Impatto della Brexit sulla Comunità Accademica Italiana...

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1 Survey Report Giugno 2017 Impatto della Brexit sulla Comunità Accademica Italiana nel Regno Unito Ambasciata d’Italia nel Regno Unito Sin dall’avvio della campagna referendaria sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (Brexit) oltre il 90% della comunità scientifica britannica si è subito schierata per il “remain”. Questa posizione è stata rappresentata in molti studi e dichiarazioni ufficiali. Si segnalano in particolare documenti pubblicati dalla Royal Society, la più illustre accademia scientifica britannica ed una delle più prestigiose al mondo, tra cui: - Il report ‘UK Research and European Union’, nel quale si metteva in evidenza come una eventuale Brexit avrebbe avuto un impatto negativo su aspetti cardine della ricerca britannica: finanziamenti, mobilità e collaborazione, e possibilità di contribuire all’ elaborazione di regole comuni in Europa; - Il manifesto ScienceIsGlobal, firmato da numerosi scienziati e accademie e volto a sostenere l’importante carattere internazionale della ricerca; A seguito della vittoria del “leave” al referendum del 23 Giugno 2016 c’è stata una generale reazione di sconcerto, che ha rasentato l’irritazione, non solo tra gli accademici ma anche da coloro che ricoprivano cariche istituzionali vicine al mondo della ricerca. Tra questi Jo Johnson, il ministro della ricerca scientifica, che ha usato termini come “disarray” e “rage” nel commentare il risultato del referendum del 23 Giugno. Successivamente, con stile “britannico”, la comunità scientifica si è messa al lavoro per tamponare gli effetti negativi. Alcune delle preoccupazioni sono state recepite immediatamente dal governo May che ha subito stanziato 2 miliardi di sterline aggiuntivi al Budget per la ricerca scientifica. Inoltre, il governo britannico ha più volte dichiarato che il Regno Unito intende rimanere leader globale per la ricerca e la collaborazione scientifica. Nel White Paper pubblicato a Febbraio 2017, il Governo Britannico ha stimolato i ricercatori che operano in istituzioni britanniche a continuare a fare domanda per i finanziamenti di ricerca europei, come Horizon2020, finche’ il Regno Unito rimarrà nell’Unione Europea, il governo britannico ha annunziato che i progetti di ricerca che risultassero vincitori di finanziamenti EU saranno sostenuti dal governo britannico anche nel caso dovessero estendersi ad un periodo in cui il Regno Unito non fosse più membro dell’Unione Europea. Il Primo Ministro Theresa May ha anche promesso di mantenere le tasse universitarie allo stesso livello ai cittadini dell’Unione che si iscriveranno ad università britanniche nel 2016 o nel 2017. Quest’ultima misura è stata annunziata anche per cercare di tamponare la diminuzione di iscrizioni di cittadini Europei, segnalata anche da prestigiose Università, quali Oxford e Cambridge, seriamente preoccupati per la conseguente diminuzione di introiti dovuti alla e quote di iscrizione. In questo quadro, si inserisce la comprensibile preoccupazione della numerosa comunità accademica italiana nel Regno Unito. In questo documento riassumiamo i dati circa la

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Survey Report – Giugno 2017

Impatto della Brexit sulla Comunità Accademica Italiana nel Regno Unito Ambasciata d’Italia nel Regno Unito

Sin dall’avvio della campagna referendaria sull’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea (Brexit) oltre il 90% della comunità scientifica britannica si è subito schierata per il “remain”. Questa posizione è stata rappresentata in molti studi e dichiarazioni ufficiali. Si segnalano in particolare documenti pubblicati dalla Royal Society, la più illustre accademia scientifica britannica ed una delle più prestigiose al mondo, tra cui:

- Il report ‘UK Research and European Union’, nel quale si metteva in evidenza come una eventuale Brexit avrebbe avuto un impatto negativo su aspetti cardine della ricerca britannica: finanziamenti, mobilità e collaborazione, e possibilità di contribuire all’ elaborazione di regole comuni in Europa;

- Il manifesto ScienceIsGlobal, firmato da numerosi scienziati e accademie e volto a sostenere l’importante carattere internazionale della ricerca; A seguito della vittoria del “leave” al referendum del 23 Giugno 2016 c’è stata una generale reazione di sconcerto, che ha rasentato l’irritazione, non solo tra gli accademici ma anche da coloro che ricoprivano cariche istituzionali vicine al mondo della ricerca. Tra questi Jo Johnson, il ministro della ricerca scientifica, che ha usato termini come “disarray” e “rage” nel commentare il risultato del referendum del 23 Giugno. Successivamente, con stile “britannico”, la comunità scientifica si è messa al lavoro per tamponare gli effetti negativi. Alcune delle preoccupazioni sono state recepite immediatamente dal governo May che ha subito stanziato 2 miliardi di sterline aggiuntivi al Budget per la ricerca scientifica. Inoltre, il governo britannico ha più volte dichiarato che il Regno Unito intende rimanere leader globale per la ricerca e la collaborazione scientifica. Nel White Paper pubblicato a Febbraio 2017, il Governo Britannico ha stimolato i ricercatori che operano in istituzioni britanniche a continuare a fare domanda per i finanziamenti di ricerca europei, come Horizon2020, finche’ il Regno Unito rimarrà nell’Unione Europea, il governo britannico ha annunziato che i progetti di ricerca che risultassero vincitori di finanziamenti EU saranno sostenuti dal governo britannico anche nel caso dovessero estendersi ad un periodo in cui il Regno Unito non fosse più membro dell’Unione Europea. Il Primo Ministro Theresa May ha anche promesso di mantenere le tasse universitarie allo stesso livello ai cittadini dell’Unione che si iscriveranno ad università britanniche nel 2016 o nel 2017. Quest’ultima misura è stata annunziata anche per cercare di tamponare la diminuzione di iscrizioni di cittadini Europei, segnalata anche da prestigiose Università, quali Oxford e Cambridge, seriamente preoccupati per la conseguente diminuzione di introiti dovuti alla e quote di iscrizione.

In questo quadro, si inserisce la comprensibile preoccupazione della numerosa comunità accademica italiana nel Regno Unito. In questo documento riassumiamo i dati circa la

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consistenza e la natura della comunità accademica italiana e riportiamo alcune significative reazioni della stessa comunità in conseguenza all’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea.

La comunità accademica italiana nel Regno Unito

Secondo i dati dell’Higher Education Statistic Agency (HESA), nell’anno accademico 2014/2015 lo staff accademico di nazionalità non britannica ammontava al 28% della totale comunità; il 16% del totale era di cittadinanza europea. La comunità accademica italiana conta 5755 membri dello staff operante nelle università britanniche, rappresentando così la seconda comunità accademica straniera più numerosa nel Regno Unito. A questo numero, si aggiungono poi 6749 studenti di dottorato di ricerca e masters.

Tutti i seguenti dati si riferiscono solo ai membri dello staff.

Figura 1 – Staff italiano nelle università britanniche: distribuzione età

Figura 2 – Staff italiano nelle università britanniche: distribuzione per macro aree ERC

L’età media dei membri della comunità accademica italiana è 38 anni (fig.1). Tra le tre aree macro aree del sapere (Scienze della Vita, Fisica e Ingegneria e Scienze sociali e umanistiche), le scienze sociali e umanistiche (Social Sciences and Humanities -SH) sono

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decisamente le più popolari (2052 accademici); a seguire Fisica e Ingegneria (Physical and Engineering - PE) con 1490 accademici e Scienze della Vita (Life Sciences - LS) con 1290 (fig.2).

Figura 3 – Staff italiano nelle università britanniche: frequenza per città

Londra ospita il maggior numero di accademici italiani, con un totale di 2042 membri (il 35% della comunità accademica italiana) (fig.3); se si prendesse in considerazione l’intera comunità accademica, risulta che solo il 18% è basato a Londra (fig.4), dimostrando quindi una forte preferenza degli italiani per Londra.

Dopo Londra, troviamo Oxford (334 membri), Cambridge (269), North London e Birmingham (241) e Manchester (195). In Scozia, Edimburgo (163) supera Glasgow (151).

Figura 4 – Staff italiano vs. staff accademico di altra nazionalità: frequenza per città

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Figura 5 – Staff italiano nelle università britanniche: Top 25 delle università per frequenza di area ERC

E’ rilevante notare come la comunità accademica italiana si concentri nelle università del Russell Group (un gruppo di 24 Università britanniche considerate ‘top level’). Il 59% del totale staff accademico italiano lavora nelle università Russell Group. Se si considera l’intero staff accademico, il 42% lavora nel Russell Group. Tra le università che ospitano il più alto numero di accademici e ricercatori italiani troviamo (in ordine): University College London (334), King’s College London (245), The University of Oxford (243), Imperial College London (235), The University of Cambridge (211), The University of Manchester (141), Queen Mary University of London (135), London School of Economics (124), The University of Edinburgh (112), The University of Southampton (103), The University of Warwick (101), The University of Nottingham (97) – tutte appartenenti al Russell Group.

Gli accademici italiani – Una comunità in crescita

Dati recenti di HESA hanno mostrato come nel 2015/2016 la comunità italiana ha avuto un aumento del 13% rispetto all’anno precedente (fig. A), mentre l’intero staff accademico è aumentato dell’1.6%. Tra tutte le nazionalità, Italia e Spagna sono quelle che hanno avuto un incremento maggiore. E’ da notare però che questo trend è stato registrato nell’era pre-Brexit.

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Figura A – Italiani nel Regno Unito: una comunità che cresce (dal 14/15 al 15/16)

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La comunità accademica italiana & Brexit: il sondaggio

Fin da subito, la comunità accademica italiana nel Regno Unito, come tutta la comunità accademica in generale, si è dimostrata molto preoccupata dalle potenziali conseguenze della Brexit sulla ricerca scientifica, nonostante le rassicurazioni del Governo Britannico.

L’Ufficio Scientifico dell’Ambasciata Italiana nel Regno Unito ha redatto un questionario dal titolo “Gli effetti della Brexit sugli accademici e ricercatori italiani nel Regno Unito” e l’ha distribuito al suo database di 2789 contatti di ricercatori. Si sono ottenute 632 risposte in totale (in forma anonima).

Risultati

A. Informazioni sui rispondenti

2.8% 3.2%

Figura 6 – Età Figura 7 – Posizione accademica

Figura 8 – Periodo lavorativo in UK

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0%10%20%30%40%50%60%70%80%

GiovaneRicercatore

(PhD -Postdoc)

SeniorResearcher- Lecturer

Professor

Italia

Un altro PaeseEuropeo

Un Paese Extra-Europeo

B. Intenzione di lasciare il Regno Unito

A questa domanda, solo il 18% dei nostri rispondenti ha confermato di ‘no’ mentre l’82% sta pensando, in maniera più o meno certa, di lasciare il Regno Unito (vedi “questionario aggiuntivo” a pag. 10-11).

Secondo il nostro sondaggio, la grande maggioranza dei membri che ha risposto “sì” e “forse” si trasferirebbe in un altro paese dell’Unione Europea (57%). Una rilevante porzione di ricercatori tornerebbe in Italia (29%).

Figura 9 – “Pensi in futuro di trasferirti dal Regno Unito in un altro Paese?”

Figura 10 – “Se sì, dove pensi di trasferirti?”

Figura 11 – Scelta di destinazione fuori dall’UK per posizione accademica

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Un altro aspetto interessante è che più i rispondenti sono avanti nella propria carriera accademica più sono propensi a ritornare in Italia piuttosto che trasferirsi in un altro paese dell’Unione Europea.

C. Permanent Residence Certificate

Nel corso di vari incontri, eventi e corrispondenze tra l’Ambasciata e la comunità italiana, l’Ambasciata ha registrato un aumento dell’interesse verso il Certificato di Permanent Residence. Questo certificato è visto da molti come una sorta di “garanzia” per il futuro dei cittadini europei nel Regno Unito. Il 62% dei rispondenti ha già compiuto una qualche azione relativa alla procedura del Permanent Residence (il 29% la sta attuando, il 19% ha già ottenuto il certificato e il 15% aveva intenzione di attuare la procedura ma è risultato non eleggibile). Relativo al fatto che il 15% è risultato non eleggibile, è opportuno notare come questa procedura richiede di aver vissuto almeno 5 anni consecutivi nel Regno Unito, aspetto che non sempre combacia con il lavoro di accademico/ricercatore. Dunque, risulta spesso difficile per un accademico/ricercatore essere eleggibile per il Permanent Residence Certificate.

D. Conseguenze negative della Brexit nel campo lavorativo

Figura 12 – Permanent Residence Certificate

Figura 13 – “Da quando è stata annunciata la Brexit, hai fatto/stai facendo domanda a finanziamenti di ricerca europei come membro di un’istituzione britannica?

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Un risultato allarmante che è emerso dal nostro sondaggio è che già l’81% dei rispondenti ha assistito a effetti negativi della Brexit nel proprio lavoro, direttamente o indirettamente (fig. 14). Nelle 314 risposte aperte che abbiamo collezionato, le principale conseguenze negative riportate sono:

- calo del numero di studenti europei, calo sia di domanda che di offerta di PhD per gli europei e calo di domande Erasmus

- difficoltà di reclutamento di accademici e ricercatori europei: molti ricercatori esteri declinano offerte di lavoro in UK

- senso generale di insicurezza, malcontento e demoralizzazione

- tensione sociale e antagonismo nei confronti degli europei e stranieri in generale, con episodi di discriminazione

- esclusioni alla direzione di progetti EU, difficoltà a collaborazioni con europei in Horizon2020 e talvolta vera e propria esclusione dalla partecipazione

- ridotte possibilità di accedere a fondi di ricerca EU

- incertezza sul futuro di grants europei

- aumento costi per i materiali di ricerca

Figura 14 – “Hai notato conseguenze negative della Brexit nel tuo campo di attività?”

Figura 15 – “ In quanto accademico/ricercatore operante in istituzioni britanniche, tu stesso o qualche tuo collega è stato vittima di discriminazioni in finanziamenti europei?”

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- progetti di collaborazione con altre università europee rallentati

- trasferimenti massicci da parte di accademici europei in altre istituzioni europee.

Inoltre, solo il 26% dei rispondenti è convinto di non essere stato vittima di discriminazioni nelle applicazioni per fondi europei (fig. 15). La grande maggioranza (61%) non sa se ha subito discriminazioni mentre il 12% ha avuto un’esperienza diretta di discriminazione. Dai commenti aperti a questa domanda risulta chiaro che le risposte “non so” si riferiscono a una qualche discriminazione che non è ufficiale o esplicita. Tra le risposte, citiamo alcune delle più rappresentative: 1. “Siamo stati formalmente diffidati da dare borse di dottorato a studenti EU.

Informalmente molti colleghi sono stati informati di non fare domanda per EU grant come ERC grant in quanto la durata superiore ai 2 anni rende molto improbabile che tali grants verranno assegnati a P.I. affiliati a Università UK”

2. “Nonostante sembri che sia ancora possibile ottenere fondi di ricerca europei, conosco diversi ricercatori e professori di fama internazionale che, pur ottenuti detti fondi, stanno considerando l'ipotesi di trasferirsi altrove in Europa perché non sono sicuri di cosa accadrà ai loro fondi nel momento in cui l'UK lascerà l'EU”

3. “Rifiuto da parte di colleghi ai quali è stato offerto un posto. Difficoltà a partecipare a progetti H2020”

4. “Maggiore difficoltà nell'entrare in consorzi. Istituzioni britanniche viste "con sospetto"” 5. “Tentativi di collaborazione con colleghi europei per fondi di ricerca EU sono

praticamente congelati” 6. “C’è evidenza che partner Europei sono incerti nell'aggiungere colleghi di università'

inglesi a proposal legati a fondi EU” 7. “Lavoro al Joint European Torus e sono impiegato dal Culham Centre for Fusion Energy

(MAST e MAST-U) che dipende per il 60% da finanziamenti europei. Il clima di incertezza sul futuro del JET e della ricerca sulla fusione in UK (considerando anche l'uscita dall'Euratom) ha un peso estremamente negativo sulla programmazione delle attività scientifiche e sul morale dei ricercatori”

8. “Le domande di ammissione ai corsi da parte di studenti EU sono diminuite. Nel mio dipartimento avevano una posizione da Lecturer: i primi 3 candidati, tutti EU, hanno rifiutato il posto”

9. “I fondi interni per progetti nella mia attuale istituzione sono stati drasticamente ridotti come effetto della marcata diminuzione di iscrizioni da parte di studenti non inglesi”

10. “Incertezza sul futuro dei fondi Europei per la ricerca. Gruppi UK non sono più apprezzati per un futuro coordinamento di progetti Europei per via della possibilità che debbano uscire dai progetti prima della fine dei contratti. Giustamente gruppi di ricerca Europei non vogliono aumentare i rischi dovuti al coordinamento o anche semplicemente alla partecipazione di gruppi UK. L'analisi del rischio dei progetti di ricerca è uno degli elementi importanti nella valutazione dei progetti stessi e quando il rischio aumenta la probabilità di successo nell'ottenere un finanziamento scende”

11. “Molti colleghi provenienti dall'EU, me compreso, hanno forti ripensamenti riguardo il prosieguo della loro carriera in UK. I motivi sono legati sia alla futura impossibilità di accedere a fondi EU, sia all'indirizzo politico dell’attuale governo britannico. Ci si aspetta che il governo continui con la sua politica di austerity, che inevitabilmente

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intaccherà il finanziamenti alla ricerca scientifica. Questo comporterà un forte contrazione delle opportunità di impiego e di carriera per tutti i ricercatori nel Regno Unito”

12. “Non ci sono prove scritte, ma le discriminazioni in fase di valutazione e finanziamenti sono alquanto lampanti”

13. “Conosco colleghi a cui è stato chiesto di rinunciare a partecipare a grossi grant collaborativi”

14. “In fase di application, consorzi di ricerca basati all'estero hanno ritirato invito a partecipazione”

15. “Stavo per presentare una domanda Erasmus+ come coordinatore e mi è stato fortemente sconsigliato”

16. “Non siamo più incoraggiati a fare domanda per l’European Researchers Scheme. Io miravo a questo schema per poter attrarre un finanziamento triennale, impersonale e trasferibile che mi consentisse il rientro su di una università italiana. A questo punto, non so se mai riuscirò a rientrare benché' sia quello il mio desiderio”

17. “Colleghi sono stati invitati a non partecipare oppure a non partecipare come lead institution in consorzi di ricerca”

18. “Ho saputo di un gruppo di ricerca in Fisica che avrebbe dovuto coordinare un progetto Europeo e a cui è stato chiesto di trasferire la coordinazione ad un gruppo non UK a causa di Brexit. Tale gruppo (che non posso citare perché non è il mio gruppo di ricerca) ha accettato tale proposta per non rischiare di essere estromesso dal progetto”

19. “Sono stata esclusa da due consorzi in formazione per timore che la presenza di un istituzione britannica indebolisce la richiesta”

20. “Non casi di discriminazione diretta, ma almeno un caso di colleghi dove invece di essere lead partners ci si è accordati di essere un associate partner in a Horizon 2020 bid”

21. “Ad un mio collega è stato chiesto di ritirarsi dal consorzio europeo di gruppi di ricerca con cui stava facendo domanda per un bando H2020, avere un partner di una istituzione britannica viene visto come un punto debole di fronte ai referees”

22. “In verità in un solo caso, un collega francese mi ha escluso da una futura domanda per via della Brexit”

23. “So che un collega è stato estromesso da una domanda di finanziamento per un progetto europeo, in quanto affiliato ad un'università britannica. Gli altri studiosi partecipanti al progetto temevano di avere meno chances di essere finanziati, con un "britannico" nel gruppo”

24. “Alcuni colleghi dell’università hanno riportato di essere stati esclusi da collaborazioni già avviate per lo sviluppo di progetti per finanziamenti europei, in quanto i membri delle istituzioni partner presenti in altri stati europei (non UK) non vogliono "rischiare" eventuali ripercussioni dovute al Brexit”.

Questionario aggiuntivo

Poiché non era chiaro se il tipo di risposte ricevute nella domanda 9 fossero conseguenti al risultato del referendum sulla Brexit, abbiamo lanciato un ulteriore sondaggio allo stesso database di accademici e ricercatori e abbiamo ricevuto 485 risposte. Riportiamo qui le domande e le corrispondenti risposte.

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Figura 9a - “Pensi in futuro di trasferirti dal Regno Unito in un altro Paese?”

Figura 9b – “L'avvio della Brexit ha influito sul tuo intendimento di rimanere a lavorare nel Regno Unito ovvero di ricollocarti in un altro Paese?

Figura 9c – “Il governo britannico ha assicurato che fornirà completa copertura finanziaria a tutti i progetti approvati dall'UE per l'intera loro durata, anche successiva all'uscita del Regno Unito

dall'Unione Europea. Ti senti rassicurato da questa misura nell'applicare a finanziamenti europei?

Figura 9d - In riferimento alla domanda precedente (figura 9c), i vostri partner fuori dal Regno Unito sono a conoscenza di questa assicurazione del governo britannico?

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Conclusioni

1. Gli italiani rappresentano la seconda comunità accademica più grande nel Regno Unito. Questo è un segnale del rispetto e della considerazione che gli italiani hanno per l’accademia britannica e della considerazione che le istituzioni inglesi hanno verso il personale accademico italiano.

2. Il significativo aumento del numero di italiani nelle università britanniche tra il 2014/15 e il 2015/2016 indica che questa considerazione reciproca è mantenuta o è aumentata.

3. Mentre i numeri del periodo pre-Brexit vanno nella direzione dei punti 1 e 2 sopra elencati, il nostro sondaggio suggerisce una tendenza di alcuni accademici italiani a cominciare a interessarsi a nuove opportunità al di fuori del Regno Unito. Deve essere sottolineato però che su quasi 6000 italiani che sono stimati lavorare nelle università britanniche, noi ne abbiamo contattati quasi 3000 (ovvero coloro che sono registrati nell’Ambasciata) e abbiamo ricevuto una risposta da solo 632 di loro. Di questi, l’82% (cioè 518) sta considerando di lasciare il Regno Unito (con livelli diversi di determinazione), in gran parte come conseguenza della Brexit. E’ impossibile determinare in questo momento se questo segnale possa essere letto come caratterizzante delle intenzioni dell’intera comunità. Ma certamente esso rappresenta un dato oggettivo che potrà essere estremamente utile per monitorare le tendenze negli anni a venire. Non c’è bisogno di sottolineare che l’ansietà è più pronunciata quando ci sono profondi elementi di incertezza.