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IL MENSILE DELL’EDUCAZIONE INTERCULTURALE 5|2016 maggio cem.saverianibrescia.it ® La voce del CEM non si spegne Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM) dei Missionari Saveriani di Parma con sede a Brescia Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n. 46) Art. 1 - Comma 1 - DCB Brescia - Anno LV - n. 5 - Maggio 2016 - Via Piamarta 9 - 25121 Brescia - contiene I.R. GIOVANI E INTERCULTURA COME UN ROMANZO… DEL FUTURO DAL FRANCOBOLLO ALL’HASHTAG

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GIOVANI E INTERCULTURA

COME UN ROMANZO… DEL FUTURO

DAL FRANCOBOLLO ALL’HASHTAG

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«FUNDRAISING» E «CROWDFUNDING». 17PER UN CEM SOSTENIBILE? Roberto Marrella

DIARIO DI VIAGGIO 19Marco Dal Corso

IL CEM E LE PROSPETTIVE NEL MONDO DEL LAVORO 21Roberto Morselli

DAL FRANCOBOLLO ALL’«HASHTAG». MODELLANDO 23LO SGUARDO INTERCULTURALEMaria Maura

LE IDEE DI CEM PER UN NUOVO RUOLO 25DEL MAESTROStefano Curci

IL MIO CEM A SCUOLA 27Sara Ferrari

A MILLE CE N’È 29Martina Vultaggio

CONSEGNARE UNA RESPONSABILITÀ PER IL FUTURO 30Annamaria Janni Janez

LE COSE NON ACCADONO MAI PER CASO 31Rita Roberto

Rivista del Centro Educazione alla Mondialità (CEM)dei Missionari Saveriani di Parma, con sede a Brescia

Direzione e RedazioneVia Piamarta 9 - 25121 Brescia tel. 0303772780 - fax 030.3772781

DirettoreAntonella [email protected]

Condirettori Antonio Nanni [email protected] Lucrezia Pedrali [email protected]

Segreteria e sitoMichela [email protected]

Redazione Federico Tagliaferri (caporedattore)[email protected]

Daniele Barbieri, Gianni Caligaris, MarcoDal Corso, Antonella Fucecchi, ElisabettaSibilio, Marco Valli

Collaboratori CEM dell’annata 2015-2016Lubna Ammoune, Silvio Boselli, LucianoBosi, Massimo Bonfatti, Paola Bonsi, Fran-cesco e Giacomo Caligaris, Patrizia Cano-va, Chiara Colombo, Stefano Curci, Agne-se Desideri, p. Arnaldo De Vidi, FiorenzoFerrari, Sara Ferrari, Lino Ferracin, Fran-cesca Galloni, Adel Jabbar, Lorenzo Luatti,Maria Claudia Olivieri, Riccardo Olivieri,Roberto Papetti, Candelaria Romero, Na-dia Savoldelli, Alessio Surian, Aluisi Toso-lini, Sebi Trovato, Roberto Varone, MartinaVultaggio.

Direttore responsabileMarcello Storgato

editorialeLa voce di CEM non può spegnersi. 1Antonella Fucecchi

questo numeroa cura di Federico Tagliaferri 3

Sommarion. 5 / maggio 2016

UNA FAMIGLIA NEL CEM 33Clelia Minell

STARE NELL’ARTE DEL GIULLARE. UNA VOCE 34SEMPRE FUORI DAL CORO!Nadia Savoldelli, Candelaria Romero

NON LA FINE, MA SOLO UN’ALTRA TAPPA 36DEL VIAGGIO SONOROLuciano Bosi

LA ZATTERA MONDO 38Renzo Laporta

COME UN ROMANZO… DEL FUTURO 40Elisabetta Sibilio

NON ESISTE UN SOGNO TROPPO GRANDE 42DA REALIZZARELorenzo Luatti

cem.saverianibrescia.it

[email protected]

Amministrazione - abbonamentiCentro Saveriano Animazione MissionariaVia Piamarta 9 - 25121 Brescia Telefono 030.3772780 - Fax 030.3772781 [email protected]

Quote di abbonamentoCopia singola cartacea € 5,00Cartaceo 10 numeri - annuale € 30,00On line 10 numeri - annuale € 20,00Abbonamento triennale € 80,00Abbonamento d’amicizia € 50,00

Abbonamento CEM / esteroEuropa € 60,00Extra Europa € 70,00

Per le modalità di abbonamento consul-tare il sito cem.saverianibrescia.it

Registrazione Tribunale di Parma, n° 401 del 7/3/1967

Editore: Centro Saveriano Animazione Missionaria - CSAM, Soc. Coop. a r.l. (in liquidaz.)via Piamarta 9 - 25121 Brescia, reg. Tribunale di Brescia n° 50127 in data 19/02/1993.

Grafica: Orione. Cultura, lavoro e comunicazioneDisegno di copertina: Silvio BoselliStampa: Tipografia Camuna - Brescia

La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 250 del 7 agosto 1990.

RIFLESSIONI 4Lucrezia Pedrali

PADRE DOMENICO MILANI ISPIRATORE 6DEL CEM DEL FUTUROLuciana Pederzoli

PER SOSTENERE IL CEM BISOGNA ESSERE ERETICI 8Arnaldo De Vidi

UN NUOVO CEM È POSSIBILE? IPOTESI DI FUTURO 10Antonio Nanni

GIOVANI E INTERCULTURA 14Riccardo Olivieri

GESTIRE UN’EREDITÀ PSICOLOGICA. 16ISTRUZIONI PER L’USOFrancesco Galloni

DALLA RESILIENZA ALLA RI-NASCITA 44Alessandra Ferrario, Oriella Stamerra

INTERCULTURA, IMPREVEDIBILMENTE 46Alessio Surian

LA PAGINA DEI GIROVAGHI 48Massimo Bonfatti

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antonella fucecchi | direttore [email protected] antonella.rankoussi

editoriale

Cari lettori,

Q uesto ultimo numero di CEM mondialità assume una valenza storica fondamentale perché svolgeil doppio ruolo di chiudere ed aprire due fasi: conclude non solo la pubblicazione di una rivistache ha acquisito questa denominazione dal 1972, ma anche le attività di un movimento educativo

iniziato nel 1942 e operativo, con notevoli trasformazioni, per tutta la seconda parte del Novecento, ed apreun periodo di resistenza-resilienza lungo dagli esiti difficilmente prevedibili, un tentativo di metamorfosi nelsegno dei tempi. Nonostante tutto, vogliamo esserci ancora.La krisis ora diventa kairòs e per la prima volta si fa esperienza concreta, vissuta, non scenario di riflessioniteoriche tema di convegni e di relazioni ed annate: ora si tratta di navigare davvero in acque diverse, senzaalcuna copertura che non sia quella garantita dalla tenutadelle reti relazionali create negli anni, dalla fedeltà nelbuio a ciò che si è visto nella luce.Non sarà possibile senza il sostegno dei nostri lettori el’affetto di coloro che ci hanno seguito nelle varie stagioni,attraversare il guado e approdare sulle varie terre dimezzo guidati soltanto dalla nostra volontà di reagire allachiusura forzata e di credere con maggiore convinzionenella scelta vocazionale del CEM che si fa di nuovo mo-vimento in transito. Come il numero di aprile ha dimo-strato, la storia non ha mai un andamento rettilineo e ver-ticale, sempre eretto, ma procede con la logica orizzon-tale del fiume che muta di continuo le sue acque rimanendo se stesso, in una costante rigenerazione. Insab-biamenti, stagnazioni, impaludamenti non sono patologie, ma modalità fisiologiche che scandiscono le me-tamorfosi dei movimenti e delle idee. Il CEM vuole affrontare questa sfida ulteriore e lo fa attraverso una mo-bilitazione di tutte le risorse disponibili, forte di alcune considerazioni:

n la certezza della crucialità dell’intercultura declinata in chiave educativa e politica nella formazione enella gestione illuminata di processi storici epocali che il nostro paese e l’Unione europea faticano a coglierenella loro dimensione propositiva e creativa, opponendo alle opportunità offerte da questa congiuntura lalogica della paura e la retorica della sicurezza;n la rinnovata fiducia nel ruolo e nella funzione degli educatori, dei formatori, degli adulti responsabili,capaci di adottare logiche controcorrente e di continuare ad operare in contesti sempre più ostili ai principidemocratici dichiarati nelle carte costituzionali e nei documenti;n la fedeltà ad un’idea di cittadinanza non protezionistica ed immunitaria, ma aperta al raggiungimento di unagiustizia sociale che non gerarchizzi le differenze ed etnicizzi i diritti, ma garantisca a tutti pari opportunità;

Ora si tratta di navigare inacque diverse, senza alcunacopertura che non sia quella

garantita dalla tenuta delle retirelazionali create negli anni,dalla fedeltà nel buio a ciò

che si è visto nella luce

La voce di CEM non può spegnersiSentinelle nella notte e non fiaccole sotto il moggio

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n la ferma volontà di ribadire la gratuità liberamente scelta del nostro servizio, che ci garantisce autonomiadi pensiero e di giudizio, piena assunzione di responsabilità e libertà di sbagliare;n la convinzione che nessuna sicurezza preventiva ha mai sostenuto uno slancio profetico, quello a cuivorremmo restare legati come tratto caratteristico della nostra militanza educativa.

Questo numero non vuole aggiungersi al coro delle geremiadi che sta attraversando una certa editoriaimpegnata, specie di ambito cattolico o confessionale, per lo stato di crisi generale, perché preferiamoinvestire le nostre energie, poche o tante che siano, nella progettazione di un nuovo percorso. Ancheperché CEM non è mai stato solo una rivista. Dunque, non faremo come la Piccola fiammiferaia: il nostrofuoco creativo, anche se intirizzito dal gelo circostante, lo vorremmo usare per scaldare ed illuminaresenza ripiegamenti nostalgici e fantasie consolatorie. Crediamo che le sfide globali in corso rendano piùche mai necessaria la presenza di strumenti formativi adatti ad affrontare con creatività i conflitti per

evitare che degenerino in scontro aperto: vorremmo cheeducatori e cittadini apprendessero l’arte della negozia-zione, la capacità di impiegare tutte le risorse disponibiliper abitare le terre di mezzo del dialogo e dell’ascolto,per prevenire ulteriori lacerazioni del tessuto sociale eimparare a convivere in una polis plurale sempre più me-ticcia fondata su un patto condiviso e non sul privilegiodelle appartenenze.La voce di CEM non può spegnersi proprio ora che sa-rebbe indispensabile ascoltarla: il nostro patrimonio diesperienze e condivisioni merita un’altra possibilità in unalogica di servizio e di testimonianza. In questi anni CEMha dimostrato che un’altra educazione è possibile, che

occorre essere sentinelle nella notte e non fiaccole sotto il moggio. Se avremo ancora olio nelle nostrelampade, lo useremo fino alla fine per testimoniare l’esistenza della luce in fondo ad ogni tunnel. Perquesto annunciamo che vogliamo vivere e che illustreremo le nostre mosse e le scelte successiveall’ultimo numero di maggio in un blog di passaggio che sarà la nostra imbarcazione provvisoria. Ènostra intenzione costituire comunque un’associazione che darà finalmente al nuovo CEM il profilogiuridico tanto desiderato da almeno dieci anni. Non rinunciamo al nostro impegno educativo e cercheremodi rilanciarlo per non disperdere la nostra tradizione, ma ribadiamo la volontà di:

n dedicarci in modo prioritario alla pedagogia interculturale con rinnovato interesse;n continuare le attività formative nelle scuole e in tutti i luoghi della formazione;n coinvolgere le seconde generazioni veri protagonisti dei cambiamenti in atto e avanguardie del nuovoimprevisto che irrompe.

È nostro grande desiderio riprendere l’attività dei convegni e avviare la creazione di gruppi locali animatida giovani formatori perché vogliamo avere eredi. Lavoriamo ad un progetto e non ad un piano di salva-taggio ed apriamo un cantiere difficile che inaugura un impegnativo work in progress. Sarà la sfida piùardua che il CEM abbia mai affrontato, ma ne vale la pena perché non si può rinunciare ora che è più ur-gente esserci.

Invitiamo voi, cari lettori a sostenere il nostro sforzo con l’affetto e la fedeltà che ci avete dimostrato inquesti anni, vi invitiamo a seguirci, ricordando che CEM nei suoi momenti migliori e più fecondi si è ali-mentato solo grazie alla vostra partecipazione, perché CEM siete soprattutto voi.

Buon cammino a tutti!

Questo numero non vuoleaggiungersi al coro dellegeremiadi per lo stato di crisi generale, perchépreferiamo investire le nostre energie, poche o tante che siano, nella progettazione di un nuovo percorso

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Cari lettori, è con una certa emozione che presento per l’ultima volta un numero di CEM Mondialità: quello che

avete tra le mani è il fascicolo che conclude la pubblicazione della rivista. Com’è facile immaginare, questo

numero non può assomigliare ai precedenti: le sue pagine, infatti, intendono rappresentare la seconda parte di

un percorso ideale che ha ci ha visto dedicare il numero di aprile alla «memoria» di CEM, mentre questo è dedicato al

«futuro». I due numeri finali di CEM, insomma, intendono costituire due facce della stessa medaglia… memoria e futuro

sono strettamente legati e non è umanamente possibile

tracciare una precisa linea di confine. La memoria inevi-

tabilmente si stempera nel futuro e quest’ultimo non può

che aver base nella memoria.

Nelle pagine di questo numero, perciò, non troverete né

un «dossier» monografico né un «inserto» specificamente

dedicato alla riflessione sull’intercultura, ma una serie di

articoli che cercano di immaginare un futuro possibile per

CEM. Abbiamo chiesto ai nostri collaboratori, che qui colgo

l’occasione di ringraziare nuovamente, una riflessione, per

dir così, su quale bagaglio portare con sé sulla barca che

ci traghetterà verso nuovi lidi dell’intercultura. Fuor di me-

tafora, la fine della pubblicazione della rivista ci obbliga

a una scelta, e scegliere significa naturalmente rinunciare

a qualcosa… ma, al di là della comprensibile malinconia

che una tale operazione comporta, desideriamo sottoli-

neare quanto essa possa essere salutare e creativa.

Credo di poter affermare senza rischio di smentita, dopo

dieci anni di lavoro quale caporedattore, che CEM ha nelle sue casse parecchi tesori che, debitamente valorizzati, saranno

il patrimonio da portare in dote per le nuove attività… perciò nessuna nostalgia malata e nessuna stravagante utopia, ma il

massimo impegno per continuare nella nostra «mission».

Due modalità sono già operative:

il nuovo «blog» di CEM all’indirizzo: cemondialita.blogspot.itche vuol essere un primo luogo di confronto e di dibattito sui temi cari a CEM, a cui siete tutti invitati a partecipare inviandonotizie, osservazioni o commenti;

il «gioco a distanza» ideato da Elisabetta Sibilio per chi è interessato allascrittura creativa:[email protected]

Troverete tutti i dettagli a p. 41.

Questo numeroa cura di Federico [email protected]

Gabriele TondiniLe illustrazioni di questo numero sono state realizzate daGabriele Tondini, che ringraziamo di cuore. Ecco una suabreve presentazione:

«La forza del colore, l’equilibrio delle forme, la semplicità deisoggetti sono le cose che più preferisco rappresentare.L’amore per l’arte sotto ogni forma e per il disegno inparticolare, hanno sempre avuto un ruolo fondamentalenella mia esistenza. Imparare nuove tecniche, avere nuovistimoli è ormai un bisogno per la mia evoluzione personale.Ho dipinto per anni finché ho scoperto l’illustrazione, inparticolare quella per i bambini, nella quale vorreiimmergermi in futuro per far divertire e sognare i miei figli enon solo...».

Per contatti: [email protected]

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RIFLESSIONICIÒ CHE ABBIAMO IMPARATO

Ho imparato, abbiamo imparato, chela pluralità è costitutiva del mondo,che da punti di vista diversi, da ap-procci epistemologici differenti, sipossono generare pensieri e prassifecondi. Abbiamo imparato l’ascoltoe il confronto, talvolta deciso e per-sino aspro, ma poi ricomposto insintesi inedite e nelle quali ritrovarsio dalle quali ripartire. Pace, am-

biente, giustizia, legalità, diritti umani, cittadinanza, dialogointerreligioso in prospettiva interculturale: sono i temi di cui siè occupato CEM attraverso la rivista, i corsi di formazione, ilibri, i convegni e i seminari. Abbiamo appreso a rivedere lenostre interpretazioni «naturali» della vita e del mondo, a espli-citare regole sottaciute, a esplorare le immagini mentali e lecornici culturali, sociali, politiche, economiche, religiose entrole quali avvengono, con maggiore o minore consapevolezza,tutte le interazioni umane, anche quelle apparentemente banalidella vita quotidiana. L’educazione interculturale, così comel’abbiamo sempre intesa ed elaborata attraverso proposte

teoriche e pratiche educative, ha significato per noi decostruiree ripensare i processi identitari; ripensare la laicità comeespressione della pluralità; ripensare a nuovi modelli di citta-dinanza; individuare prassi e stili educativi adeguati al tempoe alla realtà. Lo abbiamo fatto attraverso il contributo direttoo mediato dei molti che hanno accompagnato il camminodi CEM.

ORIGINALITÀ DEL CEM

Altri hanno raccontato la nascita e la storia di questo movi-mento voluto dai padri Saveriani e, fino a qualche mese fa,integrato nella Cooperativa Saveriana di Animazione Mis-sionaria (CSAM). Quello che io vorrei sottolineare è l’elementoche ha caratterizzato la natura del gruppo che si è costituitointorno all’intuizione originaria saveriana: la dimensione laica,plurale, aperta, poco strutturata, permeabile a differenti con-taminazioni nella prospettiva multiforme dell’interculturalità.Per nessuno di noi CEM è stato il lavoro, bensì ha rappresen-tato il luogo dell’esplorazione culturale di temi e questioniindividuati come significativi o addirittura fondativi di alcuniaspetti del pensiero interculturale. Questo impegno intellet-

lucrezia pedrali [email protected]

È molto complicato tracciare unquadro, sia pure parziale, di ciòche è stato CEM nella mia vita enella vita di coloro che per annihanno condiviso lo stessoprogetto ideale e innumerevoliesperienze. CEM ha significatosoprattutto vivere tanti incontricon persone, con idee, conprogetti; condividere unapassione educativa sorrettadalla convinzione che molto èpossibile fare e che anche il

sogno dell’impossibile deveessere tenacemente coltivatoperché l’inedito può apparire erivelarsi denso di significati e dipotenzialità. CEM è stato unospazio di pensiero gratuito, unluogo di impegno libero evolontariamente scelto, unintreccio di relazioni complesse,talvolta faticose e asimmetriche,ma sempre profonde e vive.

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UNA ROTTURASOFFERTALa scelta di chiudere CEM èstata dei padri saveriani, chehanno ritenuto non piùsostenibili i costi dipubblicazione della rivista.Quale possa essere il futurodi CEM, sarà comunque fuoridal contesto saveriano. Lasecca rottura della relazionefra il gruppo dei volontari ela casa saveriana ha giàprodotto sofferenzeimportanti. In questomomento prevale ilsentimento di frustrazioneper quello che ancorasarebbe potuto essere e nonsarà, per la rapidità e ladeterminazione con la qualesi è chiusa una storia avviatadagli stessi padri saverianianni fa e che ha prodotto,nel tempo, risultatiimportanti e riconosciuti.Naturalmente nulla di quantorealizzato andrà perduto. Mala rigenerazione e laripartenza saranno possibilisolo se avremo saputo fare iconti con il dolore e lafrustrazione che ognidistacco impostocomportano. Nel contestosaveriano, per un lungoperiodo, abbiamo trovato lapossibilità di pensare esperimentare; tutto quantorealizzato nel tempo èaffidato alla memoria delleparole scritte sulla rivista, sui

libri, alle pratiche propostenei laboratori dei convegni edelle occasioni formative. Soprattutto rimangono,densi di significato, gliincontri reali con le tantepersone che ci hannoavvicinato e con le qualiabbiamo condiviso un pezzodi strada. Accanto allariflessione teorica, CEM èstato luogo metaforico econcreto di relazioni, unasorta di palestradell’interculturalità. Nel corsodegli anni si è costruita unarete di rapporti e di legamifra tutti coloro che hannoincrociato CEM nei convegni,attraverso la rivista, neiseminari di formazione.Questo senso diappartenenza si è generato apartire dalla condivisione dicontenuti, all’interno dimodalità relazionali ad essi,per quanto possibile,coerenti. Forse questo hareso CEM così speciale pertutti coloro che lo hannoincontrato; certo lo ha resospeciale per chi, come me, loha vissuto da vicino per tantianni. Il futuro ha bisogno di essereripensato a partire da ciò chestato fatto fino a questomomento, senza indulgere insterili nostalgie del passato,ma con la consapevolezzache la ripartenza richiedetempo e riflessione. Difficileaffermare in questomomento quale formaprenderà e se o come siconcretizzerà un nuovogruppo CEM. Nel frattempociascuno di noi, di tutti noiche abbiamo condivisoquesto straordinarioprogetto, continueremo aincarnarne un frammento, ea mantenerlo vitale. In attesad’altro, l’impegno personalesarà il modo per testimoniareuna storia e un percorso checi ha trasformatiprofondamente e persempre. nnn

maggio 2016 | cem mondialità | 5

RIFLESSIONI

tuale libero, che si è concretizzato nella pubblicazione dellarivista, nella realizzazione dei convegni estivi, nei percorsidi formazione è stato per lungo tempo reso possibile dallafunzione di direttore di CEM di un padre saveriano e dal-l’impegno economico della cooperativa saveriana, impegnoche ha significato una sostanziale adesione (sia pure nonmaggioritaria) da parte dei padri saveriani ai contenuti e aimetodi elaborati dal gruppo dei volontari. Questo equilibriosi è ridefinito con l’arrivo di Brunetto Salvarani alla direzionedel gruppo CEM dieci anni fa. La funzione direttiva attribuitaa un laico ha segnato un cambiamento importante che èstato vissuto dal gruppo come un segnale di progressivaevoluzione in direzione di un’apertura al mondo, tenutoconto delle difficoltà interne all’universo vocazionale deisaveriani e degli ordini religiosi in genere. La convinzione diessere all’interno di una riflessione e di una storia comuneci ha fatto credere che sarebbe stato possibile proseguire ilnostro percorso da volontari dentro la realtà saveriana al-meno per qualche tempo ancora. Ma così non è stato. CEMcosì come lo abbiamo vissuto e costruito cesserà di esserea fine giugno 2016. Forse nascerà altro, ma ora dobbiamoprendere atto del dolore e della ferita che la fine di questaesperienza ha provocato, sia pure in forma e intensità di-verse, a tutti noi.

Il futuro ha bisognodi essere ripensatoa partire da ciò chestato fatto fino aquesto momento,senza indulgere insterili nostalgie delpassato, ma con laconsapevolezzache la ripartenzarichiede tempo eriflessione

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luciana pedersoli l

P. DOMENCO MILANIISPIRATORE DEL CEM DEL FUTURO Carissimo p. Domenico,

oggi è il giorno del tuocompleanno terreno e, a breve, ci sarà anche il tuo compleannoceleste. Te ne andastiquasi in sordina, forse perché non cilasciassimo travolgeredal lutto e potessimoriprendere il camminocome tu ci avresti invitatoa fare. I

l tema che mi è stato assegnato non è facile, e riparteproprio da un nuovo «lutto»: la morte del CEM. Gli eventivissuti ci hanno squassati e impegnati in una strenua ri-cerca di far sopravvivere una realtà stupenda e generosanata in seno alla Famiglia Saveriana, che grazie soprat-tutto a te, si è sviluppata aprendosi profeticamente alleintelligenze poliedriche del mondo laico e religioso diquesto mondo sempre più piccolo e vicino nel tempo enello spazio, ma sempre più grande nell’ingiustizia elontano dalla famiglia umana sognata. Mi sono chiesta

tante volte da dove venisse questo tuo coraggio a camminaresu sentieri che non erano i tuoi, l’ardire di proporre incontri«pericolosi» con soggetti e culture così diverse dalla tua, dallamia e cioè a quella cattolica e popolare, e allora ho sentito il bi-sogno di tornare ai luoghi delle tue origini: le montagne reggianedell’Appennino e il tuo piccolo paesello, Minozzo. Era una giornata piena di sole, primaverile e mite, e man manoche salivo respiravo un’aria che sapeva di aria e profumava difiori. Mi son fermata sul piazzaletto della chiesa e ,seduta sulprato, ho chiuso gli occhi. Il silenzio è stato il liquido amniotico che ha protetto il tuo cre-scere, un silenzio parlante: un silenzio di colori, di alberi e mon-tagne, di prati e di neve, di preghiera e di contemplazione; unsilenzio di volti felici, di volti rigati dal sudore della fatica del la-voro nei campi, di volti impietriti dalla paura del rastrellamentoe rigati dalle lacrime del massacro; il silenzio delle donne chetrafficavano nelle cucine e dalle loro mani usciva il pane quoti-diano; il silenzio di farsi prossimo accogliendo il forestiero, al-lattando al seno l’orfano, sostenendo il debole e chi era solo. La paura non abitava a Minozzo, perché c’era una comunitàcoesa, attenta, garante. La maestra, il parroco e la levatrice

erano le autorità cui rivolgersi a secondo del bisogno ecultura, spiritualità e salute camminavano assieme senzatroppe burocrazie. Buon senso e umiltà non erano binari morti su cui scor-reva la vita, ma rotaie per il discernimento, per sceltedifficili e dure come fu per te che, bambino e orfanodella amatissima madre, fosti mandato a studiare inseminario. La famiglia non è sempre luogo di pace, disostegno, di dialogo, come non lo sono i luoghi di la-voro, le comunità religiose, le associazioni, i gruppi deigiovani; ma è dentro a questi che ci facciamo le ossa,che impariamo o rifiutiamo di camminare insieme. L’unica condizione è la lealtà e tu questa l’hai praticatapagando prezzi molto alti senza lasciarti schiacciaredalla delusione e dal rancore. Ogni volta che succedeva ecco di nuovo il silenzio ariempire la tua anima e la tua coscienza e, quando la

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nube si alzava, (diceva p. Bruno Ussar per te caro e amatoamico) riprendere a camminare su strade nuove. Quanti incroci,quante biforcazioni sulla tua strada! Ma anche quanti compagnidi viaggio, quante fonti di ristoro e di rigenerazione!!!Questi doni non li tenevi per te, ma facevi partecipi coloro cheti stavano intorno e noi del CEM ne sappiamo qualcosa. Amavila diversità (e forse fu anche l’Africa ad insegnartelo) e nontemevi il confronto. Le foto che ho sotto gli occhi mi raccontanoancora una volta la macedonia di intelligenze che portasti neivari Convegni nazionali, fidandoti anche di suggeritori/suggeritrici. Le tue aperture dei lavori ti trasformavano anche fisicamente.Tu sempre pacato e lento nel camminare ti avviavi spedito edenergico verso il microfono e una voce squillante e decisa diun uomo pieno di orgoglio ed entusiasmo, dava il via ai lavoriconsapevole dell’importanza di quei giorni, dei semi che sa-rebbero stati gettati e dei raccolti che avrebbero generato. Ministri, pedagogisti, religiosi, vescovi, giornalisti, scrittori,scienziati, filosofi, economisti hanno fermentato la curiosità,lo stupore, la sete di consapevolezza e la voglia di impegnarsiin prima persona. Non credo di aver mai provato una quantitàdi sentimenti e di emozioni come nei convegni del CEM. Ricordoin particolare l’abbraccio pieno di passione, di riconoscienza egratitudine con cui investii don Tonino Bello: il suo sorriso in-terrogativo rivolto verso di te ricevette una pronta risposta chenon scorderò mai: «lei è la Luciana e può fare anche questo».Osare, rompere gli schemi, non avere timore di esprimerci, diandare contro corrente, di dire quello che nessuno osa; esserepietre di inciampo e costruttori di ponti. Tu sei stato un grande costruttore e anche un paziente tessitoredi relazioni, nel rispetto di te (avevi ben chiaro chi eri) e deglialtri. Non ti piacevano i minestroni di fedi e culture in nome

del «volemose bene» e proprio perché non credevi alle soluzionifacili ci hai sempre invitato a studiare, a viaggiare, ad ascoltare,a leggere. I giovani e i bambini erano i tuoi interlocutori privilegiati e manmano che la loro presenza aumentava ai convegni i tuoi occhiettipiccoli e pungenti da furetto si illuminavano di fede. Per loro, esolo con loro, Ivan Illich fu convinto da te a lasciarsi fotografare!!!Come un nonno premuroso capivi il loro desiderio di esserepresi sul serio e anche i laboratori dovevano avere una particolarecura e personaggi convincenti non come il pifferaio magico,ma come Primo Fornaciari che con tempi calmi, diluiti e dolcipermetteva loro di essere bambini e bambine, non scimmiettedi adulti schizzati. Ma anche le donne e le mamme erano creatureal primo posto nel tuo cuore e i tuoi racconti, soprattutto africani,le avevano come soggetti preferiti. Nutrivi per noi un grande ri-spetto, stima e amorevolezza. Ci chiamavi le reggitrici, perchéprovavi, nel profondo del tuo essere, la gratitudine verso lenostre fatiche fisiche, affettive, psicologiche e ti sedevi volentieriin mezzo a noi ad ascoltare il nostro discorrere di vita. Nonavevi paura della nostra rabbia, delle nostre lacrime e dellanostra gioia. Ti lasciavi coinvolgere nelle nostre danze e neinostri canti, perché la festa va condivisa, come il dolore. E festaera sicuramente ogni volta che riabbracciavi sr. Lucia, tua sorellamissionaria in Brasile, colei che ti fece da mamma, ti consolò easciugò le tue lacrime non solo di bambino, ma anche di mis-sionario allontanato dalla sua Africa, che sembrava aver persoil suo sogno. La presenza e la vicinanza non erano qualcosa di astratto perte: portavi il tuo corpo dove ritenevi fosse necessario: tu c’eriai matrimoni dei nostri ragazzi, che hai visto piccoli e festosi,e a quello di alcuni collaboratori/collaboratrici; c’eri nelle se-parazioni dai nostri cari, a quella di amici/che; c’eri a battezzarei nuovi arrivi; c’eri a visitare chi era affaticato dalla malattia;c’eri a dare testimonianza;c’eri a salutare un amico salvato daltuo coraggio e ritrovato vecchio e stanco. Eri capace di sostare, di indossare i mocassini dell’altro e questoti ha permesso di non lasciarti travolgere e dare giudizi affrettatisu persone e situazioni. Ci hai insegnato che sostare, non è starseduti ad aspettare la soluzione. Ci hai insegnato a riprenderefiato e con fiducia guardare avanti, scegliere una nuova direzioneusando la bussola della nostra storia e della nostra idealità. Cihai insegnato a non camminare ognuno per conto proprio, dasoli come animali randagi, ma insieme per sostenere, per con-dividere, per celebrare la vita, tutta intera. nnn

Amico caro, fratello d’anima e di cuore, la tua vita ispira il futuro del CEM

e non c’è altro da aggiungere.

DOMENICO MILANI

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ELOGIO DELL’ERESIA

Ciò che fa camminare lastoria non è l’ortodos-sia ma l’eresia, non so-no le gerarchie ma le ri-voluzioni. A ben consi-derare, gli estremisti, glieretici (e i profeti) sononecessari, anzi indi-spensabili. Ma sonoscomodi, perciò sono

perseguitati. L’eresia di Gesù era di presentare Diocome Padre che vuole uguaglianza e condivisionetra i suoi figli e figlie. Con tale buona nuova Gesùha sovvertito un «ordine sociale» che era un di-sordine ben stratificato, piramidale, che negavagiustizia, pace e gioia. Gesù ha insistito nell’eresiae gliel’hanno fatta pagare. Nel corso dei secoli laChiesa ha dimenticato l’eresia del suo fondatore.Joseph Comblin diceva che la Chiesa appoggia(va)le dittature perché favoriscono l’obbedienza, ilsacrificio, l’ordine, il rispetto, la religione e le vo-cazioni (ma molto meno la giustizia).

L’ERESIA A SCUOLA

Se per appoggiare il CEM bisogna essere eretici,significa che il CEM stesso è eretico. E siccome ilCEM è un movimento che interviene nella scuola,definirlo eretico significa accusare la scuola uffi-ciale di essere negativa. Di dare agli alunni fiele

arnaldo de vidi [email protected]

PER APPOGGIARE IL CEM BISOGNA ESSERE ERETICI

invece di miele. Di fare che i bambini entrino a scuola in carne e ossa, eescano di legno, invertendo la tesi di Pinocchio. In realtà, la funzionedella scuola è sempre stata quella d’essere cinghia di trasmissione del-l’ideologia del potere dominante. E i governi che in maggioranza eranoe sono di destra, vogliono che la scuola formi cittadini allineati. Se poi unprofessore vuole restare politicamente «neutro», il suo disinteresse ne faugualmente un trasmettitore della voce del padrone. Chi non è contro ilsistema, lavora automaticamente per il sistema, come ci ricordava PauloFreire. La tentazione di essere allineati e/o neutrali è più frequente diquanto non si immagini. Noi siamo tentati di convivere con situazioni in-giuste, o obsolete, o molto imperfette. Preferiamo lo status quo a unarottura che costa sacrifici e pericoli.

IL CEM È ERETICO?

Il CEM è un movimento che si è tenuto aperto a sviluppi ed evoluzioni,perciò è diventato sempre più a-confessionale e «laico», senza tralasciared’essere missionario. Diciamo che il CEM cominciò allineato: non mettevain discussione la scuola, chiedeva solo di avere uno spazio per il suo mes-saggio missionario. Non si proponeva d’essere «divergente». Era una

Il titolo di questo articolo mi èstato proposto dalla redazionedella rivista e mi ha colto disorpresa. Ma subito ho ricordatoMartin Luther King, leaderpacifista della non-violenza, cheè stato accusato di essere unestremista rivoluzionario. Lui cirestò malissimo, ma poi hariflettuto: «Anche Gesù è statoaccusato di estremismo! E nonerano estremisti Paolo di Tarso e... il Mahatma Gandhi?».

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boccata d’aria fresca che riusciva a di-strarre in modo salutare qualche alunno.Era l’uccello di Jacques Prevert. «Due piùdue quattro/ Quattro più quattro otto/Otto più otto sedici... Ripetete! Dice ilmaestro/ Due più due quattro/ Quattropiù quattro otto/ Otto più otto sedici...Ma ecco l’uccello-lira/ Che passa nel cie-lo/ Il bambino lo vede/ Il bambino lo sen-te/ Il bambino lo chiama:/ Salvami/ Giocacon me/ Uccello!/ Allora l’uccello volagiù/ E gioca col bambino».

IL MAESTRO MARIO LODI

Mario Lodi, protagonista «eretico» nelrinnovamento della scuola italiana deldopoguerra, mi aveva raccontato comeconobbe il CEM. Un giorno capitaronoa Piadena i padri Savino Mombelli e Dan-te Bertoli, in talare nera, per chiederglidi collaborare. Lodi subito rifiutò, dicen-do che lui e i preti stavano in due schie-ramenti opposti: i preti col sistema e luicontro. I due giovani padri chiarironoche loro non erano preti, erano missio-nari, sacerdoti missionari. Mario Lodi ri-mase perplesso. Solo più tardi scoprìl’anima eretica del CEM, ed è diventato«cemmino» di spirito.

L’ERESIA DEL CEM

Quale sarebbe l’eresia del CEM? Per laverità, il CEM ha aderito a più di un’eresia.I collaboratori del CEM, giovani curiosi ecreativi, avevano antenne per percepirele novità nella scuola e nella società, no-vità «eretiche» in piccola o grande misura.Al CEM è stata riconosciuta questa «in-tuitività»: scegliere ogni anno il principalesegno del tempo e illuminarlo nel suoConvegno, per poi sviscerarlo nei diecinumeri della rivista. In particolare nelConvegno era invitato un «profeta» cheelucidasse il tema scelto: ecco gli inter-venti magistrali di Paulo Freire, HenriqueDussel, Johan Galtung, Ivan Illich, Em-manuel Lévinas, Rubem Alves...

vuol dire che l’unica alternativa consistao nell’esclusivismo o nell’eclettismo».«Considero la varietà delle religioni comesentieri che - diversi e distanti in partenza- conducono verso l’unica cima, in pros-simità della quale essi tendono perciòad unirsi. Panikkar è diventato un mae-stro per il CEM nell’inculturazione e nel-l’ambito del dialogo interreligioso e in-trareligioso. Forse questo puzza di eresiaall’establishment.Il CEM ha capito che il discorso su Dio esulla religione è decisivo nella scuola, mafuori degli schemi di ieri. Panikkar difendela sacralità della vita come secolarità sacra;il card. Martini dice: «Io ritengo che cia-scuno di noi abbia in sé un non credentee un credente, che s’interrogano a vicen-da...»; Gandhi suggerisce di «dire che laVerità è Dio, piuttosto di dire che Dio è laverità», in tal modo nessuno può preten-dere di possedere la verità in forza delsuo Dio, ma tutti ci ritroviamo in camminocome pellegrini dell’Assoluto. Se questoè eresia, io e il CEM siamo eretici.nnn

L’ERESIA RELIGIOSA

Quando si parla di eresia, subito si pensaa un errore in campo religioso, un terre-no minato. Dice Raimon Panikkar: «Vorreiessere fedele all’intuizione buddhista,non allontanarmi dall’esperienza cristia-na e rimanere in comunione con il mon-do culturale contemporaneo. Perché in-nalzare barriere? Elogiare una tradizioneumana e religiosa non significa disprez-zare le altre. La loro sintesi è improbabilee talvolta forse impossibile, ma ciò non

«ERESIE» CHE IL CEM HA FATTO SUELa Lettera a una professoressa(1967), scritta dai ragazzi dellascuola di Barbiana, insieme a donMilani, ha denunciato il sistemascolastico e il metodo didatticoche favorivano l’istruzione delleclassi più ricche, lasciando lapiaga dell’analfabetismo in granparte del paese. Il CEM condivisequella critica, rilanciando ladenuncia della discriminazionenella scuola e del disimpegno (lapratica del «me ne frego», invecedel «I care»).A Parigi, nel maggio 1968, unoslogan diceva: «Di un ragazzo sipuò fare un operaio o unparacadutista... perché non farneun uomo?». Il CEM afferma che lascuola non può essere orientatain primis al mondo del lavoro, néessere selettiva... con lospecchietto che nella stanza deibottoni ci sono ancora posti per imigliori. Il fine della scuola è laformazione umana di tutti.Paulo Freire con la sua pedagogiadella libertà ha denunciato lascuola «bancaria» e il suoautoritarismo interessato. Haproposto una scuola dieducadori-educandi e educandi-educatori, perché «nessuno siauto-educa, nessuno educanessuno, ma tutti si educanoinsieme». Il CEM è giunto aproporre una scuola fisicamente«circolare», dialogica edialogante. Ivan Illich ha predicato ladescolarizzazione della società,affermando che le cose piùimportanti della vita, gli alunnipoveri le apprendono per strada.Il CEM ha allargato il suointeresse alla strada e alla vitasociale.

La tentazione di essere allineati e/o neutrali è più frequente di quanto non si immagini

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antonio nanni [email protected]

La sfida che tutti abbiamo davanti,conclusa la fase saveriana, è quelladi rigenerare nuovi CEM nella dia-spora. Questo mio intervento par-te dal presupposto che in futuroil CEM sarà costretto a valorizzarela sua nuova condizione di dia-spora come kairòs. Il CEM che ab-biamo conosciuto è stato «univo-co» e «globale» (nazionale, con

sede a Brescia), il nuovo CEM dovrà essere «plurale» e«glo-c-ale», nel senso che il CEM può scindersi in celluleregionali o cittadine rimanendo a suo modo autonomoe sovrano, anche se costitutivamente inter-connesso invirtù di quella intrinseca e irrinunciabile vocazione al-l’unità che è scritta nel dna del CEM originario.Pertanto in futuro si passerà - prevedibilmente - da ungrande e unico CEM a tanti piccoli e agili CEM che finoad oggi non sono mai venuti alla luce anche se tantepersone (talora anche più di una) vivono nella stessacittà come Roma o Torino. Il cambiamento epocale cheha finito per travolgere anche i nostri progetti si chiamaprocesso di digitalizzazione, insieme ad una secondaconseguenza relativa al nuovo significato che sta assu-mendo il territorio, la distanza geografica, che per esseresuperata non richiede più il classico viaggio materiale ei suoi costi, ma viene abbattuto con l’online, il digitale.Pertanto in futuro né Brescia, né Vimercate, né Romadovranno o potranno rivendicare più una loro centralitàrispetto al CEM, poiché nel tempo di internet ogni luogoè il centro del mondo!

UN NUOVO CEM È PO IPOTESIDI FUTURO

Il nostro desiderio di rinascita e di ripartenza

deve misurarsi e fare i conti con i conflitti,

i nodi problematici, le sfide che già

si dipanano davanti a noicome tante questioni

che attendono di essereaffrontare con

gli strumenti dell’analisi e della ricerca,

dell’approfondimentocritico e del

«problem solving», della decostruzione

e ricostruzione dei significati

IPOTESI DI FUTURO

Importante diventa allora stabilire quali sono gli elementicostitutivi che ogni CEM-di città deve presentare ossia:

a) l’esistenza di un Gruppo di persone, motivate e consa-pevoli;b) la creazione di una lista-di-città, che sia interconnessacon tutte le altre liste;c) la partecipazione di cittadini di origine non italiana edi religione non cristiana, oltre a ragazze ragazzi di «se-conda generazione» (G2);d) principali interlocutori dei CEM-di-città sono le scuole,le Università gli Enti Locali, l’associazionismo, le comunitàreligiose;e) ogni CEM-di-città condivide con gli altri Gruppi un ca-lendario di iniziative comuni, e tra queste due iniziative inparticolare: collaborare a scrivere sulla rivista digitale co-mune; collaborare alla realizzazione di un convegno an-nuale nell’ultimo week-end di agosto (o al massimo tregiorni: venerdì, sabato domenica).

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A questo punto presentiamo alcune ipotesi di futuronon alternative, o quantomeno non incompatibili traloro, ma complementari, progressive e cumulabili.

STATUTO DEL CEM-DI-CITTÀ

Subito dopo il 31 maggio 2016 si procederà a costi-tuire nelle tante città dove è presente uno o più ap-partenenti del CEM un nuovo Gruppo locale o unCEM-di-città, che si considererà a suo modo auto-nomo e sovrano, ma sempre inter-connesso con tuttigli altri, come abbiamo detto. Questo Gruppo aderiràal Manifesto già elaborato e diffuso in CEMlist.

1. PRIMA IPOTESI UNA RIVISTA DIGITALE COMUNEAl momento in cui scriviamo è prematuro dire come si chiameràla testata del futuro CEM, ma è certo che ci sarà bisogno di una«piattaforma» (che avrà dei costi) e, successivamente, di unagestione della rivista online. Oltre ai componenti dellaredazione, due sono le figure-chiave della rivista: quella deldirettore e del caporedattore. Nel prossimo futuro tutti questiaspetti organizzativi, ma non secondari, dovranno essere chiariticosì come occorre rimodulare completamente l’articolazionedella rivista in rubriche, dossier, inserti.

2. SECONDA IPOTESI IL «CEM-DI-CITTÀ» COME ASSOCIAZIONE(DI VOLONTARIATO O DI PROMOZIONE SOCIALE)Un’altra ipotesi suggerisce di dare subito al CEM una vestegiuridica costituendo o un’associazione di volontariato oun’associazione di promozione sociale (Aps). Se non cipreoccupiamo di ottenere un riconoscimento giuridico… nonesistiamo davanti alla legge! È dunque arrivato il momento diriprendere tra le mani, aggiornare e portare a compimentol’antico progetto di costituire un’associazione con un suostatuto e di decidere una volta per tutte che cosa vogliamoessere come soggetto di terzo settore, dandoci una strutturaassociativa a tutti gli effetti con un presidente, una sede legale,un consiglio di amministrazione, un segretario, un tesoriere, unIban, eventualmente appoggiandoci - pro tempore - ad unorganismo già esistente e in buona salute.

3. TERZA IPOTESIIL «CEM-DI CITTÀ» COME AGENZIA DI FORMAZIONEINTERCULTURALEPer questa ipotesi il modello da prendere in considerazione è ilCies di Roma, che opera da anni come agenzia di formazioneinterculturale. Grazie al protocollo d’intesa che il nostro CEMaveva a suo tempo sottoscritto con il Miur. Il CEM del futurodovrà essere consapevole di avere al suo interno personequalificate e competenti, in grado di fare formazione e dicondurre laboratori sui temi dell’interculturalità attraversotecniche di animazione basate sul teatro, sul cinema, sulla fiaba,sul gioco.

4. QUARTA IPOTESIIL «CEM-DI-CITTÀ» COME LABORATORIO DELLESECONDE GENERAZIONI (G2)È forse questa l’ipotesi più avanzata per trasformare il CEM inuna realtà adeguata e corrispondente alle mutazioni sociali eculturali del tempo presente. Oggi, infatti, gli artefici naturali diCEM non possono che essere le seconde generazioni (G2), i«nuovi italiani», i figli degli immigrati che sono nati e cresciuti inmezzo a noi, nelle nostre città. Pertanto la nostra missioneducativa è di favorire l’aggregazione di ragazze e ragazzi diseconda e terza generazione che hanno meno di 30/35 anni.Così facendo il «Nuovo CEM» darà vita ad una generazionecostituita da identità plurali e meticce, finalmente multiculturali,multietniche e multireligiose. Un vero microcosmo dimondialità.

5. QUINTA IPOTESI IL «CEM DI CITTÀ» COME CASA DEL DIALOGO TRA CULTURE E RELIGIONIQuest’ultima ipotesi ci porta a concepire il CEM come un centrointerculturale e interreligioso, una casa del dialogo tra culture ereligioni. Si tratta di ispirarsi da una parte ai tanti centriinterculturali cha da decenni operano nelle nostre città edall’altra ai numerosi centri ecumenici e interreligiosi che sisono contraddistinti per le loro benemerite iniziative e attività. IlCEM dovrebbe saper fare tesoro delle esperienze degli uni edegli altri, proponendo un calendario di giornate interculturali(distribuite nel corso dell’anno) sulle quali preparare materiali diapprofondimento e proposte di cittadinanza attiva.

OSSIBILE?

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Ma le ipotesi sul CEM di domani potrebbero anche essere pen-sate collocandoci su un piano diverso e utilizzando un registromeno attento agli aspetti «organizzativi» e più, invece, a quellisquisitamente teorico-culturali. Per questo, piuttosto che in-dugiare ancora su una ipotetica tipologia di ciò che potrà di-ventare il CEM del futuro, è interessante esplorare quali po-

e la pubblicazione di un «documento» su una questione im-portante (come si fece a proposito del «Post-umano») e viaelencando.La storia del nostro movimento educativo somigliaad uno scrigno ricco di oggetti preziosi che si prestano adessere tirati fuori, rilucidati, e indossati come «gioielli» per lafesta, ma che oltre ad essere custoditi con cura devono ancheessere continuamente aggiornati e moltiplicati secondo il ritmodel tempo e delle stagioni.

DALLO SCRIGNO AI «CANTIERI» APERTI

Tuttavia, un movimento che sente di essere vivo non si accon-tenta di guardare in modo autoreferenziale soddisfatto e pas-sivo allo «scrigno» del passato, ma si fa in quattro per trasfor-mare quello scrigno in tanti «cantieri» aperti. La valorizzazione del nostro patrimonio deve ispirarsi al principiodella «fedeltà creatrice» senza dunque cessare di essere inno-vativa e profetica. A noi sta sempre a cuore prima di tuttoun’educazione come cambiamento e «trasformazione» dellarealtà (Paulo Freire), come «riforma» del pensiero (Edgar Morin)come decostruzione e ricostruzione del linguaggi (JacquesDerrida), come visione della società a partire dal primato del-l’altro e dal valore della relazione (Emmanuel Levinas), comesguardo sull’universo «cosmoteandrico» che sia improntatoalla pace e all’armonia che soltanto l’interculturalità riesce agarantire (Raimon Panikkar).È chiaro che una tale impostazione - qui necessariamente ap-pena abbozzata - richiederebbe uno sviluppo più pacato enon ridotto a slogan veloci e fatalmente superficiali. Anche sesiamo ben consapevoli che dietro ognuno di questi slogan(solo apparenti!) ci sono intere annate della nostra rivista.In ogni caso, i «cantieri» da aprire devono tenere in conside-razione come nel nostro tempo una delle urgenze maggioriconsista semplicemente nella necessità di passare dal livellodell’informazione (che è persino eccessiva e ridondante) allivello del pensiero (che invece arranca, zoppica, ristagna).Si chiacchiera, sempre e ovunque, ma il più delle volte non c’èpensiero, c’è solo ripetizione e «aria fritta».Allestire, allora, cantieri aperti significa per noi favorire il con-fronto e la ricerca comune attraverso l’implementazione degliscambi interdisciplinari e le sinergie possibili tra culture e reli-gioni. Tale processo di interazione e di contaminazione nondovrà essere condotto su questioni accademiche o puramenteprocessuali, bensì su nodi conflittuali, su temi sensibili e diforte valenza etica, sociale e politica.

ALCUNE SFIDE PRIORITARIE

Alla luce della «generatività», che è diventata per noi una sortadi «leva», di «matrice», di occhiali con cui leggere i problemi

UN NUOVO CEM È POSSIBILE?

La storia del nostro movimentoeducativo somiglia ad uno scrigno

ricco di oggetti preziosi che siprestano ad essere tirati fuori,

rilucidati, e indossati come «gioielli» per la festa

trebbero essere le questioni e le sfide da affrontare e damettere al centro del confronto e della nostra ricerca. Ritengoche non sia affatto sbagliato che la «ripartenza» del CEM av-venga proprio dal punto di approdo cui eravamo giunti almomento in cui tutto è precipitato: il tema della «generatività»,iniziando dalla nostra stessa rigenerazione. Quello che abbiamovissuto come Movimento e come Rivista o meglio, quello cheabbiamo appena iniziato a vivere e che non siamo ancora ingrado di prevedere come finirà, ci mette - di fatto - nelle con-dizioni migliori per verificare sulla nostra pelle l’attendibilitàe la veridicità di ciò che andremo ad elaborare e a scrivere(ora di questo, ora di quello) sulla nostra rivista online.

VALORIZZARE IL NOSTRO «SCRIGNO»

Il nostro desiderio di rinascita e di ripartenza deve misurarsi efare i conti con i conflitti, i nodi problematici, le sfide che giàsi dipanano davanti a noi come tante questioni che attendonodi essere affrontare con gli strumenti dell’analisi e della ricerca,dell’approfondimento critico e del problem solving, della de-costruzione e ricostruzione dei significati.Portiamo sulle nostre spalle una faretra carica di «frecce» chesono come tante metodologie cui fare ricorso a seconda dellecircostanze e dei contesti reali: il metodo narrativo, quellocomparativo, quello decostruttivo, il decentramento, il gioco(di ruolo, di simulazione…), la drammatizzazione, la ricerca-azione, la pedagogia dei gesti, la strategia dei comportamenti,la strategia delle «reti», la cittadinanza attiva, le «campagne»,la proposta di dedicare una «giornata» ad hoc, l’elaborazione

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maggio 2016 | cem mondialità | 13

della realtà sociale, è importante individuare alcune delle principali sfide che incombonosu di noi, prima fra tutte la sfida migratoria che giustifica (come nessun’altra) la ragionesociale del nostro movimento educativo e della nostra rivista che è e rimane il mensile(e il portale) dell’interculturalità.Ciò significa che anche domani continueremo a sviluppare il tema del rapporto tra iluoghi della città e la sfida dell’intercultura, cercando di proporre cambiamenti e tra-sformazioni per una città più interculturale. Così come continueremo ad interrogarcisui fattori «divisivi» e sui fattori unificanti che sono presenti nelle varie religioni.Ma, oltre alla sfida migratoria (che porta con sé anche quella del meticciamento), sidovranno affrontare la sfida educativa (e la crisi radicale e strutturale della scuola), lasfida europea (con il rischio non solo della Brexit e della Grexit, ma anche della suaimminente deflagrazione), la sfida democratica (che riguarda il rapporto tra istituzionie cittadini), la sfida della comunicazione (che va dai «social» alla digitalizzazione), lasfida scientifica (che abbraccia la coevoluzione ed il post-umano), la sfida ecologica(che va dal degrado ambientale ai beni comuni)… ma come sappiamo, l’elenco dellesfide non finisce qui.

DALLE SFIDE ALLE PROPOSTE... AGLI INTERLOCUTORI DA PRIVILEGIARE

Quali dovrebbero essere in futuro gli interlocutori da privilegiare? C’è prima di tutto untarget di riferimento che in larga misura è quello del passato, ma bisognerà anchecalibrare con più attenzione le nostre proposte, indirizzandole di volta in volta agli in-terlocutori più idonei. Tra i nostri principali interlocutori annoveriamo:

n gli educatori, i formatori, gli insegnanti, i mediatori culturali, ma anche i dirigentiscolastici e i collegi dei docenti;

n i cittadini, le famiglie, i movimenti, le associazioni, i volontari, gli assistenti sociali,i giovani del servizio civile, i cooperanti, ma anche i sindaci e le amministrazionicomunali;

n i laici ed i credenti di tutte le fedi, ma anche le diverse autorità religiose; n gli intellettuali che operano nei centri di ricerca e nelle università;n i giornalisti della carta stampata e della radiotelevisione, gli operatori dei social e dei

new media, nonché dell’Editoria in generale;n i responsabili dei sindacati e dei partiti politici, delle istituzioni democratiche e par-

lamentari.

In futuro, dunque, si dovranno elaborare e presentare più spesso proposte concrete che siano rivolte ora principalmente ai dirigenti scolastici e ai collegi dei docenti, ora ai sindaci e alle amministrazioni comunaliora a queste o quelle autorità religiose, così come a determinati partiti politici. Ormai sappiamo che attraverso i social si riesce in pocotempo o a trasformare una palla di neve in una valanga,facendo in modo che un’idea buona e trainante vengacondivisa dell’opinione pubblica perché diventi occasione di cambiamento della realtà sociale.

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Ho conosciuto CEM nel 1996, avevosedici anni, i capelli lunghi sino alfondoschiena e vivevo una «vita spe-ricolata» nella periferia barese. L’hoconosciuto per caso, durante unavacanza ad Assisi, fuori dai circuitiasfittici e «non troppo stimolanti»nei quali mi ero cacciato. Quell’annoil Convegno CEM si svolgeva nellaDomus Pacis della cittadina umbra

che pareva invasa di gente che ai miei occhi apparteneva aduna tribù mai vista. Ciò che mi colpì subito era il quantitativodi borse e portafogli lasciati incustoditi nei giardini dell’enormestruttura; rimasi basito, quando notai che tutti si abbracciavanoe baciavano come fossero amici da sempre. Quando poi qual-cuno fece lo stesso con me, piombai in uno stato catarticoche potrebbe assomigliare ai viaggi di Alice nel paese dellemeraviglie, ma senza assumere Lsd. Risucchiato in una speciedi comune hippie, fui travolto da un clima di accoglienza cheha segnato il resto della mia vita.

GIOVANI E INTERCULTURA Sogno di comunicare

ai nostri figli l’importanza del temainterculturale,liberandolo dalsettarismo chespesso lo marchia

riccardo olivieri [email protected]

Scoprii l’esistenza di uomini neri, che non avevo mai visto nellamia città, allora invasa da albanesi indistinguibili dagli autoctoni,ma sprovvista ancora di lungagnoni africani; ma ciò che micolpì ancora di più fu un vecchietto arzillo e mastodonticosuonare con loro i tamburi come se facesse parte della lorotribù (era p. Domenico Milani, «patriarca» del CEM). Al terzogiorno di questo viaggio inaspettato, non percepivo più le dif-ferenze tra settentrionali e meridionali, africani ed europei,giovani ed anziani, musicisti e stonati. Gli africani parlavanocon accento milanese ed i piemontesi cantavano la canzonedel brigante. Si parlava di intercultura, di melting pot, di de-costruzione delle identità etniche e ricostruzioni di paradigmiculturali, anche se allora non potevo saperlo, visto che passavo

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le ore seminariali a dormire dopo le nottate di balli e canti; e no-nostante non abbia ascoltato una sola parola di Antonio Nanni,quei concetti mi sono stati trasmessi attraverso l’esperienza divivere l’intercultura, passando una settimana a bagnomaria inquel contesto.

UN MONDO IN GUERRA

L’intercultura, agli occhi dei media, sembrava un tema da sinistraradical chic, quasi folkloristico, nonostante i vari Latouche, Bau-mann, Illich, già prevedessero un’imminente frattura e predicas-sero la centralità di un’inversione di rotta politico-culturale.Da allora si sono avverate una sequela incredibile di profezie,inascoltate dalla politica; la fine della storia predicata da Fukuyamaè divenuta tutt’altro che una pax augustea; la globalizzazione,da panacea di tutti mali si è trasformata in quella macchina didiseguaglianze nella quale siamo precipitati, costringendo massedi genti a lasciare la terra dei padri per sopravvivere o per cercareuna vita migliore nei paesi ricchi. Questi accaparrano le risorse,drogando i mercati, demolendo lo stato sociale e destabilizzandointere aree del globo per depredarne le ricchezze.Quale mondo sta guardando oggi mia figlia tredicenne?Un mondo in guerra, impaurito, un mare dove la morte non fapiù notizia, campi profughi sempre più simili all’immaginariodei campi rom. E poi bombe che «democraticamente» non ri-sparmiano nessuno, dal parlamentare europeo nell’aeroporto diBruxelles ai ragazzini fan di un gruppo rock. Ed altrettanti ragazziniventenni, nati e cresciuti nelle città europee che odiano i luoghinei quali sono vissuti, emarginati, frustrati, orfani di speranza efuturo: mutanti che decidono di trasformarsi in bombe. Gli adultiurlano, lanciano invettive contro questa o quella categoria, siappellano ad identità culturali e religiose che sino al giorno primaignoravano, individuano il nemico in ogni forma di alterità per-cepita.Mia figlia fatica a capire perché la sua compagna Nargis dovrebberappresentare un pericolo in quanto musulmana, quella stessaragazzina che la prende simpaticamente in giro perché lei è nataa Torino e mia figlia, invece, a Bari. Ma quella allegra banda diragazzini di seconda media, tutti (o quasi) nati a Torino, che ri-sponde ai nomi di Giulia, Nargis, Morgana, Seiful, Roibu, Vladi-mir… non è sorda alle voci dei genitori, degli adulti, della tv, deisocial network. Voci di generazioni che non hanno vissuto ilcontesto interculturale ma lo hanno subito; migranti che spessohanno trovato ad accoglierli sospetto e discriminazione, chehanno risposto con sottomissione o covando acredine. Italici adulti travolti dalla paura fomentata per anni, che improv-visamente si sentono i padroni di una casa (la loro città o nazione)che non è mai stata veramente di loro proprietà ma che oggirappresenta un’identità/scoglio alla quale aggrapparsi per sentirsiparte di qualcosa, in una logica perversa per la quale non ci siunisce per qualcosa ma contro qualcuno. nnn

PER UN’INTERCULTURA 2.0

Si continua a mantenere all’oscuro lapopolazione dello straordinario contenuto delCorano, delle sue poetiche sure e di unmessaggio inequivocabilmente umano edamorevole; oggi giudicare l’islam con gli occhioccidentali è come guardare il cristianesimoattraverso le «sante opere» dell’Inquisizione odel Ku Klux Klan.Ma chi (e dove) racconta ai nostri ragazzi lastraordinaria umanità delle religionimediterranee (e non)? Chi (e dove) parla ainostri figli di quali valori vorremmo fosserofondanti del continente europeo? Qual è illuogo dove confrontarsi su quale tipo di Europavogliamo? Quale società, quale convivenza?Vent’anni fa vivevo la mia prima esperienza diintercultura, oggi mia figlia vive la sua, quasisenza accorgersene. Ciò che vissi allora, però,non bastò da solo a far crescere in me ilpensiero interculturale; ho avuto il privilegio diascoltare voci, pensieri, riflessioni: il CEM mi haaccompagnato durante tutto l’arco della vita,donandomi degli occhiali per guardare ilmondo da un’altra prospettiva. A mia figlia non basterà essere cresciuta in uncontesto multietnico per guardare il mondo dauna prospettiva diversa; non serviranno i socialnetwork, riproduzione deformata della culturadominante; non aiuterà la scuola, se continueràad essere schiacciata su se stessa. Quale stradadunque, per fare intercultura con le nuovegenerazioni? La risposta è ripensare la scuola, isuoi programmi, i suoi metodi; riprogettare iquartieri, riappropriandosi delle strade, dellepiazze e di una quotidianità di condivisione epartecipazione. Sogno di comunicare ai nostri figli l’importanzadel tema interculturale, liberandolo dalsettarismo che spesso lo marchia, relegandoloal chiacchiericcio inconcludente di fronte allafrana della società attuale. Fuori dagli stereotipidel migrante buono a prescindere,dell’accoglienza tout court di qualunque tipo dipensiero altro (anche quando prevederestrizioni dei diritti umani, umiliazioni edeprivazioni), del senso di colpa occidentale peril saccheggio del resto del mondo. L’intercultura 2.0 non può che diventarel’architrave della società che vuole salvarsidall’abisso, la regola d’oro per rifondare laconvivenza, il mezzo per comunicare con tutti(soprattutto con chi ha avuto meno strumenti),costruendo luoghi dove viverla, proponendoprogettualità pratiche e visibili. Essa ci offre lapossibilità di decostruire per ricostruire,risignificando i concetti di frontiera e distraniero, dando nuova linfa alle parole chiavepartecipazione e democrazia.Questo è ciò che ho imparato da CEM, e questoè il dovere che abbiamo per le nuovegenerazioni.

GIOVANI E INTERCULTURA

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Il titolo che mi è stato dato anima da subito una do-manda: eredità psicologica o culturale? Probabilmenteil mondo di CEM lascia entrambe, ma quella psicologicachiama in causa affetti, legami, fantasie, percorsi di-versamente rappresentati tra i tanti che lo frequentano1

e troppo personali per poter offrire istruzioni perl’uso.Penso dunque di concentrare l’attenzione sul-l’eredità culturale, perché la rivista e le occasioni for-mative lasciano una ricchezza di idee, prassi, cono-scenze, saper fare, che effettivamente possono esser

considerate un patrimonio culturale trasmesso di generazionein generazione come in una staffetta. Del resto, una consegnadi testimone è la forza della cooperazione e dell’accogliere ilcontributo di tutti, con continuità e insieme con una creativariproduzione: ognuno ha il suo stile, il suo passo che influenzal’insieme. E allora per un nuovo passaggio di testimone è tuttopronto? Cosa va preservato e quale spirito può aiutare? Certo,un punto saldo della staffetta, come completare il propriopezzo di lavoro coscienti di aver messo a frutto tutte le com-petenze, si scontra col fatto che chi a vario titolo ha contribuitoalla crescita di CEM probabilmente ha dato il massimo, maavrebbe altro da offrire e allo stesso tempo può faticare ad af-fidarsi ad altri con la sicurezza necessaria.Sui contenuti da portare avanti, invece, può esservi chiarezza:in primo luogo, la consapevolezza dell’importanza dell’edu-cazione e il trarre spunto dalle prassi e dalle ricerche comemateriali di riflessione e «conversazione educativa»2, ossia unaconversazione che continui a fornire occasioni di autoanalisi eformazione e, proprio dalla quotidianità, sappia rimettere co-stantemente a tema uno sguardo interculturale non scontato,che valorizzi anche la dimensione di genere, spesso ignorata.Non a caso, proprio una figura femminile e interculturale3 puòmostrarci un atteggiamento utile: Cenerentola. La giovane,

infatti, pur considerata, ad una prima lettura, esempio di ar-rendevolezza, rappresenta piuttosto il coraggio e l’ingegno dichi affronta una grave perdita (quella della madre) e la faticadella transizione a nuovi ruoli, come l’inserimento in una fa-miglia diversa e per giunta non accogliente. Si concede diesprimere il dolore e prendersi uno spazio e un tempo per sée piange - a seconda delle versioni - sul nocciolo o sul dattero,piante importanti, perché oltre a esser storicamente simboli difertilità, la prima ripara il suolo e lo rende abitabile per altrespecie4, la seconda è perno dell’ecosistema delle oasi. Cene-rentola, così, ci insegna a entrare in contatto con le emozionicome con la natura (altro tema caro al CEM). Poi, coltiva ilsogno del cambiamento e persevera nell’obiettivo di andareal ballo, ma s’assume con dignità i compiti assegnati da madree sorellastre. Di fatto, riesce ad autorealizzarsi perché sa cercaree accettare ogni tipo di aiuto, senza sentirsi superiore a nessuno,anzi riconoscendo il valore - quanto mai attuale - delle inter-dipendenze. Da essa, allora, possiamo attingere un’umile e il-luminante saggezza.nnn

1 A ben guardare, quanti saliscendi emotivi potranno abitare ognuno di noi davantia una fase di cambiamento improvviso come questo?2 F. Gobbo (a cura di), Etnografia dell’educazione in Europa, Unicopli, Milano 2003.3 La fiaba è conosciuta in quasi tutto il mondo con le sue varianti.4 A. Bella, Socrate in giardino, Salani, Milano 2014.

francesca galloni [email protected]

La rivista e le occasioniformative lasciano una ricchezza di idee,prassi, conoscenze che possono esserconsiderate un patrimonio culturaletrasmesso di generazione in generazione come in una staffetta

GESTIRE UN’EREDITÀPSICOLOGICAISTRUZIONI PER L’USO

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Superare le difficoltà economiche è la prio-rità per la maggior parte degli enti cheoperano in ambiti «non commerciali». Il«nuovo CEM», non più supportato daiSaveriani, si trova nel pieno di questadifficoltà. Il fundraising e il crowdfundingsono una possibile soluzione? Prima an-cora: di cosa si tratta? Facendo una ri-cerca su internet si ottengono, rispetti-vamente, 118 e 25 milioni di risultati.

Questo per dire quanta varietà d’interpretazioni, presentazioni,risposte, proposte sono collegabili ai due termini. Per i nostriscopi ci limitiamo all’essenziale. Iniziamo dalle definizioni: fundsi traduce con «fondi» (economici); raising con «faraumentare/raccogliere»; crowd con «folla».Quindi fundraisingsignifica «raccolta fondi» e crowdfunding «raccolta fondi dallafolla», cioè da persone indifferenziate. Il secondo è quindi una

modalità del primo.Per quanto i termini siano evocativi, il fun-draising e il crowdfunding non hanno nulla di miracoloso nérappresentano una nuova, facile ed abbondante fonte di de-naro. È opportuno evidenziarlo perché attorno ad essi si ècreata un’aspettativa di solito eccessiva che non consente diconoscerli ed utilizzarli al meglio per quello che sono. Entrambisi basano sull’elevazione a tecnica specifica, strutturata e pro-fessionale dell’attività di raccolta fondi. Alla base della tecnicadeve però esserci un’elevata qualità dell’offerta, senza di essanessun risultato di raccolta è ottenibile. Cosa portano, allora,di nuovo e come possono essere utili al «nuovo CEM»? Conessi l’attività di raccolta fondi passa da una modalità artigia-nale-volontaristica ad una professionale-strutturata, articolatain tre aspetti principali che si precisano nel seguito: la struttu-razione dell’attività, la professionalità della gestione, l’uso par-ticolare di alcuni strumenti.

LA STRUTTURAZIONE DELL’ATTIVITÀ

Da sempre si fanno raccolte fondi da soci e simpatizzanti, ma,in genere, si tratta di attività spot la cui modalità di esecuzioneè lasciata all’ingegnosità e alla disponibilità di chi ne è incaricato.Con il fundraising, invece, questa attività diviene permanentee strutturata: si definiscono gli obiettivi, le azioni da intrapren-dere, i tempi di esecuzione, le risorse dedicate in persone e

roberto marella [email protected]

PER UN CEM SOSTENIBILE?

Il «fundraising» e il «crowdfunding»

non hanno nulla di miracoloso né

rappresentano una nuova,facile ed abbondante fonte

di denaro

FUNDRAISINGE CROWDFUNDING

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budget, le modalità di controllo dei ri-sultati e di revisione. Rimangono invece invariati i passi logicidella sua realizzazione: si presenta il pro-getto; si chiede di contribuire alla suarealizzazione, si indica una modalità pra-tica per inviare i contributi, s’informanoi donatori su come sono stati spesi.

LA PROFESSIONALITÀ DELLA GESTIONE

Gestire e sviluppare l’attività di raccoltafondi richiede molto tempo e compe-tenze specifiche che spesso non si hannoa disposizione. Per questo il fundraisingprevede che tale attività sia affidata adun professionista esterno (fundraiser)che di questa attività ha fatto il propriolavoro. Il fundraiser (professionista o so-cietà) struttura la propria attività impren-ditoriale per gestire in modo efficientela raccolta fondi per più enti. La sua re-munerazione può essere costituita dauna somma concordata per la realizza-zione di un piano di attività e/o da unapercentuale sui fondi raccolti.

ALCUNI STRUMENTI

Per il fundraising è essenziale gestire almeglio: il database, il dialogo, i paga-menti on line. Il database è il «registro»delle persone conosciute e da contattare.Deve essere organizzato in modo da es-sere gestito con strumenti informatici.Inoltre deve contenere un ampio spettrodi informazioni: non solo nome, cogno-me ed indirizzo ma anche cellulare, mail,attività cui ha partecipato, professione,interessi, età, ecc. Questo perché i pro-getti e le relative richieste di contribu-zione devono essere indirizzati con pre-cisione, anche per ridurre i costi di con-tatto. Per il «nuovo CEM» è quindi par-ticolarmente importante disporre di que-sto strumento da costruire con la colla-borazione di tutte le persone che a variotitolo sono in contatto con il CEM o losono state in passato.

Il dialogo è il mezzo con il quale ente esoci/simpatizzanti si mantengono in re-lazione. La sua importanza è evidente.Esso va costantemente alimentato e so-stenuto. Nel fundraising anche questoaspetto viene strutturato ma ha bisognodi una costante collaborazione con lepersone dell’ente. Solo loro possono darecorpo e sostanza al dialogo. Il fundraiserlo renderà poi operativo applicando letecniche di comunicazione e marketing,utilizzando i social media ma anche, tal-volta, telefono e posta. Infine i paga-menti on line sono necessari per disporredi modalità di invio dei contributi sem-plice ed efficiente e basata su strumentidi gestione informatizzati: bonifici, cartedi credito, carte prepagate, numeri tele-fonici, ecc. Traspare da quanto detto cheanche se il fundraising consente di ester-

nalizzare l’attività di raccolta fondi, l’ente(ad es. il «nuovo CEM») rimane comun-que coinvolto e deve fare la sua partecon il necessario impegno di tempo epersone. Per il «nuovo CEM» il fundrai-sing svolto con persone interne e esterne,compatibilmente con i costi e le risorse,è essenziale non solo per la raccolta fondiin sé, ma anche, e forse soprattutto, permantenere la relazione con le personedel «mondo CEM». nnn

Per approfondireSui temi affrontati, evitando di citarespecifiche realtà di mercato, vi segnaliamoalcuni riferimenti. Per il fundraising:l’Associazione Italiana Fundraiser (sitoistituzionale: http://www.assif.it) el’Università di Forlì che propone un Masterin fundraising (http://www.fundraising.it). Per il crowdfunding: il rapporto elaboratodall’Università Cattolica di Milano:http://crowdfundingreport.telecomitalia.com Da questi sarà facile proseguire per unaricerca secondo il filone che si preferisce.

Focus sul«crowdfunding»

Il fundraising si rivolge inmodo diretto a personefisiche già note o coinvolte divolta in voltadall’associazione. Un numerodi persone che può crescerema in modo graduale. Ancheper i giusti vincoli posti dallalegislazione sulla privacy.Come fare, allora, adallargare rapidamente laplatea dei possibilisimpatizzanti cui rivolgersi?Da questa domanda nasce ilcrowdfunding: i progetti e lerichieste di contribuzioneanziché essere indirizzate allesingole persone via viacoinvolte, vengono poste suuna piattaforma informatica(un sito) alla quale chiunquepuò accedere. Saranno perciòle persone a contattare l’entee non viceversa. Chi entra nella piattaformatroverà la proposta di alcuniprogetti (in genere di enti eper scopi diversi) che potràapprofondire e, se lodesidera, sostenere con uncontributo economico inviatotramite una delle modalità dipagamento previste dal sitostesso. Il sito dicrowdfunding è di normapredisposto e gestito da unasocietà che seleziona iprogetti da offrire e li«ospita» sulla suapiattaforma per un periododi tempo prefissato. Per

questa attività la società chegestisce il sito chiede unaremunerazione che in genereè una quota dei contributiraccolti. Il crowdfunding èparticolarmente adatto periniziative semplici, chiarenegli scopi e nelle modalità.Per il «nuovo CEM» è unapossibile modalità perfinanziare iniziativespecifiche. Da nonconfondere il crowdfundingdi cui abbiamo finora parlatocon l’Equity crowdfundingche è uno strumentofinanziario di raccolta didenaro (ad esempio per lacostituzione di fondi) e cometale normato dallalegislazione specifica delsettore.

Attorno al«fundraising» e al«crowdfunding» si è creataun’aspettativa disolito eccessiva,che non consentedi conoscerli edutilizzarli al meglio

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OSPITALITÀ, BALLO E MUSICA

Prima di tutto l’ospitalità della gente dei Balcani che, fin dasubito, ci ha accolto. Attorno ad una mensa semplice econdivisa, ci ha dato il benvenuto la musica balcanica, valea dire musica per tutte le genti del posto. Ad ascoltare eballare la musica sono sempre le persone in comunità, in-dipendentemente dalle loro identità. Abbiamo visto con-fermato, cioè, che la musica e l’arte in generale rappresen-tano una narrazione inclusiva, uno spazio interculturale,una lingua universale dove le identità rivendicate, reclamate,pretese appaiono per quello che sono: racconti mitici. Forse

è possibile pensare così, relativizzando i miti identitari, se si ama la bellezza e lapoesia della musica e delle arti in generale come, con parole semplici, ci ha testi-moniato il coreografo musulmano di Prijedor, ostinato insegnante di danza a di-spetto della fatica e delle risorse limitate.

L’INCONTRO CON UN IMAM E LA SARAJEVO INTERRELIGIOSA

L’incontro, poi, con il giovane imam della città che ci ha accolto con le parole:«Dio ciascuno lo cerca e per farlo usiamo mappe diverse». È risuonato come unrichiamo inatteso alle religioni e soprattutto ai loro rappresentanti: esse non pos-sono mai dimenticare di essere mappe e non territori, zattere per viaggiare sulfiume. E con questo sapere che la zattera, una volta arrivati, si abbandona perchénon serve più. Forse questo è più facile riconoscerlo da comunità di minoranza,

marco dal corso [email protected]

Per poter tratteggiare ilfuturo del dialogo

interreligioso niente di piùindicato che «interrogare»una recente esperienza interra balcanica. Si trattadella «gita» scolastica

vissuta assieme agli alunnidi V liceo nello scorso

mese di aprile. Un viaggioin Bosnia alla scopertadella regione, delle sueculture e religioni. Unviaggio nella «piccola

Gerusalemme» come èchiamata Sarajevo, maanche nella regione di

Mostar e del suo famosoponte vecchio, abbattuto eoggi ricostruito. Un viaggio

anche dentro il nord delpaese a maggioranza

serba. Un viaggio, infine,organizzato e pensato

secondo la metodologiaimparata al CEM.

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libera dal potere e sempre a confronto con gli altri come èoggi la comunità musulmana nel nord della Bosnia. Abbiamopoi finalmente incontrato la Sarajevo interreligiosa. Città ancoraferita da una guerra troppo recente per essere memoria e chepure sta imparando a raccontarsi oltre le narrazioni identitarie,

come vorrebbero leideologie nazionaliste.Ci sono, infatti, raccontiche feriscono e raccontiche riconciliano, paroleireniche e parole anta-goniste. Per costruire ilfuturo, come recita ilmotto dell’associazionebosniaca che abbiamoincontrato, occorre ri-conciliare le memorie edessere onesti con la vitaquotidiana della città.

Sarajevo non ha mai avuto un ghetto e la si può ancora abitare,nonostante tutto, come città interculturale ed interreligiosa.Forse questo lo sanno fare piccole donne forti come quelleche abbiamo incontrato. Edina e Marsiha hanno attraversatola guerra rimanendo umane. La piccola «Gerusalemme deiBalcani» è fedele alla sua vocazione di incontro e dialogo quan-do lascia la parola agli uomini e alle donne che la abitano.

LA CASA DEI DERVISHI

Ci ha infine accolto lo spazio mistico della casa dei dervishi, vi-cino a Mostar e al suo ponte, segno di unione e di separazioneallo stesso tempo. Da ponte che unisce a ponte che separa, ladifferenza ancora una volta sta nel modo in cui si racconta lastoria del ponte, nel modo in cui si sceglie di attraversarlo. Lereligioni possono essere usate come arma di divisione, piuttostoche come strumento di unione. Così anche gli abitanti diMostar sono chiamati a scegliere. Sanno, però, che molto dipiù che la teologia delle loro rispettive Chiese e istituzioni, puòla mistica. Forse la dimensione mistica e spirituale, come quellavissuta ancora oggi dai sufi di Mostar, può ricordare alle religionila loro vocazione: quella di essere costruttrici di ponti da at-traversare oltre tutti i muri identitari. Ritornare a bere l’acquasorgiva delle diverse fonti spirituali, come invitano a fare, anchefisicamente, i sufi di Mostar, può sanare le stesse religioni.

FUTURO INTERRELIGIOSO

La lezione balcanica raccontata anche nella sua fragilità, albivio tra vita quotidiana interculturale ed interreligiosa e sceltaidentitaria sacralizzata dalla religione, offre alcune importantiriflessioni per il futuro. Se gli abitanti di Sarajevo sarannoaiutati ad abitare, come hanno fatto per secoli, la città convi-

viale, attraversata da ponti e non divisa da essi, allora c’è unfuturo per loro. Questo vale anche per tutti gli abitanti dellediverse polis. Essi possono scommettere sul futuro. A determi-nate condizioni. Quella, ad esempio, a partire dall’insegna-mento bosniaco, di saper abitare la bellezza. Il dialogo tra lereligioni diventa possibile se esse scelgono di ridire Dio attra-verso una teologia come gioco, come visione del paradiso; selasciano che sia la bellezza ad evangelizzare il mondo. Nontanto una teologia quanto una teopoetica. Essa può risvegliaredentro le persone i sogni che giacciono sepolti, trasformare leinquietudini delle persone in energia per incontrare la felicità:si tratta di risuscitare l’umanità a partire dalla bellezza. Nonuna teologia del dialogo, ma una teopoetica di esso.

LIBERARE LA RELIGIONE DAL POTERE

Altra condizione suggerita dalla lezione balcanica è quella diliberare la religione dal discorso del potere. Il dialogo tre lepersone di diverse fedi è praticabile quando libero e liberante,quando fatto a partire dalla logica della liberazione (dalla po-vertà, dall’ingiustizia) e non da quella della conservazione (diprivilegi, di status, di ruoli). Una religione si apre al dialogoquando, relativizzato il dogma educando alla bellezza, nonsmette di essere profetica. Il confronto con le altre visioni pro-fetiche ed utopiche è quindi possibile. Il dialogo, via profezia,mantiene così il suo carattere politico: non è mai solo questioneprivata, ma interpella le relazioni sociali tutte le volte che mettea tema il senso della vita umana, tutte le volte che è convocatoad esprimersi su questioni di tipo etico, sociale, ambientale,cioè, alla fine, politiche.

PER UN DIALOGO APERTO

Ma del dialogo tra mondi culturali e religiosi diversi intendonofar parte, come insegna la gente incontrata nei Balcani, tutti gliuomini e le donne dialoganti. Il dialogo interreligioso deve essereaperto, nessuno deve esserne escluso, né alcun argomento tra-lasciato, le domande, anche le più critiche, hanno il diritto diessere poste. Il carattere popolare e non gerarchico del dialogo«apre» il confronto, l’incontro tra le religioni. Il territorio deldialogo è un terreno aperto, non ha padroni, così come la vita.Esso non mira a con-vincere l’altro, ma a confrontarsi con l’altro.Infine, il dialogo imparato dal viaggio a Sarajevo ricorda che lavia mistica è quella preferita. Dopo tanta logia, celebrare il mi-stero, senza volerlo capire o definire del tutto, permette aldialogo di aprire strade nuove, oltre le dottrine e le ragioni,senza per questo essere irragionevole. Esso diventa allora veraesperienza religiosa: permette ai dialoganti di accettare la propriainadeguatezza, chiede ad essi e alle religioni di purificare ilproprio linguaggio, ricorda a tutti che la verità non è mai possessoesclusivo e conoscenza definitiva. nnn

DIARIO DI VIAGGIO

Abbiamo incontrato laSarajevo interreligiosa,

città ancora ferita da unaguerra troppo recente per

essere memoria e chepure sta imparando a

raccontarsi oltre lenarrazioni identitarie

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roberto morselli [email protected]

Il compito dell’educazione non può essere in alcun modo con-finato entro le pareti scolastiche, tantomeno quello dell’educa-zione interculturale. Come più volte il movimento CEM ha riba-dito, una vera politica educativa per il tempo presente è qualcosadi più ampio rispetto alla sola politica scolastica, che tuttaviane è inclusa e ne costituisce un perno. Infatti, per dar forma auna cittadinanza attiva e responsabile abbiamo oggi bisognodi un (nuovo) patto e confronto tra tutti gli attori educativi (isti-tuzionali e non) che hanno un ruolo rilevante nella società suitemi cruciali del nostro tempo. Questo compito spetta anche al

mondo del lavoro. Non a caso, uno dei principi base della nostra Co-stituzione, ancora oggi una delle più avanzate, è quello lavorista, cheafferma che la Repubblica è fondata sul lavoro (né sui lavoratori, né sulmercato). E il lavoro è un diritto-dovere tutelato dalla Costituzionestessa, quale primo diritto sociale, volto ad assicurare a tutti i cittadinii mezzi di sussistenza e la possibilità di inserirsi nella società sviluppandole proprie capacità e contribuendo, tramite queste, al suo stesso sviluppo.

QUALE LAVORO?

Il lavoro ha avuto, storicamente, significati e funzioni ambivalenti. Èstato interpretato come castigo e fatica, necessità e costrizione, oppureall’opposto come sforzo necessario e premiante per l’elevazione indivi-duale e collettiva. È stato inteso come sfruttamento, alienazione, eserciziodel dominio dell’uomo sull’uomo, ma anche come pienezza di realiz-zazione di sé nell’opera compiuta. In ogni caso, ha tuttora un ruolochiave nel processo evolutivo e di umanizzazione. Non è quindi possibilepensare a una società realizzata e felice senza una qualche forma di at-tività umana di produzione, intesa pure come forma di cura (verso lepersone e le cose) e di restituzione alla società delle opportunità chequesta ha saputo creare per tutti.

Uno dei principi basedella nostraCostituzione è quellolavorista, che affermache la Repubblica è fondata sul lavoro(né sui lavoratori, né sul mercato)

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INTERCULTURA E LAVORO

Perché l’educazione interculturale possa fornire un contributocostruttivo alla «questione lavoro» oggi, serve partire, in primaistanza, dalla comprensione delle dinamiche (contraddittorie)della società presente. Per prima cosa, quindi, è l’educazione interculturale a dovercontestualizzare se stessa nello scenario attuale, e questo ab-biamo costantemente fatto come CEM. Serve una lettura delletrasformazioni del lavoro. Direi che vale anzitutto la pena ri-cordare che viviamo nell’epoca del finanzcapitalismo, come lodefiniva Luciano Gallino, cioè di un sistema economico finan-ziario basato prevalentemente sulla potenza della finanza spe-culativa che ha lo scopo di estrarre il massimo del valore dal-l’ambiente e dalle persone al fine di accrescere in modo inve-rosimile la ricchezza e la potenza di una ristretta élite. Unadelle leve della crescita è stata la scelta deliberata di pagare illavoro il meno possibile e al tempo stesso di accrescere il valoreda esso prodotto, il cosiddetto plusvalore, di cui il capitale siappropria. Negli ultimi trent’anni, la politica dei bassi salari è stata favoritadalla cosiddetta «terza rivoluzione industriale», ossia da quelprocesso di trasformazione accelerata caratterizzato da unaforte innovazione tecnologica sia nei processi di trasformazionedella materia sia in quelli della produzione di simboli e dellacomunicazione. Tale rivoluzione ha comportato un incrementodella redditività, ma senza una corrispondente crescita dell’oc-cupazione, anzi con una sua significativa riduzione. Così lamaggior parte dei lavoratori appare destinata all’esubero, unoscarto di cui il sistema intende fare a meno.

LA «SCOMPOSIZIONE DEL DIAMANTE DEL LAVORO»

La ristrutturazione del sistema produttivo ha portato alla «scom-posizione del diamante del lavoro» (la definizione è di AldoBonomi): la forma fordista del lavoro dipendente non è piùquella egemone, emergono nuove forme di impiego, moltedelle quali flessibili e precarie, e si rompono le forme tradizionalidi solidarietà della fabbrica fordista, ma anche quelle territo-rializzate nei distretti produttivi. Tale scomposizione ha messoin crisi anche i portatori di interessi organizzati (per esempio isindacati), che pure tentano di rappresentare gli interessi diquesto universo eterogeneo.In questo contesto emerge sempre più la figura del capitalistapersonale, che mette insieme due termini (capitale e persona)che in passato si cercava di tenere divisi, assegnando ciascunoa uno spazio differente. È un capitalismo animato dalle persone,che impegnano sul lavoro la propria intelligenza, la propriapassione, la propria disponibilità, per investire su se stesse, as-sumendo i rischi corrispondenti.

UNA RIFLESSIONE CRITICA SULLA NATURA E SUL RUOLO DEL LAVORO

Qui si apre il dilemma: adeguarsi alle richieste del mercato dellavoro per essere (forse) più attrezzati a cogliere le opportunità?Resistere a tale processo, sognando il ritorno a forme tradizionalidi lavoro? Promuovere una nuova visione e una diversa praticadel lavoro (ma in nome di quale modello antropologico e tipodi società future)? Le risposte a queste domande non sono disecondaria importanza, visto il ruolo che gioca e giocherà ilmondo dell’educazione nel formare i (futuri) cittadini lavoratori.Quale contributo può fornire l’educazione interculturale allaricerca di queste risposte?A mio avviso il suo principale apporto, oltre a favorire una ri-flessione critica sulla natura e sul ruolo del lavoro nella vita in-dividuale e sociale, sta nel suo metodo, perché dialogico,basato sull’ascolto attivo e sulla negoziazione dei significati.Tale metodo può divenire risorsa strategica per migliorare lerelazioni nelle organizzazioni e nei luoghi di lavoro, e per ren-derle più competenti nella valorizzazione delle differenze interne(anche quando sono divergenti). Credo che oggi manchi so-prattutto la capacità di lavorare con un approccio antropolo-gico, che faccia emergere i presupposti impliciti (che orientanoi comportamenti) delle organizzazioni di lavoro al fine di creareun senso condiviso e riconosciuto. Un approccio che potrebberendere più efficace l’integrazione dei punti di vista e dellepersone verso scopi comuni, formandole, nello stesso tempo,a una logica di ascolto e di dialogo. Anche perché domani,più che mai, nelle organizzazioni di lavoro ci sarà bisogno nonsolo di fare, ma soprattutto di riflettere - insieme - sugli scopidi questo fare. nnn

IL CAPITALISMO PERSONALEIl capitalismo personale pone tutti noi sotto sforzo,perché:

n dobbiamo aggiornare costantemente le nostrecompetenze: non basta più conoscere un mestiere,dobbiamo produrre innovazione; n dobbiamo ampliare le nostre reti di relazioni,all’interno delle quali poter lavorare, trovare nuoviclienti e nuovi fornitori; n è scomparsa la separazione tra tempo di vita etempo di lavoro: non si «stacca» mai; n appena possiamo, facciamo tutti microfinanza,investiamo cioè i nostri risparmi per garantirci quellapensione e quelle tutele che ormai il welfare pubbliconon è più in grado di garantirci.

Le abilità e le competenze professionali, la creatività e lospirito d’iniziativa, l’autostima e la consapevolezza di sé,la capacità di assumersi dei rischi, il possesso di reti direlazioni contano in misura maggiore che ladisponibilità di capitale finanziario e di potere politicoche erano le risorse tipiche della vecchia borghesiaindustriale. Il problema è che questo sforzo, se da unlato ci fa sentire vivi e ci dà il brivido dell’essere «sulpezzo», in presa diretta con un mondo intrasformazione, dall’altro produce dis-stress.

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maria maura [email protected]

Nel 1991 avevo 9 anni e per la primavolta partecipavo ad un convegnoCEM ad Assisi. Libri di cartoncino datoccare e annusare, giocattoli di le-gno da costruire, filastrocche, aqui-loni, sole e sorrisi. Negli anni suc-cessivi sono nate tante amicizie, col-tivate grazie a mille canzoni cantatesui prati, per soli cinque giorni al-l’anno, mille esperienze creative che

mi hanno allargato la mente e «chilometri di lettere», speditecon francobolli, stracolme di disegni e parole. Oggi ho 34anni, ogni estate - tranne un paio, a causa delle gravidanze -il CEM è stato un appuntamento imprescindibile per quasi 25anni. L’ultimo laboratorio INTERnetCULTURA1 è stato nel 2014,Alessandro Valera, che lo ha condotto con me, mio coetaneo,era uno di quei ragazzini con cui sono cresciuta nei laboratoridel CEM. Nell’ultimo laboratorio abbiamo esplorato internet,in particolare i social media. Mi è stato chiesto di scrivere unarticolo sul digitale e il CEM, proiettandolo nel futuro.

UNO SGUARDO A CIÒ CHE ABBIAMO

Il CEM ha assistito ai grandi cambiamenti della società con unocchio attento alla prospettiva, all’interno del quadro generale.Solo negli ultimi anni ha cominciato a seguire la rivoluzione di-gitale dal suo particolare punto di vista, più articoli sulla rivista

MODELLANDO LO SGUARDO INTERCULTURALE

DAL FRANCOBOLLO ALL’HASHTAG

e più laboratori hanno esplorato l’argomento. Il CEM ha apertouna pagina Facebook, ha caricato video su YouTube, ha datovita a un nuovo sito, dove è possibile leggere la rivista in formatodigitale. Ma questo è solo un piccolo tratto di strada rispetto aciò che andrebbe fatto. La domanda da cui partire è: cosa ag-giungono queste tecnologie nell’educazione alla mondialità?Come influiscono sull’educazione interculturale? Abbiamo ini-ziato ad indagare questo argomento sulla rivista con PatriziaCanova nella rubrica «App-grade» e anche nei laboratori in cuiabbiamo intrecciato arte, cinema e digitale.

INTERCULTURA DELLE RELAZIONI: LA SOCIETÀ

Il nucleo della riflessione sull’intercultura riguarda le relazioni,tema dell’ultimo convegno CEM del 20142. L’educazione inter-culturale, in poche parole, è proprio l’educazione ad incontraree accogliere l’altro. Il digitale ha cambiato la vita a tutti, e oggianche i più stoici, che fino all’anno scorso usavano il cellulare

Il CEM è fatto di persone, di incontri, di poesie, di libri, di cinema, di teatro, di pensieri e di musica, di artee di dialogo interreligioso.Tutto questo può viaggiare sia sulla lumaca sia sul tablet,può diffondersi grazie ai francobolli o agli hashtag.Tutto questo esiste ancora e non smetterà di esisteresolo perché il CEM sta cambiando forma.

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con i pulsanti, si sono convertiti allo smartphone. I device digitali hanno però un ruoloambivalente: da un lato hanno favorito le relazioni tra vicini e lontani, dall’altro hanno in-nescato nuovi modi di comunicare che dobbiamo ancora comprendere fino in fondo:l’uso compulsivo dei gruppi su WhatsApp, l’assiduo controllo del proprio profilo su Face-book, Linkedin,Twitter, Instagram e Snapchat, il cyberbullismo e i troll che rompono gliequilibri, inquinano le relazioni e il dialogo innescando dinamiche comunicative cheriescono a tirar fuori il peggio in modo insospettabile da alcune persone.

L’ARIA CHE TIRA A SCUOLA: «WIFI» E LUMACHE

Nelle scuole le dinamiche relazionali hanno subito un forte mutamento da cinque anni aquesta parte: le Lavagne Interattive Multimediali (LIM) e internet hanno invaso le nostreclassi, permettendo ai bambini e agli insegnanti di aprire una vasta finestra sul mondo. Allostesso tempo, le tecnologie digitali hanno favorito la diffusione di metodologie didattichepiù inclusive e collaborative, hanno accresciuto la motivazione ad imparare e la consapevolezzadel proprio processo di apprendimento. Si tratta di un rovesciamento di prospettiva perchégli insegnanti diventano sempre più consapevoli del loro ruolo: non devono più solo inculcarenelle teste degli allievi nozioni e informazioni, ma insegnare alle giovani generazioni ad af-frontare la complessità e l’incertezza dellasocietà3. Con tutte le ricchezze culturali delweb in termini di contenuti, software e ap-plicazioni, insegnare ad affrontare l’incertezzae la complessità significa anzitutto partiredall’esperienza diretta della relazione conl’altro (studente, insegnante, dirigente, ge-nitore, alunno con bisogni speciali, stranie-ro…), educando ad usare le tecnologie di-gitali come potenti strumenti in grado didare forma alle idee e soprattutto… condi-viderle! Se si agisce sulle competenze e sulmodo in cui mettere in gioco i propri saperi,ciò che si impara a scuola sarà ancora più utile. Tutto è all’insegna della rapidità: in unclick si carica un video su YouTube, si posta una foto su Instagram ed ecco pioverereazioni e commenti, like e cuoricini, critiche e condivisioni. È tutto immediato, tutto etutti devono deve essere reperibili4. Ma noi del CEM conosciamo anche la Pedagogiadella lumaca5, fatta di gesti lenti, semplici, che comunicano il rispetto per l’altro e per isuoi tempi, l’essenzialità di creare grandi cose con le piccole. Queste due prospettivesono agli antipodi: da un lato la rete che viaggia fulminea, dall’altro la lentezza della lu-maca. Non è detto che si debba scegliere di sposarne una ed escludere l’altra! Il rischioè rappresentato dalla deriva ideologica e da vedute ristrette, che invece di portare nel fu-turo, porterebbero solo allo schianto (nel primo caso) o ad un eremitaggio avulso dallarealtà (nel secondo). Le due prospettive vanno adottate in modo integrato: come possiamoinsegnare a vivere in una società come quella attuale senza fare i conti con le tecnologiedigitali e tutto ciò che comportano? Allo stesso tempo come possiamo eliminare dipunto in bianco tutto ciò che c’è stato prima? nnn

1 Per visionare i materiali e le esperienze dei nostri laboratori degli ultimi anni (con P. Canova, L. Cavalli, A. Valera)rimando ai blog: http://internetcultur.blogspot.it/; http://proiettarte.blogspot.it/; http://ceminmediares.blogspot.it/ 2 53° Convegno CEM Mondialità: «Amare questo tempo. Alfabeti per la cura delle relazioni», Trevi 2014.3 Cfr. E. Morin, La testa ben fatta, Cortina, Milano 2000; I sette saperi necessari all’educazione nel futuro, Cortina,Milano 2001, Insegnare a vivere. Manifesto per cambiare l’educazione; Cortina Milano 2015.4 Anche se corredata di alcune «parolacce» questa striscia di Zerocalcare è molto spiritosa e allo stesso tempo, con il suosarcasmo, molto vera. www.zerocalcare.it/2013/11/11/il-demone-della-reperibilita/5 G. Zavalloni, La pedagogia della lumaca. Per una scuola lenta e non-violenta, EMI 2012.

DAL FRANCOBOLLO ALL’«HASTAG»

ORIZZONTIL’educazioneinterculturale agisce sulpensiero delle persone esul loro modo diincontrare l’altro, ildiverso: noi educatoriabbiamo il compito di«insegnare ad imparare avivere»6, e questo è unobiettivo che dovrebbeaccompagnare tutti, pertutta la vita. Il famosolifelong learning(l’apprendimento lungotutto l’arco della vita)…Il CEM è fatto di persone,di incontri, di poesie, dilibri, di cinema, di teatro,di pensieri e di musica, diarte e di dialogointerreligioso. Tuttoquesto può viaggiare siasulla lumaca sia sultablet, può diffondersigrazie ai francobolli oagli hashtag. Tuttoquesto esiste ancora enon smetterà di esisteresolo perché il CEM stacambiando forma.Nella società delcambiamento, CEM èchiamato a rigenerarsi,rinascere e ricominciare.Non è una rivoluzione, èuna metamorfosi. Nellasocietà dell’incertezzadobbiamo fare la nostraparte per mantenere vivoil patrimonio di saperi erelazioni, grazie allemoderne tecnologie,tramite le buone vecchiepratiche in cui le manilavorano e modellano,senza usare solo ipolpastrelli, ma anchegrazie a quei fili invisibiliche ci tengono uniti, cono senza Whatsapp.

6 Cfr E. Morin, Insegnare avivere. Manifesto per cambiarel’educazione, op. cit.

I device digitali hanno unruolo ambivalente: da un latohanno favorito le relazioni tra

vicini e lontani, dall’altrohanno innescato nuovi modi

di comunicare chedobbiamo ancora

comprendere fino in fondo

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stefano curci [email protected]

LA RELAZIONE MAESTRO-DISCEPOLO

Per tornare sull’argomento del maestro1,mi sembra giusto ricorrere al pensierodi chi è stato un grande maestro, mache è anche intervenuto in un memora-bile convegno del CEM ad Assisi nel1990, quando il suo pensiero non eraconosciuto come oggi: Emmanuel Lévi-nas. L’invito di allora dimostra come CEMabbia sempre saputo intuire i grandicambiamenti culturali mentre erano an-

cora in cammino.Lévinas coniò una definizione che va beneper ogni vero maestro: «incontrarlo significa essere tenuti sveglida un enigma». La relazione maestro-discepolo è per il filosofolituano il paradigma della relazione etica, insieme a quella pa-dre-figlio. L’insegnamento di un maestro richiede una parolamagistrale, cioè in grado di raggiungere il discepolo e scuoterlo.Scuoterlo perché è una parola nuova, che può modificare lavisione del mondo del discepolo e il suo modo di rappresentarsi.La relazione col maestro fa vedere al discepolo se stesso e il

mondo con occhi diversi, perciò porta un turbamento: l’identitàsi forma anche attraverso un trauma, un necessario decentra-mento rispetto alle proprie certezze. Sempre critico verso l’egotismo e il narcisismo della culturaoccidentale, Lévinas non considera la relazione educativa comese fosse maieutica, alla Socrate, cioè quel tipo di rapporto incui il maestro deve solo sollecitare la verità che già è presentenel discepolo. Invece il maestro mette nel discepolo qualcosadi nuovo, che prima non era presente, che non può essere ri-chiamato solo con un processo di reminiscenza. Necessaria-mente il maestro è più in alto, e la relazione educativa è asim-metrica: tra il maestro e l’allievo c’è una separazione irriducibile.L’io cresce e si restituisce a se stesso solo decentrandosi.

UN RUOLO CENTRALE

Il mio rapporto col maestro davanti a me non si può porresolo in termini di conoscenza: io non lo conosco, ma ho un le-game con lui. Se lo conoscessi sarebbe una delle figure a cuiassegno un ruolo nella mia vita, una presenza da me diretta e

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LE IDEE DI CEM PER UN NUOVO RUOLO DEL MAESTRO

«La cripta dei cappuccini» è il raccontodi Joseph Roth che descrive la fine diun mondo, quello della grande Austriaimperiale. Il protagonista Trotta si rendeconto che un’epoca si sta chiudendoed è attaccato al vecchio mondo, male persone attorno a lui sonoindifferenti, tutti prese dallaspensieratezza prima, dalle ristrettezzeeconomiche dovute alla prima guerramondiale poi. Finisce con il nazismoche si affaccia minaccioso e Trotta

che, in piena notte, vorrebbe visitare lacripta dei cappuccini dove riposano isuoi amati Asburgo, simbolo di unmondo che non c’è più. A molti di noicapita lo stesso: essere attaccati ad unmondo pieno di valori che però glieventi e le mutate sensibilitàconsiderano finito e superato, e nonriuscire a trovare ascolto da chipreferisce seguire sempre l’oggi.

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limitata. Invece il filosofo scrive che il ruolo del maestro devetornare prepotentemente centrale: «lo sfondo del mio pensieroconsiste nel dire che è attraverso il maestro che un pensieropuò essere verità, che è attraverso il maestro che le cosepossono essere in se stesse. O se si vuole: che la credenza nonsi aggiunge ad una verità, ma che è la credenza che è la con-dizione della verità»2. Commenta Francesca Nodari: «di qui ilruolo centrale del maestro, che non è semplicemente l’ostetrico

non equivale alla maieutica. Viene dall’esterno e mi procurapiù di quanto già non porti in me. Nella sua transitività non-violenta si produce l’epifania stessa del volto. L’analisi aristotelicadell’intelletto, che scopre l’intelletto agente, venendo da fuori,assolutamente esterno, e che, tuttavia, senza comprometterlaaffatto, costituisce l’attività sovrana della ragione, sostituiscegià alla maieutica un’azione transitiva del maestro, poiché laragione, senza abdicare, si trova in grado di ricevere»5.

L’EDUCAZIONE DEVE PREPARARE L’ALLIEVO A RICEVERE

Dunque la relazione maestro-allievo non può essere maieuticaperché non darebbe nessuna apertura ulteriore rispetto aquello che già è presente nei due: invece l’educazione devepreparare l’allievo a ricevere. Ma ricevere cosa? Come spiegaOrietta Ombrosi: «Un ricevere dall’esterno ciò che essa è inca-

pace di contenere: l’idea dell’Infinitoche si dà nell’epifania del volto dell’al-tro uomo […] poiché la porta si apre,accogliendo l’altro che sta di fronte,all’irruzione dell’idea dell’Infinito nelfinito, questo ricevere, quest’ospitalitàè anche una meta-fisica»6. Senza maidimenticare che «altri è sempre in qual-che modo il mio maestro, in altri io ve-do sempre il volto»7. Come nota Fran-cesca Nodari: «ciò che, a nostro avviso,il filosofo ebreo lituano vuole rimarcarecon forza è proprio il passaggio dalla

visione di profilo a quella frontale del Maestro, un passaggiodove c’è qualcosa di nuovo sotto il sole: l’accadere di una re-lazione dove la parola è “parlante” e non “parlata”»8. Da Lévinas prendiamo dunque questa idea della fecondità delMaestro che è nel lasciare che l’allievo sia se stesso, facendolocrescere, ma non con accademico distacco, ma partecipandoemotivamente fino a farsi suo ostaggio. CEM ha sempre seguitoquesta visione levinasiana di essere un interlocutore che nonpretende di insegnare ex cathedra, ma che fa dell’ascolto edel dialogo il proprio stile comunicativo ed educativo. L’esplo-razione dell’alterità nelle sue molte dimensioni è una dellespecializzazioni che CEM si è costruito in questi anni. nnn

1 Cfr., da ultimo, Abbiamo bisogno di maestri non di facilitatori, in «CEM Mondialità»,gennaio 2016, pp. 10-11.2 E. Lévinas, Lo scritto e l’orale, in «Parola e silenzio e altre conferenze inedite», Bom-piani, Milano 2012, p. 209. La conferenza è del 1952.3 F. Nodari, Il bisogno dell’Altro e la fecondità del Maestro, Giuntina, Firenze 2013,pp. 68-69.4 E. Lévinas, Lo scritto e l’orale, cit., p. 210.5 E. Lévinas, Totalità e Infinito, Jaca Book, Milano 1981, p. 49.6 O. Ombrosi, L’umano ritrovato. Saggio su Emmanuel Lévinas, Marietti, Genova2010, pp. 107-108. Corsivi dell’autrice.7 E. Lévinas, Lo scritto e l’orale, cit., p. 214.8 F. Nodari, Il bisogno dell’Altro e la fecondità del Maestro, p. 87.

Lévinas coniò una definizione cheva bene per ogni vero maestro:

«incontrarlo significa essere tenutisvegli da un enigma»

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dell’allievo, ossia colui che ha la capacità di far partorire leanime gravide di verità, ma colui di fronte al quale mi trovo,chiedo aiuto e da lui apprendo poiché dal suo volto scaturiscee si irradia la verità»3.Qui passa la differenza con la prospettiva socratica: «ma lateoria della maieutica misconosce il ruolo del maestro nell’in-segnamento. Socrate si sottostima. In realtà, il maestro e il di-scepolo contano perché il maestro è sempre anche discepoloe il discepolo sempre maestro. Il pensiero si costituisce nel dia-logo dell’insegnamento. Noi siamo a priori non davanti alleidee, ma di fronte a un maestro. L’in sé della verità non è pre-sente nella reminiscenza, ma nel volto. Questa presenza del-l’idea nella parola del maestro e questa sostanzialità dellaverità, attraverso la sua presenza nella parola del maestro - lachiamiamo precisamente il suo volto»4.In questo senso, per Lévinas l’insegnamento è rapportarsi allaragione intesa come volto. Mettendo la rivelazione della veritànon come semplice visione dell’idea, ma nell’insegnamentodel maestro, Lévinas si chiede se, al posto della maieutica so-cratica, non sia il caso di preferire l’intelletto agente di Aristotele,come scriverà anche nell’opera maggiore: «ma l’insegnamento

LE IDEE DI CEM PER UN NUOVO RUOLO DEL MAESTRO

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CEM NELLA MIA SCUOLA

Cosa ho portato delCEM nella mia scuola?Insegnare in una scuoladi provincia, piccola,con numeri minimi ri-spetto alle grandi scuo-le delle città, ti fa cor-rere il rischio di chiude-re la porta, un po’ perevitare le invasioni dei

genitori, un po’ per pigrizia o perché in quel pic-colo universo g-astronomico non si sta così male.Il CEM invece mi ha condotta a guardare fuori,osservare una realtà lontana dalla mia e quinditutta da capire e smontare, per riproporla a miavolta nelle mie aule. Non so chi sia il «lettore» diCEM, oltre ai parenti e agli amici di chi vi scrive,ne ho conosciuti alcuni durante qualche conve-gno, gente normale, spesso docenti, come me.Docenti che erano curiosi di avere un aggancionel mondo al di fuori della scuola, ma per lo piùper la scuola. La rivista, come diceva in un incontroBrunetto Salvarani, è da tenere a portata di manoe da leggere lentamente, un mese per leggerla,

mi è subito piaciuta la frase, rispettava i miei tempi sco-lastici. Scherzo, leggo più rapidamente, ma il senso erache pescare nelle pagine ricche e dense della rivista ri-chiedeva attenzione, cura. Una cinquantina di paginein cui potevo pescare risorse e pensiero, dal dialogo trale religioni (per me una vera e meravigliosa scoperta),alla pedagogia della lumaca, dalla cittadinanza alla figurascomparsa del padre, dall’educazione di genere agliscontri (?) di civiltà. Tutto in uno. Sono una prof più in-formata e più educata, educata alla diversità e al dialogo,aspetto che in me era già presente, la mela non cadelontana dall’albero (cit. Sebi Trovato), ma ho affrontatoi temi del CEM a scuola come non avrei fatto, senza.

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sara ferrari [email protected]

IL MIO CEM A SCUOLANon è stato facile scrivere perCEM, è stato bellissimo, ma èstato ancora più difficile scriverequesto pezzo per il mese dimaggio, non solo per il periodoallucinante dal punto di vistascolastico, ma soprattutto per ilsuo contenuto.Il mio CEM a scuola: è il primotitolo che la redazione mi hachiesto in questi cinque anni, maforse non era necessario, già daqualche mese ho cominciato ariflettere sulla mia esperienza inCEM1, non in tono nostalgico,ma, come chiedo ai miei allievi,per fare una riflessione al terminedi un’esperienza, non perchéfinita, ma chiusa. 1 Cfr. L’ora di narrativa - I miei incontri, in «CEM Mondialità», febbraio2016, pp. 8-9.

PROF, MA DOPO L’ESAME,

FINISCE QUI?PIER PAOLO 3A

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Con CEM ho anche un altro debito (non finanziario, le quote diabbonamento per mia madre le ho sempre pagate), sempre re-lativo alla riflessione sul mio essere a scuola. Come fai a scriveredi quello che fai a scuola, delle sperimentazioni digitali, dei pro-blemi di relazione, dei nuovi arrivati che, anche se adesso èmaggio, parlano italiano ma non vogliono parlare, come fai araccontare a perfetti sconosciuti (tranne la mamma e pochialtri), cosa hai insegnato e cosa hai imparato se prima non cipensi su? Se prima non ti sforzi di vedere lucidamente e consa-pevolmente cosa hai davvero fatto? Di tradurre tutto, spesso,in dissestati pezzi ironici? Molte delle esperienze vissute in questianni a scuola non sarebbero rimaste così a lungo in me e nelmio «apprendimento permanente», come dice la mia collegaprecaria che domani farà il concorso. Che permanente sia!

COSA HO PORTATO DELLA MIA SCUOLA NEL CEM?

Io non so scrivere d’altro, l’ho già ammesso, o meglio, sonbravina coi racconti brevi, le poesie invece, beh, quelle hosmesso di scriverle per viverle, l’ultima, strappata a un cuscino,l’ho scritta quando è nata mia figlia, da allora sono consape-volmente prosaica, ma non volgare. So scrivere quello chevivo, ma su CEM ovviamente non potevo scrivere della diatribache sto facendo con Mattia in 1aA su «Anolini o cappelletti?»(beh, forse un accenno sulla pasta all’uovo l’ho fatto da qualche

CEM DIGITALEMolti lettori forse vedonoin modo negativo letecnologie, io ho cercatodi portare in CEM la miaesperienza digitale (bastaleggere i titoli dei mieipezzi), con pochi altri suquesta linea, perché è unmondo ricco e la scuolaha un ruolo cosìimportantenell’educazione digitaleche non può propriodemandarlo a nessuno.Un collega si ostina apubblicare sulla suapagina Facebook «Sonocontento di aver passatola mia adolescenza senzasmartphone». A me suonacome il padre di Edisonche scrive con la luce «Soncontento di aver passatola mia adolescenza allume di candela», certo,ognuno ha il suo punto divista, ma non siamo figlidel nostro tempo, siamocittadini del nostro tempo,o ci siamo o siamo deidisadattati, e non èsempre una condizionenegativa. Io dalle mieclassi ho imparato moltosul digitale, con loro horavanato tra le onde delweb e, anche se ignoro lebasi del coding(linguaggiocomputazionale diprogrammazione) e faticoa scrivere la definizione diRam, posso dire di essereuna «smanettona». Dallecriticità e dallepotenzialità degli allievinella loro condizione dicittadini con smartphone,ho cercato di costruirepercorsi di cittadinanzadigitale, un lavoro maifinito. Sono stati i ragazzi

e le ragazze di 3a adaiutarmi a scrivere la E-Safety policy (che tradottosuona come «La politica die-sicurezza», dove «e» staper elettronica) della miascuola, più dei colleghi,che probabilmenteaumenteranno l’antipatianei miei confrontileggendo quelle 22 paginedi regole sull’uso dellarete a scuola. Dove voglioarrivare? Se CEM ci sarà,sarà digitale, l’unicaeditoria in crescita in Italiaè quella digitale. E allora ho deciso che micito addosso, per ripartiredall’inizio: «La scuolaoperi il cambiamento, siadegui al tempo e allospazio che muta e iocomincio proprio daun’ora buca. Ho chiuso laporta, non vorrei chepassasse qualcuno e mitrovasse in difficoltà alasciare impronte digitali:nella penombra dellesimil-tendine oscuranti,provo per la prima volta -in assoluto silenzio - laLIM. Da subito miappassiono: le potenzialitàsono tante, ma sono certache ne scoprirò altreproprio con la mia classe,coi miei ragazzi di terzasono sicura che giungeràl’inaspettato. Digito sullalavagna parole, tracciofrecce e faccio roteareimmagini, le riflessioni siaccumulano, tra questel’educazione delnavigatore a(r)mato.Dobbiamo armare iragazzi per unanavigazione consapevole,un modo di aumentarecompetenze e abilità,partecipando, loro sonograndi maestri ditecnologia, madisarmati»2.

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parte), la sezione della rivista è «A scuola e oltre», non potevocerto andare oltre la scuola e basta. I ragazzi e le ragazze dicui ho scritto per la prima volta su CEM (gennaio 2011) que-st’anno sosterranno l’esame di maturità!!! Proprio oggi mi hafermata la mamma di Matteo per dirmi se mi ricordavo… ri-cordarmi di loro? Certo. Non ho fatto altro che scrivere di loroe dei loro successori, delle loro adorabili sgangherate domande,di quei tentativi di andare a fondo delle cose, a modo loro, delloro chiedere aiuto, dei loro silenzi, delle relazioni difficili, nonultime quelle dei loro genitori con me… ok, mi fermo, macome posso dimenticarli? Io, ringrazio loro. nnn

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Ho messo piede al CEM la prima voltache avevo 21 anni. 21 anni era prima.Prima di Genova, della caduta delle torriGemelle, della guerra incessante che at-traversa il pianeta, della crisi che piùvolte mi ha lasciato senza lavoro. Primaera il futuro e la mia generazione lo vo-leva a tutti i costi. Per questo lo mettevain crisi, per come era già stato disegnatodai Signori che Governano il mondo.

Hanno molti nomi: multinazionali, banche, Unione Europea, fron-tiere. A Pra Catinat, dove ho conosciuto CEM, imparavo il passolento della gentilezza. Alla gente del CEM importava veramente ilmondo. E, siccome nel mondo c’ero anch’io, importava loro anchedi me. Mi venne voglia di tornarci. Io, figlia di una maestra, intuivo

che c’erano molti modidi educare, diversi daquelli pur innovativi cheosservavo a casa, ripeten-do polemicamente: «ionon insegnerò mai!». Pri-ma come convegnista,poi come conduttrice dilaboratorio, CEM ha rap-presentato per me un os-servatorio privilegiato sulmondo della formazione.

Devo ringraziare chi ha creduto in me, mi ha preso per mano edetto: puoi diventarne protagonista. Puoi farlo anche tu. Così hoiniziato, con molta ansia, a gestire i laboratori adolescenti. Ogniattività veniva preparata in uno stato febbrile: poco sonno, molteidee, stimoli positivi che ti obbligavano a muoverti. L’effetto te loportavi a casa e durava come una cura, almeno fino a metà set-tembre.Nel frattempo mi sono laureata, ho iniziato a lavorare. Prima coni minori in difficoltà, poi con i disabili. CEM ha continuato adessere un momento centrale del mio anno lavorativo: serviva perricaricare le pile, sperimentare nuove attività da riproporre in con-testi diversi, lasciarsi contagiare dall’entusiasmo di un gruppo diadolescenti e dai tanti amici che sapevi di poter ritrovare dove liavevi lasciati (di solito a bordo piscina...).Al CEM ho percepito che il mio lavoro educativo aveva un senso;che esisteva, in un’Italia che iniziava ad andare a rotoli, una co-munità che s’interrogava sui paradigmi dell’educazione in un’epocaincerta.Per CEM ero obbligata a fare qualcosa per cui non trovavo iltempo durante tutto l’anno: ero costretta a studiare, a informarmi,ad approfondire le questioni sociali, spesso conflittuali e multi-problematiche, che poi sottoponevamo al laboratorio adolescenti.Tra i conduttori di quel laboratorio è sempre esistita una leggenon scritta: essere onesti con quei ragazzi. Dire loro anche leverità scomode. Ammettere, in caso, di non sapere o non arrivare

martina vultaggio [email protected]

A MILLE CE N’ÈDI COME,TRA LE TANTE STORIE CHE L’HANNO FATTO VIVERE, QUELLA DI CEM SI INTRECCIA CON LA MIA

a comprendere. Costruire insieme una visione delmondo, senza pretesa di saperne più di loro. Partiredalle loro contraddizioni, che sono poi lo specchioamplificato delle storture che stiamo lasciandoloro in eredità.Non so come, ma ha funzionatosempre. Non so se ho cambiato la vita dei giovaniche hanno attraversato CEM. Certo loro hannocambiato la mia.Ho deciso che mi piaceva studiare, inventare atti-vità, sperimentare. Stare con gli adolescenti e poterfar loro da guida nei processi di apprendimento.Oggi ho capitolato: sono un’insegnante. Precaria,all’inizio della carriera, ma decisa a far avvicinaregli studenti alla didattica laboratoriale e narrativache il CEM mi ha trasmesso.

Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma:

Il più grande spreco nel mondo è la differenza tra ciò che siamo e ciò che potremmodiventare.Ben Herbster

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Il CEM come lo abbiamo cono-sciuto è finito. Forse rinascerà osi tramuterà, è presto per dirlo,e non è possibile sapere con cer-tezza come sarà l’eventuale CEMdel futuro. Guardandoci intorno,la nostra disperazione aumenta,osservando come altre impor-tanti realtà simili al CEM stianofacendo la stessa fine, agoniz-

zando di fronte alla cruda realtà dei bi-lanci. Tutto questo accade in un mo-mento storico in cui ci sarebbe un estre-mo bisogno di riviste e di movimenti de-dicati all’educazione interculturale. Mase la domanda non manca, se il bisognoesiste ed è reale e drammaticamente at-tuale, se la qualità viene riconosciuta apiù riprese dagli addetti ai lavori, perchétutte queste eutanasie forzate?Non lo so, non lo sappiamo. Altri stannocercando una soluzione a questo pro-blema. Ne accenno qui inizialmente per-ché questa dura realtà ci costringe adinterrogarci anche sul tema dell’ereditàche il CEM lascia.Perché se questa è la realtà, una realtàin cui il mercato regna sovrano e co-stringe alla resa chi parteggia per gli ul-

timi a scapito dei primi, allora forse laconoscenza che vogliamo tramandareva rivista, non tanto nei contenuti, manelle modalità.Forse non si tratta di trovare o creare unnuovo CEM (certo che lo cercheremo,certo che ci proveremo!), ma di piantaree coltivare il seme CEM in ognuno dinoi. Chi ha letto la rivista sa di cosa stoparlando.Chi è venuto ai convegni sa si-curamente di cosa sto parlando.

E il padre della non-violenza lo disse tan-to tempo fa: «Sono le azioni che conta-no. I nostri pensieri, per quanto buonipossano essere, sono perle false, fintantoche non vengono trasformati in azioni.Sii il cambiamento che vuoi vedere nelmondo». Eccola l’eredità del CEM: la responsabi-lità. La responsabilità delle proprie azionio della propria indifferenza. Io credo molto nella filosofia delle piccoleazioni quotidiane. I grandi proclami fan-no notizia e suscitano stupore, ma soli-tamente hanno breve durata e dannoscarsi risultati. Invece la costanza, la re-sistenza e la resilienza alla fine maturanofrutti. E passo dopo passo, goccia dopogoccia, giorno dopo giorno, cambieremoil mondo. Siate ambasciatori di mondia-lità. Sempre.

giacomo caligaris [email protected]

CONSEGNARE UNA RESPONSABILITÀPER IL FUTURO

Io credo moltonella filosofia dellepiccole azioniquotidiane. I grandi proclamifanno notizia e suscitanostupore, masolitamentehanno brevedurata e dannoscarsi risultati.Invece la costanza, la resistenza e laresilienza alla finematurano frutti.

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Credo che le cose non accadano maiper caso … Mi riferisco al fatto chequando Antonella Fucecchi mi hachiesto di scrivere un articolo perl’ultimo numero della rivista, mentrestavo raccogliendo le idee per deci-dere cosa scrivere, ho pensato diaprire la «scatola dei ricordi». Con-servo gelosamente, in una bellissimascatola fiorita, programmi dei Con-

vegni, foto, piccoli oggetti e manufatti provenienti dagli innu-merevoli laboratori ai quali ho partecipato e che ho condotto.Ma anche indirizzi, cd, diari di viaggio, fiori essiccati, qualchesassolino, degli origami e i miei immancabili mandala e labi-rinti… Tante le emozioni che sono affiorate accarezzando glioggetti e guardando le foto, ma soprattutto è emersa la tes-situra relazionale che negli anni si è venuta a creare nella miavita personale e professionale grazie al CEM. È un pezzottovariopinto molto simile ai manufatti patchwork, perché è co-stituito da fili unici ed irripetibili, diversi sia per forma che percolore, ma che nell’insieme creano armonia. Desidero restituirein questa fase storica del CEM, attraverso una narrazione per-

sonale, l’importanza della relazione e la condivisione di valorie di doni che ci siamo scambiati in tutti questi anni. Beni rela-zionali che hanno costituito per tutti noi un bene comune cheè sia meta sia origine di nuove relazioni.

L’IMPORTANZA DEL CAMMINO CONDIVISO

Ritorno indietro nel tempo al convegno di Frascati del 2005:«Liberare gli immaginari della speranza. Dai segni del potereal potere dei segni». Come ogni anno, Federica (mia figlia) edio ci apprestavamo ad iscriverci al Convegno e scorrevamo concuriosità le proposte del programma. Per lei era un anno spe-ciale in quanto per la prima volta avrebbe partecipato all’ago-gnato laboratorio adolescenti: «Chiudi gli occhi e sogna…»condotto da Cristina Carniel & C, vissuto quasi come un ritoiniziatico per diventare «grande». Per me invece c’era l’imba-razzo della scelta, viste le interessanti proposte… poi la sceltaè caduta sul laboratorio teatrale «Il giardino segreto» di NadiaSavoldelli e Marina Pecorelli, rinunciando a malincuore a quellodi Sigrid Loos e Rita Vittori «Donne alla ricerca di una vita…speziata». Ma, come dicevo all’inizio, niente avviene per ca-

rita roberto [email protected]

LE COSE NON ACCADONO MAI PER CASO

In questa fase storica del CEM,desidero restituire, attraverso una narrazione personale,l’importanza della relazione e la condivisione di valori e di doni che ci siamo scambiatiin tutti questi anni

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so… e in capo a pochi giorni mi sono ritrovata proprio adiscrivermi a quest’ultimo laboratorio… Maurizio, mio marito,per la prima volta decise di venire con noi, ma la condizioneche pose era di potersi iscrivere al laboratorio teatrale, possi-bilmente senza di me per poter fare l’esperienza in libertà esenza condizionamenti. Ricordo la mia sorpresa mista al piaceredi averlo finalmente con noi ma anche a un certo fastidio esenso di esclusione. Non gli ho risposto subito, mi sono presaun po’ di tempo per ascoltarmi e decidere. Eravamo reducidal cammino di Santiago, esperienza che ci ha molto arricchitosia a livello personale sia familiare e ci ha donato la consape-volezza dell’importanza del cammino condiviso che contem-poraneamente tocca spazi individuali, di coppia, di famiglia eamicali. Così è prevalsa in me la comprensione per il suo desi-derio/bisogno ma anche l’importanza di averlo con noi nella«Famiglia CEM». Mai avrei immaginato quali e quanti doni miavrebbe portato questa scelta/rinuncia!

LA CERTEZZA DI UNA PRESENZA

Sprofondata in una grande poltrona di pelle, nella penombradella stanza, iniziai ad avere la certezza della presenza di miopadre in quei luoghi e chiusi gli occhi per non perdere quellaflebile traccia di relazione con lui. Mi scosse il rumore dellastampante e aprii gli occhi giusto in tempo per vedere l’ariasoddisfatta di don Luigi che esclamò: «L’ho trovato!!! Le stostampando le pagelle e l’elenco dei compagni di classe ancoraviventi con gli indirizzi». Ci siamo abbracciati con commozionee poi mi ha accompagnato a visitare il Collegio lasciandomipoi libera di girare rispettando la delicatezza del momento.Girando per le stanze, il chiostro, il giardino e il refettorio l’hoimmaginato lì o meglio mi è venuto incontro giovane e bellomentre scriveva a mamma le sue lettere di innamorato. Ecco,ho pensato la mia nascita era iniziata lì: in quella relazioned’amore, nei loro sogni, in quella promessa mantenuta… E ilcerchio si è chiuso donandomi pace e serenità. Con questameravigliosa sensazione sono entrata nel laboratorio scusan-domi per il ritardo. Rita e Sigrid mi hanno chiesto di condividereil mio vissuto, visto il tema del laboratorio: «È possibile aiutaregli altri a crescere, se abbiamo consapevolezza del camminofatto e di quello che ci rimane da fare. Per questo noi donneabbiamo bisogno, ogni tanto, di ritirarci su un’isola immaginariae acuire la nostra capacità di vedere dentro e fuori di noi,ascoltare il futuro nelle pieghe del presente, annusare l’ariaper sapere che direzione prendere nella nostra vita. Cometante maghe Tilo scopriremo la magia delle spezie: cannellabruna per rinsaldare i legami, chiodo di garofano per la com-passione, pepe nero e zenzero per sapere quando dire no…».In quelle stanze dove è vissuto mio padre, come rito iniziaticodella mia adolescente interiore, ho narrato, cantato, recitato,degustato in un cerchio «magico» di donne e ho celebratocon la danza la mia femminilità, con la consapevolezza checome donna ho il dono di portare nel mio corpo la relazioneprimaria archetipo e matrice di tutte le sane relazioni umane:quella tra madre e bambino. nnn

Grazie CEM!

LE COSE NON ACCADONO MAI PER CASO

SULLE TRACCE DI MIO PADRE

Da alcuni anni ero sulle tracce di mio padre,perso all’età di due anni e mezzo, per scoprire dipersona chi fosse. Non mi bastavano più iracconti di mia madre e dei parenti, imperniatisoprattutto sulla sua malattia e morte, volevocercare persone che lo avevano conosciuto eluoghi dove aveva vissuto da giovane. Volevouna narrazione nuova ed un incontro con luifrutto di una relazione gioiosa dentro di me:volevo celebrarlo vivo. Venendo a quel convegnosono stata pienamente accontentata: per «caso»il laboratorio a cui mi ero iscritta era statodislocato al Collegio Salesiano, sede anche delliceo classico, vicino al sito del Convegno percarenza di spazi idonei. Ricordavo che papàaveva frequentato il liceo a Frascati ma nonsapevo bene dove e così entrai a Villa Sora con ildubbio che fosse proprio quello il luogo. Primadi andare nel laboratorio mi recai in chiesa peruna preghiera e mi accorsi che una navata eraallagata. Corsi in portineria ed avvisai il custodedell’accaduto e mentre ero lì arrivò don Luigi,rettore dell’Istituto. Mi feci coraggio, ascoltandola voce interiore, e gli chiesi se era possibilesapere se mio padre aveva studiato lì. Con unsorriso mi disse che aveva da poco riportato sulcomputer l’elenco di tutti gli studenti cheavevano studiato lì dalla fondazione del Collegioe mi invitò nel suo studio per verificare. Legambe mi tremavano, il cuore mi batteva in golae mi sembrava tutto così irreale ma seguii donLuigi docilmente.

Il cammino di Santiago èun’esperienza che ci ha moltoarricchito, sia a livellopersonale sia familiare, e ci hadonato la consapevolezzadell’importanza del camminocondiviso checontemporaneamente toccaspazi individuali, di coppia, difamiglia e amicali

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Il nostro primo incontro con ilCEM risale al 2003 di ritorno daun’esperienza di famiglia di circaun anno e mezzo tra RepubblicaDominicana ed Haiti. Non era-vamo, quindi, a digiuno di in-contro e convivenza con la di-versità, ma ci ha colpito la varietàdi storie, di persone, di linguaggie di temi che si intrecciavano in

un unico luogo. Da allora siamo sempreritornati al Convegno estivo e ai vari in-contri promossi dal CEM. Anche i nostrifigli, pur spesso restii alle proposte fatteda noi, sono sempre venuti trovando unloro spazio nel Convegno. Non è facilefare sintesi di questi anni, che hanno vi-sto mescolarsi gli incontri CEM con lestorie, anche complesse, della famiglia.Crediamo che questa trama sia un’espe-rienza non solo nostra ma condivisibilecon molte delle persone che abbiamoincontrato, condivisione talvolta gene-ratrice di resilienza, talvolta di speranza.Ci ha conquistato la passione che hacontraddistinto le attività e i laboratoricui abbiamo partecipato: se i temi e leesperienze fatte hanno toccato noi adul-ti, ancora più trascinanti sono stati per inostri figli che raramente in Italia hannovissuto l’esperienza di essere chiamati aporsi come protagonisti, a manifestarele proprie idee e passioni.È stato rigene-

rante il vivere la leggerezza pur attraver-sando tematiche complesse: è possibileusare il gioco per conoscere, è creativousare il gioco per conoscere ad ogni età.Crediamo di aver costruito legami chemeritano di essere mantenuti anche solonel ricordo; legami tra diverse genera-zioni, testimonianze ma anche ricono-scimenti costruiti con la vita spesa perun’idea comune. Legami che non chie-dono un’appartenenza uniformata comespesso avviene oggi nelle nostre comu-nità chiuse su se stesse, bensì legami chefanno spiccare il volo verso altre mete.I laboratori, ma soprattutto le ore tra-scorse al bar, a tavola, di notte hanno

visto la condivisione di ricerche e di in-quietudini, che ci hanno permesso diorientare la rotta trovando spunto neiracconti altrui. Ricchi sono stati i mo-menti di scambio, soprattutto di narra-zione dei passaggi di vita, delle crisi; sia-mo convinti, anche per la nostra espe-rienza nelle periferie latinoamericane,che dalla crisi nascono le vite nuove, chevada attraversata la fatica, la “ferita” pervedere lontano attraverso la feritoia.Possono apparire discorsi generici, ma ab-biamo in mente episodi e persone precise,che in questo breve spazio non osiamoraccontare, non avendo chiesto il permes-so ai protagonisti. A farci rimanere fedeliè stata la dimensione intergenerazionaledel convegno, dove il dialogo tra il «non-no» e la «bambina» è stato possibile, doveognuno ha qualcosa da dire ma soprat-tutto viene ascoltato dall’adulto. La nostra è un famiglia numerosa, unpo’ complicata, sicuramente interetnica.Al CEM abbiamo trovato che la diversitàè normalità, che siamo tutti diversi, mache questo è il bello dell’incontro, che ilguardare alle cose da punti di vista diversiavvicina, completa.L’eredità di questi anni? È in quello chesi è vissuto, pensato, fatto proprio, masoprattutto è nel vedere una figlia chevuole andare, anche se minorenne, afare un’esperienza con i rifugiati, chenon ha difficoltà a partire, a trovarsi inluoghi dove non capisce la lingua; nelvedere un figlio che faticosamente at-traversa un guado e si rialza dopo unosbandamento, che cerca nel futuro ciòche lo fa stare bene, che lo emoziona ri-fiutando la logica del lavoro sicuro; nelcredere che anche per il più piccolo deinostri figli ci sia un posto per il suo fu-turo. nnn

simona polzot

UNA FAMIGLIA AL CEMI laboratori, ma soprattutto le oretrascorse al bar, a tavola, di nottehanno visto la condivisione di ricerchee di inquietudini, che ci hannopermesso di orientare la rotta trovandospunto nei racconti altrui

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Nei Convegni CEM l’arte è sempre stata presente, soprattuttonei laboratori dove si esploravano linguaggi creativi percercare altre voci, altri colori e altre forme e per indagarecosa significhi l’Alterità. I linguaggi artistici hanno ininter-rottamente veicolato il meticciamento e le molteplicità ed èper questo che CEM li ha fatti propri. Ora CEM è alla fine diuna storia e all’inizio di una nuova; quali linguaggi occorreusare per narrare il seguito? Come parlerà, con quale lin-guaggio? Pensiamo che il futuro si presenti come un palco-scenico dove occorra ricoprire il ruolo del giullare, del buffo-

ne... un personaggio che non distingue la realtà dalla scena teatrale, che regala con ilsorriso una visione unica e coraggiosa, che parla del potere e ai potenti. Il giullare nelpassato portava una voce «volgare» in un mondo ingessato da rituali, da imposizionirigide, da comportamenti ossequiosi, anche se malefici, verso il potere. Ed ora? Oggiil mondo è talmente pregno di volgarità che il giullare deve invece avere una vocedolce, poetica, lieve. Una figura che ricordi i personaggi delle copertine della rivista,disegnate da Silvio Boselli.

CHI È IL GIULLARE?

Chi è veramente il giullare se non un artista? Il termine designa tutti coloro che, tra lafine della tarda antichità e l’avvento dell’età moderna, si guadagnavano da vivere esi-bendosi davanti ad un pubblico: attori, mimi, musicisti, ciarlatani, addestratori dianimali, ballerini, acrobati. I giullari, uomini di media cultura (spesso chierici vagantiper le corti o per le piazze) che vivevano alla giornata facendo i cantastorie, i buffonie i giocolieri, divennero elemento di unione tra la letteratura colta e quella popolare.Considerati i primi veri professionisti delle lettere perché vivevano della loro arte, igiullari ebbero una funzione importante nella diffusione di notizie, idee, spettacoli eintrattenimenti vari. Essi svolgevano la loro attività in diversi modi e utilizzavano le tec-niche più disparate, dalla parola alla musica, alla mimica. Il giullare è un individuomolteplice, è un musico, un poeta, un attore, un saltimbanco. Lo stesso abito a striscee multicolore è indizio della sua diabolicità, sintomo della volontà di provocare, troppo

appariscente per non destare scalpore,spesso accompagnato da atti di nudi-smo. Il costume del giullare, nella suastravaganza, era il sintomo di unanecessità intrinseca in ogni societàdi esplorare alternative e diversità, ri-

spetto a cui relazionarsi a livello socialee personale. La Chiesa non approvava

questi comportamenti, manifestandola sua ostilità verso il teatro e verso le forme

di rappresentazione non sacre: i giullari fu-rono discriminati, impedendone, di fatto, l’in-

tegrazione in un ambiente urbano e rele-gandoli ai margini della vita sociale.

Nadia Savoldelli [email protected] | Candelaria Romero [email protected]

STARE N

ELL’ARTE DEL GIULLARE

UNA VOCE SEMPRE FUORI

DAL CORO!

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UNO SFOGO DEL PENSIERO

La diversità del giullare si manifestava anche nella connotazionepubblica, quale elemento multiforme, poco affidabile, capacedi creare spettacoli in cui le leggi sacre venivano sovvertite, equindi «pericoloso» per la morale cristiana. Egli infatti incarnavaquella verità del folle che Michel Foucault rileva nel periodomedievale e rinascimentale, in cui esso aveva il diritto di parlaree di diffondere verità occulte, da divinare e interpretare. In luiera presente un canale di sfogo del pensiero, non controllatodalle finalità e dalle regole ecclesiastiche. Oggi la figura delgiullare - nell’accezione particolare di attore affabulatore - èstata ripresa da Dario Fo, che proprio nella «maschera» delgiullare si è identificato. È altresì evidente che quella di Fo èun’operazione di recupero storico non condotta secondocanoni filologici; Fo attribuisce ai giullari una coscienza politicaconsapevolmente opposta al potere che forse i giullari medievalinon ebbero mai. Con i giullari l’imprevedibile è sempre in ag-guato, il presente possibile ci sorprende; disturbano la nostraquiete, la nostra corsa, e spezzano il nostro agire; incrocianoil nostro comportamento e nell’incontro/scontro con loro qual-cosa cambia e ci abbaglia. È colui che dice la verità, che si puòpermettere di dirla. si prende gioco del mondo e non viene

bastonato, non viene cacciato via dal Paradiso per questo, maviene protetto perché nostro specchio, nostra immagine chesi prende beffa di noi. Scherza, smonta il mondo e denudaogni parola. Con un salto mortale ed una risata, riporta tuttoa terra. Il giullare ascolta Amleto dimenarsi nel suo «essere enon essere», nei nostri «fare o non fare», «indignarsi o non in-dignarsi», «rubare o non rubare», «dare o non dare», «raccon-tare o non raccontare», «svelarsi o non svelarsi», «crescere onon crescere»? Ascolta il mondo dimenarsi e scoppia in unarisata, e così facendo, a modo suo ci aiuta a superare gliostacoli che appaiono insormontabili. Ha i piedi per terra e undito che punta la luna. Ma non è solo un burlone: è colui chepattuisce, che vede le sfumature in tutto e non solo le categorie,che vede il probabile e non solo le sentenze. È colui che diventaponte tra i nostri no ed i nostri sì, tra i nostri si può e non sipuò. È il ponte tra ciò che esiste e non esiste, tra serietà erisata, tra morte e vita, tra vecchiaia e giovinezza, tra il nulla eil movimento. Vedere le sfumature significa saper pattuire tradue parti diverse, tra due realtà e quindi saper riconoscere chista al di qua e al di là del tavolo e quindi con arte unire ciò cheappare lontano. Pattuire vuol dire vedere non solo la prima ola seconda sponda del fiume, ma la terza, non ancora rag-giunta... non ancora pensata. nnn

PER UN CEM «GIULLARE»CEM potrebbe ricoprire con coraggio questa figura del giullaresenza paura delle conseguenze, cercando di tenere fede a ciòche ha sempre condotto nella sua storia all’interno dello CSAM,del mondo cattolico e laico, nella scuola e nella visone

pionieristica e profetica sulla dimensione interculturale nella nostrasocietà. In questa visione del ruolo di CEM nel prossimo futuro, laproposta è di liberarsi dei pensieri e lasciare che le decisioni leprenda il cuore… son sempre le più piccole, le più semplici, a cuinon si sarebbe mai pensato perché si stava prendendo la cosatroppo direttamente. Forse crediamo che per risolvere un problemasi debba andare al nocciolo, ma non è più pratico sciogliere unnodo partendo dalle estremità della corda? Man mano che sisciolgono gli intrichi minori si acquista fiducia e quindi si procedecon più calma e determinazione e la soluzione vien da sé.

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luciano bosi

Ben ritrovate eben ritrovati. Nelcongedarmi da econ il CEM Mon-dialità cartaceoutilizzerò perquesto ultimoarticolo di salutouna modalità unpo’ inusuale per

questa rubrica. In una sintesi non proprioordinata andrò a proporvi: un saluto,che spero possa anche essere un arrive-derci; la presentazione di un’immanca-bile nella nostra sonoteca interculturale;l’integrazione di alcuni contenuti per mefondamentali non pubblicati negli ultimiarticoli per ragioni si spazio o di scaletta,e che potrete invece ora recuperare sulsito, i cui riferimenti vi indico in calce aquesto articolo (giusto per non lasciarenulla in sospeso); ed infine vi segnalo

qualche nuova produzione nel qui edora… ma non solo. Quanto al citato immancabile, vado aproporvi un cd del Trio Chemirani, Invite;un progetto musicale del 2011 sicura-mente degno di rappresentare quellasempre auspicabile nuova realtà sonorache a mio avviso non può, come da sem-pre, essere generativa di innovazione senon pienamente attiva nell’incontro trale diversità. Incontro che non può esseresubordinato alle regole e necessità delpotere e del mercato, che oggi sono lastessa cosa.Djamchid Chemirani, insieme ai suoi figliKeyvan e Bijan, hanno saputo promuo-vere con questo disco un viaggio sonorounico, che attraversa diverse culture mu-sicali del mondo. Questi tre grandi per-cussionisti, grazie alla loro profonda eampia conoscenza, hanno predispostodelle tessiture ritmiche e sonore solide,

multicolori e dense di timbriche plane-tarie, che non nascondono impliciti econtinui riferimenti alla tradizione mu-sicale persiana, una delle più varie e lon-geve dell’umanità. Il Trio Chemirani ha creato spazi espressiviadeguati ad accogliere nel migliore deimodi le ricche e peculiari diversità stili-stiche dei musicisti ospitati nel disco,provenienti da varie parti del mondo.Peculiarità che hanno qui potuto espri-mersi pienamente con gioia, che carat-terizza sempre la libertà che si prova nelgiocare la musica ad ogni latitudine olongitudine che si voglia. La dolcezza narrativa della kora di BallakèSissoko; il sostegno senza frontiere delcontrabbasso di Renaud Garcia-Fons; imagici sconfinamenti del pianoforte diOmar Sosa; le timbriche dal sapore mi-stico della lyra e del rebab di Ross Daly;l’alternarsi degli stili tra le corde della

NON LA FINE, MA SOLO UN’ALTRA TAPPA DEL VIAGGIO SONORO

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chitarra di Sylvain Luc; e non ultime leraffinate e aggreganti tematiche del bou-zouki di Titi Robin, non potevano trovareterreno sonoro più fertile. Avevo già deciso, in tempi non sospetti,che questo sarebbe stato il disco pre-sentato nel mio ultimo articolo. Si trattadi un lavoro adatto per raccontare labellezza e i suoni della diversità. L’incon-tro e l’ascolto delle diverse culture ha dasempre generato il nuovo, che quandoè davvero tale è sempre sinonimo di bel-lezza. Ed il mondo oggi, come non mai,ha bisogno di novità e di tanta bellezza. Non sono portato agli addii, ma vistal’occasione, e in estrema sintesi, ci pro-verò. Sono passati circa 25 anni dal mioapprodo nella galassia interculturaleCEM, dei quali 15 vissuti attivamentenell’ambito dei Convegni: meravigliosieventi finalizzati a scambi e connessioniculturali d’intensa qualità relazionale eformativa, ma anche caratterizzati dasplendide nonché fisicamente provantinottate dedite a canti, musiche, ma so-prattutto a potenti e profonde ritmichedi Milaniana memoria. A partire dal giu-gno 2007, anno del debutto di questamia rubrica dedicata all’intercultura mu-sicale, la mia partecipazione alle attivitàdel CEM si è progressivamente ridotta,per dare sempre più spazio alla ricercaculturale e musicologica, confluita negliarticoli fino ad ora pubblicati. Per mequesta è stata un’esperienza importante,anche autoformativa, visto che ad ogni

articolo ho volutamente dedicato un po’di più di un po’ di tempo alla ricerca, esoprattutto all’ascolto ripetuto e all’ap-profondimento dei documenti sonoriproposti. Tengo anche a precisare che i dischi pre-sentati in questi anni fanno tutti partedella mia sonoteca, e sono altresì tuttioriginali, e non copiati o scaricati ille-galmente dalla rete, così da riconoscereun valore, anche se minimo, e restituiredignità a chi vive del proprio lavoro dimusicista. Non credo infatti alla tantodecantata democrazia e libertà della re-te, grazie alla quale tutti possono avereaccesso a tutto. Questo pensiero nonfa che esaltare pochi artisti presentandolicome nuovi ed originali, ma che in realtàdivengono noti e ricchi in quanto so-

stenuti dal mercato discografico, edesclude invece molti ottimi artisti chegenerano davvero nuove organizzazionidi suoni e di silenzi, ma che non essendofunzionali allo show business non ver-ranno mai sostenuti, purtroppo neanchedal contesto pubblico; mai come negliultimi anni infatti l’affare pubblico è insintonia o quantomeno orientato a so-stenere il mercato globale della culturae dell’arte. Non posso qui dilungarmioltre, anche se l’argomento meriterebbecertamente una più ampia riflessione.Posto che la scelta di una musica, o ge-nere musicale, sia insindacabilmente per-sonale, chiudo quindi questa parentesiinvitando tutte e tutti a riflettere sullemusiche che ascoltiamo, ponendosi ilseguente quesito: ho deciso io che que-sta per me è la musica più bella che c’èo l’ha deciso il mercato?Vi lascio con un arrivederci e, perché no,un risentirci, magari anche al mio mu-seolaboratorio di Modena, un luogo diascolto e di bellezza che oltre all’attivitàlaboratoriale è aperto al pubblico, gra-tuitamente, una domenica al mese. Pre-notazione obbligatoria a: [email protected] o al mio numero342.5776903. La mia ricerca nell’ambitodelle diversità musicali e dei meticcia-menti sonori continua, Nuovi Suoni Or-ganizzati diventerà presto una pubblica-zione. Non mi resta che augurare a tuttie a tutte un buon ascolto e una buonapermanenza in questa vita. nnn

QUI ED ORA... MA NON SOLOVi segnalo, e non perché in dovuta quota rosa, tre ottimeproduzioni delle quali avrei sicuramente parlato, e che ho giàinanellato per qualità e bellezza nella nostra preziosa collanasonora dedicata all’Altra Metà del Cielo. Le autrici, africane,sono in realtà solo due: la maliana Awa Sangho con Ala Ta, cdpubblicato dalla Motéma Music nel 2014; e la somala SahraHalgan, con una doppia produzione: il cd Sahra Halgan TrioFaransiskiyo Somaliland e il film/dvd diretto da Cris UbermannSahra Halgan - Return to Somaliland, entrambi pubblicati nel2015 dalla Buda Records.

«Dove andiamo? Non lo so, ma dobbiamoandare»John Kerouac

Trio ChemiraniInviteAccords Croisés, 2011

IL DISCO

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La Zattera Mondo è un’attività chetrae origine dal «metodo del nonmetodo», in cui chi conduce è unapresenza sia «tecnologica» sia vigilesu ciò che avviene al momento,adeguando la tecnica alla relazio-ne, a chi si ha di fronte. Leggerezzaed autoironia nell’approccio allaproposta restano ottime compa-gne di viaggio. Al gioco è oppor-

tuno associare il «dopo gioco», momento di riflessionesui significati metaforici dell’esperienza.

IL PUNTO DI PARTENZA

Si ipotizza che chi partecipa ha al gioco abbia vintoun viaggio nei mari del Sud e che sia salpato con una

nave da crociera. Ma la nave, prima di arrivare in porto,inizia ad affondare. Tutti/e si mettono in salvo con unazattera di salvataggio di nome Mondo. Intorno, il mareè infestato di squali.

LA «REALTÀ METAFORICA» DEL GIOCO

È importane ricordare più volte al gruppo dei giocatorila «realtà metaforica» del gioco stesso, rappresentataanche dalla cornice che sta intorno: si è tutti/e su diuna zattera di salvataggio, intorno ci sono squali af-famati, e ciò implica che - assieme all’impegno versoil gioco da giocare - c’è anche quello della responsa-bilità verso la zattera Mondo, che non deve affondare- pena l’esclusione dal gioco di tutti/e. Gradualmenteil gruppo prende coscienza del rapporto di reciprocadipendenza che l’uno ha verso tutti/e, perché esso è

INTERDIPENDENZA E DEL SENSO DEL LIMITE UMANO VERSO LA TERRA

renzo la porta [email protected]

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confinato sulla zattera Mondo, benecomune da preservare e di cui prendersicura se si vuole continuare il viaggiofinché i naufraghi non saranno avvi-stati.La «valanga di stimoli» arriva e potreb-be suggerire un comportamento unpo’ così: camminare, camminare unpo’ più velocemente, camminare solosulle righe delle mattonelle o/e svoltareogni tre passi, e poi all’incontro salu-tare l’altro/a in modo formale, e poi inmodo buffo, o muoversi come se sifosse animali, o insetti, muoversi soloin coppia a contatto con una parte delcorpo, uno è cieco, l’altro lo guida, untrenino di due coppie assieme, e poi

di quattro coppie assieme, un unicolungo treno…Tra «una virgola e l’altra» il gruppo si di-strae e viene coinvolto nella nuova espe-rienza-sfida che cresce di complessità,ma rischia di perdere di vista la Zatterache potrebbe capovolgersi ogni voltache il peso di tutti/e non è equamentedistribuito. Così, mentre si gioca, s’im-para anche ad osservarsi dall’esterno, sideve sviluppare il senso del «rapportocon il tutto» che ci circonda, e ognuno/adeve mettere la sua parte di buona vo-lontà per «essere dentro» (coinvolto nelgioco) ed «essere fuori» (prendersi curadella zattera), per agire ludicamente maanche per impedire che si creino uno opiù spazi vuoti sulla zattera (il che signi-ficherebbe che vi sono altri spazi sulla

zattera in cui le persone si sono con-centrate, e questa è la situazione di mas-simo pericolo, che porta la zattera a ca-povolgersi). Un modo per facilitare l’os-servazione degli altri è - ad ogni cambio- di «bloccaarsi» sul posto e guardarsiintorno, chiedendo «c’è qualcosa chepossiamo fare per migliorare?».La metafora del gioco della zattera Mon-do richiama la circostanza che, ogni vol-ta che l’interesse di ciascuno/a si con-centra su qualcosa, non si deve mai per-dere di vista gli altri/e e il mezzo su cuisi viaggia. Interdipendenza e limite. Mi è venuto in mente di creare questasituazione ludica dopo avere osservatola «Carta della Terra», là dove il nuovo

punto di vista è quello di «esseri viventiparte di un organismo più vasto», tuttiinterdipendenti e in cui ognuna delleparti è importante, non solo quandouna specie è in via di estinzione. nnn

IL GRANDE GIOCO

Circoscritto e reso noto atutti/e quale sia lo spazio digioco (cioè la zattera ed ilmare che lo circonda), ipartecipanti affrontanol’avventura, sicuri/e che primao poi qualcuno arriverà asalvarli. Al conduttore delgioco spetta il compito direndere la vita sulla zatteradei salvati un po’ più difficile,la sfida ed il continuomettersi alla prova con lenovità appropriate al gruppotengono vigile l’interesseverso il tema della proposta.Siccome «ogni bel gioco durapoco», all’adulto toccal’iniziale impegno di costruireun percorso di stimoli, oproblem solving, di difficoltàcrescente, dove appunto lasfida è dietro l’angolo unavolta che il problemaprecedente lo si è affrontatoe risolto. Un percorso che èbene sia aperto alla gradualeacquisizione di autonomiaideativa ed operativa delgruppo dei partecipanti:anche loro possonocontribuire alla «valanga distimoli».Il percorso di stimoli non haniente di nuovo e dieccezionale, ma è organizzatoin un iter che, dal prendereconfidenza con se stessi/e,con lo spazio circostante econ le poche regole checaratterizzano il gioco,muove verso la relazione conl’altro e gli altri/e, l’eserciziodella senso-percettività, laricerca di nuove e diversemodalità di spostarsi etrasportare, di eserciziodell’equilibrio e altro, fino araggiungere ogni volta unmomento culmine che chiudequello che può identificarsicon un «grande gioco», fattoappunto di tanti piccolidifferenziati momenti ludiciche nascono anche sulla basedell’osservazione del qui eora.

LA ZATTERA MONDO

Mi è venuto inmente di crearequesta situazioneludica dopo avereosservato la «Carta della Terra»

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Non posso nascondere una certa ma-linconia nel pensare che questo èl’ultimo numero della rivista così co-me l’abbiamo conosciuta, letta escritta negli ultimi anni. Ma la ma-linconia è un sentimento che fa ri-volgere indietro, al passato. Invecela redazione di CEM Mondialità, suproposta della nostra direttrice, hadeciso di dedicare quest’ultimo nu-

mero, dopo quello dedicato alla memoria e al racconto del-l’esperienza passata di CEM, al futuro, alla speranza, al raccontodei nostri progetti e delle nostre idee. E se siete arrivati allapagina di questa rubrica ve ne sarete resi conto.

NARRATIVA E FUTURO

Comincerò allora dal riflettere con voi sul rapporto tra la let-teratura, la narrativa, in particolare, e il futuro. Chi ha fre-quentato le pagine di questa rubrica negli ultimi mesi sa che,da buon professore, spesso mi ripeto. E mi piace ripeterespesso che la forza della letteratura consiste in gran parte nelparlare di ciò che non esiste come se esistesse. E questo, se cipensate bene, si adatta molto bene a parlare del futuro che,in quanto tale, non esiste, anche se noi lo immaginiamo, loprogettiamo, lo sogniamo. La nostra esperienza poi ci insegna

elisabetta sibilio [email protected]

COME UN ROMANZO...DEL FUTURO

che, quando arriva, il futuro è molto simile al presente e alpassato o meglio che ci sono delle costanti e delle varianti. Peresempio ci siamo sempre noi, gli umani, i lettori e gli scrittori,le donne e gli uomini, i padri e i figli (attenzione però: questolo pensavano anche i dinosauri prima della famosa catastrofeche li ha estinti!) ma non ci sono più le mezze stagioni, il te-lefono non è più quel grande oggetto nero con la ruota bucataappeso in alto nell’ingresso di casa, i libri (e anche le riviste,compresa la nostra) non sono più tutti di carta... gli esempipotrebbero essere tantissimi, ma ci torneremo dopo.

CAPACITÀ VISIONARIA

È così che molti grandi scrittori hanno potuto immaginare unfuturo che poi si è realizzato con una certa precisione, hannomaneggiato con disinvoltura il concetto filosofico di «futuribile»che aveva interessato i grandi filosofi del passato che avevanoriflettuto sul tempo, da Bacone, a Sant’Agostino, a Bergson.Anche qui si potrebbero fare molti esempi, ma ne citerò soloqualcuno.Nel 1863 Jules Verne, noto a tutti per la sua passione per il fu-turo, scrisse un romanzo intitolato Parigi nel ventesimo secolo(trad. di Maurizio Grasso, Newton Compton Editori,1995).Hetzel, il suo editore, non volle pubblicarlo: lo giudicava troppocupo e pessimista e temeva che avrebbe danneggiato la carrieradi uno dei suoi autori più brillanti. Verne lo chiuse in cassafortee non ci pensò più, ma nel 1989 un suo pronipote ritrovò ilmanoscritto che fu pubblicato per la prima volta nel 1994.Verne «ci aveva inzertato», direbbe Montalbano, quasi su tutto,aveva addirittura immaginato una costruzione di vetro nel cor-tile del Louvre ma, soprattutto, si è dimostrato un eccellenteconoscitore della principale costante: gli umani. «Racconta»un mondo in cui il progresso tecnologico ha creato un enormedisagio sociale, un mondo in cui pochissimi detengono la quasitotalità della ricchezza. Il protagonista è un premiato poeta inversi latini che in quel mondo non trova alcuno spazio; depo-sitario di una cultura «inutile» che non gli dà da mangiaremorirà tragicamente in miseria.

Mi piace ripetere spesso chela forza della letteraturaconsiste in gran parte nelparlare di ciò che non esistecome se esistesse

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VOLETEPARTECIPAREA UN GIOCOA DISTANZA?Per tornare al presente e al futuronostri, cioè del gruppo CEM e dellarivista che avete tra le mani, o sulloschermo, voglio proporvi un gioco(serio, però). A chi di voi hafrequentato negli ultimi anni i convegniCEM può essere capitato di partecipare(o semplicemente di sentir parlare) dei«miei» workshop di scrittura creativa. Ci dotavamo di alcuni strumenti e dialcune regole, oltre che di un tema eproducevamo dei testi narrativi. Questogioco ci aiutava a conoscere «dal didentro» i meccanismi della creazioneletteraria e ha prodotto molti risultatidivertenti e interessanti. Ecco la miaproposta: proviamo a fare lo stessogioco «a distanza». Ho attivato unindirizzo di posta elettronica([email protected]) al qualepotrete inviarmi i vostri lavori. Stiamopreparando un blog e un sito per il«nuovo CEM» sul quale avrò uno spazioper pubblicarli, commentarli e lanciarealtre sfide. Ora mancano solo le regole:1) scegliete un oggetto qualunque(telefono, pentola a pressione, scarpe...va bene veramente qualunque cosa) oun «tipo umano» (madre, capufficio,maestra, scrittore... e anche qui chi piùne ha più ne metta) ma uno solo, miraccomando; 2) immaginatelo nelmondo del 2516 d.C.; 3) raccontate lavostra «visione» in un testo di massimo5000 battute (spazi inclusi). Sono sicurache mettendoli insieme si otterràl’immagine del mondo che sogniamo,desideriamo o temiamo.Spero di avere presto vostre notizie.Keep in touch!nnn

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Ho attivato un indirizzo di posta elettronica([email protected]) al quale potrete inviarmi i vostri lavori

RIBELLI CONTRO IL POTERE

Più in piccolo, ma con una precisione altrettanto impressionante, in La macchina siferma (trad. di Maria Valentini, Roma-Parigi, Portaparole, 2012), Edward MorganForster, nel 1909, descrive in un racconto un mondo dominato da una Rete, in cuitutti i rapporti umani sono virtuali, mediati da macchine. Proprio tutti gli uominivivono separati l’uno dall’altro, rinchiusi in stanze sotterranee, e comunicano attraversouno schermo. Kuno, il protagonista, si ribella ed esce a costruirsi una nuova vita fattadi scelte, di libertà, di contatto con la natura, crea insomma un mondo umano.E infine un caso molto noto, che ha avuto nel ventunesimo secolo esiti di dimensioniinsospettate: 1984 di George Orwell. Nel 1948 Orwell ha immaginato un GrandeFratello capace di controllare in «tempo reale» la vita degli umani. Il controllo assolutoporta con sé, inevitabilmente, un potere assoluto, come mostra molto bene il miglioredei film ispirati all’opera di Orwell, The Truman Show.

«REALITY SHOW» PER NULLA REALI

Quello della rappresentazione letteraria del tempo è naturalmente un problema anticoe a mio parere la vera intuizione di Orwell e dei suoi epigoni consiste proprio nell’ideadi «tempo reale». Si tratta evidentemente di un paradosso: se racconto una cosaminuto per minuto mentre avviene non la sto raccontando o rappresentando, la stosemplicemente mostrando; per raccontarla la devo modificare, devo piegare la realtà,insomma, alle leggi della narrazione. Come ognuno di noi può facilmente verificare,questo è il meccanismo che è alla base dei tanti più o meno orwelliani reality show(espressione che, appunto, è un ossimoro) che prima o poi finiscono per avere benpoco a che fare con la realtà.Quindi questi e numerosi altri scrittori sono dei profeti? Hanno visioni ispirate daqualche entità soprannaturale che conosce il futuro e glielo rivela? Direi di no. Hoparlato diverse volte in questa rubrica del potere della letteratura: parlare di qualcosache non c’è, inventare mondi possibili. Questi autori si sono semplicemente spintiverso un mondo «futuribile», cioè qualcosa che non esiste ancora e che nel presentenon potrebbe esistere, ma che potrà esserci nel futuro a patto che si verifichinoalcune condizioni come ad esempio che lo sviluppo tecnologico vada in una certa di-rezione.

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lorenzo luatti [email protected]

NON ESISTEUN SOGNO TROPPOGRANDEDA REALIZZARE

Non vorrei esa-gerare, e nep-pure adessovado a fare iconti precisi,se sostengoche nel decen-nio di mia col-laborazione edi scritture per

CEM, ho avuto modo di presentare al-cune centinaia di libri, in grandissimaparte rivolti a bambini e ragazzi, non soloe non sempre per loro. Tra questi, e traquelli di cui ho parlato in altre riviste, ven’è uno in particolare cui sono molto af-fezionato, a cui torno spesso, e che ognivolta, nonostante le reiterate fruizioni,apre a nuove interpretazioni, solleva nuo-ve domande, provoca rinnovate emozio-

ni. Un libro che non sono mai stato ca-pace di classificare. Lo riprendo, a distan-za di otto anni dalla sua pubblicazioneitaliana e da quando ne parlai in questepagine, oggi che la rivista si accinge alasciare il cartaceo, e s’inoltra in una nuo-va terra dall’approdo incerto.E L’Approdo, per l’appunto, è il titolo diuno dei libri più intensi, commoventi edentusiasmanti - e altamente innovatividirei - apparsi nell’ultimo decennio, pub-blicato in Italia da Elliot nel 2008: un ro-manzo grafico muto, super premiato intutto il mondo - tra cui il Fauve d’Or adAngoulême in Francia, sorta di premioNobel per il fumetto -, una narrazionesenza età, dai 10 ai 90 anni. È una sortadi graphic novel (o un picture book oun film in super8?) struggente sui mi-granti, raccontata senza nemmeno una

Nel decennio di mia collaborazionecon CEM, ho avuto modo di presentarealcune centinaia di libri, in grandissimaparte rivolti a bambini e ragazzi, nonsolo e non sempre per loro.

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parola, con l’intensità dei disegni, colorseppia, da Shaun Tan - illustratore, pit-tore, fotografo, regista cinematografico,animatore, scrittore, commediografo escultore -, all’epoca trentaquattrenne fi-glio di malesi emigrati in Australia neglianni ’60. Vi si descrive, a metà tra storiae fantasia, l’universale avventura del mi-grante, attingendo ad un immaginarioletterario del Novecento per giungere,con una estrema semplicità, ad una sin-tesi mirabile del fenomeno attraverso lesue illustrazioni oniriche, soffuse di unatenue luce. È la storia di un uomo qua-lunque, un ammirevole padre di famigliache suo malgrado è costretto dalle cir-costanze ad abbandonare moglie e figliaper andare alla ricerca di fortuna altrove,al fine di garantire loro stabilità, benes-sere ed un posto migliore dove vivere.Un uomo, dunque, lascia la sua casa,

sua moglie e sua figlia. Lascia la sua cittàche non ha più niente per lui e che si èfatta cupa. Uno sguardo alle vecchie sto-viglie della casa, la valigia appoggiatasul tavolo assieme ai resti dell’ultima co-lazione, poi a piedi fino alla stazione.Una grande e scura coda di drago solcail cielo e aleggia sulla città deserta. Lagiovane figlia cerca di far finta di noncapire quel che sta accadendo. L’uomoaffronta un lungo viaggio e arriva in unacittà diversa in cerca di fortuna, una città

po di imprevisti ma anche di insoliteaspettative, di animali nuovi e banali in-comprensioni, una terra dai panoramialterati, fabbriche sconfinate e grandiidoli che si elevano sopra una città, cheinfine si rivela ricca di possibilità. È L’Ap-prodo sognato da tutti i migranti.Un’esperienza di «lettura» che si rivelalirica, fantastica, commovente, che vavissuta in prima persona e che lascia sen-za parole. Merita soffermarsi attenta-mente su ogni particolare dei disegni,su ogni sequenza della storia, sulla lorogrande forza espressiva delle immagini:gli sguardi dei personaggi, le nervaturedelle mani…L’Autore impiegò quattro anni per com-pletare questo volume, partendo da testi-monianze e racconti, foto e cartoline illu-strate, suggestioni di Bosch e Borges, eha narrato una storia che è di tutti, di uo-mini e di donne del nostro passato e dioggi, una storia universale. Basta guardarsiattorno per vedere quanti migranti in fugada guerre o povertà giungono anche nelnostro paese con la prospettiva di guada-gnare abbastanza da garantire a se stessie ai propri cari una vita degna di questonome. Tuttavia arrivare in un territorio sco-nosciuto caratterizzato da usi, costumi elinguaggi differenti non è mai semplice;anzi, a volte adattarsi può risultare tre-mendamente complesso. Ma come ci in-segna questo capolavoro, stimoli e forzainteriore fanno sempre la differenza, enon esiste un sogno troppo grande darealizzare. Ecco, proprio questo, non esisteun sogno troppo grande da realizzare. Inbocca al lupo, CEM! nnn

con regole da città delle nuvole, dove icani sembrano pesci, la scrittura algebra,i frutti animali, gli animali cose. Doveanche le leggi della gravità sembranodiverse, ascensionali. E la gente cerca diaiutarlo perché sembra che anch’essaabbia attraversato il pericolo della codadi drago.L’Approdo (The Arrival è il titolo originale)ci proietta in un’atmosfera senza tempo,una storia semplice e di straordinariaforza emotiva che inizia coi volti di alcunidei profughi che sbarcano a Ellis Island,New York, tra il 1892 e il 1954, qui raf-figurati in un’atmosfera onirica e sur-reale, attraverso una serie di curatissimifotogrammi, per poi immergersi in unpaese di fantasia, costruito di sogni, zep-

«L’Approdo»costituisce

un’esperienza di«lettura» che si rivela

lirica, fantastica,commovente, che va

vissuta in primapersona e che lascia

senza parole.

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Quando nel 2009 siamo state inca-ricate di riprendere sulla rivista iltema trattato nel convegno CEMdi quell’anno, la resilienza, ricer-cando esperienze significative, nonpensavamo di trovare tanta ric-chezza. Come auspicato, risposeroscuole vicine e lontane (addiritturad’Oltreoceano), ma anche altre re-altà sociali - singole persone, fa-

miglie, gruppi e associazioni - ci fecero conoscere tante pro-gettualità, che si muovevano in un tracciato resiliente.Un successo, dunque! Al punto che la redazione CEM della ri-vista decise di prolungare la rubrica anche per l’anno successivo.Al termine delle due annate le esperienze raccolte ci avevanoriconfermato come ragionare di resilienza risulti utile per illu-minare la realtà che ci circonda.

IL PROGETTO EDUCATIVO DI «AGUA DOÇE» E LA «CASA DELLA DELICATEZZA»

Un’esperienza ci aveva particolarmente colpito: il progettoeducativo di Agua Doçe rivolto ai bambini di età prescolarenelle periferie di Petropolis, l’entroterra di Rio de Janeiro.Una realtà importante, perché rappresentava lo sforzo di su-

alessandra ferrario / oriella stamerra

DALLA RESILIENZA ALLA RI-NASCITA

perare difficoltà di ordine economico, sociale e culturale. Ilprogetto mirava a far sì che il popolo delle favelas diventasseprotagonista della propria storia e promozione, facendosiconsapevole dei problemi e delle cause che rendono spessola povertà un destino senza via d’uscita. Un lavoro di sensi-bilizzazione che invitava ad un nuovo stile di vita: economi-camente praticabile, socialmente corretto e sostenibile dalpunto di vista ambientale.Circa mille famiglie senza tetto occupavano in modo caoticouna zona rurale, attraversata dal fiume Surui e formata damontagne, colline, pianure e foreste, vivendo nel degradototale dell’ambiente fisico e sociale. È stato il teologo e peda-gogista brasiliano Waldemar Boff, che curava il progetto, adavere un’idea suggestiva: la realizzazione di una «Casa delladelicatezza» a cui facessero capo le scuole d’arte (pittura, scul-tura, danza, teatro, musica) e quelle dei mestieri (falegnameria,elettricità, meccanica, tipografia, ecc.). Boff la definiva cosìper richiamare una visione lungimirante e profonda della vita:scoprire in una delicatezza accogliente una potente leva, capacedi scardinare, contro ogni evidenza dei tempi correnti, i modibruschi, troppe volte aridi e rassegnati alle brutture, con cui«ricchi e poveri» si accostavano, purtroppo senza differenzaalcuna, al creato.

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(IM)PERMANÊNCIA«Questo è un tema che occupa i mieipensieri. Dopo tutto, cosa resterà di tutti inostri sforzi, tutte le nostre lotte, tutte lenostre sofferenze?Abbiamo costruito un centro peradolescenti e un asilo nido nella BaixadaFluminense. Lo abbiamo consegnato allacomunità. Dato che avevamo le risorseper farlo, abbiamo dato un assegno a unaragazza del posto per dare appoggioscolare. E, quando terminarono i soldi,chiedemmo di mantenere comunque lospazio aperto. Dopo poco più di un anno,ritornai nel luogo e vidi che non c’era piùil centro. Era semplicemente scomparso.Mi dissero che avevano portato via leporte, le finestre, le mattonelle ed illegno. Tutto ciò che poteva servire. Itrafficanti di droga avevano presopossesso dell’asilo dilapidato. Dicono chequalcuno del Municipio passò di lì e diedel’ordine di passare con il trattore elivellare il terreno. E allora mi chiedo:dov’è andato il nostro sforzo, la faticanello scegliere la manodopera e ilmateriale, il tempo sprecato inpreoccupazioni, l’investimento nellasperanza, il desiderio di vedere migliorareun poco la situazione del popolo povero?E dove sarà andata la buona fede di chi ciha sostenuto e ha dato le proprie risorsecredendo che saremmo stati seri edefficaci? […]Ebbi poi il coraggio di andare oltre.Cominciai con mia moglie un progetto diimplementazione dell’Agenda 21 in unaprospettiva di 50 anni, per il quale miimpegnai dal profondo del mio cuore. Perquanto mi sforzi di trovare persone chesiano sedotte da questa visione, tuttavianon riesco a riposare. Quando partirò, chicontinuerà? Che diritto ho di sperarenella sua continuazione di fronte allenecessità pressanti della vita? […]Penso […] che tutti i buoni gesti […], tuttii pensieri benevoli, tutti questi impulsi diluce e di bontà, per quanto fugacipossano essere, si rifugino in un regnoincantato e si accumulino in una granderiserva di energia che sostenta l’umanità ela spinge verso stadi superiori del suodestino. Può o non può essere vero. Ma èciò che credo ed è con questo che miallegro e consolo».

Waldemar Boff

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UN MOMENTO DIFFICILE

Noi del CEM ci troviamo oggi in un momento difficile. Il nostro sentiredi questi mesi è di smarrimento, incredulità, disorientamento: ci riem-piono d’amarezza un CEM che rischia di sparire; il pericolo che un’espe-rienza che ci ha incoraggiato per anni a lasciare tracce significativevenga cancellata; l’idea che il solco aperto da tante persone che cihanno creduto si richiuda su se stesso, soffocando semi preziosi, ideefertili, piccole utopie.È difficile valutare serenamente lo scarto tra le nostre aspettative e larealtà del presente, il conflitto tra la vita quotidiana e la nostra volontàdi controllo, ma anche la difficoltà di lasciarci sorprendere dall’imprevisto.E così delusione, insoddisfazione, scoraggiamento sono dietro l’angolo,negatività pronte a prendere il sopravvento. Ci siamo forse illusi che ilnostro paese, la società in cui viviamo possa e voglia accogliere i nostrisforzi di resilienza?Abbiamo ripensato a Boff e abbiamo sentito il bisogno di confrontarcicon lui. S’illudeva anche lui che le cose potessero cambiare attraversola sua opera «leggera»? Gli abbiamo chiesto notizie e lui ci ha inviatoquesta lettera, che ha intitolato (Im) permanência.

SEMI E ASCE AL SEGUITO

Lo scritto di Boff trasmette la grandezza dell’amore, dell’umiltà, dellapace. È un dono averlo conosciuto e aver collaborato con lui in questianni, sostenendo il suo progetto e la sua visione del futuro. Al momentovive una fase molto delicata della sua esperienza in Brasile. Compie 75anni in questi giorni ed è rattristato di non poterli festeggiare comeavrebbe voluto… sperava di raccogliere qualche frutto duraturo dellapiccola-grande utopia che aveva lanciato nei bassifondi di una grandecitta brasiliana. Invece... Nonostante tutto, nelle sue parole non c’èsegno di resa, bensì un’analisi profonda e commovente di chi leggecon lucidità la reale situazione delle cose e va oltre, cogliendo che l’es-senziale non è raccogliere i frutti,vedere realizzate opere e proget-ti, ma lasciare un segno nelle per-sone che abbiamo incontrato,aver dato fiducia a chi non hamai avvertito di essere amato eimportante per qualcuno.Semi che cambiano forma e mo-dalità, ma che, da qualche parte,germogliano e danno frutto inabbondanza! Anche i Padri Pel-legrini, nel diciassettesimo secolo,lasciando la nativa Inghilterra, nel loro viaggio verso l’America recavanocon sé una manciata di semi per coltivarli. Portavano però anche un’asciaper disboscare e recidere ciò che, inutile o dannoso, avrebbe impeditoloro il nuovo cammino e, infine, una manciata di stracci, utili per mettereinsieme abiti e coperte, ma anche per tener viva la loro creatività, alpunto da far nascere un’arte nuova, quella del patchwork.Come loro, anche noi dovremo scegliere cosa portarci via dall’esperienzaCEM vissuta fin qui, per approdare a realtà nuove e continuare a far na-scere qualcosa di resiliente! nnn

Al termine delle due annate in CEM Mondialità le esperienze raccolte ci avevano riconfermato come ragionare di resilienza risulti utile perilluminare la realtà che ci circonda.

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alessio surian [email protected]

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Ciao Gianmaria Testa, poeta e artigiano di canzoni at-tente e oneste verso le relazioni umane1. Con analogospirito artigiano il CEM ha provato in questi anni adire e declinare «intercultura», a non rassegnarsi alleincomprensioni inesplorate o, peggio, volute o di co-modo. Quando abbiamo cominciato, una trentina dianni fa, avremmo potuto ingenuamente immaginareche, almeno in un’Europa in cui i muri cadevano, illavoro sulle «emergenze» interculturali, prima fra tuttequella legata ai processi migratori, avrebbe lasciato

progressivamente lasciato margine ad approcci di profondità e largo respiro.Non è stato così. E i muri tornano ad essere costruiti. Non si tratta solo dibarriere mentali. Un articolo di fine novembre di Timothy Garton Ash pubblicatodal Guardian, mostra come, anche fisicamente, dal 2015 l’Europa stia «ribal-tando» il 1989. Se allora, al centro dell’attenzione c’era la demolizione dellacortina di ferro (ed un potenziale «dividendo di pace» da investire in solidarietàinternazionale), inaugurata dal taglio delle barriere di filo spinato fra Ungheriaa Austria, da alcuni mesi sono proprio questi due paesi a «guidare» l’Europadell’intolleranza. E a rendere ancora necessario il lavoro di chi come il CEMinveste in dialogo. E in alfabetizzazione ai media e ai processi di «decostruzione»del pensiero unico, egemonico.

UNA LETTERA AL CORRIERE DELLA SERA

Faccio un esempio che vede al centro il Corriere della Sera, ma che avrebbepotuto ugualmente riguardare La Repubblica o La Stampa o analoghi quotidianieuropei. Il 31 marzo leggo un commento/opinione a firma di Michela Marzanoche affermava, rispetto ad un fatto avvenuto due settimane prima, che «adAmsterdam sono stati vietati minigonne e stivali sexy negli uffici comunali per

...E non sapremo maida che segrete stanze

scaturisca il cantoe da quali lontananze,

paure, rabbia, tenerezza

o rimpiantoe da quale nostalgiaprenda voce e partaquesta lunga scia

che ancora adessoe imprevedibilmente

ci portavia

INTERCUIMPREVEDIBIL

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non urtare la sensibilità di una clientela multietnica». Non sono fattiveritieri e quindi ho pensato di farlo notare all’autrice scrivendo quantosegue: «Ho letto la sua “opinione” sul Corriere della Sera in merito allanotizia. Controllerei la fonte: si tratta di una mail di una caposettoredi un ufficio pubblico (sollecitata dalle colleghe e non da “clientela”),prontamente smentita dai servizi comunali che evidenziano come nonci sia nessun divieto. I fatti risalgono a 2 settimane fa». Le faccio notare che ho inviato un (civile) commento alla sua opinioneon-line e che il Corriere non l’ha pubblicato. In compenso la sua opi-nione suscita commenti di questo tenore:«Nessuna modifica di costume in nome della democrazia. Anch’iosono molto infastidita dal velo islamico: quando lo toglieranno, forse,allungherò le gonne. Quindi mai. Nessuna modifica di costume innome della democrazia».La cortese risposta di Michela Marzano non si assume alcuna responsa-bilità rispetto alla notizia da lei stessa veicolata; anzi, minimizza scrivendo«il commento non è strettamente legato a questa notizia, ma all’insiemedi dati presentati a p.13 del Corriere di oggi». Come se attraverso questidati non veritieri Michela Marzano non attribuisse presunte responsabilitàa una presunta «clientela multietnica», soggetto in realtà non coinvoltonella notizia e nei cui confronti chi promuove i diritti in Europa sta rac-comandando un comportamento più corretto2. Non si tratta di un’opi-nione isolata e il Corriere ha continuato imperterrito ad ingigantire laquestione, per esempio a firma Battista. E allora? Allora spazio a chiinveste ancora nella dimensione dialogica nei processi educativi, au-gurandoci che il CEM sappia essere fra questi e sappia re-inventarsi ci-clicamente, come sembra essere nel suo dna.

1 Il cantautore Gianmaria Testa è scomparso lo scorso 30 marzo.2 http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/ecri/Library/PressReleases/213_2016_03_21_JointState-ment_en.pdf

ULTURAUN APPELLO DI DUE MUSICISTIPenso anche al dialogo intergenerazionale ealla lettera recente di due straordinarimusicisti e narratori quali Wayne Shorter eHerbie Hancock che dedicano alle nuovegenerazioni questo appello (ne riassumoqualche passaggio):«Viviamo tempi turbolenti e incerti. Se sieteartisti, creatori, sognatori vi chiediamo di nonfarvi scoraggiare da quel che vedete e di faruso delle vostre vite, e per estensione dellavostra arte, quali veicoli di costruzione dellapace. Se è vero che le sfide che il mondoaffronta sono complesse, la risposta pacifica èsemplice: comincia da te. Non è necessariovivere in un paese povero o lavorare con unorganismo non governativo per fare ladifferenza. Ognuno di noi ha la sua specificamissione. Siamo tutti parti di un gigantesco,fluido puzzle in cui la più piccolo azione daun pezzo del puzzle ha un effetto profondosu ognuno degli altri. Tu conti, contano le tueazioni, conta la tua arte. Ci rivolgiamo agliartisti, ma queste considerazioni trascendonoi confini professionali e riguardano tutti,indipendentemente dalla professione.

RISVEGLIAMO L’UMANITÀNon siamo soli. Non esistiamo in solitudine enon possiamo creare in solitudine.

CAPIAMO LA VERA NATURA DEGLI OSTACOLISiamo condizionati dall’idea del fallimento,ma non è un’idea reale, è un’illusione: quelche percepiamo come fallimento è una nuovaopportunità.

NON ABBIAMO TIMORE DI INTERAGIRE CON CHIPERCEPIAMO DIVERSO DA NOILe nostre differenze sono quel che abbiamoin comune.Più interagiamo, più capiamo che la nostraumanità trascende tutte le differenze.

LAVORIAMO AD UN DIALOGO NON CONDIZIONATOL’arte, in ogni sua forma, è un mezzo per ildialogo.

ATTENZIONE AL NOSTRO EGOLa creatività non fluisce quando serviamo solol’ego.Tutto è il prodotto dell’immaginazione:valorizza e nutri la tua e ti ritroverai sempresull’orlo della scoperta.

LMENTE

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dei girovaghila pagina Massimo Bonfatti è il creatore della serie dei Girovaghi,

una strampalata famiglia agli antipodi della famiglia modello:

una vera riflessione sul tema della diversità.www.massimobonfatti.it - [email protected]

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