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Università di Bologna Dipartimento di Filosofia e comunicazione August Sander 1876-1964 Il ginnasiale 1926 Comunicazione visiva a.a. 2014/15 5ª settimana per le lauree di Scienze della comunicazione (6 cfu), DAMS (6 cfu integrati, assieme a 6cfu del corso di Analisi della comunicazione visiva nel corso di Filosofia del linguaggio C.I. di 12 cfu) 9 Identità 10 Pittura, disegno e fotografia 15 Persone 16 Luoghi 17 Conclusioni http://www.photography-now.net/august_sander/portfolio1.html Oggi vorrei presentare un saggio di John Berger, e commentarlo, ponendolo in relazione al tema del corso, l'identità, o meglio immagini e identità. Il saggio “Apparenze”, del 1982, che potete leggere in Capire una fotografia. Immaginate una frase, o un “mozzicone” di frase: “Mi alzai per cercare”. Ero incerto se mettere i puntini. Non li ho messi perché non volevo suggerirvi una frase lasciata in sospeso apposta da chi la pronunciava, ma appunto presentarvi un mozzicone di frase. La frase ci dice qualcosa, e capiamo perfettamente cosa dice – è così semplice che molti di noi, appena sentita, sapremmo ripeterla con esattezza. La nostra comprensione però non si ferma lì. Immaginiamo una, più situazioni in cui possa essere stata usata. Faccio più fatica a immaginarmi cosa possa esser stato detto prima. La frase è parte di una risposta, o è un pezzo di un racconto annunciato o già cominciato da un po’. Siccome la frase è sospesa, è come se ci fosse uno spazio per completarla, e questo rende più naturale concentrarsi sul seguito. Cercare cosa? Un appunto, un libro, il giornale, il bicchiere di vino che aveva appoggiato su qualche ripiano, il telefonino, le chiavi, un

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Università di Bologna Dipartimento di Filosofia e comunicazione

August Sander

1876-1964

Il ginnasiale 1926

Comunicazione visiva

a.a. 2014/15 5ª settimana

per le lauree di Scienze della comunicazione (6 cfu), DAMS (6 cfu integrati, assieme a 6cfu del corso di Analisi della comunicazione visiva nel corso di Filosofia del linguaggio C.I. di 12 cfu)

9 Identità

10 Pittura, disegno e fotografia

15 Persone

16 Luoghi

17 Conclusioni

http://www.photography-now.net/august_sander/portfolio1.html

Oggi vorrei presentare un saggio di John Berger, e commentarlo, ponendolo in relazione al tema del corso, l'identità, o meglio immagini e identità. Il saggio “Apparenze”, del 1982, che potete leggere in Capire una fotografia.

Immaginate una frase, o un “mozzicone” di frase: “Mi alzai per cercare”. Ero incerto se mettere i puntini. Non li ho messi perché non volevo suggerirvi una frase lasciata in sospeso apposta da chi la pronunciava, ma appunto presentarvi un mozzicone di frase. La frase ci dice qualcosa, e capiamo perfettamente cosa dice – è così semplice che molti di noi, appena sentita, sapremmo ripeterla con esattezza. La nostra comprensione però non si ferma lì. Immaginiamo una, più situazioni in cui possa essere stata usata. Faccio più fatica a immaginarmi cosa possa esser stato detto prima. La frase è parte di una risposta, o è un pezzo di un racconto annunciato o già cominciato da un po’. Siccome la frase è sospesa, è come se ci fosse uno spazio per completarla, e questo rende più naturale concentrarsi sul seguito. Cercare cosa? Un appunto, un libro, il giornale, il bicchiere di vino che aveva appoggiato su qualche ripiano, il telefonino, le chiavi, un

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fazzoletto, la gatta, …? Ora, di fronte a un’immagine ci capita lo stesso. La Contessa del Carpio, Marchesa de La Solana, che vediamo in un ritratto fattole da Francisco Goya tra il 1794 e l’inizio del 1795,

quanto tempo è stata in quella posa, vestita così, col naso rosa sopra lo scialle-velo, con i piedi perpendicolari l’uno all’altro?

In che luogo è ritratta?

Quanti anni ha? Che vita fa? Il ritratto contiene tre storie, almeno, quella del ritratto stesso (quando è stato dipinto, dove, quando la contessa e marchesa ha posato, ecc?), la storia della persona ritratta e la storia del pittore che ritrae. In un ritratto, la persona ritratta e il pittore, vorrei dire, agiscono, si incontrano. Un ritratto a olio è sempre una cosa importante, è quasi sempre il ritratto di una persona con nome e cognome, che vuole mantenere il ricordo di sé.

The portrait of a great lady

Maria Rita Barrenechea, Marquesa de La Solana, married Juan de Mata Linares, a high official in Madrid who was very close to Jovellanos, lawyer and patron of Goya. The couple, who was friendly with the famous Duchess of Alba, lived near Goya's home in Madrid, and was typical of the "enlightened" Spanish who took an interest in reforms. The countess, who wrote moralistic plays, was renowned for her charity.

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Her portrait probably dates from late 1794 or early 1795; she died in December 1795. She wears a traditional black dress with a Basquine (bodice), and embroidered slippers. The unusual flower in her hair — consisting of large folds of pale pink ribbon — would appear to be a concession to contemporary fashion.

The portait of a sick woman

It seems that this bewitching portrait owes something of its quality to the mutual compassion between painter and model, who were both familiar with suffering. Goya must have admired the courage of this young woman of thirty-eight who knew herself doomed to die, yet stood tall, facing the artist with respect. The portrait is attractive despite the signs of illness; the huge black eyes gaze with gentle solemnity from the gaunt and feverish face. The extreme simplicity of layout and the gray background (free of all distractions) are reminiscent of portraits by Velázquez; the resulting soberness highlights the model's elegance. The transparent gray-blue background and the light gauze of the fichu, painted in delicate, juxtaposed strokes, are treated in an illusionist manner that heralds Impressionism.

Una foto è una questione diversa, fissa un istante che il fotografo ha giudicato importante fissare – tanto più se è un evento e un evento espressivo. La persona, o le persone ritratte, possono essere più o meno consapevoli che un loro attimo si prolunghi per un tempo indefinito. Se sono personaggi pubblici, personaggi che saranno riconosciuti, per lo più agiranno anche loro sulla posa dell’attimo in cui sono stati sorpresi, recitando la propria parte, il proprio sé pubblico, o un suo aspetto. Se non sono persone riconoscibili ciò può non accadere. Saranno visti come tipi: testimonianza della vita di molti.

Due foto sole, una di Dorothea Lange(Madre che emigra 1936) e una di Margaret Bourke-White (Alluvione del Kentucky 1937).

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Entrambe le foto testimoniano un evento, ci permettono di vederlo, come se fossimo stati lì, allora. Lo vediamo con l’occhio di un altro. Se la foto non è ritoccata in qualche maniera, la foto mostra un aspetto dell’universo,

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così com’era. Le foto ci permettono di entrare in relazione indirettamente con le cose con il mezzo che ci dà la massima informazione ambientale, la vista. Come dice Berger, una foto ferma il tempo e incrocia delle storie, cioè viene compresa in cento e uno storie. Fissa il tempo soprattutto per chi conosce ciò che riprende, permettendo di prenderlo ancora. La foto mostra le cose, e le parole vorrebbero raccontarle (storie fatte di immagini).

Il fotografo sceglie l’evento da fotografare. Questa scelta può essere considerata una costruzione culturale. Lo spazio per questa costruzione è, per così dire, chiarito dal rifiuto di ciò che ha scelto di non fotografare. La costruzione è la sua lettura dell’evento che ha davanti agli occhi. Questa lettura, spesso intuitiva e molto rapida, decide l’istante da fotografare.

Analogamente, l’immagine fotografata dell’evento, quando viene mostrata come una fotografia, è anche parte di una costruzione culturale. Appartiene a una situazione sociale specifica, alla vita del fotografo, a un tema, un esperimento, un modo di spiegare il mondo, un libro, un giornale, una mostra.

Al tempo stesso, la relazione materiale tra l’immagine e ciò che rappresenta (tra i segni sulla carta fotografica e l’albero che questi segni rappresentano) è immediata e non costruita, davvero simile a una traccia. (Berger 2014: 90-91)

Se un disegno è una traccia artificiale, la foto è una traccia naturale. La foto non traduce, cita. Per ingannare si contraffà una foto, come accade nelle foto pubblicitarie, in cui si costruisce una scena per riprenderla, poi, veramente.

André Kertész Partenza di un ussaro rosso Budapest giugno

1919

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Intorno a una foto, magari raccogliendo informazioni, costruiamo una storia (Berger 2014: 98-99)

Berger 2014: 106

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Le foto di insieme (identità negate).

Le foto che suggeriscono una storia.

Ritratti di persone note (identità marcate).

Yosuf Karsh http://121clicks.com/inspirations/the-greatest-portraits-ever-taken-by-yousuf-karsh

Henri Cartier-Bresson 1908-2004.

foto di insieme (quasi tutte): http://everyday-i-show.livejournal.com/172510.html

http://pleasurephoto.wordpress.com/tag/henri-cartier-bresson/

https://www.pinterest.com/wieslaw/photographers-henri-cartier-bresson/