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Anno IX n. 1 ISSN 1972-7704 23 marzo 2017 www.csddl.it Rivista telematica Diffusione gratuita di Gaetano Veneto* Per analizzare e valutare poli- tiche del lavoro, interventi legi- slativi, sperati o esecrati, per valutare l’andamento del merca- to del lavoro e dell’occupazione nel nostro Paese, si usano spes- so, troppo spesso, dati statistici, creando incertezze o incredulità fra gli addetti ai lavori e nell’in- tera opinione pubblica, creando confusione o, talvolta, sfiducia. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: per alcuni (gli ottimisti - in buona o mala fede? -, gli op- portunisti incoscienti o meno? -, i realisti? Scegliete voi) “l’Italia ha svoltato” e la ripresa dell’occupazione (pur se debole) è significativa e inarrestabile, così da poter invitare i giovani a restare in Italia. Per altri (i gufi? i professori parrucconi? i disfattisti e i “reduci” responsabili della di- struzione del sistema politico e sociale? Vedete voi), l’Italia è il Paese dove parlare di reale ri- presa della produzione e dell’oc- cupazione è provocatorio e fal- so, mentre l’emigrazione giova- nile, specialmente dei più scola- rizzati, si accentua. Per ora, un dato è certo, accettato da tutti: a fronte dei ben diversi ritmi di una, questa volta vera pur se ancora timida, ripresa produttiva degli altri partners dell’Europa oggi allargata a ventisette, nel più generale risveglio del siste- ma neo- o post- capitalistico, il nostro Stivale appare il più lento e arranca nel riprendere una accettabile marcia. Ma allora, come la mettiamo con i dati statistici? Dobbiamo credere alla loro validità o la perdita di credibilità degli stessi così come degli esperti che li utilizzano altro non è che l’e- spressione della crisi oggi plasti- camente definita con le parole della “politica delle post- verità”? In uno splendido saggio tra- dotto in questi giorni in Italia e pubblicato sul The Guardian londinese in Gran Bretagna da poco, dal titolo: “La fine dei fatti”, William Davies, sociolo- go ed economista inglese, dimo- stra che la statistica - scienza che per oltre tre secoli, via via affinandosi sempre di più, è stato per i governanti uno stru- mento importante per studiare, capire e gestire la società - oggi, sottoposta a continua manipola- zione ed asservimento, sta creando un clima di diffidenza nei suoi confronti, insieme agli esperti che, interpretando dati preselezionati, creano le pre- messe per la diffusione delle fake news, quelle post-verità o, più semplicemente, “balle”, in prima battuta poste a base per tesi, forse meglio postulati, che reggono politiche più o meno avventurose nei vari campi dell’economia e della società. Proviamo a dare qualche esempio, partendo da una diver- tente, perfino ridicola, notizia offerta dalla stampa, anche spe- cialistica, e dalle televisioni, di regime o “indipendenti”, proprio in questi giorni. Diffondendo ed interpretando, come si leggerà subito in appresso, semplicisti- camente i dati sulla produzione degli ultimi due mesi nel nostro Paese, si è scritto che la spinta dell’industria italiana - che ave- va permesso di aumentare di uno 0,1 il misero dato della pro- duzione industriale del 2016 con la lettura dei risultati degli ulti- mi mesi dell’anno - si è esaurita con una frenata nel gennaio di questo 2017, segnando un calo del 2,3%. Secondo gli “esperti” dell’ISTAT, disaggregando i dati, però, questo pur preoccu- pante risultato, che però già si prevede potrà essere smentito dalla rilevazione dei mesi suc- cessivi, è parzialmente salvato dalla crescita vorticosa dell’eco- nomia di una Regione, da inco- ronare come regina dell’export del nostro Paese, che ha segnato un incremento, udite udite, del… 53%. La Regione? Ebbe- ne sì, è la… Basilicata. La soluzione dell’enigma, fra il ridicolo e l’assurdo, sta nell’u- tilizzo di dati, cosiddetti “percentuali” e non usando mas- se globali o assolute: la crescita percentuale della Basilicata è dovuta all’export di autoveicoli di una nota multinazionale, oggi italo(?)-americana, che trova, oggi, riscontro in altri dati, quel- li concernenti l’andamento dell’export delle province italia- ne così si segnala il primato di… Potenza (con una crescita del 58%), seguita da Milano e, subito dopo, ancora da… Frosi- none (+35,7%, guarda caso ca- poluogo di una provincia dove ha sede Cassino con il suo stabi- limento facente capo alla stessa azienda di autoveicoli, madre dello stabilimento lucano). Troppo semplice, come del tutto inutile, è la deduzione sul pri- mato di una delle più povere Regioni e di due tra le più pove- re province d’Italia in tema di ripresa produttiva con tutte le fumisterie connesse in ordine alla ripresa del PIL o dell’export dell’industria italiana e, di con- seguenza, al trend di un Paese che, in realtà, continua ad arran- care con un futuro, al momento, tutt’altro che roseo. L’esempio appena riportato permette di ridimensionare, se non svuotare di ogni significato, le elucubra- zioni di addetti ai lavori e delle forze politiche, insieme a più o meno avventate deduzioni da parte degli operatori del mondo del lavoro e del connesso diritto, in tema di trend occupazionali negli ultimi mesi nel nostro Pae- se, liberandoci così da sterili polemiche su decimali di punto in più o in meno, in un mercato in realtà stagnante e comunque tra i peggiori tra le economie più sviluppate, pur se in crisi, dell’Occidente europeo. * Professore di Diritto del Lavoro Università degli Studi di Bari All’interno: 3 Il Fondo di garanzia I.N.P.S. e il pagamento del T.F.R. 4 Il lavoro accessorio ed il sistema dei buoni lavoro 6 Il reddito di inclusione 7 Addio voucher! “Sotto alle scorte” continua a pagina 2

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Anno IX n. 1 ISSN 1972-7704 23 marzo 2017 www.csddl.it Rivista telematica Diffusione gratuita

di Gaetano Veneto*

Per analizzare e valutare poli-tiche del lavoro, interventi legi-slativi, sperati o esecrati, per valutare l’andamento del merca-to del lavoro e dell’occupazione nel nostro Paese, si usano spes-so, troppo spesso, dati statistici, creando incertezze o incredulità fra gli addetti ai lavori e nell’in-tera opinione pubblica, creando confusione o, talvolta, sfiducia.

I risultati sono sotto gli occhi di tutti: per alcuni (gli ottimisti - in buona o mala fede? -, gli op-portunisti – incoscienti o meno? -, i realisti? Scegliete voi) “l’Italia ha svoltato” e la ripresa dell’occupazione (pur se debole) è significativa e inarrestabile, così da poter invitare i giovani a restare in Italia.

Per altri (i gufi? i professori parrucconi? i disfattisti e i “reduci” responsabili della di-struzione del sistema politico e sociale? Vedete voi), l’Italia è il Paese dove parlare di reale ri-presa della produzione e dell’oc-cupazione è provocatorio e fal-so, mentre l’emigrazione giova-nile, specialmente dei più scola-rizzati, si accentua. Per ora, un dato è certo, accettato da tutti: a fronte dei ben diversi ritmi di una, questa volta vera pur se ancora timida, ripresa produttiva degli altri partners dell’Europa oggi allargata a ventisette, nel più generale risveglio del siste-ma neo- o post- capitalistico, il nostro Stivale appare il più lento e arranca nel riprendere una accettabile marcia.

Ma allora, come la mettiamo con i dati statistici? Dobbiamo credere alla loro validità o la perdita di credibilità degli stessi – così come degli esperti che li utilizzano – altro non è che l’e-spressione della crisi oggi plasti-camente definita con le parole

della “politica delle post-verità”?

In uno splendido saggio tra-dotto in questi giorni in Italia e pubblicato sul The Guardian londinese in Gran Bretagna da poco, dal titolo: “La fine dei fatti”, William Davies, sociolo-go ed economista inglese, dimo-stra che la statistica - scienza che per oltre tre secoli, via via affinandosi sempre di più, è stato per i governanti uno stru-mento importante per studiare, capire e gestire la società - oggi, sottoposta a continua manipola-zione ed asservimento, sta creando un clima di diffidenza nei suoi confronti, insieme agli esperti che, interpretando dati preselezionati, creano le pre-messe per la diffusione delle fake news, quelle post-verità o, più semplicemente, “balle”, in prima battuta poste a base per tesi, forse meglio postulati, che reggono politiche più o meno avventurose nei vari campi dell’economia e della società.

Proviamo a dare qualche esempio, partendo da una diver-tente, perfino ridicola, notizia offerta dalla stampa, anche spe-cialistica, e dalle televisioni, di regime o “indipendenti”, proprio in questi giorni. Diffondendo ed interpretando, come si leggerà subito in appresso, semplicisti-camente i dati sulla produzione degli ultimi due mesi nel nostro

Paese, si è scritto che la spinta dell’industria italiana - che ave-va permesso di aumentare di uno 0,1 il misero dato della pro-duzione industriale del 2016 con la lettura dei risultati degli ulti-mi mesi dell’anno - si è esaurita con una frenata nel gennaio di questo 2017, segnando un calo del 2,3%. Secondo gli “esperti” dell’ISTAT, disaggregando i dati, però, questo pur preoccu-pante risultato, che però già si prevede potrà essere smentito dalla rilevazione dei mesi suc-cessivi, è parzialmente salvato dalla crescita vorticosa dell’eco-nomia di una Regione, da inco-ronare come regina dell’export del nostro Paese, che ha segnato un incremento, udite udite, del… 53%. La Regione? Ebbe-ne sì, è la… Basilicata.

La soluzione dell’enigma, fra il ridicolo e l’assurdo, sta nell’u-tilizzo di dati, cosiddetti “percentuali” e non usando mas-se globali o assolute: la crescita percentuale della Basilicata è dovuta all’export di autoveicoli di una nota multinazionale, oggi italo(?)-americana, che trova, oggi, riscontro in altri dati, quel-li concernenti l’andamento dell’export delle province italia-ne così si segnala il primato di… Potenza (con una crescita del 58%), seguita da Milano e, subito dopo, ancora da… Frosi-none (+35,7%, guarda caso ca-

poluogo di una provincia dove ha sede Cassino con il suo stabi-limento facente capo alla stessa azienda di autoveicoli, madre dello stabilimento lucano). Troppo semplice, come del tutto inutile, è la deduzione sul pri-mato di una delle più povere Regioni e di due tra le più pove-re province d’Italia in tema di ripresa produttiva con tutte le fumisterie connesse in ordine alla ripresa del PIL o dell’export dell’industria italiana e, di con-seguenza, al trend di un Paese che, in realtà, continua ad arran-care con un futuro, al momento, tutt’altro che roseo. L’esempio appena riportato permette di ridimensionare, se non svuotare di ogni significato, le elucubra-zioni di addetti ai lavori e delle forze politiche, insieme a più o meno avventate deduzioni da parte degli operatori del mondo del lavoro e del connesso diritto, in tema di trend occupazionali negli ultimi mesi nel nostro Pae-se, liberandoci così da sterili polemiche su decimali di punto in più o in meno, in un mercato in realtà stagnante e comunque tra i peggiori tra le economie più sviluppate, pur se in crisi, dell’Occidente europeo.

* Professore di Diritto del Lavoro Università degli Studi di Bari

All’interno:

3 Il Fondo di garanzia I.N.P.S.

e il pagamento del T.F.R.

4 Il lavoro accessorio ed il

sistema dei buoni lavoro

6 Il reddito di inclusione

7 Addio voucher! “Sotto alle scorte”

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ISSN 1972-7704 Anno IX n. 1, 23 marzo 20172

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In un mondo oggi segnato da profonde incertezze, i dati stati-stici, così come presi ed elabora-ti, riescono a dividere l’opinione pubblica che si pone su due po-sizioni. Secondo alcuni, come sostiene Davies, utilizzare i dati statistici a fini politici costitui-rebbe un’operazione elitaria ed antidemocratica, cosicché pochi privilegiati nei vari Paesi riesco-no ad imporre le loro visioni, i loro progetti e le loro decisioni a tutti gli altri, un po’ come avve-niva nei secoli addietro quando le statistiche supportavano, ga-rantendole, le scelte dei governi più o meno autoritari, unici de-positari delle ricerche degli esperti e degli studiosi. Secondo altri, invece, la possibilità di accedere, interpretandoli, a mi-gliaia di dati statistici, da parte di tutti, giornalisti, cittadini co-muni e politici di ogni tendenza, permette di analizzare la società nel suo complesso con dati veri-ficabili, cosicché vi sarebbe la più piena libertà, anche però per populisti, demagoghi e contraf-fattori, di utilizzare liberamente i dati statistici.

La realtà sta nell’assoluta re-latività delle scelte dei dati da analizzare, cosicché, per tornare al nostro mondo, quello del Di-ritto del Lavoro, si tratta di sce-gliere i metodi di classificazione

per definire l’occupato, l’inoc-cupato, il disoccupato, il preca-rio, lo stabile utilizzando, ad esempio, quest’ultimo termine secondo l’interpretazione del concetto di “stabilità”. In questo caso, ad esempio, chi è stabile? Un lavoratore a tempo determi-nato, fosse solo per quel tempo, o uno a tempo indeterminato, magari usque ad…?

Tutto quanto appena scritto si carica di ulteriori temi e proble-mi quando si pensi che molte persone, in continuazione, entra-no ed escono dal mondo del lavoro, molto spesso per motivi che possono concernere non tanto le condizioni del mercato del lavoro ma, magari, per esi-genze familiari, stato di salute, residenza o domicilio facilmente mutabili, come avviene sempre più nella società post-capitalistica. Così è possibile comprendere l’estrema differen-ziazione tra dati forniti, ad esempio, dall’INPS o dall’I-STAT o, ancora, dal Ministero del Lavoro. E allora è altrettanto facile capire come cambino co-stantemente valutazioni e conse-guenti ipotesi di lavoro in rispo-sta a presunte, o troppo sempli-cisticamente accertate, esigenze sociali da parte del legislatore o delle politiche di concertazione sindacale.

Un ultimo esempio, estrema-mente significativo a conferma dell’estrema difficoltà di utiliz-zare dati certi, è quello riguar-dante l’uso dei voucher, sconta-tone l’abuso, via via crescente, con la conseguente profonda distorsione del valore originario dell’istituto, fino a indurre la stessa CGIL, primo e vivace protagonista della battaglia per

l’abolizione di questo maligno ed abusato istituto, ad aprire, sia pur con diffidenza, alla proposta di questi giorni di ridurne l’am-bito di gestione ed utilizzo sol-tanto alle famiglie attraverso un rigoroso monopolio gestionale da parte dell’INPS, eliminando pertanto il mercato libero, perfi-no nelle tabaccherie, come av-viene oggi, degli stessi. Si è cercato, nel caso dei voucher, e ancora si sta cercando di trovare una via d’uscita legislativa o, extrema ratio, concertata tra le forze sociali, alternativa ad un referendum che nuovamente avrebbe diviso il Paese e, insie-me, ricreato ed acuito divisioni di fondo, anche politiche ed ideologiche. Soprattutto si sta cercando, forse giustamente, di uscire dal pantano della lettura ed interpretazione di dati stati-stici che, volta a volta, vengono violentati nella loro logica astratta attraverso il meccani-smo, ormai invalso nell’uso di questa scelta, concernente l’an-teposizione della raccolta dei dati, ponendo poi agli stessi, o ponendosi, le domande utili per la tesi da sostenere. È stata que-sta una tecnica usata, come an-cora sostiene nel suo saggio Davies, dai consiglieri strategici di Trump nella campagna eletto-rale, rivelatasi poi vincente, smentendo tutte le previsioni, statistiche appunto, ma basate su metodi diversi ed errati, dei mass media di tutto il mondo. Raccogliendo ed elaborando dati, i cosiddetti “big data”, su larga scala, è stato possibile mandar messaggi mirati agli elettori, conquistando ampi con-sensi e smentendo tutte le previ-sioni ed aspettative del pianeta.

La polemica sulla disoccupa-zione e sul suo trend, sul valore e le distorsioni dei voucher, sul rapporto tra occupati, inoccupati e disoccupati, ha creato nel no-stro Paese soltanto un utile ter-reno di coltura per populismo e demagogia, proprio con la for-zatura e l’utilizzo di dati statisti-ci come quelli che hanno fatto della Basilicata e delle province di Potenza e Frosinone le punte della… ripresa produttiva e dell’expo italiano: il giudizio lo lasciamo ai lettori. Per quanto ci concerne, per concludere, basta solo segnalare l’importanza e la necessità di un diverso rigore nella ricerca e nell’uso della scienza statistica ricordando che, in prospettiva, non si tratta di scegliere una “politica dei fatti guidata dalle élites politiche delle emozioni, guidata dal po-pulismo” distorcendo ed asser-vendo dati statistici spudorata-mente. Si tratta invece, di nuovo utilizzando i suggerimenti di William Davies, di una battaglia “tra chi ancora crede nella cono-scenza” e, pertanto, nell’appro-fondimento e nell’uso corretto della scienza e della metodolo-gia statistica, e “chi trae profitto dalla… disintegrazione” e mani-polazione di dati parziali, quan-do non falsi e, ancora, asserviti alle brame di un potere, medio-cre quanto, anche troppo palese-mente, teso a manipolare perso-ne ed istituzioni, per difendersi e consolidarsi non curandosi della gravità del momento e delle prospettive della nostra società, in particolare del nostro Mezzo-giorno.

A quindici anni dalla scomparsa di

MARCO BIAGI

il suo insegnamento resta attuale nel saper ben distinguere e salvaguardare la flessibilità del lavoro dalla precarietà

19/03/2002 – 19/03/2017

Bollettino del Centro Studi Diritto dei Lavori ——————— Anno VIII n. 2

Supplemento al n. 1 Anno XII de

la bilancia Reg. Tribunale Trani n. 14/06

23 marzo 2017 ISSN 1972-7704

Direttore Scientifico Gaetano Veneto

Direttore Responsabile Luca De Ceglia

Direttore Editoriale Antonio Belsito

In Redazione: Daniela Cervellera

Caporedattore

Antonio De Simone, Maria Mangiatordi, Maurantonio Di

Gioia, Domenico Di Pierro

e-mail: [email protected]

Stampato da Tipografia Marchese - Bisceglie

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Anno IX n. 1, 23 gimarzo 2017 ISSN 1972-7704 3

di Antonio Belsito*

Sempre più spesso, or-mai, - per via della crisi economia-finanziaria cro-nica - il datore di lavoro risulta insolvente e non può liquidare il trattamen-to di fine rapporto in favo-re del lavoratore.

Di conseguenza quest’ul-timo è costretto a tentare prima di tutto - in via giu-diziaria e con procedure esecutive - il recupero del suo credito di lavoro.

In caso di esito negativo può rivolgersi all’apposito Fondo istituito presso l’I.N.P.S. che garantisce il pagamento del trattamento di fine rapporto ai lavora-tori nel caso in cui il dato-re risulti insolvente.

Molte volte accade che, espletate le azioni giudizia-rie e le procedure esecuti-ve, quando ci si rivolge al Fondo di Garanzia, venga dallo stesso eccepita la prescrizione del credito, sul presupposto del decor-so del quinquennio dalla cessazione del rapporto di lavoro in mancanza di al-cuna formale richiesta al medesimo Fondo, ai fini dell’interruzione dei termi-ni prescrizionali.

Pertanto in queste situa-zioni, purtroppo alquanto consuete, il Fondo di Ga-ranzia presso l’I.N.P.S. in-via al malcapitato lavorato-re una missiva di diniego al riconoscimento del cre-dito. Ebbene tale nota non solo risulta inopportuna e di cattivo gusto, ma è cen-surabile perché non corri-spondente al vero.

Infatti quando ci si rivol-ge al fondo istituito dall’Ente previdenziale muta la natura del credito

azionato che non è più di lavoro ma n credito di na-tura previdenziale, così come più volte chiarito dalla Suprema Corte di Cassazione.

In particolare la giuri-sprudenza di legittimità (Cass. civ. Sez. lav., 26 maggio 2015 n. 10824) ha sostenuto che: “il diritto del lavoratore di ottenere dall’I.N.P.S. - in caso di in-solvenza del datore di lavo-ro - la corresponsione del trattamento di fine rapporto abbia natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, risultando

distinto ed autonomo ri-spetto al credito vantato nei confronti del datore di lavo-ro e, pertanto, la prescrizio-ne del diritto del lavoratore nei confronti del Fondo di Garanzia sia quella ordi-naria decennale” (così an-che, Cass. civ., Sez. lavoro, 24 febbraio 2006, n. 4183; Cass. civ., Sez. lavoro, 9 giugno 2014, n. 12971; Cass. civ. Sez. lavoro 1 feb-braio 2010 n. 2278).

Quindi, mentre i crediti di lavoro vanno rivendicati entro cinque anni da quando maturano - ex art. 2948 cod. civ. - ivi compre-

so il trattamento di fine rapporto, nel caso in cui tale credito non sia esigibi-le, potrà essere liquidato dall’apposito Fondo di Ga-ranzia.

Il diritto del lavoratore ad ottenere dall’I.N.P.S., in caso di insolvenza del da-tore di lavoro, la corre-sponsione del T.F.R. a ca-rico dello speciale Fondo di cui alla legge n. 297 del 1982, articolo 2, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale, ed è perciò distinto ed au-tonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro. Resta esclusa, pertanto, la previ-sione dell’obbligazione soli-dale, diritto che si perfezio-na non con la cessazione del rapporto di lavoro ma al verificarsi dei presuppo-sti previsti dalla legge (insolvenza del datore di lavoro, verifica dell’esisten-za e misura del credito in sede di ammissione al pas-sivo, ovvero all’esito di pro-cedura esecutiva).

Il Fondo di garanzia co-stituisce attuazione di una forma di assicurazione so-ciale obbligatoria (con rela-tiva obbligazione contribu-tiva posta ad esclusivo ca-rico del datore di lavoro), con la sola particolarità che l’interesse del lavorato-re alla tutela è conseguito mediante l’assunzione da parte dell’ente previdenzia-le, in caso d’insolvenza del datore di lavoro, di un’ob-bligazione pecuniaria il cui quantum è determinato con riferimento al credito di lavoro nel suo ammon-tare complessivo (Cass. civ. Sez. VI ord. 9 giugno 2014 n. 12971).

* Avvocato giuslavorista

Il credito rivendicato dal lavoratore al Fondo di Garanzia quando il datore è insolvente

costituisce una prestazione previdenziale

Prescrizione quinquennale o decennale?

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ISSN 1972-7704 Anno IX n. 1, 23 marzo 2017 4

Il lavoro accessorio è una particolare modalità lavo-rativa introdotta dal de-creto legislativo n. 276/2003 ed attualmente disciplinata dal decreto legislativo n. 81/2015 non riconducibile né al lavoro subordinato né al lavoro autonomo, infatti la pre-stazione di lavoro viene acquistata dall’utilizzatore (datore di lavoro) median-te l’attivazione di una pro-cedura telematica o carta-cea basata sull’acquisto di buoni lavoro cd. voucher, da consegnare poi al lavo-ratore.

Una volta eseguita la prestazione, il lavoratore riceve dal committente, come compenso, uno o più buoni che poi dovrà rendere al concessionario del servizio (Uffici postali, banche autorizzate e ri-vendite di generi di mono-polio) che provvede al pa-gamento materiale.

Nel lavoro accessorio, quindi, non c’è l’obbligo di stipulare un contratto, né di assumere il lavoratore, né di inquadrarlo, come normalmente avviene nel rapporto di lavoro subor-dinato. Il committente im-prenditore deve solo invia-re una comunicazione preventiva all’ufficio com-petente.

Con il decreto n. 276/2003 il lavoro acces-sorio era limitato allo svol-gimento di una serie di attività lavorative occasio-nali e marginali da parte di soggetti considerati di difficile occupabilità: sia coloro che non avessero interesse ad una occupa-zione ordinaria, come ca-salinghe, studenti e pen-sionati, sia soggetti social-mente deboli, come disa-bili e persone in comunità di recupero. Si era inteso così regolarizzare attività

che erano svolte in gran parte dei casi al di fuori di vincoli contrattuali nell’in-tento di assicurare le tute-le minime previdenziali e assicurative.

Successivamente la legge n. 92/2012 e la legge n. 99/2013 hanno introdotto alcune modifiche alla leg-ge originaria, in particola-re, cancellando il requisito dell’occasionalità ed innal-zando i limiti economici per i compensi ricevuti da ogni lavoratore con il si-stema del voucher lavoro. Veniva, infatti, previsto che il compenso comples-sivamente percepito dal lavoratore non potesse essere superiore nel corso di un anno solare a 5.000 euro, con riferimento alla totalità dei committenti, da intendersi come impor-to netto per il prestatore, pari a 6.666 euro lordi.

Attualmente il quadro giuridico del lavoro acces-

sorio appare completa-mente diverso rispetto a quello originario: il decre-to legislativo n. 81/2015 ha completamente libera-lizzato tale forma di lavo-ro, confermando l’orienta-mento delle molteplici mo-difiche intervenute nel corso degli anni, che ne hanno progressivamente ampliato l’ambito di appli-cazione, fino alla completa soppressione delle limita-zioni di tipo oggettivo (attività esercitabili) e soggettivo (soggetti abilita-ti a prestare lavoro acces-sorio).

Pertanto il lavoro acces-sorio può essere svolto da qualsiasi soggetto e per qualsiasi attività lavorati-va: l’unico limite è quello economico, che opera esclusivamente nei con-fronti del lavoratore, che con riferimento della tota-lità dei committenti non può superare compensi

superiori ad euro 7.000 annue nette ( annualmen-te rivalutati ).

Se le attività sono svolte nei confronti di imprendi-tori commerciali o profes-sionisti, oltre al predetto limite complessivo di euro 7.000 nette, vi è anche il limite di euro 2.020 netti l’anno nei confronti di uno stesso committente.

I soggetti percettori di trattamenti a sostegno del reddito possono svolgere attività lavorativa accesso-ria nel limite di euro 3.000 annue.

Ciascun buono lavoro che viene emesso telema-ticamente dall’INPS, ha un valore netto di 7,50 euro e corrisponde al compenso minimo di un’o-ra di prestazione, al costo di 10 euro per il datore di lavoro (salvo che per il settore agricolo, dove si fa riferimento al contratto specifico).

IN MEMORIA DEI VOUCHER ...

di Mario Di Corato e Antonio Nunzi

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Con tali buoni vengono quindi garantiti:

- il compenso per il la-voratore;

- la copertura previden-ziale I.N.P.S.;

- la copertura assicura-tiva I.N.A.I.L..

Al termine del rapporto lavorativo il voucher per il lavoro accessorio non dà diritto alle prestazioni a sostegno del reddito (disoccupazione, materni-tà, malattia, ecc.).

Un’ultima modifica è stata apposta dal decreto legislativo n. 185/2016 che ha previsto la comu-nicazione preventiva ob-bligatoria che permette la tracciabilità dei voucher per evitarne l’uso fraudo-lento.

Dall’8 ottobre scorso gli imprenditori che utilizza-no i voucher dovranno inviare la comunicazione preventiva prima dell’ini-zio di ciascuna prestazio-ne all’Ispettorato del lavo-ro, nel modo seguente:

- i committenti imprendi-tori non agricoli o profes-sionisti sono tenuti, alme-no 60 minuti prima dell’i-nizio della prestazione di lavoro accessorio, a comu-nicare alla sede territoria-le dell’Ispettorato del lavo-ro, mediante sms o posta elettronica, i dati anagrafi-ci ed il codice fiscale del lavoratore, il luogo, il gior-no e l’ora di inizio e di fine della prestazione;

- i committenti imprendi-tori agricoli sono tenuti a comunicare, nello stesso termine e con le stesse modalità, i dati anagrafici e il codice fiscale del lavo-ratore, il luogo e la durata della prestazione con rife-rimento ad un arco tem-porale non superiore a 3 giorni.

Questa è la situazione attuale presto destinata a cambiare, anzi già repen-tinamente modificata.

Infatti lo scorso 17 mar-

zo il Consiglio dei Ministri ha approvato il d.l. n. 25/2017 che abroga le norme sui voucher.

Nello specifico i voucher lavoro dovevano essere oggetto di referendum abrogativo nei prossimi mesi, a seguito della sen-tenza della Corte costitu-zionale del 11.1.2017 che aveva considerato ammis-sibile il quesito proposto dalla CGIL per la loro abo-lizione.

La proposta era arrivata a seguito dell’allarme per l’abnorme utilizzo di que-sto strumento. Tale refe-rendum voleva tuttavia essere scongiurato dal Governo che stava prepa-rando un decreto legislati-vo di correzione del Job Act, nella speranza di evi-tare la consultazione po-polare.

A fronte della loro abro-gazione, si ritiene tuttavia opportuno illustrare le modifiche che il Governo aveva previsto in tema di voucher lavoro 2017.

Limiti economici Limite annuo per il lavora-tore di 5.000 euro netti, come prima del Job Act; Limite per privati, aziende e professionisti: 2.000 eu-ro con il singolo lavorato-re, 3.000 euro in totale.

Datori di lavoro Solo: famiglie, aziende senza dipendenti, profes-sionisti, associazioni ed enti no profit (si escludo-no le pubbliche ammini-strazioni ).

Lavoratori Solo: pensionati, studenti, disoccupati con esclusio-ne di dipendenti e lavora-tori autonomi.

Tipologia di attività Possibilità di retribuire con i voucher solamente: a) attività lavorative occa-sionali rese a favore di privati, come: piccoli la-vori domestici; insegna-mento privato supplemen-tare ; piccoli lavori di giar-

dinaggio, pulizia e manu-tenzione; manifestazioni sociali, sportive, culturali per finalità non di lucro; collaborazione con enti pubblici e associazioni di volontario per lavori di emergenza in occasioni di calamità o eventi naturali; piccoli lavori in agricoltu-ra; b) attività lavorative occa-sionali rese a favore di imprenditori o professioni-sti che non abbiano lavo-ratori alle proprie dipen-denze; c) attività lavorative occa-

sionali rese nell’ambito delle attività agricole di carattere stagionale effet-tuate da pensionati o gio-vani con meno di 25 anni di età, se regolarmente iscritti ad un ciclo di stu-di. Come anticipato, a seguito della pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 17 marzo scorso del d.l. n. 25/2017 la disciplina sui voucher è stata abolita e quelli già richiesti entro quella data potranno esse-re spesi entro il 31 dicem-bre 2017.

Ormai, sono passati tanti anni dall’epoca in cui i giovani, partecipando a concorsi potevano trovare lavoro presso una azienda prestigiosa - come lo erano le Banche, o gli Enti pubblici - onde garantirsi un futuro. Oggi, anche i laureati quarantenni cercano ancora una stabilità. Addio al posto fisso? Già, ma non è soltanto colpa dei tempi che cambiano. Basterebbe pensare al precariato “cronico” che regna sovrano nella Pubblica Amministrazione nonostante le tante iniziative di stabilizzazione. E’ consuetudine, infatti, soprattutto dei politicanti che diventano amministratori degli enti pubblici e dei vari direttori generali (che, guarda caso, sono sempre le stesse persone !) consentire l’accesso in forma precaria a persone più o meno a loro vicine con contratti di lavoro temporanei che finiscono in realtà per rendere vano un bando di concorso. E quando vengono banditi servono innanzitutto per stabilizzare i precari che ormai si trovano all’interno da troppo tempo; il tutto con buona pace dell’art. 97 della Costituzione. Nel settore privato, le banche, ormai prive di quelle garanzie di serietà che le contraddistinguevano fino ad alcuni anni fa, hanno subito una vera metamorfosi causata non tanto dalla globalizzazione e dalla crisi economica, quanto dal malcostume oltremodo diffuso tra i dirigenti, a volte di dubbia preparazione, scelti per lo più in forma clientelare. L’esasperazione della crisi del lavoro non è tanto addebitabile ai noti problemi economici, quanto al malcostume imperante soprattutto in una classe dirigente (politici compresi) che non ha scrupoli nel curare esclusivamente il proprio tornaconto, non nutrendo alcun rispetto verso le esigenze vitali della collettività. E’ l’inesistenza di valori morali tra questi soggetti che si avvicendano in maniera indecorosa scambiandosi le varie poltrone di note aziende pubbliche e private che non può essere più tollerata; altrimenti non ci sarà speranza per un mondo diverso.

DA GRANDE … IL POSTO FISSO

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ISSN 1972-7704 Anno IX n. 1, 23 marzo 20176

di Giorgia Michela De Sanctis*

Con il disegno di legge delega per il contrasto alla povertà ed il riordino delle prestazioni sociali, viene introdotto anche in Italia il “reddito di inclusione”, una misura unica a livello nazionale, con ca-rattere universale ma condizionata al pos-sesso di determinati requisiti. Il cd. “Rei” è finalizzato ad assicurare un sostegno economico, in modo progressivo, alle famiglie che si trovino al di sotto della soglia di povertà assoluta, con preceden-za riconosciuta ai nuclei con bambini.

Il Rei è condizionato alla “prova dei mezzi” sulla base dell’Indicatore della situazione economica equivalente (Isee), considerando l’effettivo reddito disponi-bile e gli indicatori della capacità di spe-sa ed è altresì condizionato all’adesione ad un progetto personalizzato di attiva-zione e di inclusione sociale e lavorativa finalizzato all’affrancamento dalla condi-zione di povertà.

Per quanto concerne il requisito reddi-tuale: il disagio economico dovrebbe at-testarsi su di un valore Isee inferiore o uguale a 3000 euro. Invece per quanto riguarda l’adesione ad un progetto perso-nalizzato, essendo il reddito di inclusione non una forma di reddito assistenziale, né di cittadinanza, ma un intervento di in-clusione attiva collegato a misure di ac-compagnamento verso la società ed il lavoro, il capofamiglia dovrà aderire ad un progetto personalizzato di attivazione ed inclusione sociale e lavorativa, predi-sposta dall'ente locale.

Il soggetto dovrà impegnarsi per esem-pio “a garantire un comportamento re-sponsabile, ad accompagnare i figli a scuola, a sottoporli alle vaccinazioni e ad accettare eventuali proposte di lavoro”.

Il funzionamento di tale meccanismo sarà gestito dai servizi sociali dei comuni in collaborazione con il centro dell’im-piego, al fine di subordinare l’erogazione del reddito alla partecipazione a misure utili per trovare lavoro o per migliorare il livello di occupabilità della persona e delle famiglie indigenti.

In quest’ottica viene rafforzato il coor-dinamento degli interventi in materia di servizi sociali, con la previsione di un organismo nazionale presieduto dal Mi-

nistro del Lavoro delle Politiche sociali che garantisca livelli di assistenza e pre-stazioni omogenei su tutto il territorio italiano.

Nel perseguimento di tale obiettivo l’organismo si consulterà periodicamente e potrà costituire gruppi di lavoro con le parti sociali e gli organismi rappresentati-vi degli enti del Terzo settore al fine di valutare l’attuazione delle disposizioni della delega ed esaminare nuove proposte in materia di contrasto alla povertà. Del reddito di inclusione potranno beneficiar-ne sia i cittadini italiani che stranieri, re-sidenti nel territorio nazionale da un pe-riodo di tempo minimo, da quantificare.

Secondo i dati Istat le persone in una situazione di povertà assoluta sono 4,6 milioni, circa 1,6 milioni di famiglie; a fronte di una stanziamento di 1 miliardo e 150 milioni di euro effettuato dalla leg-ge di stabilità, le risorse risultano insuffi-cienti.

La stessa legge delega, dunque prevede di dare priorità ad alcuni soggetti: nuclei familiari con figli minori o con disabilità grave o con donne in stato di gravidanza accertata o con persone di età superiore a 55 anni in stato di disoccupazione. Ogni nucleo familiare riceverà mensilmente la somma necessaria a colmare la differenza tra la soglia di povertà ed il proprio red-dito disponibile.

L’importo verrà calcolato in base al numero dei componenti del nucleo fami-liare rispettando il principio guida del provvedimento: assicurare un livello di vita “minimamente accettabile”. In que-sta prima fase, tenuto conto delle risorse stanziate, si stima che il contributo am-monterà a circa 480 eu-ro al mese, per nucleo familiare. Si prevede comunque una durata limitata per l’erogazione dell’assegno, rinnovabi-le previa verifica della sussistenza dei requisiti richiesti, ai fini del completamento o della ridefinizione del percor-so previsto dal progetto personalizzato. È con-templata anche l’ipotesi della sospensione qualo-

ra si esca dallo stato di indigenza ed il rinnovo qualora si ricada in tale stato.

Il reddito di inclusione si differenzia dal Reddito di cittadinanza in quanto quest’ultimo è universale e non selettivo; anch’esso è condizionato alla disponibili-tà a lavorare ed allo stato di bisogno, pre-vedendo un beneficio di circa 700 euro al mese.

L’iter che attende la legge delega dure-rà qualche mese prima che il reddito di inclusione diventi pienamente operativo, bisogna attendere che l’esecutivo deter-mini in concreto la modalità di attuazione della norma secondo i limiti e le direttive imposte dal Parlamento. Nel periodo transitorio, resta in vigore il “Sia” Soste-gno all’inclusione attiva, che prevede un assegno di 80 euro al mese a componente fino ad un massimo di 400 euro mensili.

Il Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti ha dichiarato: “Con l’approvazione del disegno di legge delega sul contrasto alla povertà si com-pie oggi un passo storico: per la prima volta il nostro paese si dota di uno stru-mento nazionale e strutturale di contra-sto alla povertà - il REI - che ci consente di introdurre progressivamente una mi-sura universale fondata sull’esistenza di una condizione di bisogno economico e non più sull'appartenenza a particolari categorie (anziani, disoccupati, disabili, genitori suoli, ecc.)”.

Attendiamo l’emanazione dei decreti attuativi per conoscerne più dettagliata-mente i meccanismi di funzionamento, le modalità di accesso, le soglie di reddito e soprattutto l’effetto che sortirà tale misu-ra nel nostro Paese.

* Praticante avvocato

Strumenti di Welfare

Nasce una misura nazionale di contrasto alla povertà fondata sull’esistenza di una condizione di bisogno economico e non più sull’appartenenza a determinate categorie

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Il decreto legge n. 25/2017 pubblicato in Gazzetta Uffi-ciale ed entrato in vigore a tempo di record , ha statuito l’abolizione dei voucher e l’utilizzabilità di quelli resi-dui, perché acquistati prima del 17 marzo 2017, entro il 31 dicembre dello stesso anno.

I voucher hanno rappresen-tato uno straordinario stru-mento di pagamento del lavo-ro, nel 2016 circa 300 mila persone sono state retribuite con circa 130 milioni di vou-cher dal valore di 10,00 € (7,50 € di compenso al lavoratore, 2,50 € di contributi versati all’INPS e all’INAIL).

Hanno costituito valido strumento per retribuire in modo legale lo studente che dà ripetizioni private, la colla-boratrice domestica, la baby sitter ,la badante, il giardinie-re, operai intervenuti per pic-coli lavori di muratura o ma-nutenzione; ma sono stati ampiamente ed impropria-mente utilizzati anche in altre realtà lavorative, dalle società sportive per pagare gli steward, nel settore turistico e nella ristorazione per assu-mere personale aggiuntivo in momenti di attività partico-larmente intensa, oltre che

dalle società e dalle imprese. Il decreto di abolizione dei

voucher sta creando non po-chi inconvenienti ai commit-tenti in possesso di buoni spendibili fino a fine anno;, si registra un totale “impasse” del portale dell’Inps per la gestione dell’attivazione del voucher già acquistati, l’ente sembra aver preso alla lettera i dettami del decreto di abro-gazione, adeguandosi imme-diatamente e cessando il ser-vizio, creando seri disagi a coloro che ne hanno già ac-quistati e devono necessaria-mente utilizzarli nei prossimi nove mesi, rischiando altri-menti di ritrovarsi con inutili “pezzi di carta” in mano.

Oltre al problema tecnico, ne sussiste uno giuridico, ov-vero: nel decreto di abroga-zione dei ticket non è stata prevista una norma transito-ria che regoli e sanzioni l’uti-lizzo dei voucher fino a fine anno, creando un vuoto legi-slativo da colmare al più pre-sto. Si sottolinea come gli arti-coli abrogati dal decreto del 17marzo 2017 disciplinavano "gli aspetti essenziali del lavoro accessorio: definizione, campo di applicazione, sanzioni, aspetti previdenziali”. Le norme abro-gate prevedevano i limiti eco-nomici per utilizzare i buoni

lavoro, "lo speciale regime per l'agricoltura, le modalità di ac-cesso al lavoro accessorio, fino ad un recente obbligo di comunica-zione preventiva ed un conse-guente apparato sanzionatorio specifico in caso di violazione". Quest'ultimo aspetto è frutto di un decreto correttivo del Jobs Act col quale si era intro-dotto l'obbligo di anticipare di un'ora l'attivazione di un ticket, via sms o e-mail; un modo per ridurre l’uso distor-to dei buoni, attivati in extre-mis, in caso di controllo im-provviso.

Ma da cosa verranno sosti-tuiti i voucher? Le attività saltuarie ed occasionali ri-schiano di ripiombare nella retribuzione irregolare? Le parti sociali propongono le soluzioni più disparate: esten-dere il “lavoro a chiamata” che permetterebbe di utilizza-re i lavoratori a gettone , per non più di 400 giorni in tre anni, limitato però agli under 25 ed agli over 55. La Cgil propone dei nuovi voucher denominati “ lavoro subordi-nato occasionale” previa iscri-zione del lavoratore al centro per l’impiego. In molti spin-gono per gli “assegni lavoro” mutuati dall’esperienza fran-cese, i c.d. “ cèchque emploi” usati dalle famiglie per paga-

re un’agenzia che fornisca personale oppure per pagare direttamente il lavoratore. Hanno importi e valenza tem-porale limitati, ma costitui-scono uno strumento abba-stanza garantista, dato che tutte le operazioni vengono registrate presso il centro na-zionale CESU che gestisce tutto il sistema, compresa l’e-rogazione delle buste paga ed il versamento dei contributi.

Un’ulteriore opzione sareb-be quella di creare un sistema simile ai “mini job” tedeschi utilizzati dalle famiglie e dal-le imprese per il pagamento di prestazioni occasionali. È previsto un limite massimo di guadagno mensile pari a € 450,00, fino ad un massimo di € 5.400,00 in un anno. I “mini job” garantiscono una miglio-re copertura assicurativa, con-tributiva e sanitaria rispetto ai vecchi voucher: dei € 450,00 percepiti dal lavoratore, il datore di lavoro ne paga circa € 200,00 sottoforma di contri-buti ed assicurazione.

Il silenzio del legislatore in ordine alla disciplina regola-mentare e sanzionatoria sem-bra aver implicitamente affer-mato la transitorietà del siste-ma previgente al decreto, ac-compagnando l’utilizzo dei ticket fino al nuovo anno.

Il Governo statuisce l’abrogazione dei ticket-lavoro, saranno utilizzabili fino a fine anno quelli acquistati entro il 17 marzo 2017

di Elio Gaetano Belsito*

* Praticante avvocato

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