IL LEGIONARIO - LEGIO II BRITANNICA...»(Dionigi d'Alicarnasso, Antichità romane, IX, 15) Libera...
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IL LEGIONARIO COMMENTARIVS DEL SOLDATO ROMANO
NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE
ANNO III N.20 – GIUGNO 2016 -
Testo e struttura a cura di TETRVS
Con questo suggestivo titolo ripreso da quello di un film del 1972 diretto da Armando Crispino si vuol richiamare una battaglia in cui gli Etruschi sconfissero un contingente romano formato da circa 300 uomini della Gens Fabia presso il fiume Cremera.
La battaglia del Cremera venne combattuta sulle rive dell'omonimo fiumicello il 13 febbraio del
477 a. C. Più che una battaglia fu un agguato teso dai guerrieri Veienti a quelli Romani che stavano
saccheggiando il loro territorio. È divenuta famosa in quanto le forze romane erano composte quasi
esclusivamente da combattenti che appartenevano alla nota famiglia della Gens Fabia..
Sulla data esatta della battaglia non vi è in realtà una convergenza di ipotesi fra i vari studiosi. Le ipotesi sono tre: 13 febbraio, 16 luglio o 18 luglio. La data del 13 febbraio sembra la più accreditata in quanto riportata da Ovidio che dà in generale prova di notevole precisione sugli aspetti calendariali degli eventi storici (Augusto Fraschetti, Ovidio, i Fabii et la battaglia del Cremera (PDF)
Roma e Veio In quei tempi, Veio era una città etrusca a circa 17 km a nord di Roma e controllava il territorio a
destra del Tevere. Nel tempo si era sviluppata assoggettando le città limitrofe e aveva, perciò, raggiunto una
discreta potenza militare ed economica. Cinta da possenti mura e arroccata sulla cima di un ripido colle
rappresentava una sorta di “sentinella” al confine meridionale dell’area d'influenza etrusca. Da questa
posizione strategica, Veio fece da baluardo alla marcia espansiva di Roma frenandone per lungo tempo
l’avanzata verso Nord. Di conseguenza, fra le due città vi erano continui scontri e guerre per il controllo del
territorio, allo scopo di garantirsi il controllo delle vie marittime e dei relativi commerci, soprattutto del sale.
La rivalità economica fra le due città era, dunque, notevole. In genere, i Veienti – consapevoli della potenza
dell’esercito romano - non affrontavano direttamente le legioni di Roma, ma « … assillanti più che
pericolosi, tenevano in allarme i romani, più con le loro provocazioni che per via di un effettivo pericolo,
perché mai li si poteva trascurare del tutto indirizzando altrove lo sforzo bellico » (Tito Livio, Ab Urbe
condita libri, II, 48., Newton & Compton, Roma, 1975, trad.: G.D. Mazzocato)
Considerata la loro organizzazione federale di città-stato, in caso di guerra gli eserciti etruschi erano reclutati su base
cittadina e richiamando alle armi i cittadini secondo ricchezza e posizione sociale: di conseguenza composizione,
equipaggiamento e aspetto degli eserciti doveva variare molto. Le formazioni armate comprendevano corpi di opliti, di
truppe leggere e di cavalleria, ognuno con i propri equipaggiamenti e con i propri compiti.
Gli opliti erano soldati con servizio permanente: erano sottoposti a costante addestramento, sostenevano il maggior peso
del combattimento, combattevano compatti ed erano armati di lancia, spada, difesi da scudo, elmo e corazza o un
piccolo pettorale al centro del petto. Considerata la loro esiguità numerica, si può pensare che combattessero affiancati
da guerrieri con armamento e protezioni minori. Al loro fianco si trovavano reparti di truppe leggere, che
comprendevano fanti armati alla leggera e tiratori scelti (arcieri o frombolieri), con il compito di provocare il nemico,
disturbarlo e disorganizzarlo prima dell'urto degli opliti. La cavalleria si basava sulla mobilità e aveva compiti di
avanguardia ed esplorazione, di ricognizione, scorta, inseguimento al termine della battaglia.
Bronzetti raffiguranti guerrieri etruschi
I Fabii All’epoca dei contrasti tra Roma e Veio, la gens Fabia era considerata una fra le più in vista ed
influenti della città. Il primo console dei Fabii, fu Quinto Fabio Vibulano (485 a.C.), seguito - nei sette anni
successivi - dai tre fratelli Fabii (Quinto, Marco e Cesone), fino a che l'aristocrazia romana non riuscì a
fermare la loro potenza contrastando in modo veemente la politica dei Fabii e in particolare quella di Cesone,
finalizzata all'affrancamento delle classi meno abbienti.
Nel 479 a.C., probabilmente anche per distogliere l'attenzione dei Romani su come i Fabii si stavano
occupando della gestione della res publica, la gens decise di assumersi tutte le responsabilità di una nuova e
definitiva guerra contro Veio. Tali operazioni militari si trasformarono, perciò, in una sorta di guerra
personale, dove anche personali e privati avrebbero dovuto essere costi e benefici. I costi lo furono. Tito
Livio illustra il modo in cui si aprirono delle ostilità fra i Fabii e Veio: « Allora la gente Fabia si presentò al
Senato e fu il console a parlare per tutti i suoi: «"La guerra contro Veio, come voi padri coscritti ben sapete,
ha più bisogno di un impegno assiduo che del coinvolgimento di molti uomini. Voi dedicatevi alle altre
guerre e lasciate che siano i Fabii ad essere nemici dei veienti. Noi ci impegniamo a salvaguardare
l'autorità di Roma in quel settore. Noi intendiamo condurre questa guerra come un affare di famiglia,
finanziato privatamente, mentre la repubblica non dovrà impegnare né denaro né uomini". Ricevettero
grandi segni di gratitudine »
Livio sottolinea inoltre che se altre due famiglie si fossero assunte gli stessi impegni anche contro i
Volsci e gli Equi, «sarebbe stato possibile sottomettere tutti i popoli confinanti, mentre il popolo romano se
ne sarebbe stato tranquillo in pace. »
Il giorno successivo alla “dichiarazione di guerra” 306 Fabii, tutti patrizi e tutti membri di un'unica
famiglia si riunirono armati sotto la guida del loro console e – acclamati dalla popolazione - uscirono dalla
città attraverso l'arcata destra della Porta Carmentale (arcata che, in seguito all'esito della spedizione, verrà
chiamata Porta Scelerata) per giungere poi al fiume Cremera ritenuto un posto adatto per stabilirvi un campo
fortificato.
È probabile che le forze effettive dell’esercito dei Fabii fossero circa cinquemila unità, (ossia, quasi
un'intera legione) mentre i Fabii stessi dovevano invece costituite le ali della cavalleria. Il numero è dovuto
al fatto che il concetto di “gens” dovrebbe essere allargato a quello di “clientes” ossia tutte quelle persone
(faccendieri, amici, lontani parenti, opportunisti, ecc.) legate ai Fabii, secondo le leggi romane del patronato
e della clientela, da doveri di aiuto e sostegno reciproci e che, quindi, si erano dovute aggregare, volenti o
nolenti, a quella sorta di privata milizia.
« Quando arrivarono presso il fiume Cremera che scorre non lontano dalla città dei veienti costruirono un
forte su un colle ripido e scosceso, per controllare il territorio. La fortezza era grande a sufficienza per
essere difesa da un tale esercito, circondata da una doppia palizzata e con torri ravvicinate e fu chiamata
Cremera dal nome del fiume. Poiché al lavoro partecipava lo stesso console fu impiegato meno tempo del
previsto. »(Dionigi d'Alicarnasso, Antichità romane, IX, 15) Libera versione da una traduzione inglese)
Il Crèmera (detto anche Fosso della Valchetta) è un fiume del Lazio che scorre a nord di Roma e costituisce uno degli affluenti minori di destra del Tevere. Nel suo corso attraversa la zona protetta del parco Regionale di Veio detta valle del Sorbo. Il Cremera è formato dalla confluenza di due torrenti: il Fosso della Mola dei Monti e il Fosso della Mola di Formello. Altri importanti affluenti sono, da sinistra il Fosso dei Pantanicci e il Fosso della Vaccareccia, da destra il Fosso Piordo
Ben trincerati nel loro “castra” i Fabii compirono razzie e saccheggi lungo il territorio veiente e, con
lo scopo di proteggere e rendere sicure le aree romane e insicure quelle veienti. I Veienti attaccarono
l’accampamento romano e - in soccorso all’esercito dei Fabii - fu prontamente inviato un esercito romano,
comandato da Lucio Emilio. Si scatenò una vera battaglia e gli etruschi – che non erano ancora riusciti a
mettersi in formazione di combattimento - furono attaccati e pesantemente sconfitti e inseguiti fino a Saxa
Rubra dove vi era il loro campo. Veio chiese ed ottenne la pace e la ottennero, ma prima ancora che i Fabii
lasciassero il loro accampamento, gli etruschi ripresero le ostilità.
I Fabii resistevano. Livio ricorda che « ...non si trattava solo di scorrerie attraverso il territorio o di
improvvisi assalti di un gruppo di sabotatori, ma più volte si arrivò a battaglie regolari in campo aperto. »
Questi scontri e scaramucce durarono per circa un paio di anni e per Veio, considerata allora la più
potente città della zona, suonava come uno smacco (e come un pericoloso segnale di debolezza lanciato ad
altre popolazioni ostili) il fatto che una sola famiglia romana, riuscisse per così tanto tempo a tenerle testa.
Così, nel $77 a.C., Veio decise che la situazione non poteva essere più tollerata e che era necessario dare una
definitiva risposta a Roma.
La strategia etrusca consisteva nel far credere che Veio fosse più debole di quanto fosse in realtà.
Spopolarono le aree agricole, lasciando il bestiame incustodito, come se i contadini etruschi fossero
improvvisamente scappati per la paura dei Romani e fecero indietreggiare le truppe mandate a contrastare le
incursioni romane. Questa tattica fece credere ai Fabii che oramai la vittoria finale era nelle loro mani; in
questo modo divennero imprudenti e sottovalutarono i Veienti, convinti del fatto che oramai gli Etruschi non
fossero in grado di resistere alla loro forza, indipendentemente dal luogo e dal momento dello scontro.
Il 13 luglio 477 a.C. i Fabii, dall'alto delle loro postazioni, videro delle greggi "abbandonate" e -
sicuri della loro forza - uscirono dal campo per inseguire e catturare le pecore senza rendersi conto di
sparpagliarsi e perdere ogni collegamento tra loro e finire in un’imboscata.
I Veienti uscirono allo scoperto con le loro grida di guerra che disorientarono i Fabii che non si
aspettavano una tale sortita. Gli etruschi poi cominciarono a bersagliarli di proiettili di vario tipo per poi
circondarli, forti della loro superiorità numerica. A questo punto, per i Fabii non c'era alternativa; cercarono
di radunarsi ordinatamente e si schierarono a cuneo, e battendosi in questa formazione, riuscirono a
raggiungere un rialzo del terreno nei pressi di un’altura.
Da questo punto, comunque non molto elevato organizzarono una prima resistenza e – con la
disciplina e l’ordine – che caratterizzava il guerriero romano – riuscirono addirittura a respingere un primo
assalto dei Veienti. Nonostante l’inferiorità numerica, data la posizione acquisita, i Fabii avrebbero potuto
anche battere gli Etruschi se questi – girando intorno all’altura – non ne avessero raggiunto la sommità.
Adesso erano i Veienti a godere del vantaggio di posizione. I Fabii furono sopraffatti e massacrati.
Sembra che di tutta la gens Fabia fosse rimasto un solo componente: Quinto, figlio di Marco. (Livio riporta
che era stato lasciato a Roma perché troppo giovane ma l'informazione sembrerebbe errata dato che solo dieci anni dopo
Quinto Fabio Vibulano divenne console.)
Sconfitta dei Fabii durante la battaglia del Cremera, incisione del XIX secolo, Granger, NYC /Archivi Alinari
Galvanizzati dal successo i Veienti sconfissero anche un esercito romano prontamente inviato a
contrastarli sotto il comando del console Tito Menenio Lanato. A questo punto, Roma rischiava di essere
assediata e conquistata dagli Etruschi; fu salvata solo dall'intervento di altre truppe richiamate dal territorio
volsco dove stavano combattendo al comando dell'altro console Gaio Orazio Pulvillo. I Veienti avevano già
occupato il Gianicolo da dove restituirono a Roma gli attacchi e i saccheggi che avevano subito dai Fabii.
Ma, per una sorta di legge del contrappasso, furono essi stessi fermati, sconfitti e massacrati nello stesso
modo in cui avevano tratto nel tranello i Fabii. Infatti i Romani mandarono allo sbando un gregge di pecore
che i Veienti si misero ad inseguire finendo per disperdersi inermi e sbaragliati dai Romani.
"quo plures erant, maior clades fuit" (fu una strage più estesa di quanto non lo furono i Fabii) (ibid., 51)
Bibliografia essenziale
Tito Livio, Ab Urbe condita libri
Eutropio, Breviarium ab Urbe condita I,16
Dionigi di Alicarnasso, Ρωμαικης Αρχαιολογιας (Rhomaikes Archaiologias, Antichità romane, IX.
Augusto Fraschetti, Ovidio, i Fabii et la battaglia del Cremera (PDF).
ARCHEOLINGUISTICA ETRUSCO: UNA FORMA ARCAICA DI UNGHERESE?
Rispetto al libro del Prof. Mario Alinei “ETRUSCO; UNA FORMA ARCAICA DI
UNGHERESE”, edito da il Mulino – 2003 (e da cui proviene il nostro titolo), si è preferita una forma
interrogativa rispetto a quella affermativa in quanto gli interrogativi sulla misteriosa origine degli
Etruschi e sulla loro oscura lingua sono sempre all’ordine del giorno (come in seguito ha riproposto
successivamente lo stesso Autore); comunque l’originaria e originale tesi avanzata da Alinei è suggestiva
e non certo infondata anche se poi – come vedremo – dallo stesso Autore rivista e corretta.
Mario Alinei nato a Torino nel 1926 è un glottologo italiano, professore emerito all'Università di
Utrecht, dove ha insegnato dal 1959 al 1987. Tra i suoi principali contributi in ambito linguistico, è
rilevante, quello elaborato nella Teoria della continuità linguistica (con le due ipotesi cronologiche: breve
e lunga); teoria ampiamente sviluppata nella sua pubblicazione intitolata Origini delle lingue d'Europa,
edita in due volumi da Il Mulino, Bologna, (il I nel 1996 e il II nel 2000).
Nel libro “Etrusco: una forma arcaica di ungherese” Alinei propone, in coerenza con la Teoria della
continuità, di identificare l'etrusco come una fase arcaica dell'attuale lingua ungherese e compresa una
lettura in questo senso di diversi testi etruschi. Difatti “con questo nuovo contributo Alinei intende mostrare la parentela dell’etrusco con l’ungherese,
sulla base della Teoria della Continuità elaborata nel suo studio sulle origini delle lingue europee. A
fondamento della ricerca stanno la straordinaria somiglianza fra i nomi delle magistrature etrusche e quelli
delle magistrature degli antichi magiari e altre numerose affinità – tipologiche, lessicali e di grammatica
storica – rintracciabili tra le due lingue. Tali somiglianze hanno permesso all’autore da un lato di confermare
gran parte dei risultati già raggiunti dalla migliore etruscologia, dall’altro di di migliorare la traduzione di
testi già tradotti, e infine di tradurre testi «parlanti» finora traducibili o testi «bilingui» solo parzialmente
tradotti. Il volume si conclude con una rilettura dei risultati raggiunti dagli studi sulla preistoria etrusca, e
con una nuova ipotesi sulla dibattutissima data della «conquista» dell’Ungheria da parte degli antichi
magiari.” (NdC)
Si passa quindi dalle origini turciche e e ungheresi dei principali termini etruschi presenti nella
magistratura alle origini carpatico-danubiane degli Etruschi stessi nell’ambito della ricerca archeologica
e e della Teoria della Continuità.
In sostanza, interessante contributo che apre una visione nuova su questo popolo affascinante e
arcano come la sua lingua.
Nel successivo libro Gli Etruschi erano Turchi (ed. Dell’Orso, 2013) Alinei, sulla base della
scoperta delle affinità genetiche, culturali e linguistiche turco-etrusche, modifica questa tesi e identifica
nei Turchi gli antenati degli Etruschi; tesi confermata anche dall'etnonimo latino Tuscus < *Tur-s-cu-s,
umbro Turskum. Inoltre spiega che le affinità etrusco-ungheresi sono anch'esse reali, ma sono dovute alla
massiccia presenza di turchismi nell'ungherese, dovuta all'invasione preistorica dell'Europa sud-orientale
da parte dei Turco-Altaici, i primi addomesticatori del cavallo.
Ad ogni modo, lo “spostamento” è relativo, tenuto conto di alcune affinità tra ungheresi e turchi,
almeno dl punto di vista del ceppo originario.
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EVENTI
L’associazione ROMARS sarà la parte interprete dei Romano-Bizantini presentando l’unità coortale della X
Vrbana che – per l’occasione – vestirà il ruolo di milizia cittadina di Roma coordinata dai Bizantini, ossia dall’esercito
Romano d’Oriente. A partire dalla caduta dell’Impero d’occidentale, Roma, dopo essere era stata in mano ad Odoacre
prima e a Teodorico dopo, era divenuta parte dell’Esarcato di Italia ovvero dei possedimenti bizantini nella penisola.
Difatti, all’interno dell’Esarcato vi era il Ducato romano che comprendeva buona parte dell'odierno Lazio e un'area
ridotta dell'Umbria meridionale (Amelia e zone limitrofe). Si estendeva all'incirca da Narni e Viterbo (alto Lazio) fino a
Gaeta ed Atina (ai confini con la Terra di Lavoro).
Monteveglio (Montebellium) è un comune della provincia di Bologna. Le prime notizie certe di insediamenti
nella zona dell'attuale comune di Monteveglio risalgono al I secolo d.C. In questo periodo erano presenti ville romane
nella zona dell'odierna abbazia, di cui rimane assai poco, oggi nel Parco regionale dell'Abbazia di Monteveglio: un
edificio all'interno del borgo reca nella facciata due lastre fitomorfe romane di riutilizzo e presenta dinanzi all'ingresso
due rocchi di colonna ionica romana oggi adoperati come sostegno per vasi di fiori.
Un'ipotesi sul nome del comune vorrebbe far risalire Monteveglio al latino Mons belli, ossia «Monte della
guerra». L'ipotesi, sebbene plausibile dal punto di vista della fonetica, non è avvalorata da alcuna prova, dal momento
che non risulta la presenza di alcun tipo di fortificazione o presenza militare romana in zona. Maggiormente verosimile
è l'ipotesi secondo cui Monteveglio sarebbe una corruzione fonetica di «Montebello».
Durante il Medioevo Monteveglio insieme ad altri centri faceva parte di un sistema di fortificazioni che,
realizzatosi tra i corsi del Samoggia e del Panaro, avrebbe contribuito a trattenere i Longobardi al di là dei confini
dell'Esarcato di Ravenna fino alla definitiva conquista di Liutprando del 727. Nel 728 Monteveglio entrò a far parte del
ducato di Persiceto. (Ken Randall – ripr. riservata)
ARCHEOGEOGRAFIA Il Corridoio Bizantino (Ad da Wikipedia)
Il “Corridoio Bizantino” (nome originale: Provincia Castellorum) era la denominazione
che aveva la stretta fascia territoriale dell'Esarcato d'Italia appartenente, oggi, alle regioni Lazio,
Umbria e Marche. Venne creato dall'Impero d’Oriente per collegare Ravenna e Roma.
Origine Il Corridoio Bizantino si formò nell'anno 570, quando le conquiste longobarde
risparmiarono una striscia montana di territorio bizantino, costituito da castelli difficilmente
espugnabili quali Narni, Amelia, Todi, Perugia e Gubbio, fortezze che gravitavano soprattutto sulla
via Amerina, in quanto la via Flaminia, che rappresentava una strada più agevole, era già in mano ai
Longobardi.
La formazione del corridoio bizantino fu il frutto di attente strategie politico-militari messe
in atto sia dai Romani d’oriente sia dai Longobardi. Infatti, mentre i Bizantini si trovavano nella
necessità di cercare un percorso che costituisse una valida alternativa alla via Flaminia, per
permettere le comunicazioni e il collegamento tra Roma (sede del potere spirituale) e Ravenna (sede
del governo di Costantinopoli in Italia), i Longobardi invece, tentavano a loro volta di impedire i
collegamenti tra Roma e Ravenna oltre a cercare di conquistare Roma. Infatti i Longobardi del
Ducato di Spoleto, unificando i loro possedimenti con quelli longobardi dislocati nella Tuscia,
avrebbero bloccato qualsiasi comunicazione tra le due città e definitivamente cancellato ogni
possibilità di difesa per Roma realizzando così il loro disegno politico-miliatre di porre l'intera
penisola sotto il proprio dominio.
Confini Nell'ambito dell'Esarcato d'Italia (che comprendeva anche il Ducato di Roma) tale corridoio
metteva in diretto collegamento i possedimenti imperiali tirrenici con quelli adriatici, confinando ad
ovest col Ducato di Tuscia e ad est col Ducato di Spoleto, entrambi Longobardi, tagliando in due il
dominio Longobardo in Italia.
Mappa dell'Italia bizantina e longobarda.
La via Flaminia si trovava sotto il controllo del ducato di Spoleto per tutto il suo tratto
umbro, ma superata Helvillum (Fossato di Vico), passava sotto il controllo dei bizantini, entrando
nella Pentapoli montana (o annonaria). Il confine tra i due domini era il Passo della Scheggia.
La via Amerina, invece, controllata dai Romani d’Oriente lungo tutto il suo percorso, aveva origine
in territorio veiente all'altezza della mansio ad Vacanas, da dove si distaccava dalla via Cassia, e
passava per i centri di Nepi, Falerii Novii (oggi identificabile in Civita Castellana) Amelia e poi su
fino a Todi e Perugia. Dopo Perugia, raggiungeva Gubbio, oltrepassava il Passo della Scheggia ed a
Luceoli (oggi Ponte Riccioli, nei pressi dell'odierna Cantiano, appena entrati nelle Marche) si
congiungeva con la via Flaminia.
Dal caposaldo di Luceoli, la via Flaminia conduceva, attraverso le gole del Burano e del
Furlo, negli altri luoghi della Pentapoli: Cagli, Fossombrone, fino a Fano. Pervenuti a Fano nella
Pentapoli marittima, dalla vicina Pesaro, si raggiungeva Rimini. Qui terminava la via Flaminia ed
iniziava la via Popilia che, costeggiando il litorale, conduceva alla capitale Ravenna. Bibliografia
Gabriele Presciutti, Maurizio Presciutti, Dromedari Giuseppe, Il corridoio bizantino al confine tra Marche e Umbria, Pesaro 2014, ISBN 9788891141491
Giorgio Ravegnani, I Bizantini in Italia, Il Mulino, Bologna, 2004, ISBN 88-15-09690-6
BIBLIOTECA
Costantino il vincitore
di Alessandro Barbero 10, pp. 850- Salerno editore €49,00(Biblioteca storica)
L'opera. Dopo aver sconfitto e ucciso tutti i propri rivali, Costantino prese come nome "il Vincitore". In vecchiaia
si convinse d'essere sempre stato cristiano, e di dovere a Dio le sue vittorie. Nessun'altra figura dell'antichità è così
difficile da ritrovare attraverso il velo della propaganda e del mito. Costantino è comunque il primo imperatore
cristiano. È il sovrano che si è convertito prima della battaglia di Ponte Milvio, dopo aver visto in cielo la croce con
la scritta In hoc signo vinces, e che ha messo fine alle persecuzioni, concedendo libertà di culto ai cristiani. Ma cosa
sappiamo realmente di lui? Dall’ultimo dopoguerra fra gli storici si è diffuso un clima di ammirazione e di ossequio
verso uno dei protagonisti del periodo tardo antico. Alessandro Barbero in questo libro – frutto di un lavoro di
ricerca di dieci anni - contesta alla recente storiografia un’inquietante mancanza di spirito critico, sia nei toni
celebrativi con cui presenta la figura dell’imperatore, sia nell’ingenuità con cui accetta come autentiche fonti che
meriterebbero un approccio ben più scettico e che, in realtà, se prese alla lettera - lungi dal giovare alla immagine di
Costantino - dipingerebbero il profilo poco edificante di un tiranno disturbato.
L'autore. Alessandro Barbero è scrittore e storico. Insegna Storia Medievale all’Università del Piemonte orientale.
Collabora con diverse testate e con programmi televisivi e radiofonici della RAI. Tra i suoi impegni editoriali ricordiamo
la direzione della collana “Aculei” e della “Storia d’Europa e del Mediterraneo” della Salerno Editrice.
Numeri pubblicati 1) Soldati di Roma (esaurito)
2) V SECOLO: IL PROTO MEDIOEVO
3) Orazio Coclite (esaurito)
4) Il Dominio di Soisson (esaurito)
5) LE COORTI URBANE
6) LA LANCIA DEL DESTINO
7) BURGH CASTLE
8) IL PERIODO ROMULEO
9) L’ARCO RACCONTA … LA CAMPAGNA D’ITALIA DI COSTANTINO
10) ZENOBIA, REGINA DI PALMIRA
11) 284-395, IL PRIMO TARDO IMPERO
12) IL PRETORIANO DI CRISTO
13) MAGNVS MAXIMVS
14) IL GIORNO DELL’ALLIA
15) I MISTERIOSI ARCANI
16)LA VIA DEL TRIONFO
17)L’ASSEDIO DI MASADA
18)DE REDITV SVO
19)I DUE VOLTI DELL’IMPERO ROMANO
20)L’ETRUSCO UCCIDE ANCORA
(per gli arretrati cartacei indirizzare la richiesta a [email protected]
CONTATTI:
3332765818---3883683997
ROMARS legio secunda britannica legioiibritannica.altervista.org/ [email protected]