Arte Normanna - giovannipediconeart...Grandi costruttori furono i re normanni. Ruggero II fece...

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Arte e immagine Prof. Pedicone Sebastiano Giovanni 1 Arte Normanna I Normanni, rudi guerrieri ed abili politici non ebbero una arte propria, ma conquistato un regno subirono il fascino dell’arte e la protessero. Nell’Italia Meridionale e in Sicilia profusero tesori per la ricostruzione di grandiose cattedrali e di sontuosi palazzi rinnovando il fasto orientale. I monumenti sono classificati di Arte Normanna, non si devono intendere come monumenti sorti sotto il loro dominio. Alcuni avrebbero voluto sostituire quella denominazione con l’altra di arte Siculo-Normanna, per determinare meglio il luogo di sviluppo; altri con quella di arte Arabo-Bizantina, per indicare gli elementi costitutivi. Imitando gli Arabi, i normanni soggiogati dal fasto orientale, si mostrarono ancora più arrendevoli verso i vinti, sebbene questi fossero seguaci del Corano. Alla loro corte, medici, astronomi, matematici, musicisti, poeti e scrittori arabi, vivevano indisturbati, tanto che nel 1185, il viaggiatore musulmano Ibn Jobair aveva trovato in fiore di Sicilia la civiltà araba, tanto da sembrargli la capitale del Regno: Palermo, una città del tutto araba nei costumi. Anche negli atti ufficiali, oltre le lingue: greca, latina e francese fu permessa quella araba. Questo eclettismo ebbe un riflesso anche nei prodotti dell’arte. Spesso le maestranze siciliane educate all’arte bizantina, lavorarono di buon accordo alle maestranze arabe, armonizzando i vari elementi in una fusione perfetta, meravigliosa; ora con predominio evidente delle caratteristiche arabe, ora con spiccato senso decorativo di quelle bizantine. In alcuni monumenti affiorarono timidamente elementi romanici, ciò che fa supporre anche la presenza di artisti nazionali dell’Italia meridionale, dove l’arte romanica si era già diffusa da qualche tempo. A Palermo, sono di carattere arabo: La Reggi (in gran parte distrutta), la Zisa, la Cuba, il Palazzo della Favara, S. Maria dell’Ammiraglio, S. Cataldo, S. Giovanni degli Eremiti. Sono di carattere bizantino: S. Giovanni dei Lebbrosi, la Cappella Palatina. Caratteristiche romaniche si trovano nel Duomo di Cefalù e in quella di Monreale. Spesso processi murari musulmani si attuarono con schemi bizantini. Così archi acuti, cupole emisferiche su trombe a nicchie rientranti, volte con peducci pensili, coperture a stalagmiti vennero eseguiti costruzioni a pianta quadrangolare, in volta con sostegni e cupola centrale. Si seguirono piante di forma allungata con tre absidi, a tipo basilicale; portici finacheggiati da torri campanarie, decorazioni esterne ed archetti intrecciati con policromie ottenute con pietre di un colorito gialliccio e pietre laviche nere. Nella decorazione musiva si ebbero ornamenti geometrici di schietta natura araba e figure di Santi con perfetta ieratica stilizzazione bizantina; pavimenti e zoccolature ora ricordanti motivi arabi, ora pretti motivi cosmaleschi; le leggende in greco si alternano con quelle in latino. Nel soffitto della Cappella Palatina, nelle colonne della Chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio e nei coronamenti esteriori di Chiese e di palazzi ricorrono invece iscrizioni a lettere cufiche. Grandi costruttori furono i re normanni. Ruggero II fece costruire la chiesa di S. Giovanni dei Lebbrosi (1061), S. Giovanni degli Eremiti (1132). Lo stesso Ruggero II fece completare il Duomo di Messina cominciato da Ruggero I nel 1098, e il castello di Favara. Guglielmo I il Malo iniziò il palazzo della Zisa poi completato da Guglielmo II, il Buono, che costruì quello della Cuba. Allo stesso Guglielmo II si deve la costruzione del Duomo di Monreale (1170-1182) e del chiostro del vicino convento. Arcivescovi e grandi dignitari della Corte rivaleggiarono con i loro re. L’Ammiraglio di Ruggero II: Giorgio d’Antiochia fece sorgere una chiesa per il rito greco (1143), detta poi della Martorana; Matteo d’Aiello, cancelliere di Guglielmo II fece costruire per i Cistercensi, la chiesa ed il convento della Real Magione (1161); Maione da Bari poi ministro di Guglielmo II, edificò, accanto alla Martorana, la Chiesetta di S. Cataldo (1161); l’Arcivescovo Gualtiero Offamilio, prima precettore e poi cancelliere di Guglielmo II elevò la Chiesa di S. Spirito (1173), detta la Chiesa dei Vespri e dopo iniziò la fabbrica del Duomo di Palermo (1184).

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Arte Normanna

I Normanni, rudi guerrieri ed abili politici non ebbero una arte propria, ma conquistato un regno subirono il fascino dell’arte e la protessero. Nell’Italia Meridionale e in Sicilia profusero tesori per la ricostruzione di grandiose cattedrali e di sontuosi palazzi rinnovando il fasto orientale. I monumenti sono classificati di Arte Normanna, non si devono intendere come monumenti sorti sotto il loro dominio. Alcuni avrebbero voluto sostituire quella denominazione con l’altra di arte Siculo-Normanna, per determinare meglio il luogo di sviluppo; altri con quella di arte Arabo-Bizantina, per indicare gli elementi costitutivi. Imitando gli Arabi, i normanni soggiogati dal fasto orientale, si mostrarono ancora più arrendevoli verso i vinti, sebbene questi fossero seguaci del Corano. Alla loro corte, medici, astronomi, matematici, musicisti, poeti e scrittori arabi, vivevano indisturbati, tanto che nel 1185, il viaggiatore musulmano Ibn Jobair aveva trovato in fiore di Sicilia la civiltà araba, tanto da sembrargli la capitale del Regno: Palermo, una città del tutto araba nei costumi. Anche negli atti ufficiali, oltre le lingue: greca, latina e francese fu permessa quella araba. Questo eclettismo ebbe un riflesso anche nei prodotti dell’arte. Spesso le maestranze siciliane educate all’arte bizantina, lavorarono di buon accordo alle maestranze arabe, armonizzando i vari elementi in una fusione perfetta, meravigliosa; ora con predominio evidente delle caratteristiche arabe, ora con spiccato senso decorativo di quelle bizantine. In alcuni monumenti affiorarono timidamente elementi romanici, ciò che fa supporre anche la presenza di artisti nazionali dell’Italia meridionale, dove l’arte romanica si era già diffusa da qualche tempo. A Palermo, sono di carattere arabo: La Reggi (in gran parte distrutta), la Zisa, la Cuba, il Palazzo della Favara, S. Maria dell’Ammiraglio, S. Cataldo, S. Giovanni degli Eremiti. Sono di carattere bizantino: S. Giovanni dei Lebbrosi, la Cappella Palatina. Caratteristiche romaniche si trovano nel Duomo di Cefalù e in quella di Monreale. Spesso processi murari musulmani si attuarono con schemi bizantini. Così archi acuti, cupole emisferiche su trombe a nicchie rientranti, volte con peducci pensili, coperture a stalagmiti vennero eseguiti costruzioni a pianta quadrangolare, in volta con sostegni e cupola centrale. Si seguirono piante di forma allungata con tre absidi, a tipo basilicale; portici finacheggiati da torri campanarie, decorazioni esterne ed archetti intrecciati con policromie ottenute con pietre di un colorito gialliccio e pietre laviche nere. Nella decorazione musiva si ebbero ornamenti geometrici di schietta natura araba e figure di Santi con perfetta ieratica stilizzazione bizantina; pavimenti e zoccolature ora ricordanti motivi arabi, ora pretti motivi cosmaleschi; le leggende in greco si alternano con quelle in latino. Nel soffitto della Cappella Palatina, nelle colonne della Chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio e nei coronamenti esteriori di Chiese e di palazzi ricorrono invece iscrizioni a lettere cufiche. Grandi costruttori furono i re normanni. Ruggero II fece costruire la chiesa di S. Giovanni dei Lebbrosi (1061), S. Giovanni degli Eremiti (1132). Lo stesso Ruggero II fece completare il Duomo di Messina cominciato da Ruggero I nel 1098, e il castello di Favara. Guglielmo I il Malo iniziò il palazzo della Zisa poi completato da Guglielmo II, il Buono, che costruì quello della Cuba. Allo stesso Guglielmo II si deve la costruzione del Duomo di Monreale (1170-1182) e del chiostro del vicino convento. Arcivescovi e grandi dignitari della Corte rivaleggiarono con i loro re. L’Ammiraglio di Ruggero II: Giorgio d’Antiochia fece sorgere una chiesa per il rito greco (1143), detta poi della Martorana; Matteo d’Aiello, cancelliere di Guglielmo II fece costruire per i Cistercensi, la chiesa ed il convento della Real Magione (1161); Maione da Bari poi ministro di Guglielmo II, edificò, accanto alla Martorana, la Chiesetta di S. Cataldo (1161); l’Arcivescovo Gualtiero Offamilio, prima precettore e poi cancelliere di Guglielmo II elevò la Chiesa di S. Spirito (1173), detta la Chiesa dei Vespri e dopo iniziò la fabbrica del Duomo di Palermo (1184).

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L’eclettismo che guidava la politica dei re normanni ispirò l’eclettismo artistico dei monumenti sorti per loro volontà, è questo che l’arte del XII in Sicilia ha un fascino tutto particolare, superiore forse a quello di Ravenna e di Venezia.

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Chiesa di S. Maria dell’Ammiraglio (Martorana)

Giorgio d’Antiochia, figlio di un avventuriero, passò nella marina di Ruggero II. In breve creato stratega, ammiraglio, ed infine ammiraglio degli ammiragli, rese segnalati servizi al suo Re, di cui aveva abbracciato anche la religione. Impiegò le ingenti ricchezze oltre che nella costruzione di un palazzo, che diede la denominazione alla via chiamata: Rua de Ammirado, anche nella costruzione di un ponte sul fiume Oreto (detto ancora dell’Ammiraglio) e di una chiesetta votiva alla Madonna. La chiesetta antica, prezioso gioiello d’arte, ha pianta quadrata, terminata da tre piccole absidi. Dalle quattro colonne di granito dell’interno, si elevano le arcate che sorreggono una cupoletta emisferica, raccordata per mezzo di trombe a nicchie rientranti.

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L’armonia di quel cubo formato di piccoli conci di pietra d’Aspra ben squadrata, solo decorato da arcatelle cieche tutte intorno alle finestre a sesto leggermente acuto veniva un tempo messa in valore da un atrio che congiungeva la chiesetta votiva alla bella torre in vari ordini, impreziosita da colonnine, da ornati a pietre laviche nere e da una cupoletta alla cima, stagliante in rosso nel cielo di puro cobalto. Nell’interno della chiesetta il pio Ammiraglio fece imporre i gioielli, come un ricco cofanetto: le ieratiche composizioni figurative, vivaci di colore, campite d’oro. Secondo iconografia bizantina vennero eseguite le scene principali della Redenzione di Cristo e le storie della vita della Madonna. Le vele delle volte angolari furono immaginate d’azzurro, picchiettate di stelle. I soggetti principali delle composizioni musive esistenti sono: L’Annunciazione e la Presentazione al Tempio sulle arcate della nave centrale, la Natività di Gesù ed il Transito di Maria nella volta. Gesù Cristo Pantocrator fra angeli, profeti e santi nel cavo della cupola, S. Gioacchino e S. Anna nelle conche absidali laterali, la Preghiera di Giorgio d’Antiochia e l’Incoronazione di Ruggero II, ora nelle cappelle laterali. Le pareti e il pavimento furono ornati di mosaico e di lastre di marmo e di tondi di porfido a disegni geometrici, d’influenza araba. Pure di fattura araba è la bella porta di legno intagliato, collocata lateralmente. Dal giorno in cui la chiesa dal rito greco passò al rito latino e fu affidata alle suore (1433) del vicino monastero fondato da Eloisa Martorana (1194) cominciarono le deturpazioni. Abbattuta l’abside centrale, fu costruita una cappella rettangolare ornata poi di marmi policromi barocchi e di affreschi di Antonio Grano (1684-1686). Distrutto l’atrio, la croce greca fu mutata in croce latina e le volte furono decorate da affreschi di Guglielmo Borremans (1717) e di Olivio Sozzi (1744).

Gesù Cristo Pantocrator fra angeli

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L’Incoronazione di Ruggero II

La Natività di Gesù

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Chiesa di S. Giovanni degli Eremiti

Le rosse cupole, le mura esterne senza decorazioni, a spigoli nitidi, danno a questa costruzione un aspetto del tutto orientale, reso più suggestivo dall florida vegetazione del giardino che la circonda e dal chiostrino della fine del secolo XIII a colonne geminate, che sostengono le doppie arcate acute, sormontate da una leggera sagoma. La chiesetta sorta nel 1132, a ridosso di una delle numerose moschee che esistevano a Palermo nel secolo X, ha una pianata a T, detta pianta a croce commissa.

L’unica nave è divisa esattamente in due quadrati; poi segue l’abside semicircolare che accoglie l’altare, fiancheggiata da due emicicli minori per la protasis e il diaconicon, inscritti nello spessore dei muri. La torre si eleva semplice ed elegante sullo spazio corrispondente alla protasis. L’interno solo decorato dalla nudità suggestiva dei blocchi di pietra squadrata, è illuminato da piccole finestre a sesto acuto una volta chiuse da transenne marmoree. Le cupole emisferiche sono raccordate, come alla Martorana, da trombe “a nicchie rientranti”. La chiesa presenta un prospetto orientale movimentato dal campanile che si leva al di sopra del braccio sinistro del transetto.

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Molto suggestivo è l'interno, con una navata in due campate quadrate divise da un ampio arco ogivale. Un altro arco la divide dal presbiterio, costituito da una campata centrale affiancata da due ambienti che

costituiscono i bracci del transetto.

La campata centrale presenta un'abside aperta da una singola finestra; al di sopra, una cupola si appoggia ad un tamburo che ha una struttura simile a quelli della navata ma con elementi architettonici semplificati.

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Accanto alla chiesa si osserva un piccolo chiostro, appartenuto ad un monastero benedettino costruito nel XIII secolo. Gli archi rincassati poggiano su colonnine con capitelli fogliati. nell'angolo del chiostro si trova ancora una cisterna.

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Chiesa di S. Cataldo

La costruzione muraria di questa Chiesa costruita da Maione da Bari verso 1160, è molto simile a quella di S. Giovanni degli Eremiti, ma la pianta se ne allontana. Essa è a tre navate, terminate da absidi. Tre cupolette allungate si innalzano quasi per mostrarsi al disopra del fregio arabo di coronamento del sacro edificio. La chiesa si presenta come un volume parallelepipedo sul quale si imposta un tamburo allungato aperto da finestre che sorregge tre cupole a sesto molto rialzato. Le finestre del corpo principale sono racchiuse da archi ciechi a doppio rincasso poco sporgente. Lo schema è ripreso sulla facciata, dove si apre il portale principale costituito da un semplice arco ogivale. Oggi l'accesso avviene però dalla porticina posta sul fianco sinistro.

L’interno, disadorno di mosaici, mostra meglio lo schema costruttivo arabo-bizantino, specie nei raccordi delle cupole, a spigoli taglienti. L'interno è diviso in tre navate da sei colonne. La navata centrale è costituita da tre campate a pianta quadrata coperte da cupole. Sulle campate orientali si innestano le tre absidi poco profonde.

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Caratteristica di questa come di altre chiese palermitane è la fusione della componente centrica data dalle cupole con la componente basilicale.

Le navatelle sono ricoperte da volte a botte ogivale. Tutti gli archi hanno profilo ogivale, cosa che contribuisce ad aumentare lo slancio verticale.

Le cupole ricadono su pennacchi gradonati, elemento architettonico di origine orientale.

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Gli archi delle absidi ricadono su colonnine addossate che contribuiscono ad alleggerire la struttura. I capitelli sono di riutilizzo da edifici più antichi. Molto belli quelli decorati da fogliame scolpito a giorno.

Il pavimento a disegni geometrici, ornato di marmi e fasce di mosaico è l’unica risorsa cromatica dell’armoniosa chiesetta.

l'altare originale è costituito da una lastra di marmo decorata a sottile incisione con un Agnus Dei circondato dai simboli degli evangelisti.

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Cappella Palatina

Nell’antico palazzo degli Emiri, restaurato ed ampliato dai re normanni venne edificata da Ruggero II la Cappella Palatina dedicata a S. Pietro. Completata nelle linee generali architetturali avanti il 1143, come mostra l’iscrizione greca alla basa della cupola. E’ uno dei più singolari monumenti del periodo normanno. Si apre sulla loggia del primo piano del palazzo reale; L'accesso attuale alla cappella avviene attraverso un portico su archi a sesto leggermente acuto, con capitelli di reimpiego con sette colonne di granito egiziano né dà il primo annunzio, costruito nel 1506. I mosaici sono moderni.

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Dal portico si accede ad un vestibolo che in origine metteva in collegamento la cappella con gli appartamenti reali.

L’interno, tutto raccolto nella mistica penombra tanto suggestiva, presenta i contrasti più imprevisti: elementi arabi son misti a quelli bizantini sia nell’architettura, che nella decorazione.La cappella ha una struttura architettonica che affianca la struttura basilicale della navata, di tipo occidentale, ad un presbiterio sopraelevato dominato da una cupola che ne attribuisce una struttura centrale tipica dei santuari greci. Due file di quattro colonne dividono il braccio longitudinale in tre navate. Molto belli sono gli archi, molto sopraelevati e dotati di un sesto acuto che ne testimonia la derivazione da tipologie arabe.

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La painta a forma allungata, divisa in tre navate con tre absidi ci dà una basilichetta occidentale; la cupola emisferica raccordata con le caratteristiche trombe a volticine digradanti ci dà invece una costruzione d’oriente.

Il presbiterio è centrato su una campata quadrata coperta dalla cupola e delimitata da ampi archi ogivali che ricadono su colonne. Una stretta campata rettangolare precede l'abside centrale: entrambi gli archi ricadono su colonne in porfido che alleggeriscono la struttura. Mosaici ricoprono tutta la superficie: anche se solo una parte sono originali (1143) l'insieme mantiene una grande unitarietà.

Gli archi leggermente acuti con lunghi piedritti ci richiamano l’architettura araba. I mosaici finemente stilizzati nella composizione apparata di caldo oro, fanno rivivere il fasto di Bisanzio. Al vertice della cupola si trova il Pantocratore circondato da angeli ed arcangeli. Nel tamburo sono raffigurati profeti e, nelle nicchie di raccordo, gli Evangelisti. Sull'arco trionfale è raffigurata l'Annunciazione mentre sull'arco opposto, non visibile dalla navata, si trova la Presentazione. Il soffitto meraviglioso della navata centrale, tutto intagliato nel legno con combinazione stellate ad alveoli e stalagmiti, tanto cari all’architettura musulmana. Nel catino dell'abisde si trova il Cristo Pantocratore; al di sotto il mosaico raffigurante la Madonna tra santi risale al XVIII secolo. Ai lati si trovano due arcangeli e, sotto, i santi Gregorio e Silvestro.

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Nei bracci del transetto si aprono absidiole poco profonde. Nel catino di quella destra si trova il busto di S. Paolo. Al di sopra la Natività. Nella parete del transetto sono raffigurate alcune scene della vita di Cristo. Nella cupola a botte è posta una rappresentazione della Pentecoste.

Nel catino dell'absidiola sinistra si trova il busto di S. Andrea (XVI secolo). Al di sopra la Vergine Odigitria col Battista. Nella parete di fronte sono raffigurati santi vescovi della Chiesa greca. Nella cupola è rappresentata l'Ascensione.

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I mosaici della navata sono più tardi di quelli del presbiterio risalendo agli anni tra il 1160 e la fine del secolo.

Quelli della navata centrale sono distinti in due ordini e sono dedicati a scene dell'Antico Testamento, dalla Creazione alla lotta di Giacobbe con l'Angelo.

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Le navate laterali sono decorate con un alto zoccolo in marmo con inserti in porfido e decorazioni ad intarsio. Al di sopra, la fascia a mosaico è dedicata a scene della vita dei santi Pietro e Paolo.

La controfacciata è occupata dal soglio reale, sollevato da cinque gradini rispetto al pavimento della navata. Nella parte superiore è raffigurato il Cristo in trono tra i santi Pietro e Paolo, mosaici restaurati durante il regno di Ludovico d'Aragona nella metà del XIV secolo.

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La parte inferiore è occupata da una decorazione marmorea intarsiata con al centro lo stemma aragonese; Ai lati della cuspide due leoni all'interno di cerchi sono avvolti da una decorazione a motivi floreali con due uccelli.

l soffitto della navata centrale è una meraviglia dell'artigianato magrebino del Medioevo. Una fascia centrale a cassettoni scolpiti in forma di stelle è affiancata da una struttura ad alveoli degradanti. La struttura lignea è ricoperta da una tela sulla quale sono dipinti innumerevoli soggetti che rimandano alla vita delle corti arabe, il tutto circondato da iscrizioni in caratteri cufici. Pur restaurato nel XV secolo il soffitto si mantiene sostanzialmente integro.

Il soffitto della navate laterali è più semplice essendo costituito da assi trasversali che delimitano delle conche nelle quali sono ripresi i soggetti visti nella navata centrale.

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Di grande importanza è l'ambone costituito da due casse parallelepipede affiancate sorrette da colonne alcune delle quali ricoperte da motivi a zig-zag. Una delle fronti delle casse è in porfido mentre l'altra è intarsiata. I leggi rappresentano l'aquila di S. Giovanni ed il leone di S. Marco.

A lato dell'ambone si trova il candelabro pasquale, ricoperto da cinque ordini di rilievi. La base è decorata con leoni nell'atto di azzannare uomini ed animali.

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Seguono una fascia decorata a tralci abitati ed una in cui appare il Cristo in una mandorla sorretta da angeli con al suo fianco la figura inchinata di Ruggero II.

La quarta fascia è decorata con aquile e tralci fioriti; alla sommità il disco del candelabro è sorretto da tre figure seminude raffigurate naturalisticamente.

Il pavimento a meandri di mosaico, uniti a tondi di porfido e di serpentino, le palmette dorate che coronano l’alta zoccolatura delle pareti rilevano la fantasia degli arabi decoratori. Il candelabro, fiore marmoreo, da presso l’alto pulpito della navata destra, ergentesi su colonne striate d’origine musulmana, canta le glorie di artisti romanici, ispiranti ad un candelabro classico con foglie d’acanto e a figure d’animali. I vari elementi di origine diversa e contrastante, attestati anche dalle iscrizioni latine, greche e cufiche, si fondono in un insieme meravigliosamente armonico e conquistano l’animo. Colori vivaci e toni caldi d’oro, temperati da quella vaga penombra, ravviata dai riflessi dei fondi, girano, s’intrecciano in strisce a meandri, sotto gli archi intorno a busti dei santi, alle scene bibliche, alle storie evangeliche, sulle ali degli angeli, sui mantelli dei profeti, sui palli degli apostoli e più vivi si accendono dove più copiosa, dalla cupola, piove luce.

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Duomo di Cefalù

La cattedrale di Cefalù domina il piccolo centro marinaro che è a sua volta sovrastato da un'alta rupe. Si tratta di uno dei più interessanti monumenti medievali dell'isola che doveva, nelle intenzioni di Ruggero II, che lo fondò nel 1131, testimoniare della potenza della casa degli Altavilla che aveva riconquistato la Sicilia e che ne aveva assunto la corona. La compresenza di elementi architettonici latini, greci ed arabi doveva doveva testimoniare dell'unione delle varie culture all'interno del Regno appena fondato. Gli studi indicano che il progetto definitivo, che pur venne in seguito ridimensionato, era definito alla morte di Ruggero (1154), che la copertura della chiesa doveva essere stata completata alla fin del XIII secolo anche se la consacrazione avvenne solo nel 1267.

Dall'alto della rupe che sovrasta la città si apprezza la complessa architettura della chiesa.

Due alte torri coeve alla fase iniziale di costruzione della chiesa racchiudono la facciata, datata 1240.

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Le torri, di derivazione normanna, danno alla facciata l'aspetto di un castello, caratteristica questa accentuata dalla posizione della chiesa posta al di sopra di un alto terrapieno. La parte inferiore delle torri è aperta da singole feritoie sovrapposte mentre al di sopra si aprono monofore e bifore che comunque non alleggeriscono la struttura. Al vertice si trovano due celle campanarie.

Al di sotto del portico a tre arcate si apre il portale reale, dalla ricca decorazione marmorea ora piuttosto consunta.

La sezione superiore della facciata è riccamente decorata da due serie di arcate i cui archivolti sono scolpiti con motivi a zig-zag.

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Il fianco della navatella meridionale è caratterizzato finestre a ghiera multipla delimitate da una cornice continua. Molto più ricca è la struttura decorativa della parte absidale, nella quale sono evidenti discontinuità dovute alle varie campagne costruttive.

Le pareti del transetto sono percorse da alte arcature ciechche sottendono aperture ad oculo. Al disopra un ordine di finestre a ghiera multipla è sormontata da una loggia cieca ad archi intrecciati; nelle pareti dell'abside si osservano anche coppie di archi pensili su peducci figurati.

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L'abside centrale è percorsa da alte semicolonne affiancate che dividono il cilindro in cinque specchiature di cui tre sono aperte da oculi; le semicolonne terminano in maniera anomala su una serie di archi pensili. Il progetto iniziale doveva porse prevedere una soluzione ad archi intrecciati, come nelle absidi inferiori.

Lo sviluppo della pianta, le due torri massicce del prospetto, l’arco a tutto sesto del portale maggiore, gli archi ciechi intrecciati e le decorazioni absidali dell’esterno, a lunghe ed esili colonnine sorreggenti archetti leggermenti acuti. Anche una grandiosa cupola forse doveva essere costruita, considerando le poderose arcate dalla solea. La pianta è a tre navate, divisa altimetricamente in tre piani terminanti con abisi molto sviluppate in altezza. La navata centrale è coperta da un tetto a travatura scoperta, recante decorazioni goticizzanti del periodo svevo.

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L'interno è caratterizzato da un corpo longitudinale a tre navate su colonne che sorreggono capitelli classicheggianti ed archi acuti fortemente rialzati di gusto islamico. L'accesso al transetto avviene attraverso un arco trionfale affiancato da colonne con capitelli figurati più basso di quello originariamente previsto.

Il presbiterio conserva tra i mosaici meglio conservati della Sicilia anche se buona parte ha subito restauri nel corso dei secoli. Nel catino domina il busto del Cristo Pantocratore, che preannunzia quello ancor più grandioso del Duomo di Monreale.

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Nell'ordine inferiore la Madonna orante è affiancata dagli Arcangeli Michele, Raffaele, Gabriele ed Uriele. Sulla volta si trovano Cherubini e Serafini.

Nell'ordine successivo Pietro e Paolo sono affiancati dagli Evangelisti. In quello inferiore si trovano sei apostoli. Lungo le pareti del santuario, non visibili dall'entrata si distribuiscono simmetricamente figure di profeti e santi.

Alla fine della navata destra si conserva una bella acquasantiera monolitica decorata con quattro leoni.

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Al fianco destro della chiesa, decorato da larghe lesene che salgono a racchiudere le finestre, è addossata una delle gallerie superstiti del chiostro che conserva interessanti capitelli figurati.

Questo chiostro, che costituisce il prototipo di quello di Monreale, conserva le fondamenta della fonte nell'angolo Nord-Ovest.

Le gallerie sono sorrette da colonne binate (quadruple negli angoli) dai fusti in gran parte lisci. Solo una minoranza presenta una decorazione a frecce. I capitelli sono eseguiti con stili molto diversi tra loro. Uno di questi presenta una decorazione a putti ed animali tra girali di derivazione classica.

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Un capitello è istoriato con scene del Genesi dove le raffigurazioni della nave di Noè diventano elemento decorativo del capitello.

Un altro è decorato con mostri dal corpo di rettile e volto femminile e da uccelli affrontati.

Uno dei capitelli presenta su un lato corto la raffigurazione di un gallo e una scritta dedicatoria. Un altro è decorato con originali raffigurazioni di acrobati.

La maggioranza dei capitelli presenta una decorazione vegetale.

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Duomo di Monreale

A pochi chilometri da Palermo e precisamente alle falde del Caputo, nel parco dei re normanni, sorge austero e solenne il Duomo di Monreale, degno degli antichi romani.

La costruzione venne elevata nei primi anni del regno di Guglielmo II (1166-1189) per la “Tutta pura” Madre di Dio. Chiesa votiva secondo la tradizione tramandata da Riccardo da S. Germano, perché il Signore “rendesse feconda colei che aveva fatto sterile”. Secondo invece una tradizione popolare, non nota agli scrittori coevi, costruita in seguito ad un tesoro trovato da re Guglielmo II, dopo la rivelazione in un sogno avuto su quel monte reale, durante una partita di caccia. Comunque sia, essa sembra sia stata eretta presso un’antica Chiesa bizantina detta grecamente di S. Ciriaca e quindi appellata: S. Maria La Nuova. In grandiose dimensioni essa riprende la pianta della Cappella Palatina, seguita anche nello svolgimento iconografico delle decorazioni musive.

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Di un antico portico che precedeva la chiesa nulla più rimane. L’ingresso principale rivolto ad occidente porta due salde e grandiose torri mozze, che fiangheggiano un portico settecentesco a tre arcate.

La porta di bronzo del 1186 di Bonanno Pisano è adorna d’un leggiadro portale a sesto acuto, inscritto in una forma geometrica regolare.

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Sotto il portico un’altra porta di bronzo, (1185) ma di più modeste proporzioni della prima, chiude questo ingresso laterale, ne è l’autore Barisano da Trani, il quale precedentemente aveva eseguito anche la porta del Duomo di Trani (1175) e quella del Duomo di Ravello (1179). Ornati e figure sono imitati da avori e bronzi bizantini.

All’esterno sono interessanti le absidi per le tipiche decorazioni a pietra lavica ed a calcare, che danno una sobria bicromia. Questo sistema decorativo a fasce ed a cerchi con archetti intrecciati su alti piedritti, che ebbe sviluppo in Sicilia, si diffuse poi fino in Campania.

E’ di origine musulmana, ma i motivi appresi dagli arabi sono adattati con gusto dalle maestranze siciliane che lavorarono nel periodo normanno. L’interno, immenso vano diviso in tre navate, interamente rivestito di mosaici ed incrostato di marmi nella zoccolatura delle pareti ed anche nel pavimento, mostra una magnificenza che non ha l’eguale.

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Sebbene in tutta la costruzione prevalgono le caratteristiche dell’arte romanica settentrionale, pure elementi diversi: arabi, bizantini, classici si fondano come in altri monumenti coevi, in dolce armonia. Arabi ornati a palmette a coronamento della zoccolatura delle pareti, archi a sesto acuto di origine orientale,

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nelle arcate, capitelli corinzi lussureggianti del periodo classico, raccordati ai peducci delle ampie arcate, per mezzo di pulvini.

Le composizioni musive bizantineggianti rivestono tutte le pareti del tempio, lasciando intatta l’ossatura della monumentale costruzione. Centrotrenta quadri a fondo oro oltre i numerosi medaglioni e figure isolate di santi nei piloni dell’abside, nei sottarchi e nei fregi, formano un insieme decorativo, denso di pensiero e di fede, tutto rivolto alla glorificazione del “Verbo Incarnato”: Cristo Onnipotente, che appare in dimensioni colossali nel catino dell’abside, come a Cefalù e Palermo. Nella navata centrale scene bibliche per svolgere gli avvenimenti che precedettero l’Incarnazione del Verbo. Nelle pareti delle navi minori episodi evangelici, la vita del Verbo fattosi carne. Infine, presso il presbiterio, in fondo alle navati minori, storie tratte dalle vite degli apostoli Pietro e Paolo con le loro ieratiche figure che dominano nel cavo delle absidette. Ciò che seguì l’Incarnazione del Verbo. Ecco le tre parti della meravigliosa trilogia divina!

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Chiesa della Magione

Costruita verso il 1150 da Matteo d’Aiello (1161) per i cistercensi, sostitui poi nel 1193 dall’Ordine Teutonico, per ordine di Enrico VI, presenta più regolarità di pianta delle precedenti costruzioni. Il prospetto, restaurato recentemente, presenta ornati a bugne smussate nei portali e nicchie alveolate al sommo della fronte. Chiari segni, delle maestranze siciliane, fedeli alle proprie tradizioni. Nell’interno ha una leggerezza di forme costruttive che preludiano sapientemente a quelle più grandiose del Duomo di Monreale.

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All'esterno, le masse murarie, riquadrate da cornici rettilinee, e scandite da finestre ogivali incassate, si evidenziano nel corpo centrale della costruzione, le cui absidi riproducono il motivo delle arcate intrecciate, tipico dell’architettura normanna. La facciata è caratterizzata dalle ghiere bugnate dei portali e delle arcate che contornano sia i portali che le altre bucature a rincassi, come finestre e nicchie. Il complesso originario ha subito modifiche nel corso del tempo, con manomissioni ed apposizioni. E’ il caso del prospetto principale liberamente reintegrato, con un arbitrario doppio loggiato, posto all’ultimo ordine, in stile neoclassico, ad opera del Valenti, quando si impegnò nei lavori di restauro nel 1920-24. Nel corso del secondo conflitto mondiale la chiesa venne semidistrutta dalle bombe; fu quindi restaurata nuovamente ed in parte ricostruita. All’interno fortemente accentuato è il verticalismo, sottolineato nell'abside dal triplice ordine delle colonnine. Netta è la divisione fra navate e corpo del santuario raccolto intorno al coro, giocata su differenti livelli altimetrici, messi in risalto da svettanti arcate ogivali. Le bombe hanno distrutto la copertura a capriate lignee, dipinta con preziosi motivi decorativi islamici, oggi riprodotti. Se le absidi della chiesa ricordano la cattedrale di Monreale, medesimo riferimento può essere fatto per il chiostro intorno al quale si sviluppa l’abbazia che sorge contigua. Ripete l’ordine rigoroso delle arcate a sesto acuto, a doppia ghiera ed archivolto, sorrette da colonne binate terminanti con eleganti capitelli. Del chiostro originario si conservano il lato meridionale e settentrionale, con pietre tombali quattrocentesche.

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Chiesa di S. Spirito

La chiesa di S. Spirito si trova all’interno del cimitero di Sant’Orsola. Tradizione vuole che sia stata costruita verso il 1173, durante il regno di Guglielmo II e per volontà dell’arcivescovo Gualtiero Offamilio (lo stesso che fece costruire La Cattedrale palermitana). Essa è nota anche col nome di Chiesa dei Vespri, perché sul suo sagrato ebbe inizio la grande insurrezione del 1282 - contro gli Angioini - che prese il nome di “Vespri Siciliani”. L’edificio è assai armonioso e rappresenta una commistione degli stili arabo-normanno e gotico. L'architettura della chiesa è improntata alla semplicità delle prime chiese cistercensi. La facciata è incompleta, comunque l'esterno è percorso da una serie d’archi ogivali intarsiati, che s’intrecciano nella parte absidale. La pianta è basilicale a tre navate, divise da archi ogivali che posano su pilastri cilindrici. L’interno è nudo ed austero, anche perché, alla fine dell’Ottocento, si è cercato di ridare alla chiesa il suo aspetto originario, eliminando le pesanti decorazioni barocche. La copertura è a capriate lignee sulla navata centrale e nel presbiterio, a crociere lisce nelle navatelle. Da notare sono i motivi decorativi policromi, ottenuti dall’utilizzo di pietra lavica e tufo giallo, sicuramente di influsso arabo.

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Cattedrale di Palermo

Nello stesso posto dove nel 603 S. Gregorio Magno aveva fatto innalzare una basilica, trasformata in moschea dagli arabi, Gualtiero Offamilio fece costruire il “massimo tempio in Sicilia” (1170-1184). Depurtato da molteplici restauri e rifacimenti, nell’esterno, esso presenta ancora molto interesse. Pochi avanzi però rimangono della costruzione primitiva: la parte inferiore delle torri accanto alle absidi di queste, le fiancate della nave centrale con le finestre finemente decorate da pietra lavica, ed il bel fregio arabo al di sotto della merlatura.

La facciata occidentale con i portali, con le relative torri, ricche di ben 148 colonnine ciascuna, furono aggiunte nel secolo XIV. Il bel portico meridionale, a tre navate venne eseguito nel secolo seguente, sotto l’Arcivescovo Simone Bologna. Il portale interno è opera di Antonio Gambara (1426). Ma gran parte dell’esterno e tutto l’interno del tempio, furono manomessi nell’ultimo ventennio del secolo XVIII. Dall’Arcivescovo Filangerinel 1767 venne richiesto a Napoli, al marchese Tanucci, primo ministro di Stato del Regno delle due Sicilie, l’architetto della Real Camera, per studiare un progetto di restauro del tempio normanno. Fu inviato FerdinandoFuga, regio architetto, il quale in parte seguendo il gusto del secolo, in

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parte i desideri dei prelati palermitani, elaborò un totale rinnovamento, che sconvolse la primitia costruzione. Ingrandì il transetto ottenendo una pianta a croce latina, costuì grandiosi pilastri sorreggianti arcate a pieno centro, addossando ai pilastri quattro colonnine, distruggendo le arcate a sesto acuto sostenute da sole colonne. Sostitui il tetto con un ampia volta a botte; all’incrocio del transetto con la nave maggiore elevò la cupola neoclassica; in seguito il portale meridionale smontato pezzo per pezzo fu ricostruito più avanti. Le fiancate delle navi laterali vennero rettificate in relazione alle nuove esigenze.

Portico laterale voluto dall’Arcivescovo Simone da Bologna e realizzato da Antonio Gambara nel 1453, esempio di gotico catalano. Tre ampie arcate a sesto acuto sorrette da quattro colonnine, con elegante rifinitura a cordone interna, segnate in alto da un architrave al di sopra del quale si dispiega, aggraziato, un bellissimo timpano in due settori: nella parte superiore triangolare “Dio benedicente” con angeli musicanti ed una bella scena dell’Annunciazione, circondati da ricche decorazioni intagliate su pietra viva; nella fascia inferiore zone di elegante decorazione si alternano agli stemmi della Chiesa palermitana, dei Re d’Aragona e del Senato cittadino. Ai lati due robusti pilastri artisticamente lavorati simili per decorazioni alle alte torri del complesso

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Una delle colonnine che sostengono le arcate del portico (l’ultima a sinistra), conserva l’iscrizione a caratteri arabi di un versetto del Corano che si traduce: “Il nostro Signore Iddio creò il giorno seguito dalla notte; la luna e le stelle sono sotto il Suo comando. Non è vero che Egli ha creato queste cose? Non è vero che Egli è il padrone? Benedetto Iddio Signore dei secoli”.

Dentro il portico, nella parete di sinistra la scena dell’incoronazione di Carlo III di Borbone con ai due lati le statue dei due evangelisti Luca e Marco. Nella parete di destra si trova la scena dell’incoronazione di Vittorio Amedeo di Sicilia (1713) di G.B. Ragusa con ai due lati le statue dei due evangelisti Giovanni e Matteo della scuola del Gagini.

Nella parete di fronte, al centro il magnifico portale d’ingresso in pietra a vari piani nel quale si nota l’aquila a due teste dello stemma della Cattedrale. La grande porta a due ante in legno pregiato con preziosi intagli di F. Miranda è del 1432. Parete destra del portico Immediatamente sopra detto portale una nicchia contiene un prezioso mosaico di sapore Bizantino rappresentante la Madonna con Bambino benedicente circondata da angeli adoranti con in mano gli strumenti della passione. Alla destra del portale numerose lapidi ricordano varie consacrazioni della chiesa e altri avvenimenti storici. Alla sinistra del portale, con trofei di armi ed una scritta a caratteri grandi, l’omaggio del Clero a Ferdinando III di Borbone.

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Il secondo ordine del prospetto corrisponde alla parete della navata centrale. Davanti ad essa sono poste le cupolette con le caratteristiche lanterne che danno luce all’interno della navata laterale meridionale. La navata centrale è interrotta dal corpo del transetto, oltre il quale si estendono le pareti del Titulo e dell’Antitulo dell’antico tempio normanno, di epoca Gualteriana, i cui paramenti murari sono stati mantenuti. La parete del Titulo non chiude più alcun spazio interno, nella medesima si aprono tre delle quattro primitive monofore.

L'Antitulo Gualteriano e la torre angolare. L’Antitulo gualteriano mantiene all’esterno l’aspetto originario. Al grande oculo, riaperto dopo recenti restauri, seguono quattro alti archi, semi ogivali, che comprendono due ordini di monofore che danno luce al loggiato che corre all’interno della struttura. La torre angolare è l’ultimo elemento del prospetto, il suo lato meridionale nel 1574 è stato arricchito dell’orologio opera di Vincenzo Gagini.

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Il portale centrale da accesso alla navata centrale ed è stato realizzato tra il 1352 ed 1353, in stile gotico catalano, a vari piani dei quali quello più esterno chiude in alto con una edicola in cui è contenuto un bassorilievo di Maria con Bambino. La porta in bronzo a due ante di Filippo Sgarlata è stata collocate più recentemente nel 1961 e ritrae solennemente storie bibliche e avvenimenti religiosi della città. In alto sopra il portale centrale una bella bifora. A sinistra e a destra, simmetricamente, due portali più piccoli sovrastati da monofore cieche consentono l’accesso alle navate laterali. La simmetria è rispettata anche nella collocazione di alcune nicchie e decori. Due arcoponti collegano architettonicamente e funzionalmente la Cattedrale

Alla torre campanaria realizzata su quella che doveva essere una delle torri di presidio delle antiche mura punico-romane e che oggi appare inglobata nel complesso dell’Arcivescovile. Sui pilastri della balaustra antistante, realizzata nel XVIII secolo, si trovano le quattro statue che raffigurano, da sinistra verso destra, i Santi Giuseppe, Pietro, Paolo e Francesco di Paola, di G.B. Ragusa (1724-1725). Il prospetto settentrionale che guarda Via dell’Incoronazione (nord) Le cronache del tempo riportano che i Re raggiungevano la Cattedrale e la Cappella dell’Incoronazione attraverso un percorso coperto che la collegava al palazzo Reale più a monte. Durante i lavori del grande restauro della fine del XVIII sec. fu eliminato il portico che era stato realizzato nel XVI secolo da Fazio e Vincenzo Gagini. L’attuale ingresso dalla Via dell’Incoronazione è stato composto architettonicamente recuperando elementi architettonici del portico eliminato.

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Il prospetto orientale che guarda Piazza Sett’Angeli (est). Particolarmente curato il prospetto che guarda ad oriente e ciò in quanto la Cattedrale è stata edificata in posizione che guarda ad oriente, verso Gerusalemme che per tutti i Cristiani rappresenta l’origine della Luce. Il corpo più basso che si protende esternamante rispetto al prospetto, corrisponde alla parte della Cripta emergente fuori terra.

L’antistante “planum Ecclesiae”, la grande piazza dove in altri tempi si svolgevano feste popolari con luminarie, giochi d’artificio ed anche i temibili processi del tribunale dell’Inquisizione, la cui pavimentazione è stata realizzata nell’anno 2000 secondo il progetto dell’Architetto Vincenzo Gorgone, è circondato da una balaustra marmorea in pietra di Billiemi, realizzata nel 1575, arricchita più tardi da numerose ed espressive statue di padri e Dottori della Chiesa, delle Sante patrone di Palermo, dei Papi e di altri santi legati alla nostra città.

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l prospetto è dominato dalla grande cupola in stile neoclassico, testimonianza del modo di esprimere il sentimento religioso con l’evolversi del gusto architettonico nei secoli. Realizzata tra il 1781 ed il 1801 secondo il progetto di Ferdinando Fuga, si eleva nel punto di incrocio tra la navata centrale ed il transetto. Chiusa in sommità dalla lanterna finestrata sulla quale campeggia la grande Croce in ferro.

La Navata settentrionale. La prima cappella in fondo accoglie il fonte battesimale con Adamo ed Eva afflitti per la colpa commessa (Filippo e Gaetano Pennino 1801). La seconda è quella di S. Maria degli Angeli, nella quale si ammirano la Vergine Assunta e scene evangeliche del Gagini. Segue la cappella di S. Antonio da Padova. Subito dopo l’ingresso dalla Via dell’Incoronazione si trovano nell’ordine la cappella dedicata a S. Cristina, quella dell’Immacolata Concezione, quella di S. Pietro e S. Agata, ed infine quella della Madonna libera inferni, fine scultura di F. Laurana (1469). Segue il transetto dove si trova l’altare del Crocifisso con una croce di pietra d’agata del settecento con figura del Cristo mirabilmente scolpito in legno nel XIV secolo. Ai piedi della croce sono rappresentati la Madonna e Maria Maddalena di Gaspare Serpotta e il S. Giovanni di Gaspare Guercio. Nella parte alta il Padre Eterno del Quattrocchi, all’altare scene della Passione di Fazio e Vincenzo Gagini (1565) piene di movimento e di suggestività. Alle pareti laterali le statue di S. Giovanni Battista e di S. Giuda Taddeo e scene sacre a tutto rilievo della scuola del Gagini. In fondo alla navata la Cappella del Santissimo Sacramento con il monumentale Tabernacolo in lapislazzuli (1663), alla parete il monumento dell’Arcivescovo Sanseverino genuflesso in fervorosa adorazione.

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Nel Presbisterio. Si possono ammirare gli stalli dei Canonici, pregevole opera di arte catalana (1466). In fondo, dopo il baldacchino il posto riservato durante le cerimonie religiose al Re, con la scritta “prima sedes et regni caput”, quindi l’altare maggiore. Più in alto la potente scena del Cristo risorto del Gagini. Alla volta dell’abside l’affresco di Mariano Rossi (fine del sec. XVIII) che rappresenta la cacciata degli Arabi e la consegna della Cattedrale fatta dal Conte Ruggero normanno all’Arcivescovo Nicodemo, nell’altro affresco dello stesso artista è la Gloria di Maria Assunta al Cielo, cui è intitolata la Cattedrale. Alle pareti le statue di S. Giacomo Minore, S. Matteo, S. Filippo, S. Giacomo Maggiore, S. Pietro, S. Andrea, S. Giovanni Evangelista, S. Bartolomeo, S. Tommaso e S. Simone.

Nella Navata Centrale. Sono disposte: nel lato settentrionale le statue di S. Oliva, S. Agnese, S. Lucia, S. Ninfa, S. Cristina, S. Francesco, S. Lorenzo, S. Cosma, S. Benedetto e S. Girolamo; nel lato opposto S. Cristoforo, S. Caterina, S. Agata, S. Domenico, S.M. Maddalena, S. Antonio, S. Stefano, S. Damiano, S. Sebastiano, S. Agostino; ai lati del Presbiterio S. Gregorio e S. Ambrogio. Nel pilastro antistante l’ingresso dal “Planum Ecclesiae” la bella acquasantiera del Gagini. Nel pilastro antistante l’ingresso dalla Via dell’Incoronazione l’altra notevole acquasantiera di Spatafora e Ferraro. A terra, a partire dalla zona antistante la cappella di S. Francesco di P., nella navata meridionale, in direzione del transetto, si sviluppa la meridiana realizzata nel 1801 dall’astronomo Giuseppe Piazzi, costituita da una barra di ottone incastonata in una striscia di marmo che fa parte della pavimentazione. Lungo tutto il suo percorso tarsie policrome raffigurano i segni zodiacali. A mezzogiorno solare un raggio di sole attraversa un piccolo foro che si trova nella cupola antistante la stessa cappella si S. Francesco di P. andando illuminare il segno corrispondente al mese.

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Nella Navata meridionale. Contigua al corpo che ospita i sarcofaghi di Re ed Imperatori, sopradescritti, troviamo la Cappella della Madonna della Lettera, poi, subito dopo l’ingresso dal Planum Ecclesiae antistante, la Cappella di S. Ignazio col dipinto di Pietro Novelli, la cappella del Beato Geremia, la Cappella delle Sacre Reliquie con, tra altre, le urne di S. Cristina, di S. Ninfa e di S. Mamiliano il primo vescovo di Palermo. E per finire la Cappella di S. Francesco di Paola. Segue il transetto con il grande quadro dedicato all’Assunta con bassorilievi di Antonello Gagini del 1595 e col “Transito della Vergine”; in alto una grande tela di G. Velasquez, colorita ed espressiva. Nelle pareti laterali le statue di S. Mattia e di S. Paolo ed anche qui scene a tutto rilievo Gaginesche. In fondo alla navata la Cappella di S. Rosalia protettrice di Palermo. Dietro un’alta e robusta cancellata di bronzo viene custodita l’artistica urna argentea, contenente le venerate reliquie di S. Rosalia, che il 15 luglio di ogni anno, durante il Festino, viene portata solennemente in processione per le vie della città con grande partecipazione di fedeli (ed in altri tempi anche dalle Autorità). Alle pareti due grandi bassorilievi di stile neoclassico, uno rappresenta S. Rosalia che vuole fermare l’ira dell’Angelo mandato da Dio col flagello della peste a punire la città, sotto è il sarcofago che ricorda il Cardinale Alessandro Lualdi, Arcivescovo di Palermo dal 1904 al 1927, l’altro rappresenta l’urna con le reliquie della Santa in processione di ringraziamento.

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Le tombe reali. In fondo alla navata di sinistra sono raccolti quattro sarcofaghi reali in porfido, solenni ed austeri, a memoria dello splendore e della grandezza di Palermo “prima sede et regni caput”. Il primo che si incontra entrando nel tempio è quello di Federico II (morto nel 1250 – fu Imperatore di Germania e d’Italia, Re di Sicilia, Re di Gerusalemme e Imperatore del Sacro Romano Impero), poggiante su quattro leoni e sovrastato da un baldacchino anch’esso in porfido. Sul suo coperchio sono scolpiti sei tondi che rappresentano il Cristo Pantocratore, la Vergine col Bambino ed i simboli dei quattro Evangelisti. Il secondo sarcofago, del tutto simile, è quello che contiene le spoglie dell’Imperatore Enrico VI (morto nel 1197) della casa di Svezia degli Hohenstaufen (figlio di Federico I detto il Barbarossa e padre di Federico II), il quale, sposando Costanza, ultima erede degli Altavilla, diventò Re della Sicilia. Dietro, rispettivamente, il sarcofago dallo stile essenziale di Ruggero II (morto nel 1154), primo re di Sicilia, figlio del Gran Conte Ruggero della Casa Normanna degli Altavilla. Semplice e squadrato ma con un baldacchino di marmo bianco adornato di mosaici nei quali predomina il colore dell’oro, poi, quello dell’imperatrice Costanza figlia di Ruggero II (morta nel 1198) anch’esso sovrastato da baldacchino di marmo bianco adorno di mosaici dorati. Alla parete, vicino ad Enrico VI, Costanza II d’Aragona prima moglie di Federico II (morta nel 1222) in una pregevole urna di età romana con scena di caccia. Un’altra urna, vicina a Federico II, conserva le spoglie di Guglielmo (morto nel 1337) duca d’Atene, figlio di Federico II d’Aragona che vi è rappresentato giacente con l’abito domenicano. Vicino gli stemmi aragonese e svevo.

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La Cripta. Risale alla fondazione della chiesa, ha le volte a crociera, due navate separate da colonne di granito con capitelli quasi grezzi, sette absidi con sarcofaghi degli Arcivescovi: Cesare Marullo (1588), urna classica con caccia al cinghiale; Francesco D’Antiochia e Paolo Visconti (1313 e 1473), urna romana; Ottaviano Preconio (1588), sarcofago cinquecentesco; Federico D’Antiochia (1305), sarcofago medievale con Cristo benedicente e l’Annunciazione; in altro romano finemente lavorato con medaglione di spose e corteggio di Muse; Giovanni Paternò (1311), bella opera classica con guerrieri e alati geni, figura dormiente di Antonello Gagini; Pietro Tagliavia (1558) urna bizantina con Apostoli, Cristo e monogramma; Simone di Bologna (1465), quattrocentesco; Gualtiero Offamilio (Walter off Mill) (1190) il fondatore della Cattedrale.

Il Tesoro. Attravero una porticina posta nel transetto accanto alla Cappella di S. Rosalia, dopo un piccolo ambiente dove è posta una statua della Santa, si accede ad un vano nel quale si trova un ricco portale quattrocentesco e quindi si arriva alla sacrestia dei Canonici con le sue volte gotiche, si osservino i due eleganti portali ed ecco il Tesoro con Paramenti, Calici, ostensori antichi, un breviario miniato del sec. XV e la “Corona di Costanza d’Aragona” rinvenuta nel suo sepolcro.

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Palazzi del periodo normanno

Palazzo Reale

Su un’altura dell’antica Palermo (la paleanopoli di Polibio) tra il torrente Kemonia e il Papireto, verso la fine del secolo IX, sorse per oprea degli arabi di Kasr, castello degli Emiri, donde poi venne la denominazione di Cassero: via porta al Castello. Esso era circondato da mura, secondo l’uso musulmano. Due torri si elevavano alte e massicce, abitazioni per ancelle dell’Harem, le quali lavoravano tappeti e panni preziosi. Queste officine costituivano il Tiraz. I normanni nel 1072 impradonirsi della città ampliarono l’edificio e servendosi di artisti arabi e bizantini lo decorarono con sfarzo. Sotto di essi il sontuoso castello raggiunse il più alto splendore, tanto da giustificare l’iscrizione araba che si conserva nel R. Museo: “T’appresa e bacia il canto di quest’edificio e dopo averlo abbracciato contepla le cose che racchiude”. Sotto gli svevi divenne un centro quasi europeo di civiltà e di cultura. Nelle epoche susseguenti subì deformazione a tal punto che si credette che ad eccezione della Cappella, della torre Pisana, e della stanza detta di Ruggero, ancora apparata di mosaici, nulla fosse più rimasto. Recenti indagini hanno messo in luce le Prigioni politiche nell’angolo sud, la Stanza del tesoro nella torre Pisana e la Sala degli armigeri.

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Gli Angioini prima e gli Aragonesi poi privilegiarono altre sedi a scapito del castello. Il palazzo tornò a occupare un ruolo importante nella seconda metà del XVI secolo quando i viceré spagnoli lo elessero a propria residenza, procedendo di pari passo a importanti ristrutturazioni finalizzate sia alle esigenze di rappresentanza che a quelle militari di tipo difensivo, con la creazione di un sistema di bastioni. I Borbone realizzarono ulteriori sale di rappresentanza (la Sala Rossa, la Sala Gialla e la Sala Verde) e fecero ristrutturare la Sala d'Ercole, così denominata per gli affreschi dedicati alle imprese dell'eroe mitologico. A partire dal 1947, il Palazzo dei Normanni divenne la sede dell'Assemblea Regionale Siciliana. L'ala ovest (con la Porta Nuova) è stata assegnata all'Esercito Italiano, ed è sede del distretto militare. Durante gli anni sessanta fu sottoposto a profondi lavori di restauro curati da Rosario La Duca. Il Palazzo è anche la sede dell'Osservatorio astronomico di Palermo "Giuseppe S. Vaiana".

L'ingresso principale si trova in Piazza Parlamento, quello carraio e quello turistico su piazza Indipendenza, di fronte Palazzo d'Orleans, sede della presidenza della Regione siciliana.

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Oltre alla Cappella Palatina, le parti di costruzione attribuita ai normanni sono la Torre Pisana, sede della stanza del Tesoro, e la Torre della Gioaria, che ospita al piano inferiore la sala degli Armigeri e al piano superiore, il cosiddetto "Piano parlamentare", la sala dei Venti e la sala di re Ruggero decorata con mosaici di scuola bizantina raffiguranti scene di caccia. Al secondo piano del palazzo si trovano inoltre la Sala d'Ercole, attuale luogo di riunione dell'Assemblea regionale siciliana, la Sala Gialla e la Sala dei Viceré. Le sale sono collegate alla cosiddetta cripta da due scale laterali. La cripta è in realtà una chiesa di ispirazione bizantina costituita da un vano a pianta quadrata sottostante al presbiterio, suddiviso da due colonne di pietra e caratterizzato da un'ampia abside centrale e da due absidi laterali di dimensioni più contenute.

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La stanza di re Ruggero, che si trova all'interno della Torre Pisana, è anch'essa caratterizzata da una

decorazione a mosaico risalente al XII secolo. Le decorazioni dei mosaici rappresentano scene di carattere aulico e venatorio con grande dispiacere dedizione nell'esecuzione degli animali tra cui, oltre i mitologici centauri appaiono - leopardi, pavoni, cervi, cigni - sullo sfondo di una vegetazione di alberi e palme. Le rappresentazioni dai canoni sontuosi ma con accenti di rigidità, delineano la chiarissima matrice greco-bizantina dell'opera. La volta della sala risale invece al periodo successivo di Federico II, come testimoniato dalla rappresentazione dell'aquila sveva.

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La Porta Nuova, adiacente al Palazzo dei Normanni, è stata per secoli il più importante accesso a

Palermo via terra. Da essa partono il Corso Vittorio Emanuele, o Cassaro, la principale arteria cittadina, e, all'esterno, la strada verso Monreale. La Porta Nuova, originariamente voluta nel 1583 dal viceré Marcantonio Colonna per ricordare la vittoria di Carlo V sulle armate turche, subì la totale distruzione nel 1667, quando esplose un deposito di polvere da sparo. Nel 1669 l’architetto Gaspare Guercio la ricostruì integralmente e pensò di porre a coronamento dell’edificio una copertura piramidale rivestita da piastrelle policrome maiolicate con l’immagine di un’aquila ad ali spiegate. Il prospetto rivolto verso la città ricalca gli schemi classici degli antichi archi di trionfo, mentre quello esterno presenta un’architettura originale e bizzarra dominata dalla presenza spettacolare di quattro telamoni, raffiguranti i Mori sconfitti da Carlo V.

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Osservatorio astronomico di Palermo "Giuseppe S. Vaiana"

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La Cuba

La Cuba (dall'arabo Qubba, "cupola") fu costruita nel 1180 per il re Guglielmo II, al centro di un ampio parco che si chiamava Jannat al-ard ("il Giardino - o Paradiso - in terra"), il Genoardo. Il Genoardo comprendeva anche la Cuba Soprana e la Cubula, e faceva parte dei solatia o Sollazzi Regi, un circuito di splendidi palazzi della corte normanna situati intorno a Palermo. L'uso originale della Cuba era di padiglione di delizie, ossia di un luogo in cui il Re e la sua Corte potevano trascorrere ore piacevoli al fresco delle fontane e dei giardini di agrumi, riposandosi nelle ore diurne o assistendo a feste e cerimonie alla sera. La Cuba Sottana, appare oggi di proporzioni turriformi abbastanza sgraziate. La spiegazione è semplice. Era circondata da un bacino artificiale profondo quasi due metri e mezzo. L'apertura più grande, sul fronte settentrionale, si affacciava sull'acqua ad un'altezza oggi inspiegabile. Le notizie sul committente e sulla data sono esatte grazie all'epigrafe posta sul muretto d'attico dell'edificio. La parte più importante, quella sul committente, era dispersa e fu ritrovata nel XIX secolo, scavando ai piedi della Cuba, da Michele Amari, massimo studioso della Sicilia araba e normanna. La parte dell'epigrafe ritrovata dall'Amari, esposta in una sala a lato, dice cosi: "[Nel] nome di Dio clemente e misericordioso. Bada qui, fermati e mira! Vedrai l'egregia stanza dell'egregio tra i re di tutta la terra Guglielmo II re cristiano. Non v'ha castello che sia degno di lui ... Sia lode perenne a Dio. Lo mantenga ricolmo e gli dia benefici per tutta la vita". Il fatto straordinario per oggi di questa epigrafe, che dimostra la tolleranza e l'apertura della corte normanna, è la lingua: arabo in caratteri cufici. Dunque pur riferendosi ad un Re cristiano, fondatore del Duomo di Monreale e vassallo del Pontefice, l'iscrizione è in arabo. È noto che molti componenti delle varie corti normanne in Sicilia fossero arabi, celeberrimo è il caso di Idrisi, massimo geografo del suo tempo, maghrebino alla corte cristiana di Ruggero II re di Sicilia. Nei secoli successivi, la Cuba fu destinata agli usi più vari. Il lago fu prosciugato e sulle rive furono costruiti dei padiglioni, usati come lazzaretto dalla peste del 1576 al 1621. Poi fu alloggio per una compagnia di mercenari borgognoni ed infine proprietà dello Stato nel 1921. Negli anni '80 comincia il restauro che riporta alla luce le strutture del XII secolo.

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Dall'esterno, l’edificio si presenta in forma rettangolare, lungo 31,15 metri e largo 16,80. Al centro di ogni

lato sporgono quattro corpi a forma di torre. Il corpo più sporgente costituiva l'unico accesso al palazzo dalla terraferma. I muri esterni sono ornati con arcate ogivali. Nella parte inferiore si aprono alcune finestre separate da pilastrini in muratura. I muri spessi e le poche finestre erano dovuti ad esigenze climatiche, offrendo maggiore resistenza al calore del sole. Inoltre, la maggior superficie di finestre aperte era sul lato nord-orientale, perché meglio disposta a ricevere i venti freschi provenienti dal mare, temperati ed anche umidificati dalle acque del bacino circostante.

L'interno della Cuba era divisa in tre ambienti allineati e comunicanti tra loro. Al centro dell'ambiente

interno si vedono i resti di una splendida fontana in marmo, tipico elemento delle costruzioni arabe necessario per rinfrescare l'aria. La sala centrale era abbellita da muqarnas, soluzione architettonica ed ornamentale simile ad una mezza cupola.

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La Zisa

La Zisa è considerato il più splendido tra gli edifici costruiti dai sovrani all'interno dell'immenso parco che si estendeva nella Conca d'Oro. Questi padiglioni, isolati tra le acque ed i boschi, costituivano luoghi di diletto e venivano visitati soprattutto durante le cacce che si svolgevano nella riserva. Costruito secondo la tradizione ereditata dai sovrani arabi, la Zisa venne iniziato da Guglielmo I e terminato da Guglielmo II tra il 1164 ed il 1180. Modificato soprattutto nel XVII secolo e parzialmente ricostruito dopo il crollo del 1971 che ha interessato l'ala destra, l'edificio può solo dare una pallida idea dello splendore originario.

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La Zisa è un edificio dalla possente mole parallelepipeda diviso in tre piani. Il coronamento a merli è di epoca moderna. Sottili cornici marcapiano e ed archi a ghiera multipla che circondano le finestre costituiscono la decorazione architettonica. Sul lato frontale il piano terreno è aperto da un portico il cui arco centrale più alto immette nella sala della fontana. Di fronte si trova una peschiera.

Dai lati corti sporgono due torrette che costituiscono, insieme alla sala della fontana, i principali

elementi dell'ingegnoso sistema di canalizzazione dell'aria che sfruttava i venti dominanti e la frescura generata dall'acqua per portare refrigerio nei locali interni.

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Il lato posteriore, rivolto verso i monti ad Ovest, non presenta il portico ma da su questo lato si apriva

l'ampio salone, un tempo aperto, posto nella sezione centrale del terzo piano. Questo locale è ora coperto da una volta Seicentesca.

Il portico è coperto da ampie volte a crociera: in origine proseguiva per circa 40 metri verso N verso il

luogo in cui si trovava una cappella.

Di fronte all'arco centrale si apre la celebre sala della fontana, alta sino al secondo piano e decorata

da nicchie sontuosamente scolpite a mugarnas.

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La parte inferiore è decorata con lastre marmoree intarsiate e delimitate da colonnine angolari dai

delicati capitelli scolpiti.

Al centro si conserva un mosaico decorato con elementi iconografici di derivazione iranica.

L'acqua fuoriusciva da una nicchia nel muro e dopo aver percorso una cascatella e varie vasche, si versava nella peschiera. Le aperture delle nicchie portavano l'aria rinfrescata dall'acqua sino ai piani superiori.

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S. Giovanni dei Lebbrosi

Mancando elementi documentari certi, gli storici in gran parte accettano la tradizione che data la costruzione della chiesa al 1071, durante l'assedio di Roberto il Guiscardo e del fratello Ruggero alla città di Palermo. La chiesa sarebbe pertanto la prima chiesa latina della città e prototipo per altre costruzioni. Dedicata a S. Giovanni, prende il nome da un lebbrosario che venne annesso alla chiesa. Tenuta dall'ordine Teutonico fino al XIV secolo, divenne in seguito proprietà dell'abazia della Magione.

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La facciata della chiesa, che si caratterizza per la secca giustapposizione di volumi ben definiti, è

preceduta da una torre, la cui base costituisce l'atrio di accesso, affiancato da una struttura che contiene la scala di accesso alla torre stessa. La parte superiore della torre è opera di ricostruzione arbitraria. I fianchi non presentano scansioni architettoniche e sono aperti da finestre delimitate da una ghiera dal rincasso poco profondo.

Più movimentata è la parte absidale. Il transetto non è eccedente in pianta ed è costituito da tre volumi parallelepipedi di cui quello centrale a pianta quadrata sorregge la cupola in stile moresco. I due laterali costituiscono i bracci ed hanno una pianta rettangolare sviluppata in senso longitudinale. Completano l'insieme le tre absidi.

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L'interno è a tre navate su pilastri ottagonali che sorreggono senza mediazioni gli archi longitudinali.

Le navate laterali sono molto più strette di quella centrale. Possenti pilastri composti sorreggono gli

archi di accesso al presbiterio.

Il presbiterio è sopraelevato rispetto alla navata ed è coperto da una cupola su pennacchi gradonati.

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Le colonne rincassate ai lati dell'abside principale hanno dei bei capitelli di stile classico ma probabilmente opera di maestranze arabe.