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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO

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Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in abb. postale "Regim

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12 | DICEMBRE 2013 | ANNO 115SOMMARIOAi lettori

GRAZIEdi Gigi Anataloni

Dai lettoriCARI MISSIONARI(lettere a MC)

ARTICOLISiria

SULLA PELLE DEI SIRIANIdi Enrico Vigna e Paolo Moiola

ZambiaIL LAGO CHE DÀ VITAdi Ermina Martini

Brasile / SertãoDOVE I CONTADINISONO POETIdi Silvia Zaccaria

IndigeniLASCIAMOLI IN PACEdi Francesca Casella

Perù / Salute 2JAMPI WASI, LA CASA DELLA SALUTEdi Paolo Moiola

Burkina FasoPASTORI: NON MOLLATEIL GREGGEdi Marco Bello

ItaliaVOGLIA DI TENEREZZAdi Giampietro Casiraghi

Libertà Religiosa - 15

LO YOM KIPPUR ALLA CORTEDI STRASBURGOdi Paolo Bertezzolo

Il numero è stato chiuso in redazione il 12 Novembre 2013.La consegna alle poste di Torino è avvenuta prima del 30 Novembre 2013.

WWW.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT

RISPONDERE AI DELITTISENZA COMMETTERNE ALTRI

GIUSTIZIARIPARATIVA

DI ANNALISA ZAMBURLINI,CAROLINA BEDOYA MAYA ELUCA LORUSSO

IN COPERTINA: occhi dell’anima(Foto: © Glenn Shepard,Survival International).

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Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità dellarivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003).

OSSIER

4 MC DICEMBRE 2013

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RUBRICHE

Chiesa nel mondodi Sergio Frassetto

«Così sta scritto»di Paolo Farinella

Cooperandodi Chiara Giovetti

4 chiacchiere condi Mario Bandera

Indicea cura di Gigi Anataloni

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Molti ricorderanno le im-magini della tribù amaz-zonica isolata fotogra-fata alla fine del maggio

2008 in Brasile, appena al di quadel confine peruviano. Nono-stante il tono sensazionalista concui molte testate diffusero la noti-zia, le immagini raggiunsero l’o-biettivo di richiamare l’attenzionedell’opinione pubblica mondialesulla minaccia che gravava suipopoli della zona. L’esistenzadelle tribù incontattate non potevapiù essere considerata una leg-genda tipo quella del mostro diLoch Ness, come affermavanol’allora presidente del Perú AlanGarcía e i portavoce della compa-gnia petrolifera di stato nel tenta-tivo di svicolare dalle proprie re-sponsabilità. E nemmeno «un’in-venzione degli ambientalisti». Po-chi mesi dopo, il giornale britan-nico The Observer, responsabiledi aver insinuato che le fotografiefossero una farsa e una «bufala»,dovette presentare le sue scuse

ufficiali ai lettori e a Survival peraver fornito una versione «menzo-gnera e distorta» dei fatti.A scattare quelle immagini aereee ad affidarle a Survival era statoJosé Carlos dos Reis Meirelles, unfunzionario della Funai (il diparti-mento governativo agli affari indi-geni del Brasile) preoccupato peril drammatico esodo verso il Bra-sile di alcuni gruppi di indiani in-contattati del Perú. Le loro terreerano invase in modo crescenteda taglialegna illegali e compa-gnie petrolifere autorizzate dalgoverno peruviano a compiereprospezioni e trivellazioni anchenegli angoli più remoti della fore-sta, dimora ancestrale di alcunidei popoli più isolati del paese.Quelle attività rischiavano di deci-

INDIGENIdi FRANCESCA CASELLA(SURVIVAL ITALIA)

LASCIAMOLI IN PACE

Le tribù indigeneincontattate non sonoun’invenzione degliambientalisti. Che farecon esse? L’esperienzastorica dimostra che ilcontatto con l’uomobianco per loro è statoquasi sempre fatale.Perle malattie, la violenzao la prevaricazione.Il nostro dibattito sultema continua ospitandole riflessionidell’organizzazioneinternazionale Survival».

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# In alto: una spettacolareimmagine di una tribùincontattata del Brasile, appenaal di qua del confine peruviano.

LA QUESTIONE DEI POPOLI INCONTATTATI

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mare o addirittura sterminare latribù all’insaputa del resto delmondo, com’era già accadutotroppe altre volte nel passato.

Quanti sono i popoli incontat-tati contemporanei e qualiminacce pendono sul loro

futuro? Secondo le nostre stime,i popoli indigeni che vivono senzaalcun contatto con il mondoesterno sono almeno un centi-naio. La loro consistenza nume-rica varia molto. Da un solo so-pravvissuto, come nel caso «del-l’uomo della buca» individuatonel 2006 nello stato brasiliano diRondônia, fino a cento o due-cento persone. Vivono in am-bienti diversi: dagli angoli più re-moti della foresta amazzonicafino alle isole dell’Oceano in-diano. Non è dato sapere quantiesattamente siano, ma sappiamocon certezza che esistono: loprovano le tracce che lascianodietro di sé (utensili e case ab-bandonate frettolosamente sottol’avanzare degli invasori), e al-cuni incontri fortuiti e fugaci.In Asia li troviamo nelle Isole An-damane e in Nuova Guinea. Nel-l’America del Sud, dove si ha laconcentrazione maggiore, ci sonoalmeno 60 tribù. Oltre 40 risie-dono entro i confini del Brasile, 15

INDIGENI

alla fine del XIX secolo. Il 90% diloro morì. I popoli incontattati vi-vono tutti in modo autosufficiente:di ciò che la foresta dona loro. Leloro vite sono profondamente le-gate a quella del loro ambiente.Per questo, la protezione delleterre che abitano e delle risorseche utilizzano è fondamentale perla loro sopravvivenza. Spesso lostile di vita nomade o semino-made (basato sulla caccia, sullapesca e sulla raccolta) è il risul-tato delle persecuzioni che hannosofferto, come nel caso degli Awábrasiliani. Si pensa infatti che untempo gli Awá fossero agricoltoristanziali, e che si siano solo suc-cessivamente frammentati ingruppi di 20-30 persone sotto l’a-vanzata dei bianchi, passando poialla vita nomade, che offriva piùalte possibilità di sopravvivenza.Nessuno sa con esattezza quantisiano (probabilmente 460, di cuiun centinaio vive completamenteisolato nelle foreste dello statodel Maranhão), ma possono cer-tamente essere considerati latribù più minacciata della Terra.Sette di loro morirono nel 1979,avvelenati con la farina intrisa diun pesticida letale lasciata «indono» dai coloni… Oggi sono as-sediati da orde di taglialegna ille-gali che, quando li vedono, li ucci-

in Perú. Il resto vive tra Bolivia,Colombia, Ecuador e Paraguay.Ognuno di questi popoli è unico ele loro lingue, le loro culture e leloro visioni del mondo sono inso-stituibili. Sono sicuramente i po-poli più vulnerabili del pianeta. Dei popoli incontattati si sa poco,se non che il loro isolamento èsempre frutto di una scelta obbli-gata, compiuta per sopravviverealle invasioni. Molti di loro hannosofferto la perdita dei loro cari permano dell’uomo bianco nel corsodi decenni di massacri silenziosi oper effetto del dilagare di epide-mie. Sono proprio le malattie in-trodotte dall’esterno, infatti, a co-stituire la principale causa dimorte tra loro, perché non hannodifese immunitarie contro virusda noi molto comuni come l’in-fluenza, il morbillo o la varicella. Spesso, sono essi stessi dei so-pravvissuti, o discendono da so-pravvissuti ad atrocità commessein epoche precedenti. Violenzeraccapriccianti che hanno lasciatosegni indelebili nella loro memo-ria collettiva, inducendoli a rifug-gire da ogni contatto con il mondoesterno. Gli antenati degli attualipopoli amazzonici isolati furonosterminati dal fenomeno brutale edevastante della schiavitù che ac-compagnò il boom del caucciù

© Gleison Miranda / Funai

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versano le loro terre aprendo leporte a bracconieri, missionarifondamentalisti e turisti, e intro-ducendo il rischio di incontri vio-lenti e malattie. Le foreste da cuidipendono per il loro sostenta-mento vengono tagliate a ritmivertiginosi; la selvaggina è sem-pre più scarsa.Alcuni pensano che i popoli tri-

bali, in particolare quelli incontat-tati, siano reliquie del passato, re-perti archeologici destinati inevi-tabilmente all’assimilazione cul-turale ed economica, oppure all’e-stinzione. Ma non è così. Certa-mente, la loro estrema vulnerabi-lità alle aggressioni esterne è ag-gravata dal mancato riconosci-mento del loro diritto specifico al-

dono. La maggior parte dei popoliincontattati vive ancora oggi infuga perenne. Cercano di soprav-vivere rifugiandosi in luoghi sem-pre più remoti. Tuttavia, l’avanzatadella cosiddetta «civilizzazione»sta rendendo sempre più difficilela loro stessa sopravvivenza. Inogni paese del mondo sono cir-condati su tutti i fronti: le compa-gnie petrolifere e di disbosca-mento invadono i loro territori incerca di risorse naturali, i coloniusurpano le loro terre e le conver-tono in allevamenti di bestiame eaziende agricole. Le strade attra-

MC ARTICOLI

# A destra: la foto più ravvicinatamai scattata a una famiglia di Ma-shco-Piro incontattati. Sotto: indi-geni Nanti del Perú. In basso a si-nistra: un’altra immagine di unatribù incontattata del Brasile.

I popoli isolati del PerúBASTA UN RAFFREDDORE

Nelle regioni più remote del Perú vivono almeno 15 po-poli isolati distinti. Alcuni entrarono in contatto conil mondo esterno tra la fine del XIX secolo e gli inizi

del XX, durante il boom del caucciù che li decimò e li spinsea scegliere l’isolamento per assicurarsi la sopravvivenza.Altri gruppi, invece, potrebbero non essere mai entrati incontatto con l’esterno. Tra i gruppi di cui si conosce il nomeci sono gli Isconahua, i Capanahua, i Cacataibos, i Muru-nahua, i Mastanahua, i Machigengua, i Nanti, gli Ashaninkae i Mashco-Piro. Sono quasi tutti cacciatori-raccoglitori nomadi e vivono dicaccia e pesca. Amano le uova di tartaruga, che raccolgonolungo le rive dei fiumi in primavera, quando le acque si riti-rano. Alcuni coltivano piccoli orti. Sono concentrati soprat-tutto nel Perú Sud orientale, ma ci sono stati avvistamentianche nel Nord-ovest, vicino al confine con l'Ecuador, e aNord-est, al confine con il Brasile. Tra i fiumi più frequen-tati ci sono il Tahuamanu, il Las Piedras, il Los Amigos, ilManu, il Purús, il Curanja, lo Yurua e il Serjali.

Oltre la metà dei Nahua, che all’epoca erano incontattati, fusterminata nei primi anni ’80, quando iniziò l’esplorazionepetrolifera nella loro terra. La stessa tragica sorte toccò aiMurunahua a metà degli anni ’90, dopo il contatto con i ta-glialegna che abbattevano illegalmente il mogano. Jorge èuno dei Murunahua sopravvissuti, e ha perso un occhio du-rante il contatto. «Con i taglialegna arrivò anche l’epidemia- ha raccontato a noi di Survival -. Prima non sapevamonemmeno cosa fosse un raffreddore. La malattia ci ha uc-cisi. La metà di noi sono morti. Mia zia è morta, mio nipoteè morto. È morta la metà del mio popolo».Nonostante siano state create cinque riserve a uso esclu-sivo degli indiani isolati, i loro territori continuano a essereinvasi diffondendo violenze e malattie letali. La situazione èparticolarmente grave là dove si trovano alcune delle ul-time riserve di mogano rimaste al mondo: approfittandodella mancanza di efficaci controlli da parte dello stato, i ta-glialegna illegali saccheggiano le foreste liberamente met-tendo a repentaglio la vita dei popoli isolati che vi abitano. Ilgoverno peruviano ha anche autorizzato alcune compagniepetrolifere a condurre prospezioni nelle terre di questetribù, facilitando ulteriormente l’ingresso di coloni e taglia-legna in zone che un tempo erano remote. Altre gravi mi-nacce vengono dalla ricerca mineraria, dalla costruzione dinuove strade e da missionari estremisti che vogliono en-trare in contatto con gli indiani isolati a qualsiasi costo.Survival sta cercando anche di fermare l’espansione del gi-gantesco progetto energetico Camisea all'interno della Ri-serva Nahua-Nanti, promosso dalle compagnie petroliferePluspetrol, Hunt Oil e Repsol. I lavori comporterebbero ildisboscamento di aree di foresta pluviale, la detonazione dimigliaia di cariche esplosive e la perforazione di pozzi. L'e-spansione viola sia le leggi peruviane sia quelle internazio-nali, ed è contestata anche dalla Commissione Onu per l'eli-minazione della discriminazione razziale (Cerd), che hachiesto la sospensione immediata del progetto.

Francesca Casella

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INDIGENI

28 MC DICEMBRE 2013

UNA QUESTIONE DI VITA O DI MORTE

Icommenti di padre Miguel Piovesan e monsignor Fran-cisco González Hernández - pubblicati da MC nell’otto-bre 2013 (Senza uscita) - sono estremamente faziosi eomettono dettagli importanti sui problemi che derive-

rebbero dalla costruzione di una strada di collegamento trale città di Puerto Esperanza e Iñapari. Vi scriviamo quindiper chiarire alcuni punti e permettere ai Vostri lettori dicomprendere meglio la vicenda. Puerto Esperanza è una comunità isolata del Perú sud-orientale, al confine con il Brasile. Come molte altre cittàamazzoniche (anche grandi come Iquitos), Puerto Espe-ranza non è raggiungibile su strada ma solamente via fiumeo, limitatamente, per via aerea. Una parte degli abitanti è co-stituita da coloni, ed è soprattutto la loro voce che padre Mi-guel Piovesan e monsignor Francisco González Hernándezhanno riportato nelle loro lettere. Tuttavia, l’80% della pro-vincia del Purús è abitata da diversi popoli indigeni che vi-vono sia all’interno della città sia in insediamenti esterni. Non solo. In questo angolo isolato del Perú vivono anche altrigruppi di persone. Sono gli indiani incontattati: gruppi chenon hanno alcun contatto pacifico con il mondo esterno e at-traversano frequentemente il confine tra Perú e Brasile. Sipensa appartengano alla tribù dei Mashco-Piro e sono stateraccolte molte prove della loro esistenza proprio lungo il per-corso proposto per la strada. Cancellarli dal dibattito signi-fica omettere la ragione principale per la quale questastrada non può essere costruita, né legalmente né etica-mente.Gli indiani incontattati sono tra i popoli più vulnerabili delpianeta. Non hanno difese immunitarie verso le malattieportate dall’esterno e, spesso, è accaduto che in pochissimotempo almeno la metà di una tribù sia stata sterminata dalleepidemie introdotte con il «primo contatto». Oltre a questi pericoli immediati dovuti al contatto, la co-struzione della strada provocherebbe anche la rapida distru-zione della loro foresta. Prove evidenti si trovano poco di-stante da lì, in Brasile, proprio a Est della strada proposta.Le immagini satellitari mostrano quello che è definito l’ef-fetto «a spina di pesce» provocato dalla costruzione dellastrada BR 317: una volta aperto l’accesso a terre un temporemote, la regione è stata invasa da voraci taglialegna e am-pie zone di foresta sono state disboscate. Secondo padre Miguel Piovesan e monsignor FranciscoGonzález Hernández, per la popolazione del Purús la stradacostituirebbe «la salvezza» poiché porterebbe, dichiarano, lo«sviluppo» di cui hanno bisogno i poveri abitanti del luogo. Èinnegabile che in quest’area vi sia una vergognosa mancanzadi sostegno da parte del governo. Allo stesso tempo, però, èindubbio che la strada porterebbe più problemi che beneficinon solo ai gruppi incontattati ma anche ai popoli indigeni lo-cali, la maggioranza dei quali si è detta fermamente contra-ria al progetto.

Survival difende i diritti dei popoli incontattati, in Perú e nelresto del mondo. Le tribù incontattate non possono essereconsultate sulla strada o su qualsiasi altro progetto di «svi-luppo» che li riguardi. Per loro, la strada proposta nel Purúscauserebbe solo la diffusione di malattie, la distruzione dellaloro terra e, in conclusione, segnerebbe la loro fine. Sono gliabitanti originali di questa regione, com’è possibile ignorare iloro diritti territoriali?Padre Piovesan ha definito gli indiani «arretrati» e tecnologi-camente «preistorici». Durante la sua trasmissione radiofo-nica settimanale, che si scaglia con veemenza contro qualsiasiindividuo o organizzazione si opponga alla «necessità ur-gente» di costruire la strada, si è riferito agli indigeni delPurús chiamandoli addirittura «porci e vermi»1. Ma è impos-sibile immaginare in che modo questo progetto possa portarequalche tipo di «sviluppo» positivo agli indiani incontattati delPurús. Per questi cacciatori-raccoglitori nomadi, infatti, laterra non è solo sacra, ma è anche essenziale per la sopravvi-venza. Senza la foresta, cesserebbero semplicemente di esi-stere. Infine, non si deve dimenticare che la costruzione della stradasarebbe illegale sia secondo la legge peruviana sia secondoquella internazionale, e che il progetto è stato definito «impra-ticabile» e «incostituzionale» da tre ministri peruviani. Se lastrada venisse comunque approvata, le conseguenze sulle vitedi migliaia di indigeni sarebbero devastanti2. Per risolvere ilproblema dell’isolamento della regione non si possono spaz-zare via interi popoli.

Rebecca Spooner,«Survival International»*, Londra

(1) Radio Esperanza: riportato nel documento dell’organizzazioneindigena Feconapu, giugno 2012, pagina 2, punto 4 (leggere nota deldirettore di MC a pagina 29, ndr).(2) Per maggiori informazioni, consigliamo di leggere il rapporto di«Global Witness»: www.globalwitness.org.

PURÚS (PERÚ)UNA LETTERA DA «SURVIVAL INTERNATIONAL»

(*) Fondata nel 1969, SURVIVALaiuta i popoli indigeni di tuttoil mondo a difendere le lorovite, a proteggere le loroterre e a decidere autonoma-mente del loro futuro. Consedi e centri di supporto inEuropa e negli Stati Uniti,Survival lavora perché ven-gano riconosciuti ai popoli indigeni i loro diritti fondamentali con-tro ogni forma di violenza, persecuzione e genocidio. Apartitica eaconfessionale, lavora a stretto contatto con le organizzazioni indi-gene locali offrendo loro assistenza legale e un palcoscenico dacui rivolgersi direttamente al resto del mondo; promuove campagnedi informazione e pressione per il largo pubblico e porta nellescuole laboratori di educazione alla diversità e alla pace. SITO MULTILINGUE: www.survivalinternational.org.

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DICEMBRE 2013 MC 29

MC ARTICOLI

Gabriella Galli / Survival International

Un reportage da Madre de Dios diPaolo Moiola, pubblicato nei mesidi giugno, luglio e agosto 2012,ha suscitato l’indignazione del

parroco di Puerto Esperanza (Purús), p.Piovesan, che lo ha letto solo nel 2013tornando in Italia per una vacanza. Susua richiesta abbiamo riconosciuto al sa-cerdote il diritto di replica sulla rivista diottobre 2013. Nell’articolo p. Piovesan eil suo vescovo, mons. Hernández, accu-sano amaramente i «Wwf-ecologisti» dimanipolare dal di fuori la situazione, nonper il bene della gente locale ma per ipropri fini. L’organizzazione Survival

International, coinvolta nella vicenda, hachiesto a sua volta il diritto di replica,che concediamo volentieri in questo nu-mero, pur non condividendone alcuneparti troppo ad personam.Per noi, come rivista MC, il dibattito circala strada del Purús finisce qui. Non vo-gliamo diventare veicolo di scambio diaccuse a distanza tra persone e organiz-zazioni (da noi stimate) che, pur avendo acuore la stessa realtà, hanno visionimolto diverse e, almeno al momento, nonsembrano molto disponibili ad ascoltarsi.

Gigi Anataloni, Direttore di MC

l’isolamento volontario. Eppure, lastoria dimostra che laddove leloro terre vengono riconosciutelegalmente e protette in modoadeguato, il loro futuro è assicu-rato. Al contrario, il primo con-tatto forzato costituisce sempreun’enorme minaccia e, quasi in-variabilmente, qualsiasi sia la ra-gione per la quale viene compiuto,si trasforma in una catastrofefatta di impoverimento, malattia,disperazione e morte.

In Perú, padre Piovesan (vedereriquadro di pagina 28, ndr) -alla radio e su altri mezzi di co-

municazione - continua a porre aisuoi ascoltatori una domandasolo apparentemente innocua: «Sisalva un popolo se lo si isola o selo si integra? Si migliora una co-munità mettendola a contatto conaltri o mantenendola isolata?». Alui Survival e tutti coloro chehanno a cuore la vita dei popoli in-digeni non possono che rispon-dere in un solo modo: «Se, comee quando interagire con il mondoesterno è una decisione chespetta solo a loro, e a nessun al-tro». Riconoscere e proteggere ildiritto alla proprietà della terradei popoli indigeni, inclusi quelliincontattati, è la chiave della lorosopravvivenza. Solo così potranno

mantenere il controllo delle lorovite e decidere autonomamentedel loro futuro lasciandosi allespalle secoli di colonizzazione epaternalismo. Il diritto alla terra eall’autodeterminazione sono san-citi oggi anche dalla ConvenzioneIlo 169, che è la legge internazio-nale più importante in materia dipopoli indigeni, e dalla Dichiara-zione dei diritti dei popoli indigenie tribali approvata dall’Onu nelsettembre 2007. Non possiamocambiare il passato ma possiamocertamente evitare che la storia siripeta semplicemente facendo ri-spettare la legge.

Francesca Casella*

# A sinistra: un indigeno delgruppo incontattato Nanti chevive nella foresta amazzonica delManu (Perú). Qui a destra: ungruppo di Mashco-Piro. Sotto: lacopertina del libro di Survival.

* Dal 1989 Francesca Casella èdirettrice della sede italiana diSurvival International . Collabo-ratrice di varie testate giorna-listiche, ha curato l’edizionenazionale del volume Siamotutti uno. Omaggio ai popoli indi-geni della Terra.

SITO: www.survival.it

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