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Il videoterminalista La documentazione sul videoterminalista dell’Associazione Nazionale Medici d’Azienda non può che rifarsi alla monografia presentata nell’ambito del XXII Congresso Nazionale ANMA, ‘Il videoterminalista e il D.Lgs.81/2008, Orientamenti operativi per il medico competente’ di Paolo Santucci. L’obiettivo della pubblicazione è di offrire, a fronte di una profonda revisione della letteratura scientifica, il meglio all’operatività quotidiana del medico competente, coniugando validità scientifica e sostenibilità della proposta. Perciò in questa sezione appare logico ripercorrere gli argomenti della monografia, proponendo qualche approfondimento, ma raccomandando la lettura del testo integrale che, per completezza (trattati tutti i pericoli che possono coinvolgere il videoterminalista), attualità (problematiche affrontate in base agli adempimenti richiesti dal D.Lgs.81/2008) e praticità (molte immagini, schemi esemplificativi, casi clinici) non dovrebbe mancare, a nostro giudizio, nella borsa del medico competente. La monografia ANMA ‘Il videoterminalista e il D.Lgs. 81/2008, Orientamenti operativi per il medico competente’ Affrontare le complessità della mansione di videoterminalista in un unico contributo, senza dover inseguire le singole fonti di rischio in altrettante pubblicazioni, schematizzare le roblematiche in base agli obblighi operativi del Testo Unico, evitando sterili classificazioni dei rischi, individuare soluzioni sostenibili, partendo dalle esperienze pratiche e non rinunciando alla validità scientifica della proposta, proporre uno screening ergoftalmologico che permetta al medico competente di parlare la stessa lingua di interlocutori privilegiati, come l’oculista e l’ortottista. Questi gli obiettivi che si prefigge la monografia ANMA di Paolo Santucci, ‘Il videoterminalista e il D.Lgs.81/2008, Orientamenti operativi per il medico competente’, 300 pagine, 7 capitoli, molti schemi operativi ed immagini esemplificative, oltre 200 voci bibliografiche di riferimento. Un contributo scritto dal medico competente per i medici competenti, ma utile alla consultazione da parte di ogni figura della prevenzione aziendale. Il testo, presentato nell’ambito del XXII Congresso Nazionale ANMA di Colli del Tronto (AP), 18- 20 giugno 2009, è a disposizione dei soci al costo di rimborso delle spese di realizzazione e spedizione. Informazioni: Segreteria Associazione Nazionale Medici d’Azienda, [email protected], tel. 0286453978, www.anma.it

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Il videoterminalista La documentazione sul videoterminalista dell’Associazione Nazionale Medici d’Azienda non può che rifarsi alla monografia presentata nell’ambito del XXII Congresso Nazionale ANMA, ‘Il videoterminalista e il D.Lgs.81/2008, Orientamenti operativi per il medico competente’ di Paolo Santucci. L’obiettivo della pubblicazione è di offrire, a fronte di una profonda revisione della letteratura scientifica, il meglio all’operatività quotidiana del medico competente, coniugando validità scientifica e sostenibilità della proposta. Perciò in questa sezione appare logico ripercorrere gli argomenti della monografia, proponendo qualche approfondimento, ma raccomandando la lettura del testo integrale che, per completezza (trattati tutti i pericoli che possono coinvolgere il videoterminalista), attualità (problematiche affrontate in base agli adempimenti richiesti dal D.Lgs.81/2008) e praticità (molte immagini, schemi esemplificativi, casi clinici) non dovrebbe mancare, a nostro giudizio, nella borsa del medico competente.

La monografia ANMA ‘Il videoterminalista e il D.Lgs. 81/2008, Orientamenti operativi per il medico competente’ Affrontare le complessità della mansione di videoterminalista in un unico contributo, senza dover inseguire le singole fonti di rischio in altrettante pubblicazioni, schematizzare le roblematiche in base agli obblighi operativi del Testo Unico, evitando sterili classificazioni dei rischi, individuare soluzioni sostenibili, partendo dalle esperienze pratiche e non rinunciando alla validità scientifica della proposta, proporre uno screening ergoftalmologico che permetta al medico competente di parlare la stessa lingua di interlocutori privilegiati, come l’oculista e l’ortottista. Questi gli obiettivi che si prefigge la monografia ANMA di Paolo Santucci, ‘Il videoterminalista e il D.Lgs.81/2008, Orientamenti operativi per il medico competente’, 300 pagine, 7 capitoli, molti schemi operativi ed immagini esemplificative, oltre 200 voci bibliografiche di riferimento. Un contributo scritto dal medico competente per i medici competenti, ma utile alla consultazione da parte di ogni figura della prevenzione aziendale. Il testo, presentato nell’ambito del XXII Congresso Nazionale ANMA di Colli del Tronto (AP), 18-20 giugno 2009, è a disposizione dei soci al costo di rimborso delle spese di realizzazione e spedizione. Informazioni: Segreteria Associazione Nazionale Medici d’Azienda, [email protected], tel. 0286453978, www.anma.it

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Introduzione Negli ultimi vent’anni pubblicazioni, studi epidemiologici e linee guida hanno portato un contributo fondamentale alla conoscenza delle problematiche del videoterminalista di pari passo alla crescente diffusione delle unità video. La pubblicazione del D. Lgs. n°81 del 9 aprile 2008, ha confermato nella sostanza la normativa, che già tutelava il lavoratore ‘videoterminalista’ attraverso il D.Lgs.626/94, introducendo alcune novità specifiche, p.es. sull’utilizzo del computer portatile, e diversi elementi generali di novità, primo fra tutti l’obbligo della valutazione dei rischi collegati allo ‘stress lavoro-correlato”. Tuttavia linee guida e testi dedicati al videoterminalista sembrano rivolti maggiormente a medici del lavoro per una attività settoriale di secondo livello, piuttosto che al medico competente per lo svolgimento quotidiano dell’insieme dei suoi compiti di prevenzione. Da queste considerazioni è nata l’idea di una puntualizzazione operativa dei rischi in una visione ‘olistica’ del lavoratore, che parta dagli elementi del posto di lavoro evidenziati dalla nuova normativa (art.174.1 D.Lgs.81/2008): rischi per la vista e per gli occhi, problemi legati alla postura ed all’affaticamento fisico o mentale, condizioni ergonomiche e di igiene ambientale.

I contenuti I rischi e le problematiche attribuite al videoterminalista dal D.Lgs.81/08 costituiscono i titoli dei capitoli della monografia, consentendo così la trattazione schematica dei temi imposti dalla normativa. Ogni grande tema si sofferma sui singoli pericoli seguendo il percorso metodologico: dalla conoscenza delle cause agli effetti sulla salute, dalla valutazione del rischio alle misure preventive, compresa la sorveglianza sanitaria ed il giudizio di idoneità. Va ribadito che tutti gli elementi elencati devono essere presi in considerazione nel rispetto della normativa, ma questi imporranno approfondimenti valutativi ed eventuali conseguenti azioni preventive (formazione-informazione e sorveglianza sanitaria, per esempio), soltanto quando ritenuti necessari nel contesto specifico. Gli Allegati offrono strumenti operativi utili, quali la normativa dedicata al videoterminalista, esempi di stesura del documento di valutazione dei rischi, modelli per l’effettuazione della formazione e della sorveglianza sanitaria. Le specificità Il capitolo sui ‘rischi per la vista e gli occhi’ riprende alcuni concetti specialistici, nel campo dell’illuminotecnica o della fisiopatologia oculare, trattando svariati temi, dalla ‘misurazione’ dell’astenopia, al test di funzione visiva con strumentazione manuale, dai criteri di idoneità fino alla descrizione di casi clinici. Di seguito il paragrafo dedicato alle misure preventive nell’ambito della postazione di lavoro e l’illustrazione del caso clinico n°5.

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Esempi di misure preventive e requisiti minimi del posto di lavoro (Allegato XXXIV del D. Lgs. 81/2008)

E’ stato ricordato che l’eccessiva luminosità rappresenti una causa frequente di astenopia oculovisiva. L’illuminotecnica definisce questo disagio come un “abbagliamento”, vale a dire una condizione visiva di discomfort dovuta ad una ‘scorretta distribuzione di luminanze’. L’allegato XXXIV, nel paragrafo 2 b), ribadisce che “l’illuminazione generale e specifica (lampade da tavolo) deve garantire un illuminamento sufficiente e un contrasto appropriato tra lo schermo e l’ambiente circostante…”. La SUVA (Istituto nazionale svizzero di assicurazione contro gli infortuni) propone alcuni suggerimenti per attenuare questo fenomeno ed accrescere il comfort visivo del videoterminalista. Gli ambienti di grandi dimensioni con diverse postazioni di lavoro al VDT devono essere illuminati con lampade fluorescenti lineari (attivabili se possibile, singolarmente) disposte parallelamente alla direzione dello sguardo.

Per piccoli uffici combinati un sistema di illuminazione indiretta con una quota di luce diffusa diretta rappresenta una buona soluzione, così come una illuminazione a vasto irraggiamento con bassi valori di luminanza in tutte le direzioni (SUVA, 2003). Per open space che godono di ampie superfici trasparenti la soluzione più moderna è rappresentata dalle lampade a tubi fluorescenti che, con una regolazione automatica della luce grazie ad apposita fotocellula, permettono il mantenimento costante dell’illuminazione del piano di lavoro con considerevole risparmio energetico.

Generalmente la luce naturale può essere sfruttata dalle postazioni perimetrali, entro 5 metri dalla finestra più vicina, ma non costituisce una fonte omogenea nell’arco delle

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stagioni e della giornata, richiedendo sempre la presenza di tende (ved. Allegato XXXIV D.Lgs.81/2008, Requisiti minimi del posto di lavoro). La luce artificiale è invece uniforme e diventa preferibile se adeguata, bilanciata e regolabile: corpi luminosi schermati e paralleli alle finestre, ad almeno 60° nell’angolo formato con lo sguardo orizzontale dell’operatore, con comandi frazionati e preferibilmente regolatore volumetrico. L’allegato XXXIV, nel paragrafo 2 b), ricorda che l’illuminazione generale e specifica (lampade da tavolo) deve tenere conto “delle caratteristiche del lavoro e delle esigenze visive dell’utilizzatore”. Una luce ‘locale’ addizionale si rivela infatti utile quando l’operatore legge spesso sul cartaceo, oppure presenta una riduzione dell’acuità visiva non migliorabile con lenti, per esempio una iniziale opacizzazione del cristallino. Viceversa la possibilità di attenuare l’illuminazione si rivelerà decisiva, magari con comandi frazionati dei punti luce, negli operatori che utilizzano esclusivamente il videoterminale o evidenziano ‘fotofobia’. Le tende devono assumere la funzione di modulazione del fascio di luce, e non di eliminazione che si rivela impossibile, soprattutto nella corretta provenienza di lato, come ricorda l’allegato XXXIV: “Le finestre devono essere munite di un opportuno dispositivo di copertura regolabile per attenuare la luce diurna che illumina il posto di lavoro”. Perciò, qualora la finestra sia posta di fronte o alle spalle rispetto all’operatore, pur se schermate con tende, la soluzione è rappresentata dalla rotazione di 90° della scrivania con il monitor per permettere la corretta provenienza laterale della luce naturale.

Con queste modalità è soddisfatta la condizione imposta dall’allegato XXXIV.1 (Attrezzature) del D.Lgs 81/2008 : “..sullo schermo non devono essere presenti riflessi e riverberi che possano causare disturbi all’utilizzatore durante lo svolgimento della propria attività … riflessi sullo schermo, eccessivi contrasti di luminanza e abbagliamenti dell’operatore devono essere evitati disponendo la postazione di lavoro in funzione dell’ubicazione delle fonti di luce naturale e artificiale”. Nell’immagine seguente viene illustrato un esempio pratico di corretta sistemazione del ‘layout’: le finestre sono a lato della postazione a distanza di almeno 1 m., dotate di ‘veneziane’ con presenza di lampada da tavolo per una eventuale illuminazione specifica.

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Nella pratica quotidiana capita ancora di incontrare le cosiddette scrivanie “a fiore” o “a petali” con le quattro postazioni dotate di monitor CRT (‘a tubo catodico’) che ricevono la luce naturale in maniera non ideale. Una prima soluzione consiste nell’allontanare le postazioni dalle finestre mantenendo i monitor ‘perpendicolari’al piano di lavoro, in modo da attenuare l’effetto ‘sfavorevole’ della luce, riflessi o abbagliamenti, e, se possibile, sostituendo i monitor CRT con schermi ‘piatti’ LCD (Liquid Cristal Devices, ‘a cristalli liquidi’). L’impiego degli schermi a cristalli liquidi permette infatti il mantenimento delle scrivanie “a quattro” con postazioni contrapposte, due a due, ottimizzazione degli spazi e soprattutto la possibilità di godere della luce naturale proveniente dalle finestre poste lateralmente a 90°. Nell’immagine successiva l’ottima sistemazione del ‘lay-out’ (l’organizzazione della postazione) prevede scrivanie con monitor LCD contrapposti e provenienza laterale della luce naturale delle finestre.

Le caratteristiche del monitor LCD e CRT. Il videoterminale (VDT o AIDV = Apparecchiature Informatizzate dotate di Video) è una apparecchiatura elettronica progettata per attività informatiche, caratterizzata dalla presenza di: - una unità di visualizzazione, CRT (Cathodic Ray Tube, ‘a tubo catodico’), LCD (Liquid Cristal Devices, ‘a cristalli liquidi’) o al Plasma, con possibilità di rappresentazione alfanumerica e/o grafica - una unità di controllo, gestione e memorizzazione di dati - dispositivi periferici, sia di interfaccia con l’utilizzatore, per funzioni di input (tastiera, mouse, ecc.) e di output (stampanti, plotter, strumenti di misura, ecc.), sia per acquisizione dati (scanner, sensori di sistemi di rilevazione ecc.). Lo schermo tradizionale (CRT) è costituito da un tubo a raggi catodici nel quale un fascio di elettroni viene opportunamente accelerato, deviato e modulato di intensità, al fine di eccitare i “fosfori” posti sulla parte interna dello schermo. In questa sede si formano punti

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luminosi (pixel) che producono l’immagine, monocromatica o a colori (Romano et Al., 2003). I monitor che sfruttano la tecnologia LCD sono le cosiddette periferiche a cristalli liquidi, costituite da una particolare sostanza il cui stato fisico è a metà strada tra un solido ed un fluido e possiamo ritenerla composta da tante piccole "bacchette o filamenti" orientabili. Ne esistono in commercio di diverso tipo, ma schematicamente si possono distinguere in retroilluminati e transriflettivi: nel primo caso un pannello luminoso retrostante lo schermo genera energia luminosa che modulata dai cristalli liquidi formerà l’immagine, mentre, nel secondo caso, la luce ambientale viene riflessa da uno specchio posto dietro allo schermo. La tecnologia a cristalli liquidi, LCD, presenta diversi aspetti migliorativi, quali: - l'aspetto ergonomico, cioè la possibilità di poter disporre di periferiche di dimensioni

ottimali di 17" o 18" con un ingombro drasticamente inferiore a quello dei CRT, caratteristiche queste che permettono di ottimizzare gli spazi di lavoro, riducendo l’ingombro sulle scrivanie ed agevolando un migliore posizionamento degli avambracci.

- le dimensioni di uno schermo LCD integralmente sfruttabili con le immagini a video e non inferiori alla dimensione commerciale che si attribuisce ai CRT.

la ridotta emissione di radiazioni non ionizzanti, il minor consumo energetico, la multimedialità per le casse audio integrate, e la possibilità di collegare un notevole numero di periferiche USB tipo tastiere, mouse ed altri dispositivi (‘devices’). In funzione del tipo di monitor, a tubo catodico oppure a cristalli liquidi, non sono note grandi indagini epidemiologiche, tuttavia i dati di uno studio genovese, su 393 videoterminalisti di piccole e medie imprese (Massaferro et Al., 2004), hanno evidenziato una riduzione dei casi di ‘astenopia significativa’ tra i lavoratori esposti allo schermo a cristalli liquidi LCD (prevalenza 26,5 %) rispetto al monitor tradizionale CRT (30,8 %). Lo schermo LCD è generalmente rivestito di una pellicola di plastica che attenuta il riflesso e, se la fonte di luce proveniente da tergo è ridotta e non ravvicinata, può rendere accettabile anche la presenza, se non sono possibili migliori soluzioni, di una finestra posta dietro all’operatore, determinando così una eccezione che conferma comunque la regola. In ogni caso bisogna valutare con attenzione le caratteristiche tecniche del modello di monitor a ‘cristalli liquidi’, che si intende adottare, poiché esigenze commerciali hanno portato negli ultimi anni alla realizzazione di diverse linee di schermi nell’ambito della stessa marca. Generalmente le marche più note offrono con la linea “office” ampie garanzie, mentre la scelta di altri modelli, verosimilmente destinati ad una utenza domestica per intrattenimento o per videogiochi, soprattutto tridimensionali, potrebbe rivelarsi inadeguata per un utilizzo professionale. Una tecnologia innovativa denominata “brite” o “crystalbrite”, dedicata soprattutto ai portatili, ha reso molti schermi lucidi e riflettenti con colori brillanti, creando un ‘effetto specchio’ non ideale all’utilizzo professionale ed intensivo, soprattutto in condizioni critiche, quali elevata luminosità o provenienza posteriore di fonti di luce. Le immagini seguenti mostrano a sinistra un computer portatile con schermo “crystalbrite”, correttamente posizionato (fonte di luce laterale), che permette una buona visione dell’immagine, mentre a destra, nello stesso schermo, l’operatore, ricevendo la luce da tergo, vede un forte riflesso, che rende illeggibile buona parte del documento. Per una maggior adattabilità del monitor è perciò raccomandabile, soprattutto per un uso professionale o comunque intenso del computer, la scelta di uno schermo LCD rivestito dalla tradizionale pellicola ‘opaca’ che attenua i riflessi.

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Va ricordato che, soprattutto nel passato, sono stati proposti dal mercato diversi tipi di ‘filtri per monitor’ allo scopo di ridurre le radiazioni elettrostatiche e/o i riflessi fastidiosi, ma è ormai risaputo che le emissioni non rappresentano alcun pericolo e che i riflessi sono efficacemente eliminati da un corretto posizionamento dello schermo, preferibilmente di tipo LCD-TFT. Sul mercato si trovano attualmente speciali filtri che impediscono la lettura ‘laterale’ delle informazioni visualizzate sullo schermo. Questi filtri, ideati soprattutto per chi usa il notebook sui mezzi di trasporto pubblico, sono utilizzati anche sui monitor (CRT o LCD) degli operatori presso gli sportelli pubblici, ad esempio banche, assicurazioni, aziende di servizio pubblico. Bisogna tenere presente che anche gli operatori non possono vedere lo schermo lateralmente e questo può rappresentare un problema organizzativo (SUVA Il lavoro al videoterminale, 2003). L’Allegato XXXIV del D.Lgs 81/2008 ricorda che lo schermo deve essere posizionato di fronte all’operatore in maniera che, anche agendo su eventuali meccanismi di regolazione, lo spigolo superiore dello schermo sia posto un po’ più in basso rispetto all’orizzontale che passa per gli occhi dell’operatore e ad una distanza degli occhi pari a circa 50-70 cm, per i posti di lavoro in cui va assunta preferenzialmente la posizione seduta. Quest’ultimo aspetto favorisce la postura ideale dell’operatore, inducendo una lieve flessione anteriore del collo, meno di 30°, che determina un asse visivo ‘verso il basso’ utile ad evitare riflessi sullo schermo, che resta ‘verticale’, e a ridurre l’apertura oculare (‘ocular surface area’, OSA). Tale impostazione può essere raggiunta posizionando il monitor direttamente sul piano di lavoro, spostando se necessario il ‘case’, o CPU, a terra in verticale (‘tower’), oppure in un alloggiamento diverso sopra/sotto il piano di lavoro se lo spazio è sufficiente.

L’Ocular Surface Area (OSA) Sotoyama nel 1996 ha approfondito il parametro O.S.A., l’apertura della superficie oculare che deve essere ridotta, per diminuire la porzione esposta a luce, aria, smog ed altri agenti inquinanti. Il layout della postazione deve perciò favorire questa tendenza, personalizzando la distanza e l’altezza dello schermo rispetto all’operatore, evitando lo sguardo verso l’alto che incrementa la superficie oculare e può accentuare l’affaticamento visivo. Viene così ribadita l’importanza della postazione ergonomica illustrata dall’allegato XXXIV del D.Lgs 81/2008, che prevede l’altezza del margine superiore del monitor leggermente al di sotto del livello degli occhi. Sotoyama M, Jonai H, Saito S, Villanueva MB, Analysis of ocular surface area for comfortable VDT workstation layout, Ergonomics.; 39(6): 877-84, 1996.

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Altri obblighi dell’allegato XXXIV, che contribuiscono ad attenuare eventuali disfunzioni oculo-visive, riguardano la tastiera (superficie opaca per evitare riflessi, simboli dei tasti leggibili e con sufficiente contrasto) ed il piano di lavoro: superficie a basso indice di riflessione, profondità tale da garantire una adeguata distanza visiva dallo schermo, supporto per documenti stabile e regolabile per ridurre al minimo i movimenti di testa ed occhi. Se il ‘leggìo’ è posizionato a fianco del monitor, il mantenimento della stessa distanza dagli occhi evita di accomodare continuamente con la muscolatura oculare, incrementando il comfort visivo. Inoltre per evitare fastidi agli occhi è utile evitare l’uso incontrollato di fascette di plastica sul piano di lavoro o appese alle pareti. **************************

Caso clinico n° 5 - L’effetto placebo

M.L.F. 32 anni, impiegata con uso di VDT da circa 6 anni (5 anni CRT, 1 anno LCD) oltre 6 ore al dì, svolge una attività mista (caricamento dati, battitura testi e consultazione) ed occupa una postazione di lavoro sostanzialmente conforme all’Allegato XXXIV. Soggetto emmetrope, riferisce di portare lenti neutre (occhiali privi di qualsiasi correzione) con trattamento ‘antiriflesso’ da circa 6 anni e gode ‘pieno benessere oculovisivo’. Il medico competente, ritenendo inutile l’utilizzo di queste lenti per il confort dell’operatrice, almeno in linea teorica, propone alla stessa il proseguimento dell’attività lavorativa per almeno tre settimane con l’accordo di poterla rivedere. Alla scadenza prefissata la lavoratrice riferisce un affaticamento border line (quasi ‘significativo’), lamentando 2-3 volte alla settimana ‘arrossamento’ e ‘bruciore’, che a volte l’hanno indotta ad indossare le lenti già descritte.

Commento: non è eccezionale incontrare videoterminalisti, soprattutto giovani operatrici, che utilizzano lenti neutre, a volte colorate e/o con trattamento antiriflesso, che alla misurazione del frontifocometro confermano l’assenza di qualsiasi correzione. In questo caso l’operatrice dopo 6 anni di uso continuo di tali lenti davanti al videoterminale, ha evidenziato un immediato ‘affaticamento oculovisivo’, teoricamente ingiustificabile, appena abbandonati gli occhiali. Premesso che soltanto lenti mirate al difetto dell’operatore possono portare autentico beneficio, rimane come unica spiegazione possibile del fenomeno il ben noto ‘effetto placebo’ (reazione dell'organismo ad una terapia derivante non dai principi attivi previsti dalla terapia stessa ma dalle attese dell'individuo), simile a quello sperimentato con picchi del 50 % nel campo farmacologico, che si inserisce nella dimensione soggettiva dell’astenopia oculo-visiva del videoterminalista.

Gli occhiali ‘da computer’ E’ già stato ricordato che soltanto in casi molto particolari la correzione (occhiali) deve essere fornita dal datore di lavoro, tuttavia diversi video terminalisti chiedono spesso se esistono occhiali ideali per l’uso professionale del computer. La risposta ogni volta é deludente perche in realtà non esistono. Si può contare soltanto su occhiali che correggono in maniera adeguata e mirata il difetto di rifrazione (ametropia) dell’operatore. Sono perciò inutili gli occhiali con lenti parzialmente o totalmente colorate che, teoricamente, dovrebbero correggere problemi di illuminazione sul posto di lavoro o ridurre i riflessi sullo schermo: la loro efficacia non è stata ancora dimostrata. Uno studio del 1995, condotto dal Politecnico federale di Zurigo (Istituto di Igiene e di Fisiologia del Lavoro), sconsiglia le suddette lenti poiché riducono il contrasto della luminanza sulla retina. SUVApro, Il lavoro al videoterminale, 2003

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Lo scopo del capitolo sui ‘rischi per la vista e gli occhi’ è aggiornare, aprire nuove prospettive e soprattutto dare ‘profondità’ all’azione del medico competente, favorendo un dialogo ‘alla pari’ con interlocutori fondamentali nella gestione del videoterminalista, quali l’oftalmologo o l’ortottista. I problemi legati alla postura ed alle condizioni ergonomiche spaziano dall’inquadramento delle problematiche, all’esecuzione di un esame obiettivo specifico, fino alla proposta di soluzioni operative sul campo. Di seguito una breve descrizione dei problemi da sovraccarico degli arti superiori riconducibili all’attività di videoterminalista.

Disturbi e patologie lavoro-correlate da sovraccarico biomeccanico nel videoterminalista

Già nel 1700 Bernardino Ramazzini da Carpi, il padre della moderna Medicina del Lavoro, descriveva gli sforzi ripetuti e le posture incongrue degli scribi, che producevano deficit funzionali a carico della mano destra. Oggi i compiti ripetitivi e le posture incongrue possono coinvolgere anche i lavoratori degli uffici, determinando semplici disturbi o patologie lavoro-correlate da sovraccarico biomeccanico dell’arto superiore o del rachide. Molteni, oltre a correlare la Sindrome del Tunnel Carpale (STC) all’attività del videoterminalista, evidenzia il sovraccarico dei muscoli trapezi (p.es. nella postura assisa senza appoggio dell’avambraccio sul piano di lavoro), che cominciano a subire una alterazione della circolazione ematica dei propri vasi già con una contrattura del 20% (Molteni G., 2006). Uno studio tedesco sull’attività dei muscoli trapezi, tramite effettuazione di elettromiografia, ha confermato un importante coinvolgimento di questo gruppo muscolare durante l’attività al videoterminale (Kleine et Al., 1999). Sillanpää et Al. (2003) hanno registrato la maggior prevalenza dei disturbi muscolo-scheletrici al collo (il 63 % di 783 lavoratori studiati), attribuendone la principale responsabilità alla postura ed all’ergonomia della postazione. Una indagine compiuta su 173 addetti ad operazioni di ‘data entry’ ribadisce la responsabilità di cattive posture, scorretta digitazione della tastiera e ridotta ergonomia della strumentazione adottata (Turhan et Al., 2008). In un altro studio, sono stati riconosciuti come fattori predittivi dei disturbi al collo il sesso femminile, l’abitudine al fumo, la ridotta attività fisica (Korhonen et Al., 2003), confermando la necessità di una maggiore attenzione verso il layout della postazione con videoterminale. Un caso particolare è invece costituito dall’operatore presbite che, indossando lenti bi o multifocali, lamenta dolori a carico di collo e schiena a causa dell’incremento locale dei movimenti del capo, alla ricerca della messa a fuoco durante gli spostamenti da tastiera a schermo (Martin et Al., 1988), ed in particolare nell’estensione occipitale, con un maggior rischio per l’insorgenza di cefalea e disturbi muscolo-scheletrici rispetto a chi non indossa lenti (Becker et Al., 2007). Inoltre i disturbi a livello del segmento cervicale e dei muscoli trapezi possono derivare anche dall’uso protratto ed incongruo della ‘cornetta’ del telefono, costretta fra padiglione auricolare e testa dell’omero. In questo ambito va almeno ricordata la possibilità di una ‘sindrome dello stretto toracico’ che può essere causata da posture anomale con spondilosi cervicale (cifosi dorsale con spalle cadenti in soggetti longilinei soprattutto), eccessiva contrattura ed ipertrofia o

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fibrotizzazione della muscolatura locale a seguito di microtraumi ripetuti, sovraccarichi funzionali (Gilioli G., 2007). Per quanto riguarda il rachide lombare, in una indagine di Bracci et Al. (2007), la percentuale di lavoratori addetti al videoterminale, che lamenta disturbi muscolo-scheletrici localmente, non è risultata significativamente diversa da quella della popolazione generale e non si sono riscontrati fattori lavorativi correlati allo sviluppo di disturbi nello stesso segmento. Colombini et Al. (2004) sottolineano un eccesso di casi di alcune patologie muscolo-scheletriche dell’ arto superiore nelle popolazioni formate da video terminalisti. Gli Autori dell’Unità di ricerca EPM CEMOC di Milano, effettuando la valutazione del rischio da “movimenti ripetuti degli arti superiori”, hanno per la prima volta utilizzato la check-list OCRA nei confronti delle principali operazioni svolte da circa 1000 impiegati addetti al videoterminale: utilizzo del mouse e digitazione dei tasti (Colombini et Al., 2004).

Il rischio da sovraccarico biomeccanico, direttamente proporzionale alla durata di tali operazioni, si è dimostrato significativo nel distretto mano/polso (dove si manifestano sindrome del tunnel carpale ed altre tendinopatie della mano) e della spalla (tendine del capo lungo del bicipite limitatamente all’uso del mouse tradizionale). Nell’ambito dell’accertamento di disturbi o patologie eventualmente correlate, l’attenzione si è concentrata sulle tendinite del distretto mano/polso (femmine) e sulla periartrite scapolo-omerale (maschi) che, pur in percentuale limitata e nella fascia di età più elevata, hanno evidenziato una maggiore prevalenza rispetto al gruppo di controllo.

Lo studio, peraltro riferito ad ‘impiegati tradizionali’, che non comprendono addetti “data entry” o “call center”, ha ribadito l’importanza della sorveglianza sanitaria che può contribuire sia alla prevenzione primaria che secondaria. Nella stessa indagine è anche emersa una scarsa conoscenza dei concetti ergonomici, da parte degli operatori, in merito alla postazione con videoterminale ed all’uso del mouse in particolare.

IJmker et Al. hanno condotto nel 2006 una revisione della letteratura scientifica degli ultimi decenni, riferendo una correlazione fra il tempo di utilizzo del videoterminale e l’incidenza di disturbi e sintomi dei distretti mano-braccio e collo-spalle. Inoltre è stata dimostrata una moderata evidenza di associazione fra il tempo di utilizzo del mouse e i disturbi del sistema mano-braccio.

In conclusione i più recenti riscontri della letteratura scientifica suggeriscono una particolare attenzione verso le patologie della spalla e dal distretto mano-polso.

La Sindrome del Tunnel Carpale Merita una trattazione a parte la Sindrome del Tunnel Carpale (STC), l’unica patologia lavoro-correlata da sovraccarico dell’arto superiore (ULWMSD’s = Upper Limbs Work-related Musculo Skeletal Disorders) che trova un diffuso consenso nella letteratura scientifica dedicata alla mansione di videoterminalista. La STC é causata dalla compressione del nervo mediano derivante dal rigonfiamento per iperattività dei tendini flessori delle dita all’interno del tunnel carpale, una struttura rigida formata da ossa e legamenti. La causa dell’edema tendineo è dovuta alla flesso-estensione delle dita eseguita in modo incongruo, con estensione del polso oltre 20° (Liu et Al., 2003), in maniera fortemente ripetitiva o con il polso curvato (Missere et Al., 2006).

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L’INAIL ha dedicato negli anni ’90 due circolari (n°35/1992 e n°80/1997) alla STC con l’elaborazione di un protocollo diagnostico per l’accertamento delle forme professionali. La STC, descritta prima nel dattilografo e poi nel videoterminalista, ha una sua storia scientifica culminata con diverse pubblicazioni negli anni ’90. Nel 1996 diversi Autori (AA.VV.) hanno evidenziato una prevalenza di Sindrome del Tunnel Carpale quasi triplicata tra esposti e non esposti a rischio specifico (19,4% contro 7,3 %), mentre Molteni (1996) ha riscontrato una incidenza della STC tra il 20 ed il 50 per mille “tra i lavoratori esposti a gesti ripetitivi a carico di quella determinata area, come appunto la digitazione su tastiere di computer”, a fronte di un caso ogni mille persone nella popolazione generale. I fattori di rischio professionale risiedono principalmente nell’elevata frequenza e velocità di movimenti ripetitivi durante la digitazione, nella deviazione ulnare del polso, nelle frequenti flesso-estensioni del polso e nei periodi di recupero insufficienti. ************************ L’approfondimento del rischio stress è incentrato sul documento di consenso ANMA (Seminario di Arenzano-GE del 28 novembre 2008), ma non trascura altri strumenti a portata di mano del medico competente, mentre il capitolo sul lavoro notturno culmina con una proposta mirata di sorveglianza sanitaria e di adozione di criteri di idoneità. Il paragrafo seguente sintetizza l’approccio alla valutazione dello stress lavoro-correlato.

La proposta operativa ANMA per la valutazione dello stress

Al termine del Seminario nazionale ANMA del 28 novembre 2008, ‘La Valutazione del rischio stress lavoro correlato ai sensi del D.Lgs 81/08: una sfida rinnovata per il Medico Competente’, è stato elaborato un documento da parte del Gruppo di Lavoro coordinato da Danilo Bontadi, con l’obiettivo di proporre un indirizzo pratico per valutare lo stress lavoro correlato in azienda.

La premessa fondamentale del documento è che l’approccio deve essere caratterizzato dal lavoro di squadra e che il primo passo è costituito dalla formalizzazione da un ‘gruppo di lavoro’ composto da Medico competente (MC), Responsabile del Servizio di

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Prevenzione e Protezione (RSPP), Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), Titolare delle Risorse Umane (HR) e Datore di Lavoro (DL), che resta il responsabile del processo di valutazione del rischio.

Poiché la condizione di rischio da stress non può essere definita a priori sulla base di parametri di riferimento esterno, quali valori-soglia o criteri oggettivi in assoluto, il modello descrive un approccio che andrà adeguato alle varie realtà a seconda delle specificità.

L’accertamento del rischio avviene attraverso 3 fasi:

a - Riconoscimento di possibili situazioni di stress lavorativo

b - Valutazione dei potenziali fattori di stress, mediante accurata analisi delle

specifiche condizioni organizzative e delle relative risposte (dis)adattative

delle persone

c - Stima del rischio per la salute e previsione degli interventi volti a ridurlo.

Cosa è necessario tenere in considerazione per fare una buona valutazione del rischio:

1) L’approccio non deve essere meccanicistico

2) L’analisi deve essere plurifattoriale e multidimensionale

3) C’è necessità di una integrazione multidisciplinare

4) Non bisogna confondere metodi con strumenti

5) I criteri di giudizio possono essere “relativi”

6) E’ necessario distinguere le implicazioni per il gruppo e per la singola persona

7) C’è un elevata variabilità inter ed intra-individuale

8) Evitare/limitare la medicalizzazione del problema.

L’accordo europeo sullo stress da lavoro, Art. 4 – Individuazione di problemi di stress lavoro-correlato – capoversi 1. e 2.

Data la complessità del fenomeno stress l’accordo non intende fornire una lista esaustiva dei potenziali indicatori di stress. Comunque, un alto tasso di assenteismo, o una elevata rotazione del personale, frequenti conflitti interpersonali o lamentele da parte dei lavoratori, sono alcuni dei segnali che possono denotare un problema di stress lavoro correlato.

L’individuazione di un problema di stress lavoro correlato può implicare una analisi su fattori quali l’eventuale inadeguatezza nella gestione dell’organizzazione e dei processi di lavoro (disciplina dell’orario di lavoro, grado di autonomia, corrispondenza tra le competenze e i requisiti professionali richiesti, carichi di lavoro etc), condizioni di lavoro e ambientali (esposizione a comportamenti illeciti, rumore, calore, sostanze pericolose etc),

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comunicazione (incertezza in ordine alle prestazioni richieste, alle prospettive di impegno o ai possibili cambiamenti etc), e fattori soggettivi (tensioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di mancanza di attenzione etc.).

L’assenza o la presenza di questi indicatori consentirebbe di “screenare” le situazioni meritevoli di un ulteriore approfondimento attraverso l’applicazione degli strumenti di indagine psicosociale.

********************* La lunga carrellata sugli agenti chimici, fisici e biologici, che possono essere responsabili dei quadri di inquinamento indoor, rilancia un tema a volte sottovalutato dai medici competenti, ma in grado di sorprendere per la particolare gestione delle problematiche e le possibili originali soluzioni.

Il paragrafo 5.1 introduce alle problematiche di inquinamento indoor.

5.1 Dall’individuazione dei pericoli agli effetti sulla salute

Dalla crisi energetica in poi non si è più arrestata la crescita di edifici direzionali, dotati di sistemi di chiusura quasi ermetica per evitare le dispersioni di calore (Tedeschini E., 2006). Questi cambiamenti hanno posto il problema della qualità dell’aria degli edifici adibiti ad uffici. La qualità dell’aria in un ufficio dipende in gran parte dall’utilizzo di nuovi materiali per l’edilizia e per gli arredi e dal frequente ricorso agli impianti di climatizzazione, detti anche impianti di trattamento aria, che recuperano una quota parte dell’energia termica, adottando un ricircolo d’aria. Un dato significativo è costituito dalla permanenza di persone all’interno di questi ambienti, stimata in oltre l’80 % del proprio tempo nei paesi industrializzati, che contribuisce all’inquinamento atmosferico (Coordinamento Tecnico delle Regioni, 2006). Nonostante il miglioramento della qualità dell’aria indoor sia affidato pressoché totalmente agli impianti di condizionamento, attraverso il rinnovo e/o la filtrazione, uno degli imputati principali per il peggioramento della qualità dell’aria indoor è proprio l’impianto di condizionamento.

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Sorgenti e problemi Esempi tipici 1. Contaminati emessi da sorgenti intrinseche agli impianti

1.1 Materiali fibrosi Asbesto; danneggiamento e rilascio di fibre da isolanti interni

1.2 Prodotti di degradazione delle superfici metalliche

Deterioramento e erosione di materiali di trattamento superfici di rivestimento, di prodotti di corrosione e di metalli

1.3 Sigillanti, stucchi, adesivi Sviluppo di gas ed emissione di VOC; deterioramento

1.4 Oli lubrificanti, ecc. Ventilatori, motori

2. Inquinanti e processi di contaminazione che possono svilupparsi in componenti impiantistici

2.1 Contaminazione biologica e crescita di microrganismi

Sviluppo di microrganismi; Emissione di aerosol con contaminanti biologici e di VOC in parti dell’impianto (e.g. batterie fredde, vasche condensa, scarichi, filtri, superfici interne e isolamento dei canali, plenum, umidificatori, torri)

2.2 Accumuli di VOC Isolanti; Filtri; attenuatori acustici; accumuli di polvere

2.3 Altri depositi di mat. Organici Foglie; deiezioni di volatili, ecc. 2.4 Accumuli di polveri Materiali di costruzione, recessi, ecc. nei quali si formano

accumuli di polvere che possono dar luogo a contaminazione microbica, ad assorbimento.-cessione di VOC, a riduzione di portata, ecc.

2.5 Inquinanti immessi nel vapore (prodotto in caldaia)

Anticorrosivi, biocidi, anticalcare, neutralizzanti per il controllo del pH

2.6 Impiego di prodotti di pulizia e biocidi Biocidi, disinfettanti, deodoranti

3. In adeguamento degli impianti in relazione al controllo di sorgenti estrinseche

3.1 Ventilazione e ricambi d’aria Inadeguata immissione di aria esterna; inadeguata miscelazione e diluizione dei contaminanti

3.2 Controllo delle condizioni termoigrometriche Umidità dell’aria ambiente troppo elevate o troppo basse

3.3 Trasporto di contaminati tra locali e zone dell’edificio Migrazione d’odori, VOC e particolato

3.4 Prese di aria esterna Posizionamento; aria esterna inquinata, reingressi di contaminanti scaricati dall’edificio

3.5 Pressurizzazione dell’edificio Ingresso non controllato negli ambienti di aria esterna contaminata

3.6 Migrazione di contaminanti nei recuperatori di calore Contaminazione incrociata; assorbimento - cessione di VOC

Potenziali fonti di contaminanti negli impianti di condizionamento dell’aria: Bellucci Sessa R., Riccio G., Sistemi di controllo della qualità dell’aria: gli impianti di condizionamento, 2004. Accanto agli indubbi vantaggi gli stessi impianti possono determinare rischi per la salute, soprattutto laddove la progettazione non sia stata corretta, oppure quando si verifichino trascuratezze nella manutenzione, in particolare nelle unità di trattamento dell’umidità e nel sistema di filtrazione (Coordinamento Tecnico delle Regioni, 2006).

Più in generale il panorama dei fattori di rischio è complesso ed indaginoso, coinvolgendo inquinanti di natura chimica, fisica e biologica.

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Molti degli inquinanti indoor, presenti nelle case, negli ambienti pubblici e sui mezzi di trasporto interessano anche la vita extralavorativa della popolazione con evidenti ripercussioni sulla diffusione dell’eventuale rischio ad essi connesso e sul prolungamento dei tempi di esposizione.

INQUINANTI FONTI

Asbesto e fibre minerali sitetiche Materiali di costruzione, isolanti

Anidride carbonica (CO2) Occupanti (respirazione), combustioni

Antiparassitari Legno, aria esterna

Composti organici volatili (COV o VOC) Arredamenti, fumo, prodotti per la pulizia, isolanti

Formaldeide (o aldeide formica: HCHO) Arredamenti

Fumo di tabacco (ETS) Abitudine voluttuaria al fumo degli occupanti

Ossidi di azoto (NO e NO2) Fumo di tabacco, stufe con bruciatore a camera aperta

Ossido di carbonio (CO) Sistemi di riscaldamento e cottura, fumo di tabacco

Ozono (O3) Aria esterna, strumenti elettrici ad alto voltaggio

Particolato inalabile Fumo di tabacco, fonti di combustione, atività degli occupanti

Inquinanti microbiologici Occupanti, animali domestici, impianti di condizionamento, aria esterna, piante

Radon Suolo, acqua, materiali di costruzione

Principali inquinanti indoor (Coordinamento Tecnico delle Regioni, 2006).

L’ufficio, il tradizionale ambiente di lavoro del videoterminalista, offre all’attenzione del medico competente una serie di pericoli, che normativa, letteratura scientifica corrente ed esperienza quotidiana permettono di riassumere nella seguente tabella.

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L’INQUINAMENTO INDOOR: ELENCO NON ESAUSTIVO DEI PERICOLI NEL LAVORO IN UFFICIO - Agenti chimici: - Composti organici volatili - ossido di carbonio - anidride carbonica - ossidi di azoto - ozono - particolato - fibre di asbesto e minerali sintetiche - fumo di tabacco - insetticidi - Agenti fisici: - microclima - rumore - sovraccarico vocale - radiazioni ionizzanti - campi elettromagnetici - movimentazione manuale carichi - Agenti biologici: - allergeni ubiquitari (pollini, micofiti, acari) - batteri - virus

************************* Infine l’elencazione (non esaustiva) dei ‘videoterminalisti particolari’ conferma il crescente numero di tipologie di lavoro ‘a ruota’ di un progresso tecnologico in continuo divenire. Vengono trattate soprattutto le problematiche dell’addetto al call/contact center e poi ricordati i telelavoratori, gli addetti alla stazione di controllo e i mobile worker.

Conclusioni La monografia é un contributo che ha inteso raccogliere il meglio della letteratura scientifica degli ultimi vent’anni, in base all’esperienza dell’autore, che si è avvalso della supervisione di diversi Colleghi e Amici dell’ANMA, a favore dell’operatività ‘sul campo’ di tutti i medici competenti. La proposta di un orientamento sostenibile per l’attività quotidiana, ma ispirato agli “indirizzi scientifici piu' avanzati“ richiesti dall’art.25.1,b del D.Lgs. 81/2008, consiste in un punto di partenza e non di arrivo, soprattutto se beneficerà nel tempo delle osservazioni e dei suggerimenti dei lettori. Infine se la monografia contribuirà anche a far comprendere le enormi potenzialità, sia scientifiche che epidemiologiche, del nostro ‘screening’ quotidiano, ANMA potrà riaffermare in pieno il ruolo di supporto efficace ed insostituibile alla crescita del medico competente.