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Michele Castellano La Maturita’ del Medioevo ed i Primi Vagiti del Capitalismo

Il Medioevo e la Nascita del Capitalismo (II) 1

Il Medioevo e la Nascita del Capitalismo (II)

La Maturita’ del Medioevo ed i Primi Vagiti del Capitalismo

Michele Castellano (20/04/2007)

Tenuti a fatica sotto controllo da Carlo Magno, alla sua morte gli Uomini del Nord, i Vikinghi, i Normanni, come vengono chiamati in diverse parti d’Europa queste popolazioni norvegesi e danesi, iniziano le loro scorribande fatte di rapine e saccheggi, di tributi ottenuti per non distruggere citta’ e abbazie, di riscatti per il rilascio di prigionieri di rango. La debolezza dell’impero franco, diviso tra i tre figli di Ludovico il Pio, facilita le aggressioni, che non si limitano pero’ alla parte occidentale dell’Europa, ma avvengono lungo tutti i grandi fiumi che sfociano nei mari del nord o nell’Atlantico, raggiungendo, attraverso le vecchie vie di commercio, le coste del Mar Nero, senza risparmiare nemmeno l’apparentemente lontano Mediterraneo. Parigi si salva in diverse occasioni pagando ricchi tributi, ma moltissime citta’ francesi sono distrutte, ed alcune molte volte in anni diversi, da Chartres a Toulouse, da Bordeaux a Orleans, a Limoges e molte altre. I Normanni si insediano in villaggi fortificati alle foci dei fiumi e da li’ partono a cavallo per scorrerie nell’interno. Nell’836 e’ rasa al suolo Anversa, nell’845 Amburgo e nell’860 sono devastate Pisa e Fiesole. Nell’861 e 862 vengono conquistate le citta’ di Novgorod e di Kiev, questa volta da parte di svedesi, dando origine alla Nazione dei Rus (rematori). Nell’865 e’ sotto assedio Bisanzio dove, tra l’altro, trovano lavoro molti mercenari nordici, conosciuti col nome di Variaghi, specialmente nella guardia reale. Ci sarebbe molto da discutere sulle cause e le ragioni di questa improvvisa, o quasi, esplosione demografica e di attivita’ in quelle regioni nordiche mai affacciatesi in precedenza sul palcoscenico della storia, ma a parte che non vi e’ consenso da parte degli storici, e’ un argomento che, per quanto interessante, esula dagli scopi di questa nota. Si puo’ pero’ dire, perche’ e’ di interesse generale, che da circa un secolo prima delle invasioni normanne, l’intera Europa era in presenza di un sensibile aumento di temperatura media, con inverni miti ed estati temperate. Climatologi e storici non sono ancora arrivati a concludere se e’ stato un periodo “caldo” per tutta la Terra, o se e’ stato un evento localizzato, dovuto ad un incremento, ad esempio, della Corrente del Golfo, ma e’ sicuro che l’effetto e’ stato sensibile in Europa, in particolare nell’Europa del Nord. Questo periodo climatico favorevole si e’ prolungato fino a tutto il 1200, raggiungendo nell’ultimo secolo il massimo di incremento di temperatura. Successivamente si e’ avuta quella che e’ chiamata la “Piccola Era Glaciale”, che si e’ estesa fino al 1800. Vedremo poi come il clima ha giocato la sua parte nello sviluppo della societa’ europea, ma puo’ pensare che possa avere avuto anche un ruolo, almeno parziale, nell’esplosione vikinga dell’800. Nel 918 Carlo il Semplice, sovrano dei Franchi occidentali, convince Rollone, probabilmente di origine danese, a battezzarsi col nome cristiano di Roberto e ad insediarsi come Conte nelle terre intorno alla foce della Senna, che diverranno il Ducato di Normandia. In cambio Rollone non solo si impegna a porre termine alle scorrerie, ma anche a difendere il regno da altre invasioni. L’operazione ha pieno successo, ed in breve le scorrerie sul territorio francese si riducono fortemente. La Normandia diventa un punto di raccolta per molti altri gruppi di danesi e norvegesi, che trovano cosi’ una terra dove stanziarsi. I matrimoni con donne

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francesi, ed il numero non altissimo dei nuovi arrivati, fa si’ che nel giro di un paio di generazioni leggi e costumi siano sostanzialmente francesi. La crescita della popolazione pero’ continua, e molti figli cadetti cercano fortuna in luoghi lontani, come nel sud d’Italia, in cui prendono parte, come mercenari, ai continui scontri tra Longobardi, Bizantini ed Arabi. In quella situazione molto instabile, vedono la possibilita’ di conquistare spazi propri. Nel 1030 si ha la costituzione della Contea di Aversa, primo feudo normanno. Nel 1035 arrivano in Sicilia i fratelli Gugliemo, Roberto e Ruggero d’Altavilla, ed il futuro del sud d’Italia subira’ una svolta definitiva. Nel 1066 Guglielmo il Bastardo dalla Normandia sbarca in Inghilterra e nella battaglia di Hastings sconfigge l’esercito sassone sfiancato dalle lunghe marce rese necessarie dal dover tamponare un crescendo di invasioni danesi e norvegesi. Guglielmo il Bastardo diventa Guglielmo il Conquistatore, e mette rapidamente fine alle invasioni. In poco tempo consolida il controllo normanno, e con il Doomesday Book, nel 1085, la struttura feudale dell’Inghilterra e’ completamente definita. Mi sono dilungato su questi particolari storici che sono, diciamo, di potere personale, mentre lo scopo principale di queste note e’ di evidenziare gli sviluppi dell’economia e delle strutture sociali in generale, perche’ se e’ vero che e’ l’economia la forza trainante della storia, e’ pur vero che tra le varie possibilita’ di sviluppo che ogni futuro tipicamente propone, e’ poi la decisione umana, spesso inconsapevole o diretta ad altri obiettivi, a determinare la scelta. E questo periodo e’ stato un notevole esempio del fatto che non esiste una evoluzione storica deterministicamente e meccanicamente guidata dallo sviluppo delle forze produttive. L’intervento dell’uomo, mosso dai suoi desideri, dai suoi pregiudizi, dalle sue speranze, dal suo egoismo, puo’ modificare l’andamento della storia, sempre pero’ nei limiti posti dalla forza trainante dell’interesse materiale generale. Un esempio di questi limiti puo’ essere colto nello sviluppo delle Signorie in tutta l’Europa occidentale che avviene a cavallo tra il X e l’XI secolo. Per cause completamente diverse da regione a regione, a volte anche in contraddizione una con l’altra, con sviluppi disomogenei e risultati molto dissimili, nell’Europa continentale prevale un’organizzazione signorile, con poteri locali sostanzialmente indipendenti e che arrivano ad ottenere l’ereditarieta’ del titolo e del possesso del feudo. Gli “uomini liberi”, presenti in gran numero in precedenza, con differenziazioni da regione a regione e con diverse forme di doveri verso il Signore, vengono completamente eliminati ovunque, spesso con la forza. Scompaiono le terre comuni, ed anche le ampissime proprieta’ ecclesiastiche vengono intaccate, specialmente nel sud della Francia. Nelle regioni dove piu’ lunga era stato il dominio romano, riappaiono vecchie famiglie nobiliari che si richiamano a quella tradizione, ma spesso nobili di nuova generazione si modificano il nome per richiamare un’improbabile discendenza. Nel nord invece predominano famiglie che si richiamano, con qualche ragione o meno, alle vecchie famiglie regali o alle casate nobili delle prime invasioni. L’Inghilterra arriva ad una situazione analoga, anche qui con differenziazioni significative rispetto alle altre regioni, ma coerente nelle linee generali, con il consolidamento della conquista normanna. Sono decenni di grandi trasformazioni, in cui gentiluomini locali, che gestiscono regioni di modeste dimensioni in nome di potentati piu’ generali, scoprono che la forza che li teneva legati al loro ruolo si e’ indebolita, e che il potere personale e’ solo limitato da quello dei propri vicini, che possono essere combattuti e vinti, e che la propria ricchezza puo’ essere accresciuta impadronendosi dei terreni una volta di uso comune dei villaggi ed assogettando al proprio potere i contadini che ne usufruivano delle risorse.

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Tutto questo non avviene ovviamente senza lotte, guerre locali, sopraffazioni, sopratutto a danno dei contadini che una volta avevano il diritto di chiamarsi “uomini liberi”. La scomparsa delle scorrerie normanne o arabe non ha portato sollievo a questi ceti sociali che rappresentano la stragrande maggioranza della popolazione, anzi, ha reso ancora piu’ dura la loro vita. Le sofferenze, i soprusi, sono tali che la chiesa e’ costretta a muoversi in favore della popolazione. Il nucleo iniziale nasce nel Midi francese, dove la chiesa era tradizionalmente presente con conventi consacrati alla preghiera, ed in particolare nell’Abbazia di Cluny, da cui si irradia una fortissima influenza di filosofia di vita e in cui ha origine il movimento della “Pace di Dio”, che nasce per la difesa dei possedimenti della chiesa, e delle persone che sotto la sua protezione cercavano rifugio, dall’avidita’ ed arroganza dei signori locali. Diventata poi, diffondendosi, una richiesta di “pace” in senso piu’ lato, di maggiore considerazione per le persone e le loro sofferenze. Il movimento ha tale successo da debordare, occasionalmente, anche in organizzazioni armate di contadini, che, in nome della pace, assaltano e danno fuoco a residenze signorili. Contro queste estremizzazioni, ma anche contro la filosofia generale dell’Abbazia di Cluny, si muove la chiesa del nord, piu’ legata alla nobilta’ ed essa stessa una parte consistente del sistema feudale di nuova instaurazione. Ma la spinta morale e’ forte, e la “Pace di Dio” diventa la “Tregua di Dio”, accettata in tutta l’Europa, cioe’ di periodi temporali specifici in cui era proibito ogni tipo di violenza, tregua tesa anche a limitare l’eccesso di lotta continua tra piccoli e grandi feudatari, che stava indebolendo la struttura dirigente della societa’ europea. Come conseguenza del movimento originario, si hanno pero’ un gran numero di predicatori itineranti, che, con i loro appelli piu’ o meno canonici ad una vita cristiana, pongono spesso grossi problemi sociali, ma che saranno poi tra i presupposti per il successo dell’appello alle Crociate, di li’ a pochi anni. E’ il Medioevo feudale nella sua completezza. A partire dalla fine del secolo XI, e fino a tutto il 1200, si ha uno straordinario sviluppo economico e sociale che coinvolge l’Europa intera e la trasforma completamente. Questo sviluppo e’ difficile, o forse impossibile da spiegare con una successione di eventi dipendenti l’uno dagli altri, perche’ le cause sono molte, legate tra di loro in una matrice di cause/effetti non trasformabile in una successione logica, ed in cui gli effetti sono ampiamenti non lineari. Elementi tipici di un Sistema Complesso, nel cui ambito lo sviluppo della societa’ umana puo’, a buon diritto, essere catalogato. Ma queste considerazioni esulano dallo scopo della presente nota, anche se sono alla base della ragione di questo mio percorso di studio. Quello che succede e’ un aumento considerevole della popolazione, un’estensione delle terre coltivate, una loro maggiore resa produttiva grazie ad una piu’ abbondante concimazione, derivante da un aumento del bestiame allevato, e ad innovazioni tecniche. Riprende il commercio, che si sviluppa rapidamente coprendo l’intero continente e riaprendo il canale diretto con l’oriente, si ripopolano le citta’ e se ne costruiscono di nuove, generando nuove linee di commercio, e nelle citta’ si sviluppa l’artigianato, vengono inventate la finanza e le banche. Il tutto accompagnato da un fiorire di lettere ed arti senza precedenti. Ovviamente non vi e’ omogeneita’ in tutta l’Europa, e le diverse regioni seguono percorsi di sviluppo in parte dissimili e non contemporanei, ma nell’insieme, questo e’ quello che succede. Vorrei ora cercare di vedere, brevemente, gli aspetti piu’ importanti settore per settore, ma prima credo convenga premettere un’osservazione generale. Nell’alto medioevo, ma sostanzialmente anche nel periodo che sto per descrivere, il numero di persone in grado di leggere e scrivere era fortemente limitato, e concentrato perlopiu’ tra il clero e, in misura decisamente minore, tra la nobilta’. Non e’ quindi strano che nella documentazione scritta giunta fino a noi si trattino sostanzialmente questioni ecclesiastiche,

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dinastiche o comunque legate ai ceti dominanti. Solo con lo sviluppo del commercio, e piu’ tardi delle lettere, si riescono ad avere informazioni diverse, su altri aspetti della vita di quel tempo. Questo fatto e’ molto limitativo per una corretta comprensione del periodo storico, ed e’ anche alla base della vecchia considerazione del Medioevo come un periodo buio e di sottosviluppo. E’ a partire dal secolo scorso che si e’ cercato di incrociare le poche informazioni ottenibili dalle fonti scritte su aspetti concreti di vita reale come gli insediamenti umani, le regole di coltivazione, i commerci stessi, con i risultati di scavi archeologici effettuati specificatamente per chiarire questi fatti. Questo approccio piu’ diretto, che ricerca le testimonianze vere della vita dell’epoca, ha fatto si’ che la comprensione di questo periodo storico sia mutata fortemente nel corso del XX secolo, anche se ancora molti aspetti rimangono indefiniti, e richiedono un’interpolazione e un’interpretazione che, come sempre, e’ tipicamente soggettiva. Certe interpretazioni di epoca piu’ antica si sono dimostrate molto poco attendibili, ma anche alcune interpretazioni piu’ solide, della prima meta’ del XX secolo, hanno dovuto essere modificate da scoperte piu’ recenti. Lo studio del Medioevo e’ ancora una attivita’ in sviluppo, e non e’ detto che non ci riservi altre sorprese nel futuro. Alla luce di questo, non deve sorprendere che le cause dell’aumento sostenuto di popolazione che si e’ avuto in Europa a partire dall’anno 1000, ma forse anche da prima, siano sostanzialmente sconosciute. Se ne vedono gli effetti, si possono intuire molte ragioni, ma la spiegazione vera sfugge. Forse perche’ non vi e’ una unica spiegazione, ma semplicemente l’intero meccanismo autoalimentantesi di crescita e sviluppo aveva una possibilita’ di innescarsi, e per qualche fluttuazione della storia, lo ha fatto. La popolazione, qualunque siano le ragioni, e’ aumentata, ma l’economia feudale non poteva accogliere troppe persone in piu’, basata come era sull’ereditarieta’ dei possessi della terra e delle stesse funzioni da svolgere su essa. Una societa’ basata su consuetudini non era assolutamente in grado di far fronte ad un cambiamento del genere. La conseguenza e’ stata quella di ritrovarsi grosse masse di sbandati, di persone senza una dimora fissa, che cercavano un modo di guadagnarsi la sopravvivenza, o che, a volte, cercavano di sfuggire ad una condizione di vita insopportabile. La chiesa cercava di aiutare queste persone, e questo aiuto era in fin dei conti una delle cause stesse della loro esistenza, ma nell’azione della chiesa, la nascita dei monasteri cistercensi rappresento’ qualcosa di veramente nuovo. Non dal punto di vista religioso, poiche’ era una evoluzione della tendenza eremitica gia’ diffusa da qualche tempo, ma per la nuova organizzazione del lavoro che, probabilmente del tutto involontariamente, riusci’ ad introdurre. Questi monasteri, diffusi inizialmente nel meridione della Francia, ma poi anche in Italia ed in altre regioni europee, si insediavano in zone isolate, selvagge, senza segni di coltivazioni precedenti, ben volentieri concesse loro dai signori locali, fossero essi laici od ecclesiastici. Insediamenti cercati inseguendo un sogno di isolamento e di meditazione. Per tutte le ragioni pratiche richieste dal dover lasciare i monaci ad una vita di meditazione, venivano accolti dei fratelli laici, che si occupavano dei lavori dei campi, di mantenere in efficienza l’intera struttura, di sfamare tutti. Queste abazie divennero anche punto di aggregazione di hospites, cioe’ persone che in cambio della sicurezza personale offrivano il proprio lavoro. Quello che si veniva a creare era un’intera comunita’ la cui struttura di lavoro, frati esclusi, era completamente diversa da quella tipica del feudo. Non vi era la frammentarita’ dei campi dati in affido personale ed ereditario, frammisti fra di loro e con quelli del signore, a cui ogni contadino doveva dedicare parte del suo tempo, con un’organizzazione tradizionale di rotazione di colture che coinvolgeva necessariamente parti diverse dei tanti poderi individuali. Qui, nei campi delle abbazie cistercensi, si era in presenza di una vera e propria azienda, condotta centralmente con l’obiettivo di far rendere bene il lavoro dei tanti fratelli e hospites che vi erano coinvolti, perche’ il frutto del loro lavoro non

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solo permetteva ai frati di vivere, ma dava anche possibilita’ di intervenire nel mondo aiutando tante persone bisognose. E il rendimento di queste nuove istituzioni era piu’ alto di quello dei normali lavori agricoli nei feudi. Non bisogna esagerare la loro importanza, pero’, perche’ erano in fin dei conti poche di numero e concentrate in particolari regioni, ma sono sicuramente state di esempio, e hanno contribuito anche a rivitalizzare il commercio locale, perche’ parte del loro surplus agricolo doveva trovare qualche sbocco in un mercato. Il loro esempio fu infatti seguito da altri ordini monastici, come i benedettini, a volte grazie a donazioni terriere dei Signori locali che volevano far fruttare terre fino allora incolte o poco salubri. Ma spesso anche Signori laici, a volte seguendo l’esempio dei monasteri, a volte semplicemente per mettere ordine nel proprio territorio, iniziarono ad istituire le villae novae, villaggi pianificati e costruiti in territori abbandonati o ancora vergini. Frequentemente venivano chiamati a costruirli ed abitarli gente che proveniva da lontano, reclutati appositamente o richiamati dalle favorevoli condizioni, in termini di patti agrari, statuto personale e gravami curtensi, che venivano concesse. Si trattava di liberta’ molto vicine a quelle che gli abitanti delle citta’ e dei borghi, i borghesi, stavano strappando ai Signori, specialmente ecclesiastici ma non solo, a prezzo di aspre contrapposizioni, sfociate spesso in aperte rivolte. Un problema ancora aperto, per mancanza quasi totale di informazioni, e’ quello dell’aumento del rendimento agricolo, senza il quale e’ difficilmente spiegabile un tale aumento di popolazione, anche tenendo conto dell’aumento dell’area coltivata, che viene pero’ solo dopo, come conseguenza dell’esubero di popolazione rispetto a quella richiesta dallo schema feudale. Non vi e’ dubbio che un netto miglioramento nella selezione delle varieta’ cerealicole coltivate, in favore del grano, una migliore selezione dei terreni, un minimo inizio di specializzazione di coltivazione, dove alcune colture risultavano piu’ adatte, il maggior uso del ferro negli attrezzi agricoli, insieme all’introduzione del cavallo come animale da tiro, furono elementi che favorirono un significativo aumento della produzione agricola, ma furono essi stessi resi possibile dal complessivo arricchimento della societa’ dell’epoca, insieme ad altri aspetti che descrivero’ piu’ avanti. Iniziata probabilmente nel X secolo, ormai molto evidente nell’XI e proseguita fino alla fine del XIII, questo allargamento dell’occupazione dei terreni messi a coltura rappresenta la piu’ grande espansione dello sfruttamento della terra in Europa occidentale della sua intera storia. Nel suo confine orientale, pero’, si e’ avuto, in questo periodo, un’evoluzione ulteriore. Inizialmente vi fu un’esteso sfruttamento di terre di difficile occupazione, paludose o soggette ad inondazioni, per la cui bonifica i Signori germanici reclutarono, in cambio di terre e liberta’ di uso delle stesse, molta gente dalle Fiandre e dai Paesi Bassi, dove operazioni di risanamento e di conquista di terre costiere tramite costruzioni di argini e dighe era stato effettuato gia’ in precedenza, ampliando molto i terreni disponibili in quelle zone, e sfruttando per i commerci locali la rete di canali che serviva anche per il drenaggio dell’acqua, che fara’ di quelle zone la parte piu’ ricca di Europa nei secoli sucessivi. Successivamente questa immigrazione incomincio’ a travalicare i confini del mondo germanico, attraversando l’Elba e la Saar, occupando, inizialmente in modo pacifico, le poco popolate terre slave. Ma poi fu seguita da una vera e propria invasione, con sterminio delle popolazioni esistenti e conquista della terra, specialmente nel bacino inferiore dell’Elba. La spinta germanica verso est fu fortissima, e coinvolse, fino al XIV secolo, anche le regioni centrali e meridionali, fino al Tirolo. Ma e’ nella direzione di nord-est, verso e lungo le sponde del Baltico, che l’azione espansiva tedesca trovo’ supporto nell’interesse economico di una grossa parte dell’Europa, fino ad

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ottenere il sigillo pontificio per una lunga serie di Crociate che terminarono solo nel XVI secolo. I Cavalieri Teutonici furono lo strumento diretto di questa espansione violenta, mascherata dall’impegno morale alla conversione di quelle popolazioni pagane, e molti furono i cavalieri inglesi e svedesi che si arruolarono sotto le loro bandiere e parteciparono a queste spedizioni, perche’ gli interessi del commercio lungo le sponde del Baltico erano consistenti e specialmente l’Inghilterra, dopo il consolidamento della conquista normanna, aveva cominciato con forza ad incrementare i propri traffici navali in quelle regioni. Non sono ragioni molto diverse da quelle che hanno portato, a partire dall’XI secolo, alle piu’ conosciute Crociate in Terra Santa, con la differenza che qui l’obiettivo di espansione e conquista era piu’ trasparente e le conseguenze sono state di molta maggiore durata. Anche nel caso della liberazione del Sacro Sepolcro la spinta religiosa era quella preponderante nel convincere la gran parte dei partecipanti, considerando la strettissima identificazione tra religione e vita reale che era la normalita’ in quei tempi. Ma prima di tutto era necessario avere molta gente disposta a sacrificare una buona parte della propria vita, o anche tutta, per un obiettivo religioso. E questo e’ stato possibile proprio per l’aumento di popolazione non assorbibile nello schema rigido di funzionamento del feudalesimo, con masse vaganti, con cadetti delle famiglie nobili, esclusi dalla successione al feudo, in cerca di fama e ricchezze, con predicatori girovaghi, conseguenze della spinta religiosa e sociale insieme che aveva portato alla Pace di Dio, che predicavano in favore di obiettivi spesso assai stravaganti. Ma certo non era di ostacolo l’esigenza di liberare dalla stretta araba i nascenti mercati marittimi, liberare le rotte mediterranee, aprirsi la strada diretta verso il lontano mondo da cui derivavano tanti prodotti pregiati, come spezie e pietre preziose, sete e ori. Nessuno dei due aspetti ha “usato” l’altro per i propri fini. Si sono perfettemante incontrati nello spazio e nel tempo, e la prima crociata ha prodotto l’occupazione abbastanza stabile dell’Anatolia, la nascita di stati cristiani in Asia Minore, e l’indebolimento dell’impero di Bisanzio che aveva invece sperato di riconquistare l’antico potere a scapito dei turchi, e che si era anche illuso, per un poco, di esserci riuscito. Di tutto cio’, dopo pochi decenni, non rimase molto, ma il fenomeno delle crociate aveva ottenuto un risultato fondamentale: la nascita delle potenze marittime italiane, insieme all’inizio della fine del potere dell’islam sul mediterraneo. Della crescita delle repubbliche marinare italiane e del loro effetto sui commerci europei ne parlero’ piu’ diffusamente quando cerchero’ di trattare dell’effetto trainante dell’Italia sull’economia dell’intera Europa. Voglio invece sottolineare, a questo livello del discorso sul medioevo, che l’aspetto religioso rimaneva un elemento estremamente sentito per la gran parte della popolazione, e sempre tenuto in ampia evidenza in termini ufficiali. Lo spirito delle Crociate, se pur alimentato da ovvi interessi economici, era genuinamente spinto da una sensibilita’ religiosa che, non bloccata nei suoi riti di pellegrinaggio verso le sacre origini del cristianesimo durante l’occupazione araba di Gerusalemme, si era invece sentita tagliata fuori da una maggiore intransigenza dei nuovi occupanti, i turchi selgiuchidi. Come avevo gia’ accennato in precedenza, il periodo era propizio alle predicazioni di sant’uomini di ogni genere, con grandi masse di persone senza un vero ruolo sociale pronti ad ascoltarli, e un gran numero di cadetti di casate nobili senza alcuna speranza di una posizione sociale riconosciuta alla disperata ricerca di un’avventura che potesse portare onori e ricchezze. In questo ambiente ribollente il Papa Urbano II colse l’occasione, ed indi’ la prima crociata. Non voglio entrare nel dettaglio delle divisioni politiche, delle gelosie ed ambizioni personali che guidarono e condizionarono quella spedizione, ma e’ evidente che dopo quell’evento, l’intera situazione economico-politica del Mediterraneo subi’ una variazione definitiva.

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In questo stesso periodo di espansione della popolazione europea, e di passioni religiose molto forti, ebbe inizio anche la Riconquista della Spagna da parte dei regni cattolici che circondavano i grossi possedimenti mussulmani. Rinforzati da popolazioni provenienti dai territori francesi limitrofi, spinti da una forte campagna religiosa, poco a poco i mussulmani furono costretti ad arretrare. In un primo tempo, quando in gioco vi furono solo le terre di confine, povere e poco sfruttate, i nuovi occupanti ne stimolarono lo sviluppo, la messa a coltura, aumentando notevolmente la capacita’ di sostenere un numero sempre crescente di persone. Alla fine pero’, quando caddero, piuttosto velocemente una dopo l’altra le principali roccaforti arabe, quelle che entrarono a far parte della nuova Europa erano terre ricche, abitate, e citta’ con un commercio sviluppato, ed un livello di cultura superiore a tutto il resto d’Europa. A meta’ del XIII secolo rimaneva mussulmano solo lo stato di Granada, ed un nuovo e forte competitore stava per entrare in gioco, anche se per il periodo in questione si e’ limitato a partecipare allo sviluppo del commercio marittimo mediterraneo, ma sempre in second’ordine rispetto agli italiani, come vedremo piu’ avanti. Tornando agli effetti delle crociate, un dato e’ estremamente significativo: l’esercito composito che costitui’ la prima Crociata dovette raggiungere Gerusalemme per via di terra, attraverso Bisanzio, cosa che tra l’altro, in cambio del passaggio dello stretto e del supporto logistico fornito dall’Impero, costo’ ai capi crociati il giuramento di conquistare le terre dell’Anatolia, occupate dai turchi, in nome e per conto dell’Imperatore stesso. Giuramento che fu in parte disatteso, ma solo per la debolezza di Bisanzio a reclamarne il rispetto. Il lungo e tormentato percorso era reso obbligatorio dalla mancanza di una adeguata capacita’ di trasporto via mare per un tale numero di persone, con cavalli, armature e supporto di vario genere. Cinquant’anni piu’ tardi, la seconda Crociata’ venne in gran parte trasferita da Bisanzio in Palestina via mare. Quarant’anni ancora dopo, l’intera terza Crociata venne trasportata in Terra Santa via mare. La spiegazione e’ molto semplice. Sia durante la stessa prima Crociata che, in modo ancora accresciuto, durante la vita degli Stati Cristiani che derivarono dalla Crociata stessa, vi fu una grossa necessita’ di un continuo traffico da e per l’Europa continentale. In oriente dovevano arrivare con continuita’ rifornimenti, specialmente alimentari durante la Crociata stessa, rinforzi, attrezzature e, inevitabilmente, un gran numero di pellegrini diretti verso i sacri territori ora liberamente aperti alla cristianita’. Mentre dall’oriente, dopo lo stabilizzarsi della conquista, tornavano cavalieri soddisfatti del bottino, pellegrini di ritorno, insieme a spezie e prodotti pregiati dell’oriente estremo, il cui commercio era fino a poco tempo prima monopolio islamico. La spinta alla costruzione di flotte commerciali, a conquistarsi diritti di commercio, era percio’ molto forte, visto la grande possibilita’ di guadagni, e Venezia e Genova furono alla testa di questo sviluppo, ma anche Marsiglia ebbe il suo ruolo, per quanto minore, senza dimenticare le molte citta’ del meridione d’Italia e della Sicilia che non avevano mai smesso il commercio, anche se costretto a dimensioni ridotte, con le varie parti dell’Africa islamica. E questo e’ uno degli altri due elementi fondamentali del Basso Medioevo, che sono nello stesso tempo causa ed effetto uno dell’altro e anche dello sviluppo della popolazione di cui ho parlato, da cui non possono essere logicamente districati, e che e’ difficile, per la solita mancanza di informazioni dirette, anche capire come hanno avuto realmente inizio: lo sviluppo del commercio in Europa e la rinascita delle citta’. Il periodo di maggior splendore del Basso Medioevo deriva sostanzialmente da questi elementi, che porteranno, insieme ad

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un maggior benessere economico, anche uno straordinario sviluppo delle lettere e della cultura in generale, non piu’ esclusivamente legata al mondo strettamente religioso. E’ abbastanza comprensibile che il tutto abbia avuto origine in Italia, dove le citta’, ben piu’ numerose che nel resto dell’Europa occidentale, non avevano mai completamente perso il loro ruolo. Ridotte di dimensioni e di importanza, questo si’, ma sempre dei centri di vita comune e di relazioni economiche non completamente identificabili con quelle delle consuetudini feudali delle tenute agricole. Nel momento in cui le condizioni di una ripresa di sviluppo della vita cittadina si sono presentate, non tutte le citta’ pero’ potevano approfittarne nello stesso modo. Un elemento di differenza era la dimensione della propria estensione di influenza. Cioe’ la dimensione delle campagne intorno alla citta’ che potevano contribuire all’attivita’ commerciale, sia come fornitrice di prodotti che come mercato di vendita. Ma un elemento piu’ importante era la possibilita’ di usare canali commerciali abbastanza sicuri, veloci e a costo ridotto. Il commercio terrestre, limitato pesantemente dalla mancanza di strade adeguate o scarsamente curate, dal dover attraversare un gran numero di domini di signori diversi, con le loro tasse e i loro dazi, nonche’ dalla presenza di banditi e predoni, facilitati nella loro opera dalla totale mancanza di controllo del territorio da parte di chi ne deteneva nominalmente la signoria, era sicuramente piu’ costoso e pericoloso di quello via mare, nonostante il basso livello tecnologico dei natanti, il pericolo intrinseco del mare stesso e la pirateria, pratica molto seguita ai quei tempi. Quindi non puo’ stupire che le prime realta’ cittadine a sviluppare un commercio di raggio superiore a quello strettamente locale ed in modo veramente significativo siano state le citta’ marinare del sud, sotto l’egida spesso solo nominale dell’impero d’oriente, obbligate a destreggiarsi nel conflitto infinito tra Bisanzio, il mondo arabo e i nuovi conquistatori longobardi. Amalfi e’ la piu’ importante tra queste, anche perche’ piu’ delle altre riesce a sviluppare una propria autonomia amministrativa, ma anche Napoli e Bari, nonche’ Palermo, partecipano ad un intenso commercio tra l’est e l’ovest, spesso passando per il sud. Bisogna ricordare pero’ che si trattava comunque di un attivita’ ridotta, in termini assoluti, perche’ i retroterra di queste citta’ partecipavano assai poco al commercio stesso, che spesso era limitato alle esigenze della sola citta’. Amalfi e’ in ogni caso in prima linea quando inizia una reazione dell’Impero all’espansione araba in Sicilia, e conquista nuovi spazi commerciali, anche se e’ l’intera sua economia ad essere limitata dalla sua natura di citta’ isolata. Ad Amalfi si aggiunge presto Pisa che, dopo un periodo di pirateria concorrente a quella araba, inizia a stabilire una certa supremazia sull’alto Tirreno, in concorrenza, ma anche qualche volta in alleanza, con la rinascente Genova, le cui tradizioni marinare erano state bloccate dalla conquista longobarda. Pisa e Genova si contendono il controllo della Sardegna e della Corsica, dopo averne scacciati gli arabi, anche come punto intermedio verso il commercio con le coste occidentali del mediterraneo, specialmente con le citta’ spagnole. La continua contrapposizione alla marina islamica, le spedizioni punitive, con saccheggi e distruzione, fino nei porti tunisini, lentamente rendono il mediterraneo occidentale un mare piu’ libero, ed i commerci piu’ facili. Un discorso a parte merita Venezia. Fondata da profughi delle invasioni gotiche, che trovano rifugio sulle isole della laguna, iniziano a praticare un commercio locale sotto la protezione dell’Impero d’Oriente, di cui e’ parte. Con lo svilupparsi del commercio, inizialmente lungo le coste italiche e dalmate, ma poi sempre piu’ a lungo raggio, data la posizione geografica periferica rispetto a Bisanzio, riesce facilmente ad ottenere una sostanziale indipendenza amministrativa e legislativa, anche se sempre sotto il dominio formale dell’Impero. Riesce a

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giocare un ruolo significativo di mediazione tra Bisanzio e i Franchi, approfittando del conflitto per incrementare il proprio ruolo commerciale e la propria indipendenza. L’indipendenza e’ un aspetto fondamentale e caratterizzante dello sviluppo della vita cittadina. E’ un elemento di cui si e’ scritto molto ed e’ ben conosciuto, ma voglio ugualmente dire due parole, perche’ mi sembra anche un elemento non sempre ben capito. Non si tratta di indipendenza totale, le citta’ sono sempre inserite nel sistema feudale e dipendono da un Signore, a cui versono spesso delle tasse o verso cui hanno altri obblighi. Ma le citta’ dove si sta sviluppando il commercio e una ricca attivita’ artigianale non possono vivere secondo le classiche regole feudali. Il commercio non puo’ essere regolato dalle leggi consuetudinarie della corte del Signore, ne’ puo’ essere legato alla terra e alle corve’ relative. Inoltre allo stadio iniziale del suo sviluppo il commercio aveva bisogno di persone dotate di spirito di avventura, disposte a rischiare anche la vita per ottenere un ritorno economico, tipicamente individualiste, ma purtuttavia capaci di lavorare in gruppo, se era nel loro interesse, e persone del genere erano anche poco gradite nei feudi. Quindi ci fu un incontro di interessi, per cui molti Signori concessero con una certa facilita’ dei diritti speciali ai cittadini, causando ovviamente analoghe richieste da parte di altre nascenti citta’. Non sempre l’ottenere l’indipendenza giuridica ed amministrativa fu facile, specialmente nei casi in cui il Signore era un vescovo, od altro ecclesiastico, che tipicamente avevano la citta’ stessa come propria sede. Moltissime delle rivolte armate da parte dei cittadini contro i loro Signori per conquistare l’autonomia richiesta furono rivolte contro Signori ecclesiastici, che quasi sempre furono alla fine costretti a cedere o ad abbandonare la citta’. Lo sviluppo dell’autonomia comunale, sia in Italia, dove ha avuto origine, che nel resto d’Europa, le sue lotte per garantirsi l’indipendenza inizialmente dal Signore locale, ma poi anche dalle autorita’ superiori, per finire poi nel Patriziato e nelle Signorie e, nel tardo Medioevo, da una generale rivalsa del ceto borghese delle cosiddette “arti”, e’ stato descritto da vari autori con molta attenzione, anche da diversi punti di vista, e richiederebbe un intero volume per essere completamente illustrato. Qui io voglio solo far notare alcuni elementi che spesso sfuggono all’attenzione ma che ritengo invece importanti. Le liberta’ individuali che erano godute nelle citta’, e di cui poteva godere chiunque si rifugiasse entro le sue mura, lo sviluppo del commercio, attraverso percorsi spesso estremamente pericolosi o dal dubbio risultato finale, sono sicuramente state possibilita’ che hanno permesso a molte persone di varia estrazione, ex servi o addirittura schiavi, o contadini liberi cui era stato sottratto il terreno, sbandati di ogni genere, di tentare la propria fortuna aggregandosi alle carovane commerciali che era necessario formare per superare i pericoli dei viaggi via terra, o far parte degli equipaggi dei viaggi per mare. Alcuni di questi hanno sicuramente ottenuto il successo che cercavano, ma l’impresa e’ sempre stata rischiosa, e quindi la percentuale di successo molto bassa. Diverso discorso puo’ essere fatto per quella classe di piccoli proprietari, nobili minori, anche solo benestanti locali, che rappresentavano la classe dirigente delle nascenti citta’. Sono stati loro, in realta’ ben inseriti nello schema feudale, a spingere per lo sviluppo di un elemento, la vita cittadina, con il commercio e l’artigianato che ne conseguivano, che sarebbe stato, quando completamente sviluppato, un elemento fortemente rivoluzionario nei riguardi del vecchio stile di vita. Sono stati loro a richiedere indipendenza giuridica ed amministrativa, in forme piu’ adatte alle esigenze delle nuove attivita’, ad opporsi ai grandi feudatari, specialmente ecclesiastici, che cercavano di tenere le citta’ sotto il loro controllo e le loro leggi, incompatibili con una libera attivita’ commerciale. E non poteva essere altrimenti, perche’ per opporsi al potere dei feudatari, bisognava avere altrettanto potere. Potere che la piccola nobilta’, associata alle casate mercantili emergenti prive di ruolo feudale, aveva sicuramente, almeno in sede locale.

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Ma al momento iniziale, nessuno di loro pensava di svolgere un ruolo rivoluzionario, anzi, pensavano di rendere piu’ efficiente la struttura sociale feudale, di cui facevano parte e da cui non volevano staccarsi, sfruttando semplicemente delle nuove possibilita’. Ancor di piu’, con il consolidarsi del ruolo del cosiddetto “patriarcato”, cioe’ di un gruppo di famiglie che detenevano il reale controllo economico e politico delle citta’, si e’ accentuato il loro tentativo di identificarsi con la nobilta’, sia attraverso lo stile di vita, sia attraverso matrimoni incrociati. L’oligarchia cittadina era ben lungi dal pensare di stravolgere il mondo esistente. Le rivoluzioni vere avvengono, o perlomeno sono sempre avvenute, esattamente cosi’. Con alcune variazioni che sembrano semplici miglioramenti dell’esistente, ma che hanno in se’ potenziali di sviluppo che non sono al momento valutabili e che si dimostreranno solo in seguito inconciliabili con le vecchie strutture. Questo pero’ diventa evidente solo dopo che si sono potute sviluppare in modo significativo, e radicarsi fortemente nella societa’, altrimenti sarebbero state estirpate con estrema facilita’, se la loro potenzialita’ eversiva fosse stata riconosciuta troppo presto, e probabilmente molte variazioni in grado di portare a sviluppi innovativi sono state effettivamente bloccate all’inizio, quando non avevano la forza necessaria per imporsi, ma gia’ esprimevano la loro natura rivoluzionaria verso l’esistente, e di loro non vi e’ quasi mai rimasta memoria storica. Ma torniamo al medioevo e allo sviluppo del commercio, fortemente intrecciato alla rinascita delle citta’. Questa rinnovata capacita’ commerciale di alcune citta’ marinare ebbe abbastanza rapidamente un effetto trainante per lo sviluppo di altre citta’ all’interno, in grado, per molte e diverse ragioni, di diventare contemporaneamente sorgente di prodotti che potevano essere venduti attraverso la citta’ marinara di riferimento e mercato di assorbimento per le merci importate. Diverse citta’ toscane si appoggiarono a Pisa per i loro primi commerci, e diverse citta’ lombarde a Venezia o Genova. Un processo equivalente, ritardato solo di poco, si e’ avuto sulle coste del Mare del Nord, dove un commercio marittimo prese rapidamente sviluppo tra la costa delle Fiandre, dei Paesi Bassi e della Germania da una parte e l’Inghilterra e la Danimarca dall’altra. Con la successiva espansione verso est, dovuta alle Crociate del Baltico, la ramificazione del commercio si estese ampiamente anche al Baltico stesso, I Paesi Bassi erano d’altra parte lo sbocco di almeno tre grossi fiumi, lungo i quali, analogamente alla situazione italiana, si svilupparono citta’ dalla spiccata attitudine artigianale, e nello stesso tempo ricco mercato per le merci in arrivo. Nonostante le difficolta’ gia’ citate, anche un commercio via terra, molto piu’ consistente di quello che si era mantenuto costante anche nell’alto medioevo, tipicamente effettuato da gruppi di ebrei e dedicato sostanzialmente a prodotti di lusso, incomincio’ a svilupparsi, e lungo queste linee di commercio si crearono nuclei di sviluppo, spesso dovuto alla necessita’ di trovare un posto sicuro in cui passare del tempo, o uno snodo tra una pista terrestre e una fluviale, che spesso si trasformarono in citta’ a partire dai “borghi” occupati dai mercanti stessi. Questo avveniva normalmente dove un castello o un’abazia potevano fornire una certa sicurezza, ma anche in posti che erano semplicemente comodi per una sosta. Questa crescita avvenne quasi ovunque, nell’Europa occidentale, ma specialmente lungo le linee di percorso che univano i due poli principali di espansione economica: le Fiandre e l’Italia. A questo riguardo, un elemento che ebbe un grande ruole nel commercio medioevale, che era gia’ presente nell’XI secolo, che ebbe il suo piu’ grande sviluppo nel XII, rimanendo molto vivo anche nel XIII secolo, furono le fiere. Nel periodo della loro massima diffusione, c’erano fiere in quasi tutte le citta’ piu’ importanti, ma alcune erano piu’ frequentate delle altre, e hanno lasciato un segno indelebile

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nella storia del commercio medioevale, anche se, a volte, quando il loro momento e’ finito, per la nascita di una organizzazione commerciale stanziale e non piu’ itinerante, le citta’ che le ospitavano sono tornate in un anonimato totale. E’ il caso delle fiere della Champagne, le piu’ famose e frequentate per quasi due secoli. Punto di incontro dei mercanti delle Fiandre, con i loro tessuti e i prodotti del nord, e gli italiani, che portavano non solo i propri manufatti, dell’artigianato lombardo e toscano, ma anche le merci provenienti dall’oriente, di cui erano il terminale europeo. Frequentate anche da provenzali e spagnoli, nonche’, anche se piu’ in ritardo, dai tedeschi della lega anseatica. Quando il commercio itinerante ha smesso di di essere l’aspetto essenziale, i vari Lagny-sur-Marne, Bar, Provins, Troyes sono tornati ad essere villaggi senza alcuna importanza particolare, anche se avevano rappresentato il cuore del commercio per tanto tempo. Le fiere sono importanti anche dal punto di vista della ricerca storica, perche’, come ho gia’ detto, vi e’ una scarsissima documentazione scritta sulla vita normale del periodo medioevale, almeno fino a quando la diffusione della capacita’ di leggere e scrivere, dovuta principalmente alle necessita’ del commercio, hanno incominciato a produrre anche documenti sulla vita civile. Dai documenti di regolamentazione delle fiere e dai registri dei commercianti, almeno quei pochi che ci sono pervenuti, si ricavano molte informazioni sulla vita reale e come e’ cambiata durante quegli anni di poderoso sviluppo. Molti archivi sono ancora da analizzare, per cui non e’ impossibile che la nostra visione di quel periodo possa mutare ulteriormente. Le lettere regie di esenzione dai tributi di passaggio, la riduzione delle leggi di limitazione degli interessi, cioe’ l’usura tanto invisa alla chiesa, ma che era normale applicazione in ogni attivita’ commerciale, l’eliminazione, per la durata della fiera, della proibizione del gioco d’azzardo. Tutte iniziative tipiche del signore locale, che aveva un diretto interesse alla buona riuscita della fiera, ma sempre piu’ spesso anche dell’autorita’ superiore regia, come per i lasciapassare generali. Le fiere erano un’iniziativa economica di estremo interesse anche per le strutture feudali, che ne derivavano forti guadagni, ed erano quindi piu’ che ben disposte a rinunciare in parte, ovviamente in modo temporaneo, ai propri privilegi esattoriali. Da questa attivita’ commerciale, sia via terra che via mare, hanno avuto molto presto origine delle attivita’ che oggi sarebbero chiamate finanziarie. All’epoca erano semplicemente delle attivita’ collaterali al commercio. Ed intendo lo sviluppo delle “carte di cambio”, atti ufficiali spesso, almeno all’inizio, certificati da notai che permettevano un commercio di beni trattati in differenti valute alla partenza ed all’arrivo. Molto presto questo meccanismo fu usato anche per evitare l’accusa di usura, permettendo di fatto la remunerazione di un capitale monetario investito in un’attivita’ commerciale. Questo aspetto della liceita’ del rischio commerciale e della pribizione del prestito ad interessi ha condizionato gran parte dell’aspetto formale delle transizioni economiche medioevali, anche se non l’aspetto sostanziale. In realta’ la chiesa stava incominciando a perdere l’identificazione con la struttura di vita, e per quanti successi abbia avuto successivamente, non si e’ piu’ ripetuta l’identita’ di valori di vita tra chiesa e societa’ civile che si era realizzata a cavallo del primo millennio. Il commercio ha prodotto ovviamente un aumento della circolazione monetaria, un suo piu’ diffuso uso, anche nelle piccole transizioni del commercio locale o per gli affitti delle terre, fino a riportare in Europa il conio di monete d’oro. Come per tutte le attivita’ finanziarie, e’ stata l’Italia ad iniziare anche questo aspetto, con le monete di Firenze, Venezia e Genova a dominare la scena europea per piu’ di un secolo. Non e’ sicuramente nelle possibilita’ di questo breve articolo illustrare tutte le innovazioni commerciali e finanziarie introdotte in questo periodo e sostanzialmente dalle citta’ italiane.

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Basti ricordare che alcune tecniche di gestione commerciale in uso in Italia nel XIII secolo trovarono applicazione in Germania e Polonia solo nel XVI secolo. Ed e’ anche di poca importanza il fatto che alcune di queste tecniche fossero conosciute, in forma molto piu’ rozza, nel mondo orientale, o che le lettere di debito fossero conosciute da tempo nell’impero persiano. Non e’ l’invenzione che importa, a questo punto, ma il suo uso per incrementare gli scambi commerciali, innovare le transizioni finanziarie, e sopratutto l’effetto globale che lo sviluppo del commercio ebbe per l’intera comunita’ dell’Europa centro occidentale. Quello che ebbe origine fu l’inizio di un sistema finanziario internazionale, con delle vere e proprie banche, con lo sviluppo di societa’ commerciali in cui i contributi puramente finanziari incominciavano ad essere significativi, l’embrione, cioe’, delle societa’ per azioni che si svilupperanno tre secoli dopo. E tutto questo sotto l’occhio malevolo della chiesa, che vietava la cosiddetta “usura”, cioe’ la pura e semplice remunerazione del capitale finanziario, anche se moltissimi ecclesiastici hanno sfruttato piu’ che volentieri i risultati positivi degli investimenti di denaro nel commercio. Per la salvaguardia della fede, vi furono anche diverse proibizioni degli scambi commerciali con gli stati mussulmani della riva sud del Mediterraneo, proibizioni che rendevano piu’ complicato il commercio ufficiale. Nell’ultima parte del XIII secolo, le galere genovesi e veneziane incominciarono ad essere visione comune anche nei porti del nord, dominando con la propria mole il naviglio tipico di quei mari, ma non penetrarono mai nel mar Baltico, dove la lega anseatica difendeva fortemente i propri privilegi. Scomparvero, o diventarono perlomeno poco importanti, i mercanti itineranti, poiche’ le grandi case mercantili e finanziarie aprirono le proprie filiali in tutte le sedi in cui un commercio significativo era presente. Si svilupparoni i corrieri, in grado di trasportare le merci praticamente ovunque su commissione, mentre lo scambio di denaro viaggiava su percorsi diversi. I grandi mercanti incominciarono a diventare anche grandi banchieri, con clienti sempre piu’ importanti, come le grandi casate nobili impegnate nelle loro lotte per la supremazia che rappresentava il germe della nascita dei grandi stati dei secoli seguenti. Le guerre costavano, specialmente perche’ incominciava a diffondersi l’uso di truppe mercenarie, e il denaro veniva richiesto la’ dove si formava, cioe’ nel commercio. Come gia’ detto, anche solo riuscire ad accennare a tutti gli aspetti di questo sviluppo, che e’ anche conosciuto col nome di Rivoluzione Commerciale, e’ praticamente impossibile in un breve articolo, ma alcuni punti meritano di essere evidenziati. Avevo gia’ accennato, parlando dell’espansione demografica di questo periodo, che nei paesi germanici ci fu una colonizzazione dei paesi slavi ad est dell’Elba, seguita da una vera e propria invasione armata lungo la sponda sud del Baltico. Al seguito di questa espansione colonizzatrice, e spesso in anticipo su di essa, vi fu una analoga espansione commerciale. Questa estensione dei regni germanici, perfettamente programmata ed appoggiata non solo dalle bolle papali per le Crociate del Nord, ma anche dagli interessi di altri, come gli svedesi e gli inglesi, che parteciparono in gran numero all’evangelizzazione del Baltico, si tradusse concretamente nella fondazione di una serie di citta’ commerciali che ben presto formarono un mercato molto attivo. A cominciare da Lubecca, per molto tempo la regina incontrastata dei commerci baltici e delle rotte da e per l’Inghilterra, la Svezia e la penisola danese. Al seguito dei Cavalieri Teutonici e del loro fanatismo, arrivarono frotte di contadini, di pescatori, e di commercianti, che aprirono un intero nuovo mercato, anche se spesso sulla punta della spada.

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Se Colonia rimaneva il centro commerciale della Germania classica, lungo la valle del Reno, ed in concorrenza con lo sviluppo delle Fiandre, Lubecca, e poi Amburgo, Rostok, e tutte le altre citta’ baltiche, rappresentarono una nuova frontiera ricca ed in continua espansione. Ho detto che gli italiani non penetrarono mai in questa zona, presidiata dalla Lega delle Citta’ Anseatiche, ma in realta’ non ne avevano particolare interesse, perche’ anche se uniti da molti contatti, con scambi di merci attraverso le vie di mare e le vie di terra, il mercato mediterraneo e quello del nord rimasero sostanzialmente separati. Una ragione e’ anche nella relativa poverta’ del mercato del nord, rispetto a quello mediterraneo, perche’ la potenza commerciale di Genova e Venezia era tale che, se solo avessero voluto veramente, gli ostacoli burocratici, di licenze e permessi, con cui l’Hansa proteggeva i propri porti e le proprie linee commerciali, non avrebbero potuto resistere. Ma era la poverta’ delle merci, e il costo del trasporto, che non attirava piu’ di tanto gli italiani. Per cui, nonostante le occasionali presenze delle galee in quelle acque, i due mondi rimasero separati. Non fu la stessa cosa per l’Inghilterra, dove il commercio della lana attiro’ gli italiani, che vi giocarono, con alterne fortune dovute alle politiche regie, un ruolo determinante. Un elemento fondamentale di questa differenza e’ stata l’espansione mongola, che non ha solo conquistato la Cina per un certo priodo, ma ha anche rotto l’accerchiamento mussulmano del mediterraneo. La tolleranza sociale e religiosa, unita alla curiosita’ per genti e culture diverse, dei regnanti mongoli aprirono all’Europa mediterranea le porte dirette verso la Cina e l’India, senza l’intermediazione, necessaria fino a quel tempo, degli stati mussulmani. Genova e Venezia non solo fondarono diverse colonie commerciali lungo le coste del Mar Nero, aprendo i mercati del Caspio e della Russia meridionale, ma si spinsero fino al centro degli imperi orientali, formando linee di commercio che, anche se precarie e sempre a rischio, erano estremamente piu’ rapide e sicure, nonche’ economiche, di quelle precedenti. I prodotti di lusso, le spezie, i gioielli dell’oriente avevano ora un modo piu’ diretto di arrivare sui mercati occidentali, e a prezzi piu’ bassi, Insieme ai prodotti arrivarono le conoscenze: l’allevamento dei bachi da seta, la produzione della carta e, con sviluppo un po’ ritardato, la polvere da sparo. Gli effetti principali di queste conoscenze le vedremo nel prossimo capitolo di questa storia. Quello che interessa a questo punto e’ l’osservazione del controllo quasi completo che le citta’ commerciali italiane, Genova e Venezia sopra le altre, avevano sul commercio mediterraneo, specialmente verso l’oriente, dopo aver ridotto Bisanzio ad un regno secondario, dipendente dalle politiche e dai contrasti tra le due potenze maggiori, e con il mondo islamico diviso ed in decadenza. Commercio significa merci da trasportare da una parte all’altra, e se molte merci erano prodotti naturali, come grano, olio, spezie, ma anche perle, pietre preziose e metalli, molti erano i manufatti umani che presupponevano l’esistenza, da qualche parte, di una capacita’ di produzione superiore al bisogno locale. In effetti le citta’ non furono solo il luogo di raccolta dei mercanti, dove poter svolgere la propria attivita’ sotto leggi, ed applicazione delle stesse, diverse da quelle feudali. Le citta’ furono ben presto il centro di sviluppo di un’attivita’ artigianale che non solo si specializzo’ ed organizzo’ in forme nuove, anche se spesso erano una riscoperta dell’antico, per proteggere le attivita’ e gli artigiani stessi, cioe’ le corporazioni, o gilde, con i diversi nomi che ebbero nei diversi posti, ma in alcune occasioni si sviluppo’ una vera e propria industria, con molti aspetti comuni a quella di oggi. La nascita e l’evoluzione delle corporazioni, che se pur presenti in epoca romana hanno avuto nel medioevo il loro massimo sviluppo, e’ un argomento di grande interesse, anche perche’

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questo tipo di organizzazione, pur mutando nel tempo, ha avuto propaggini che si sono prolungate nel tempo fino ad arrivare ai giorni nostri, ed in Italia, in particolare, ne subiamo ancora grossi effetti negativi. Ma e’ stato analizzato con grande accuratezza da molti autori, e nei limiti di questo articolo sono costretto a non entrare nei dettagli, rimandando alla bibliografia. Un aspetto su cui vorrei fare delle considerazioni e’ invece proprio lo sviluppo industriale che, in senso stretto, puo’ essere limitato a soli due settori, seppur molto diversi: la produzione di tessuti di lana, e con molto minor ruolo quella di altri tessuti, e l’estrazione e lavorazione dei metalli. La lana e’ stato il materiale tessile piu’ diffuso in Europa sin dai tempi dei romani, durante i quali, accanto ad un intenso e diffuso uso casalingo della tessitura a mano, si erano formati veri e propri centri di produzione specializzata, i cui tessuti venivano diffusi in ampie zone, e non solo in quelle limitrofe. La disponibilita’ della lana, di creta per la follatura e di materiali coloranti erano elementi che avevano favorito alcune zone piu’ di altre. Tra queste la parte sud occidentale della Belgica Romana, conosciuta poi come le Fiandre. Con la caduta dell’Impero, e il periodo delle invasioni, non si hanno piu’ notizie della produzione dei tessuti di lana, a parte il fatto che e’ sempre un’attivita’ casalinga molto diffusa. Evidentemente pero’ nelle Fiandre era rimasto qualche aspetto della specializzazione precedente, perche’ nel X secolo gia’ si sa di panni provenienti da questa regione e diffusi dai mercanti frisoni in ampie zone dell’Europa del nord. Con la ripresa del commercio, i panni di lana diventano il principale materiale di scambio, risultando il prodotto principale delle esportazioni europee in oriente ed in Africa. I panni delle Fiandre, attraverso le fiere della Champagna e tramite i mercanti italiani giungevano ormai ovunque, tanto che la lana locale divento’ rapidamente insufficiente. Ebbe cosi’ inizio un intenso scambio commerciale con l’Inghilterra, la cui lana non solo era abbondante, ma anche di qualita’ migliore. Non mancavano pero’ importazioni di lana da altre regioni, Francia e Spagna su tutte. In breve tempo, tra il XII e il XIII secolo, tutte le citta’ delle Fiandre diventarono praticamente delle industrie che producevano un unico manufatto: il panno di lana, e la zona di produzione tese anche ad espandersi sia a sud che a nord-est. La struttura produttiva aveva molti aspetti dell’industria moderna, anche se risentiva pesantemente dei modi di divisione del lavoro tipici medioevali. La Gilda dei mercanti, che era anche il governo delle citta’ fiamminghe, rappresentava i capitalisti, cioe’ i grandi mercanti stessi, che procuravano la lana, la facevano lavorare e rivendevano i tessuti finiti sui mercati internazionali. Le varie fasi della lavorazione, cardatura, filatura, tessitura, follatura, colorazione e finitura erano in origine svolte da artigiani indipendenti, ma il prezzo per ogni singolo lavoro, nonche’ la paga degli aiutanti e dei garzoni di bottega, era stabilito dall’autorita’ cittadina, e quindi dai mercanti. In questo modo, anche se revisioni dei costi venivano fatte, spesso a seguito di proteste ed agitazioni che coinvolgevano tutta la parte lavorativa della citta’, poco alla volta tutti gli artigiani si trovarono ad essere puramente dipendenti da chi forniva il materiale e, sempre piu’ spesso, anche gli attrezzi per lavorarlo. La spinta a ridurre i costi portava infatti a concentrare la produzione in luoghi in cui vi fosse abbondanza di acqua, indispensabile per molte delle fasi di lavorazione evitando anche i frequenti spostamenti dei panni stessi. Inoltre era necessaria un’area molto estesa e coperta per le fasi finali di tosatura, e nei periodi di crisi gli artigiani erano indotti a cedere i loro attrezzi ai mercanti in cambio di una garanzia di lavoro futura. In pratica quello che si sviluppo’ fu un abbozzo dell’industria moderna, anche se senza gli aspetti contrattuali e di garanzia dei nostri giorni.

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Per un po’ di tempo, durante la fase di sviluppo intenso di questa attivita’, il fatto che i mercanti fossero anche i gestori della citta’ porto’ una certa moderazione nella gestione dei salari, perche’ era interesse generale evitare disordini e rivolte. Quando pero’, nella seconda meta’ del XIII secolo e nei primi decenni del XIV, si sviluppo’ una forte concorrenza internazionale e le Fiandre iniziarono ad essere nei conflitti politici europei, questa situazione di equilibrio instabile si ruppe. Lo sfruttamento del lavoro dei vari artigiani divenne insopportabile, causando delle grosse ed estese ribellioni, che portarono anche alla formazione di gestioni di tipo comunitario, di vita pero’ molto breve, poiche’ la struttura economica della regione non poteva assolutamente fare a meno della classe dei mercanti. Queste agitazioni non possono pero’ essere completamente comprese se non si guarda anche al complesso dei movimenti eretici che, a partire dall’XII secolo, si erano diffusi in gran parte dell’Europa. Movimenti che sotto l’aspetto religioso erano in realta’ il segno preciso di un malessere sociale in crescita, proprio quando era in crescita anche una relativa prosperita’ economica, che era pero’ concentrata in ceti sociali estremamente ridotti. Tema dominante di tutti questi movimenti era un ritorno ad una vita piu’ povera e semplice, e una lotta contro l’arricchimento della Chiesa e dei suoi esponenti maggiori. Nell’intreccio estremamente forte tra l’aspetto religioso e quello sociale che ancora permeava la vita delle popolazioni di quell’epoca, questo si traduceva in aspirazioni a societa’ piu’ ugualitarie, anche senza arrivare, se non in casi sporadici, a forme estreme di comunismo. La storia di questi movimenti ha indubbiamente un ruolo nello sviluppo sociale, ma la sua illustrazione, come quella delle repressioni della chiesa e dei poteri laici, renderebbe troppo lungo questo scritto. Mi limitero’, nel prossimo capitolo, ad illustrare le conseguenze piu’ forti che si ebbero tra il XIV e il XV secolo. Tornando allo sviluppo economico dell’industra tessile fiamminga, le lotte sociali si intrecciarono anche con quelle dei poteri feudali, tra il Conte di Fiandra, alleato con l’Inghilterra, e la monarchia francese, per non dimenticare il Duca di Borgogna. Ma anche questi aspetti, preludio della guerra dei cento anni, verranno meglio discussi nel prossimo capitolo di questa storia. Nel XIII secolo i mercanti italiani incominciarono ad importare nelle Fiandre i coloranti provenienti dal sud e dall’oriente, rendendo dipendente dal loro commercio anche questo aspetto della produzione, che prima si basava quasi esclusivamente sull’uso di coloranti vegetali come il guado e la robbia, ampiamente coltivati in Francia ed Inghilterra. Un effetto ancora maggiore l’ebbe l’entrata degli italiani nel mercato della lana grezza, in particolare in quello inglese, del cui prodotto divennero in breve gli esportatori maggiori. Questa disponibilita’ di materia prima di alto livello porto’ a nuovi e grandi sviluppi dell’industria tessile italiana, fino ad allora presente solo nelle produzioni di qualita’ inferiore e per consumo locale, sfruttando la migliore organizzazione delle citta’, la maggiore capacita’ tecnica e lo sviluppo del credito e della finanza in generale. Diverse citta’ italiane divennero delle grosse produttrici ed esportatrici del panno di lana di qualita’, tra cui Milano e, sopratutto, Firenze, che assunse un ruolo predominante. A Firenze il controllo della produzione era nelle mani della corporazione dei lanaioli, che erano distinti dalla classe dei grandi mercanti e finanzieri, anche se con qualche interconnessione, e non erano sicuramente i controllori del governo cittadino. Pur svolgendo lo stesso ruolo capitalistico dei mercanti fiamminghi, non importavano direttamente la lana, che era ottenuta dai grandi mercanti internazionali che svolgevano solo la funzione di importazione, ma avevano il controllo della produzione del panno attraverso lavoro sostanzialmente salariato, mentre l’esportazione del prodotto finito avveniva qualche volta direttamente ma piu’ spesso attraverso altri mercanti. Questa differenza, e specialmente il non aver a carico il problema

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della gestione della tranquillita’ cittadina, porto’ questi imprenditori ad uno sfruttamento del lavoro ancora piu’ forte di quello fiammingo, con il risultato di analoghe rivolte, che pero’ non si generalizzarono quasi mai a tutta la citta’ o al il territorio circostante, sostanzialmente per lo scarso rapporto con i contadini. L’altro settore che presentava elementi di organizzazione industriale era quello dell’estrazione e lavorazione dei metalli. Ma questo settore ha presentato aspetti molto diversi, nonostante che l’esigenza di organizzazione e di concentrazione del lavoro abbia generato alcuni aspetti tipici dell’industria moderna. L’estrazione e la lavorazione di base dei metalli doveva avvenire necessariamente nel luogo in cui i metalli erano trovati, e questo ha generato una specie di specialisti che si muovevano tra i diversi siti minerari seguendo le oscillazioni delle scoperte di nuovi filoni, nonche’ le oscillazioni dell’interesse all’estrazione spesso dovuto alla politica generale. Infatti la proprieta’ dei depositi metalliferi, e quindi il controllo delle pratiche di estrazione e raffinamento, era considerata praticamente in tutta l’Europa di diretto controllo regio, o del grande feudatario interessato, se era in grado di difenderne la proprieta’. Il prodotto intermedio, cioe’ il metallo purificato, era poi trasposrtato nei luoghi dove avveniva la sua lavorazione finale, sostanzialmente in armi ed attrezzi agricoli. Questa attivita’ era svolta da artigiani in diverse citta’, alcune delle quali divennero specialiste in questa lavorazione, ma con le regole e i metodi delle tradizionali lavorazioni artigianali dell’epoca. A differenza quindi dell’industria tessile, sviluppata e controllata dalla nuova classe mercantile, l’estrazione e la lavorazione dei metalli era sotto il controllo diretto della nobilta’ feudale. Questo spiega il perche’ questa attivita’, la cui complessita’, e divisione specialistica del lavoro, non era certo inferiore a quella tessile, non riusci’ a sviluppare gli stessi aspetti di suddivisione del lavoro, e di lavoro sostanzialmente salariato, che e’ invece stato proprio dell’altra attivita’, precursore del successivo lavoro industriale. In effetti, come cerchero’ di spiegare meglio in seguito, anche in presenza di alcune analoghe e ovvie spinte economiche, i risultati socio-economici che ne possono risultare dipendono in modo estremamente forte da una grande quantita’ di altri fattori, tra cui quelli politici, e dei rapporti di forze, sono sicuramente i principali. Intanto va precisato un fatto fondamentale. Nonostante gli aspetti caratteristici di quest’epoca sono stati quelli che ho esposto, lo sviluppo enorme del commercio a medio e lungo raggio, la rinascita delle citta’ come comunita’ mercantile ma anche centro manifatturiero, con la protezione e la conseguente crescita delle attivita’ artigianali, ma sopratutto la nascita e la diffusione dell’attivita’ finanziaria, del credito con le sue tecniche di gestione del denaro, non va dimenticato che la maggior parte della gente di quel periodo viveva lavorando la terra. Per lo piu’ ancora sotto le vecchie consuetudini feudali, anche se negli ultimi anni considerati in questo capitolo, diverse forme di concessioni, come la mezzadria, incominciavano ad apparire. Ma e’ la terra, ed il suo lavoro, che rappresenta l’invisibile possibilita’ di sopravvivenza. Il commercio delle principali risorse alimentari rappresenta una possibilita’ in piu’, il poter compensare con prodotti di regioni lontane una occasionale carenza dovuta a cause locali, ma e’ sempre una piccola aggiunta, anche se dal punto di vista del commercio puo’ rappresentare un fattore grosso. La quantita’ di alimenti che vengono scambiati su distanze lunghe o medie e’ una frazione minima del totale prodotto in sede locale, anche nei periodi di carestie forti. La popolazione europea dei secoli XII e XIII e’ ancora sostanzialmente legata alla terra ed ai suoi cicli, anche se l’occhio cade piu’ sugli aspetti innovativi e sulle classi che introducono innovazioni.

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Il richiamo della terra e’ sempre molto forte, tanto che i mercanti con piu’ successo, dopo aver stabilito una certa stabilita’ delle proprie operazioni, incominciarono ad investire i propri profitti nell’acquisto di terre ai margini delle citta’, iniziando quel processo di “rifeudalizzzazione” che divenne estremamente forte poco dopo con l’epoca del “patriziato”, con un forte mescolamento, sostanzialmente tramite matrimoni incrociati, con la piccola nobilta’ locale. La ragione di tutto questo risiede banalmente nel fatto che la classe feudale era ancora forte, e rappresentava il modello di vita per i ceti sociali emergenti, ancora non coscienti di essere di fatto portatori di valori in contrasto di fondo con la struttura feudale. Le rivoluzioni avvengono molto lentamente, come ho detto diverse volte, e difficilmente sono colte come tali al loro inizio. Il predominio numerico del lavoro della terra, il sopravvivere di diffusissime forme di lavoro servile, se anche possono passare inosservati in un periodo di forte sviluppo, diventeranno pero’ preminenti nel periodo successivo, di crisi economica e sociale, di cui discutero’ nel prossimo capitolo. Ma vale la pena far osservare anche ora che la vita di quel periodo non si identificava con le ricchezze dei mercanti, i viaggiatori avventurosi o le corti nobiliari, con le lettere ed i poeti. Lo zoccolo duro della vita era sempre rappresentata dai contadini, ancora legati a strutture sociali difficili da modificare. Tornando pero’ agli sviluppi innovativi del Basso Medioevo, non si puo’ dimenticare la diffusione dell’istruzione. Precedentemente la capacita’ di leggere e scrivere era sostanzialmente limitata ad alcuni esponenti del clero, che usavano questa capacita’ anche al servizio del potere temporale. Non e’ quindi strano che gli scritti arrivati fino a noi trattassero quasi esclusivamente di questioni religiose o dinastiche. Praticamente nulla della vita di tutti i giorni e’ stato tramandato in forma scritta. Con lo sviluppo del commercio, e dei viaggi marittimi e terrestri che ne erano la base, si e’ avuta la necessita’ mantenere dei libri commerciali, di sviluppare nuove tecniche per la gestione dei bilanci di aziende che avevano diramazioni in buona parte del mondo conosciuto, e trafficavano in beni valutati in tante monete diverse. Inoltre era sempre piu’ necessario mantenere delle cronache esatte dei viaggi, con i relativi problemi e le soluzioni trovate, per rendere sempre piu’ facile il viaggio successivo. La capacita’ di leggere e scrivere dovette allargarsi ad una parte di popolazione laica, per interessi che non avevano piu’ niente a che vedere con la chiesa o con la nobilta’. Inoltre lo sviluppo del diritto commerciale, inventato e messo a punto attraverso molti tentativi ed aggiustamenti successivi ma partendo dalla base del diritto romano, necessitava di un modo per essere tramandato e diffuso, che non poteva essere la vecchia scuola monastica, unica forma di insegnamento che era presente in quel periodo, a parte casi individuali di tutoraggio. Nascono cosi’ i primi esempi di libere associazioni di studenti e di docenti, spesso itineranti nel rincorrersi della domanda e dell’offerta, ma con alcune realta’ locali che diventano predominanti, conosciute in tutta Europa e ben presto anche oltre, calamite di docenti e di studenti. E’ la nascita delle Universita’. Bologna per il diritto e Parigi (la Sorbona) per la teologia sono le prime ad emergere. Nel seguito, ogni grande feudatario, ogni principe, ritenne importante avere almeno una universita’ sotto il proprio controllo, sia per una certa vanita’ che per un sicuro interesse a far crescere degli uomini colti nel proprio ambiente, anche se la chiesa, spiazzata inizialmente dall’iniziativa dal basso derivante dall’esigenza economica, ed incapace di reagire prontamente, proprio per la sua intrinseca avversione al nuovo mondo che si stava sviluppando, riusci’ alla fine a riprendere un certo controllo sul sistema ufficiale di istruzione, specialmente nel riconoscimento formale dei docenti. Come conseguenza della maggiore diffusione culturale si ebbe anche un fiorire di attivita’ letterarie, che non erano piu’ legate solo alla tradizione orale dei menestrelli, ma

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incominciavano a trovare sempre piu’ possibilita’ di apparire in forma scritta. L’abbandono del latino in favore delle lingue popolari fu poi un ulteriore elemento che ne favori’ la diffusione. Un elemento fondamentale per la generale rinascita culturale, in particolare nei settori scientifici e filosofici, ma con influenze anche sulla parte umanistica, e’ sicuramente stato il contatto piu’ stretto con la civilta’ araba, estremamente piu’ evoluta, e specialmente, inizialmente attraverso le traduzioni arabe, la riscoperta dei classici greci e latini. In particolare la riconquista spagnola, con l’occupazione di Toledo e delle sue bibblioteche e la disponibilita’ di persone capaci di tradurre dall’arabo, ha dato, tra l’XI e il XII secolo, un enorme impulso alla cultura dell’Europa occidentale. Come sempre, le peculiarita’ dell’evoluzione socio-economica di una certa parte del mondo possono essere valutate completamente solo se paragonate a quella delle altre parti ad essa collegate in un modo continuo. Sara’ quindi necessario dire almeno poche parole sull’evoluzione delle due societa’ che si contrapponevano, militarmente ma sopratutto culturalmente, all’Europa occidentale. Sto ovviamente parlando dell’Impero di Bisanzio e del mondo islamico. Converra’ partire dall’Islam, di cui finora ho detto molto poco, perche’ l’accento di tutta la narrazione e’ stato sull’Europa, in cui si e’ generato e sviluppato il capitalismo, che e’ l’obiettivo principale di questo studio. L’esplosione araba del VII secolo ha nella predicazione di Maometto, che riesce a rendere una comunita’ unita e con uno scopo comune un insieme di tribu’ nomadi, di pastori, commercianti e predoni, la sua condizione iniziale. Ma anche cosi’ non e’ spiegabile facilmente il successo strepitoso che in meno di un secolo ha permesso la formazione di un impero immenso. La poligamia che, forse analogamente a quanto avvenne per i vikinghi nel nord Europa, era necessaria per una popolazione i cui maschi passavano molto tempo in viaggi lontani dalle famiglie, ha sicuramente favorito un forte aumento di popolazione ed una spinta verso l’espansione. La tradizione militare e la forte identita’ religiosa hanno dato forza alla loro iniziativa. Ma il loro numero era comunque estremamente ridotto rispetto a quello degli avversari che hanno sconfitto, per cui le ragioni devono essere trovate altrove, oltre a quella casualita’ che sempre e’ alla base di ogni iniziativa che ha successo in condizioni non favorevoli. Una ragione e’ stata la debolezza dei due imperi maggiori del tempo, quello persiano e quello bizantino, entrambi con un’organizzazione centralizzata e rigida, con ampie frontiere su cui premevano in continuazione le orde dei nuovi popoli in movimento, un esteso uso di truppe mercenarie per la loro difesa e reduci da un lungo periodo di scontri diretti che avevano indebolito le rispettive le strutture militari senza sostanzialmente modificare la situazione relativa. Su di loro piombarono le tribu’ del deserto, unite dal nuovo interesse comune di una nazione giovane, spinte da un evidente fanatismo religioso e guidati da capi militari esperti e capaci. Le prime vittorie diedero nuovo entusiasmo per proseguire e ricchi bottini che lo giustificavano. La sorte dei due imperi fu pero’ molto diversa. Dopo le sconfitte iniziali, che costarono la perdita di molte zone ricche e popolose, i bizantini riuscirono a tamponare l’avanzata araba formando una linea di difesa fortificata, ma sopratutto, con l’introduzione dei temi, a modificare sostanzialmente la struttura dell’esercito e la capacita’ di difesa delle provincie periferiche. La superiore capacita’ navale evito’ poi l’aggiramento della linea difensiva in Anatolia, anche se Bisanzio stessa fu sottoposta a qualche assedio privo di successo.

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I persiani invece non riuscirono ad opporre una resistenza sufficiente, e in pochi anni di guerra continua, la capitale dell’impero venne conquistata dagli arabi. Dopo poco, l’uccisione dell’ultimo imperatore dissolse completamente ogni opposizione, aprendo agli arabi la strada verso le steppe caucasiche e l’estremo oriente. Un’altra forte ragione della facilita’ della conquista araba puo’ essere inoltre identificata nella accondiscendenza con la quale la maggior parte delle popolazioni della costa meridionale del mediterraneo accettarono il cambio di dominazione, non sentendosi mai omogenei con i precedenti dominanti. Questo fu la ragione principale per la facile conquista dell’Egitto e della costa tunisina, che mal sopportavano il controllo di Bisanzio, per ragioni fiscali e religiose. Una maggiore difficolta’ gli arabi la incontrarono nel Magreb, regione in cui era molto piu’ forte il sentimento di indipendenza e dove, anche dopo aver vinto la prima resistenza, iniziera’ l’azione di distacco delle province piu’ lontane. La conquista del Magreb rese possibile il passaggio dello stretto e l’invasione della penisola iberica dove il regno visigoto oppose una debole resistenza, nell’indifferenza della popolazione. La penetrazione nella Gallia meridionale fu tamponata a fatica dai re Franchi, e solo piu’ tardi inizio’ una reazione significativa, fino alla creazione, da parte di Carlo Magno, della Marca di Spagna, origine della successiva Catalogna. Dopo circa un secolo dal suo inizio, l’espansione araba era praticamente completa. Il consolidamento di questo nuovo dominio avvenne ovviamente attraverso diverse crisi che, data la natura dell’invasore, erano contemporaneamente politiche e religiose. Ma per l’ampiezza e complessita’ del problema non e’ possibile discuterne nel dettaglio, ne’ e’ un argomento di questo studio. Quello che mi interessa di piu’ e’ l’analisi delle forme socioeconomiche che la dominazione araba sviluppo’ nell’enorme spazio dei paesi occupati, tenendo sempre conto che l’attenzione principale e’ sull’Europa occidentale. Innanzitutto bisogna considerare che i territori occupati erano tra i piu’ prosperi del mondo mediterraneo, sede di antiche civilta’, fortemente urbanizzati, con un sistema commerciale molto sviluppato, una cultura di alto livello e delle identita’ localistiche ben caratterizzate. Gli invasori invece, oltre che di una nuova religione che si inseriva nel filone monoteista dell’ebraismo e del cristianesimo, ritenendo di esserne lo sviluppo finale, erano portatori esclusivamente delle tradizioni tribali e di clan familiari delle popolazioni nomadi del deserto, uniti da poco in una unica nazione dalla religione stessa. Nella loro occupazione militare di regioni molto popolate, con strutture amministrative ben stabilite, gli arabi inizialmente non modificano niente, si limitano ad occupare le posizioni di comando e a raccogliere le tasse. La loro struttura sociale a base familiare diventa ancora piu’ evidente in questa dilatazione delle loro funzioni. A partire dai califfi, la cui nomina, a parte la richiesta di dover appartenere al clan familiare di Maometto, e’ stata sempre contesa tra diversi rami dei discendenti, proseguendo per i ruoli amministrativi, i governatorati delle varie province conquistate, i ruoli militari piu’ importanti, e’ un’incessante lotta tra clan familiari, che tendono a conservare le varie posizioni di potere trasmettendole sempre all’interno della famiglia. E’ vero che con la poligamia legale, con l’aggiunta del concubinato, la famiglia tende a crescere enormemente anche in poche generazioni, ma la forza del clan familiare e’ quello che prevale su tutto. In realta’ questo e’ un aspetto cosi’ forte nella societa’ araba, che puo’ essere ritrovato ancora oggi, e senza una grossa perdita di forza ed importanza. La lotta tra due dei rami della famiglia di Maometto, rivestitasi poi di un contenuto dottrinale, e’ di fatto alla base delle differenze tra le varie fedi islamiche, in particolare quella tra sunniti e sciiti. Credo che un grande pregio dell’occupazione araba, ed una delle piu’ forti ragioni del loro successo nel mantenere il controllo di un’area cosi’ vasta, sia proprio il conservare

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inizialmente le istituzioni, le abitudini, la religione precedente, anche se profondamente diverse da regione a regione. Probabilmente non potevano fare altro, perche’ non avevano un’alternativa adeguata che potesse essere imposta in sostituzione dell’esistente, ma questo ha permesso a poche persone di occupare i posti di potere senza suscitare rivolte troppo grosse o troppo estese che non potessero essere gestite dalla loro supremazia militare, seppure diluita in un territorio sempre piu’ ampio. L’arabizzazione dei territori conquistati avvenne lentamente, iniziando dall’obbligo dell’uso della lingua araba per tutti gli atti amministrativi, al posto del persiano usato in precedenza. Le differenze di trattamento fiscale, il diverso ruolo sociale, che avevano i mussulmani rispetto a chi non aderiva alla nuova religione e’ stato un argomento fortissimo per spingere tutte le popolazioni soggette verso l’accettazione dell’islam, sopratutto perche’ non vi era costrizione, ma solo convenienza. Non e’ stata una conversione immediata, ne’ uguale da regione a regione, ma in un paio di centinaia di anni, fino al termine del IX secolo, l’islamizzazione di tutta l’area conquistata era praticamente completata. Tra il X ed XI secolo si e’ assistito al periodo di maggiore attivita’ culturale dell’islam, con innovazioni scientifiche, forti sviluppi del pensiero filosofico, fiorire di attivita’ letterarie. E’ anche il periodo in cui incomincia la frammentazione dell’enorme impero, con le varie province che, pur mantenendo formalmente la sudditanza al califfo, di fatto diventano indipendenti, sviluppando autonomi processi di integrazione tra le originali culture e il nuovo islam. Mentre si hanno abbastanza informazioni sulla vita cittadina, sui commerci e le attivita’ artigianali, molto poco si conosce della struttura sociale delle campagne. Una osservazione evidente e’ che l’aridita’ del territorio ha concentrato la produzione agricola nelle poche aree irrigate naturalmente dai grandi fiumi e in zone in cui l’irrigazione artificiale, con l’uso di canali, spesso sotterranei per ridurre l’evaporazione, era possibile. Questa tecnica, abbastanza diffusa in Asia Minore, comportava ovviamente un’organizzazione collettiva di lavoro per costruire e mantenere efficienti a canali di irrigazione. Alcune informazioni tendono a suggerire, almeno per alcune regioni della Persia, l’esistenza di un obbligo di villaggio per quanto riguarda la tassazione sui prodotti agricoli, o almeno e’ questa la regola usata inizialmente dagli occupanti arabi. Le modifiche successive, per ridurre le eccessive differenze di tassazione tra mussulmani e non mussulmani, si indirizzarono verso una tassazione legata al possedimento di terra, ma non e’ chiaro se fosse su base individuale o collettiva. Quello che e’ chiaro e’ che non vi era alcun legame del contadino con la terra, che quasi sempre era data in affitto. Il commercio era diviso tra un commercio locale, di libero mercato, regolato dall’autorita’ cittadina, che garantiva gli spazi e la liberta’ di vendita, ed il ben piu’ importante commercio a lungo raggio, in cui dei veri capitalisti gestivano il trasporto e la vendita dei generi di lusso che arrivavano dall’oriente, nonche’ dell’oro ed altre materie prime essenziali dall’Africa sub-sahariana. Questi mercanti erano le vere elite economiche, con spazi riservati anche all’interno delle citta’, come a rappresentare una classe totalmente diversa. L’artigianato, molto diffuso, era sostanzialmente libero, non organizzato in corporazioni autoprotettive, anche se ogni settore, per pura efficienza di lavoro, tendeva ad avere un quartiere cittadino dedicato. Gia’ a partire dal IX secolo, delle tecniche finanziarie molto evolute, come le carte di credito, erano diffuse, specialmente in Persia, per i commerci a lunga distanza. Che lo sviluppo avvenuto molto piu’ tardi in Italia si sia basato su conoscenze di queste primitive forme di credito non e’ provato, anche se e’ abbastanza probabile.

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Nel periodo di massimo livello culturale, si assiste pero’ ad un indebolimento della qualita’ di vita nelle campagne, dove la grande proprieta’ prende poco alla volta il sopravvento sulla piccola, tendono a diminuire i contadi liberi e, in una non completamente comprensibile analogia a quanto avviene nello stesso tempo nel mondo bizantino, inizia a svilupparsi una forma “leggera” di societa’ feudale. Pur ribadendo che della situazione delle campagne si sa molto poco, perche’ manca una documentazione diretta, quello che appare e’ che il potere centrale non riesce ad avere la forza di imporre la sua volonta’ alla periferia, anche quando questa si dichiara formalmente fedele, e si accontenta quindi di ottenere dei tributi, senza verificare troppo se erano raccolti secondo la legge fiscale ufficialmente vigente. Questa tendenza a sottrarsi al controllo centrale, come anche la continua lotta per il potere in ogni parte dell’enorme regione islamica, era sicuramente favorita dalla struttura familiare della societa’, con famiglie estremamente ampie, veri e propri clan, che si contrapponevano gli uni agli altri. In quasi tutto l’islam e’ un continuo succedersi di dinastie familiari che si impongono sulle precedenti, senza causare pero’ grandi modifiche della struttura sociale generale. E’ stata ovviamente questa divisione del mondo islamico, in cui vari potentati locali cercavano di rendersi indipendenti dai loro signori formali, la ragione principale del successo della prima crociata, e della istituzione dei cosiddetti Stati Cristiani in Asia Minore, nonostante una inferiorita’ militare estremamente evidente. Quando l’islam ritrovo’ un minimo di accordo, perlomeno contro gli invasori cristiani, quelle strutture vennero facilmente travolte. Nel frattempo pero’ qualcosa di fondamentale nei rapporti di forza nel Mediterraneo era cambiato. E’ praticamente impossibile riassumere gli avvenimenti principali, nonche’ la struttura sociale, di sei-settecento anni di sviluppo di una regione cosi’ grande in poche pagine, per cui mi limito a notare alcuni aspetti che hanno una diretta influenza con la storia europea. L’unita’ del mondo islamico, sotto l’autorita’ del Califfo, dura poco, come gia’ fatto notare. In particolare si forma un secondo califfato in Egitto, regione, come vedremo, estremamente ricca economicamente, che estende, almeno formalmente, la sua autorita’ su tutto l’occidente islamico. Ma il Magreb, che aveva gia’ posto una discreta resistenza alla conquista, sviluppa molto presto una forte indipendenza sotto la spinta delle tribu’ berbere, ottenendo anche l’effetto di isolare l’Al-Andalus, cioe’ la Spagna, dai poteri centrali islamici e favorendo la nascita di un terzo califfato a Cordova. L’isolamento della Spagna dal resto dell’Islam, a parte il supporto berbero ottenuto di tanto in tanto, e’ una delle cause della relativa facilita’ della Riconquista cristiana. Anche ad est si creano zone indipendenti, ma per ragioni molto diverse. La decisione dei califfi di creare degli eserciti professionisti, reclutando uomini dalle regioni periferiche, in modo da formare unita’ omegenee e con forte spirito di corpo, senza legami con la terra locale, e con possibilita’ di essere contrapposte le une alle altre, aveva portato, fin dai primi secoli dell’islam, ad una forte presenza di truppe e capitani turchi sia a Bagdad che in altre citta’ importanti del grande impero. Famosi per la loro capacita’ militare, basata sostanzialmente sulla cavalleria, diverse etnie turche, sotto il comando di capitani abili ed ambiziosi, presero di fatto possesso di ampie zone del cuore dell’islam. Ma gia’ dal X secolo, spinte dalla crescita demografica e dalla pressione delle tribu’ mongole alle spalle, diverse popolazioni nomadi si islamizzano ed occupano territori persiani, diventando in parte stanziali. Da neofiti della nuova fede, con una visione rigorosa dell’islam, e come conseguenza delle lotte tra le tribu’, una parte di loro si rivolge verso ovest, portando insieme alla conquista politica un nuovo zelo spirituale sunnita, fino ad entrare senza necessita’ di combattere a Bagdad, dove da tempo il Califfo aveva assunto un ruolo esclusivamente

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religioso, mentre il governo temporale era sotto il controllo di una dinastia di Emiri di origini non arabe. Il Califfo nomina Sultano ed Emiro dell’est il loro capo Tughril, prende cosi’ forma la dinastia Selgiuchide che, pur cercando di contrapporsi al potente califfato d’Egitto, trova in realta’ piu’ facile sbocco in Anatolia, che viene in gran parte sottratta al controllo di Bisanzio, almeno fino alla parziale riconquista seguita alla prima Crociata. Il nuovo stato con classe dirigente turca si affianca ai diversi potentati che occupano le parti piu’ ad est e le steppe del Mar Caspio, ma il vero centro economico nonche’ spirituale dell’islam, nei secoli tra il X e il XIII, e’ l’Egitto. Sotto la dinastia Fatimide, la ricchezza agricola della valle del Nilo viene mantenuta e sviluppata, evitando, sotto l’attento occhio del potere centrale, la nascita di grandi proprieta’ terriere a scapito del lavoro contadino. L’Egitto diviene cosi’ il principale produttore di grano dell’intero islam, con grosse esportazioni anche al di fuori dei paesi mussulmani. Grazie anche alle difficolta’ interne di Bagdad, la cui amministrazione non riesce a tenere ragionevolmente libero dai pirati l’ingresso al Golfo Persico, con la conseguente riduzione del traffico commerciale dall’India e dalla Cina verso Bassora e le sue piste carovaniere verso la costa mediterranea, il Mar Rosso diviene il terminale privilegiato di questo commercio, con Alessandria il suo punto finale e centro commerciale per l’intero mediterraneo. Questa situazione di privilegio verra’ mantenuta a lungo, con l’intera via di commercio difesa da ogni possibile pericolo, e sara’ anche una delle ragioni principali del ruolo svolto dall’Egitto nella politica mediterranea fino all’esplosione dell’impero ottomano, nel XVI secolo. Ad est, dove la conquista Selgiuchide non pone fine all’irriquietezza delle tribu’ nomadi che ancora convivono con le popolazioni stanziali, e nemmeno alle ambizioni di potere dei diversi clan, a meta’ del XIII secolo arriva il ciclone mongolo. Dopo aver devastato Buchara e Samarcanda e sottomesso tutto l’Iran orientale, sotto la guida di Hulagu, nipote di Gengis Khan, morto pochi anni prima, i mongoli invadono e distruggono l’Anatolia e il nord della Siria, espugnando poi Bagdad nel 1258. Ritornano poi in Siria prendendo Aleppo, Damasco e Gaza. Vengono pero’ pesantemente sconfitti dalle truppe mamelucche egiziane nel 1260. Questa sconfitta, quasi inevitabile date le forze in gioco, avviene anche per un forte riflusso dell’avanzata mongola, con i maggiori capi richiamati in patria per derimere delle questioni di successione. Quella mongola e’ una vera e propria invasione, con sistematiche distruzioni di citta’ e massacri di intere popolazioni. I mongoli, fortemente legati alla vita nomade, sembrano accanirsi con particolare efferatezza contro le citta’ e gli abitanti che al loro interno si oppongono alla conquista. Dimostrano nello stesso tempo una straordinaria capacita’ militare anche nel superamento delle fortificazioni, spesso con conclamato disinteresse per la vita umana. Sono in ogni caso una minoranza, rispetto al numero dei conquistati, e se anche non si limitano a sostituire le classi dominanti, come avevano invece fatto i loro predecessori arabi e poi turchi, ma coinvolgono nella loro opera distruttiva anche le popolazioni in generale, alla fine, fermatasi per ragioni interne alla loro politica di successione la spinta espansionista, nel gestire la conquista non possono che ottenere gli stessi risultati di altri invasori. Vengono a poco a poco riassimilati da popolazioni piu’ numerose e di civilta’ piu’ adatta alla vita stanziale. I khanati che i conquistatori fondano a cavallo del Caspio ed in Iran non durano molto, ma rappresentano una nuova possibilita’ per i mercanti europei, in quanto i mongoli, sostanzialmente buddisti, non pongono limitazioni al transito di carovane cristiane verso l’oriente, e le grandi citta’ marinare italiane ne approfittano per stabilire collegamenti e creare intermediari, oltre che a scoprire direttamente l’esistenza di un mondo di cui vi erano solo racconti indiretti. Con il passaggio alla fede islamica, questi nuovi stati si liberano della

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sudditanza al Gran Khan mongolo, e si puo’ assistere ad una fortissima ripresa della civilta’ persiana, una cui variante linguistica si era gia’ imposta sull’arabo ai tempi della dinastia selgiuchide. In Anatolia, divisa in molti potentati, riprende la conquista ai danni di Bisanzio, mentre in Egitto, grazie alla vittoria sui mongoli, si impone la dinastia mamelucca, di origini turche, che mantiene altissimo il prestigio su tutto il mediterraneo. E’ l’alba del grande impero ottomano, ma molte altre disgrazie dovranno colpire queste regioni, prima che l’impero prenda realmente concretezza. Per quanto riguarda l’impero di Bisanzio, invece, dopo la crisi del VII ed VIII secolo, si ha una stabilizazione e un periodo di relativo sviluppo che dura dal IX all’XII secolo. Nonostante l’apparente floridita’, pero’, alcuni elementi di debolezza incominciano ad apparire, come uno scarso sviluppo demografico della parte asiatica dell’impero, dove i confini sono stabili anche perche’ non si hanno forti tensioni con la controparte islamica, ma i territori, nonostante gli sforzi del governo centrale, rimangono scarsamente popolati e preda degli interessi dei grandi proprietari. Una situazione migliore si ha sul versante europeo, dove sono pero’ necessari lunghi anni di guerra prima di riuscire ad assimilare nell’impero i bulgari, facendone un forte baluardo difensivo. Anche in Italia il confine viene consolidato e l’ambizione degli imperatori germanici e’ tenuta facilmente a bada, in una situazione praticamente di stallo, senza sviluppi e senza perdite. Il commercio, quasi esclusivamente marittimo, e’ fortemente incentrato su Bisanzio, anche perche’ le altre citta’ non riescono a decollare come propulsori di un’attivita’ economica nuova, e si limitano ad accogliere i notabili ed ad essere terminali del commercio di lusso. L’aumento della grande proprieta’ in Asia Minore e’ anche una concausa della diminuizione della popolazione, che spesso trova conveniente emigrare nelle zone islamiche, molto tolleranti religiosamente e meno oppressive fiscalmente. Tutto sommato e’ pero’ una vita soddisfacente e tranquilla, quella che si vive nell’impero in quegli anni, ma quando i turchi selgiuchidi irrompono in Anatolia, non c’e’ praticamente alcuna forza capace di opporsi. La prima Crociata, dovendo ottenere l’appoggio di Bisanzio per il passaggio in Asia Minore, e’ l’occasione per riprendere i territori persi, e a cio’ i capi crociati vengono vincolati da un giuramento. Ma la forza dell’impero non e’ tale da riuscire ad imporre il rispetto del giuramento, e Bisanzio deve rassegnarsi a vedere sorgere i nuovi stati cristiani su alcuni suoi antichi possedimenti, anche se indubbiamente un riallargamento dei confini si ottiene realmente. Come conseguenza della crociata, pero’, si ha il gia’ descritto sviluppo delle citta’ marinare italiane, Genova e Venezia in particolare, che tolgono molto velocemente spazio commerciale all’impero, indebolendo fortemente la sua struttura amministrativa ed la sua capacita’ militare, fondata ormai quasi esclusivamente su truppe mercenarie, che devono essere pagate in continuazione. Lo sviluppo commerciale delle citta’ italiane rende sempre piu’ dipendente da loro l’economia di Bisanzio, suscitando nello stesso tempo molti rancori contro di loro, con la conseguenza di una politica spesso ondivaga, che cerca di mantenere i vantaggi commerciali mettendo le diverse citta’ in contrapposizione, concedendo privilegi ora a questa ora a quella, con occasionali esplosioni “popolari” che portano a confische di beni e revoca di permessi. Anche se devono quasi sempre essere riconcessi perche’ non vi e’ piu’ autonomia commerciale in quello che era stato l’impero piu’ grande del mediterraneo. Non e’ quindi un fatto occasionale che nel 1204 una ulteriore spedizione armata verso la Terra Santa si indirizzi invece, sotto la spinta di Venezia e Genova, alla conquista, per la prima volta nella sua storia, di Bisanzio stessa, che diventa un regno latino per alcuni anni.

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Ridotta a minime dimensioni in Asia Minore dalla spinta Ottomana, in difficolta’ anche nei Balcani di fronte alle nascenti nazionalita’ desiderose di indipendenza, anche quando Bisanzio tornera’ in mano greca, non sara’ mai piu’ la stessa, in balia delle piu’ forti economie occidentali, incapace di proteggere i propri confini ed in attesa della caduta definitiva. A cavallo tra il XIII ed il XIV secolo, dove si spinge questo capitolo, il mondo europeo che ci appare e’ estremamente diverso da quello che era solo due o tre secoli prima, sia economicamente che culturalmente. Ma arrivati a questo punto di massimo sviluppo, ed in prossimita’ della grande crisi che per oltre un secolo travolse buona parte dell’Europa, val la pena di fare anche qualche osservazione generale. Abbiamo visto, piuttosto evidentemente, che le spinte economiche, gli interessi diffusi, l’interazione commerciale e culturale possono forzare verso situazioni genericamente simili, anche in presenza di punti di partenza diversi. E’ altrettanto ovvio ed evidente che ci possono essere evoluzioni del tutto dissimili in zone fisiche separate, anche in presenza di interscambi commerciali e sotto la pressione di esigenze economiche uguali, come e’ stato di fatto, rispetto all’Europa occidentale, per l’Impero di Bisanzio da una parte ed per il mondo islamico dall’altra. L’analisi piu’ dettagliata delle diversita’ che si vengono a creare nel mondo occidentale, che e’ l’oggetto principale di questa narrazione, puo’ aiutare a capire le ragioni di queste differenze. Mentre in Francia ed in Spagna l’equilibrio feudale sembra rompersi a favore della nascita di un regno nazionale forte, e l’Inghilterra e’ gia’ una nazione unita, ma gli interessi feudali della casa regnante sul continente ne indebolisce le forze, in Germania l’equilibrio tra i Grandi Elettori imperiali e’ saldissimo e durera’ a lungo. In Italia, dove la preesistenza di un gran numero di citta’ ha generato piu’ precocemente la nascita della forte economia cittadina, di una classe commerciale ricca ed intraprendente, la situazione e’ bloccata dall’esistenza di un potere che supera la normale dimensione economica e militare, ed e’ quello della chiesa. Il papato svolge una continua opera, utilizzando tutte le armi a sua disposizione, per impedire la nascita di uno stato forte e nello stesso tempo di favorire la forza degli stati comunali contro le ambizioni unificanti dell’Imperatore. La chiesa svolge quindi sia un compito stabilizzatore che disgregatore, sempre alla ricerca di un equilibrio al ribasso delle forze laiche, in modo da poter essere continuamente l’ago della bilancia. Nel sud dell’Italia, poi, la conquista normanna, che privilegia le citta’ alle campagne, in cui favorisce lo sviluppo del latifondo, gia’ preponderante sotto i bizantini, blocca anche la nascita dell’individualita’ cittadina e lo sviluppo di una forte borghesia commerciale. Ne e’ un esempio piu’ che lampante il crollo del ruolo commerciale di Amalfi dopo la sua assogettazione al regno normanno. Nonostante quindi la spinta economica risulti sostanzialmente uguale in tutte le regioni, l’effetto di tanti altri fattori, seppur individualmente meno forti, risulta preponderante a definire i dettagli dell’evoluzione socioeconomica di ogni parte d’Europa. E’ evidente quindi che schematizzare troppo le forze in gioco, limitandosi alle maggiori che sono anche piu’ comprensibili, ma dimenticandosi delle tantissime indubbiamente meno importanti singolarmente, porta spesso a grossolani errori di valutazione, perche’ il mondo non segue un andamento lineare, e forze anche piccole, in particolari situazioni, possono svolgere ruoli molto importanti. In altri termini, lo sviluppo della societa’ umana e’ un sistema complesso, la cui dinamica non pio’ essere semplificata nell’azione lineare di pochi e conosciuti elementi.

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Alcuni aspetti comuni a praticamente tutta l’Europa sud occidentale sono pero’ identificabili. Prima di tutto, nonostante l’enorme aumento della vita cittadina, della sua ricchezza dovuta allo sviluppo del commercio, l’intera societa’ rimane, per tutto il periodo preso in considerazione, sostanzialmente contadina. La fatica dei campi puo’ forse passare inosservata, ma e’ ancora quella che permette la crescita numerica della popolazione, anche se la resa delle coltivazioni cresce solo di poco, e quasi esclusivamente per l’uso dell’aratro di ferro e del cavallo per trainarlo. La vita dei contadini si fa quindi sempre piu’ dura quanto piu’ e’ la quantita’ del loro prodotto che deve essere dirottato verso le citta’ in espansione, e questo quasi indipendentemente dalla forma ufficiale del suo ruolo, sia cioe’ un servo della gleba ancora vincolato al campo che deve lavorare o un affittuario che deve pagare in denaro e non in natura. Spesso la vita delle campagne viene peggiorata da un fenomeno conosciuto sotto il nome di rifeudazione, e cioe’ l’investimento in proprieta’ terriere degli utili del commercio da parte di molte delle famiglie piu’ abbienti, che cercano di adeguare il proprio stile di vita a quello della grande nobilta’. E’ un aspetto che si verifica con grande evidenza sia in Italia che nei paesi del nord europa. L’aumentato sfruttamento del lavoro agricolo e la permanenza, se non l’aumento, di situazioni di totale servilismo sara’ una delle cause principali della serie di rivolte contadine che infiammeranno il secolo successivo, e di cui parlero’ nel prossimo capitolo di questa narrazione. Un secondo aspetto che risultera’ diffuso abbastanza generalmente e’ quello della rivolta delle arti minori, cioe’ degli artigiani, che nella suddivisione di potere nelle citta’ sono sempre stati succubi della classe mercantile, fino ad arrivare, come abbiamo visto per le Fiandre, a livelli di lavoro salariato senza alcuna autonomia e potere decisionale. In effetti l’apparente benessere che viene raggiunto nei primi decenni del XIV secolo nasconde anche profonde tensioni sociali, che aspettano solo un periodo di crisi per esplodere. E la crisi ci sara’ e sara’ assai violenta. Bibliografia [1] – R. Fossier: Storia del Medioevo II, Il Risveglio dell’Europa 950-1250 (Einaudi 1985) Le Moyen Age II: l’eveil de l’Europe 950-1250 – 1982 [2] – Storia Economica Cambridge Vol. I L’agricoltura e la Societa’ Rurale nel Medioevo

(Einaudi 1976) The Cambridge Economic History of Europe Vol. I:The Agrarian Life of the Middle

Ages – 1966 [3] – Storia Economica Cambridge Vol II Commercio ed Industria nel Medioevo (Einaudi

1982) The Cambridge Economic History of Europe Vol. II: Trades and Industries in the

Middle Ages – 1952 [4] – Storia Economica Cambridge Vol III Le Citta’ e la Politica Economica nel Medioevo

(Einaudi 1977) The Cambridge Economic History of Europe Vol. III: Economic Organization and

Policies in the Middle Ages – 1965

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[5] – H. Pirenne: Storia Economica e sociale del Medioevo (Garzanti 1985) Histoire Economique et Sociale du Moyen Age – 1933 [6] – Storia d’Europa 3 - Il Medioevo – secoli V-XV (Einaudi 1994) [7] – Storia dell’Economia Italiana Vol I - Il Medioevo dal Crollo al Trionfo (Einaudi 1990) [8] – G. Benvenuti: Le Repubbliche Marinare (Amalfi, Pisa, Genova e Venezia) (Newton

Compton 1989) [9] – E. Christiansen: Le Crociate del Nord - il Baltico e la frontiera cattolica 1100-1525 (Il Mulino

1983) The Northern Crusades - 1980 [10] – R. Villari: Mille Anni di Storia (Laterza 2000) [11] – A. Ducellier, F. Micheau: L’Islam nel Medioevo (il Mulino 2004) Le Pays d’Islam. VII – XV siècle - 2000