione della centralità diun’esperienza artistico/culturale rispetto ad un’altra come datofondamentale dell’intercultura, verso la prospettiva di dialogonel riconoscimento paritetico della differenza. L’impossibilitàdi dare definizioni univoche di arte, sia a livello speculativosia antropologico culturale, ci apre alla ricerca di significatidelle relazioni possibili, per ripensare l’arte attraverso il pa-radigma della relazione e non più quello dell’identità.

dossierARTE E INTERCULTURA

L’ESTETICA DELLA

GLOBALIZZAZIONE

RIBADISCE LA NECESSITÀ

DI RICERCA E DIALOGO SUI

FONDAMENTI, SULLE

IDENTITÀ DELLE CULTURE

PER FAR SÌ CHE LA

COMUNICAZIONE NON

NULLIFICHI IL SENSO

STESSO DELL’INCONTRO

CON LA SUA PERVASIVITÀ E

VOLATILITÀ

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Anato-che?

quale non si sottrassero neppure le «banchedel popolo», ovvero: se mi depositi mille, tiriconosco gli interessi al 31 dicembre e, senon li riscuoti, diventano capitale per l’annodopo. Ma se mi chiedi in prestito mille, ti cal-colo gli interessi su base trimestrale e se nonme li saldi diventano subito nuovo debito.Questo è un anatocismo asimmetrico, poichéil creditore capitalizza i suoi interessi attiviuna volta all’anno, il debitore vede capitaliz-zare i suoi interessi passivi ogni tre mesi. La giurisprudenza sul tema è ancora vaga eda tratti contraddittoria. Di fatto, la maggiorparte delle banche ha abbandonato il sistemadell’anatocismo asimmetrico, riportando il

tutto nei binari dell’«interesse composto»(che costituiva una delle prime nozioni di ma-tematica finanziaria negli Istituti Tecnico Com-merciali degli anni ’60) su base trimestrale. Ma non possiamo dimenticare che quelle lo-giche, applicate in piena legalità per decenni,erano identiche a quelle utilizzate dagli usu-rai, gli strozzini, i cravattari, che erano solopiù drastici e spietati nel definire i tassi, itempi e le modalità del rimborso coatto. Quindi vi lascio con un brano dalla Lettera diGiacomo, capitolo 5:«E ora a voi, ricchi: piangete e gridate per lesciagure che vi sovrastano! Le vostre ricchez-ze sono imputridite, le vostre vesti sono statedivorate dalle tarme; il vostro oro e il vostroargento sono consumati dalla ruggine, la lororuggine si leverà a testimonianza contro divoi e divorerà le vostre carni come un fuoco.Avete accumulato tesori per gli ultimi giorni!Ecco, il salario da voi defraudato ai lavoratoriche hanno mietuto le vostre terre grida; e leproteste dei mietitori sono giunte alle orecchiedel Signore degli eserciti. Avete gozzovigliatosulla terra e vi siete saziati di piaceri, vi sieteingrassati per il giorno della strage. Avetecondannato e ucciso il giusto ed egli non puòopporre resistenza».Con questo Spread vi lascia, ma non è un ad-dio. Nella prossima annata si chiamerà Rebus.Non temete, non sarà una rubrica di enigmi-stica. Rebus sta, letteralmente, come ablativoplurale di res, in omaggio al fatto che CEM,sia nel convegno sia nell’annata, tratterà dicose. Rebus sic stantibus, est modus in rebus.Ma io sono un ragioniere, il mio è un latinorum,come direbbe Manzoni, d’accatto. nnn

Anatocismo, un termine che negli ultimianni è rimbalzato spesso nelle crona-che di economia spicciola. Vediamo.

Fra il ‘200 ed il ‘300 i banchieri fiorentini det-tero forma alle banche moderne, insieme aimeno noti ma altrettanto efficienti lombardi(non a caso, nella City di Londra, LombardStreet è stata per secoli la strada delle ban-che). La loro attività consisteva soprattuttonello scambio di denaro a distanza, senza bi-sogno di movimentare le monete, e nel pre-stito di capitali contro corresponsione di in-teressi. I loro clienti erano di alto o altissimorango, diciamo che oggi chiameremmo le loroimprese «banche d’affari». Più tardi il secolodei lumi e le spinte cooperativiste dall’‘800 inavanti fecero nascere le banche del popolo,come le Casse di Risparmio, le Banche delMonte, le Cooperative, le Popolari, le Ruralie così via.Le banche originarie si muovevano all’internodi un’etica cristiana alquanto fumosa, salvoil divieto di usura, dovuto all’Aquinate, ma diardua definizione giuridica. Infatti l’islam, natodopo e più pragmatico, tagliò il nodo gordianoproibendo tout court il prestito ad interesse.Ma per restare nella nostra storia, gli usi e leconsuetudini, che in mancanza di norme co-dificate regolano i rapporti intracomunitari,stabilivano che gli interessi su un debito, ban-cario o no, si calcolassero su base annua ofrazione. Se ti devo mille, dopo dodici mesi didevo dieci di interessi. Se non saldo il dovuto,il debito diventa mille e dieci e produce nuoviinteressi. Ecco l’anatocismo: il calcolo degliinteressi sui vecchi interessi divenuti capitaledi debito; poi per esigenze di praticità conta-bile, il momento del calcolo e quindi dell’ana-tocismo, diventò il 31 dicembre di ogni anno.E fin qui ci può stare. Ma poi, nel ‘900, le ban-che inventarono un curioso meccanismo, al

gianni [email protected]

SE TI DEVO MILLE, DOPO DODICIMESI DI DEVO DIECI DI INTERESSI.

SE NON SALDO IL DOVUTO, ILDEBITO DIVENTA MILLE E

DIECI E PRODUCE NUOVIINTERESSI. ECCOL’ANATOCISMO: IL

CALCOLO DEGLI INTERESSISUI VECCHI INTERESSI

DIVENUTI CAPITALE DIDEBITO; POI PER ESIGENZE DI

PRATICITÀ CONTABILE, ILMOMENTO DEL CALCOLO E

asso

P

artisnell

pu

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maggio 2013 | cem mondialità | 21

IL METODO OCCORRE LA CREDIBILITÀ DI CIÒ CHE OGGI SI PUÒ DIRE O FARE IN

ARTE, DATO DALLA CHIAREZZA E DALLA COERENZA DEL METODO

CHE SI SCEGLIE. LA POSSIBILITÀ DI REALIZZARE UN REALE PRO-

CESSO INTERCULTURALE ANCHE NELL’ARTE DIPENDE IN GRAN

PARTE DALL’APPROCCIO. IN SOSTANZA CIÒ CHE DICO, PRODUCO,

ESPRIMO È CREDIBILE, EFFICACE, SENSATO SE IL MIO MODO DI

PROCEDERE LO È ALTRETTANTO, SE È RICONOSCIBILE E CONDIVI-

SIBILE DA ALTRI. COSA PUÒ DARE COERENZA E CREDIBILITÀ AL

METODO? CERTAMENTE LA CHIAREZZA DEL SUO PROCESSO E LA

VALIDITÀ RICONOSCIBILE E CONDIVISIBILE DEI SUOI FONDAMENTI.

C’È BISOGNO DI UN UN TERRITORIO COMUNE, DI ELEMENTI FON-

DATIVI SUI QUALI COSTRUIRE RELAZIONI EFFICACI E CREDIBILI

ALLA COMPRENSIONE RECIPROCA. È NECESSARIO DEFINIRE LA

QUALITÀ DELL’APPROCCIO AI PROBLEMI DELL’INTERCULTURA E IN-

DIVIDUARE UN FONDAMENTO CHE TENGA INSIEME IL SUO COM-

PLESSO E DELICATO SISTEMA DI RELAZIONI.

LA SPIRITUALITÀ DELL’UNITÀ ALLAQUESTIONE DELL’ARTE

Chiara Lubich offre una chiave di lettura: l’arte èsaper trasfondere in un dipinto, in una scultura, inun’architettura, in una musica... qualcosa di quelche nell’anima non muore11. È una «non defini-zione» che esprime un processo dell’attività arti-stica senza volere concludere alcunché. Si trattadi un’intuizione che non riguarda la forma dell’arte,ma il suo essere processo tra forma, riflessioneinteriore e percezione: è una relazione. L’arte è sa-per trasfondere cioè processo con un attore chesa «come operare per». Trasfondere in qualcosaimplica azioni: trasferire passare da, a... e fonderecioè mettere dentro qualcosa che c’era, qualcosadi nuovo che si con-fonda nel precedente. Nel tra-sfondere c’è il senso di un’azione, fare, impararee manipolare. Ma trasfondere non è applicare qual-cosa da fuori, ma portare dentro la materia che siutilizza, ciò che si sente necessario portare, perfar sì che quella materia sia altro. È in-formarsi,far diventare forma una dimensione che origina-riamente non lo è ma che sento il bisogno che sia.Il voler dare forma implica per l’artista una rela-zione con chi guarda; ha la necessità che gli altririconoscano qualcosa di quel che nell’anima nonmuore. Ma cos’è importante per desiderare chenon muoia e che possa essere percepito da chi loguarderà da altri punti di vista, altre visioni culturali,altre epoche? Lubich non lo può dire perché quellaè l’intuizione, sta all’autonomia di ciascun artistadi fronte all’Eternità che sente vera in sé.

1 J. Hillman, Politica della bellezza, Moretti & Vitali, Bergamo1999, p. 87.2 A. Danto, L’abuso della bellezza. Da Kant alla Brillo Box, Po-stmedia, Milano 2008, p. 66.3 Ivi, p. 179.4 C. Geertz, Antropologia interpretativa, Il Mulino, Bologna 2004,pp. 119-152.5 Cfr. C. Geertz, cit., e U. Fabietti, Elementi di antropologia culturale,Mondadori Università, Milano 2004 (ed. 2009), pp. 267-285.6 Y. Michaud, L’artista e i commissari, Idea ed., Roma, 2008, pp.61-92; 179 -182; Aa.Vv., Estetiche della globalizzazione, Manife-stolibri, Roma 2001.7 Cfr. M. Perniola, Contro la comunicazione, Einaudi, Torino2004, pp. 67- 81; A. Zimarino, Al riparo dal pensiero, Tracce,Pescara 2007, pp. 57-64; 86-89.8 Cfr. C. Geertz, cit., e N. Warburton, La questione dell’arte, Ei-naudi, Torino 2004.9 G. W. Bertram, Arte. Un’introduzione filosofica, Einaudi, Torino2008, pp. 5-33; P. D’angelo, La definizione dell’arte, in: Aa.Vv., In-troduzione all’estetica analitica, Laterza, Roma-Bari 2008, pp. 3-36.10 Cfr. Aa.Vv., Che cosa è arte. La filosofia analitica e l’estetica,Utet Università-De Agostini, Novara 2007.11 C. Lubich, La madonna di Michelangelo, in Pensieri, CittàNuova, Roma 1991, pp. 95-97.

dossierARTE TECNOLOGIA E NUOVI MEDIA

NADIA SAVOLDELLIÈ docente di discipline artistiche,

logopedista e formatrice. Dirigeassociazioni educative e culturali tra cui

il Centro del gioco e del giocattolo diPonteranica (Bg). Opera in CEM come

formatrice e componente dellaredazione per la rivista. È direttrice

artistica del «Festival del teatro classiconella scuola» a Lovere. Ha collaborato a

pubblicazioni sul teatro nella scuola esull’educazione interculturale.

[email protected]

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dossierARTE E INTERCULTURA

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L’educazione all’intercultura attraverso l’arte, forma di espressione e dicomunicazione che ha la grande capacità di rompere le barriere, le dif-ferenze e le ignoranze pericolose e dannose che generano squilibrio ed

indifferenza, permette la riscoperta di se stessi attraverso l’altro. E l’arte vaoltre l’essere pura godibilità estetica, che nelle sue possibili forme e contenutinon è ascrivibile a una determinazione culturale elettiva, e questo linguaggionon verbale si predispone meglio della parola ad incoraggiare lo scambio trapopoli e la conoscenza delle culture geograficamente e storicamente lontane,con il positivo risultato di avvicinarle. L’arte, quindi, solleva lo spettatore oltre ilsuo ego individuale o collettivo, qualificandosi come strumento privilegiato persviluppare l’educazione interculturale, essenziale per rimuovere ogni forma diparticolarismo culturale e accomunare l’intera umanità, superando divisioni efacilitando relazioni e mescolanze, abituando le persone al confronto e all’in-terpretazione. In tal modo, quindi, l’accento non cade sulle differenze irriducibili,ma su ciò che di universale possiede ogni cultura, oggi ancor più enfatizzatodagli effetti della globalizzazione, cosicché ogni uomo è superiore alla propriacultura. Per questo, l’arte si presta bene come catalizzatore di incontri traportatori di culture diverse, in quanto abitua al confronto e allo scambio, offrela scoperta di nuovi modi di pensare e di essere; è un continuo spostamento diconfini, un superamento degli stereotipi, uno sconvolgimento delle consuetudini;è invenzione di nuovi scenari, di nuovi stili, di nuovi linguaggi; è un ponte perl’interculturalità. In questo scenario, l’arte è vista come via migliore per avvicinarsialle altre culture e per costruire ponti di dialogo e di collaborazione tra di esse.Alla luce di queste premesse nasce un progetto educativo che come talegenera un cambiamento, perché una volta che si è creata una certa empatia,l’osservatore non è più lo stesso, perché è cambiato lui ed i suoi criteri. L’arteè misteriosa e poetica. Richiede molto impegno sia per farla sia per capirla... èricerca, esplorazione di codici e simboli, materiali e strumenti, contenuti e

ARTEE

INTERCULTURA

LA PROSPETTIVA INTERCULTURALEDELL’ARTE NELLA FORMAZIONE SEM GALIMBERTI

SEM GALIMBERTI È INSEGNANTE, PITTORE E

PUBBLICISTA, DOCENTE NEI CORSI DI EDUCA-

ZIONE DEGLI ADULTI E DELLA TERZA UNIVER-

SITÀ; GUIDA DIDATTICA DEL MUSEO ARCHEO-

LOGICO E DELLA GALLERIA D’ARTE MODERNA

E CONTEMPORANEA DI BERGAMO; PUBBLICI-

STA ISCRITTO ALL’ORDINE DEI GIORNALISTI DI

ROMA; CURATORE DI MOSTRE D’ARTE; HA

SCRITTO SAGGI SU RIVISTE, ARTICOLI DI CUL-

TURA ARTISTICA, LIBRI DI TESTO, MONOGRAFIE.

[email protected]

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per un nuovo patto tra le generazioni 1

Dopo aver esplorato e cercato di ri-significare,attualizzandole, le quattro virtù cardinali, con-cludiamo con quest’ultimo inserto l’approfon-

dimento delle virtù teologali soffermandoci sulla carità,la più grande di tutte! È veramente difficile oggi trovareun percorso tematico che possa risultare interessanteper i lettori. Abbiamo la speranza di esserci riusciti.

LE VIRTÙ: UNA VIA EMINENTE DI EDUCAZIONE ALLA CITTADINANZA

Le virtù, come abbiamo ribadito più volte, non s’inse-gnano come fossero solo delle conoscenze, ma alle virtùsi può (e si deve) educare perché esse sono un ottimo«cibo» per alimentare e far crescere una persona buonae, in particolare, un buon cittadino. Anzi, le virtù sono

una via eminente di educazione alla cittadinanza e al-l’etica pubblica. Infatti una caratteristica fondamentaledell’uomo virtuoso è appunto quella di prendersi curadella polis, del bene comune, della vita pubblica, dellacollettività. Nella Grecia classica coloro che si facevano ifatti propri (in greco ton idion) venivano definiti, lette-ralmente, ma anche con disprezzo, idiotai, «idioti». Il vi-zioso è miope e non sa fare gli interessi degli altri, perchéin realtà non sa fare neppure i propri. Le città sepoltedall’immondizia, lo spreco del denaro pubblico e l’eva-sione fiscale, che costringono lo Stato a tenere altissimele tasse e a rendere servizi meno qualificati, il clima d’in-dividualismo e corporativismo selvaggi che paralizzanolo sviluppo del paese, sono la prova che esistono i «furbi»,ma anche che essi non sono poi così furbi come credono.Perciò educare alla cittadinanza, intesa come percezionee custodia del bene comune, è interesse di tutti. In questoambito non possono esserci educatori per definizione,come nella famiglia i genitori e nella scuola gli insegnanti,ma ogni cittadino è al tempo stesso responsabile e de-stinatario di un’educazione a valori condivisi su cui fon-dare un’etica pubblica.

LA CARITÀ VA OLTRE LA SOLIDARIETÀ E LA GIUSTIZIA

Vediamo anzitutto cos’è la carità nella Bibbia. ScriveGiovanni, l’apostolo prediletto: «Dio è amore; chi rimanenell’amore rimane in Dio e Dio rimane in Lui» (1 Gv 4,16). E Paolo aggiunge: «Ora dunque rimangono questetre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grandedi tutte è la carità» (1 Cor 13,13) . Padre Giorgio Maria

a cura di ANTONELLA FUCECCHI - ANTONIO NANNI

«...MA LA PIÙGRANDEÈ LA CARITÀ»

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Carbone, domenicano e docente di teologia morale pres-so la Facoltà di teologia dell’Emilia Romagna, nel suovolume dal titolo Ma la più grande di tutte è la carità(Edizioni Studio Domenicano) afferma che la carità cri-stiana oltrepassa la solidarietà e la giustizia. Per lui lacarità è l’identità stessa di Dio. È quanto impariamodalla prima lettera dell’apostolo Giovanni: «Dio è amore»(1 Gv 4,16). In questo passo l’apostolo usa il terminegreco agape, che significa amore gratuito di benevo-lenza. La carità significa anche l’amore con il quale Dioama ognuno di noi: e Dio ci ama con lo stesso amorecon il quale ama sé, cioè ci ama nello Spirito Santo. Èquesto il senso della preghiera che Gesù rivolge al Padreprima dell’arresto (Gv 17, 26). Cosa distingue la caritàcristiana dal concetto di solidarietà e di giustizia? L’ele-mento caratteristico che fa la differenza è l’origine, lafonte e la consapevolezza di questa origine. La carità èla natura stessa di Dio, è il fatto che Dio mi ama conl’amore con il quale egli ama se stesso. Quindi, la caritàtrova la sua origine in Dio stesso e ci rende conformialla vita di Cristo.La solidarietà, l’altruismo, la generica benevolenza sonobuone disposizioni dell’animo umano e come tali sonoapprezzabili, possono condurre a compiere gli stessigesti cui può condurre la carità. Ma l’origine e la metadella solidarietà, dell’altruismo sono diverse. Mentrela carità ha come meta Dio stesso, cioè il partecipare

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alla sua stessa vita di amore e di felicità, la solidarietàumana ha come meta una realtà più immediata, l’aiutovicendevole. Per la teologia classica c’è una netta di-stinzione tra la fede e la carità. La differenza è questa.La fede perfeziona l’intelligenza umana e le fa conoscereDio stesso. La carità, invece, perfeziona la volontà e lavolontà si porta sulla persona amata così come questaè in se stessa. Per questo la carità è più eccellenteanche rispetto alla fede.

LA CARITÀ: DA BENEDETTO XVI(«CARITAS IN VERITATE») A FRANCESCO («VANGELO SINE GLOSSA»)

Sul rapporto tra l’educazione e la carità sono stati scrittiscaffali di libri, saggi, articoli, conferenze. Nel 2009 èstato Benedetto XVI a dedicare al tema della carità lapiù apprezzata delle sue encicliche: Caritas in veritate.Ne emergono due principi fondamentali: il dono e lafraternità. Con la cultura del dono (e della giustizia,ovviamente) è necessario ripensare l’economia, con lacultura della fraternità è necessario ripensare la politica.Questa è la via per tradurre la carità nel tempo dellaglobalizzazione, altrimenti siamo certo più vicini, manon per questo più solidali. Anche CEM Mondialità si èpiù volte occupato di dare voce a questa prospettivanella consapevolezza delle grandi difficoltà, ma semprecon la speranza di «trovare l’alba dentro l’imbrunire».Le sorprendenti e imprevedibili dimissioni di BenedettoXVI hanno prodotto sconcerto e smarrimento in tantepersone, ma hanno anche suscitato nuove attese e nuoviinterrogativi. La scelta del conclave di affidare la guidadella chiesa a Francesco è apparsa ardita e coraggiosa,un consegnarsi senza calcoli nelle mani della Provvi-denza. E Francesco sta muovendo i primi passi versouna direzione del tutto inedita se paragonata agli ultimisecoli della chiesa. È ancora presto per fare un bilancioe dire in che cosa consista la svolta verificatasi con ilcambio di pontificato. Ma qualcosa comincia già ad af-fiorare dalle parole, dai segni, dai gesti, dalle primescelte di papa Francesco. Non è soltanto uno stile nuovoma una concezione, e ancor più, una visione di chiesae di umanità che è cambiata.

EDUCARE ALLACITTADINANZA, INTESA

COME PERCEZIONE ECUSTODIA DEL BENE

COMUNE, È INTERESSE DITUTTI. IN QUESTO

AMBITO NON POSSONOESSERCI EDUCATORI PER

DEFINIZIONECOME NELLA FAMIGLIA

O NELLA SCUOLA

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L’OMELIA D’INIZIO PONTIFICATO

Ci limitiamo qui a riportare brevi stralci della sua omeliapronunciata nella messa d’inizio del ministero petrino (19marzo 2013, festa di S. Giuseppe).«Custodiamo Cristo nella nostra vita, per custodire gli altri,per custodire il creato!La vocazione del custodire, però, non riguarda solamentenoi cristiani, ha una dimensione che precede e che è sem-plicemente umana, riguarda tutti. È il custodire l’interocreato, la bellezza del creato, come ci viene detto nel Librodella Genesi e come ci ha mostrato san Francesco d’Assisi:è l’avere rispetto per ogni creatura di Dio e per l’ambientein cui viviamo. È il custodire la gente, l’aver cura di tutti, diogni persona, con amore, specialmente dei bambini, deivecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nellaperiferia del nostro cuore. È l’aver cura l’uno dell’altro nellafamiglia: Siate custodi dei doni di Dio!E quando l’uomo viene meno a questa responsabilità di cu-stodire, quando non ci prendiamo cura del creato e dei fra-telli, allora trova spazio la distruzione e il cuore inaridisce.In ogni epoca della storia, purtroppo, ci sono degli “Erode”che tramano disegni di morte, distruggono e deturpano ilvolto dell’uomo e della donna. [...] Il prendersi cura, il cu-stodire chiede bontà, chiede di essere vissuto con tenerezza.[...] Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizioe che anche il papa per esercitare il potere deve entraresempre più in quel servizio che ha il suo vertice luminososulla Croce. Solo chi serve con amore sa custodire!».

LA CARITÀ POLITICA HA BISOGNO DI STRUMENTI PER OPERARE

Abbiamo visto come la carità sia amore (agape) e gratuità(dono) e come essa conduca la relazione sociale verso lasolidarietà e la giustizia. Questo significa che la carità nonè fatta solo di sentimenti e di emozioni ma anche di stru-menti concreti per operare nella polis, perché la carità èpolitica, e - come diceva Paolo VI - è forma eminente dellacarità. Vogliamo qui richiamare tre strumenti particolar-mente efficaci per tradurre in opere le esigenze della caritànella vita sociale: strumenti di global governance; strumentid’integrazione nella società multietnica; un’agenda condivisaper poter calendarizzare le iniziative glo-cali.

Francesco ci sta comunicando che solo con la via del pen-siero, vecchio e nuovo, non si rinnova un bel niente e nonsi va da nessuna parte. Bisogna accompagnare il pensierocon le opere, la riflessione con la testimonianza, le parolecon le azioni, i concetti con i comportamenti, le idee con igesti, i buoni propositi con i fatti concreti. Insomma, percambiare in profondità la realtà delle cose è necessariopartire da se stessi e vivere (non solo pensare) in modo di-verso, costi quello che costi. Questa non è una nuova edennesima enciclica ma, alla lettera, il vangelo sine glossa.Alla luce di questo messaggio che fa tutt’uno con la suavita, Francesco può mettersi alla guida della piena rievan-gelizzazione del mondo e della chiesa. Il passaggio dall’oroall’argento del suo «anello piscatorio» è solo un gesto sim-bolico di tanti altri cambiamenti ben più strutturali cheseguiranno a partire dalla Curia Romana e dalle nuove at-tività della chiesa.

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Cesare Ripa, «La carità».

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STRUMENTI DI «GLOBAL GOVERNANCE»

È chiaro che sono necessari due ordini di «sfondamento»,uno teorico e uno istituzionale, altrimenti sarà impos-sibile una nuova global governance. Siamo infatti din-nanzi a un obiettivo innovativo della cittadinanza glo-bale, che richiederà non solo empatia, solidarietà e par-tecipazione, ma coscienza politica e creatività istitu-zionale poiché serve nel mondo di oggi «un grado su-periore di ordinamento internazionale» (Sollicitudo reisocialis, 20). Per essere concreti qui proponiamo:

Un’Autorità pubblica a competenza universale (comepropone il Pontificio Consiglio Justitia et Pax) sui pro-blemi dell’economia che vada oltre la Banca Mondiale,il Fmi, il Wto, la Bce, ecc.; Una Seconda Assemblea dell’Onu (dove siedano irappresentanti delle Ong, delle Chiese, dei movimenti),la cosiddetta Onu/2 (Stefano Zamagni) che valorizzi,rafforzi e dia autorevolezza all’Ecosoc (che già esiste alivello consultivo presso l’Onu); L’istituzione di un Consiglio mondiale dei giovani edi un Consiglio mondiale delle donne.

STRUMENTI PER L’INTEGRAZIONE NELLA SOCIETÀ MULTIETNICA

In una società plurale e multietnica come la nostra, lacarità deve proporsi obiettivi d’integrazione favorendouna maggiore inclusività e rafforzando la coesione so-ciale e la convivenza civile. Va inoltre notato che inseno alla chiesa esistono posizioni ancora più avanzate,come ad esempio quella dell’arcivescovo di Milano, car-dinale Angelo Scola, che propone coraggiosamente «unmeticciato di civiltà e di culture». Qui siamo però oltrela logica del Cortile dei Gentili perché il tempio è solouna cicatrice del passato. Obiettivi da realizzare sono:

Riforma della legge 91 del 5 febbraio 1992 sulla cit-tadinanza. La campagna «L’Italia sono anch’io» proponedue novità: il diritto del suolo e il diritto di voto. Coinvolgere, favorire e promuovere le «Seconde gene-razioni» (Rete G2, Forum G2, Blog G2, Yalla Italia, ecc.). Diffondere e far conoscere la Carta dei valori, dellacittadinanza e dell’integrazione (23 aprile 2007). Sostenere e collaborare con i Centri interculturali (inItalia sono più di 80). Organizzare e promuovere in ogni città, con la par-tecipazione delle comunità migranti, la festa dei popoli

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(che a Roma si celebra dal 1991). Questa festa è stataideata e promossa da Caritas e Migrantes.

UN’AGENDA CONDIVISA PER CALENDARIZZARE LE INIZIATIVE GLOCALI

Serve dunque uno strumento operativo molto sempliceper favorire la sensibilizzazione e il coinvolgimento deicittadini. Si potrebbe dare risalto ad alcuni giorni e ri-correnze del calendario, come ad esempio:

1° gennaio: giornata mondiale della pace 17 gennaio: giornata mondiale del migrante e del ri-fugiato 20 febbraio: giornata mondiale della giustizia sociale 8 marzo: giornata mondiale della donna 21 marzo:giornata mondiale per l’eliminazione delladiscriminazione razziale 22 marzo: giornata mondiale dell’acqua 12 settembre: giornata dell’interdipendenza (BenjaminBarber) 15 settembre: giornata mondiale della democrazia 17 ottobre: giornata mondiale per lo sradicamentodella povertà 27 ottobre: giornata del dialogo cristiano-islamico 14 novembre: giornata mondiale del ringraziamento 5 dicembre: giornata mondiale dei Volontari per losviluppo economico e sociale 10 dicembre: giornata mondiale dei diritti umani

IL VIAGGIO CONTINUA

Concludiamo il nostro percorso di riscoperta delle virtùcon un pensiero di Mario Luzi, che nella poesia Nelmese di giugno, nella raccolta Il gusto della vita (Milano,Garzanti,1960) così si esprimeva: «La virtù quando nongiunge/ fino all’amore è cosa vana». Per questo la bea-titudine più intensa che la Bibbia riserva al giusto po-trebbe essere quella del Siracide, sapiente del II sec.a.C.: «Beati coloro che si sono addormentati nell’amore!»(48,11). Ma il nostro viaggio non si ferma qui. Nellaprossima annata 2013-2014 proseguiremo con la rivi-sitazione anche dei vizi collettivi, alla ricerca dei principidi Etica pubblica da ridefinire sulla base di un realismoche faccia parlare le cose e promuova la riscoperta deiBeni Comuni.

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dossierARTE E INTERCULTURA

cialità urbana. Quando nella programmazione curriculare l’in-segnante inserisce iniziative legate alla didattica dell’arte, nonattua solo gli indirizzi degli orientamenti contenuti nei pro-grammi ministeriali, bensì stabilisce una serie di collegamenticon le altre discipline che concorrono alla formazione organicadell’individuo. Nella fase pratica di lettura, scrittura, manipolazione, produ-zione creativa e rielaborazione della proposta artistica, l’alunnoconquista progressivamente autonomia di giudizio e di scelta.Lo sviluppo della tecnologia e degli strumenti di comunica-zione contribuisce ad ampliare i confini della conoscenza edel sapere. Di fronte ad un’opera d’arte gli allievi iniziano alavorare in uno spazio neutro sul proprio corpo e sulle suepossibilità espressive e comunicative. Sollecitati da domandeimpossibili («Cosa ti sei messo in testa?», «Cosa c’è dentro dite?») s’interrogano, cercano soluzioni coerenti e reali ma ancheimmaginative e fantastiche, lasciando poi traccia grafica epittorica del proprio vissuto. Nasce anche un’azione collettivache prevede uno spazio di rappresentazione, la costruzionedi un canovaccio parlato, oggetti utili ad un happening. Lapresentazione della vita e delle opere di artisti invece può sti-molare i bambini a misurarsi con l’alfabeto dell’arte: dalloscarabocchio non intenzionale ai labirinti di linee, dai segniancestrali agli alfabeti delle lingue del mondo, dalle formechiuse ai percorsi stradali, dalle mappe alla ricerca del tesoro.Dalle tecniche si arriva al prodotto collettivo con agglomeratodi segni alfabetici fantastici. Quante varianti sono ancora pos-sibili? Ognuno può scegliere la soluzione più adatta alla propriasensibilità. Altri lavori, in particolare i volti notissimi della popart, offrono la possibilità di esplorare nel mondo infantile leicone più riconosciute e popolari (personaggi dei cartoni ani-mati, star della tv, cantanti, sportivi...) ma soprattutto le possi-bilità espressive della propria immagine. Utilizzando una fonteluminosa si evidenziano sagome e oggetti, corpi e silhouette,ombre di profili. Si lavora sulle possibilità comunicative delviso che modifica la sua espressione in relazione alle emozioni,agli stati d’animo, alla fatica... ma anche all’influenza di agentiesterni come la maschera o il trucco. E così ecco nuove opereartistiche in un viaggio che attraversa l’individuale e il collettivo.L’arte non è privilegio di pochi. Non è neppure un fatto ag-giuntivo all’educazione, ma ne è parte integrante. Lavorareda artisti senza la pretesa di essere artisti!

forme, pulsioni individuali e influenze sociali, stile e ricono-scibilità. Gli elementi costitutivi dell’opera sono un valido stru-mento per stimolare l’immaginazione, sperimentare l’autono-mia di gusto e di giudizio nel piacere di mettersi in gioco.L’opera è il pretesto di un’esperienza ludica. Nell’attività edu-cativa precise regole del gioco invitano i bambini e i ragazziad esplorare forme e materiali, permettendo loro di trovarsinella stessa logica creativa dell’artista. I dialoghi con le opere,e quindi indirettamente con i loro autori, consentono di ac-quisire strumenti e confidenza con le dimensioni anche pro-fonde dell’espressione artistica che va spesso oltre le formetradizionali di trasmissione dei messaggi. C’è un luogo dovei bambini e i ragazzi vedono l’arte contemporanea: il museo,la mostra, la galleria. Poi c’è un luogo dove si studia l’arte contemporanea: lascuola. Qui il gioco è la costante metodologica nel processodi apprendimento, dalla scuola dell’infanzia alla secondaria.Attraverso il momento ludico si possono presentare anche glieventi più difficili. La scuola, nel rispetto della libertà e del-l’identità di ciascuno, valorizza il patrimonio culturale chederiva al bambino dalla famiglia, dall’ambiente sociale, dalleiniziative culturali del territorio. Per un bambino visitare unamostra d’arte, antica, moderna o contemporanea, è prima ditutto, la conferma che il luogo delle meravigliose scoperte,non sta solo nei rapporti con i coetanei, negli stimoli di casa,nel recinto della scuola, ma anche nei luoghi della larga so-

LA SCUOLA, NEL RISPETTO DELLA LIBERTÀ E

DELL’IDENTITÀ DI CIASCUNO, VALORIZZA IL

PATRIMONIO CULTURALE CHE DERIVA AL BAMBINO

DALLA FAMIGLIA, DALL’AMBIENTE SOCIALE, DALLE

INIZIATIVE CULTURALI DEL TERRITORIO

LA PRESENTAZIONE DELLA VITA E DELLE

OPERE DI ARTISTI PUÒ STIMOLARE I BAMBINI A

MISURARSI CON L’ALFABETO DELL’ARTE: DALLO

SCARABOCCHIO NON INTENZIONALE AI

LABIRINTI DI LINEE, DAI SEGNI ANCESTRALI

AGLI ALFABETI DELLE LINGUE DEL MONDO,

DALLE FORME CHIUSE AI PERCORSI STRADALI,

DALLE MAPPE ALLA RICERCA DEL TESORO

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La poesia è un percorso di vita, in altre parole, un modo di vivere la vita edi porsi al mondo. Essa non può essere vista solo come mero eserciziodi scrittura; non è solo un fare, ma è prima di tutto un essere, o più preci-

samente uno stare in relazione a tutto ciò che ci circonda dentro e fuori di noi.La poesia non si scrive, ma prima di tutto si legge, si gusta e s’impara adamarla leggendola. La poesia si manifesta prima di tutto nell’ascolto, che portaad intuire ciò che sta dietro alla poesia, il suo segreto: l’urgenza e il ritmo.Occorre quindi prendere coscienza di cosa significa fare poesia. Qual è lostato dell’essere quando si poetizza? Non ci interessa tanto il perché lo si fa,ma in quale stato ci si trova per farlo, qual è l’urgenza del corpo? Possiamo direche vivere l’arte poetica richiede una postura quasi fisica, un atteggiamentodel corpo, uno stato che assomiglia alle attività atletiche, perché richiede alle-namento e perché è un insieme di reazioni fisiche a stimoli esterni e interni.Una fisicità poetica, un modo fisico di stare nell’arte, intendendo il corpo comeun insieme globale di corpo carnale, mente e anima. E come nella filosofia,materia così vicina alla poesia, le correnti di pensiero sono tante. Avvicinarsialla poesia potrebbe voler dire avvicinarsi con tutto il corpo a spazi di pensieri,di idee, dove esiste la possibilità di sguardi diversi che aprono altri sguardi. Ungioco degli specchi, la poesia come possibilità di scoperta di realtà diverse. Inquesto senso la poesia, l’arte tutta, è un atteggiamento che scopro nel tempo,ed è per questo che diviene un percorso della persona e sulla persona, unareazione vitale agli stimoli della vita; in altre parole è pedagogia interculturale.Una pedagogia che non è un metodo didattico, ma uno stile di vita. La poesiaè una relazione con gli spazi, con la polis che ci circonda, e come tutte le formed’arte, anche la poesia ci mostra la via per vivere gli spazi in modo dinamico:qui e ora, dentro e fuori, orizzontale e verticale. Un movimento, una danza, unviaggio avventuroso da percorrere senza limiti. In questa emozionante avventurasiamo tutti invitati a muoverci seguendo bussole diverse; emozioni, suggestioni,stimoli, sogni e ricordi, che ci guidano e ci indicano strade. Vivere, leggere e

dossierARTE E INTERCULTURA

STAR NEL MONDO CANTANDO CANDELARIA ROMERO

OPERA IN CEM COME FORMATRICE DI EDUCA-

ZIONE INTERCULTURALE TEATRALE. COFON-

DATRICE DELLA RIVISTA WEB DI LETTERATURA

DELLA MIGRAZIONE «EL GHIBLI», NEL 2010

PUBBLICA POETICA E TEATRO CIVILE RACCOL-

TA DRAMMATURGICA PER AMNESTY E SURVI-

VAL (ARACNE). NELLO STESSO ANNO ESCE

«POESIE DI FINE MONDO», RACCOLTA POETICA

EDITA DA LIETO COLLE. I SUOI SCRITTI SONO

INSERITI NEL PROGETTO «L’ITALIANO DEGLI

ALTRI» PROMOSSO DALL’ACCADEMIA DELLA

CRUSCA E DAL MINISTERO PER GLI AFFARI

ESTERI IN ITALIA (ED. TRECCANI). PARTECIPA

COME POETA ALLA COMPAGNIA DELLE POETE

DIRETTA DA MIA LECOMTE (ROMA).

[email protected]

ARTEE

INTERCULTURA

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dossierARTE E INTERCULTURA

IL TEATRO COME ESPERIENZA DI CO-CREAZIONECULTURALE GIULIA INNOCENTI MALINI

L’arte teatrale possiede caratteristiche specifiche che la pongonoin un dialogo stretto con la vita. Caratteristiche uniche e straordi-narie, che si sono rivelate risorse di sviluppo sociale fin dall’anti-

chità eppure che non sono sempre state valorizzate, forse perché incontrasto con i principi delle belle arti. È utile riferire brevemente diqueste eredità culturali che pesano nella nostra comprensione del fe-nomeno teatrale, per aprire la prospettiva sul teatro contemporaneo, inparticolare sul teatro sociale e di comunità12 e intendere come esso fa-vorisca processi interculturali.Il teatro è spesso considerato un’arte di minore valenza estetica, poichénon produce un’opera d’arte conclusa e formalizzata, bensì uno spetta-colo, vivo e presente soltanto per la durata della sua esecuzione e poiconsegnato al ricordo e all’emozione degli astanti. Anche le trasforma-

creare poesia ci allena a sentire il mondo dentroe attorno a noi, in modo attivo e tramite metafore,uno sguardo che riflette il mondo, lo ripensa, lointerroga e dialoga con esso. Ri-crearlo, nell’ur-gente bisogno di sentirlo più nostro. Percorrerei sentieri della poesia ci fa sentire cacciatori diparole, trovatori di suoni e colori, investigatoridi ritmi, operai del cuore. Stare nella poesia, vi-verla ascoltandola, leggendola o scrivendola, èvivere non solo da consumatori, ma da costruttorie pensatori di piccoli mondi artistici. Poetizzareè l’allenamento e il gioco che porta verso la co-struzione di spazi immaginabili, quindi possibili,quindi, resilienti. Infine stare nella poesia è al-lenare il corpo tutto, al gioco, al sapore, al ritmo,alla bellezza, al creato, allo stupore, alle emo-zioni, alla morte e quindi, alla vita. L’appunta-mento con la poesia è un incontro tra sguardidi persone, dove si viene ri-conosciuti e nonsolo accolti in un mondo di possibilità. Un mo-mento da non sottovalutare perché è proprio inquel crocevia di sguardi, di parole, desideri eriflessioni che entrando nel gioco della poesia,si creano le premesse per libere relazioni crea-tive ed artistiche, basate sulla pluralità deglisguardi, sulla collettività ed individualità, relazionifluide, ritmiche e urgenti, come la poesia stessa.Un poeta disse una volta che scrivere poesieera come pregare. Che pregare era come can-tare e che cantare era la cosa più importanteche si doveva fare nella vita per mantenere ilproprio ritmo interiore inalterato. Aggiunse chein fondo un corpo malato non era altro che uncorpo che ha perso la propria melodia, il proprioritmo interiore. Occorre mantenere il corpo al-lenato, il corpo vigile nell’ascolto della proprianenia poetica per poter stare bene nel mondo,cantando. E questo è intercultura, nella poesiae nella vita.

AVVICINARSI ALLA POESIA SIGNIFICA

AVVICINARSI CON TUTTO IL CORPO A SPAZI

DI PENSIERI, DI IDEE, DOVE ESISTE

LA POSSIBILITÀ DI SGUARDI DIVERSI

CHE APRONO ALTRI SGUARDI

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dossierARTE E INTERCULTURA

plice e ricchissima fenomenologia del teatro. Paradigmatico ri-sulta il modo in cui si è fatta memoria del teatro: se le storie del-l’arte raccolgono e catalogano le opere nelle diverse epoche, lestorie del teatro sono state perlopiù storie di testi teatrali e bio-grafie dei loro autori! Il testo, in fondo, è l’unica cosa che resta,quella più erudita e nobile. Ma, a proposito dei testi teatrali, unosguardo alla storia del teatro ci permette di scoprire che la for-mula a noi oggi nota è piuttosto recente. Il copione, ritenuto perantonomasia il testo teatrale, in realtà è semplicemente l’esitodel lavoro di ricopiatura che ogni attore faceva copiando solo lasua parte dall’opera intera per poi memorizzarla. Il testo comeintreccio complessivo delle battute che compongono la narra-zione scenica è un fatto moderno. In ogni caso, se il testo c’era,era nelle mani dell’autore, o di chi lo avesse commissionato,l’attore ne possedeva brevi stralci ricopiati e allo spettatore ar-rivava esclusivamente l’azione scenica che è molto di più deltesto scritto, delle parole dette dai personaggi e delle sommarieindicazioni dell’autore. Lo spettacolo è un intreccio di azioni,ruoli, personaggi, corpi e voci, momenti corali, ritmiche, emozioniche si traducono in presenza, conflitti e drammi, spazi e immagini,luci accese, spente, colorate, artifici scenici complessi o semplicisfondi offerti dal luogo e dalla natura. Luci che interrompono ilbuio illuminando una realtà immaginifica che si staglia sullaquotidianità per ordire un’esperienza straordinaria per attori espettatori. L’arte teatrale si gioca tra attori e spettatori in molteforme e modi dai più diversi interpreti, e primariamente è dram-maturgia scenica organizzata su schemi narrativi in parte inventatiin parte mutuati dalla tradizione, dal mito, dalle ritualità sacre oprofane, dagli accadimenti politici e civili, piuttosto che ancorataa zibaldoni e canovacci, e solo in minima parte a testi. A partiredal ventesimo secolo, in relazione ad un complessivo ripensa-mento dell’esperienza artistica14, sono stati messi in discussionemolti equivoci e recuperate alcune significative valenze dellateatralità. Il teatro ha rifondato il processo creativo di gruppo at-traverso il laboratorio teatrale, un’esperienza di scambio continuoe concreto tra i partecipanti che, stimolati dal regista edal drammaturgo, s’incontrano15 e sviluppano un per-corso di ricerca e di co-costruzione teatrale in cuiogni soggetto, persona o gruppo -ed elemento - oggetti, spazi,tempi, testi... - si tra-sforma, cambia pro-prio in forza dell’in-contro con l’altroda sé. La dram-maturgia è tornataa stringersi con lascena per cui, sen-za negare il valoredella parola, essanasce e si sviluppain riferimento al lavo-ro fisico e autorale de-gli attori e al sistema di

L’ARTE TEATRALE SI GIOCA TRA ATTORI E

SPETTATORI IN MOLTE FORME E MODI DAI PIÙ

DIVERSI INTERPRETI, E PRIMARIAMENTE È

DRAMMATURGIA SCENICA ORGANIZZATA SU

SCHEMI NARRATIVI IN PARTE INVENTATI IN PARTE

MUTUATI DALLA TRADIZIONE, DAL MITO, DALLE

RITUALITÀ SACRE O PROFANE, DAGLI

ACCADIMENTI POLITICI E CIVILI, PIUTTOSTO CHE

ANCORATA A ZIBALDONI E CANOVACCI, E SOLO IN

MINIMA PARTE A TESTI

zioni fisiche che l’attore s’impone per dare vita alle mascheredelle sue commedie e ai personaggi dei drammi, come le in-terpretazioni di ogni genere di alterità e oscenità congiuntead una condotta di vita girovaga, hanno portato diverse epochestoriche a condannare e ripudiare l’arte teatrale, in particolarenelle sue forme popolari13. Una deriva più recente è stataanche il consolidarsi dell’idea che l’arte teatrale fosse esclu-sivamente appannaggio dei professionisti del teatro, cosìcome la contrapposizione frontale di scena e platea - cosiddettascena all’italiana - fosse il modo giusto di disporre lo spazioteatrale, escludendo attraverso queste due «regole» la molte-

GIULIA INNOCENTIMALINI

Esperta di teatro sociale, sioccupa di ricerca, formazione ed

intervento teatrale in diversicontesti sociali. Collabora dal

1995 con l’Università Cattolicadel Sacro Cuore ed opera come

consulente e progettista didrammaturgia per lo sviluppo

comunitario con diversi soggettidel non profit. Lavora comeoperatore di teatro sociale

presso l’Unità di psichiatria aMagenta e presso la Casa di

reclusione di Verziano (Brescia).

[email protected]

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con se stessi e con le proprie dinamiche espressive e crea-tive, l’interazione interpersonale e quella di gruppo maturanoprogressivamente e in modo integrato grazie al lavoro con-creto per realizzare una drammaturgia scenica che esprimail gruppo e dialoghi con la comunità di riferimento, contestoa cui si rivolgono gli esiti performativi del processo creativo.Il laboratorio di teatro sociale è un vero e proprio laboratoriodi co-creazione culturale e sociale, che si muove in un’otticaproduttiva anziché riproduttiva18, per cui non sostiene il sem-plice riprodursi delle forme e dei linguaggi tradizionali quantola produzione insieme di nuove forme e contenuti, sia culturalisia sociali.

Accanto alla conoscenza/presentazione delle opere dialtre culture, si apre un processo creativo di gruppo

che stimoli l’intera comunità, operando per cerchi con-centrici e prossimali, a partecipare attivamente all’inven-zione di una cultura altra, che non annienta le cultured’origine, semmai ne propone innovative mixité.

Una cultura come viva esperienza di partecipazione deidiversi soggetti che esprimono tracciati collettivi ma anche

profondamente individualizzati, vista l’ampia libertà di defi-nizione individuale dell’identità propria del nostro tempo. Illaboratorio di teatro sociale si fa luogo del meticciato culturale,dell’incontro tra culture e tra persone che le esprimono eche le reinterpretano alla luce dei percorsi personali di vita.«L’intercultura agita attraverso la pratica della performanceè una co-produzione che crea qualcosa di nuovo a partireda qualcosa di già noto, che permette la ricerca e l’esplora-zione delle differenti identità e che attua, nel piccolo del la-boratorio, un procedimento in cui individuo e gruppo intera-giscono creativamente grazie alla mediazione dell’immagi-nario e del come se»19. Questa ricchezza del gruppo divieneil motore di sviluppo di legami che, superando i confini dellaboratorio, coinvolgono il territorio, attraverso la pratica co-creativa del teatro sociale.

scambi e relazioni che intrattengono gli uni con gli altri. Si è riaperta ladialettica viva e performativa tra scena e platea in particolare negli espe-rimenti di drammaturgia del coro16 in cui l’azione teatrale chiama ed in-tegra profondamente la partecipazione attiva dello spettatore, negli hap-penning, nel teatro politico e più recentemente nel teatro sociale e co-munitario dove il processo teatrale mostra tutte le sue potenzialità peda-gogiche e terapeutiche e i suoi fondamenti antropologici e sociali. Dunqueaccanto al teatro più classico e tradizionale, ove prevalentemente si ri-produce il repertorio drammatico di una cultura, c’è un altro teatro chedispone di risorse specifiche per l’intercultura ed è quello che valorizzala dimensione performativa, della festa e dello spettacolo, l’esperienzalaboratoriale del gruppo, del corpo e della relazione, la diffusione e par-

tecipazione allargata delle prassiponendo massima attenzione allefunzioni di sviluppo sociale e co-munitario dell’esperienza artistica.Tutte queste specifiche sono pro-prie del teatro sociale e di comu-nità. Le sue risorse a favore deiprocessi interculturali sono molte-plici17. Il teatro sociale apre le di-verse funzioni dell’esperienza tea-trale - attoralità, spettatorialità e au-toralità - alla partecipazione diffu-sa. Il motore del processo è il la-boratorio di teatro sociale che, de-

clinato in svariate forme, è un’esperienza di gruppo in cui i partecipantisviluppano competenze teatrali per e mentre si fanno interpreti delproprio immaginario «g-locale», cioè che intreccia narrazioni collettive,elementi tradizionali, stimoli culturali che vengono da ogni dove e con-dizioni ed esperienze di vita locali, particolari e soggettive. La relazione

dossierARTE E INTERCULTURA

12 C. Bernardi, Il teatro sociale. L’arte tra disagio e cura, Carocci, Roma2004.13 S. Dalla Palma, La scena dei mutamenti, Vita e Pensiero, Milano 2004 eGli orizzonti del sacro, Vita e Pensiero, Milano 2004.14 R. Diodato, E. De Caro, G. Boffi, Percorsi di Estetica. Arte, bellezza, Im-maginazione, Morcelliana, Brescia 2009; A. Danto, L’abuso della bellezza.Da Kant alla Brillo Box, Postmedia, Milano 2008.15 J. Grotowski, Per un teatro povero, Bulzoni, Roma 1970.16 M. Apollonio, Scritti teatrali (1954-1959), Fondazione Civiltà Bresciana,Brescia 1993.17 M. Colombo, L. Cicognani, C. Corridori, G. Innocenti Malini, (a cura di)IncontrArti. Arti performative e intercultura, Franco Angeli, Milano 2011.18 M. Wieviorka, L’inquietudine delle differenze, Bruno Mondadori, Milano2008.19 G. Innocenti Malini, Introduzione, in M. Colombo, L. Cicognani, C. Cor-ridori, G. Innocenti Malini, (a cura di) IncontrArti, cit. p. 7.

IL LABORATORIO DI TEATRO

SOCIALE È UN VERO E PROPRIO

LABORATORIO DI CO-CREAZIONE

CULTURALE E SOCIALE, CHE SI

MUOVE IN UN’OTTICA PRODUTTIVA

ANZICHÉ RIPRODUTTIVA

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Le Muse sono giovani donne leggiadre che obbedisconoalla volontà di Apollo deputate al patrocinio di una par-ticolare produzione artistica; la tradizione ne conta nove,

figlie di Zeus e di Mnemosine, la memoria, ritenuta il requisitoindispensabile per esercitare l’attività poetica. Le ispiratricidell’estro artistico non sono necessariamente vergini, non dirado hanno amanti e figli ma il loro servizio esige una dedizionetotale. Risiedono nella regione della Pieria, ma anche sulmonte Parnaso, sede del loro patrono Febo Apollo. Tra le at-tività tutelate la poesia ha un netta prevalenza, ma sono pre-senti anche l’astronomia, la geometria, mentre risultano as-senti le arti figurative. Il nome delle Muse ricorda il loro raggiodi azione: Erato è la musa della poesia amorosa, Clio dellapoesia epica, Talia della poesia conviviale, Calliope della poesiaepica, Urania, invece è musa dell’astronomia e della geometria,mentre Euterpe, Melpomene e Tersicore sono protettrici dellamusica, del teatro e della danza. L’ultima Musa, alle volte in-sieme a Polimnia, è quella che si compiace della bellezza deicori costituiti da danzatori e danzatrici che compiono evoluzioninell’orchestra, spazio del teatro loro destinato. La danza rap-presenta un’arte particolarmente apprezzata nel mondo clas-sico, dotata di una forte connotazione identitaria. Il movimentoflessuoso del corpo e le agili movenze delle membra accom-pagnano i momenti più rilevanti della vita privata e collettiva.Si compiono danze coreograficamente molto elaborate perrituali religiosi e in occasioni di feste pubbliche: le figure didanza sono presenti anche nei riti d’iniziazione e di passaggiodall’età infantile a quella adulta.Nel mito si ricordano molte danze eseguite da gruppi, vere eproprie coreografie collettive: la sincronia e simmetria delleevoluzioni svolge una rilevante funzione nell’elaborazione delnoi comunitario e rappresenta un fattore d’identificazione esibitopubblicamente. Tale conferma di appartenenza unisce in unacoralità emotiva sia gli esecutori, sia il pubblico degli spettatori,rapito dalle movenze raffinate dei danzatori, dal drappeggiosontuoso delle vesti, dall’agile scatto delle caviglie sottili. Male prime danze, secondo lo storico delle religioni Kerenyi, espri-merebbero soprattutto la volontà di imitare i moti dei pianeti e

L’artedi Tersicore

antonella [email protected]

JEAN-MARC NATTIER, TERSICORE (1739)

delle stelle nelle loro orbite circolari, come conferma, a livellointuitivo, il girotondo infantile che allude ad oscure catastroficosmiche (casca il mondo, casca la terra…).Nel movimento prende letteralmente corpo l’essenza di unaricorrenza, nell’armonia del movimento si possono coglieretrame simboliche complesse: è il caso della danza del labirinto,rappresentata nello scudo di Achille nel canto XVIII dell’Iliade.La danza viene attribuita a Dedalo, che l’avrebbe compiuta inonore di Arianna dai bei riccioli. Giovani maschi e femmine sitenevano per il polso, danzando con grazia in tondo, con passisapienti. La coreografia concepita dall’architetto per la giovanefiglia di Minosse ripercorreva le tortuose sinuosità del Labi-rinto, archetipo simbolico dell’esistenza. E il movimento è lanostra prima forma di affermazione appena venuti al mondo:nell’impossibilità di dare voce alle emozioni, con la sua motilitàil neonato conferma alla madre e a chi si prende cura di luiche reagisce agli stimoli, è capace di comunicare empatica-mente, imprimendo ai movimenti e ai guizzi delle gambette edelle piccole braccia il segno della sua gioiosa e vivace par-tecipazione alla vita. nnn

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agenda interculturale

Dal Forum SocialeMondiale 2013AgendeeducativeAlessio Surian

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agenda interculturale

Nel contesto del Forum Sociale Mondiale, l’ultimosi è tenuto a Tunisi a fine marzo, le reti educativesi muovono spesso in modo insulare, parallelo alle

molte attività dedicate a temi che senz’altro intersecanoquelli dei processi di apprendimento e del diritto all’istru-zione, quali sono quelli della sanità, del lavoro, del ruolodei sindacati, dei migranti, da cui a Tunisi sono venuti gestipiù che educativi, come la striscia posta su una scalinatache elenca i 16.175 morti ritrovati, spesso ignoti, nelleacque del Mediterraneo tra le coste nordafricane e europee.Così come educativo risulta il dialogo con le radio libere econ le molte associazioni civili che agiscono in Tunisia perdire no alla violenza e per una costituzione democratica einclusiva, quali Doustourna. Un sociologo attento alle epi-stemologie dei Sud come Boaventura de Sousa Santos ciricorda che a Tunisi è nato, nel 1332, Ibn Khaldun, l’autoredei Muqaddimah, o Prolegomena, scritto nel 1377,«colui che oggi considero il grande fondatoredelle scienze sociali moderne, … dell’idea chela civiltà declina quando le élite politicheche vogliono servire il popolo non lo pos-sono fare e quelle che desiderano sfrut-tare il popolo hanno la strada aperta».Organismi quali l’Instituto Paulo Freire so-no parte del processo del FSM dall’inizio

e la loro familiarità con le modalità organizzative del forumè visibile nell’impostazione dei laboratori, che permette in-terventi a distanza da parte di gruppi locali su temi qualil’alfabetizzazione degli adulti, la cittadinanza planetarianei percorsi educativi e l’accesso alle conoscenze. Dal 2001promuovono, in collaborazione con il FSM, il Forum mon-diale dell’educazione, che sui temi della giustizia sociale eambientale ha recentemente prodotto la pubblicazione,discussa in un laboratorio ad hoc, The Education We Needfor the World We Want («L’educazione di cui abbiamo bi-sogno per il mondo che vogliamo»), coinvolgendo reti co-me il Gruppo di lavoro sull’educazione (attivo nel processoRio+20), il Consiglio internazionale per l’educazione degliadulti (Icae), la Campagna latinoamericana per il dirittoall’educazione (Clade). Occasione per un confronto fraun dibattito finora centrato sui rapporti Europa-AmericaLatina che comincia a coinvolgere vari attori africani edel mondo arabofono e un’opportunità per l’Icae di lan-ciare il Virtual Exchange, il confronto on-line sul futurodell’educazione post-2015, che avviene fra il 4 e il 12giugno in inglese, spagnolo e francese. Fra i soggetti ma-ghrebini, si segnalano il Centre d’etudes et de recherchesen sciences sociales (Cerss), Dignité, e il Forum civil de-mocratique marocain (Fcdm), promotori del seminarioFor a new world of solidarity, dignity and social justice(«Per un nuovo mondo di solidarietà, dignità e giustiziasociale»), centrato sul ruolo della società civile nell’edu-cazione formale, nonformale e informale, con spazio an-che per la resistenza siciliana No Muos.

Fra i prossimi appuntamenti si segnala il Forummondiale dell’educazione tematico su educa-

zione e regioni metropolitane previsto a Ca-noas (Rio Grande do Sul, Brasile) nel gen-

naio 2014 e alcune riunioni esplorativeper la seconda edizione del Forum diSao Paulo, a dieci anni dalla prima edi-zione, finora la più partecipata, con ol-tre centomila persone. nnn

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La legge sulla cittadinanza primo punto dell’agenda

Lubna [email protected]

seconde generazioniqueste sconosciute

Se tu potessi confrontarti con Grillo sultema, quali argomenti useresti per farglicambiare idea?Essere riconosciuti cittadini italiani perchi nasce e cresce in Italia non deve es-sere più concepito come una «gentileconcessione», ma un diritto che non puòpiù essere negato. Con una discrimina-zione così forte si fa male ad un’interanuova generazione di italiani, italiani difatto ma ancora stranieri per legge. Sifa male al futuro dell’Italia perché cosìsi rischia di far crescere una generazionerancorosa, figlia di un paese in cui si sen-te rinnegata. Negare o minimizzare il di-ritto di cittadinanza è una posizione mio-pe e provinciale.Bersani non vuole alleanze con il Pdl.Ma se ci fosse più convergenza con ilPdl che con M5S su temi come la citta-dinanza, tu saresti d’accordo con un’al-leanza Pd-Pdl?Vi dirò di più. Sono disposto a dialogarepersino con i parlamentari della Lega Nordse ciò servisse a riformare questa leggeper il bene dei figli di immigrati e del no-stro Paese. È un tema troppo grande perrimanere confinato dentro una sola ban-diera o un solo partito. Quindi un’alleanzatrasversale promossa dai giovani del nuo-vo parlamento è più che benvenuto, e iomi batterò proprio per questo.Secondo te è meno faticoso ragionaresu questi temi con Berlusconi che in cam-pagna elettorale aveva aperto alla rifor-ma o con Grillo?Credo che aldilà dei leader, oggi prevalgauna netta maggioranza nella società ita-liana favorevole a riformare la cittadi-nanza per chi nasce o cresce in Italia.Quindi qualora Berlusconi o Grillo nondovessero cogliere l’importanza della cit-tadinanza, impareranno a comprenderlaattraverso la nostra testimonianza direttanelle aule parlamentari e soprattutto gra-zie ad una mobilitazione straordinariainsieme al Pd e a tantissime associazionia partire dai protagonisti della campagna«L’Italia sono anch’io». nnn

Cari lettori, per questomese vi propongoun’intervistapubblicata suyallaitalia.it e curatada Martino Pillitteri,direttore responsabiledel portale delleseconde generazioni,a Khalid Chaouki,neoeletto deputato Pdalla Camera.

Khalid Chaouki Così convincereiGrillo sullo «ius soli»

di Martino Pillitteri

Alla luce dei risultati elettorali, sei sempreottimista sulla possibilità che la riformadella legge sulla cittadinanza varchi laporta del Consiglio dei ministri?Tutto dipenderà da chi prenderà le redinidel nuovo governo. Noi siamo tutti unitinel sostenere il nostro segretario Bersanicome Presidente del Consiglio. Con Ber-sani la legge sulla cittadinanza rimane ilprimo punto della nostra agenda. Conaltri non posso scommetterci.

Sempre ottimista che poi venga votatain Parlamento?Con il Parlamento più giovane d’Europanon posso che essere ottimista. Sarebbeun risultato storico approvare tutti in-sieme la riforma della legge sulla citta-dinanza per mano di una nuova gene-razione di parlamentari.Perché secondo te Grillo si è espressocontro lo «ius soli»?Credo rientri in quella parte del suo re-pertorio misto di superficialità e qualun-quismo. Secondo Dario Fo, Grillo ha det-to «una stronzata». Io spero cambi idea,ma soprattutto conto moltissimo sull’in-telligenza e la buona fede di tantissimisimpatizzanti oltre che i neo parlamentaridel Movimento 5 Stelle.

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Il vaiolo, la peste, la guerrafra Ballard e Camus

Q uest’anno cade - il 7 novembre - il cente-nario della nascita di Albert Camus e frai suoi molti scritti forse quello che oggi

più chiaramente ci parla è il romanzo La peste, conil suo intreccio di mistero, disperazione e tenerezzache si sciolgono in un ambiguo «lieto fine».La peste di Camus è probabilmente una metaforadella guerra. Non a caso viene scritto a ridosso delsecondo conflitto mondiale. Chi lo legge oggi - 66anni dopo - sa che non lontano dall’Algeria di Ca-mus c’è sempre qualche guerra. Sembra che nelcosiddetto Medio (sarebbe per noi il Vicino) Orienteabbia una miccia sempre accesa e piromani instan-cabili. Ogni volta che la parola torna alle armi, gli«esperti» lo spiegano con motivi economici, antichie nuovi odi, tragici giochi dei mercanti d’armi. Unracconto di James Ballard, Febbre di guerra (scrittonegli anni ‘80), propone un’altra spiegazione. Siamo in un futuro vicinissimo. A Beirut. Parlanosolo le armi, di tutti contro tutti. Ma c’è chi sognaun «cessate il fuoco». Anzi, sembra che molti vo-gliano la tregua anche perché in quel momentogran parte del mondo è in pace … e allora perchésolo a Beirut si spara? Finalmente ecco il «cessateil fuoco», parte quasi per gioco dall’iniziativa diuna sola persona - Ryan, il protagonista - e vieneripreso con entusiasmo da ogni fazione. Non c’èquasi il tempo di gioire che qualcuno però rompela tregua. Chi è stato? Al protagonista tocca sco-prire l’imprevista verità. Sono le Nazioni Unite arompere quello spontaneo «cessate il fuoco». Per-ché? Lo spiega il dottor Edwards delle NazioniUnite. «Ti dirò tutto Ryan. Hai sentito parlare d’unaterribile malattia chiamata vaiolo? Cinquant’annifa l’Organizzazione mondiale della sanità lanciòuna grande campagna per eliminare il vaiolo. Allafine lo fecero scomparire dalla Terra. Ma il virus

«Chi non spera quello che non sembra sperabile nonpotrà scoprirne la realtà, poiché lo avrà fatto diventare,con il suo non sperarlo, qualcosa che non può esseretrovato, e a cui non porta nessuna strada».Eraclito

a cura di Dibbì[email protected]

domani è accaduto

Se volete leggermi sul mio blog: http://danielebarbieri.

wordpress.com

del vaiolo muta costantemente. E noi dobbiamoaggiornare i nostri vaccini. Così l’Organizzazionemondiale della sanità ebbe cura di non eliminaredel tutto la malattia. Ha permesso deliberatamenteche il vaiolo attecchisse in un remoto angolo delterzo mondo, in modo da tenere d’occhio l’evol-versi della malattia». Chi legge a questo puntotrema immaginando - con Ryan - la conclusionedel discorso che sì, purtroppo è quella che si in-travedeva fin dalle prime parole del dottor Edward:«Qui a Beirut si sta facendo lo stesso: si studia ilvirus della guerra. Sino in fondo».Non c’è un lieto fine al racconto, anzi. Dopo questarivelazione, Ryan - l’uomo che aveva lavorato perla tregua - con lucida pazzia risponde: «Non sinoin fondo, dottor Edwards» e alza la canna del fucilecontro di lui. Perché - pensa Ryan - «c’è un mondofuori di Beirut, un laboratorio ben più grande».Paradossale, certo. Ma che le guerre «limitate»sfuggano di mano a chi le inizia è un dato di fatto.Come la metafora del virus. Camus nel finale delromanzo La peste ricorda che i bacilli di certe epi-demie non muoiono del tutto e possono riprenderela loro attività anche a distanza di molti anni. Forsel’errore di Ballard è pensare che sia una sorta diOrganizzazione mondiale della sanità a studiare il«virus» della guerra per trovare nuovi vaccini; il la-boratorio è invece diretto da un pool di militari edi mercanti (non solo d’armi ma anche delle «rico-struzioni» post-belliche, un lucroso affare) e pro-babilmente studia ceppi in grado di riprendere laloro attività al «momento opportuno» resistendoa ogni vaccino. nnn

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Luciano Amatucci

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In questo decreto, il paragrafoPer una nuova cittadinanza, in-veste i temi della cittadinanza

pluralista e dell’integrazione deimigranti, ponendosi in sintonia conle riflessioni presentate al riguardoin un precedente numero di questarivista2.Il testo precisa che «l’obiettivo (delsistema educativo) è quello di va-lorizzare l’unicità e la singolaritàdell’identità culturale di ogni stu-dente. La presenza di bambini e diadolescenti con radici culturali di-verse è un fenomeno strutturale enon può più essere consideratoepisodico: deve trasformarsi inun’opportunità per tutti. Non bastariconoscere e conservare le diver-sità preesistenti, nella loro pura esemplice autonomia. Bisogna, in-vece, sostenere attivamente la lorointerazione e la loro integrazioneattraverso la conoscenza della no-stra e delle altre culture, in un con-fronto che non eluda questioni qualile convinzioni religiose, i ruoli fa-miliari, le differenze di genere».

«Il sistema educativo deve formarecittadini in grado di partecipareconsapevolmente alla costruzionedi collettività più ampie e compo-site, siano esse quella nazionale,quella europea, quella mondiale.Non dobbiamo dimenticare che fi-no a tempi assai recenti la scuolaha avuto il compito di formare cit-

tadini nazionali attraverso una cul-tura omogenea. Oggi, invece, puòporsi il compito più ampio di edu-care alla convivenza proprio attra-verso la valorizzazione delle diverseidentità e radici culturali di ognistudente».Recenti ricerche della FondazioneAgnelli e della rivista Tuttoscuola,basate sulle indagini del nostro Isti-tuto nazionale di valutazione del si-stema scolastico (Invalsi), hannoconfermato la validità dell’approc-cio interattivo per favorire l’appren-dimento degli studenti, italiani estranieri, nelle scuole multietniche.«Le scuole migliori d’Italia», si con-clude, «sono quelle dove maggiorisono le diversità»3. nnn

1 Testo pubblicato nel sito del Miur (www.istruzione.it) e nel bollettino «Notizie dellascuola», a. sc. 2012-13, n. 6. Per una sua primaillustrazione , v. S. Loiero e M. Spinosi (a curadi), Fare scuola con le indicazioni, Napoli,Tecnodid 2012.2 L. Amatucci, Immigrazione e cittadinanza, in«CEM Mondialità», febbraio 2013, pp. 36-37.3 A. Camplone, Le scuole migliori? Quelle mul-tietniche, «Il Messaggero», 23 febbraio 2013.

La Gazzetta Ufficiale n. 30 del 5 febbraio2013 ha pubblicato il decreto ministerialedel 16 novembre 2012, contenente le«Indicazioni nazionali per il curricolodella scuola dell’infanzia e del primociclo d’istruzione», che dovrannoessere seguite da analoghe«Indicazioni» per la scuola secondariadi secondo grado1.

L’obiettivodel sistema

educativo èquello di

valorizzarel’unicità e la

singolaritàdell’identitàculturale di

ognistudente

La cittadinanza pluralista nelle «indicazioni nazionali»

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maggio 2013 | cem mondialità | 37

Silvio Boselli [email protected]

Sul numero di febbraio 2013 di CEM Mondialità è stato pubblicato(a p. 5) l’appello di FrancoLorenzoni «perché bambine ebambini dai tre agli otto anni sianoliberi da schermi e computer nellascuola». Pubblicando l’appello, ci auguravamo che sulle pagine diCEM si aprisse un dibattito. Dopoun primo intervento di PatriziaCanova (numero di marzo 2013,pp. 36-37), ecco la testimonianza di Silvio Boselli.

«Disegni ancora a mano? Il computer è il futuro!Resterai tagliato fuori...!». Così affermava, piùdi vent’anni fa, un conoscente di amici ad una

festa, commentando il mio lavoro di illustratore e disegna-tore di fumetti. Mi diede da pensare. Ancora adesso, a di-stanza di tempo, avverto dentro di me una sorta di resistenzamista a curiosità nei confronti dell’approccio digitale.

Ho continuato per anni a disegnaree dipingere in maniera tradizionale,ma gradualmente col tempo, com-plici alcuni amici, ho preso contattocon i programmi di computer gra-fica. I programmi sono indubbia-mente strumenti affascinanti ma,

come tutti gli strumenti, sono neutrisolo in parte. Impareggiabili pergli effetti grafici e nell’elaborazionedelle immagini in movimento, han-no in sé una natura «matematica».Se usati senza tenere in conside-razione i principi della composizio-ne grafica e cromatica, alla ricercadell’effetto, finiscono per produrreimmagini stereotipate, formalmentelevigate, che sanno di plastica e disupermercato. Si perde il «calore»dell’immagine.Il calore di un’immagine è legatoparadossalmente a quel tanto di«imperfezione» che la rende «uma-na», imprevedibile, fuori dagli sche-mi. L’approccio manuale, fatto diantichi saperi, gesti, movimento, li-bera energia. Non a caso perce-piamo nelle opere originali una for-za che non ritroviamo nelle ripro-duzioni, per quanto raffinate (ciòche i giapponesi chiamano Wabi,ossia quella patina, quell’usura chesi ritrova sugli oggetti antichi, pas-sati di mano in mano ). L’approcciomanuale ci parla dell’esperienzadella vita vissuta dove non tutto èsotto controllo e gli imprevisti e glierrori fanno parte del percorso. L’approccio virtuale ha un grado dicontrollo molto più elevato: se il ri-sultato non ti soddisfa, puoi sempretornare indietro, puoi zoomare e la-vorare nel dettaglio senza difficoltà. Se la vita fosse così... Esso offrenondimeno la possibilità di espan-dere enormemente le possibilitàespressive. Tante da perdersi. Lavorare moltoal computer tende poi a focalizzarel’energia con accumulo di tensione.È un approccio legato al mondodelle potenzialità. Con tutto il suofascino e i suoi rischi. Ci vuole con-sapevolezza.La sfida che questi tempi ci metto-no davanti è quella di vivere la com-plessità. Esplorare le novità delpresente senza dimenticare la ric-chezza di stimoli del passato, inequilibrio tra poli opposti. Tra giocoe sperimentazione. nnn

Disegni ancora a mano?!

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Gianluigi De Vito

L a scuola esce dai banchi eva «dentro». Il carcere sfogala rabbia con la carezza al

posto del pugno. La città addome-stica la voglia di forca.Quaranta minuti. Rap. Musica. Let-tere. Ritmo. Giocoleria. Melodram-ma. Spezzoni. Sogni. Abbracci. Eil cuore fa boom boom tra palpebreche stillano lacrime.La chiamano prova aperta, altro mo-do di dire spettacolo o giù di lì. Nonc’è la qualità della recitazione? Ba-stano le parole di Reda, Emiliano,Michele, Ana: alcool puro. Non cisono i fari sparati sul palco? Palle,birilli, cerchi e giocolieri improvvisatidanno brividi pure al buio. Non cisono le quinte? E gli inserti tratti daWest Side Story, L’attimo fuggente,Billy Elliot, Il Circo, Quattro minuti,Hugo Cabret, Invictus? Vi pare po-co? Pieno come un uovo il teatro ri-stretto al primo piano del carcereper minori «Fornelli». Va in scena ilfine corsa di «In-con-tra»: è il nomedel progetto che in tre anni, per pe-riodi brevi, ma intensi, ha fatto in-crociare classi di istituti superiori ei minori detenuti. Un progetto scrittoda Rosa Ferro e impreziosito dal-l’artista franco-algerino Miloud Ou-kili, per declinare il ruolo di promo-zione sociale del Centro di educa-zione per la legalità «Antonio Ca-ponnetto» voluto e finanziato dallacircoscrizione Picone-Poggiofrancoguidata da Franco Polemio.Sulle traiettorie del dentro-fuori di«In-con-tra» ci ha creduto e investitopure l’Agenzia per la lotta non re-pressiva alla criminalità, creata

dall’amministrazione comunale. Equesto lascia pensare che la corsaforse non finirà. Ma appartiene aldomani. Ora c’è da raccontare laserata di un esperimento riuscito.Sul palco, Emiliano, Reda, Alì, Mi-chele, Santo, Nicola, Simone e So-fian, in pratica una buona fetta deiventuno ragazzi detenuti. Si sonointrecciati con tre studenti del liceoclassico «Socrate» (Chiara Wasow-ski, Vittorio Ferlan Dellorco e ErikaLavermicocca), e cinque dell’isti-tuto tecnico commerciale linguisti-co «Marco Polo» (Serena Pasculli,Ana Mocka, Anna Maria Fascicolo,Valeria Diana, Luca Malena). Conloro anche volontari e educatoridell’associazione «Nuovo Fantar-ca». Un’orchestra di corpi e paroleanimati da musiche costruite perl’occasione da Michele Pagano, unesperto che al Fornelli da anni falaboratori di note e speranza.Retorica in castigo. L’essenziale èinchiodato a suon di rap. «CiaoMamma. Non sono riuscito a vola-re. Ciao mamma, questa vita nonva senza te», canta Emiliano. Certoche non va. Ma poco conta. Coglil’attimo che fugge: «Cogli la rosaquando è il momento». Perché sia-mo cibo per i vermi. E che vita èse non la si rende straordinaria?«Non importa quanto impietosa siala sentenza, sono e sarò il mio ca-pitano, il capitano della mia anima,del mio destino». E allora sì cheogni madre innamorata trova la ra-gione in più per credere nel riscattodefinitivo. Non c’è nessuno tra lesbarre che si sveglia di notte perguardare il figlio dormire e riad-dormentarsi subito per sognarlo

Quarantaminuti. Rap

MusicaLettere

RitmoGiocoleria

SpezzoniSogni

Abbracci.Il cuore

fa boomboom trapalpebre

che stillanolacrime

a cura di Eugenio Scardaccione | [email protected]

Studenti e detenuti prove aperte di vita

Oltre le sbarreUn pomeriggio al FornelliArte, musica, cinema: un grido di riscattodai ragazzi reclusi

38 | cem mondialità | maggio 2013

sveglio. Ma Ana in una notte dà for-ma con le parole alla madre (im-maginata) di Emiliano: «Continuaa crescere figlio amatissimo, ger-mogli di forza e pace pulita dal se-me amaro del nostro dolore comein ogni tuo sogno volerai prima». Michele intona l’amore del padre:sembra un giocattolo rotto, ma è ri-montato con stile e ironie. Micro-fono a Reda: è un rap che falcia larisata davanti alle pellicole in bian-co e nero che scorrono come raggiinfiniti. Il palco misero ora si popoladi abbracci e diventa un altare checancella macerie. Boom boom. Va-leria è in lacrime. Serena pure. L’ap-plauso è un corollario. E Miloudguadagna come sempre l’uscitaschivando i grazie: «Eravamo quiper una carezza al posto del pu-gno». nnn

Articolo pubblicato su «La Gazzetta del Mez-zogiorno», 12 febbraio 2013.

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maggio 2013 | cem mondialità | 39

Quali pedagogieper quale educazione?

a cura di Nadia [email protected]

crea-azione

Il Gruppo CEM di Alzano Lombardo(Bg) ha proposto nei mesi scorsi unpercorso formativo che ha superato

le previsioni, con ben 170 partecipanti,lasciandone in lista d’attesa una tren-tina. Quali i pregi dell’iniziativa? Se-condo me, il percorso formativo ha at-tratto per il suo obiettivo e per la mo-dalità con cui è stato ideato: esplorareitinerari dove potessero incontrarsi for-matori CEM e raccontare la loro storia.Grazie a questa narrazione hanno fattoconoscere le figure di Maestri pedago-gisti significativi nella ricerca educativa.I partecipanti, oltre al nostro piccologruppo e agli operatori del Centro delgioco e del giocattolo (che ha ospitatogran parte degli incontri), sono statisoprattutto studenti universitari (graziealla recente convenzione di CEM conl’Università di Bergamo), molti genitorie, purtroppo, pochi docenti. Ha attrattoi partecipanti anche la possibilità diconfrontarsi su tre dimensioni educa-tive: ludica, narrativa e multimediale,alla ricerca di elementi comuni, in unconfronto teorico e pratico.

Riscoprire i Maestri

Molto utile ed interessante è stato l’av-vio del percorso con Lucrezia Pedrali,avvenuto nella casa Saveriana di Alza-no, sempre accogliente ed ospitale.Con passione e competenza, Lucreziaha saputo portare la sua testimonianzadi storia personale e professionale, at-traversando i Maestri, facendone emer-gere la storicità così come la necessitàdi una loro rivalutazione nell’educa-zione dell’oggi, soprattutto nella scuo-

la di base. Inoltre ha saputo tracciarele strade da percorrere in una letturasociale dei bisogni delle famiglie, deibambini, dei giovani e degli educatoriche vanno tenuti in conto perché il so-ciale sappia rispondervi. Ha fatto com-prendere che la pedagogia è da sem-pre forma di pensiero e di sapere a vo-cazione universale. Non può ridursi aluogo di elaborazione o di legittima-zione del pensiero unico. È davvero in-terculturale. Come del resto la scuola,deputata all’educazione, non può as-sistere alla migrazione altrove del si-stema educativo. Forse i miti attuali ele parole d’ordine hanno bisogno diun ripensamento. Non si tratta di av-versare le novità come presa di posi-zione pregiudiziale, ma di tenere sem-pre presente gli elementi di ambiva-lenza che contengono, di essere con-sapevoli delle zone d’ombra che ten-dono a divenire sempre più latenti, equindi più insidiose, ogni qualvolta sienfatizza senza rielaborazione (appun-to mitizzando) tali idee. nnn

IncontriamoMaestri della

pedagogiacontemporanea

per riflettere sulleloro significatività

ed attualità.

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40 | cem mondialità | maggio 2013

La pedagogia ludica

Nell’incontro dedicato alla pedagogia lu-dica con Roberto Papetti si è entrati nellatrama dei saperi emozionali e razionalidella «formazione leggera». Per potereintrodurre la problematica della forma-zione ludica, si è cominciato a vedere en-tro quale prospettiva teorica ci si muove.Tra le prevalenze dei saperi è da collocarela costruzione dei significati ludici, cherientrano nella macrocategoria elabora-tiva della «leggerezza», in opposizione aquella della «possessione»: si danno sen-sazioni, emozioni, pensieri e sentimentileggeri. Possiamo parlare di una vera epropria categoria di homo ludens, parti-colarmente versato nella produzione deisaperi ludici o saperi giocosi: sono le ela-borazioni del sentire e del pensare ali-mentate dalle dimensioni leggere del gio-co. Nella sua testimonianza Papetti ci hafatto percepire lo stile creativo di pensie-ro, l’atteggiamento e il comportamentoche si possono inserire in questo conte-sto, come approccio aperto alla speri-mentazione, stupendosi per le connes-sioni che si possono fare tra pensieri discrittori, filosofi, artisti in un’operazionepratica che non ha finalità esplicite e che,proprio per questo, è libera da stereotipie pregiudizi. Inoltre fa divertire!

La pedagogia narrativa

L’incontro finale sulla pedagogia narra-tiva con Gianni D’Elia ha inteso svilup-pare il suo racconto e quello dei parte-cipanti, facendoci comprendere come ilpensiero e la pratica narrativa possanoessere utilizzati nella formazione, nellaricerca sociale e nel lavoro educativonelle differenti aree d’intervento. Si sonotoccati i fondamenti della pedagogianarrativa alla ricerca del modo in cui essaci può aiutare a ricercare il significatodelle nostre esperienze, per un passaggiodal «fare esperienza» ad «avere espe-rienza». Ci siamo così fatti interrogaredai principali maestri ed educatori chehanno creato i presupposti dell’approc-

cio narrativo. Come è usuale nel pensierodi CEM, lo si è fatto a partire dalla pra-tica, di scrittura o di oralità, in modoche le riflessioni del gruppo provenisseroda attività.Ringraziamo tutti i nostri formatori CEMper ciò hanno saputo donare: hannoconfermato come nel raccontarsi unapersona metta in luce i sentimenti e cer-

chi una logica negli eventi. Scrivendo enarrando, un individuo costruisce il sensodella sua realtà quotidiana. E allora, co-me i marinai, gli educatori e gli operatorisociali hanno bisogno di trovare un sensoal vivere e speranze nel domani. L’uomodi oggi ha bisogno di narrazione perchénel racconto ritrova lo spazio, il tempoe il ritmo giusto per vivere. E così, rac-contando a voi cosa è successo, possosolo confermare tutto ciò e trovare lamotivazione per andare avanti su questastrada! nnn

Per la segnalazione di eventi interculturali

scrivere [email protected]

crea-azione

La pedagogia multimediale

Patrizia Canova ci fatto incontrarela pedagogia multimedialenarrando la sua emozionantestoria, ricca di incontri importanti,di linguaggi e tecniche semprenuove. Ci ha fatto esplorareapprocci multisensoriali emultimediali, anche relativiall’arte, da sempre conosciuti o digrande attualità, per valutarnepotenzialità utili a comprenderedove possa andare l’educazionenella società complessa in cuiviviamo. Ha ribadito che letecnologie hanno la capacità disviluppare nuovi modi dicomunicazione e diffusione

dell’arte e per questo vannoconosciute, usate, apprezzate.Senza ovviamente dimenticare chela qualità del prodotto staindubbiamente nella sensibilitàdell’autore, nella creativitàpersonale, nella capacità dicomunicare in modo unico. Come diceva Orson Welles «perapprendere la tecnica bastaun’ora, per l’arte non basta unavita intera». Io credo sia doveroso,soprattutto in quanto educatori,superare la paura e la diffidenzagenerate dalla non conoscenzadegli strumenti e provare adavvicinarli, conoscerli per cogliernecriticamente anche i rischi, ma,perché no?, anche le opportunitàe le sfide educative in essicontenute, per guardare ai diversivolti dell’arte contemporanea conocchi differenti perché «il veroviaggio di scoperta non consistenel cercare nuove terre, manell’avere nuovi occhi».

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Antonella Filippi - Lino Ferracin Deportati italiani nel lager di Majdanek Zamorani, Torino 2013, pp. 304, euro 32.00

«Questo libro intende restituire un nome e una storia ai molti italiani deportati nel lager di Majdaneknegli anni della seconda guerra mondiale, contribuendo in tal modo a contrastare, pur nei limiti diun ricordo postumo, la volontà annientatrice dei nazisti, che si abbatté su milioni di vite spezzandolee cancellandone programmaticamente anche solo la più piccola traccia», si legge nella prefazionedi Fabio Levi al volume. È il risultato del compito che si sono posti Antonella Filippi e Lino Ferracin,professori a Torino, arrivati nel lager polacco con i loro studenti per un Viaggio della Memoria: rin-tracciare tutti i prigionieri italiani che passarono attraverso quel campo nella Polonia occupata (eche in gran parte non fecero ritorno). La loro ri-cerca ha portato, dalle prime analisi dei docu-menti rimasti e di una copia conservata pressoil Museo di Majdanek del Totenbuch (il registroin cui la burocrazia del lager elencava di giornoin giorno i decessi dei prigionieri), alla scopertadi informazioni sempre più precise sulla vita deideportati, fino all’incontro più diretto con i lorovolti e le loro voci attraverso le memorie conser-vate in famiglia. Gli autori, al contributo del di-rettore del Museo, Thomas Kranz, sulla storiadel lager e a quello dell’archivista Marta Jablon-ska sulla documentazione relativa alla presenzadi prigionieri italiani a Majdanek, fanno seguirel’elenco di 227 deportati, a ognuno dei qualihanno dedicato una scheda biografica con tutti i riferimenti ai documenti che ne ricostruiscono ipercorsi attraverso il sistema concentrazionario; in un capitolo specifico (dando conto di alcune im-portanti scoperte rispetto all’attuale storiografia della deportazione) analizzano i trasporti (dall’Italiae tra un lager e l’altro in Germania e nei paesi occupati); approfondiscono le vicende di alcunedecine di deportati per i quali è stato possibile ritrovare testimonianze più dirette (da lettere,documenti di famiglia e dai ricordi di chi li conobbe); ripercorrono la storia della conoscenza inItalia del lager di Majdanek e infine propongono al lettore le memorie di Carmelo Arno Marino,uno dei pochi che riuscirono a fare ritorno e che ci ha lasciato, in un testo di estrema vivezza, la de-scrizione di una vicenda esemplare della deportazione.

Leonid MlecinPerché Stalin creò Israele?Con scritti di Luciano Canfora, Enrico Mentana, Moni OvadiaEditore Sandro Teti, Milano, 2012, 2a ed., pp. 246, euro 18.00

La liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, da parte dell’Armata Rossa, per moltirappresenta la nascita dello Stato di Israele. Così Primo Levi descrive la liberazione: «di fronte allalibertà ci sentivamo smarriti, svuotati, atrofizzati, disadattati alla nostra parte». Non furono isentimenti dell’opinione pubblica liberale a determinare la costituzione dello Stato ebraico. La sortedella Palestina e degli ebrei palestinesi era nelle mani dei politici americani e britannici che in genereerano contrari alla creazione di Israele. In realtà lo Stato ebraico non sarebbe sorto senza Stalin.Mlecin, per realizzare il libro, si è basato su documenti desecretati dagli archivi sovietici. L’UnioneSovietica allora, e poi la Federazione Russa adesso, se ha simpatia in Medio Oriente, è piuttostoverso i paesi arabi: allora Perché Stalin creò Israele? 14 maggio 1948: giorno in cui terminò il mandato britannico sulla Palestina e in cui Ben Guriondiede l’annuncio ufficiale della nascita dello Stato di Israele. Le votazioni alle Nazioni Unite, premessadi quel giorno, andarono così: 33 voti a favore, 13 contro e 10 astensioni. Con l’Urss votaronoUcraina, Bielorussia, Polonia e Cecoslovacchia. Se questi voti, scrive Luciano Canfora, fossero passati

Il libro è il risultato delcompito che si sono posti

gli autori, professori aTorino, arrivati nel lager

polacco con i loro studentiper un Viaggio della

Memoria: rintracciare tuttii prigionieri italiani che

passarono attraverso quelcampo nella Polonia

mediamondo

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CEMcard

I libri possono essere richiesti alla Libreria dei Popoli che fa servizio di spedizione postale, con sconto del 10% per i possessori della CEM Card.

Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - tel. 030.3772780 - fax 030.3772781www.saveriani.bs.it/libreria - [email protected]

nel campo dei contrari o degli astenuti ci sarebbe stato un risultato di parità. Stalin fece votare inquesto modo per dare fastidio alla Gran Bretagna, per porre un cuneo alla sua presenza invasiva,in quel cruciale momento storico. Essa si astenne perché temeva, come gli Stati Uniti, che la nascitadello Stato ebraico avrebbe irritato gli arabi e impedito il flusso del petrolio verso i rispettivi paesi.Agirono così le ragioni forti degli interessi nazionali messi al servizio di una storica riparazione

morale. Golda Meir, ambasciatrice in Urss e successi-vamente primo ministro d’Israele, disse: «Probabil-mente senza il loro aiuto non ce l’avremmo maifatta». Abba Eban, padre fondatore e successivamenteministro degli esteri e primo ministro, disse: «l’Urssfu l’unica grande potenza che ci sostenne». L’autoreanalizza anche la campagna antisemita che Stalin at-tuò tra il 1949 e il 1953 (anno della sua morte),escogitando il cosiddetto complotto dei «Medici del Cremlino», in maggioranza ebrei, accusati di aver av-velenato alti dirigenti del Partito e di aver complottatoper la sua morte. Gli ebrei in Urss ricoprivano ruolistrategici nelle gerarchie del regime e addirittura nelsistema Gulag. Probabilmente, l’improvviso antise-mitismo di Stalin fu dovuto al suo timore dello svi-

lupparsi di uno stretto legame fra lo Stato ebraico e gli ebrei sovietici, che avrebbe potuto ostacolareil suo potere assoluto. Il volume di Mlecin intende criticare sia i revisionisti reazionari, sia i revisionisticosiddetti di sinistra. Infatti Israele non fu figlio dell’imperialismo degli Stati Uniti, perché negli annidella sua fondazione, negli Usa infuriava il maccartismo, la caccia alle streghe comuniste: in realtàsi trattava di una campagna antisemita, perché essere ebreo equivaleva ad essere comunista.(Fabrizio Cracolici e Laura Tussi - Peacelink)

Nadia ZattiHo un cervello sotto il velo! Il punto di vista delle donne musulmanePrefazione di Issam MujahedCavinato Editore International, Brescia, 2013, pp. 61, euro 12.00

«Una persona sta bene con gli altri quando sta bene con se stessa: metto il velo ma se sonosimpatica sono simpatica, se sono bella sono bella lo stesso, quella che sono, sono e ho un cervellosotto il velo!». Ci siamo mai chiesti o abbiamo mai chiesto direttamente alle donne musulmaneperché indossano un pezzo di stoffa tanto criticato e che significato ha per loro? Questo volumetto,che desidera abbattere i muri del pregiudizio attraverso la conoscenza ed il dialogo, nasce daun’amicizia che è stata in grado di rivoluzionare il modo di guardare alle donne musulmane daparte dell’autrice e le ha fatto scoprire che oltre quel velo c’è una donna con una storia, dei desiderie delle convinzioni personali proprio come per lei. Nadia Zatti è una giovane laureata pressol’Università degli studi di Padova, dipartimento di scienze politiche, giuridiche e studi internazionalinel corso di laurea triennale in scienze politiche, relazioni internazionali e diritti umani.

La sorte della Palestina edegli ebrei palestinesi era

nelle mani dei politiciamericani e britannici

che in genere eranocontrari alla creazione di

Israele. In realtà lo Stato ebraico non sarebbe

sorto senza Stalin

mediamondo

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Discografia

Amjad Ali Khan/Scottish Chamber Orchestra/David Murphy, Samaagam, World Village 2011.

Amjad Ali Khanla tradizione rinnovata

Luciano Bosi

organizzatinuovi suoni

se conosciuta e vissuta da dentro e conimpegno, può essere reinventata, estesae rigenerata».Crescendo ha mantenuto un grande in-teresse nei confronti delle diverse tradi-zioni indiane, e soprattutto verso la mu-sica Carnatica dell’India del sud, attrattodal rigore con cui gli esecutori traman-dano la forma originale dei raga. A dif-ferenza dei musicisti hindustani, infatti,per lo più concentrati sulle proprie im-provvisazioni, le composizioni di questi

ultimi vengono create per preser-vare il raga originale.Amjad Ali Khan è da tempo un

frequentatore delle terre del tra;attratto da sempre dalla ricchezza

della musica classica europea, ha ini-ziato già nel 1963 a tenere concerti disarod negli Stati Uniti e a frequentarecontesti accademici e musicisti occiden-tali. A tale proposito, mi limito a ricor-dare la sua collaborazione con la HongKong Philharmonic Orchestra e con leuniversità del New Mexico e di Stanford.Ma il lavoro più significativo in ambitointerculturale di Amjad che voglio quiricordare è il disco Samaagam, progettorealizzato con la Scottish Chamber Or-chestra e il suo direttore David Murphy.Samaagam, parola sanscrita che significaconfluenza o confluire, definisce davveroquello che si ascolta in questo splendidoe raro esempio di perfetta convivenzatra due culture musicali distanti e diverse.La delicata poetica che s’incontra nei pri-mi tre brani del cd, tre brevi raga eseguitidal sarod di Amjad accompagnato dalTampura e dai Tabla, viene potenziata eresa ancora più magica nei brani suc-cessivi, dove l’entrata della ScottishChamber Orchestra ci conduce in un se-ducente dialogo tra le sonorità indianee quelle europee, nel quale nessuna delleidentità in campo cerca di prevalere. Unvero dialogo e non una somma di diffe-renze. Assolutamente da possedere.Buon ascolto a tutte e a tutti. nnn

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Ben ritrovate e ben ritrovati. Si puòessere rigorosi ma non integralisti;si può rappresentare la tradizione

ma al contempo esserne un innovatore;si può essere musulmano praticante esposare una donna induista senza chie-derle di abbandonare il proprio credo;come si può, con pari passione ed amo-re, dedicarsi all’arte e al quotidiano vi-vere, o meglio convivere con il resto delmondo. Queste ed altre qualità identifi-cano Amjad Ali Khan, un altro impor-tante musicista orientale orientato anchead occidente.Nato il 9 ottobre 1945 a Gwalior, unacittà dell’India centrale, è un grande mae-stro e virtuoso suonatore di sarod, unliuto dalle splendide e suadenti sonoritàderivato dal rubab afghano, molto dif-fuso nella musica hindustana. La sua fa-miglia, che rivendica la paternità del sarode che ha elaborato lo stile bangash, tra-manda le proprie conoscenze di genera-zione in generazione. Ali Khan ha ap-preso dal padre Haafiz Ali Khan i fonda-menti dell’uso dello strumento, e la set-tima generazione, cioè i suoi due figlinonché allievi e collaboratori Amaan AliKhan e Ayaan Ali Khan, sono da tempogià noti anche in ambito internazionale.Il nostro Amjad tenne il suo primo con-certo pubblico all’età di sei anni, e sem-pre a quel tempo iniziò a sperimentaremodifiche a brani (raga) tradizionali. Atale proposito ricorda: «un giorno, dabambino, stavo provando una combi-nazione melodica tra i raga Bhatiyar,Anandbhairav, Bhairav e Gunkali, e miopadre, tradizionalista, mi incoraggiò acontinuare. Quella sperimentazione di-ventò Raag Sohagbhairav. La tradizione,

«La musica è la miapassione; mi sento inimbarazzo a direche è la miaprofessione»Amjad Ali Khan

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Lorenzo [email protected]

saltafrontiera

Bello, intenso e incredibilmente at-tuale: è Benvenuto, romanzo delloscrittore tedesco Hans-Georg No-

ack (Gallucci, 2013, pp. 190) uscito inGermania negli anni Settanta (l’autoreè morto nel 2005), pubblicato solo orain Italia, grazie allo scrittore e insegnanteEraldo Affinati e alla moglie Anna LuceLenzi (traduttrice del testo) che lo hannoscovato, per un caso fortuito, a Berlino.Benvenuto è un ragazzino di 12 anniche, negli anni Settanta, parte con lamadre e la sorellina da un paesino delmeridione d’Italia per raggiungere il pa-dre operaio metalmeccanico, emigratoin Germania, a Wolfburg, città dove sifabbricano automobili. Ben presto il gio-vane protagonista, risoluto e intrapren-dente, si trova ad affrontare tutti i pro-blemi e gli ostacoli di un’integrazionedifficile, a scuola e nella città: farsi ac-cettare dai compagni tedeschi, una nuo-va lingua da imparare, contribuire con ilproprio lavoro all’economia familiare, ri-nunciare all’amicizia di una ragazza te-desca perché la famiglia di lei non vededi buon occhio che frequenti uno stra-niero; e poi le liti all’interno della comu-nità degli immigrati e tra Itaker (così,con disprezzo venivano chiamati gli ita-liani) e i coetanei tedeschi... È chiaro cheil «benvenuto» del titolo finisce per suo-nare vagamente ironico («Benvenuto nonera benvenuto da nessuna parte»), tantoda alimentare nel giovane protagonistail mito per Brelone, il paesello di origine,e del ritorno. Che è poi quanto vorreb-bero gli autoctoni: perché in questa sto-ria sono gli italiani gli stranieri «da ri-spedire là da dove sono venuti», comesi legge nelle lettere di protesta che i let-

Willkommen,Benvenuto!

tori spediscono ai quotidiani locali dopouna lite tra bande di giovani italiani etedeschi.Nel giro di pochi decenni, dunque, larealtà si è capovolta. Gli uomini com-mettono gli stessi errori, ha commentatoamaramente Eraldo Affinati a propositodi Benvenuto: «la reazione antropologicadi fronte al diverso è sempre la stessa,scatta la paura che possa minare la no-stra fragile identità. Magari tuo nonnoè stato migrante in Germania, ma se timanca l’esperienza conoscitiva diretta,la sua memoria non ti serve a niente».Ma il romanzo di Noack è costellato daepisodi e riflessioni che, seppure collocatiin altri tempi e contesti, sollecitano il let-tore a misurarsi con l’odierna realtà ita-liana. Prendiamo quest’altro brano, doveil padre di Benvenuto si rivolge al figlio:«Ci vedono di buon occhio perché fac-ciamo il lavoro per cui altrimenti non ci

Benvenuto è unragazzino di 12 anni

che, negli anniSettanta, parte con la

madre e la sorellinada un paesino del

meridione d’Italia perraggiungere il padre

operaiometalmeccanico,

emigrato inGermania,

a Wolfburg, città dovesi fabbricano

automobili

sarebbe nessuno disponibile. Vorrebberotenerci di buon umore, perché non dob-biamo tornarcene via. Noi siamo usati.Se uno si vuole infilare scarpe troppostrette e non ha il calzascarpe, si accorgeche gli manca qualcosa. Per questo nonconsidera il calzascarpe una cosa parti-colarmente importante, se ce l’ha. Dicerte cose ci si accorge solo quandomancano. Con gli uomini non è tantodiverso. A noi stranieri qui farebberodavvero attenzione solo se all’improvvisonon ci fossimo più. È così, bisogna farcil’abitudine, perché intanto non si puòcambiare niente» (pp. 176-177).Un libro dunque che mantiene intattala sua freschezza, la sua capacità di par-larci e di tracciare un quadro attendibiledella storia recente. Una lettura consi-gliabile a tutti. nnn

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Lino [email protected]

cinema

RegiaRose Bosch

InterpretiJean Reno, Mélanie Laurent, Hugo Leverdez, Gad Elmaleh, Raphaelle Agogué.

Francia/Germania/Ungheria. 120 min.2010. Eagle Pictures - Videa

La regista

Roselyne Bosch,cinquantenne di Avignone,dopo essere statagiornalista del settimanaleLe point, nel 1985 passacome sceneggiatrice primaalla tv e poi al cinema con1942, la conquista delparadiso. Dal 2005 insiemeal marito Ilan Goldman, lacui famiglia riuscì asottrarsi agli arresti delluglio 1942, si dedica alprogetto di La rafle. Suglischermi sta per uscire il suoultimo film su Rasputin.

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Vento diprimavera La RafleLa storia. Estate 1942, nella Parigi occupata dai nazisti gli ebreisono prima obbligati ad esibire la stella gialla, poi allontanati dailuoghi e dagli incarichi pubblici, infine arrestati e rinchiusi nel Veld’Hiv. Deportati prima in campi di concentramento temporanei sonopoi inviati allo sterminio in Polonia. Sono gli sguardi del bambino JoWeisman e di Annette, infermiera non ebrea assegnata all’assistenzanel velodromo, che raccontano le vicende all’interno della retata,mentre le trame politiche e diplomatiche s’inseriscono con incontritra il primo ministro Laval, il maresciallo Petain e la Gestapo, e conmomenti in cui Hitler, in vacanza nel suo Nido d’Aquila, si intrattienecon bambini e si confronta con Himmler sulla deportazione degliebrei dalla Francia.

I fatti della Storia

Durante la Seconda guerra mondiale, nellaFrancia occupata dall’esercito tedesco e inquella di Vichy governata dal collaborazionista

Petain, 63.085 francesi (resistenti, ostaggi, cittadinicomuni, politici...) furono deportati verso i campi diconcentramento: 37.025 di essi (il 59%) ritornò inpatria; almeno 75.721 ebrei (cittadini francesi e non)furono deportati verso i campi di sterminio ad Est:solo 2.500 di essi (il 3%) sopravvissero. Tra i tanti epi-sodi di retate particolarmente presente nella memoriafrancese è quello del 16/17 luglio 1942, quando aParigi furono arrestati 12.884 ebrei (3.031 uomini,5.802 donne, 4.051 bambini). L’arresto dei bambinifu deciso su iniziativa del primo ministro Laval mentrei tedeschi furono inizialmente contrari. Tra gli ebreifermati 6.000 non sposati o senza figli furono subitotrasferiti nel campo di Drancy, alla periferia Est dellacittà, gli altri furono rinchiusi senz’acqua, cibo e servizinel Vél d’Hiv, il velodromo d’inverno, e dopo alcunigiorni trasferiti nei campi di Pithiviers e di Beaune-la-Rolande, nel Loiret. Tra la fine di luglio e l’inizio diagosto gli adulti dei due campi, separati dai figli, fu-rono prima portati a Drancy e poi ad Auschwitz. Finoalla metà di agosto i 3.000 bambini restarono soli,poi furono anch’essi deportati a Drancy e subito dopoad Auschwitz: 2.000 di essi avevano meno di sei anni.Nessuno di loro ritornò dalla Polonia. Dei 24.000 ar-resti programmati nella retata solo una parte trovòeffetto perché più di 10.000 ebrei trovarono l’aiutodi migliaia di parigini.La Rafle du Vél d’Hiv, preparata con cura dalla pre-fettura di Parigi, a seguito di precisi accordi tra il go-verno di Petain e l’amministrazione nazista, fu messain atto da 2.744 poliziotti, ma furono almeno 7.000i funzionari francesi coinvolti coscientemente nel-l’operazione. Una responsabilità di cui la Francia fa-ticosamente ha preso coscienza e sulla quale nel set-tantesimo anniversario della Rafle due film sono ri-tornati a fare memoria.

La grande rafle

La ndolc

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Il registaGilles Paquet-Brenner,di famiglia ebraica,nasce a Parigi nel1974. Il nonno,musicista tedesco, fudenunciato da francesie morì nelladeportazione. Ha alsuo attivo una decinadi film di generi diversitra il giallo, l’horror ela commedia; il saltoqualitativo e disuccesso di pubblicoarriva con La chiave diSara.

RegiaGilles Paquet-Brenner

InterpretiKristin Scott Thomas, MélusineMayance, Niels Arestrup, FrédéricPierrot.

Francia. 111 min. 2010. Lucky RedDistribution.

La chiave di Sara Elle s’appelaitSarahLa storia. Nel documentare in un articolo la vicenda della Rafle duVél d’Hiv, la giornalista americana Julia Armond s’imbatte nellastoria di Sara, bambina ebrea sopravvissuta alla retata perché fuggitadal campo di Beaune-la-Rolande. Nella grande tragedia degli ebreiparigini, Sara ha una sua terribile tragedia personale e i risvolti diquella storia arriveranno a toccare la vita della stessa Julia.

I due filmCome sempre all’uscita di un nuovo film sulla Shoah, ritor-nano le grandi questioni: è possibile fare arte dopo Au-schwitz? Quale racconto su quella storia dopo la mortedegli ultimi testimoni? È possibile romanzare e inventarequelle vicende? Quale distacco è necessario tra emozione eracconto, perché lo spettatore non si giustifichi e consolicon le sole sue lacrime? Quale sguardo resta morale nelrappresentare quella realtà?Ricordiamo sempre che i film che si confrontano con la Sto-ria, nel loro individuarne e ricostruirne alcuni episodi, sonocondizionati e motivati dalle domande, sensibilità ed espe-rienze dell’oggi: perché dopo settant’anni due case pro-duttrici investono milioni di euro per fare film sulla retata aParigi del luglio 1942? Forse perché quella storia ci toccaancora da vicino, ci ricorda i nostri scheletri negli armadi eci rammenta che l’essere una nazione di alta cultura e ditradizioni liberali e patria dei diritti dell’uomo non è suffi-ciente vaccino al cedimento di fronte al potere a danno delpiù debole e del diverso?Ricordiamo ancora come ogni narrazione storica è comun-que ricostruzione e non realtà e presuppone un posizionarsi,un punto di vista tra i tanti possibili. È per questo utile ri-flettere sul diverso approccio che i due film hanno del me-desimo episodio storico, ormai ricostruito in quasi tutte lesue dimensioni. Vento di primavera si basa su episodi ac-certati e sulla testimonianza di persone realmente vissuteed è costruito come un classico film storico che intende se-guire fedelmente ed emotivamente i fatti attraverso le vi-cende di alcuni personaggi; La chiave di Sara è invece trattodal romanzo omonimo di Tatiana de Rosnay, i personaggi ele situazioni sono frutto di fantasia anche se con riferimentiprecisi alla Storia. L’approccio sostanzialmente diverso delfilm di Paquet-Brenner sta nel mescolare il passato e il pre-sente legandoli tra loro e nel personaggio della giornalistache offre allo spettatore un approccio alla vicenda storicapiù critico e distaccato, favorito in questo anche dagli altripersonaggi contemporanei che o in modi diversi patisconoancora quelle vicende o ne sono differentemente coscientie sensibili. Questi aspetti riscattano un film per altri versisovraccarico, nella parte legata al presente, di situazionigià difficili e tragiche di per sé anche senza il riferimentoalla Shoah.Ancora una riflessione sui titoli scelti dalla distribuzione ita-liana. L’originale La rafle (la retata) sottolinea l’unicità e laspecificità di quell’episodio, mentre il titolo Vento di pri-mavera è privo di significato se non si spiega che Vent prin-tanier era il nome in codice dell’operazione. L’originale Elles’appelait Sarah ricorda un nome per difendere l’unicità diognuna di quelle vite, mentre evidenziare La chiave di Sarane accentua la dimensione romanzesca e la «responsabilità»di Sara in un contesto di ben altre responsabilità.Ma perché scrivo di questi film su CEM Mondialità di maggio,lontano dalla Giornata della Memoria? Per resistere allastanchezza che già si sente nei mass media e nelle scuolenel ritornare tutti gli anni a parlare per 15 giorni della Shoahe per ridirsi che non si può prescindere da quei fatti ognivolta che si riflette sull’uomo, su Dio, sul rapporto con lalegge, con il potere, con l’altro.

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cinema

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Io, i cinesi e i dubbi metafisici

Certi giorni sono perseguitato dai dubbi, comel’autore dai sei personaggi pirandelliani. I dubbiprincipali sono tre: il tempo sfocerà nell’eternità?

L’universo è finito o infinito? Chi corrisponde alla verità:il monoteismo, il politeismo, il panteismo o l’ateismo?Forse dovrei fare come Buddha: mettere al bando i dubbimetafisici, o rimandarli a un futuro in cui sia già risolto ilproblema del dolore (e della cena). Oppure dovrei ac-cettare la tesi che si tratta di entes rationis, enti mentaliinerenti al reale, ma non reali (quindi... virtuali?). Se però vogliamo riflettere, troveremo che qualsiasi ri-sposta ai problemi sopra accennati è «imbarazzante» efeconda. Euclide disse che l’universo è infinito e ha svi-luppato la sua geometria; Einstein ha ipotizzato che l’uni-verso sia finito e ha rivoluzionato la scienza. Angelus Si-lesius disse che l’eternità è un incubo... per chi soffre,ma non per chi è nella gioia; gli indiani vedono l’eternitànell’attimo presente; Fernando Pessoa aveva pena dellestelle perché brillano da tantissimo tempo; Rubem Alvesfa notare che la nona sinfonia perderebbe il fascino senon terminasse... Quanto al mondo religioso (il più minato): certi nativiamericani ritenevano una barbarie la fede in un Dio unico(inevitabilmente imperialista). Buñuel diceva: Grazie aDio, sono ateo. San Tommaso ha provato razionalmenteche Dio esiste ed è uno e non è imperialista. QuandoMatteo Ricci ha difeso la tesi tomista in Cina, i cinesi piùperspicaci ritennero puerile, arido e grossolano ricorrerealla sola ragione per un assunto così fine e, praticamente,inattingibile. Per la verità i cinesi tagliano i nodi dei tredubbi, dicendo che: l’universo è di grandezza indefinita,esso è di una misura indefinita anche quanto al tempodalla autocreazione al suo epigono. E di Dio ci sonocento prove che esista e altrettante che non esista: meglioallora essere umili e decidere come vogliamo vivere, seda teisti o da atei (per Confucio la prova dell’esistenzadi Dio è la preghiera: noi sentiamo il bisogno di pregare,quindi il Destinatario della preghiera c’è). Una cosa che mi lascia perplesso è la facilità con cuinoi occidentali costruiamo sistemi per arrivare all’orto-

dossia che, evidentemente, è molto utile all’istituzione. I poeti e i mistici danzano atemporali, in un’isola chenon c’è ma c’è, e che sconfina tra teismo, panteismo,politeismo e ateismo. Sono appassionati, inebriati. Manon fanno carriera nella società (grazie a Dio?).Non vorrei che il mio frullato di abacate, mamão, bananae calore tropicale sia allucinogeno!

arnaldo de [email protected]

i paradossi

Arnaldo De Vidi, Mario CelliLe cinque stagioni. Educazione alla mondialità,intercultura, pace

Pubblicazione a cura della Regione Lazio,Assessorato Ambiente e Cooperazione tra i Popoli,del Comune di Monte Porzio Catone, Assessorato alle Politiche Sociali e dei Missionari SaverianiRoma 2008

Questo volume di poesie di p. Arnaldo De Vidi, illu-strato da p. Mario Celli (entrambi missionari save-riani, Celli è scomparso nel 2012), riunisce compo-nimenti diversi per genere e ispirazione. P. Arnaldo,ha raccolto varie poesie frutto della sua esperienzadi sacerdote, di missionario, di ricercatore dei temidella mondialità e dell’intercultura, di letterato finee sensibile alle culture altre. Riuscito il connubio trapoesie e immagini, in maggioranza disegni al trattodi ambienti, situazioni, corpi, volti.

Il volume è disponibile presso la Libreria dei Popoli

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dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

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SABATO 18 MAGGIO 2013

BRESCIACHIESA DI SAN CRISTO

ore 9.00-18.30

CONVEGNO DI MISSIONE OGGI E CEM MONDIALITÀ

SIAMO GLI ULTIMI CRISTIANI? SULLA SOGLIA DI UN NUOVO MONDO

Interventi di

Mauro Ceruti / Andrés Torres Queiruga / Paolo Boschini / Francesco Marini

Carlos Mendoza-Álvarez / Antonella Fucecchi / Cristina Simonelli

Info: [email protected] - tel. 030.3772780 - www.saverianibrescia.com/missione_oggi.php

agire

abitare

governarecoltivare

produrre

• appuntamenti culturali • aree espositive • laboratori • animazioni e spettacoli

mostra-convegno internazionale

terrafuturabuone pratiche di vita, di governo e d’impresa

Firenze - Fortezza da Basso17/19 maggio 2013X edizione | ingresso libero

Regione Toscana

www.terrafutura.itRelazioni istituzionali e programmazione culturaleFondazione Culturale Responsabilità Etica tel. 049 7399726 - 055 2638745email [email protected]

Organizzazione eventoAdescoop-Agenzia dell’Economia Socialetel. 049 8726599email [email protected]

Dieci anni dopo: oltre la crisi,per una nuova Europa20

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QUELLO CHELE COSECI DICONO

EDUCAREAI BENI

COMUNI

Sede del Convegno

HOTEL DELLA TORREtel. 0742.3971 | fax 0742.391200 [email protected] | www.folignohotel.com S.S. Flaminia, km. 147 | 06039 (Loc. Matigge) Trevi (Pg)

52° CONVEGNO NAZIONALE CEM | 20-24 AGOSTO 2013 - TREVI (PG)

Per informazioni

SEGRETERIA CEM tel. [email protected]

PROGRAMMA

Il Convegno prevede un programma ricco di iniziative: 9 propostedi laboratorio (compresi quelli per bambini e ragazzi), 5 workshop,presentazione di libri, musica, momenti di convivialità, ecc.

FORMULA LIGHT

È possibile partecipare al Convegno in forma ridotta usufruendodella «Formula light» (dalle ore 16.00 del 20 agosto al pranzo del 21 agosto), che consente di assistere ai relatori principali e di iscriversi ad un workshop.

LUIGINO BRUNIECONOMISTA

DOMENICO LUCIANIARCHITETTO E PAESAGGISTA

ROBERTO PAPETTIMISTICO ROMAGNOLO

KACHUPAFOLK BAND

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