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IL LEGIONARIO COMMENTARIVS DEL SOLDATO ROMANO NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE ANNO III N . 26 DICEMBRE 2016 - Testo e struttura a cura di TETRVS LE CARCERI DELL’ORRORE Variazione su “le carceri di Invenzione” di G.B. Piranesi Tav.13 Il pozzo

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IL LEGIONARIO COMMENTARIVS DEL SOLDATO ROMANO

NOTIZIARIO DELL’ASSOCIAZIONE

ANNO III N.26 – DICEMBRE 2016 -

Testo e struttura a cura di TETRVS

LE CARCERI

DELL’ORRORE

Variazione su “le carceri di Invenzione” di G.B. Piranesi Tav.13 Il pozzo

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LE CARCERI DELL’ORRORE

INTRODUZIONE Il carcere romano poteva essere strutturato in due modi: una latomia (lautomiae) oppure

come costruzione specifica. Nel primo caso si sfruttavano cave, grotte o ambienti sotterranei e

tenebrosi che ben si addicevano alla funzione; nel secondo caso, veniva eretta specifio immobile

(talvolta anche con l’utilizzo di latomie). In ogni caso contava almeno due ambienti-base:

l’exterior, dove si potevano ricevere le visite e rendere aria ( vestibula carcerum);

l’interior, privo di luce e - di solito – ubicato sotto l’exterior. dove erano ubicati i luoghi

che ospitavano i condannati a morte(custodia arcta); più internamente vi erano le cellae

(“celare, nascondere”), luoghi anch’essi etri e bui, chiamati “conclavia” o “arcas” (Plaut.,

Amphitruo 1,1).

Nell’antica Roma il carcere non aveva la funzione di pena o di recupero di un recluso ma era

semplicemente un luogo dove trattenere un colpevole di un reato in attesa del processo oppure

custodire provvisoriamente un condannato alla pena capitale o alle altre pene corporali secondo la

ius talioni, la legge del taglione.

Durante il periodo repubblicano le sentenze di condanna venivano eseguite immediatamente;

Nell’epoca imperiale, invece, le pene divennero meno dure con procedure più complesse per cui

poteva passare molto tempo tra la condanna e l’esecuzione.

Per molto tempo si è ritenuto che a Roma esistesse un solo carcere, il Tullianum, conosciuto

anche come Carcere Mamertino. Questo è forse il luogo di reclusione che è arrivato sino ai giorni

nostri ma non poteva essere l’unico Per una città che arrivò a contare un milione di abitanti circa,

con reati e crimini giornalieri, non poteva essere sufficiente un solo carcere e di dimensioni

sostanzialmente modeste.

Vi erano sicuramente altri carceri; difatti nelle basiliche si tenevano i processi con frequenza

regolare. E altre ne vennero costruite; di conseguenza vi erano molti processi e molti condannati che

non potevano essere tutti custoditi nel Mamertino. Difatti, un carcere era presente anche nei Castra

Praetoria, custodito da pretoriani e urbaniani( cfr. Sandra. Bingham – I pretoriani – Ed. LEG2015).

Ulpiano ci dà prova di altre carceri pubbliche esistenti in Roma riportando un rescritto

dell’Imperatore Adriano che - durante il suo principato – si stava occupando anche di formalizzare

i regolamenti per la gestione dei carcerati. In questo brano, si citano i pannicularia, ovvero la

gestione degli effetti personali dei carcerati. Infine nel III secolo si ha notizia della figura di

funzionari chiamati commentarienses (vedi oltre) che avevano compiti di polizia penitenziaria. La

loro presenza giustifica quindi una pluralità di luoghi di detenzione.

IL CARCERE MAMERTINO A Roma era tristemente famoso il Carcere Mamertino o Tulliano (Tullianum) il cui antico

nucleo principale comunicava con altri ambienti ricavati antiche cave di tufo (Latomie).

ha “ospitato” nelle sue Primo carcere di Roma (e forse del mondo), in circa 1.000 anni,

celle e con i suoi ceppi illustri prigionieri (dal re dei Sanniti Ponzio, al re dei Galli Vercingetorige,

da Pietro apostolo ai congiurati di Catilina, da Seiano a Giugurta, re della Numidia).

Il nome risale a Mamers, Marte in lingua osca.

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1 - Chiesa di San Giuseppe dei Falegnami

2 - Cappella del SS Crocifisso

3 - Carcere

4 - Tullianum Come si evince dalla figura (che presenta l’attuale struttura in sezione), il carcere consisteva

di due piani sovrapposti formati da grotte fu ricavato utilizzando le cave di tufo che esistevano già

nella prima età del ferro X e IX sec. a C.; si trattava di una serie di gallerie (lautumiae) scavate nel

ventre del colle sulle pendici meridionali del Campidoglio, a fianco delle Scale Gemonie, verso il

Comitium..

L’area più profonda (4) risale all’era arcaica (VIII/VII secolo a.C.) ed è scavata nella cinta

muraria di età regia che - all'interno delle Mura serviane - proteggeva il Campidoglio.

Gli altri ambienti consistenti nel cd “carcere” (3) sono successivi e sovrapposti e risalgono

all’età repubblicana. La grotta superiore era anche il posto di guardia e dove venivano eseguite le

condanne di solito per decapitazione o strangolamento.

Sotto questi due ambienti vi era un’antica fonte, tuttora esistente.

Attualmente il carcere è ubicato sotto altri due edifici: la cappella del SS Crocifisso (2) e la

Chiesa di S Giuseppe dei Falegnami (1), risalente al XVI secolo, all’attuale livello stradale al n 1 di

Via Clivo Argentario.

Per arrivare al livello antico bisogna scendere tramite una rampa di scale. La facciata attuale

ne copre una più antica, di tufo di Grotta Oscura. L'ingresso originario era forse costituito da una

porticina a livello più alto del pavimento attuale, ora murata, che si apriva nella parete destra. Al di

là di questa porta erano gli altri ambienti della prigione, noti col nome di Lautumiae, perché ricavati

entro antiche cave di tufo pure usati come prigione. Oggi, da un'apertura probabilmente realizzata in

epoca moderna, si entra in una stanza trapezoidale coperta da volta a botte, realizzata in opera

quadrata con grossi blocchi di tufo di Monteverde e rosso dell'Aniene, per questo databile al II

secolo a.C., quando tali cave erano in uso.

Attuale piano stradale

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Un foro nel pavimento, oggi chiuso da grata, era l'unico accesso esterno all'ambiente

sottostante, oggi raggiungibile tramite una scala recente. La parte inferiore era detta Tullianum ed

era quella più segreta e terribile: qui venivano gettati e, poi, strangolati i prigionieri di stato.. Sulla

parete ad est del Tullianum esiste tuttavia un portale in ferro che conduce ad altri ambienti, tutt'ora

poco esplorati.

Il Tullianum fu realizzato, secondo Livio, sotto Anco Marzio nel VII secolo a.C. Il nome

potrebbe derivare sia da da tullus (polla d'acqua), sia da Servio Tullio O Tullio Ostilio, come lo

presumono alcune tradizioni che lo collegano all'iniziative di questi sovrani.

Il Tullianum è un ambiente a forma semicircolare (tranne un segmento a est) realizzato in

opera quadrata con blocchi di peperino senza cemento. Le dimensioni della muratura hanno fatto

pensare che originariamente dovesse trattarsi di una fontana monumentale costruita intorno ad una

cisterna (tullus), dove l'acqua filtra naturalmente tutt'oggi. Secondo Filippo Coarelli però è più

probabile che fin dall'inizio la stanza venisse usata come carcere.

È dunque nel Tullianum che venivano gettati e detenuti i condannati a morte prigionieri del

popolo e dello stato romano. La detenzione poteva essere sia breve - perché l'esecuzione avveniva

subito dopo la grande processione romana del trionfo, come nel caso di Giugurta, sia lunga - come

accadde a Vercingetorige, che passò sei anni nel Tullianum prima di essere decapitato.

nel De Catilinae coniuratione ne Gaio Sallustio Crispo dà una stringata e macabra

descrizione che fa emergere l’orrore che dovevano subire i prigionieri. Est in carcere locus, quod Tullianum appellatur, ubi paululum ascenderis ad laevam, circiter

duodecim pedes humi depressus. Eum muniunt undique parietes atque insuper camera lapideis

fornicibus iuncta; sed incultu, tenebris, odore foeda atque terribilis eius facies est »

Ossia

«Nel carcere vi è un luogo chiamato Tulliano, un poco a sinistra salendo, sprofondato a circa 12

piedi sotto terra. Esso è chiuso tutt'intorno da robuste pareti, e al di sopra da un soffitto, costituito da una

volta in pietra. Il suo aspetto è ripugnante e spaventoso per lo stato di abbandono, l'oscurità, il puzzo »

La tradizione vuole che qui fossero rinchiusi Pietro e Paolo. S. Pietro, scendendo con il compagno nella camera

sottostante, cadde battendo il capo contro la parete e ve ne lasciò l'orma. Chiusi nella segreta, senza luce, i due

apostoli fecero scaturire miracolosamente una polla d'acqua (in latino tullus, polla d'acqua, da cui il nome Tullianum)

e convertirono i loro carcerieri, Processo e Martiniano: dopodiché, i due apostoli abbandonarono il carcere. La storia

della loro carcerazioni nel Carcere Mamertino è comunque una leggenda medievale, tuttavia oggi il carcere è

ricordato come la loro prigione e gli aneddoti sono moltissimi.

LA GESTIONE Lo storico Tito Livio ci dice che il carcere romano pubblico era gestito dai triumviri

capitales ( anche detti triumviri carceris lautumiarum). I triumviri capitales, oltre che coadiuvare il

pretore nelle cause penali, erano incaricato di eseguire le pene capitali oltre che alla sorveglianza

delle carceri (triumviri carceris lautumiarum);

Nell’attività di sorveglianza, controllo e custodia dei carcerati, i triumviri capitales potevano

essere coadiuvati da schiavi (servi publici).

A fianco di queste figure che - in un certo senso – erano adibite al cd “lavoro sporco” vi

erano gli optiones carcerum. Questi erano invece militari che erano incaricati della vigilanza

dell’Urbe. Non sappiamo con precisione quale fosse la distinzione. Possiamo presumere che fosse

un reparto composto sia da elementi delle Coorti urbane che avevano – appunto – il compito di

controllare la città ( vedasi IL LEGIONARIO n. 5 – Le Coorti Urbane) e dai “vigiles”, che oltre a svolgere

le funzioni di prevenzione e spegnimento degli incendi avevano anche la funzione di pattugliamento

notturno per il controllo dell’Urbe e quindi di arrestare i trasgressori dell’ordine pubblico e

trattenerli in prigione.

È altresì plausibile l’idea che anche il Praefectus Urbi potesse avere una qualche

competenza in merito alla attività penitenziaria. Difatti “Aveva questi il governo della città di

Roma…Era di pertinenza di questo Prefetto il governo e la custodia di Roma … poteva cacciare d'

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Italia i delinquenti, relegandoli altrove” (Nicola del Buono – Lezioni sulle antichità romane –Filomatica 1856

– Napoli)

Dal III secolo e nel tardo Impero competenza per la direzione delle carceri la custodia dei

reclusi era invece affidata ai commentarienses, così chiamati dai registri che erano obbligati a tenere

e sui quali venivano indicate tutte le generalità e la posizione giuridica del soggetto incarcerato.

In seguito alle riforme di Diocleziano e di Costantino in merito all’amministrazione

burocratica, i commentarienses assumono lo status di funzionari civili (ancorché inseriti come

titolatura nei gradi della milizia legionaria) e, - anche se mantengono le precedenti mansioni (la

cura e la stesura dei commentarii) – sono incaricati di altre competenze e ben più importanti compiti

quali soprattutto, la direzione delle prigioni pubbliche a fianco di attività processuali nell’ambito di

procedimenti penali, curatela di atti processuali e gestione degli archivi giudiziari, e, rpobabilmente,

anche competenze giurisdizionali di minor rilevanza.

I commentarienses erano quindi “…funzionari pubblici minori inseriti dal IV – V secolo,

alla pari del princeps, del cornicularius, dell’ab actis, del numerarius, negli officia dei vicarii, dei

praefecti urbi, dei prefetti del pretorio e di altri viri illustres. È quanto risulta da alcune

costituzioni imperiali, riportate soprattutto nel terzo titolo del nono libro del Codice Teodosiano,

da svariati passi tratti dai cc.dd. Atti dei martiri, nonché da alcune tarde fonti letterarie.(Cfr :

Luciano Minieri - commentarienses e la gestione del carcere in età tardoantica -Ricercatore di Diritto romano presso la

Seconda Università degli Studi di Napoli). Per i magistrati vi era l’obbligo settimanale di visitare le carceri ed interrogare i detenuti per

ascoltare le loro lamentele e quindi riferire alle autorità di governo.

SISTEMI DI DETENZIONE E DI TORTURA I reclusi venivano immobilizzati mediante i vincula, robusti e pesanti anelli o altri attrezzi di

ferro forniti di serrature per il bloccaggio dei dispositivi di chiusura. I vincula venivano applicati al

collo (boiæ), ai polsi (minacæ o manicæ) o alle caviglie (pedicæ) dei detenuti.

Vi erano poi Le compedes o compendes, che pur sempre pesanti anelli di ferro per bloccare le

caviglie dei detenuti, consentivano loro un po’ di movimento.

Questi strumenti potevano avere delle varianti più drastiche che, in sostanza, comportavano la

quasi totale immobilizzazione del recluso mediante fissaggio, ai ceppi, di questo particolare tipo di

cavigliere.

I nervi erano formati da una trave metallica fissata o meno al pavimento, munita di una serie di

barrette di ferro, attraverso i cui fori passava un’asta metallica necessaria a bloccare le caviglie dei

malcapitati (Passio Perpetuæ et Felicitatis 8,1: «Die quo in nervo mansimus, ostensum est mihi hoc»); così

come i ceppi messi ai piedi di Paolo e Sila all’interno delle galere di Filippi (At 16,24). (cfr. A.

Lovato, Il carcere nel diritto penale romano. Dai Severi a Giustiniano, Bari 1994, passim).

Tra i tipi di tortura e punizione si ricordano la flagellazione effettuata con strumenti quali

il flagrum.

Una moderna ricostruzione di flagrum (ROMARS – Cohors X Vrbana)

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Il flagrum – di cui si hanno scarse notizie – era lo strumento tradizionale di punizione

corporale, utilizzato per la flagellazione e come supplizio preliminare per coloro che dovevano

essere giustiziati (anche tramite crocifissione). La flagellazione era però inflitta solo coloro che non

erano cittadini romani; a questi ultimi erano di solito risparmiata questa punizione ignominiosa che

comportava spesso conseguenze spesso irreversibili (corpo mutilato o addirittura la morte).

Secondo le consuetudini romane, infatti il tipo di frusta con cui si veniva puniti dipendeva

dal livello sociale del condannato: i soldati – colpevoli di qualche atto che aveva infranto i

regolamenti militari - venivano puniti con bastoni (ed a colpi contati), mentre ai liberti potevano

essere somministrati colpi di verga.

Il flagrum poteva assumere varie forme ma di fatto era una frusta, costruita usando materiali

diversi (corde, catene, cuoio, etc.). Sembra che alcuni modelli fossero composti di corde con alle

estremità o lungo tutta la corda pezzi di osso (di solito astragali di animale, perlomeno in ambito

cultuale dei sacerdoti di Cibele) o di metallo contundente (sferette di piombo come sembra evincersi

dalla Sacra Sindone). In questi casi il flagrum assestava dei colpi pesanti e laceranti.

Se la punizione non doveva essere troppo dolorosa venivano usate fruste più miti quali la

scutica, uno scudiscio dal corto manico, con una lunga corda , la flessibile ferula (per gli schiavi e

in adozione nelle scuole), l’anguilla, fatta di pelle di pesce o lo scorpio composto da corde

annodate, con punte inserite all’estremità.

Una forma di tortura era rappresentata dall’eculeus (cavalletto). Il cavalletto era una

struttura su cui veniva posizionato il condannato a cui venivano legate dietro la schiena le mani, che

erano poi tirate verso la testa. Ciò causava lo stiramento delle membra e la rottura delle giunture.

IL MAMERTINO E LE CARCERI DI INVENZIONE Le terribili carceri Romane (e in particolare il Mamertino) ispirarono Giovanni Battista Piranesi

(1720-1778), architetto e incisore veneto che le traspose nelle celebri “Carceri d’Invenzione” .

Per Marguerite Yourcenar, Le “Carceri d’Invenzione” rappresentano «una delle opere più segrete

che ci abbia lasciato in eredità un uomo del XVIII secolo». Per la scrittrice belga, rappresentano «la

negazione del tempo, lo sfalsamento dello spazio, la levitazione suggerita, l’ebbrezza dell’impossibile

raggiunto o superato». Esse rappresentano un qualcosa di onirico, un qualcosa che da sogno si trasforma in

un incubo…

Il bianco e nero delle 16 incisioni (realizzate fra il 1745 e il 1750) danno un senso di angoscia e

oppressione. Gli ambienti a volta, che sembrano poi terminare nelle profondità di Roma, creano un senso di

panico quasi claustrofobico. Si accusa il senso di vertigine provocato dalle forme labirintiche, si avvertono i

miraggi visivi dagli inganni prospettici, la paura scatenata dall’affollarsi e dal moltiplicarsi di figure che

spuntano e scompaiono come ombre dietro colonne, grate di ferro, scale interminabili che non conducono in

nessun luogo. Fumi e vapori che emergono da statue in rovina, emanazioni di muffe e odore di morte

completano il quadro delle visioni che il carcere di Roma doveva aver provocato nell’artista veneto. Un

carcere dal quale non è possibile fuggire non per le spesse mura o le pesanti catene, ma proprio per quei

labirinti, quelle scale senza destinazione che trasformano ogni tentativo di fuga in un incubo senza fine

Tav.6 Il fuoco

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EVENTI

Ospiti al GSR x evento SPQR (15/10/2016) in favore di Amatrice. Legio Secunda Britannica

Parco della Cellulosa (23/10/2016) - Legio Secunda Britannica

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PROGRAMMAZIONE 2017 Sulla base degli eventi passati il programma di massima per il prossimo anno potrebbe essere il seguente

14 APRILE: VIA CRUCIS

23 APRILE: NATALE DI ROMA

29 LUGLIO. MESSA CORSA

SETTEMBRE : IDI ADRIANENSI

Marcus Aurelius Mausaeus Valerius Carausius e un legionario in equipaggiamento pesante della Flotta

Britannica – Tardo III sec AD. -Miniatura di y Marco Lucchetti.

Numeri disponibili 2) V SECOLO: IL PROTO MEDIOEVO

5) LE COORTI URBANE

6) LA LANCIA DEL DESTINO

7) BURGH CASTLE

8) IL PERIODO ROMULEO

9) L’ARCO RACCONTA … LA CAMPAGNA D’ITALIA DI

COSTANTINO

10) ZENOBIA, REGINA DI PALMIRA

11) 284-395, IL PRIMO TARDO IMPERO

12) IL PRETORIANO DI CRISTO

13) MAGNVS MAXIMVS

14) IL GIORNO DELL’ALLIA

15) I MISTERIOSI ARCANI

16) LA VIA DEL TRIONFO

17) L’ASSEDIO DI MASADA

18) DE REDITV SVO

19) I DUE VOLTI DELL’IMPERO ROMANO

20) L’ETRUSCO UCCIDE ANCORA

21) TERRA DESOLATA

22) SEGNALI DI FUOCO

23) CORNELIO IL CENTURIONE

24) LA BATTAGLIA DELL’ALLELUJA

25) 395-476, IL SECONDO TARDO IMPERO

26) LE CARCERI DELL’ORRORE

(per gli arretrati cartacei indirizzare la richiesta a [email protected]

CONTATTI:

3332765818---3883683997

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