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R2 CULTURA 54 VENERDÌ 24 FEBBRAIO 2012 N el gennaio del 1962 Michael Atiyah, all’epoca un giova- ne ricercatore, domandò a un ancor più giovane ricer- catore, Isadore Singer, perché una certa quantità geo- metrica fosse un numero intero. La sorpresa risposta fu: “Perché me lo domandi? Lo sai meglio di me!”. Ma ancor più sorprendente fu la controrisposta: “C’è una ragione più profon- da!”. Il cammino comune iniziato da quello scambio sfociò qualche mese dopo nel famoso “teorema di Atiyah e Singer”, che valse al pri- mo la medaglia Fields nel 1966, e a entrambi il premio Abel nel 2004. La storia è uno degli aneddoti preferiti di Claudio Bartocci, che ne ha raccontato i dettagli nel capitolo “Le ragioni profonde della ma- tematica” del collettaneo Vite matematiche (Springer-Verlag Italia, 2007). E la ricerca delle “ragioni profonde”, questa volta della costel- lazione di idee e risultati che hanno portato nell’Ottocento al parri- cidio di Euclide e alla creazione della geometria non euclidea, costi- tuisce ora il filo conduttore del suo primo, sapiente e profondo libro da autore: Una piramide di problemi. Storie di geometria da Gauss a Hilbert (Cortina). Bartocci, come si sarà capito, è un matematico: un geometra algebrico, per la precisione. Ma mai precisione è stata tanto im- precisa, quanto quest’angusta definizione di un intellettuale che realizza concretamente l’i- deale astratto descritto dalle espressioni “uomo di multifor- me ingegno”, “umanista rina- scimentale” e polymath. Bartoc- ci sembra conoscere tutto e lo di- mostrano due sue opere di cura- tela. Da un lato, l’originale rac- colta di Racconti matematici (Ei- naudi, 2006), che spazia da Borges e Cortázar a Pynchon e Saramago. E, dall’altro lato, l’en- ciclopedica Grande Opera in quattro volumi La matematica (Einaudi, 2007, 2008, 2010 e 2011), di cui ha pazientemente commissionato e personalmen- te editato il centinaio di contri- buti, assommanti a 3.467 pagine di testo! Non stupisce che, con la sua voracità di lettore, un sesto del suo nuovo libro consista di una bibliografia di 60 pagine, mode- stamente descritta come “senza alcuna pretesa di completezza”, e “limitata ai testi consultati”. Un apparato così sterminato è giustificato dalla convinzione programmatica di Bartocci, che “l’evoluzione delle idee mate- matiche non segua né un cam- mino lineare e progressivo, né un percorso accidentato attra- verso un paesaggio di concezio- ni universalmente condivise, ma sia al contrario un pulviscolo costituito da una miriade di traiettorie più o meno autono- me, vicoli ciechi e piste sotterra- nee, che si intrecciano in un la- birinto pluridimensionale, dalla topologia incerta e mutevole”. All’interno di questo labirin- to, Bartocci traccia un percorso diacronico e uno sincronico, ri- spettivamente di lunga e di bre- ve durata. Il primo, che gli serve a stabilire le colonne d’Ercole temporali della sua Odissea nel- lo spazio geometrico, parte da un risultato di Euclide che tutti ab- biamo imparato a scuola, anche se molti se lo saranno dimenti- cato: il fatto che due triangoli con la stessa base e la stessa al- tezza, hanno la stessa area. Con quest’ultima espressio- ne, “avere la stessa area”, noi in- tendiamo di solito che, per i due triangoli in questione, il prodot- to della base per l’altezza (diviso per due) è lo stesso. I Greci, inve- ce, intendevano anche che si possono scomporre i due trian- goli in uno stesso numero di pez- zi uguali. Più precisamente, che si può scomporre uno dei due triangoli in un numero finito di triangolini, che si possono poi ri- comporre nell’altro triangolo. L’analogo tridimensionale dei triangoli, sono i tetraedri: cioè, le piramidi a quattro facce triangolari, che Dante chiamava “tetragoni” e usava in senso fi- gurato, come nel verso “tetrago- no ai colpi di ventura”. I Greci sa- pevano che due tetraedri con la stessa base e la stessa altezza hanno lo stesso volume, ma la dimostrazione di Euclide non è per niente immediata, com’era invece nel caso dei triangoli. Nel 1899 David Hilbert chiese se si può sempre scomporre uno dei due tetraedri in un numero fini- to di tetraedrini, che si possono poi ricomporre nell’altro tetrae- dro. La risposta è no, e la diede quello stesso anno Max Dehn. Il libro di Bartocci si apre con il problema dei triangoli, e si chiude con quello dei tetraedri, a indicare che alcuni fili del tes- suto della matematica percor- rono tutto il suo ordito, dall’an- tichità alla contemporaneità. Il corpo del suo discorso è però de- dicato, nel secondo percorso, a dipanare l’aggrovigliata matas- sa della geometria dell’Ottocen- to, da lui stesso definito «il seco- lo “lungo” nel quale affondano le radici della nostra moder- nità». L’aggrovigliamento è dupli- ce. Da un lato, infatti, i fili dei contributi individuali si intrec- ciano fra loro, completandosi a vicenda come tessere parzial- mente sovrapponibili di un grande puzzle. Dall’altro lato, vari fili escono da quel particola- re groviglio per penetrare in al- tri, contribuendo a dare un’im- pressione non ingenuamente romantica, ma maturamente IL PARRICIDIO DI EUCLIDE Un saggio di Bartocci racconta la rivoluzione delle nuove geometrie e i cambiamenti che portarono Tra i protagonisti del secolo “lungo” Riemann e Hilbert che aprirono la strada alle idee di Gödel e poi di Turing IL SAGGIO “Una piramide di problemi” di Claudio Bartocci (Raffaello Cortina, pagg. 416, euro 29). A destra, Vasilij Kandinskij: “Composizione 8” (1923) PIERGIORGIO ODIFREDDI Così nell’Ottocento i matematici costruirono un altro spazio U n maestro, Gianfranco Folena, che davvero ha fatto scuola. Dal 1956 la sua cattedra di Storia della lingua italiana e di Filologia romanza era un punto di riferi- mento: non solo per i suoi numerosi allievi che lo ri- corderanno nel ventennale della morte a Bressanone in un in- contro dal 12 al 15 luglio, proprio in quella località del Trenti- no-Alto Adige dove nel 1973 il Professore aveva inaugurato una serie annuale di convegni linguistici e letterari. In questa circostanza commemorativa – ma si farà qualcosa anche a Pa- dova e alla Camera dei deputati – l’editore Carocci pubbli- cherà Schede di lingua nostra, a cura di Ivano Paccagnella, tut- te le sue note uscite dal 1941 sulla rivista Lingua nostra. ENZO GOLINO Scomparso a Padova il 13 febbraio 1992, Folena era na- to a Savigliano il 9 aprile 1920. Studi liceali a Firenze, am- messo alla Scuola Normale superiore di Pisa, con il filolo- go Giorgio Pasquali si indiriz- za verso le discipline lingui- stiche e filologiche. Ma prima di laurearsi deve adempiere al servizio militare in Sicilia e in Africa: prigioniero, man- dato in India, torna in Italia nell’estate del 1946 e in di- cembre, a Firenze, si laurea con Bruno Migliorini in Sto- ria della lingua italiana. Pub- blica un paio di edizioni di te- sti importanti, e via via il suo attivismo – si riesce appena ad accennarlo – ha del prodi- gioso. Collabora con la Fonda- zione Cini di Venezia, crea premi e istituzioni diverse, s’impegna molto sul fronte editoriale e delle riviste, vince il Premio Feltrinelli per le Scienze filologiche, ottiene la medaglia d’oro per i beneme- riti della scuola, è membro di prestigiose Accademie in Ita- lia e all’estero. Al suo bellissi- mo L’italiano in Europa. Esperienze linguistiche del Settecento (Einaudi 1983) vie- ne assegnato il Premio Via- reggio 1983. Una raccolta di saggi composti e pubblicati in anni precedenti che non ha perso – a rileggerla oggi – la sua freschezza: Goldoni, la lingua del melodramma ita- liano (in particolare il capito- lo sul linguaggio della Serva padrona), il francese di Gol- doni, l’italiano di Voltaire e di Mozart. Risuona, nella pre- messa, una nota di profetico disincanto piuttosto attuale. Folena confessa di aver cre- duto, come tanti della sua ge- nerazione, in una Europa unita nella ragione e nella pa- rità delle lingue e delle cultu- re, e di crederci ancora pure se questa Europa «non è poi nata, sembra anzi, da quando ha avuto le sue prime istitu- zioni, più lontana che mai». Benché rispettasse i cano- ni scientifici delle discipline che insegnava e di cui scrive- va, nella sua quadrupla in- carnazione di filologo, lin- guista, storico, critico, Fole- na è stato un intellettuale eclettico e interdisciplinare in grado di uscire dai confini dello specialismo sia per lo stile adottato in certe occa- sioni sia per le materie che af- frontava. Come l’analisi di un celebre slogan pubblicitario: «Metti un tigre nel motore». A questo proposito in un altro suo libro fondamentale (Il linguaggio del caos. Studi sul plurilinguismo rinasci- mentale, Bollati Boringhieri 1991) due capitoli sono godi- bilissimi anche per il lettore comune: la storia e i significa- ti della parola «monello», e un catalogo ragionato di nomi di pesci fra cucina e zoologia, «il patrimonio lessicale dell’it- tiologo, le tabelle del merca- to, le voci del calmiere». Un ottimo sussidio per fare la spesa... Sembra di ascoltarle queste parole dalla sua viva voce sulla scena di una lezio- ne o di un convegno, il sorriso che gli increspa il volto, la fi- gura alta da cui traspare una naturale, simpatica autore- volezza. Testi e ricordi per il filologo scomparso vent’anni fa DALL’OPERA AL CIBO LE LINGUE DI FOLENA LINGUISTA Gianfranco Folena, nato nel 1920, è scomparso venti anni fa a Padova © RIPRODUZIONE RISERVATA Repubblica Nazionale

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R2CULTURA■ 54

VENERDÌ 24 FEBBRAIO 2012

Nel gennaio del 1962 Michael Atiyah, all’epoca un giova-ne ricercatore, domandò a un ancor più giovane ricer-catore, Isadore Singer, perché una certa quantità geo-metrica fosse un numero intero. La sorpresa risposta fu:“Perché me lo domandi? Lo sai meglio di me!”. Ma ancor

più sorprendente fu la controrisposta: “C’è una ragione più profon-da!”. Il cammino comune iniziato da quello scambio sfociò qualchemese dopo nel famoso “teorema di Atiyah e Singer”, che valse al pri-mo la medaglia Fields nel 1966, e a entrambi il premio Abel nel 2004.

La storia è uno degli aneddoti preferiti di Claudio Bartocci, che neha raccontato i dettagli nel capitolo “Le ragioni profonde della ma-tematica” del collettaneo Vite matematiche (Springer-Verlag Italia,2007). E la ricerca delle “ragioni profonde”, questa volta della costel-lazione di idee e risultati che hanno portato nell’Ottocento al parri-cidio di Euclide e alla creazione della geometria non euclidea, costi-tuisce ora il filo conduttore del suo primo, sapiente e profondo libroda autore: Una piramide di problemi. Storie di geometria da Gauss aHilbert (Cortina).

Bartocci, come si sarà capito,è un matematico: un geometraalgebrico, per la precisione. Mamai precisione è stata tanto im-precisa, quanto quest’angustadefinizione di un intellettualeche realizza concretamente l’i-deale astratto descritto dalleespressioni “uomo di multifor-me ingegno”, “umanista rina-scimentale” e polymath. Bartoc-ci sembra conoscere tutto e lo di-mostrano due sue opere di cura-tela. Da un lato, l’originale rac-colta di Racconti matematici(Ei-naudi, 2006), che spazia daBorges e Cortázar a Pynchon eSaramago. E, dall’altro lato, l’en-ciclopedica Grande Opera inquattro volumi La matematica(Einaudi, 2007, 2008, 2010 e2011), di cui ha pazientementecommissionato e personalmen-te editato il centinaio di contri-buti, assommanti a 3.467 paginedi testo!

Non stupisce che, con la suavoracità di lettore, un sesto del

suo nuovo libro consista di unabibliografia di 60 pagine, mode-stamente descritta come “senzaalcuna pretesa di completezza”,e “limitata ai testi consultati”.Un apparato così sterminato ègiustificato dalla convinzioneprogrammatica di Bartocci, che“l’evoluzione delle idee mate-matiche non segua né un cam-mino lineare e progressivo, néun percorso accidentato attra-verso un paesaggio di concezio-ni universalmente condivise,ma sia al contrario un pulviscolocostituito da una miriade ditraiettorie più o meno autono-me, vicoli ciechi e piste sotterra-nee, che si intrecciano in un la-birinto pluridimensionale, dallatopologia incerta e mutevole”.

All’interno di questo labirin-to, Bartocci traccia un percorsodiacronico e uno sincronico, ri-spettivamente di lunga e di bre-ve durata. Il primo, che gli servea stabilire le colonne d’Ercoletemporali della sua Odissea nel-

lo spazio geometrico, parte da unrisultato di Euclide che tutti ab-biamo imparato a scuola, anchese molti se lo saranno dimenti-cato: il fatto che due triangolicon la stessa base e la stessa al-tezza, hanno la stessa area.

Con quest’ultima espressio-ne, “avere la stessa area”, noi in-tendiamo di solito che, per i duetriangoli in questione, il prodot-to della base per l’altezza (divisoper due) è lo stesso. I Greci, inve-ce, intendevano anche che sipossono scomporre i due trian-goli in uno stesso numero di pez-zi uguali. Più precisamente, chesi può scomporre uno dei duetriangoli in un numero finito ditriangolini, che si possono poi ri-comporre nell’altro triangolo.

L’analogo tridimensionaledei triangoli, sono i tetraedri:cioè, le piramidi a quattro faccetriangolari, che Dante chiamava“tetragoni” e usava in senso fi-gurato, come nel verso “tetrago-no ai colpi di ventura”. I Greci sa-pevano che due tetraedri con lastessa base e la stessa altezzahanno lo stesso volume, ma ladimostrazione di Euclide non èper niente immediata, com’erainvece nel caso dei triangoli. Nel

1899 David Hilbert chiese se sipuò sempre scomporre uno deidue tetraedri in un numero fini-to di tetraedrini, che si possonopoi ricomporre nell’altro tetrae-dro. La risposta è no, e la diedequello stesso anno Max Dehn.

Il libro di Bartocci si apre conil problema dei triangoli, e sichiude con quello dei tetraedri,a indicare che alcuni fili del tes-suto della matematica percor-rono tutto il suo ordito, dall’an-tichità alla contemporaneità. Ilcorpo del suo discorso è però de-dicato, nel secondo percorso, adipanare l’aggrovigliata matas-sa della geometria dell’Ottocen-to, da lui stesso definito «il seco-lo “lungo” nel quale affondanole radici della nostra moder-nità».

L’aggrovigliamento è dupli-ce. Da un lato, infatti, i fili deicontributi individuali si intrec-ciano fra loro, completandosi avicenda come tessere parzial-mente sovrapponibili di ungrande puzzle. Dall’altro lato,vari fili escono da quel particola-re groviglio per penetrare in al-tri, contribuendo a dare un’im-pressione non ingenuamenteromantica, ma maturamente

IL PARRICIDIODIEUCLIDE

Un saggio di Bartocciracconta la rivoluzionedelle nuove geometrie ei cambiamenti che portarono

Tra i protagonisti del secolo“lungo” Riemann e Hilbertche aprirono la strada alleidee di Gödel e poi di Turing

IL SAGGIO

“Una piramidedi problemi” di ClaudioBartocci (Raffaello Cortina,pagg. 416, euro 29).A destra, Vasilij Kandinskij:“Composizione 8” (1923)

PIERGIORGIO ODIFREDDI

Così nell’Ottocento i matematicicostruirono un altro spazio

Un maestro, Gianfranco Folena, che davvero ha fattoscuola. Dal 1956 la sua cattedra di Storia della linguaitaliana e di Filologia romanza era un punto di riferi-mento: non solo per i suoi numerosi allievi che lo ri-

corderanno nel ventennale della morte a Bressanone in un in-contro dal 12 al 15 luglio, proprio in quella località del Trenti-no-Alto Adige dove nel 1973 il Professore aveva inauguratouna serie annuale di convegni linguistici e letterari. In questacircostanza commemorativa – ma si farà qualcosa anche a Pa-dova e alla Camera dei deputati – l’editore Carocci pubbli-cherà Schede di lingua nostra, a cura di Ivano Paccagnella, tut-te le sue note uscite dal 1941 sulla rivista Lingua nostra.

ENZO GOLINO

Scomparso a Padova il 13febbraio 1992, Folena era na-to a Savigliano il 9 aprile 1920.Studi liceali a Firenze, am-messo alla Scuola Normalesuperiore di Pisa, con il filolo-go Giorgio Pasquali si indiriz-za verso le discipline lingui-stiche e filologiche. Ma primadi laurearsi deve adempiereal servizio militare in Sicilia ein Africa: prigioniero, man-dato in India, torna in Italianell’estate del 1946 e in di-cembre, a Firenze, si laureacon Bruno Migliorini in Sto-ria della lingua italiana. Pub-blica un paio di edizioni di te-sti importanti, e via via il suoattivismo – si riesce appenaad accennarlo – ha del prodi-gioso.

Collabora con la Fonda-zione Cini di Venezia, creapremi e istituzioni diverse,s’impegna molto sul fronteeditoriale e delle riviste, vinceil Premio Feltrinelli per leScienze filologiche, ottiene lamedaglia d’oro per i beneme-riti della scuola, è membro diprestigiose Accademie in Ita-lia e all’estero. Al suo bellissi-mo L’italiano in Europa.Esperienze linguistiche delSettecento (Einaudi 1983) vie-ne assegnato il Premio Via-reggio 1983. Una raccolta disaggi composti e pubblicatiin anni precedenti che nonha perso – a rileggerla oggi – lasua freschezza: Goldoni, lalingua del melodramma ita-liano (in particolare il capito-lo sul linguaggio della Servapadrona), il francese di Gol-doni, l’italiano di Voltaire e diMozart. Risuona, nella pre-messa, una nota di profeticodisincanto piuttosto attuale.Folena confessa di aver cre-duto, come tanti della sua ge-nerazione, in una Europaunita nella ragione e nella pa-rità delle lingue e delle cultu-

re, e di crederci ancora purese questa Europa «non è poinata, sembra anzi, da quandoha avuto le sue prime istitu-zioni, più lontana che mai».

Benché rispettasse i cano-ni scientifici delle disciplineche insegnava e di cui scrive-va, nella sua quadrupla in-carnazione di filologo, lin-guista, storico, critico, Fole-na è stato un intellettualeeclettico e interdisciplinarein grado di uscire dai confinidello specialismo sia per lostile adottato in certe occa-sioni sia per le materie che af-frontava. Come l’analisi di uncelebre slogan pubblicitario:«Metti un tigre nel motore».

A questo proposito in unaltro suo libro fondamentale(Il linguaggio del caos. Studisul plurilinguismo rinasci-mentale, Bollati Boringhieri1991) due capitoli sono godi-bilissimi anche per il lettorecomune: la storia e i significa-ti della parola «monello», e uncatalogo ragionato di nomi dipesci fra cucina e zoologia, «ilpatrimonio lessicale dell’it-tiologo, le tabelle del merca-to, le voci del calmiere». Unottimo sussidio per fare laspesa... Sembra di ascoltarlequeste parole dalla sua vivavoce sulla scena di una lezio-ne o di un convegno, il sorrisoche gli increspa il volto, la fi-gura alta da cui traspare unanaturale, simpatica autore-volezza.

Testi e ricordi per il filologo scomparso vent’anni fa

DALL’OPERA AL CIBOLE LINGUE DI FOLENA

LINGUISTA

GianfrancoFolena, natonel 1920, èscomparsoventi anni faa Padova

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@VENERDÌ 24 FEBBRAIO 2012

PER SAPERNE DI PIÙ

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realistica, della matematica co-me un “groviglio di grovigli”. EBartocci si dedica, con perizia eacume, a mostrare “gli avventu-rosi percorsi di ricerca che con-ducono ai teoremi, le questioniche in tutto o in parte li motiva-no, le idee che li innervano, il nu-golo di interrogativi che ne sca-turiscono”.

Scorrono così, nei nove capi-toli e nelle 85 pagine di note, lequasi millenarie intuizioni del

matematico poeta OmarKhayyam, più noto al mondoper le sue Rubaiyat. Le anticipa-zioni ignare di padre GirolamoSaccheri, che credeva di rifon-dare Euclide mentre lo stava mi-nando. Quelle semiconsce diJohann Lambert, che come Mo-sè intravide la Terra Promessasenza riuscire a entrarci. I risul-tati maturi di Gauss, tenuti se-greti per “non sollevare le stridadei Beoti”. Le uscite allo scoper-

todi Jànos Bolyai e Nikolaj Loba-cevskij, oggi considerati gli sco-pritori ufficiali della geometrianon euclidea. E i modelli di Eu-genio Beltrami, alcuni ritrovatiper vie traverse da Felix Klein eHenri Poincaré, che permiserodi visualizzarla.

Ma le analisi più raffinateBartocci le dedica ai due veriprotagonisti del suo libro:Berhard Riemann e David Hil-bert. Al primo, per le connessio-ni tra il suo pensiero matemati-co e quello filosofico di JohannHerbart: un singolare esempiodi un possibile fecondo inter-scambio tra le due discipline. Eal secondo, per i suoi ormaiclassici Fondamenti di geome-triadel 1899, che aprirono in se-quenza la strada alla metama-tematica, ai teoremi di Gödel eTuring, e dunque in ultima ana-lisi all’informatica! A dimostra-zione dell’assunto fondamen-tale di Bartocci, che la matema-tica del passato “non è morta eimbalsamata, copia derisoria dise stessa come la triste tigre im-pagliata di un museo zoologicod’antan, ma è al contrario anco-ra palpitante di vita”.

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È lei, la ferocissima Laura, che sembra domi-nare da protagonista una narrazione di cui inrealtà (ci accorgeremo presto) il vero cuore èPPP: Laura è solo un tramite, uno strumento diconoscenza. Nel diario di quel tormentoso in-gaggio presso il Fondo (Trevi all’epoca è ine-sperto e vulnerabile), spicca l’icona monstredella smodata signora, erogatrice di visioni esi-laranti. Il fatto che sia una figura tragica (comeci farà scoprire Trevi) non ne contraddice la co-micità. Si sa che i matti, benché sofferenti e di-sperati, provocano situazioni buffe.

Per i giovani che ignorano chi sia la Betti, rias-sumiamo: attrice e cantante, nata nel 1927 emorta nel 2004, contava su uno charme esi-stenzialista e su un’eccitante voce roca. Appar-ve in capolavori quali “La dolce vita” e “Nove-cento”, oltre che nella maggior parte dei film gi-rati da PPP. Emiliana bionda e felina, accolta ingioventù dai più sofisticati e viziosi salotti ro-mani, nutrì un amore devastante per Pier Pao-lo, che plasmò la sua sorte. Alcuni individui,scrive Trevi, “svolgono nella vita dei loro similiun ruolo catastrofico”. Per Laura l’apocalisse ful’incontro con quell’artista torvo, misterioso,disomogeneo, avido di purezza e circondatoda “ragazzi di vita”. Lo amò più di se stessa,mentre lui le rimase straniero e lontano, infos-sato nella sua creatività rabbiosa, nel nitore ab-bagliante dei suoi paradossi, nel bisogno in-stancabile di demistificare ogni ideologia, neltestimoniare le ferite sociali e spirituali dell’I-talia del dopoguerra, già protesa verso un disu-mano consumismo.

Quando Pier Paolo, massacrato a Ostia,scompare nel ’75, Laura si vota alla cura delFondo istituito in suo nome a Roma. Qui, men-tre la cerchia degli intellettuali di sinistra che legravita attorno assiste annichilita all’ascesa diBerlusconi, la folle erinni, ormai invecchiata eobesa, infligge a Emanuele le sue persecuzioni.Trevi, nel libro, la chiama sempre “la Pazza”, enon esagera. Laura era pazza come lo sono cer-ti pazzi intellettualmente acuti e socialmenteaccetti grazie a un ruolo che li assolve. Portatri-ce di una delega significativa per l’intellighen-zia, era l’eletta custode del messaggio del Poe-ta. Missione che la abitava con un convinci-mento tale da farsi onorare da chiunque, no-nostante le collere funeste, la sconcia bulimia,i gesti da schizzata (irresistibile l’episodio in cuifa pipì sulla moquette dell’ascensore di un ho-tel di Atene dopo uno scontro con la direzionedell’albergo), e le crudeltà con cui infierisce suisuoi interlocutori, tra cui Emanuele, apostro-fato quotidianamente come “Zoccoletta”.

Ma è proprio con questo trait d’union cheTrevi accede al più elusivo degli artisti. Avven-tura rischiosa, come lo è “Petrolio”, al tempo

IL LIBRO ALLO STREGA

“Qualcosa di scritto”di Emanuele Trevi(Ponte alle Grazie,pagg. 256, euro 16,80)esce il primo marzo. Eandrà allo Strega

Il libro di Emanuele Trevi, tra diario e romanzo, descrive il mondo di “Petrolio”

PASOLINI E LAURA BETTIVERI “PERSONAGGI DI VITA”

stesso romanzo, saggio, poema mitologico, li-bro di viaggi e di racconti… “Qualcosa di scrit-to”, secondo la formula affiorante a più ripresein un testo che, come una collosa secrezione,sembra non staccarsi dalla sua origine: “Io vi-vo”, afferma Pasolini, “la genesi del mio libro”.Non è semplicemente il narratore, ma parla allettore in quanto se stesso, come confessa aMoravia, spiegandogli la sua peccaminosapresa di possesso della realtà per mezzo dellascrittura.

Nucleo oscuro di “Petrolio”, uscito postumonel ’92 da Einaudi, è il tema del doppio: Carlo,ingegnere dell’Eni e cattolico comunista, è di-viso in un Carlo angelico e sociale e in un Carlodecadente e satanico. La sua molteplicità iden-titaria (e sessuale) si espande a un tratto nell’e-vento sconvolgente del suo divenire donna,trasformazione che gli permette di assaporareincesti e amplessi a catena. E dalle pagine, viavia, emerge un intero continente di strutturemitiche e antropologiche, prodotte da uno sca-vo nelle ombre più remote dell’inconscio uma-no. Trevi si lancia a capofitto in questa materia,sbrogliando il senso di un atto testamentariolasciato da PPP, una sorta di chiave iniziatica aipiù profondi segreti dell’esistenza.

La strategia si muove su vari fronti: Trevicompie viaggi fisici e mentali nella cultura gre-ca (recandosi due volte alla sacra Eleusi), siconfronta con le immagini di dissipazione delfilm “Salò” (’75), indaga sulla sintonia che cer-ti “pasoliniani” (Pazza compresa) coltivanoalacremente con la ritualità sadomasochistica,un tipo di violenza pulsante in “Petrolio” e mol-to familiare a PPP, indefesso sperimentatoredell’eros. È in tale mosaico di suggestioni cheTrevi approda al suo agognato incontro con loscrittore-regista. Azzarda un estremo gesto dicrescita sul piano della prosa e si contagia conl’oggetto incandescente della sua ricerca, dalquale mutua l’intensità e il coraggio del rap-porto con la vita e il vorticoso innesto degli sti-li. Romanzo, saggio, diario di viaggio… Come“Petrolio”, anche il bel libro di Trevi è “qualco-sa di scritto”: un ibrido ardente, e non etichet-tabile, di possibili scritture.

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LEONETTA BENTIVOGLIO

Esiste un modo emozionante, e non solo intelligente, di esplorare un autore: una manie-ra organica e mimetica, “sporcata” dalla vita. Questa modalità determina l’effetto dellalettura di Qualcosa di scritto, il nuovo libro di Emanuele Trevi (pagg. 248, euro 16, 80, esceil primo marzo per Ponte alle Grazie), che tocca il lettore in corde perturbanti, catturan-

dolo in un contatto dall’interno con l’opera da affrontare, sondata con un’intimità quasi sca-brosamente passionale. Attitudine distante mille miglia dagli sfoggi sapienziali dell’analisi let-teraria corrente.

L’opera è Petrolio e l’autore è Pier Paolo Pasolini, inesauribile enigma della coscienza politi-co-culturale ed etico-sociale italiana. Risolvendosi a fronteggiarlo attraverso quell’ultimo lavo-ro incompiuto, Trevi agisce “di sponda”, portandoci inizialmente a credere che sta esponendoun tracciato autobiografico, cioè la sua storia di giovane scrittore risucchiato, durante i primi an-ni Novanta, nelle spire del Fondo Pasolini affidato a Laura Betti.

La polemica

AMAZON CANCELLA 4000 E-BOOK PER PROTESTA CONTRO I DISTRIBUTORI

NEW YORK — Amazon ha rimosso oltre 4.000 titoli digitali dalsuo catalogo: una mossa definita necessaria visto il tentativo fal-lito di venderli a un prezzo più basso. Al momento del rinnovodel contratto con la Independent Publishers Group, uno deimaggiori distributori americani, il colosso delle vendite onlineha insistito nel cambiare i termini dell’accordo per spuntarecondizioni più vantaggiose. Ottenuta una risposta negativa,Amazon ha deciso di cancellare tutti gli e-book del distributoreda Kindle, il suo lettore digitale. «È un motivo di preoccupazio-ne e un avvertimento per chiunque voglia vendere un’edizionedigitale dei propri testi: o si accettano le loro condizioni o si è fuo-ri», ha detto Andy Ross, agente ed ex libraio, al New York Times.

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