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Larte degli Etruschi di Mauro Cristofani Storia dellarte Einaudi 1

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L�arte degli Etruschi

di Mauro Cristofani

Storia dell�arte Einaudi 1

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Edizione di riferimento:Mauro Cristofani, L�arte degli Etruschi. Produzione econsumo, Einaudi, Torino 1978

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Indice

Storia dell�arte Einaudi 3

Introduzione 5

I. Storia di un problema 111. L�antichità 122. Il Rinascimento 153. Illuminismo e neoclassicismo 204. L�Ottocento 285. Il periodo fra le due guerre 336. Orientamenti recenti 38

II. Il retaggio protostorico e l�influenzadell�arte orientale 501. L�età protostorica 502. Gli inizi dell�artigianato artistico 553. L�artigianato artistico nel VII secolo a. C.: i �beni di prestigio� 64

III. Il contatto con il mondo greco e l�organizzazione delle maestranze artistiche 811. Il modello dei bánausoi greci 862. I beni di lusso 933. L�attività artistica e l�edilizia urbana 964. L�arte funeraria 102

IV. Maestranze greche e maestranze locali 1151. La ceramografia e la grande pittura 1262. L�attività edilizia nei centri urbani 1363. I beni suntuari �commerciabili� 1524. Breve excursus sullo stile 162

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V. Arte rurale e arte urbana 1721. Esperienze artistiche di carattere �rurale�: i canopi e la plastica in argilla 1792. La plastica votiva in bronzo 1853. La �residenza� di Poggio Civitate: la cultura figurativa di un dinasta dell�area interna 1904. La scultura nei distretti del Chiana, dell�Arno e a Felsina: committenza urbana e committenza rurale 200

VI. Il problema della recezione dell�arte classica 2121. I grandi cicli decorativi del tardo arcaismo 2152. L�arte classica nel distretto tiberino 2243. L�artigianato artistico nel iv secolo a. C. 2314. La pittura funeraria nel iv secolo a. C. 2425. Problemi della scultura: l�influenza di Taranto e l�area medio-italica 253

VII. L�Ellenismo 268Roma e l�Etruria: il fenomeno della �bipolarità� nella coroplastica 274L�area meridionale: Tarquinia 279L�area settentrionale 287

Indice

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Introduzione

Non mancano trattazioni, anche recenti, sulle mani-festazioni figurative della civiltà etrusca e potrebbe forseapparire superfluo riproporre a un pubblico piú ampiodegli specialisti una materia che la divulgazione, a diver-si livelli, ha alle volte messo a disposizione. È anchevero, però, che il tema specifico della produzione arti-stica ha assunto oggi, nell�archeologia, un posto diver-so, perdendo parte di quell�aura classica (o, nel casodegli Etruschi, anticlassica) che gli era propria, ma gua-dagnando molto in quella che è la sua effettiva dimen-sione storica.

D�altra parte un libro del genere può avere, semprein un momento come questo, anche una funzione sot-tilmente polemica nei confronti di tendenze recente-mente emerse che vorrebbero liquidare tutta la proble-matica che è dietro l�oggetto artistico solo perché essa èil prodotto di una cultura �borghese�. Privilegiare enfa-ticamente il settore della cultura materiale (al quale, fral�altro, andrebbero applicati quei metodi di compute-rizzazione che in Italia sono ancora in disuso) ci sembrainfatti compiere lo stesso errore di quella generazioneche ci ha preceduto, la quale gettava i �cocci� per con-servare le statue o gli affreschi. Questo atteggiamentosembra comunque sterile, in specie a coloro che sonostati educati a conservare, classificare e studiare gli unie gli altri, tenendo presente quale era il ruolo che ogni

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manufatto svolgeva nel suo contesto d�origine e qualierano i rapporti che lo legavano agli altri. E sembraanche �rétro� se si pensa che diversi archeologi italiani,dagli anni �50, hanno compiuto ricerche e studi conquegli stessi criteri che oggi passano per �nuovi�.

Priva di strutture adeguate, ma priva anche di pro-grammi organici, la ricerca archeologica italiana neldopoguerra si è vista privare, anche nel settore etrusco,di molti manufatti e oggetti che hanno costituito unamerce di sempre crescente richiamo; le antichità hannocosí raggiunto, mediante il commercio clandestino o legrandi aste svizzere e inglesi, i musei stranieri, ma, piúspesso, le collezioni di privati alla ricerca di sicuri inve-stimenti. Solo da poco tempo sono stati avviati pro-grammi di ricerca coordinati, ma alcune esperienze feli-ci, iniziate proprio negli anni �50, rimangono fatti iso-lati se si pensa che il resto delle scoperte è in parte affi-dato alla casualità del rinvenimento fortuito o alla feb-brile e disordinata attività di scavo che �moderni� meto-di d�indagine hanno proposto negli anni �60 proprio sulterritorio etrusco e in particolare su quell�impareggiabi-le patrimonio che sono le tombe dipinte di Tarquinia.

Per la conoscenza dell�arte e della civiltà etrusca man-cano poi quegli strumenti essenziali che sono i musei. Sela funzione del museo deve essere quella di informarevisivamente il pubblico, oggetti e documentazione sus-sidiaria dovrebbero essere complementari: esclusi pochimusei di territorio, se andiamo a constatare la situazio-ne dei piú importanti istituti museali dedicati alla civiltàetrusca il quadro è estremamente scoraggiante. La siste-mazione del Museo di Villa Giulia, a Roma, progettatae realizzata negli anni �50, sotto l�influenza di un malin-teso crocianesimo, svolge ancora la sua funzione antie-ducativa. Il Museo Topografico dell�Etruria, a Firenze,è ormai inagibile dall�alluvione del 1966; escluso dainormali, distratti percorsi turistici, sarà probabilmente

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destinato a rimanere chiuso fino a quando mancherà lavolontà politica di riorganizzarlo. Si comprende quindila proliferazione di musei �minori� in Toscana e nelLazio, che obbedisce a una malintesa concezione deldecentramento culturale, improduttiva quando mancaun istituto centrale di riferimento e quando mancanoprogrammi di coordinamento che vengano fuori daapprofondite analisi di politica culturale: i risultati sonosolo la frantumazione del sapere e la provincializzazio-ne della cultura.

Di contro a questa situazione, cosí precaria, la ricer-ca scientifica in Italia, sempre nel versante etrusco, haavuto invece un processo di accelerazione notevolissimo,sí che proporre il problema della produzione artistica inuna veste aggiornata, uscendo fuori dalla cittadella trop-po chiusa della scienza o della didattica universitaria,può contribuire anche a una nuova presa di coscienza suun�area di cultura che rimane fondamentale nella storiadell�Italia antica.

I fenomeni espressivi del mondo etrusco vanno ormaiinseriti in una dinamica storica piú ampia, che si con-creta nel processo di acculturazione di un ambiente�nativo� nei confronti di un ambiente �esterno�, quellogreco. In un periodo come il nostro, nel quale la cultu-ra occidentale interviene con i propri modelli sulle civiltà�tradizionali�, la trasformazione della civiltà etrusca dallostadio culturale dell�età del ferro a quello dell�età �urba-na� fornisce un esempio: è un tipico caso di �plasticità�,di adattamento, nei confronti di un�altra cultura, favo-rito dalla rapida ascesa di gruppi egemoni i quali, purconservando la propria diversità etnica, vedono ilmondo greco come fornitore di modelli di prestigio. Ilfenomeno artistico, considerato nelle sue implicazionimateriali di lavoro e di consumo, è forse quello in cui,in modo piú trasparente, viene a rispecchiarsi in Etru-ria questo processo: il suo fine ultimo, a livello privato

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come pubblico, rimane fondamentalmente ostentatorio,legato com�è all�ideologia del ceto dominante. Si spiegacosí come la formazione e lo sviluppo del linguaggioartistico vivano, a seconda del tempo e dello spazio, sta-gioni diverse per contenuti e qualità: solo quando laproduzione artistica si qualificherà come una delle com-ponenti attive nella divisione del lavoro delle città-stato,la cultura figurativa del mondo greco sarà il modello diriferimento. Con interferenze dirette � le stesse mae-stranze � l�arte greca coinvolgerà l�Etruria dando inizioa un meccanismo che troverà battute d�arresto non appe-na motivi interni al processo produttivo impediranno lacontinuità del contatto.

Nel chiudere queste brevi parole d�introduzione auno scritto che nasce dalle personali esperienze di stu-dio di quest�ultimo decennio, studio che ha potuto pro-cedere grazie alla disponibilità al dibattito di maestri,amici e colleghi, credo opportuno ricordare con gratitu-dine i molti che hanno coadiuvato in questo modo il pro-gresso delle mie ricerche: Massimo Pallottino, anzitut-to, e l�indimenticabile Ranuccio Bianchi Bandinelli equindi Giovannangelo Camporeale, Filippo Coarelli,Giovanni Colonna, Antonio Giuliano, Adriano Mag-giani, Giovanni Previtali, Mario Torelli e Fausto Zevi.Con mia moglie, Marina Martelli, il dialogo è statoovviamente piú serrato e debbo a lei se questo scritto haguadagnato in chiarezza e dottrina.

Firenze, estate 1977.

Riprendere in mano un libro che risale a sette anni fa signi-fica misurarsi con la propria esperienza di studio. Dopo aver-lo riletto mi sono convinto che il suo carattere saggistico, alie-

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no da pretese sistematiche, permette di lasciarne intatta lastruttura.

Le novità dell�assunto metodologico di allora, rilevate inparticolare nelle recensioni di colleghi francesi e americani,sono nel frattempo entrate nella comune coscienza e in questianni gli indirizzi di ricerca hanno approfondito alcuni temi che,per esigenze di spazio, avevo potuto solo impostare. Fra que-sti assai sviluppata è stata l�interpretazione iconologica degliaffreschi funerari di Tarquinia. Se il «fascino del programma»ha comportato da un lato una proficua revisione dei monu-menti del tardo arcaismo (B. d�Agostino), ha provocato dal-l�altro funambolismi esegetici sulla pittura tardo-classica chelasciano perplessi («Dialoghi di archeologia», ii, 1983). Piú ric-chi di conseguenze appaiono invece, per le solide premesse filo-logiche, gli studi incentrati sul problema del «contatto» framaestranze greche e locali: i lavori sull�esperienza geometricae orientalizzante o sugli artisti ionici in Etruria � mi riferiscoin particolare a quelli di H. Helmerijk, H. P. Isler, M. Mar-telli e M. A. Rizzo � renderebbero forse necessaria qualchemodifica al nostro testo. Un tema che ha registrato una seriedi contraccolpi nella letteratura è poi quello della ricezione del-l�arte greca del v secolo a. C., ribattezzata per l�occasione«near-classical art» (Q. Maule) o compresa piú genericamentein un «Interimsperiode» (T. Dohrn): si tratta di etichette solodescrittive se non sono calate nello spazio o nel vivo di una pro-duttività figurativa la quale, fra 450 e 350 a. C., privilegia l�a-rea interna dell�Etruria. Una via da percorrere, che a tutt�og-gi sembra intentata, è quella di cercarne le premesse nelleesperienze artistiche della Padania, finora sottovalutate, unicaarea in cui non si è verificata, nel v secolo a. C., una fratturacon il mondo greco e dalla quale, ad esempio, sono giunti nel-l�Etruria interna capolavori e riflessi della ceramografia o dellabronzistica classica. D�altra parte, se all�archeologo mancanogli strumenti critici propri della lettura stilistica e se si assu-mono come griglia cronologica altri tipi di evidenze concomi-tanti, assai meno significative, si cade in ricostruzioni avven-

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turose: tali infortuni sono toccati, ancora una volta, alle pit-ture tarquiniesi, sia a quelle del v secolo a. C. (C. Weber � Leh-mann), sia, e ancor piú, a quelle di età ellenistica. Combinan-do evidenze diverse come la disposizione interna delle tombee l�evoluzione tipologica dei sarcofagi, G. Colonna ha con-centrato nel iii secolo a. C. tutta la pittura medio e tardo-elle-nistica: una tale inversione di rotta coinvolge gli stessi proto-tipi pergameni o alessandrini di partenza, con tutti gli scom-pensi immaginabili sul piano della storia dell�arte antica.

Dopo anni trascorsi nell�elaborare le piú raffinate tipologieo nel forzare i dati, affascinati da ricostruzioni antiquarie,sembra piú che mai necessario riappropriarsi degli strumentitradizionali di lettura dello specifico figurativo, con la consa-pevolezza che le serie stilistiche hanno una vita autonoma eche, comunque, ogni interpretazione complessiva dei fatti arti-stici deve passare attraverso un rigoroso stadio filologico pre-liminare.

Roma, autunno 1984.

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Capitolo primo

Storia di un problema

Sarebbe fuor di luogo in un libro dedicato alle mani-festazioni figurative della civiltà etrusca ripercorrere nelsuo complesso la storia di un �mito� che ha subito nellacultura, dall�antichità classica ai nostri giorni, le piúdiverse interpretazioni, né d�altronde, in un compito delgenere, saremmo sorretti da una letteratura omogenea.Quella sorta di «utopische Vergangenheit» che è l�ar-cheologia � per riprendere il titolo di una recente, feli-ce opera1 � ha svolto anche nel versante etrusco un suospecifico ruolo: quanto, nelle espressioni figurative delpassato, veniva attribuito agli Etruschi ha avuto una suaimportanza nella storia del gusto, mentre il problemadella �maniera� o dello �stile� etrusco ha costituito unnodo teorico non di secondo ordine nella storia della cri-tica d�arte. La graduale consapevolezza di trovarsi difronte a manifestazioni figurative �diverse� da quelleclassiche era già avvertita infatti prima che Luigi Lanzi,alla fine del Settecento, tentasse di riempire in modo piúcompiuto il quadro molto parziale nel quale Winckel-mann aveva inserito le opere che egli riteneva di arteetrusca. D�altro canto conosciamo piú momenti, nellastoria del gusto, in cui si assiste a un revival etrusco.

I tyrrhena sigilla � le statuette etrusche � formano,assieme alle gemme, all�avorio, al marmo, all�argento ealle vesti preziose, quelle ricchezze, superflue secondoOrazio (Epistulae II 2.180 sg.), che nella Roma augustea

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erano parte integrante dei �tesori� di un preciso cetosociale. Nel Rinascimento fiorentino il collezionismo el�antiquaria favoriscono il gusto per l�imitazione delleantichità etrusche: da una parte Antonio Pollaiolo dipin-ge nella Villa della Gallina, sui colli fiorentini, i Nudidanzanti che richiamano la ceramica a figure rosse2 ; dal-l�altra, poco dopo, Andrea Sansovino plasma per la cittàdi Montepulciano la statua di un Porsenna in terracot-ta3. Assai piú tardi, nel 1834, Pelagio Palagi, nel momen-to della �scoperta� della pittura etrusca di Tarquinia,concepisce un Gabinetto etrusco per il Castello di Rac-conigi la cui decorazione mescola copie esatte degli affre-schi della tomba del Barone, da poco rinvenuta, con ele-menti della ceramica figurata che proprio in quel tempo,con buona pace degli studiosi toscani, veniva corretta-mente attribuita in sede scientifica alla Grecia anzichéall�Etruria4.

Temi di tal genere esulano comunque dai nostriscopi immediati dal momento che in questa sede ciinteressa piuttosto ripercorrere, pur se nelle loro lineeessenziali5, le tappe di un problema di storia della cri-tica d�arte che serviranno a chiarire anche l�imposta-zione e la natura di quanto diremo nelle parti di que-sto libro che seguiranno.

1. L�antichità.

Un passo del libro XII dell�Institutio oratoria di Quin-tiliano, vissuto in età flavia, contiene, in un piú ampiocontesto dedicato alle arti figurative della Grecia clas-sica, alcune osservazioni sull�arte etrusca:

L�orazione, come risultato della retorica e dell�operadell�oratore, ci si presenta, come dimostrerò, in moltepliciaspetti e in tutti questi convivono l�arte e l�artista che pre-

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sentano comunque differenze fra loro: e non solo nell�a-spetto formale, come accade per una statua che è diversada un�altra, o un quadro da un altro, o un fatto da un altro,ma anche nello stile, come accade per le statue greche a con-fronto con quelle etrusche o per l�eloquenza attica a con-fronto con quella asiatica6.

C�è la piena consapevolezza in Quintiliano, o, piúprobabilmente, nella sua fonte, di una sostanziale dif-ferenza stilistica fra la plastica greca e quella etrusca.Quale essa sia è detto poco dopo, quando si stabili-sce una sorta di �scala di durezze� a proposito dellostile di alcuni scultori greci della prima metà del vsecolo a. C.:

Callon ed Hegesias crearono statue piú rigide, assai vici-ne a quelle etrusche, Calamide già meno rigide, ancora piúmolli delle precedenti Mirone7.

Secondo la fonte tardo-ellenistica di Quintiliano,ripresa precedentemente anche da Cicerone (BrutusXVIII 70), che non fa esplicito riferimento alla scultu-ra etrusca, si assisteva nella storia della plastica greca aun graduale avvicinamento alla realtà naturale che cul-minava nell�opera di Policleto8. Le �durezze� dello �stile�etrusco venivano pertanto a essere una sorta di pendantalle asprezze formali dei maestri dello �stile severo�,incolpati anch�essi di mancanza di ritmo e di scioltezza.Non diverso sembra il giudizio che formula Strabonesull�arte degli Etruschi, rivelando anch�egli la stessaeducazione di stampo classicistico che doveva aver rice-vuto a Roma nell�età tardo-repubblicana:

I muri dei templi egizi presentano grandi raffigurazionia basso rilievo assai simili a quelle etrusche e a quellegreco-arcaiche9.

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Non è improbabile che le statue e i rilievi sui quali siformò il giudizio dei Romani di età imperiale su uno�stile� etrusco fossero di epoca assai antica. L�Apolloetrusco visto da Plinio il Vecchio nella Biblioteca deltempio di Augusto, che non si sa se è «piú mirabile peril colore del bronzo o per la bellezza» (Naturalis historiaXXXIV 43), le statue etrusche sparse qua e là per ilmondo rappresentanti divinità (XXXIV 34), lo stessosimulacro di Giove Capitolino, visibile nel massimo tem-pio di Roma fino all�incendio dell�83 a. C. e l�Ercole fit-tile citato da Marziale (XIV 178), ambedue opere diVulca, eseguite nel vi secolo a. C., erano immagini diculto rimaste per piú secoli esposte alla venerazione e,come tali, conservavano ovviamente i caratteri stilisticidell�epoca in cui erano state create. Le statue di Vulcavisibili a Roma, delle quali Varrone aveva tramandatol�antica origine etrusca, erano quindi opere di cui si eraperduta l�effettiva collocazione cronologica e pertantoper i teorici romani, che vivevano in piena atmosferaclassicistica, lo �stile� etrusco diveniva quello delle sta-tue di culto o degli affreschi che, una volta staccati daitempli, erano tagliati e conservati come quadretti10.

Mentre lo �stile� etrusco rappresentava un certo ter-mine di riferimento, non troviamo mai in questi scrittiun richiamo altrettanto preciso a uno �stile� romano. ARoma, infatti, le commissioni venivano affidate neitempi piú antichi ad artisti etruschi o italioti e le imma-gini delle divinità erano spesso bottino di guerra; le sta-tue onorarie, che le fonti citano frequentemente, riferi-te a un lungo lasso di tempo, dall�età regia in poi, nonvengono mai descritte nel loro aspetto formale. L�unicocenno a un�arte nazionale appare in un discorso di Cato-ne il Vecchio (195 a. C.) dove gli dèi di argilla romanisono contrapposti alle ricche statue di Siracusa, Atenee Corinto che cominciavano a essere importate nellacittà11. Un vero e proprio �gusto� cominciò a formarsi

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solo nell�inoltrato ii secolo a. C., sia attraverso la circo-lazione dei prodotti dell�artigianato artistico attico, siaattraverso le scuole di artisti pergameni o attici trasfe-ritisi in Italia: l�atteggiamento critico, mutuato dalla let-teratura ellenistica, risentiva pertanto dei pregiudiziclassicistici della scuola stoica12. Cosí il confronto ope-rato da Strabone fra l�arte egizia, quella etrusca e quel-la greca piú antica diveniva il frutto di un�evidenteincomprensione per un mondo figurativo di �primitivi�:in un ambiente in cui dominava un classicismo di manie-ra, alimentato da una produzione artistica commercia-lizzata che aveva livellato il gusto della committenza, lacomprensione di monumenti cosí diversi stilisticamen-te non poteva oltrepassare i limiti di una curiosità deltutto esteriore.

2. Il Rinascimento.

e puossi non senza ragione pensare ch�ella [la scultura] siaforse piú antica appresso a� Toscani, come testifica il nostroLion Battista Alberti, e ne rende assai buona chiarezza lamaravigliosa sepoltura di Porsena a Chiusi, dove non èmolto tempo che si è trovato sotto terra fra le mura delLaberinto, alcune tegole di terra cotta, dentrovi figure dimezzo rilievo, tanto eccellenti e di sí bella maniera che facil-mente si può conoscere l�arte non essere cominciata apun-to in quel tempo, anzi per la perfezzione di que� lavori,esser molto piú vicina al colmo che al principio [...]. Vede-si ancora per le statue ritrovate a Viterbo nel principio delpontificato di Alessandro VI la scultura essere stata in pre-gio e non piccola perfezzione in Toscana; e come che e� nonsi sappia apunto il tempo che elle furono fatte, pure, edalla maniera delle figure e dal modo delle sepolture e dellefabriche, non meno che dalle inscrizzioni di quelle letteretoscane, si può verosimilmente conietturare che le sono

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antichissime e fatte ne� tempi che le cose di qua erano inbuono e grande stato13.

Questo passo del Vasari illustra significativamentequale fosse, alla metà del Cinquecento in Toscana, e inparticolare a Firenze, l�atteggiamento nei confronti dellascultura etrusca. Il sepolcro di Porsenna, di cui Plinio ilVecchio (Naturalis historia XXXVI 91-93) riportava ladescrizione da un�opera di Varrone, aveva già costitui-to un esempio di perizia costruttiva e un motivo di riva-lutazione dell�antica architettura toscana per Leon Bat-tista Alberti e per il Filarete14; Vasari ne propone qui l�i-dentificazione ricorrendo probabilmente a uno degli ipo-gei a piú camere, con tegole iscritte � tipo molto diffu-so a Chiusi in età ellenistica � che era stato rinvenutoai suoi tempi. Anche l�attenzione rivolta a un rilievo,presumibilmente un�urna cineraria, non è nuova, se undisegno di Francesco di Giorgio, eseguito fra il 1491 eil 1495, riproduce un monumento di questo genere sco-perto pure a Chiusi15. Poco dopo, nel 1507, la notizia diun ipogeo rinvenuto a Castellina in Chianti fece il girodegli ambienti toscani e Leonardo ne rielaborò plani-metria e alzato per un progetto di un mausoleo a pian-ta centrale16.

Il riconoscimento di una specifica �maniera etrusca�trova però una conferma nella scoperta, avvenuta il 15novembre 1553, della Chimera di Arezzo, opera che ilVasari contrappone alla scultura greca, anticipando nelcaso specifico un problema critico proprio del nostrosecolo17. Il passato �etrusco� della Toscana, e in partico-lare di Arezzo, dove i rinvenimenti di ceramiche anti-che erano molto frequenti (sí che lo stesso nonno delVasari, Giorgio, di professione vasaio, ne aveva donatia Lorenzo il Magnifico)18, veniva ormai a costituire nellavita culturale della Firenze di Cosimo I un adeguato sup-porto ideologico alla restaurazione di un nuovo �regno

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d�Etruria�. Non a caso lo stesso dibattito sulla linguaetrusca, preliminare alle questioni relative alla �linguatoscana�, trovava in Pier Francesco Giambullari un acce-so interlocutore: nel Gello (1546), dedicato allo stessoCosimo, i Latini venivano accusati di aver tolto agliEtruschi-Toscani molti «caratteri, rivolgendone parte alrovescio» (con evidente cognizione della direzione sini-strorsa della scrittura etrusca rispetto alla latina). Neconseguiva cosí una vera e propria rivalutazione delle«nascose antichità» e delle «perdute memorie di que�tanti nostri passati che avanti il nome romano tantisecoli tennero Italia».

D�altra parte una piú approfondita conoscenza diquanto poteva essere archeologicamente identificatocome �etrusco� veniva affiorando dopo un secolo di ricer-che umanistiche: da quando, cioè, la scoperta di testi let-terari che già nell�antichità ponevano il �problema� �dalle Storie di Erodoto alle Antichità romane di Dionisiodi Alicarnasso � aveva favorito una vera e propria con-trapposizione fra Etruschi e Romani19. Per espressa men-zione del Vasari, Donatello ci appare il primo animato-re delle collezioni di antichità medicee: la casa di Cosi-mo il Vecchio era piena di manoscritti, di vasi niellati,gemme, lapidi, monumenti antichi che egli aveva acqui-stato da ogni parte20. L�interesse per le antichità, cheaccomunò tutta la famiglia, da Giovanni a Piero fino alfiglio di questi, Lorenzo il Magnifico, veniva accresciu-to dall�assidua frequentazione di artisti, nonché da quelBertoldo, tipico rappresentante di una cultura artisticaformatasi solo su �oggetti di museo�, che si occupavadelle famose collezioni custodite in via Larga: la risco-perta dell�antico significava acquisizione di monumen-ti, che provenivano non solo da Roma ma anche dal-l�Oriente (il caso di Niccolò Niccoli, morto nel 1437,può essere da questo punto di vista paradigmatico), o di

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manoscritti di testi classici e veniva ora a confondersi colmecenatismo21.

Nell�ambito delle raccolte dei Medici è stato finoraricostruito filologicamente solo il �tesoro� di gemme e divasi in pietra dura22, di quegli oggetti, cioè, che costi-tuivano per il loro intrinseco prestigio il vanto della col-lezione. Non mancano tuttavia notizie di antichità etru-sche donate al Magnifico: una statua da Pistoia coniscrizione; un�urna in terracotta, inviata da Siena, sullaquale un�iscrizione � certo per un�interpretazione dicomodo � riferiva di contenere i resti di Porsenna; vasi,da quelli aretini offerti da Giorgio Vasari fino a unospedito da Venezia dal Poliziano, proveniente diretta-mente dalla Grecia23.

Erano gli stessi umanisti ora, nelle diverse comunitàcittadine, che inviavano a Firenze le antichità scopertefortuitamente, essendo mutato radicalmente quell�at-teggiamento di religioso rispetto verso i monumentifunerari antichi che nel Medioevo, una volta venuti allaluce, spesso venivano destinati ad accogliere reliquie di(supposti) santi24.

La dispersione della collezione dei Medici nel 1494non dovette però mutare l�interesse dei loro successo-ri, che Benedetto Varchi definisce veri e propri mania-ci di «anticaglie». La posizione di Cosimo I nei con-fronti delle antichità è in questo senso significativa.L�hobby per il restauro dei bronzetti antichi che gliattribuisce il Cellini (Vita II 87), l�acquisizione deiprestigiosi bronzi scoperti ad Arezzo � la Minerva nel1552 e la Chimera nel 1553 �, o dell�Arringatore, sco-perto nel 1566 presso il lago Trasimeno e pervenutoavventurosamente nella collezione25, il viaggio com-piuto a Roma fra il 1560 e il 1561 anche per sceglieredelle antichità, gli stessi inventari di oggetti antichi neiquali sono compresi bronzetti e ceramiche inequivo-

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cabilmente etruschi26, fanno di Cosimo il vero inizia-tore delle collezioni etrusche del ricostituito Museomediceo, in un periodo di vivo interesse per le anti-chità che portava, ad esempio, un Battista Franco alavorare imitando l�antico nella manifattura ceramicadi Urbania27.

La successiva integrazione delle collezioni non dovet-te certamente interrompersi, anche se il revival etruscosembra attutirsi nel xvii secolo. Nell�ideologia grandu-cale, comunque, il rapporto con il mondo etrusco siintensificò ulteriormente. In senso nettamente corti-giano va infatti interpretato il De Etruria regali, operacommissionata all�umanista scozzese Thomas Dem-pster, professore all�Università di Pisa fra il 1616 e il1619, pubblicata solo un secolo dopo, nel 1723-24.Dedicati a Cosimo II, i sette libri di questo monumen-to dell�erudizione tardo-umanistica ripercorrevano lastoria degli Etruschi utilizzando tutte le fonti scritte adisposizione, antiche e rinascimentali, concludendosicon un approfondito esame delle pretese origini �clas-siche� della famiglia. Di contro a queste il Dempster,confrontando il termine meddix (magistrato) con ilnome della famiglia, reinseriva la casata in un contesto�etrusco�28.

I motivi per i quali l�opera non fu pubblicata vannoprobabilmente ricercati nella vita avventurosa del dottoscozzese, che fu quasi obbligato a trasferirsi da Pisa aBologna nel 1619; il manoscritto venne poi in mano delletterato fiorentino Anton Maria Salvini (1653-1729) e,venduto al bibliofilo inglese Thomas Coke, fu edito acura di Filippo Buonarroti. Erano ormai maturi i tempiper un nuovo revival etrusco e l�opera di Dempster for-niva un ricco materiale di discussione all��etruscheria�nascente29.

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3. Illuminismo e neoclassicismo.

L�Italia nel 1700 era occupata dalle favole di Annio30; nonsi leggeva l�etrusco; poco sapevasi di greco, e latino antico;l�età de� monumenti non conoscevasi; la Peripatetica avevaguasto il criterio di ogni genere di lettere: com�era possibiletrovar tutto in quei primi anni? Noi che abbiamo tanto piúnumero di assiomi certi, e tanto miglior criterio, frutto delsecolo in cui viviamo; noi dobbiamo profittare di questi lumi,ed essere sicuri che il secolo ci farà giustizia.

Questa professione di fede illuministica e di fiducianei risultati raggiunti è contenuta in una lettera cheLuigi Lanzi inviò allo studioso perugino Giovan Batti-sta Vermiglioli il 9 aprile 1800.

Il successo degli studi etruscologici del Lanzi coro-nava un�esistenza condotta a diretto contatto con imonumenti, sorretta da un metodo rigoroso, che noncercò «lo specioso, il nuovo, il mirabile, che pasce inu-tilmente la vanità di certi ingegni superficiali, de� qualine� paesi etruschi resta ancora qualche seme» � si trat-ta di parole del Lanzi contenute nella stessa lettera.Questa totale condanna degli studi etruscologici con-dotti in Toscana nel xviii secolo può oggi rappresenta-re il segno di una definitiva presa di coscienza del meto-do scientifico contro l�erudizione dilettantesca che carat-terizzò il periodo della cosiddetta �etruscheria�. Meto-do scientifico che il Lanzi acquisí, per quanto concernelo studio dei monumenti figurati, dalla lezione delWinckelmann ma che comportò anche un definitivodistacco dall�etruscheria e un ulteriore approfondimen-to di alcuni temi.

Molte questioni e con gran calore si sono agitate in pro-posito dalla scuola etrusca; questioni che in certi libri pajo-no risse.

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Cosí comincia il paragrafo dedicato allo �stile etrusco�delle Notizie preliminari circa la scoltura degli antichi risa-lenti al 178531, non senza una lieve punta d�ironia neiconfronti dei toni accesi che caratterizzarono il dibatti-to sull�arte etrusca poco dopo la metà del Settecento. Ilprogressivo interesse per il mondo etrusco che siinstaurò in Toscana dopo l�edizione del De Etruria rega-li di Thomas Dempster comportò infatti un susseguirsidi studi sulle antichità locali che indicano un precisoindirizzo della cultura del tempo: individuazione e riva-lutazione di documenti pertinenti a una civiltà autocto-na, continuata idealmente nell�età medievale e rinasci-mentale, che prescindeva forse volutamente dal momen-to �romano�. Il tono �rissoso� cui si riferisce Lanzi è pro-babilmente da ravvisare in quelle tendenze degli studiche privilegiavano molte manifestazioni culturali dell�I-talia preromana in termini di priorità cronologica rispet-to ai rimanenti paesi europei. La prima parte della Sto-ria della letteratura italiana del Tiraboschi (1772) puòservire oggi come summa di quanto si veniva elaboran-do in quel tempo sugli Etruschi, ma la mancanza distudi sull�erudizione settecentesca non ci permette diisolare tendenze specifiche sul problema dell�arte32. Lestesse ricerche sulla storia dell�arte italiana non aveva-no a quel tempo indirizzi molto diversi; Scipione Maf-fei o Giovanni Lami, ambedue interessati ai documen-ti artistici sia preromani sia moderni, scelgono catego-rie di giudizio per l�arte medievale italiana lontane daqualsiasi atteggiamento critico e non oltrepassano, anchein questo settore, lo stadio della raccolta di dati e difonti.

È comunque probabile che il risvegliato interessesulle antichità etrusche e sui pittori toscani del Medioe-vo sia nato anche come reazione al crescente classicismoe agli stessi giudizi che J. J. Winckelmann aveva datodell�arte degli Etruschi fin dalla prima edizione della

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Geschichte der Kunst des Alterthums (1764). Formatosisui prodotti di artigianato artistico di età romana, ilmodello astratto dell�arte greca che Winckelmann si eracreato gli impedí di accostarsi all�arte degli altri popoliantichi. La visione di un progressivo sviluppo dell�artegreca che toccava il suo culmine nel v secolo a. C., diret-tamente mutuata dalla letteratura artistica classica, siripeteva, non a caso, anche nella pittura italiana nellaquale il �sublime� era toccato solo dall�arte di Raffaello.Il modello greco, che rappresentava un modello di bel-lezza non solo fisica ma anche ideale, è infatti fenome-no irripetibile: i motivi per i quali l�arte degli Egizi oquella degli Etruschi non hanno raggiunto certe vettevanno il piú delle volte ricercati nella mentalità, nel-l�indole di quei popoli:

Forse ai progressi dell�arte ne� tempi posteriori si sonoopposte delle circostanze poco favorevoli; ma dobbiamoricercarne la cagione nell�indole e nella maniera di pensaredegli Etruschi. Pare che questi fossero piú de� Greci incli-nati alla malinconia e alla tristezza, come inferir possiamodal loro culto religioso e dalle costumanze loro: e si osser-va d�altronde che all�uomo dotato di siffatto temperamen-to, atto certamente ai piú profondi studj, troppo vive eprofonde riescono le sensazioni; per la qual cosa non si pro-duce ne� di lui sensi quella dolce emozione che rende lo spi-rito perfettamente sensibile al bello33.

Desiderando pertanto scrivere una �storia� dell�artedegli Etruschi, nello schema tripartito della sua origine,del suo sviluppo e della sua decadenza, Winckelmannstabilisce tre �stili� differenti.

Il primo, piú antico, è rappresentato da opere rigide,quasi fusiformi, simili alle piú antiche figure egizie; ilsecondo, piú evoluto, presenta figure «forzate e violen-te», ma «il forzato è l�opposto del naturale, il violento

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è l�opposto del decoroso e del costumato» e per realiz-zare nel modo piú espressivo possibile la violenza deisentimenti gli Etruschi fecero ricorso a forme esagera-te, sia nel rendimento della muscolatura e delle artico-lazioni, sia nella stessa posizione dei corpi. Ottennerocosí un che di �manierato�, di fisso, di eccessivo cherimane, secondo Winckelmann, anche nel linguaggiodegli artisti toscani di età moderna, quali Michelange-lo, Daniele da Volterra o Pietro da Cortona. Il terzostile, infine, corrispondente all�età della decadenza,risulta una pedissequa imitazione dell�arte greca.

È noto che questo schema tripartito viene elaboratosu una documentazione esigua, spesso su opere che nonsono affatto etrusche. Questi documenti sono comunquesufficienti a Winckelmann per dimostrare che «gli arti-sti etruschi furono superati da� Greci nell�esprimere labellezza, la quale si altera e si guasta, qualora un nevoglia risentir le figure e sforzar le membra per atteg-giarle»: un mondo figurativo, pertanto, che nel suomomento migliore, il secondo periodo, aveva il torto ditrasgredire le regole dell�armonia e della perfezione for-male. Come accadde a Michelangelo, che non seppeavvicinarsi, come invece Raffaello, allo stile dei Greci.

I lavori che Christian Gottlob Heyne (1729-1812)dedicò all�arte etrusca34 partono da un�esperienza assaidiversa, consumata fondamentalmente fra le pareti diuna biblioteca come quella dell�Università di Gottingapiuttosto che a contatto degli antichi monumenti, cono-sciuti in gran parte da illustrazioni d�epoca, ovviamen-te non fedeli35. Lettura stilistica e analisi delle fonti let-terarie divengono due aspetti di un metodo critico chesi pone come obiettivo una piú articolata periodizza-zione storico-cronologica delle manifestazioni figurative:

Mi sembra che i periodi dell�arte etrusca non possanodistinguersi in tre fasi, antica media e recente, come hanno

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creduto Winckelmann e il conte de Caylus36, ma piuttostoin cinque. Nella prima vanno compresi i monumenti di arterozza e incolta, del tipo che appare in tutte le piú antichemanifestazioni artistiche dei popoli, quando gli ingegni siapplicano per la prima volta all�arte; nella seconda quelleopere che esibiscono contenuti e espressioni formali similia quelli della Grecia piú antica, contemporanei, cioè, aiPelasgi; la terza riprende sia lo stile sia le raffigurazioni del-l�arte egizia; ne segue quindi un�altra nella quale l�arte è piúelegante e continua ancora le antiche rappresentazioni gre-che; infine si ha una fase ancora piú importante che puòparagonarsi alla bellezza dell�arte greca piú recente37.

Il discorso diviene pertanto assai piú complesso: lasemplice motivazione di una comune origine degli Etru-schi e dei Greci dai Pelasgi, con la quale il Winckelmannspiegò l�esistenza di divinità corrispondenti nell�artegreca e in quella etrusca38, non soddisfa Heyne: le fontiletterarie infatti costituiscono un supporto necessarioper poter chiarire anche la massiccia penetrazione dellamitologia greca in Etruria. Accettando la tradizione diDionisio di Alicarnasso circa l�autoctonia degli Etru-schi in Italia, Heyne considera i primi prodotti artisticiespressioni di un vero e proprio linguaggio barbaro, allequali seguono poi manifestazioni ellenizzanti, dovute alcontatto avuto sia con i Pelasgi, che si fusero in unamedesima unità etnico-politica con gli Etruschi, sia conil successivo commercio coloniale. Le immagini delledivinità nascono pertanto solo dopo, quando vengonointrodotte anche a Roma, verso la fine dell�età regia,come attesta Varrone; ma da allora, seguendo uno svi-luppo di stile che trova confronti con l�arte greca, ini-ziano le raffigurazioni relative ai cicli mitologici di Erco-le e di Dioniso � le divinità piú antiche della mitologiagreca � e poi quelle relative a tutti gli altri episodi dellesaghe greche. Il periodo di massima influenza dell�arte

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greca, corrispondente a quello che è il nostro periodoclassico, vede una fioritura che contrasta con ciò checonosciamo sulla storia degli Etruschi: è infatti il perio-do delle invasioni dei Galli nell�Etruria propria e deiSanniti nell�Etruria campana. Eppure le fonti anticheparlano del proverbiale lusso nel quale gli Etruschi vive-vano; nonostante la decadenza politica, è possibile chel�arte possa aver avuto un proprio sviluppo:

anche nella nostra età vediamo re e nazioni che,nonostante vivano in una generale crisi, si prodiganoin ogni tipo di lusso e in spese immoderate39.

Si spiegano cosí opere come l�Idolino, la Minerva d�A-rezzo, la Chimera e l�Arringatore � i grandi bronzi delleGallerie medicee �, o la ceramica dipinta, frequente-mente attestata nelle tombe etrusche, nella quale pre-valgono i temi dionisiaci, legati alla diffusione di queiculti che il senato romano, nel 186 a. C., fu costretto adabolire poiché di carattere eversivo.

Il lavoro di Heyne si configura pertanto come unpasso avanti rispetto alle brevi e spesso apodittiche nota-zioni di Winckelmann e si pone al contempo come unsuperamento della posizione puramente erudita di certaantiquaria toscana che pure gli aveva fornito, attraver-so la pubblicazione di voluminose opere illustrate, comeil Museum Etruscum di A. F. Gori (edito dal 1737), glistrumenti di lavoro40. L�esame delle fonti, comparate coni monumenti allora noti, trova nella sua opera un primotentativo di storicizzazione delle esperienze artistichedel mondo etrusco che si contrappone all�irrazionalismocampanilistico che alimenta gli scritti contemporaneidell��etruscheria� toscana. Per Mario Guarnacci (chepubblicò tre edizioni delle sue Origini Italiche, fra il1767 e il 1786), il �primato� degli Etruschi si manife-

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stava ad esempio in tutte le scienze e nelle stesse �artiliberali�. Una lettura assai personale delle fonti antichegli permetteva addirittura di negare la bellezza delledonne greche e di contrapporre ad essa l�origine anelle-nica delle eroine famose nell�antichità per le loro dotifisiche. Questa posizione, filtrata attraverso un piú rigo-roso metodo critico, appare, sia pure in modo velato,anche nella prima parte della già ricordata Storia della let-teratura italiana del Tiraboschi (1772), dove si tenta diattribuire all�Italia, e in particolare agli Etruschi, sullabase di un�errata interpretazione di un passo di Plinioil Vecchio, anche l�origine della pittura.

Il brano del Lanzi che abbiamo riportato all�iniziodi questo paragrafo può pertanto spiegare la diversitàdel suo atteggiamento: gli scritti che egli dedicò all�ar-te degli Etruschi41 si muovono direttamente nella lineadi Winckelmann e di Heyne, abbandonando del tuttole posizioni dell��etruscheria�. Il carattere sperimenta-le delle sue ricerche, basate fondamentalmente sul con-tatto diretto con i monumenti, evitò da una parte certesuperficialità di Winckelmann che � come egli scrive �«in proposito di etrusco ha spesso temperato in unluogo ciò che avea scritto in un altro»42, dall�altro lafacilità di talune attribuzioni di Heyne che nascevanoda una lettura prevalentemente �dotta� e accademicadei monumenti. Erano ormai maturi anche in Italia,nella letteratura artistica, i tempi per un�analisi stili-stica delle opere d�arte che sorpassasse posizioni pura-mente erudite. Cosí, nelle Notizie, Lanzi riprende loschema tripartito di Winckelmann e attribuisce a ogniperiodo le opere che potevano essere direttamente con-trollate nel Museo di Firenze � non per nulla le Noti-zie erano rivolte ai visitatori italiani e stranieri delleGallerie medicee � ma ne espunge altrettante che ilWinckelmann aveva creduto etrusche, in particolarmodo quelle greche arcaiche o arcaistiche in marmo, dal

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momento che questo tipo di materiale fu in uso in Ita-lia solo in età romana.

Conseguentemente con quanto andava facendo nellaStoria pittorica dell�Italia (edita in veste definitiva nel1795-96), Lanzi si preoccupò di individuare anche nel-l�Etruria antica uno �stile� che caratterizzasse la �scuo-la� etrusca (cosí pure, nell�arte italiana moderna, eglicercò di distinguere una scuola fiorentina, una senese,una romana ecc.), stile che egli credette di ravvisare inquelle opere che potevano meglio adattarsi al giudizioche gli antichi teorici romani avevano dato delle operetuscanicae. Si tratta cioè di monumenti di stile �severo�e classico nei quali ai Romani

potea piacer quella semplicità di forme, che porta quasi l�im-magine del costume dei buoni antichi; potea piacer quelladiligenza, e come Plinio si esprime, curiosità nelle coseminute; nel vestito e negli ornamenti; certe diritture efinezze di pieghe, certe orlature di pallii, certe increspatu-re di capelli43.

Partendo da esperienze �primitive�, che trovavano ilconfronto stilistico piú chiaro nella scultura egizia o inquella romanica, Lanzi indicava come lo sviluppo del-l�arte etrusca, tramite la mediazione dell�arte greca,avesse potuto trovare manifestazioni originali che soloin età ellenistica dovevano soccombere del tutto al pro-rompente influsso dell�«ottimo stile» dei Greci.

La storiografia illuminista aveva pertanto posto lebasi per ogni futura valutazione dell�arte etrusca.

Lo schema evolutivo proposto da Winckelmann, sulquale influiva direttamente il modello caratteriologicorelativo alla storia di ogni nazione, trovava però unadiversa applicazione in Germania e in Italia. Heyne,rivendicando una funzione prioritaria allo studio dellefonti, della cronologia degli artisti e delle loro opere,

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apriva la strada agli studi filologici che avrebbero avutouno sviluppo quanto mai fecondo in Germania, ma alcontempo separava la filologia dalla storia e dalla cri-tica d�arte44. Lanzi, al contrario, vivendo in un ambien-te di imperversante �etruscheria�45, nel quale la storio-grafia si andava lentamente affrancando dall�antiqua-ria46, tentava di inserire nello schema winckelmannia-no il frutto delle esperienze che gli provenivano dallapropria abilità di connaisseur, legandole comunque aquei modelli che la letteratura artistica italiana e euro-pea della seconda metà del Settecento andava propo-nendo47.

4. L�Ottocento.

L�esperienza storiografica cosí ricca che maturò nelgiro di un solo ventennio, dal 1764 al 1785 (anni rispet-tivamente della pubblicazione della Geschichte delWinckelmann e delle Notizie del Lanzi), doveva costi-tuire per molto tempo l�unico modello di riferimento pergli studi dell�Ottocento.

Il giudizio classicistico di Winckelmann sull�arte etru-sca, che pure risultava notevolmente attutito sia inHeyne sia in Lanzi, probabilmente per l�autorità di chil�aveva formulato, doveva rimanere intatto. Cosí negliscritti di Micali, che pure compí nelle sue opere un note-vole sforzo di sintesi per sottolineare di «quanta impor-tanza nell�ordine degli umani eventi sieno le nostre civi-li origini», non furono certamente superate le posizionidi partenza, nonostante l�intensificarsi delle scoperte ela progressiva classificazione dei monumenti aumentas-sero di gran lunga la documentazione dei tempi diWinckelmann48. In un�opera mal giudicata da Stendhal,ma che ottenne nel 1810 il premio dell�Accademia dellaCrusca, Micali scriveva:

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Le proporzioni delle figure, le attitudini, i portamenti,l�aria delle teste lasciano perciò qui sempre da desiderarequella bella varietà e piacevole armonia che propriamentespetta all�ideale, e costituisce la vera perfezione dell�arte;ma posciaché i Toscani molto si occuparono del nudo, leopere loro son da pregiarsi per una certa gagliardia, che seb-ben contraria alla scelta idea del bello, lascia tuttavia com-prendere una forte espressione di sentimento, e sommaintelligenza di stile anatomico, benché sia in esso da rim-proverare una scienza troppo ostensibile di muscoli quasitutti in azione, e niuno in riposo49.

Se confrontiamo questo giudizio con quello espressoin un periodo successivo, sotto lo stimolo di altri orien-tamenti critici, da Jules Martha, studioso francese cheottenne a sua volta, nel 1887, un premio dall�Académiedes Inscriptions et Belles Lettres per un�opera sull�arteetrusca, ci accorgiamo che la posizione critica non ècambiata.

L�arte è come un organismo e come tale ha bisogno disvilupparsi dolcemente, per tappe successive, con quellasorta di logica lenta e misurata che si può osservare in tuttele opere della natura. Solo una crescita regolare assicura ilpieno possesso delle forze e quella maturità che realizzagrandi cose. Questa maturità l�arte etrusca non l�ha maiavuta...; non c�è né il senso né la cura della bellezza. Nonsi ritrova niente dell�armonia delle proporzioni, della formadelle linee o quella discrezione sapiente che ci stupisce nelleopere anche minori dell�arte greca. È quasi sempre pesan-te, esagerata, violenta, spesso non corretta50.

L�Ottocento è il secolo nel quale si viene a creare unnotevole distacco fra la storia dell�arte e l�archeologia �già rilevabile dal manuale di J. P. Siebenkees (1799-1800) � in particolar modo in Germania, dove nel frat-

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tempo l�estetica romantica si allontanava gradualmentedai giudizi del Winckelmann, sia che fossero filtratiattraverso Heyne, come in W. von Humboldt, sia chenascessero da un�esperienza diretta con i monumenti,come in Goethe, sia che venissero reinterpretati daglistessi filosofi idealisti.

Lo studio filologico si pone ormai come istanza impre-scindibile all�archeologia: l�atteggiamento che si è postoper la filologia nei confronti delle testimonianze scritte sipone ormai per l�archeologia nei confronti delle testimo-nianze figurate.

Cosí si esprimeva nel 1833 E. Gerhard e, poco prima,il Müller, autore del primo manuale sugli Etruschi51,gettava le basi per una «scienza sistematica e totale delmondo antico». Di qui una nuova posizione metodolo-gica, feconda per tutto ciò che poteva costituire l�a-spetto filologico della disciplina, ma assolutamenteimproduttiva sul piano della storia dell�arte: i monu-menti servivano per ricostruire la storia dell�antichitànei piú vari aspetti della vita pubblica, privata e reli-giosa, tranne che in quello della produttività artistica.Le manifestazioni figurative del mondo etrusco veniva-no ad assolvere nel campo della storia dell�arte una fun-zione complementare, come supporto per la conoscenzadell�arte greca che aveva fornito a quella etrusca i model-li da imitare.

L�arte in Etruria sembra come una pianta straniera allaquale la terra e il clima non hanno permesso di crescere edi nutrirsi; morí quando cessò l�influsso straniero senzaaver raggiunto una completa maturità; in ogni attività arti-stica mancò agli Etruschi quel raggio celeste che conferisceall�opera d�arte assieme a un corpo vivente anche uno spi-rito libero e attivamente indipendente52.

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L�arte etrusca è una meravigliosa testimonianza di atti-tudini apprese meccanicamente e meccanicamente conser-vate, ma insieme una prova di scarsa intuizione e assimila-zione artistica, che può essere paragonata alla meravigliosadestrezza manuale e all�impotenza ideale dell�arte cinese.Insomma, per quanto si vada a rilento, bisognerà decider-si a trasferire nella storia dell�arte italica gli Etruschi dalprimo all�ultimo posto53.

Le tendenze del gusto e la cultura accademica, rivol-ti prevalentemente all�arte greca, prestavano pertantopoca attenzione alle manifestazioni artistiche delmondo anellenico, se non per fornire giudizi del tuttonegativi. L�interesse crescente per la civiltà etrusca eraesclusivo, infatti, degli studi filologici e il giudizio cri-tico sull�arte rimaneva statico: non si motivavano leincoerenze e i fraintendimenti di questo mondo figu-rativo nei confronti di quello greco, ma ci si fermavaalla semplice constatazione. Fu cosí possibile alloraaccettare come originali monumenti abilmente mistifi-cati dai restauratori della metà dell�Ottocento, quali ilgruppo del Louvre, uscito da una bottega di restaura-tori chiusini nel 1850, o totalmente moderni, come ilsarcofago ora al British Museum54, opera di abili falsa-ri che lavoravano a Roma, nello stesso torno di tempo,presso il marchese Campana.

Mentre si ripetevano concetti già espressi dai teoricitardoellenistici a proposito delle �durezze� dei corpi,della mancanza di rispetto delle proporzioni, cominciòa farsi strada un nuovo tipo di orientamento critico,soprattutto ad opera del Brunn55:

La storia dell�arte greca dal genio del Winckelmann èstata tracciata su fondamenta tanto salde che nemmeno ilcorso di un secolo ha potuto alterarla. Meno felice è statal�arte etrusca: la scarsità di monumentali confronti non per-

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mise a Winckelmann nemmeno di distinguere le operearcaiche dell�arte greca da quelle dell�Etruria. La parteprincipale dei monumenti furono riconosciuti o di originegreca o almeno lavorati sotto l�influenza dell�arte ellenica;tra quelli poi di carattere etrusco grandissima parte dove-vano dirsi piuttosto opera d�un�industria artistica che diarte vera56.

Questo doveva apparire, secondo il Brunn, tenendopresente la funzione avuta dall�arte in Etruria: mentrein Grecia essa era un fatto pubblico, in Etruria avevainvece una funzione privata, destinata a soddisfare ilgusto di pochi. Non fu pertanto possibile lo sviluppo dipersonalità artistiche, ma solo quello di maestranze arti-giane.

Un atteggiamento del genere, che poneva le basi peruno studio diverso, non trovò però grande seguito. Laricerca delle grandi personalità artistiche, che interessòfondamentalmente la scuola del Brunn, non poteva tro-vare nelle manifestazioni figurative del mondo etruscoun ampio campo d�indagine. La raccolta dei documentifigurati, continuata e incoraggiata dallo stesso Brunn, fupertanto condotta con lo scopo precipuo di fornire mate-riali per studi iconografici che prendevano in conside-razione la fonte sempre secondo un�ottica ellenica, maietrusca.

In effetti l�arte etrusca rimase legata ai modelli greci; gliartisti etruschi nella produzione di arte minore, tecnica-mente perfetta, hanno talvolta arricchito o addirittura supe-rato i Greci, ma mancò loro il diretto rapporto con la natu-ra, il senso dell�organicità; rimasero semplici artigiani.

Questo giudizio del Körte, scritto circa cinquant�an-ni dopo, in un�opera fondamentale quale la Real-Ency-clopädie der classischen Altertumswissenschaft57, non modi-

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fica sostanzialmente quello precedente: l�attenzionerimane costantemente rivolta all�aspetto artigianale dellemanifestazioni figurative e all�influsso che gli stessi ano-nimi artisti greci avevano esercitato sulle maestranzeindigene; l�estremo disagio di non poter riconosceregrandi personalità o di ricostruire un catalogo ragiona-to delle opere attraverso fonti scritte e monumentali �come accadeva in quel tempo per la storia dell�arte clas-sica e moderna �, poneva ancora una volta al di fuoridegli orientamenti critici il problema specifico dell�arteetrusca, sul quale continuava a gravare, nonostantetutto, il peso della visione neoclassica.

Il passo del Martha riportato precedentemente ne èuna conferma, ma nel suo libro, che costituisce unpunto d�arrivo di quanto era andato maturando nelcorso dell�Ottocento, soprattutto a livello di studio cri-tico e filologico dei monumenti, poteva scorgersi ancheun�influenza piuttosto precisa del Taine. Come per que-sti l�arte italiana del Rinascimento, erede del mondogreco-romano, sembrava avere una maggior disponibi-lità verso l��ordine� figurativo, implicita nella stessarazza, cosí per il Martha � che non per nulla inizia ilproprio volume con un capitolo sulla razza degli Etru-schi �, il mondo etrusco, anellenico, si contrapponevaa quello greco, l�unico che avesse scoperto la perfezio-ne formale.

5. Il periodo fra le due guerre.

La scoperta dell�Apollo di Veii (1916) viene per soli-to considerata come l�occasione concreta per un ripen-samento sull�arte etrusca. È anche vero però che unaparte della critica, liberandosi dai pregiudizi accademi-ci, si orientava verso nuovi modelli di apprezzamentoestetico (la famosa «volontà d�arte» del Riegl); l�arte

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contemporanea, venendo meno ai rapporti di equilibrionello spazio o giustapponendo volutamente i piani inmodo da superare la tradizionale visione del rapportospazio-figura, poteva condizionare notevolmente il giu-dizio sull�arte etrusca, cosí come accadeva per l�arte�primitiva�.

Una volta che il catalogo dei monumenti aveva rice-vuto, attraverso il confronto con le opere greche, unaprima sistemazione cronologica, fu possibile superarequella barriera di «infatuamento estetico»58 costituitadal pregiudizio classicistico.

L�accostamento all�arte primitiva, che aveva fornitomodelli per la cultura artistica contemporanea, facilitòquindi l�approccio con il mondo figurativo etrusco: nonè infrequente, infatti, nella letteratura degli anni �20,l�uso di termini quali �cubismo� ed �espressionismo� o ilrichiamo piú o meno esplicito a Kokoschka come rap-presentante di uno spirito primitivo, ingenuo e anti-classico, per i cui esiti figurativi furono ricordati persi-no i canopi di Chiusi.

Nonostante ciò non è davvero incoraggiante oggirileggere tutta la letteratura degli anni �20 e �30 relati-va al problema dell�arte etrusca: vi si trovano, patenti,tutti i sintomi di una cultura in progressivo decadimen-to, che fondava sull�irrazionalismo i propri metri di giu-dizio.

Giudizi come «schiettezza espressiva», «tendenzaalla rappresentazione individuale», riferiti alla naturaanticlassica della scultura etrusca, divengono via via piúcomplessi nella terminologia postriegliana.

Il Bruto è cubico, un volume nello spazio realizzatoattraverso una limitazione di superfici condotte secondocerte leggi; un ritratto contemporaneo di Napoli è organi-co, come un corpo rappresentato secondo leggi tettoniche:esso estrinseca la propria forma non attraverso un sistema

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di incontri di superfici ma con una forza individuale per laquale le forme singole concorrono a creare il tutto59.

La forma artistica, secondo Von Kaschnitz-Wein-berg, di cui si è riportato il passo precedente, si orga-nizza secondo principî immanenti ai gruppi umani, allerazze, ai popoli, per una continuità quasi biologica, chelimita l�intervento dell�artista, condizionato dalle forzemotrici interne al suo gruppo di appartenenza. Mentrenell�arte greca la �struttura� fondamentale obbedisce auna logica interna per la quale la forma artistica si espri-me con una continuità fisica di tipo �organico�, natura-listico, nell�arte dell�Italia preromana la �struttura� siestrinseca con una diversa disposizione interna che geo-metrizza le forme della natura dall�esterno, ritagliandole masse e delimitandole con piani sommari.

Una posizione del genere, che si concretò piú tardianche in uno studio sul carattere �italico� del Baroccoitaliano, trovò in Italia molte opposizioni. Da una partegli ambienti accademici liquidavano questi orientamen-ti critici definendoli «tendenze filosofeggianti» (Duca-ti) e rivendicando la validità dei metodi filologico-com-parativi di stampo positivistico, dall�altra la critica piúavveduta, rappresentata da Bianchi Bandinelli, rilevavacome il concetto di «volontà epocale» ponesse dei limi-ti all�artista, predeterminandone la sua volontà d�e-spressione come costante sopraindividuale.

Ciò nonostante in Italia le posizioni di Kaschnitzfurono in parte recepite, al punto che il mondo figura-tivo italico fu coscientemente contrapposto a quellogreco60. Le categorie esclusivamente descrittive di «indi-viduale» contrapposto a «ideale», di «anorganico» con-trapposto a «organico», di «astratto» contrapposto a«naturalistico» applicate prevalentemente alla scultura,venivano prese in prestito dal lessico dell�arte contem-poranea, ma non riflettevano affatto un adeguato

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approfondimento dei motivi che avevano portato a queltipo di organizzazione della forma artistica. Quando sitentò di approfondirli, si cadde in un determinismorozzo, che poco aveva a che fare con la raffinata visio-ne di Kaschnitz.

Non è un caso che i due studiosi italiani autori deimanuali sull�arte etrusca che fino a qualche anno fa ser-vivano di primo approccio ai nostri studenti universita-ri sentano questo tipo di contrapposizione in terminicari alla letteratura fascista. Si inneggia alla funzionedegli studi italiani, che compiono ricerche «nella terraracchiudente preziose pagine testificanti la nobiltà dellanostra stirpe»61; si riconoscono nei monumenti etruschii modelli per l�arte contemporanea «di questa nostraadorabile Italia, che noi Fascisti vogliamo far degna delDuce», in modo che sia chiaro come «dal primo fioriredei secoli della prima giovinezza della Nazione, quandosbocciava fragrante ad attestare che già 2500 anni orsono, e prima ancora, l�Italia aveva una sua mirabileciviltà»62.

In modo differente si concreta in questi anni la posi-zione di Bianchi Bandinelli il quale, pur legato alla cri-tica d�arte di derivazione crociana, iniziava un nuovodiscorso sulla storia dell�arte antica, restituendo auto-nomia a una disciplina nella quale i momenti della ricer-ca sul terreno, dell�analisi filologica e antiquaria, rap-presentavano solo componenti euristiche. Pur avendopartecipato attivamente al dibattito sulla questione del-l�arte etrusca e italica negli anni �25-30, egli se ne erapoi allontanato riconoscendo quali pericoli nascondes-sero certe formulazioni irrazionali, prive di un effettivoapprofondimento del problema.

Il contatto con l�arte greca ha soffocato i germi dellosvolgimento artistico originario delle regioni italiche. Ma inrealtà, sarebbe da considerare la mancanza di ogni indivi-

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dualità artistica, prima di quel contatto, e il perdersi di unartigianato di ibrida rozzezza, quando esso venne ad affie-volirsi.

Sarà proprio la fretta con la quale si vuole raggiungereun effetto all�ingrosso rassomigliante l�esemplare ellenico,che distinguerà tutte queste officine italiche e produrràquei caratteri di analogia tra di esse, che sono stati circo-scritti dalla critica con i termini di «espressionismo» e di«impressionismo», termini che possono anche esser validilessicalmente, ma usando i quali non ci si è accorti che quistavano a rappresentare effetti, non cause. Vale a dire chenon si trattava di fare la storia di un gusto artistico, ponia-mo «espressionistico» che, tale essendo, esprimeva se stes-so con tali accenti, bensí che quegli accenti erano casualiespedienti, ai quali si era avuto ricorso, per indisciplinatotemperamento, nel dar vita a un�opera d�arte che, comecontenuto fondamentale e come intenzione, non volevaaffatto essere « espressionista».

Quindi a me sembra che quanto accomuna le opere dellaSicilia, della Magna Grecia, della Campania, dell�Etruria,rispetto allo scarto del modello greco, non sia tanto uncarattere positivo comune, un gusto unico, al quale si èvoluto dare il nome di «italico» anticipando un�unità chenon era, comunque, né politica né razziale; ma sia soltan-to il comune denominatore di un artigianato vivace, nellasua reazione al modello classico, imitato esteriormente equindi incoltamente. Non mi pare che si possa parlare digenealogia artistica là dove non c�è creazione, cioè intimorivivere di un problema d�espressione63.

Il giudizio negativo sull�arte etrusca, nella quale man-cavano le personalità creatrici, poteva indicare comun-que un nuovo indirizzo: ricostruire l�ambiente storicodelle officine regionali e rilevare i punti di contatto conil mondo figurativo della Grecia.

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6. Orientamenti recenti.

Le tendenze degli studi nel dopoguerra hanno avutoil merito di riportare il problema dell�arte etrusca nei ter-mini della sua concretezza storica. Riconosciuta l�inuti-lità di una definizione unitaria per una serie di fenome-ni che non hanno in effetti un carattere omogeneo, ècosí iniziato un lento lavoro di sistemazione dei docu-menti artistici nel piú ampio contesto dello svolgimen-to dell�arte antica e della stessa storia delle città etru-sche. Questo lavoro di progressiva storicizzazione hacosí evitato di cadere nelle formulazioni irrazionali delperiodo fra le due guerre.

Il concetto di �culture artistiche�, intese comemomenti di un�attività figurativa che non aveva avutouna tradizione di continuità, è stato contrapposto algiudizio di chi, nell�ambito di un�ottica ellenizzante,riconosceva una validità artistica solo a quelle opere incui si poteva individuare la costruttività formale greca.A periodi di intensa produttività, come quello arcaico,nel quale l�Etruria si inserisce come �regione� nel qua-dro dello sviluppo artistico della Grecia propria e dellecolonie di Occidente, o esercita una funzione �media-trice� nei confronti delle culture meno ellenizzate delMediterraneo occidentale, si alternano poi, a seguitodella crisi politica ed economica che investe l�Etruria tir-renica dalla prima metà del v secolo a. C., momenti divera e propria stasi nei quali la cultura artistica localeassume i caratteri di una definitiva provincialità64.

Nell�ambito di questa �provincialità� vengono cosíspiegate le manifestazioni artistiche che piú sorprendo-no la nostra educazione classico-umanistica, per le qualisi è tentato di trovare confronti con opere nate in altrearee, situate pur sempre ai margini del mondo elleniz-zato, e dove la libertà e il movimento, connotazioni ori-ginali di forze primitive, potevano generare forme arti-

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stiche casualmente analoghe65. Il rapporto magico chedoveva legare l�artigiano �primitivo� alla sua creazionefavoriva, nell�ambito di un�arte di tipo �popolare�, con-trapposta a un�arte �colta� � quella ellenizzata �, l�e-spressione figurativa piú genuinamente locale66.

Non si possono non scorgere anche in queste due ulti-me formulazioni le premesse per posizioni di tipo irra-zionale, che tendono nuovamente ad allontanarsi dallastoria, accogliendo terminologie e concetti che mal siadattano a situazioni concrete. Se accettiamo come ten-denze �primitive� le intime disposizioni alla creazioneartistica di un popolo che vive ai margini di un mondocon una cultura piú evoluta, dovremo pur sempre spie-gare il significato che assume l�oggetto artistico pressoquel gruppo etnico. Se intendiamo come arte �popolare�i documenti di un mondo figurativo che si opponecoscientemente alla cultura artistica del gruppo egemo-ne dovremo pur sempre spiegare i motivi di questo con-trasto e non etichettarli partendo semplicemente dall�a-nalisi formale, senza tener conto del contesto etnogra-fico di origine.

Da una parte si è tentato di storicizzare ulteriormen-te tutte le esperienze artistiche del mondo periferico,attribuendo la cosí detta visione �anticlassica� a un�ere-dità di cultura fortemente radicata nelle aree marginali,quelle stesse nelle quali l�arte provinciale di età romanareagirà coscientemente all�arte ufficiale ed ellenizzantedell�urbe; dall�altra si è anche tentato di inserire fattifigurativi anomali nell�ambito di analoghe esperienze delmondo artistico dei primitivi, senza sorpassare comunquelo stadio essenzialmente cursorio della curiosità.

Dobbiamo immaginare che il mondo mediterraneo siastato percorso da correnti diffuse dall�oriente e dall�Egeopreellenico e protoellenico, le quali sono state raccolte e rie-laborate in alcune zone (per esempio in Italia, a Cipro ecc.)

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mentre già la Grecia si avvia, attraverso un proprio inten-so travaglio creativo, alla definizione dell�arcaismo. Suc-cessivamente l�arte greca arcaica dilaga anch�essa, e con unaassai piú prepotente forza espansiva (favorita dalla diaspo-ra coloniale), verso occidente, sovrapponendosi e a voltecontaminandosi con le precedenti influenze paleomediter-ranee. Questa grandiosa esperienza figurale diventa patri-monio comune di tutte le terre e di tutte le genti affaccia-te sul gran mare, influendo in modo profondo e decisivosulle tradizioni artistiche, alle quali esse restano sostan-zialmente fedeli anche quando in una ristretta area centra-le del mondo ellenico comincia ad affermarsi e a diffondersila grande e fatale innovazione classica67.

La civiltà italica ed etrusca apparteneva in età anterio-re alla colonizzazione greca ad un mondo figurativo che,nonostante la sua già acquisita complessità storica, conser-vava gli impulsi di primitiva spontaneità immaginativa.Elementi �appenninici� si mescolano ad altri propri delleciviltà dell�Europa centro-settentrionale e, con particolareintensità, con elementi delle civiltà danubiane. In queste sipossono, a loro volta, scorgere riflessi iranico-mesopotami-ci trasformati in modi popolari e artigianali. Si creava cosíun gusto per la trasformazione di elementi anorganici informe organiche, nel dare forme animali o umane al beccodi un vaso, o all�ansa, o al piede e nell�inventare per il vasonel suo insieme figure composite di elementi disparati. Que-sto gusto rimarrà fondamentale all�arte italica ed etrusca;la tendenza alla forma anorganica risorgerà sempre, anchesotto l�imitazione dei modelli greci, provocando singolariimprovvisazioni68.

La progressiva consapevolezza della natura della docu-mentazione, frammentaria e proveniente in gran parte danecropoli, non da centri urbani, la definitiva chiarifica-zione del carattere artigianale delle manifestazioni arti-

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stiche, la tendenza a riconoscere anche nella stessa pic-cola Etruria fenomeni artistici a carattere regionale, svi-luppatisi in tempi e forme diverse, costituiscono l�aspet-to piú positivo degli attuali orientamenti.

A noi sembra necessario aggiungere alcune conside-razioni di ordine metodologico che giustificano il tagliodato a questo scritto, il cui carattere è inevitabilmentequello di una serie di saggi su diversi momenti dell�atti-vità artistica nell�Etruria antica, data la sostanza fram-mentaria e la natura regionale delle manifestazioni.

Una volta che la nostra cultura è riuscita a liberarsida schemi mentali inutili e antistorici, per il problemadell�arte si pongono necessariamente nuove forme dianalisi che chiarendo, ove possibile, il significato che ilmanufatto artistico aveva nell�ambiente in cui si è crea-to, ne ricostruiscono la storia per quanto concerne sia lasua produzione sia il suo consumo. La condizione socia-le dell�artifex nel mondo antico, e in particolar modo inquello etrusco, tranne forse che nell�età arcaica, eraquella di un subalterno, sottoposto alle frequenti oscil-lazioni di gusto di una committenza formata in granparte dalla classe magnatizia. Un quadro di questo gene-re fa quindi comprendere l�inutilità di certe posizioniassunte nella storia degli studi circa l�originalità espres-siva di queste maestranze in termini di anticlassicitàcosciente o il limite di quei lavori che, puntando l�at-tenzione su una sola opera, particolarmente stimolantedal punto di vista estetico, hanno del tutto dimentica-to quale fosse il suo contesto di produzione: le botteghedegli artigiani, che operavano secondo un tipo di orga-nizzazione che sarà cambiato di volta in volta, in rap-porto alla differente connotazione nel tempo e nellospazio, su richiesta di determinati acquirenti, sia le unesia gli altri partecipi di una situazione storica e cultura-le che va definita volta per volta.

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In un periodo come il nostro in cui le scienze stori-che stanno verificando l�attualità piú che la validità deipropri tradizionali procedimenti euristici, si assiste,anche nell�archeologia, al tentativo di utilizzare, nelconcreto della ricerca, strumenti critici derivati dallalinguistica, dall�antropologia e dalla psicologia sociale69.

Gli orientamenti piú recenti tendono a separare defi-nitivamente la ricerca archeologica sul terreno, condi-zionata ormai dall�apporto di diverse discipline70, dallastoria dell�arte antica. L�unità di studio diviene ormail�insediamento o l�edificio con i suoi materiali e le cate-gorie di analisi utilizzano quegli elementi di tipo strut-turalistico per i quali ogni reperto viene consideratonell�ambito del suo contesto e della sua funzione71. Lacultura materiale � l�outillage � diviene l�oggetto dellaricerca, come elemento primo di considerazione delmondo della produzione. Spostare però in modo esclu-sivo la ricerca archeologica su questi temi privilegiandoi soli documenti relativi alle produzioni di piú largo con-sumo significa optare per una storia dei manufatti nellaquale il prodotto artistico, che pure ha come suo con-notato specifico il messaggio figurativo, subisce un veroe proprio declassamento. Se la cultura �borghese� cheabbiamo dietro le spalle ha creato nella Kunstarchäolo-gie gerarchie e scale di valori sulle quali non possiamoessere d�accordo, sarà nostro compito riqualificare idiversi ruoli, non omogeneizzarli. Un�accusa che puòessere rivolta agli studiosi di storia dell�arte antica è sem-mai quella di essersi orientati prevalentemente versoproblemi di cronologia e di attribuzione e di aver tenu-to poco conto di approcci di tipo diverso, che potevanoessere mutuati dal dibattito teorico che fra gli storici del-l�arte moderna sembra piú avanzato72.

Fra le piú tradizionali metodologie di ricerca, icono-logica e sociologica, si è inserito piú recentemente ilpunto di vista etno-antropologico e, per quanto concer-

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ne il problema delle civiltà �periferiche� del mondo anti-co, il dibattito si sta centrando sul tema dell�accultura-zione73.

Se partiamo da una posizione strutturalistica del con-cetto di cultura, ci si porrà l�esigenza di descrivere isistemi che vengono in contatto: questo significa ana-lizzare un determinato momento dello sviluppo dei siste-mi in esame, bloccando un complesso di fatti sempre inmovimento per conoscerne i tratti distintivi. Operazio-ne quasi disperata per il mondo antico, e in particolareper le aree periferiche, per le note insufficienze di infor-mazione.

Gli strumenti che ci può offrire la socio-linguistica,relativamente al problema del contatto fra lingue, ciindicano come campo di osservazione i fenomeni e leforme di interferenza con i conseguenti mutamenti cheavvengono nei significati e nei significanti e nelle rela-zioni di solidarietà che legano gli uni agli altri. Appli-cando il metodo a uno dei campi di interesse dell�ar-cheologia, la storia dell�arte, dovremo vedere, con unprocedimento inizialmente del tutto empirico, l�entitàdelle interferenze (ravvisabili negli oggetti artisticiimportati o nei fatti di stile �stranieri�), la loro funzio-nalità nel sistema che le riceve, la loro eventuale conte-stualità con altri tipi di interferenza, le ragioni che nehanno causato l�integrazione. I motivi del prestito les-sicale, ad esempio, vengono ricercati nell�esigenza didesignare nuove realtà extralinguistiche che entranonella cultura ricevente, ma anche nella maggiore o mino-re stabilità di determinate parole nell�uso concreto dellalingua e cosí via: da una parte, cioè, ci sono gli stimoliesterni che condizionano il prestito, dall�altra le �defi-cienze� strutturali che lo favoriscono.

Da un punto di vista antropologico il fenomenopotrebbe essere descritto nello stesso modo. A contattoavvenuto, i prestiti potrebbero coprire un settore che

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presenta carenze interne al sistema stesso, mentre l�as-senza di interferenze dovrebbe imputarsi alla stabilitàdel sistema ricevente in quel determinato settore.

Pur se ridotta nelle sue linee piú semplici, questa è lavisione asettica di certa linguistica e antropologia statu-nitense degli anni �5074, nella quale, dominando l�ap-proccio sincronico e descrittivo, il fenomeno dell�accul-turazione si riduceva all�individuazione dei tratti distin-tivi che venivano a sostituirsi, nel sistema in esame, acontatto avvenuto. Visione che risulta del tutto insod-disfacente perché parte da premesse ideologicamentenon accettabili circa l�esistenza di zone �deboli� nell�am-bito di culture autonomamente vitali e che trascurano lecause interne al fenomeno, evitando di approfondirequanto, a livello di strutture produttive o di rapporti diproduzione, possano aver agito gli stimoli esterni.

Se vogliamo verificare il problema del �contatto� nellastoria dell�arte, se vogliamo cioè comprendere i motiviprofondi di un mutamento nella cultura figurativa, lanatura stessa delle fonti a disposizione ci obbligherà inun primo momento a limitare il nostro campo d�indagi-ne agli aspetti formali, ma dovremo poi modificare il tironel distinguere i livelli in cui il mutamento ha una suafunzionalità e giungere anche a determinare quali rap-porti si pongano fra il complesso dei mutamenti sopra-strutturali e la struttura sottostante. In altri termini «latrasformazione è subordinata a una struttura che dob-biamo cercare di scoprire»75.

1 n. himmelmann, Utopische Vergangenheit. Archäologie und moder-ne Kultur, Berlin 1976.

2 Sul gusto �archeologico� del Pollaiolo si veda a. chastel, Art etHumanisme à Florence au temps de Laurent le Magnifique. Études sur laRenaissance et l�Humanisme platonicien, Paris 1959 (cito dalla trad. it.,Torino 1964, pp. 68 sg.). Non v�è dubbio che l�affresco fiorentino ripe-

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ta piú che le pitture degli ipogei tarquiniesi, non ancora conosciuti,esperienze della ceramica greca di età classica a figure rosse, nella qualepotevano essere riconosciuti gli esiti di quella �linea funzionale� attri-buita a Parrasio di cui si poteva leggere nel famoso passo di Plinio ilVecchio (Naturalis historia XXXV 67-68).

3 g. vasari, Le vite dei piú eccellenti pittori, scultori e architettori, Vitadi Andrea da Sansovino, Milano 1963, IV, p. 203.

4 Cfr. Pelagio Palagi artista e collezionista, catalogo della mostra,Bologna 1976, pp. 120 sgg. e 292 sgg. La definitiva attribuzione alleofficine ateniesi di gran parte della ceramica figurata avvenne infattiper merito di E. Gerhard (Rapporto intorno i vasi volcenti, in «AnnaliInstituto Corrispondenza Archeologica», iii [1831], pp. 5-218).

5 Cfr. già m. pallottino, Civiltà artistica etrusco-italica, Firenze1971, pp. 46-53.

6 quintiliano, Institutio oratoria XII 10.1.7 Ibid. XII 10.7.8 g. becatti, Arte e gusto negli scrittori latini, Firenze 1951, pp. 181

sgg. e h. jucker, Vom Verhältnis der Römer zur bildenden Kunst der Grie-chen, Bamberg 1950, pp. 130 sgg.

9 strabone, XVII 1.28.10 Questa fu ad esempio la sorte, dopo l�incendio del 31 a. C., delle

pitture del tempio di Cerere, Libero e Libera, eseguite da Damofilo eGorgaso, artisti magnogreci (?), attorno al 493 a. C. (plinio, Naturalishistoria XXXV 154).

11 o. vessberg, Studien zur Kunstgeschichte der römischen Republik,Lund-Leipzig 1941, pp. 82 sgg.

12 jucker, Vom Verhältnis der Römer cit ., pp. 118 sgg.13 vasari, Vite cit., Proemio, Milano 1962, I, pp. 169 sg.14 l. b. alberti, De re aedificatoria VIII 3 e Filarete�s Treatise on Archi-

tecture, a cura di J. R. Spencer, New Haven - London 1965, I, p. 14.15 a. s. weller, Francesco di Giorgio, Chicago 1943, p. 267 (Uffi-

zi, Dis. arch. n. 335v).16 m. martelli, Un disegno attribuito a Leonardo e una scoperta

archeologica degli inizi del Cinquecento, in «Prospettiva», x (1977), pp.58 sgg.

17 m. pallottino, Vasari e la Chimera, in «Prospettiva», viii (1977),pp. 4-6.

18 chastel, Art et Humanisme cit., pp. 70 sg.19 Su questi problemi g. cipriani, Il «mito» etrusco nella Firenze

repubblicana e medicea, in «Ricerche storiche», V (1975), pp. 257-309.20 Cosí a. fabroni, Magni Cosmi Medicei Vita, Pisae 1789, p. 153.21 e. gombrich, The Early Medicis as Patrons of Arts: a Survey of Pri-

mary Sources, in Italian Renaissance Studies, a cura di E. F. Jacob, Lon-don 1960, pp. 279 sgg.

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22 aa.vv., Il tesoro di Lorenzo il Magnifico, I: Le gemme, II: I vasi,Firenze 1973-74.

23 e. müntz, Precursori e propugnatori del Rinascimento, Firenze1902, pp. 142 sg.

24 Cfr. e. fiumi, in Urne volterrane 2. Museo Guarnacci, parte I,Firenze 1977, p. 17, nota 1.

25 g. susini, Sul luogo di rinvenimento dell�Arringatore, in «Archeo-logia classica», xvii (1965), pp. 141 sgg.

26 e. müntz, Les collections d�antiques formées par les Médicis au XVIe

siècle, in «Mémoires de l�Académie des Inscriptions et Belles Lettres»,xxxv (1895), pp. 130 sgg.

27 vasari, Vite cit., Vita di Battista Franco, Milano 1964, VI, p. 425.28 Il termine, ripreso da un verso di Ennio, è in effetti osco.29 Per le vicende dell�opera fino alla sua edizione a stampa cfr. d.

moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana, Firenze 1805, I, pp.319 sg. Sulla vita del Dempster cfr. h. bradley, in Dictionary of Natio-nal Biography, V, London 1908, pp. 785-90, s. v. Dempster Thomas. SuThomas Coke si veda w. c. hassal, Portrait of a Bibliophile, ThomasCoke, Earl of Leicester 1697-1759, in «The Book Collector», viii (1959),pp. 249 sgg.

30 Giovanni Nanni da Viterbo che, nei suoi Antiquitatum variarumvolumina XVII, pubblicati a Roma nel 1498, inaugurò nella cultura ita-liana l�atteggiamento �filoetrusco� (cfr. r. weiss, Traccia per una bio-grafia di Annio da Viterbo, in «Italia medievale e umanistica», v (1962),pp. 425-41).

31 Il saggio uscí nel 1785 in inglese a Roma (Preliminary Account ofthe Sculpture of the Ancients and their various Styles) e fu poi introdot-to nel II volume del Saggio di Lingua Etrusca (Roma 1789). Nel 1824F. Inghirami ne pubblicò un�edizione con alcune illustrazioni (PoligrafiaFiesolana).

32 Si vedano, comunque, le informazioni contenute in e. w. coch-rane, Tradition and Enlightenment in the Tuscan Academies. 1690-1800,Chicago 1961, pp. 157-205.

33 La citazione è tratta dalla traduzione italiana di C. Fea, Roma1782, vol. II, p. 169.

34 Si prendono qui in considerazione i seguenti studi: De fabularumreligionumque graecarum ab Etrusca arte frequentatarum naturis et caus-sis, in «Novi Commentarii Societatis Regiae Scientiarum Gottingen-sis», iii (1772), pp. 32-55; Monumentorum Etruscae artis ad genera suaet tempora revocatorum illustratio, ivi, iv (1773), pp. 65-88 e Monu-mentorum Etruscae artis ad genera sua et tempora revocatorum illustratio.Specimen alterum idque recentiorum, ivi, v (1774), pp. 37-52.

35 Su Heyne cfr. w. schiering, in Allgemeine Grundlagen der Archäo-logie, a cura di u. hausmann (Handbuch der Archäologie), München

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1969, pp. 34 sgg. Sulle collezioni dell�Università di Gottinga ai tempidi Heyne cfr. r. horn, in «Archäologischer Anzeiger», 1967, pp.390-400.

36 a. c. p. de Caylus (1692-1765), considerato generalmente un pre-cursore del Winckelmann, del quale non possedette certamente la sta-tura, pubblicò un Recueil d�antiquités nel quale riuní molte illustrazio-ni di opere antiche. Da lui parte la prima distinzione fra arte egizia,etrusca e greca che influenza in particolare l�ambiente romano dovescrisse le proprie opere G. B. Piranesi, amico del cortonese R. Venu-ti, uno dei fondatori dell�Accademia etrusca di Cortona. Sul problema,ad esempio, r. wittkower, Piranesi�s «Parere su l�architettura», in«Journal of the Warburg Institute», ii (1938-1939), pp. 167 sgg.

37 De fabularum cit., pp. 34 sg.38 Cfr. Storia dell�arte nell�antichità, trad. it. Torino 1961, p. 113.39 Monumentorum... Specimen alterum cit., p. 43.40 Su Heyne si vedano piú recentemente l. marino, I maestri della

Germania. Göttingen 1770-1820, Torino 1975, pp. 254 sgg. e m. cri-stofani, Winckelmann, Heyne, Lanzi e l�arte etrusca, in «Prospettiva»,iv (1976), pp. 16 sgg.

41 Cfr. i Corollarj, in Saggio di lingua etrusca, II, Firenze 18242, pp.103-210 (1a ed. 1789), oltre alle Notizie preliminari circa la scoltura degliantichi (1785) citate prima.

42 Saggio di lingua etrusca cit., p. 144.43 Notizie cit., p. xiv.44 Sul Winckelmann e sulla posizione di Heyne nell�ambiente acca-

demico di Gottinga è ancora illuminante c. antoni, La lotta contro laragione, Firenze 1942 (cito dall�edizione 1968), pp. 55-73 e 154-56.

45 Sull��etruscheria� non esistono ancora indagini complessive. Solocenni possono essere trovati in p. ducati, Le problème étrusque, Paris1938, pp. 28 sgg. e in r. bloch, Le XVIII siècle et l�Étrurie, in «Lato-mus», xvi (1957), pp. 128-39. Si veda poi cochrane, Tradition cit., pp.157-205. Di un certo interesse rimangono le osservazioni di c. justi,Winckelmann und sein Zeitgenossen, Köln 1956, II, pp. 299 sgg. Recen-temente, sul metodo di lavoro del �padre� dell�etruscheria, A. F. Gori,cfr. g. cruciani fabozzi, Le «antichità figurate etrusche» e l�opera di A.F. Gori, in Kunst der Barock in der Toskana, Studien zur Kunst unter denletzten Medici, München 1976, pp. 275-88.

46 Cfr. a. momigliano, Ancient History and Antiquarian, in Contri-buto alla storia degli studi classici, Roma 1955, pp. 91 sgg.

47 Cfr. g. previtali, La fortuna dei primitivi, Torino 1964, pp. 141sgg.

48 G. Micali (1769-1844) fu autore di L�Italia avanti il dominio deiRomani (1810) e della Storia degli antichi popoli italiani (1832). Sulla suaposizione nella storiografia dell�Ottocento cfr. p. treves, Lo studio del-

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l�antichità classica nell�Ottocento, Milano-Napoli 1962, pp. x sgg. e 304sgg.; sulla fortuna della sua opera in Europa cfr. j. heurgon, La décou-verte des Étrusques au début du XIXe siècle, Lécture, Académie desInscriptions et Belles Lettres, Paris 1973. Si veda ora m. pallottino,Sul concetto di storia italica, in L�Italie préromaine et la Rome républi-caine, II, Roma 1976, pp. 771-77.

49 L�Italia avanti il dominio dei Romani cit., II, pp. 158 sg.50 L�art étrusque, Paris 1889, p. 612.51 k. o. müller, Die Etrusker, Breslau 1828; nel 1877 uscí un�edi-

zione dell�opera riveduta da W. Deecke; si dispone ora di un�edizioneanastatica curata da A. J. Pfiffig, Graz 1965.

52 k. o. müller, Die Etrusker, Stuttgart 18772, p. 227.53 t. mommsen, Römische Geschichte, I, trad. it. Milano 1962, p.

303.54 Se ne vede un�illustrazione in g. q. giglioli, L�arte etrusca, Mila-

no 1935, tav. cxvi, 1. 55 Su H. Brunn si vedano r. bianchi bandinelli, in «La critica d�ar-

te», ii (1937), pp. 96 sgg. e schiering, in Allgemeine Grundlage derArchäologie cit., pp. 78 sgg.

56 «Annali dell�Instituto», xxxi (1859), p. 32557 Il giudizio è contenuto nella voce Etrusker, vol. VI, 1907, p. 759.58 Cosí a. della seta, Italia antica, Bergamo 19282, p. 307.59 g. von kaschnitz-weinberg, Studien zur etruskischen und frührö-

mischen Porträtkunst, in «Römische Mitteilungen», xli (1926), p. 157.60 Cfr. soprattutto, al proposito, c. anti, Il problema dell�arte itali-

ca, in «Studi Etruschi», iv (1930), pp. 151 sgg.61 Citato da p. ducati, Storia dell�arte etrusca, Firenze 1927, p. 10.62 Citazioni da giglioli, L�arte etrusca cit., p. xiii.63 Storicità dell�arle classica, Firenze 19502, pp. 125-26 (dal saggio

Palinodia del 1941). 64 m. pallottino, Sul problema delle correlazioni artistiche fra Gre-

cia ed Etruria, in «La parola del passato», xiii (1950), pp. 1 sgg.65 a. boëthius, Riflessioni sul problema dell�arte periferica, in Atti del

I Congresso di preistoria e protostoria mediterranea, Firenze 1952, pp. 410sgg.

66 t. dohrn, Grundzüge etruskischer Kunst, Baden-Baden 1959.67 m. pallottino, Per una nuova prospettiva della storia dell�arte anti-

ca, in «Archivo de Prehistoria Levantina», iv (1953), p. 271.68 r. bianchi bandinelli, in r. bianchi bandinelli e a. giuliano,

Etruschi e Italici prima del dominio di Roma, Milano 1973, p. 367.69 Su questi problemi si può vedere la mia breve sintesi in Enciclope-

dia universale dell�arte, volume di supplemento (1978), s. v. Archeologia.70 Si veda ad esempio Models in Archaeology, a cura di D. L. Clark,

London 1972.

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71 j. deetz, Invitation to Archaeology, New York 1967, pp. 83 sgg.e a. carandini, Archeologia e cultura materiale, Bari 1975, pp. 41 sgg.

72 p. bruneau, in «L�antiquité classique», xliv (1975), pp. 425 sgg.73 s. gruzinski e a. rouveret, in «Mélanges de l�École française

de Rome. Antiquité», lxxxvi (1976), pp. 161 sgg.; m. cristofani, in«Prospettiva», vii (1976), pp. 2 sgg.

74 Sui rapporti fra lingue cfr. u. weinreich, Lingue in contatto, trad.it. Torino 1974; sul concetto di acculturazione cfr. v. lanternari,Antropologia e imperialismo, Torino 1974, pp. 5 sgg.

75 e. balibar, in l. althusser e e. balibar, Leggere Il capitale, Mila-no 1968, pp. 294 sgg.

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Capitolo secondo

Il retaggio protostorico e l�influenza dell�arteorientale

1. L�età protostorica.

La distribuzione di insediamenti primari della primaetà del ferro in quel territorio che Augusto compresenella regio VII, l�Etruria, riconoscendole implicitamen-te un carattere etnico unitario, trova precise rispon-denze in quei siti nei quali si svilupperanno in seguitole grandi città etrusche. Si può dire, cioè, che nelle suegrandi linee e, in particolare, per quanto concerne i cen-tri piú importanti (Veii, Caere, Tarquinia, Vulci, Vetu-lonia), la poleografia dell�Etruria è già formata attornoal ix secolo a. C.

L�analogia della situazione geomorfologica apparestringente: si tratta di insediamenti di �promontorio�,che sfruttano ampi ripiani tufacei situati alla confluen-za di valli di erosione fluviale, dominanti bacini fluvialio lacuali. La distribuzione delle aree occupate da capan-ne permette di riconoscere differenti aggregati i quali,pur se complementari nell�ambito dell�insediamento,sembrano utilizzare zone distinte per l�abitato. Entroil perimetro della platea tufacea venivano a essere com-prese vaste aree libere che non solo dividevano i variaggregati, per i quali è da supporre pertanto una vitarelativamente autonoma, ma dovevano essere utilizza-te anche per attività primarie, quali l�agricoltura o l�al-levamento del bestiame1. Al di fuori di esso, nelle col-

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line circostanti, venivano scelti gli spazi da adibire anecropoli.

Questo tipo di stanziamento differisce notevolmen-te dalla situazione degli insediamenti che conosciamonell�età del bronzo finale: il concentramento demogra-fico in un�area che diverrà in un secondo tempo un cen-tro urbano può far sorgere il sospetto che ci troviamo difronte a uno stadio iniziale e preparatorio di quella chesarà la vera e propria urbanizzazione.

Il caso di Veii, centro nel quale è stata possibileun�analisi del genere, può risultare indicativo in que-sto senso. Nell�età del ferro il luogo che sarà riservatoallo sviluppo della città è perimetrato da villaggi la cuipresenza condizionerà poi il futuro piano urbano2.Questo modello, applicato alle altre città etrusche,stando per lo meno ai soli aggregati cemeteriali extraur-bani oggi apprezzabili, non presenta variazioni di rilie-vo: a Caere, Tarquinia, Vulci e Vetulonia le necropo-li dell�età del ferro utilizzano zone distinte, situateattorno alla piattaforma nella quale si svilupperà lacittà, ognuna delle quali pertinente forse a uno degliaggregati capannicoli.

La formazione di questi insediamenti costituisce ilfatto certamente piú importante della storia dell�Italiatirrenica: essi sembrano sorgere nei rispettivi siti inmodo del tutto improvviso, come conseguenza di unascelta piuttosto precisa, dettata probabilmente dalla fun-zione che, nell�ambito di nuove strutture produttive,dovevano assolvere i centri protourbani. L�aspetto cul-turale immediatamente precedente quest�epoca, il �pro-tovillanoviano� risalente all�età del bronzo finale (xii-xsecolo a. C.), è documentato in aree situate per solito inluoghi montani, che mostrano, alla fine della loro sto-ria, tracce di distruzione o di abbandono. Nel com-prensorio dei Monti della Tolfa, che ha restituito un abi-tato, nove necropoli e due importanti ripostigli di mate-

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riali bronzei, fiorito nei secoli attorno al Mille a. C. perlo sfruttamento delle risorse minerarie della zona, ladensità demografica diminuisce sensibilmente proprio incoincidenza con la nascita dei centri villanoviani diCaere e Tarquinia, occupati forse dagli stessi abitanti diquelle comunità, discesi dai monti3. Nella media valle delFiora le ricerche compiute recentemente hanno messo inluce, in un comprensorio che gravita attorno al corso delfiume, separato dal lago di Bolsena dalla Selva del Lamo-ne, una serie di necropoli, di abitati all�aperto e di altu-ra � quest�ultimi circondati da muraglioni difensivi � cherisalgono all�età del bronzo finale: si tratta di nuclei chesembrano far capo a un centro primario, probabilmen-te situato in un abitato di altura, al quale pertengono lesepolture coperte da tumuli di pietra, indicanti forseseppellimenti di �capi�4. A Luni sul Mignone, nell�en-troterra di Caere, è stato scoperto su un ripiano roccio-so un edificio monumentale (m 17,30 x 9,10), il cui pavi-mento è scavato nella roccia, realizzato nell�alzato conpali e frasche, che doveva fungere forse da �residenza�aristocratica; anche quest�edificio, nel quale la cerami-ca rinvenuta presenta le caratteristiche tipiche della cul-tura protovillanoviana, la vita cessa bruscamente, con unincendio, agli inizi dell�età del ferro, quando nascono iprimi insediamenti lungo la costa5.

L�abbandono delle sedi montane, la scelta di areecon ampi spazi per l�attività agricola, vicine a quelle vienaturali di transito che sono i percorsi di crinale, com-porta l�inizio di un nuovo tipo di attività per la qualefacilità di comunicazioni, sia verso il mare, sia verso l�in-terno, e spazi per coltivazioni piú pregiate che si aggiun-gono ai cereali e ai legumi, in particolare la vite, diven-tano uno scopo primario: è forse il caso di ricordare cheorzo, legumi e acini di uva sono stati rinvenuti fra i restidi banchetti funerari nelle tombe del Foro Romano e siaggiungono al farro o alla veccia, che necessitano di

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minori cure nella coltivazione, già riscontrati negli inse-diamenti protovillanoviani6.

Nettamente differente appare la situazione di alcunecittà del Lazio (quali Roma, Ardea, Narce), dove è statopossibile invece rilevare una continuità di insediamen-to tra l�età del bronzo e l�età del ferro: qui si assiste,infatti, a una lenta trasformazione di centri nei quali l�i-dea urbana si afferma gradatamente attuandosi con laprogressiva estensione di nuclei di capanne o con lafusione dei diversi aggregati7.

Le necropoli delle future città etrusche nella primaetà del ferro ci forniscono elementi per individuare unastruttura sociale poco differenziata, a carattere plurifa-miliare, nella quale la distribuzione della ricchezza nonpresenta notevoli divari. Le tombe di incinerati, di tipoindividuale, con un corredo limitato ad alcuni ogget-ti-tipo (l�ossuario e alcuni vasi d�impasto, pochi oggettidi bronzo pertinenti all�uso personale o all�abbiglia-mento) dovrebbero attestare una società senza classi,nella quale il gruppo plurifamiliare o il clan rappresen-ta la comunità d�origine; l�unica differenza socialedovrebbe essere costituita dalla posizione eminente cheassume il capoclan o pater familias, mentre le forme diproduzione dovrebbero avere come fine il manteni-mento della comunità medesima, non le eccedenze, senon quando queste vengono utilizzate per lo scambiocon altre comunità.

L�attività �artistica� ha in un contesto del genereancora uno scopo eminentemente pratico, non edoni-stico. Nell�ambito del gruppo plurifamiliare la produ-zione ceramica è ancora un�attività domestica, che vienetrasmessa di generazione in generazione, conservando icaratteri tipici di una tradizione che ha radici in epocheprecedenti. Urne, ciotole, bicchieri, tazze, piatti sonorealizzati in un�argilla in impasto nera o bruna, poco

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depurata, lucidata alla stecca e decorata con impressio-ni o incisioni effettuate prima della cottura, spesso riem-pite di sostanze coloranti, o, assai piú raramente, conlamelle metalliche applicate. I motivi ornamentali rien-trano nel patrimonio decorativo geometrico e compren-dono fasce di linee spezzate e meandri, angoli, svastiche,triangoli pendenti, cerchi, punti e rosette impressi. Laderivazione di questi motivi dalla ceramica dell�età delbronzo finale sembra abbastanza chiara: in questo perio-do però la decorazione assume un carattere piú ricco, èquasi finalizzata a sottolineare la morfologia dei vasi,senza un rigore di �scuola� (come accade nella ceramicagreca geometrica), ma piuttosto con una «tendenzialeaspirazione all�organicità» (Mansuelli). Un aspetto deltutto peculiare è costituito dall�applicazione di elemen-ti plastici, che caratterizzano per solito la decorazionedelle urne a capanna; nel tetto viene infatti realizzata inrilievo e a tutto tondo la disposizione dei pali sugli spio-venti e il loro intreccio, sul culmine, crea un motivo dicoppie falcate o cornute.

La produzione di oggetti di bronzo non doveva esse-re invece demandata a quelle forme di artigianato para-domestico che costituivano l�arte vasaria. La posizionedel metallurgo, produttore di beni di maggior pregio, erafin dall�età del bronzo diversa: gruppi o persone specia-lizzate nella tecnologia dei metalli, inizialmente ambu-lanti, possono in un secondo momento essersi stanziatiin un centro. La produzione tende a organizzarsi seguen-do �mode� locali o regionali: gli oggetti di uso o di orna-mento personale come fibule, rasoi, catenelle, pendaglie, piú raramente, spade con fodero laminato, sono fusio martellati, decorati da incisioni o da motivi punzona-ti. Nel settore delle fibule sembra variare maggiormen-te la tipologia, che dimostra l�alto grado di perfezionetecnica raggiunto, mentre l�aspetto decorativo rimaneancora limitato al repertorio geometrico.

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Fanno eccezione alcuni foderi di spada decorati aincisione, rinvenuti a Tarquinia, Vulci e Pontecagnano,dove, entro riquadri divisi da elementi geometrici, sonoraffigurate scene di caccia nelle quali sono impegnatiguerrieri con arco e frecce, assistiti da cani; in un rasoioda Vetulonia l�arciere insegue addirittura un branco diquattro cervi. Si tratta dei primi tentativi di narrazio-ne, stilisticamente a livello di vignetta infantile, ai qualiandrà riconosciuto un valore fondamentalmente deco-rativo, diverso da quello magico-rituale che intervieneinvece nelle ornamentazioni plastiche degli arredi fune-rari, dove si scorgono a volte rari accenni antropomor-fici. Vere e proprie statuette di argilla eseguite a manolibera, rinvenute in alcune tombe del Lazio, indicanoinfatti una precisa tendenza evocativa, che vuol resti-tuire al defunto l�integrità fisica che il rito funerariodella cremazione aveva cancellato.

2. Gli inizi dell�artigianato artistico.

L�aspetto fondamentalmente statico della prima etàdel ferro muta nel corso dell�viii secolo a. C., quando imateriali rinvenuti nelle necropoli documentano unaserie di trasformazioni culturali.

La ceramica greca geometrica rinvenuta in discretaquantità soprattutto a Veii, databile nella prima metàdell�viii secolo, le prime paste vitree, diffuse un po�ovunque, una coppa in bronzo fenicia con decorazionesbalzata, in un corredo tombale di Vetulonia della metàdell�viii secolo a. C., sono le testimonianze piú eviden-ti dell�avvenuto contatto con la cultura dei coloni greciche giungono dall�isola di Eubea nel bacino del Tirreno.Il rifornimento di materie prime fu uno dei motivi prin-cipali della prima colonizzazione greca in Occidente cheportò i navigatori-commercianti a frequentare quei cen-

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tri del Lazio e della Toscana che disponevano di giaci-menti minerari. Nel primo stanziamento euboico in Ita-lia, l�isola d�Ischia, le scorie e il ferro allo stato natura-le, scarti dell�attività siderurgica, rinvenuti negli scari-chi dell�acropoli, risultano infatti ematite dell�Elba8.Uno dei primi risultati di questo contatto, stando aicontesti tombali, dovette consistere nello scambio dibeni, fatto che già di per sé dovette comportare unprimo cambiamento all�interno delle strutture econo-miche. Nelle comunità si dovette acquisire gradatamentela cognizione del valore dei minerali, in particolare delferro usato per attrezzi agricoli, proprio per la richiestache veniva progressivamente aumentando. La naviga-zione dei Greci lungo le coste, fino alle zone minerarie,dove avveniva lo scambio, deve aver favorito nei centricostieri, dalla foce del Tevere fino a Populonia, formedi prelievo che venivano effettuate nei confronti deimercanti-navigatori mediante attività �predatorie� oforme di pedaggio che potevano garantire il prosieguodel viaggio fino alle zone minerarie.

Il contatto con genti culturalmente differenti, orga-nizzate secondo un modello eroico-oligarchico, guerrie-ro, come quello euboico, nel quale il commercio costi-tuiva una delle attività fondamentali, avrà comportatonella società �tradizionale� dell�età del ferro, a strutturedi parentela, una prima trasformazione, con la conse-guente rottura dell�equilibrio comunitario. Di fronte aiGreci, che non giungeranno mai a impiantare colonie inEtruria, si saranno opposte resistenze di varia natura,non tali, comunque, da evitare una prima diversa distri-buzione della ricchezza e la conseguente differenziazio-ne delle classi sociali9.

La cronologia varroniana della fondazione di Roma,il 753 a. C., risulta cosí emblematica anche per gli altricentri della costa tosco-laziale: l�influenza di aspetti cul-turali del mondo greco si manifesta infatti nella succes-

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siva acquisizione del modello della pólis (da intendersicome centro di organizzazione politica, sociale ed eco-nomica) che viene accolto dalle comunità etrusche. Siassiste allora a una progressiva, anche se non contem-poranea, aggregazione demografica proprio in quegliinsediamenti primari scelti, non a caso e già in prece-denza, in posizioni difese naturalmente, ma vicini a per-corsi facilmente frequentabili. Nascono di conseguenza,proprio in quest�epoca, problemi di conquista dei terri-tori viciniori, da utilizzare anche per le attività econo-miche secondarie.

L�esempio di Roma può essere utile per comprende-re in quale modo sia avvenuto il processo di poleogene-si. Gli studi piú recenti, liberandosi dalla suggestioneche ha esercitato e tuttora esercita la storia successivadi questa città, hanno chiaramente evidenziato come,durante la monarchia, Roma risultasse perfettamenteintegrata nel contesto culturale dell�area tosco-laziale10.I fondi di capanna scoperti sul Palatino, nelle due distin-te zone del Palatium e del Germalus, fanno presumereche tutta la sommità del colle fosse abitata sia nel ix chenell�viii secolo a. C. e che gli abitanti utilizzassero comearea cemeteriale la zona ai piedi del colle, che fu poioccupata dal Foro. Necropoli contemporanee, situateinvece ai piedi del Quirinale e dell�Esquilino, dovreb-bero appartenere ad abitati autonomi, da localizzare suirispettivi colli. Pur se diversa nei suoi connotati morfo-logici, la situazione appare simile a quella dei centrietruschi: villaggi separati, difesi naturalmente, ma inse-riti in uno stesso comprensorio, dovevano essere coin-teressati ai traffici che si svolgevano lungo il Tevere,soprattutto in quella zona prossima all�isola Tiberinadove sorse poi il Foro Boario, area riservata al mercato.L�estensione dell�area abitata, dal Palatino verso il Foro,alla fine dell�viii e nella prima meta del vii secolo a. C.,fa supporre che il momento di una prima urbanizzazio-

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ne del sito, in quella che sarà l�area della futura Roma,era già iniziato.

Le attuali tendenze della critica alla storiografia anti-ca, superando l�ipercriticismo dell�età positivistica,accettano la verosimiglianza storica di alcuni personag-gi della Roma di età regia. Proprio al terzo re di Roma,Tullio Ostilio, la tradizione annalistica fa risalire gliscontri piú sanguinosi con le popolazioni albane, che cul-minano con la distruzione di Albalonga. Dietro gli even-ti leggendari si possono intravvedere fatti specifici di uncerto interesse: ad esempio, una prima organizzazionedelle forze militari, impegnate nelle lotte con gli abitantidelle zone circostanti, che comportarono la distruzionedi centri preesistenti. Di contro l�evidenza archeologi-ca ci mostra che il sito di Albalonga, l�odierna CastelGandolfo, cessa di vivere nella prima metà del vii seco-lo a. C., mentre le prime armature complete in bronzo(pettorali, elmi, spade), forse importate dall�Etruria,appaiono per la prima volta verso gli ultimi decenni del-l�viii secolo a. C.11.

Nelle sue linee portanti uno sviluppo di questo gene-re può essere attribuito anche ai centri etruschi. Anali-si recenti sulle forme e sui modi del popolamento nel-l�Etruria meridionale interna hanno portato a risultatipiuttosto interessanti per la loro analogia: le comunitàdella prima età del ferro, che si trovavano stanziate inluoghi favorevoli per lo sviluppo economico, sia pressole grandi vie di comunicazione, sia presso il lago di Bol-sena, in abitati aperti, sembrano costrette a cambiaresede, rifugiandosi nei luoghi montani che erano già statioccupati nella tarda età del bronzo12.

I centri primari accolgono ora anche la popolazionesparsa nelle campagne e subiscono un incremento demo-grafico. Nelle necropoli si distinguono le prime tombearistocratiche nelle quali il ruolo dei personaggi social-mente eminenti non si avverte solo per la presenza di

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armi �da parata�, ma anche per un primo accumulo dibeni suntuari, anche stranieri; né sono da meno le tombefemminili, dove abbondano oggetti di abbigliamento(cinturoni, armille, spirali per capelli), �servizi� da tavo-la in bronzo, o gruppi di vasi potori di importazionegreca. A Veii, Tarquinia, Vulci, Bisenzio, Vetulonia,emerge ora una classe sociale i cui bisogni condizionanola stessa attività artigianale13.

Gli scavi compiuti recentemente a Eretria, nell�isola diEubea, hanno rivelato che l�Etruria e il Lazio, tramite icoloni di Ischia e di Cuma, acquisiscono un tipo di cera-mica prodotta in serie nelle officine euboiche: inizial-mente le importazioni riguardano coppe di modestedimensioni ma, in seguito, verso lo scorcio dell�viii seco-lo a. C., giungono prodotti ceramici di pregio, di notevoleimpegno decorativo, nei quali alla funzione del vaso digrandi dimensioni, quella cioè di contenitore per liquidi,si aggiunge il connotato proprio della sfera del �presti-gio�14. L�incremento della richiesta di questo genere diceramica comporta, a livello locale, la nascita di un arti-gianato di imitazione che impiega tecniche piú raffinate:la depurazione dell�argilla, gli accurati procedimenti dicottura, la decorazione ottenuta mediante colori minera-li, si diffondono rapidamente favorendo lo stanziamentodi botteghe artigiane specializzate nei centri primari. Alleimitazioni di tazze con semplici motivi geometrici sulcorpo, compresi in una metopa, seguono vasi di grandidimensioni, derivati direttamente dai prototipi euboiciimportati, nei quali la decorazione si dispone in zoneorizzontali, piuttosto fitte, ripetendo alcuni motivi giànoti nella locale ceramica d�impasto. Si introducono peròanche elementi figurativi nuovi, quali uccelli, grandi roso-ni con petali a punta, derivati direttamente dal reperto-rio tardo-geometrico greco. Tecniche particolari, come ladecorazione bicroma, in rosso e nero alternati, forse di

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ascendenza cipriota, si aggiungono alla piú semplice deco-razione con vernice nero-bruna applicata sul fondo chia-ro del vaso. Solo raramente entrano nel repertorio le figu-re umane: un�eccezione è il cratere su alto piede da Bisen-zio il cui ordito decorativo presenta al centro una serie difigurine allacciate, chiaramente ispirata alla tradizionefigurativa del geometrico greco15.

La distribuzione territoriale di queste ceramiche,lavorate al tornio, sottoposte pertanto a una routineartigianale specializzata, indica che i centri nei quali sistanziano le prime botteghe devono localizzarsi nell�E-truria costiera meridionale, zona nella quale il contattocon i coloni greci doveva essere piú diretto e frequente.

La ceramica d�impasto locale sviluppa contempora-neamente nuove forme e si arricchisce nella decorazio-ne. Tecniche piú perfezionate, ottenute con impressio-ni di punzoni, con elementi metallici riportati e appli-cati (lamelle plumbee disposte a ornati geometrici, sfe-rette e catenelle di bronzo), rivelano come la produzio-ne piú elaborata dovesse essere in concorrenza con lametallotecnica. A Veii, nel territorio falisco, a Vulci, aBisenzio, le ceramiche di impasto tendono a sviluppareautonomamente alcune decorazioni plastiche, che inte-ressano prevalentemente le anse. Un motivo peculiare ècostituito dalla rappresentazione di un uomo che reggeper le redini due cavalli disposti ai lati: è stato propostoall�origine un modello iconografico della ceramica grecatardo-geometrica, e il parallelo piú esatto può essereriscontrato nella ceramica argiva16, ma la realizzazioneplastica assume propri connotati espressivi. Figure dicavalli contrapposti e scene piú complesse con il �doma-tore� hanno infatti caratteri e contenuti locali se sonorapportati alla concreta situazione sociale della classeemergente: proprio nell�viii secolo si diffondono nelletombe maschili i morsi di cavallo in bronzo17 che costi-tuiscono il �segno�, nei contesti tombali in cui appaiono,

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di un ceto che si contraddistingue per il possesso delcavallo.

Le manifestazioni piú significative di queste tenden-ze si trovano nei vasi configurati ad animale. Si è insi-stito, anche di recente, sull�originalità di queste crea-zioni, che risulterebbero le espressioni di uno stile �pri-mitivo�, non contaminato dalle influenze esterne18.Esclusi dalla dinamica di una produzione in serie, comequella dei vasi geometrici, questi documenti sono inve-ce il risultato di maestranze che operano isolatamente,in una routine paradomestica, e che assumono comesoggetti, per creazioni al di fuori della norma, animalidi allevamento (buoi, suini, anatre).

Anche nella bronzistica si assiste a una ripresa del-l�attività; la decorazione diviene sovrabbondante, la tec-nica della laminatura martellata si affianca a quella del-l�incisione, ornamenti a borchie si dispongono in seriesulle superfici, alternandosi a fasce decorative di moti-vi geometrici incisi. Le tombe aristocratiche contengo-no ora, oltre all�armatura, costituita da elmo, scudo,pettorale, spada corta, anche arredi che connotano ilrango: morsi e finimenti equini, coppe per bere, bor-racce, tripodi, seggi. Riemerge ora, sulla scia di una tra-dizione che probabilmente non si era mai spenta, ladecorazione a borchiette e punti o a incisione che adot-ta un repertorio di motivi geometrici ma anche stilizza-zioni di tipo animalistico, quali le figure di volatili o,ancora, la «barca solare»: anche se questi motivi fannoparte di un repertorio comune all�area danubiano-bal-canica, è anche vero però che trovano precedenti nellatradizione decorativa dell�età del bronzo finale in Italia.Il rapporto con le contemporanee esperienze della cera-mica d�imitazione greca appare invece piuttosto limita-to: le tradizioni decorative si esercitano all�interno dellesingole attività produttive, che condizionano con la lorospecificità le maestranze.

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Le zone che ci restituiscono materiali di questo tiposono sempre le medesime: Veii e l�agro falisco, Tarqui-nia, Vulci e Bisenzio, Vetulonia. Per quanto concerne ilsettore dei bronzi laminati e sbalzati, Veii, Tarquinia eVetulonia sembrano i centri in cui la produzione è piúavanzata. La distribuzione degli elmi crestati, degli scudidi lamina con decorazione sbalzata, dei cinturoni fem-minili, prevede non solo una diffusione all�interno dellaregione, ma anche altrove. Gli elmi crestati si segnala-no in tombe dell�età del ferro di Asti, Verucchio, Capuae Sala Consilina; gli scudi in una ricca tomba di Cumae nel santuario di Zeus a Olimpia; un cinturone provie-ne dall�Eubea19. Si instaurano cioè, per i prodotti deibronzisti, rapporti con comunità abbastanza distantinello spazio che ricevono questi arredi, di tipo suntua-rio, attraverso gli stessi canali di scambio che portava-no in Etruria mercanzie straniere.

Nell�ambiente dei bronzisti, che sembra chiuso aesperienze esterne e che preferisce riabilitare antichetradizioni decorative, forse anche attraverso l�ausilio dimaestranze giunte dall�Europa centrale, è possibile iso-lare alcune tendenze figurative particolarmente vivaci,che si rivelano negli elementi fusi, aggiunti come orna-mento ai recipienti di bronzo laminati. A Vetulonia,centro che in quest�epoca dovette conoscere piú di altrii vantaggi dell�attività estrattiva delle Colline Metalli-fere, questo tipo di decorazione è limitato a temi moltoprecisi: figure di guerrieri (con lo stesso tipo di armi cheritroviamo nei corredi tombali) o di cavalieri, che richia-mano in modo immediato il ruolo sociale occupato dallacommittenza. I tripodi con zampe ornate da figure dicavalieri costituiscono anche un genere di esportazione:ne sono stati rinvenuti esemplari a Tarquinia, Bisenzio,nel Lazio e a Capua20.

Scene di tipo piú complesso sono rappresentate inve-ce su un carrello �rituale� e sul coperchio di un ossuario

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di bronzo scoperti a Bisenzio, nella necropoli dell�OlmoBello. Un vero e proprio brulichio di figurine a tuttotondo, fuse, decora il carrello alla cui base, montatasulle aste orizzontali del telaio, si dispongono gruppidiversi di personaggi; scene di aratura e di caccia, unduello fra guerrieri armati di spada, e, ancora, altri guer-rieri con armi da parata, fiancheggiati da donne e ragaz-zi. Buoi, arieti, capri, uccelli e scimmie sono poi salda-ti tutti intorno al telaio. Gli stessi personaggi (i guerrieri,i cacciatori, una figura di aratore), applicati con chiodi,si dispongono lungo il giro del coperchio bronzeo, ma alcentro troneggia una figura mostruosa, una sorta di�totem� con testa canina. Piú che scene di culto21 questerappresentazioni indicano realisticamente le occupazio-ni fondamentali della società guerriera e agricola che liproduce: stilisticamente l�esito non è diverso da quellodelle figurazioni plastiche che troviamo nella ceramicad�impasto. La tematica già si connette, comunque, a unambiente �eroico�. Il guerriero è seguito da un corteggio(la donna e i bambini), la stessa scena di danza totemi-ca, nella quale è compresa forse la figura di un prigio-niero catturato, ha un valore magico-sacrale: l�attivitàbellica connota dunque la classe sociale cui si indirizza-no queste rappresentazioni. Alla fine dell�viii secolo a.C. i centri etruschi hanno assunto infatti una fisionomianuova: nell�ambito dell�assetto tribale o plurifamiliare inuovi áristoi, che si fregiano di armi come simbolo delproprio status, si sostituiscono all�autorità del pater fami-lias dell�età del ferro. L�esecuzione materiale dei �beni�di cui essi hanno bisogno facilita l�organizzazione diclassi di artigiani differenziate che prima operavanoindistintamente, per soddisfare le semplici esigenze diuna piccola società comunitaria. La tradizione artigiana,assai aperta a influenze straniere nella realizzazione delleceramiche depurate, quando opera su materie di piúantica tradizione, come la ceramica d�impasto o il bron-

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zo, pur potenziando tecnologicamente le proprie espe-rienze, rimane però vincolata a un linguaggio locale,con un�evidente tendenza all�immediatezza figurativa,di tipo �popolaresco�, nel quale la stessa tematica diffi-cilmente si affranca da un repertorio �folcloristico�, dauna simbologia, cioè, che denuncia la sua ascendenzarurale.

Fin da ora, comunque, si distinguono due diversi set-tori della produzione artistica che costituiranno un veroe proprio continuum anche in seguito: quello della cera-mica e quello della bronzistica. Attività legate a una fun-zione �pratica� dell�oggetto figurato, che non costituiscecertamente, in un contesto di questo genere, un aspet-to �minore� delle manifestazioni figurative.

3. L�artigianato artistico nel VII secolo a. C.: i �beni diprestigio�.

Fra la fine dell�viii e gli inizi del vii secolo a. C. l�im-portazione di oggetti orientali di pregio si intensifica: lastessa etichetta di �orientalizzante� data comunementealla cultura etrusca del vii secolo ne è prova. Questioggetti, comunque, rivestendo un prevalente caratteredi bene suntuario, rimangono in fondo ai margini delcontesto culturale locale poiché destinati al consumo diuna ristretta élite.

I calderoni di bronzo con protomi di animali rinve-nuti in alcune tombe di Preneste, Veii e Vetulonia rien-trano in un tipo di produzione estremamente prezioso;nel bacino del Mediterraneo la loro distribuzione inte-ressa fondamentalmente i luoghi di culto in Grecia (isantuari di Olimpia, Delfi, Argo, Atene, Delo e Creta),in Oriente i palazzi imperiali (Nimrud, Karmir-Blur). Irinvenimenti in tombe sono limitati ad aree nelle qualisi distinguono, come in Etruria, piccoli potentati loca-

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li: Gordion in Frigia e Salamina nell�isola di Cipro. Inmodo analogo si pone la questione per gli altri oggettipreziosi. Le coppe d�argento o di bronzo con decora-zione a sbalzo, di produzione fenicia, trovano un�iden-tica distribuzione: in contesti tombali a Preneste, aCaere e a Pontecagnano in Italia, cosí come a Cipro, insantuari in Grecia, in palazzi in Assiria. Anche i pochis-simi avori di stile nordsiriaco rinvenuti a Preneste sonoaffini a quelli rinvenuti nelle tombe di Cipro, nel san-tuario di Hera ad Argo e nei palazzi di Nimrud22.

La presenza di questi oggetti nelle tombe della primametà del vii secolo a. C. documenta quale fosse il poten-ziale economico raggiunto dalle classi dominanti: beniche nella società greca sono patrimonio delle divinitàonorate nei santuari, offerti come dono votivo da comu-nità o da personaggi di rango elevato, rappresentano quiinvece la proprietà di un singolo e nelle tombe vengonodeposti spesso in contenitori appositi (come a Marsilia-na d�Albegna), con lo scopo precipuo di formare un�tesoro�, sia pure con una funzione rituale. L�apparizio-ne di oggetti esotici di lusso, inseriti in un quadro diimportazioni che nella seconda metà dell�viii secolo a.C. comprendeva in prevalenza solo paste vitree e sigil-li, dimostra ora che si è instaurato un flusso di scambinel quale l�oggetto nuovo e prezioso è destinato al cetodegli áristoi. Il carattere allotrio di questi materiali è con-fermato anche dalla presenza di iscrizioni in scrittura ein lingua non etrusche: una coppa fenicia dalla tombaBernardini di Preneste ha un�iscrizione di possesso infenicio, un vaso di bronzo orientale da una tomba diFalerii ha un�iscrizione neobabilonese in carattericuneiformi il cui testo contiene una formula tipica delledediche dei santuari23. La presenza di queste iscrizioni,incomprensibili al di fuori del loro ambito d�origine,indica che gli oggetti erano estrapolati dal loro contestodi appartenenza (un santuario, un �tesoro� personale) e

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venivano inseriti, come beni esotici e di pregio, in un cir-cuito di scambi che comprendeva parte del bacino delMediterraneo: l�atto di appropriazione da parte dei�capi� etruschi poteva riflettere da una parte le loro atti-vità predatorie, di cui si è detto anzi, dall�altra un �com-mercio� che veniva effettuato sotto forma di �doni� ceri-moniali24.

Fra la fine dell�viii e la prima metà del vii secolo a.C. � il cinquantennio che vede l�importazione di questioggetti in Etruria � il ruolo giocato dagli Euboici chegestivano empori commerciali sia in Oriente (adal-Mina, sulle coste fenicie) che in Occidente (a Ischia)viene probabilmente a mutare a seguito delle lotte poli-tiche interne all�isola di Eubea, e della conquista assiradell�emporio di al-Mina25. Intermediaria per il commer-cio di oggetti orientali in Occidente sembra ora la com-ponente fenicia, che continua ad avere ancora una suaautosufficienza ad al-Mina, sia pure sotto il controlloassiro, ma soprattutto a Cipro, dove fiorisce una vivacecomunità di Fenici26. Interrotto in qualche modo il con-tatto con la madrepatria, sono ora i Cumani, coloni ori-ginariamente euboici, ad assumere nei confronti dell�E-truria una sorta di leadership nel settore delle importa-zioni ceramiche27, ma inizia altresí la sua parabola ascen-dente l�influenza dei Corinzi, stimolata nella città grecada una nuova classe di áristoi dedita prevalentemente alcommercio. Si può dire però che anche gli Etruschi, inquesto momento, avevano ormai ottenuto un ruolo nel-l�attività commerciale: navi onerarie e da battaglia,nonostante la loro derivazione da tipi ellenici o orien-tali, sono già fornite, nelle rappresentazioni su cerami-ca locale della prima metà del vii secolo a. C., di un ele-mento come il rostro al quale le fonti letterarie rivendi-cano un�origine etrusca28. C�è forse di piú: nel santuariodi Zeus a Olimpia, come si è visto, sono stati rinvenu-ti quattro scudi di bronzo del tipo a decorazione sbal-

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zata che si ritrova frequentemente nelle tombe �princi-pesche� dell�Etruria costiera fra la fine dell�viii e laprima metà del vii secolo a. C., insieme a oggetti sun-tuari di fabbricazione orientale. Il significato rituale chepoteva assumere un�offerta del genere, alla quale se n�èora aggiunta un�altra, nel santuario di Hera a Samo29,può essere confermato dalle fonti scritte:

Fra i tanti doni votivi che si trovano nel vestibolo deltempio c�è il trono di Arimnestos, che regnò fra i Tirreni efu il primo dei barbari a compiere una donazione nel san-tuario di Zeus a Olimpia 30.

L�offerta di un �trono� può considerarsi pari a quelladi uno scudo, dato che nelle tombe etrusche di tipo�principesco� i seggi a spalliera circolare31 si rinvengonoassieme agli scudi e a quell�insieme di oggetti rituali checonnotano il rango del defunto. È possibile, allora, chei �capi� etruschi avessero un ruolo non solo ricettivo neiconfronti di un�attività di scambio che si svolgeva nelbacino del Mediterraneo e che tentassero, con azionisimili a quella di Arimnestos, di inserirvisi a loro volta.

Questo complesso di contatti provoca profondemodifiche nell�ambiente etrusco-laziale.

Le importazioni dal Vicino Oriente giungono dall�a-rea siriaca e fenicia, mentre piú rare sono quelle assire.

Dalla Siria del Nord proviene un complesso di ogget-ti di diversa natura. Un gruppo di sigilli, rinvenuti a Tar-quinia, Falerii e Vetulonia, è distribuito diffusamenteanche lungo le coste meridionali dell�Asia Minore, delVicino Oriente e a Cipro, nelle isole dell�Egeo e nellaGrecia propria, e, in Italia, nell�area di Sibari, a Ischiae a Cuma32. Alcune coppe sbalzate in bronzo, con deco-razioni a teste femminili, la cui diffusione nel Mediter-raneo interessa l�Asia Minore, Olimpia e Atene, sono

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presenti anche nelle tombe laziali di Preneste e Satrico33.Gli avori con incrostazioni di pietre dure, del tipo rin-venuto a Caere e Preneste, si ritrovano nei santuarigreci, nelle tombe �reali� di Cipro, e, in Assiria, neipalazzi di Zinçirli e Nimrud34. Si tratta di oggetti chenell�area di origine risalgono agli ultimi decenni dell�viiisecolo a. C. e la cui importazione in Etruria, tramite lamediazione greca, sembra oltremodo probabile: la lorocollocazione in tombe risalenti alla prima metà del viisecolo può essere spiegata proprio con il loro carattereprezioso: nel contesto familiare, essi potevano trasmet-tersi oltre una generazione. Ancora dal Lazio proven-gono una patera da una tomba di Capena e un sostegnodi calderone in bronzo con decorazione a repoussé dallatomba Bernardini di Preneste usciti da un�officina orien-tale cui è attribuito anche un famoso pínax offerto comedono votivo a Creta, nel santuario dell�Antro Ideo35.

Prodotti dello stesso periodo, ma di fabbricazioneassira, sono le protomi per calderone, scoperte a Veii,Preneste e Vetulonia, e, con ogni probabilità, anche ilvaso con iscrizione cuneiforme di cui si è detto prece-dentemente36.

A questa ondata di oggetti siriaci si aggiungono mer-canzie di lusso di fabbricazione prevalentemente fenicia.I prodotti della toreutica fenicia rinvenuti a Caere, Pre-neste e Vetulonia, con significative presenze anche nellanecropoli di Pontecagnano in Campania � in prevalen-za brocche e coppe decorate a sbalzo e incisione in mate-riali preziosi �, trovano la loro piú massiccia presenzaproprio a Cipro. C�è dunque da presumere che il disa-stro politico provocato dall�invasione assira nel VicinoOriente abbia creato le premesse per una diaspora dimaestranze siriache e fenicie verso l�Occidente37: unatappa di questo viaggio va ricercata proprio nell�isola diCipro, dove i Fenici si erano stanziati già nel ix secoloe dove la classe aristocratica locale, nonostante il domi-

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nio politico degli stessi Assiri, acquisisce abbondantimercanzie di lusso, come è stato messo in luce da sco-perte recenti. Ma i mercati del Tirreno costituiscono unaltro polo di attrazione e non v�è dubbio che le tecni-che della tradizione orafa siano state importate adIschia, isola nella quale Strabone (Geografia 4.9) ricor-da l�esistenza di chruseîa, ossia di botteghe di orefici, e,di qui, in Etruria38.

Il trasferimento di queste maestranze in Etruria com-porta nel corso della prima metà del vii secolo a. C. nonsolo un cambiamento di tecnologie, ma anche un gra-duale mutamento di stile nella cultura figurativa: nonsono piú determinate influenze orientali, attribuibili allediverse origini degli artigiani, a intervenire con i lorocaratteri specifici nella produzione artistica, quanto piut-tosto un linguaggio figurativamente composito, chericorda l�arte orientale, definendosi in questo modocome �orientalizzante�. Uno stile che influenza anche ladecorazione di materiali tipicamente locali, quali i bron-zi decorati a stampo, la cui tradizione era già iniziata neidecenni finali dell�viii secolo a. C., e in cui gli elemen-ti ornamentali di tipo orientale si aggiungono o si sosti-tuiscono gradatamente a quelli geometrici nel corso dellaprima metà del vii secolo a. C. Il fenomeno è ben avver-tibile anche nelle gioiellerie decorate con la stessa tec-nica: pettorali, diademi, bracciali, brattee che venivanocucite alle vesti, elementi di collana, presentano nelcorso della prima metà del vii secolo schemi iconografi-ci orientali; animali reali e fantastici, motivi come il«signore degli animali», derivati dall�Oriente, si mesco-lano alle prime creazioni iconografiche greche, come lachimera.

Le maestranze orientali rinnovano pertanto il reper-torio decorativo delle officine locali e iniziano in Etru-ria una produzione di beni di lusso che poteva soddisfa-re le esigenze locali: non fu solo la mancanza di una tra-

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dizione artistica stabile a chiamare in questo territorioartigiani immigrati, quanto piuttosto la disponibilità deirecenti áristoi ad accogliere determinati prodotti: il rapi-do incremento della sovraproduzione aveva favorito, inaltri termini, l�emergenza di una classe che era anchedisposta ad acquisire beni di lusso. Le fonti di arricchi-mento che trasformarono quella società comunitaria chesi distribuiva negli aggregati protourbani derivarono pro-babilmente dal progresso dell�attività estrattiva: rame eferro, che si ricavavano in varie zone della Toscana,costituivano la principale fonte di approvvigionamento.La piú pressante richiesta di metalli, iniziata già nellaprima fase della colonizzazione euboica, provocò la cre-scita di questo settore produttivo. Già dall�età arcaica,infatti, presso Campiglia Marittima, esistono le provearcheologiche di un procedimento sia pure embrionale diraffinamento del rame39. Lo sviluppo di questo settoredelle attività permise probabilmente il costituirsi di pic-coli monopoli, soprattutto nei centri marittimi dellaToscana, dove è piú evidente, nella prima metà del viisecolo, il gap fra tombe di ricchi e tombe di poveri. Neicentri dell�Etruria meridionale, dove l�attività estrattivaera assai piú limitata e le fonti di arricchimento deriva-vano da forme di prelievo, si assiste invece, nello stessoperiodo, al tentativo di costituire una sorta di hinterland,emanato direttamente dai centri primari, che forma unfitto tessuto di agglomerati lungo i percorsi interni,distribuiti nelle vie fluviali, dove l�impulso verso le atti-vità agricole sembra predominante. Lo sviluppo di cen-tri primari come Caere, Tarquinia e Vulci, situati in areedistanti dalle zone minerarie, è legato infatti anche anuove forme nelle colture agricole, alcune volte a carat-tere speculativo (come nel caso della vite), che si esperi-scono soprattutto nelle zone maremmane: l�utilizzazionedi manodopera servile da parte degli áristoi, socialmenteormai distinti, dovette comportare, pure in questo set-

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tore, la produzione di eccedenze che furono impiegateeconomicamente anche in quelle forme di scambio cui siè accennato precedentemente40.

A Vetulonia, il centro dell�Etruria tirrenica nel qualel�evidenza archeologica dimostra in modo piú concretoil nuovo tipo di rapporti di produzione che si instauracon l�avvenuto sfruttamento intensivo delle miniere, letombe di famiglia appartenenti al rango piú elevato,vengono distinte da un circolo continuo di pietre chedelimita il tumulo di terra sovrastante. All�interno il cor-redo funerario è deposto in diverse fosse, nelle quali siindividuano come presenze costanti il carro, l�armatura,un lebete nel quale si raccolgono gli oggetti piú prezio-si e la fossa sepolcrale vera e propria, il cui fondo, in uncaso, era addirittura arricchito da un letto di ambra.

Lo studio dei materiali della necropoli vetulonieseindica chiaramente quale fosse il volume dei traffici diquesto centro, dove giungevano materie prime (come l�a-vorio o l�ambra) o oggetti lavorati non solo dalle piú atti-ve botteghe artigiane dei centri dell�Etruria meridiona-le, ma anche dall�Europa centrale, dalla Sardegna, e,sempre attraverso i tramiti tirrenici, dalla Grecia propriae dal Vicino Oriente41. L�utilizzazione delle zone mine-rarie comprese nel territorio provoca anzi, in questafase iniziale, un rapporto fra il centro e le aree di sfrut-tamento che va a tutto vantaggio del primo42. L�attivitàartigianale a Vetulonia sembra interessare in questomomento soprattutto la bronzistica: gli arredi domesti-ci, gli oggetti d�uso, hanno una larga rappresentanzanelle tombe mostrando un�alta specializzazione tecno-logica, ma anche un certo senso decorativo. Le figurinefuse di uomini e scimmie, spesso accomunati nei loroconnotati, ritornano come tema figurativo e con identi-co aspetto formale anche sui pendagli d�ambra, per iquali la funzione ornamentale, oltre che magico-religio-sa, appare molto chiara43.

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Avorio e ambra rinvenuti in blocchetti informi nelletombe vetuloniesi indicano che, accanto alla piú diffu-sa attività dei metallurgi (chalkeutoí), doveva svolgersianche un tipo di artigianato legato all�intaglio di mate-riale come l�avorio, l�ambra, e � presumibilmente � illegno (attività che i Greci attribuivano ai téktones).Anche questi artigiani sembrano impegnati a rappre-sentare un mondo figurativo estremamente limitatonella tematica e nello stile, anch�esso rapportabile a queicaratteri �essenziali� che abbiamo già riscontrato neibronzi di Bisenzio: il richiamo ai bronzetti greci di stilegeometrico che pure è stato fatto, è solo un genericopunto di riferimento44. I prodotti di piú alto artigiana-to artistico sembrano acquisiti nel contesto vetuloniesedalle botteghe che operano nell�Etruria meridionale.Forse l�assetto sociale fortemente gerarchizzato che atte-stano le necropoli di Vetulonia, centro nel quale dovet-te crearsi ben presto un ceto servile che veniva impie-gato nelle miniere, impedí la formazione di botteghe diartigiani liberi, mutuate dal modello greco, che invecesi stanziarono contemporaneamente nell�Etruria meri-dionale.

In gran parte del territorio dell�Etruria meridionaleprevale, come si è detto, una vocazione �agricola�, chesi manifesta soprattutto nella progressiva occupazionedelle zone interne, verso aree traversate da antichi tran-siti che mettevano in comunicazione la costa con l�Ap-pennino. Le strade di penetrazione costituite dall�Albe-gna e dal Fiora vedono in quest�epoca un incrementodemografico notevole, che comporta il popolamento disiti posti in fertili aree collinari dominanti i percorsi flu-viali45; piú a sud, il territorio compreso fra il lago di Bol-sena e il lago di Vico, nel corso del vii secolo a. C., purcon un diverso svolgimento sul piano diacronico, assu-me una fisionomia territoriale abbastanza definita46; nel-

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l�area finitima a Caere la popolazione sparsa nelle cam-pagne si condensa in pochi centri minori, quasi comeconseguenza del fenomeno poleogenetico che si verificanel grande centro47. L�interpretazione storica di questifatti non può essere ovviamente univoca. È comunqueevidente che il popolamento nelle valli del Fiora e del-l�Albegna si conforma secondo due fondamentali attivitàproduttive: quella agricola e quella di �prelievo�, dipedaggio, che condiziona anche la scelta dei siti, per soli-to arroccati su alture, a controllo dei percorsi naturaliche dalla costa conducevano verso l�interno del paese.In modo diverso, visto che è prevalente la posizione ditransito, con tutte le implicazioni di carattere economi-co connesse, si sviluppano anche alcuni centri situati neldistretto viterbese.

I centri costieri meridionali, quali Caere, Tarquiniae Vulci sembrano piú disposti di quanto non accadaaltrove ad assorbire nelle loro comunità elementi stra-nieri: un�evidente conferma in questo senso viene datadalle fonti letterarie ed epigrafiche di cui si dirà oltre.

Una testimonianza assai importante in questo perio-do ci proviene dall�opera di un vasaio greco, Aristo-nothos, che lavora a Caere attorno al 670 a. C. e ponela sua firma su un cratere nel quale sono dipinte le scenedi un episodio dell�Odissea � l�accecamento di Polifemo� e una generica rappresentazione di battaglia navale;uno dei tanti artigiani � questo forse di origine sicelio-ta48 � che, dopo i vasai euboici, si stabilisce in Etruriacontinuando una professione che tutto fa prevedereesercitata liberamente. La posizione dei ceramisti etru-schi dell�area meridionale, che mutuano da quelli grecinon solo le tecniche piú avanzate ma anche i modelli diorganizzazione delle officine, non doveva infatti esseredifferente: in un momento in cui la scrittura è ancorapatrimonio degli áristoi, come ci è dato da vedere dalleiscrizioni, presenti nelle tombe piú ricche, non solo i

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maestri orafi ma anche i ceramisti fanno parte del cetoalfabetizzato e adoperano la scrittura sia per �firmare� leloro opere, sia per usare contrassegni di richiamo nel giu-stapporre elementi in vasi montati con vari pezzi49.

Nel settore della toreutica i riflessi dell�opera di arti-giani fenici che si installano a Caere sono piuttosto evi-denti: ad essi va attribuito tutto il vasellame prezioso inargento dorato che si trova nelle tombe �principesche�,le cui forme sono esemplate da una parte su modelliorientali, dall�altra greci. La decorazione incisa su que-sti oggetti accoglie infatti un repertorio orientale filtra-to attraverso la cultura figurativa composita delle mae-stranze fenicie. Animali reali e fantastici, inseriti in teo-rie che a volte accennano addirittura la successione deigeroglifici egizi, sono realizzati quasi con effetti colori-stici, come nella kotyle della tomba del Duce di Vetulo-nia; altre volte, soprattutto nell�esecuzione di scene dimaggior impegno figurativo, affiora una componentestilistica diversa, che ricorda le esperienze disegnativedella ceramica orientalizzante di Corinto. Un esempio inquesto senso è offerto dalla situla di Plikasna, dal terri-torio di Chiusi, cosí detta dal nome del proprietario, chepresenta da un punto di vista iconografico una cospicuaserie di elementi orientali, ravvisabili nelle acconciatu-re, nelle vesti e negli oggetti che sono rappresentati indue fregi con figurazioni incise, ma anche greci, comel�armatura di tipo corinzio portata dai guerrieri50.

Nel vasellame di questo tipo, alla decorazione incisaa bulino, se ne aggiunge anche un�altra, realizzata conminuscoli granuli d�oro disposti in file, già nota inOriente dal secondo millennio a. C. e trasmessa oradalle stesse maestranze fenicie51. L�abilità di questi arte-fici si manifesta soprattutto nelle gioiellerie, decorate daelementi plastici aggiunti, a tutto tondo, o in basso rilie-vo, essenzialmente figure del repertorio animalisticoorientale, che animano la superficie di fibule, bracciali,

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affibbiagli, mentre diademi e pettorali, in lamina piú sot-tile, sono decorati a stampo.

Del tutto fuori dell�usuale, in questo repertorio abba-stanza fisso, è la decorazione graffita sulla placca di ungrande affibbiaglio rinvenuto a Vulci, nella quale i par-titi decorativi derivano ancora dal repertorio geometri-co dell�età del ferro ma dove una scena di combatti-mento fra due guerrieri, sovrastata da un volo di uccel-li e da due leoni, può essere ricondotta alle manifesta-zioni di piú schietto sapore locale che si ritrovano sullaceramica contemporanea.

Nella bronzistica, invece, che pure si specializza invasellame da tavola, la tradizione locale continua adavere una sua forza e il repertorio decorativo orientalesembra entrare con maggior fatica fra le maestranze.Imitazioni di prodotti importati sono abbastanza rarementre è piú frequente rinvenire a Caere, nei primi vasiin bucchero decorati a rilievo, con una superficie lucen-te che evoca chiaramente forme metalliche, la recezio-ne di elementi iconografici orientali52.

La presenza e l�influenza delle maestranze orientaliappare invece assai piú evidente nella produzione diavori. Manca, sull�arte dell�intaglio, tutta una docu-mentazione che doveva rientrare nell�attività dei tékto-nes, attività la cui tradizione affonda in Italia nell�artepastorale dell�età del bronzo53, ma che ritroviamo cer-tamente rinnovata in quest�epoca dall�apporto orienta-le: gran parte di quanto oggi si possiede di oggetti in avo-rio sembra costituire una sorta di completamento a scet-tri, a preziosi cofanetti che dovevano essere realizzati inlegno. La recente e fortunata scoperta di un seggioligneo, una sorta di �trono� con una ricca decorazione aintaglio di tipo orientalizzante, conferma questa ipote-si54. Anche gli avori costituiscono ben presto, infatti, ungenere di oggetti di lusso di cui si crea un�imitazione inloco. Dalle importazioni siriache prima e fenicie in un

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secondo tempo si passa anche qui ai prodotti locali ese-guiti secondo i dettami di quello stile �coloniale� checaratterizzerà soprattutto la seconda metà del vii seco-lo a. C.55.

Tutta questa produzione di lusso, fornendoci esclu-sivamente oggetti legati al prestigio personale, difficil-mente ci restituisce figurazioni nelle quali possono indi-viduarsi contenuti specifici, relativi alla mentalità dellacommittenza. La stessa cultura figurativa orientale, cheè a monte di queste esperienze, non va mai al di là diuno scopo meramente decorativo. La merce ricevuta, alpari di quanto poteva accadere per tessuti preziosi, for-niva modelli iconografici già consunti dalla routine arti-gianale, destinati a una clientela che poteva riconosce-re in simili acquisizioni solo la propria supremazia eco-nomica.

È proprio la destinazione ostentatoria di questi ogget-ti che impedisce la formazione di una tradizione artisti-ca unitaria: la diversa provenienza degli artigiani, il limi-tato consumo delle loro opere, la mancanza di un colle-gamento fra le diverse botteghe, che dovevano avere acapo artigiani liberi, forse vaganti, produce dunqueun�arte legata al fasto, ma di poca consistenza e di limi-tata tradizione.

1 Sui caratteri geomorfologici degli insediamenti etruschi: g. sch-miedt, Atlante areofotografico delle sedi umane in Italia, II, Firenze1970. Sul problema della poleogenesi: m. pallottino, in «Atti delCesdir», iii (1971), pp. 11-14.

2 j. ward-perkins, Veii. The Historical Topography of the AncientCity, in «Papers of the British School of Rome», xxix (1961), pp. 20 sgg.

3 Sul comprensorio dei Monti della Tolfa e su Cerveteri: h. mül-ler-karpe, Beiträge zur Chronologie der Urnenfelderzeit nördlich undsüdlich der Alpen, Berlin 1959, pp. 238 sgg.; r. peroni, InventariaArchaeologica I, Firenze 1963; f. biancofiore e o. toti, Monte Rovel-lo, Roma 1973.

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4 f. rittatore-vonwiller e altri, in La civiltà arcaica di Vulci e lasua espansione, Firenze 1977, pp. 99 sgg.

5 c. e. oestenberg, Luni sul Mignone e problemi della preistoria inItalia, Lund 1967.

6 Cfr. le analisi compiute da h. hebaek, ibid., pp. 279 sgg. (a pro-posito dei prodotti alimentari alla fine dell�età del bronzo) e in e. gjer-stad, Early Rome, II, Lund 1956, pp. 287 sgg. (a proposito di quellidelle tombe romane).

7 Cfr. per i centri del Lazio, Civiltà del Lazio primitivo, Roma 1976,passim (in particolare pp. 17 sgg.). Per Narce, m. a. fugazzola e r. pero-ni, in «Bulletino di Paletnologia Italiana», lxxviii (1969), pp. 79 sgg.

8 Su questi problemi cfr. Incontro di studi sugli inizi della colonizza-zione greca in Occidente, in «Dialoghi di archeologia», iii (1969); d.ridgway, in Aspetti e problemi dell�Etruria interna, Firenze 1974, pp.281 sgg. A proposito dello stadio tecnologico degli Euboici cfr. s. c.bakhuizen, in «Mededelingen van het Nederlands Instituut te Rome»,xxxvii (1975), pp. 15 sgg.; sulle strutture della società euboica, Con-tribution à l�étude de la société et de la colonisation eubéennes, Napoli1975 (in particolare pp. 15 sgg. e 111 sgg.).

9 Su questi problemi cfr. r. peroni, Per uno studio dell�economia discambio in Italia... attorno al Mille a. C., in «La parola del passato», xxiv(1969), pp. 134 sgg.; c. ampolo, Su alcuni mutamenti sociali in Etruriae nel Lazio tra l�VIII e il VI secolo a. C., in «Dialoghi di archeologia»,iv-v (1970-71), pp. 64 sgg.; m. torelli, Tre studi di storia etrusca, ivi,viii (1974-75), pp. 12 sgg.

10 m. pallottino, Le origini di Roma, in Aufstieg und Niedergang derrömischen Welt, I, 1, Berlin � New York 1972, pp. 22 sgg.; Civiltà delLazio primitivo cit., pp. 31 sgg. e 53 sgg.

11 p. g. gierow, The Iron Age Culture of Latium, II, Lund 1964, pp.285 sgg. (per Castel Gandolfo); h. müller-karpe, Zur StadtwerdungRoms, Heidelberg 1962, tavv. 15, 16 e 20 (per le tombe di Roma).

12 g. colonna, L�Etruria meridionale interna dal villanoviano allenecropoli rupestri, in «Studi Etruschi», xxxv (1967), pp. 3 sgg.; id., inLa civiltà arcaica di Vulci e la sua espansione cit., pp. 189 sgg.

13 Cfr. ad esempio la tomba del Guerriero di Veii (h.müller-karpe, in Beiträge zu italienischen und griechischen Bronzefun-den, München 1974, pp. 89 sgg.) e quella, omonima, di Tarquinia (h.hencken, Tarquinia, Villanovans and Early Etruscans, Cambridge(Mass.) 1968, pp. 201 sgg.).

14 Cfr. j. n. coldstream, Greek Geometric Pottery, Oxford 1968,pp. 189 sgg.; d. ridgway, in «Studi Etruschi», xxxvi (1968), pp. 311sgg. e in «Annual of the British School at Athens», lxviii (1973), pp.191 sg.; f. canciani, in «Dialoghi di archeologia», viii (1974-75), pp.79 sgg. e in «Prospettiva», iv (1976), pp. 26 sgg.

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15 Su questo tipo di ceramica si veda l. ricci portoghesi, in «StudiEtruschi», xxxvi (1968), pp. 309 sgg.

16 coldstream, Greek Geometric Pottery cit., tav. 29d-f.17 f. von hase, Die Trensen der Früheisenzeit in Italien, München 1969.18 r. bianchi bandinelli, in «Dialoghi di archeologia», vi (1972),

pp. 243 sg.19 h. hencken, The Earliest European Helmet, Cambridge (Mass.)

1971, pp. 78 sgg.; i. strøm, Problems Concerning the Early OrientalizingEtruscan Style, Odense 1971, pp. 19 sgg.; j. close-brooks, in «Bulletinof Institute of Classical Studies London», xiv (1971), pp. 22 sgg.

20 g. camporeale, I commerci di Vetulonia in età orientalizzante,Firenze 1969, pp. 73 sgg.; Civiltà del Lazio primitivo cit., p. 163.

21 r. bloch, in «Mélanges de l�École française de Rome», lxx(1958), pp. 24 sgg.

22 Su tutto il problema si veda m. pallottino, in Enciclopedia uni-versale dell�arte, X, 1963, pp. 223 sgg. La piú antica coppa fenicia sco-perta in Etruria proviene da una tomba di Vetulonia della metà del-l�viii secolo a. C. (a. maggiani, in «Studi Etruschi», xli [1973], pp.73 sgg.), già ricordata.

23 m. cristofani e p. fronzaroli, Un�iscrizione cuneiforme su unvaso bronzeo da Faleri, in «Studi Etruschi», xxxix (1971), pp. 331 sgg.

24 m. cristofani, Il «dono» nell�Etruria arcaica, in «La parola delpassato», xxx (1975), pp. 132 sgg.

25 Sulla guerra lelantina, fra Calcidesi ed Eretriesi, cfr. b. d�ago-stino, in «Dialoghi di archeologia», i (1967), pp. 20 sgg., ma anche ladiscussione in Contribution cit., passim. Sul ruolo di al-Mina si vedaancora j. boardman, Early Euboean Pottery and History, in «Annual ofthe British School at Athens», lii (1957), pp. 25 sgg.

26 Cfr. per tutti i temi in relazione ai Fenici s. moscati, Problema-tica della civiltà fenicia, Roma 1974, pp. 49 sgg. e 105 sgg.

27 f. canciani, Corpus Vasorum Antiquorum. Tarquinia, III, Roma1974.

28 s. paglieri, Origine e diffusione delle navi etrusco-italiche, in «StudiEtruschi», xxviii (1960), pp. 209 sgg.

29 Per gli scudi: strØm, Problems cit., pp. 40 sg. e 47; per la segna-lazione da Samo: w. johannowsky, in Incontro sugli inizi della colo-nizzazione greca cit., p. 71.

30 Pausania V 12.3.31 Sui troni, piú di recente, cfr. e. bloch, in «Fondation Piot.

Monuments et mémoires», 1974, pp. 58 sgg.32 g. buchner e j. boardman, in «Jahrbuch des deutschen archaeo-

logischen Instituts», lxxxi (1966), pp. 25 sgg.; p. zancani montuoro,in «Atti e Memorie Società Magna Grecia», n. s., xi-xii (1970-71), p.28, nota 61.

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33 strøm, Problems cit., pp. 129 sgg.34 b. freyer-schauenburg, Elfenbeine aus samischen Heraion, Ham-

burg 1966, pp. 51 sgg.; m. e. aubet, Los marfiles ortentalizantes de Prae-neste, Barcelona 1971; v. karageorghis, Salamina di Cipro, Roma1974, pp. 92 sgg.

35 f. canciani, Bronzi orientali e orientalizzanti a Creta nell�VIII e VII

secolo a. C., Roma 1970, pp. 114 sgg.36 o. white muscarella, Near Eastern Bronzes in the West: The Que-

stion of Origin, in Art and Technology, Cambridge (Mass.) 1971, pp. 109sgg.

37 w. l. brown, The Etruscan Lion, Oxford 1960, pp. 1 sgg.; strøm,Problems cit., p. 216.

38 g. buchner, in Contribution cit., pp. 81 sgg. (posizione che vacomunque attenuata).

39 a. minto, L�antica industria mineraria in Etruria ed il porto diPopulonia, in «Studi Etruschi», xxiii (1954), pp. 291 sgg.

40 cristofani, Il «dono» cit.41 camporeale, I commerci di Vetulonia cit.42 Si veda ad esempio la necropoli di Accesa in d. levi, in «Monu-

menti Antichi Lincei», xxxv (1933), pp. 5 sgg.43 d. rebuffat-emmanuel, in «Studi Etruschi», xxxv (1967), pp.

633 sgg.44 e. richardson, The Recurrent Geometric in the Sculpture of Cen-

tral Italy, in «Memoirs of the American Academy in Rome», xxvii(1962), pp. 153 sgg.

45 m. cristofani, in La civiltà arcaica di Vulci e la sua espansione cit.,pp. 235 sgg.

46 colonna, L�Etruria meridionale cit., pp. 12 sgg.47 m. torelli, in «Dialoghi di archeologia», iv-v (1970-71), pp. 432 sgg.48 b. schweitzer, Zum Krater des Aristonothos, in «Römische Mit-

teilungen», lxii (1955), pp. 78 sgg.49 Sulla posizione dell�artigiano in ambiente coloniale cfr. b. d�a-

gostino, in Economia e società in Magna Grecia, Atti XII Convegno diStudi sulla Magna Grecia, Napoli 1973, pp. 207 sgg. Per l�Etruria, g.colonna, Firme arcaiche di artefici nell�Italia centrale, in «Römische Mit-teilungen», lxxxii (1975), pp. 181 sgg.

50 Sugli ateliers fenici cfr. w. culican, in «Syria», xlv (1968), pp.275 sgg.; sulla loro organizzazione in Etruria m. cristofani martel-li, Documenti di arte orientalizzante da Chiusi, in «Studi Etruschi», xli(1973), pp. 117 sgg.

51 Sulla tecnica in Oriente cfr. k. r. maxwell-hyslop, Western Asia-tic Jewellery c. 3000-612 B. C., London 1971, pp. 36 sgg.; sulla suaimportazione in Etruria, f. von hase, in «Archäologischer Anzeiger»,1974, pp. 85 sgg.

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52 Sui bronzi cfr. f. johansen, Reliefs en bronze d�Etrurie, Copena-ghen 1971; sulle imitazioni in bucchero, m. cristofani martelli e m.bonamici, in «Studi Etruschi», xl (1972), pp. 45 sgg.

53 s. m. puglisi, La civiltà appenninica, Firenze 1959, pp. 63 sgg.54 g. v. gentili, in Introduzione alla civiltà adriatica, Chieti 1974, p.

128 (l�esemplare proviene da Verucchio, in Romagna).55 brown, The Etruscan Lion cit., pp. 2 sgg. e y. huls, Ivoires d�E-

trurie, Bruxelles 1957, pp. 137 sgg.

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Capitolo terzo

Il contatto con il mondo grecoe l�organizzazione delle maestranze artistiche

Dopo la morte del re Anco Marcio il Senato, pur aven-dogli concesso il popolo di fornire allo stato l�assetto poli-tico che preferiva, stabilí di continuare nelle istituzionimonarchiche e nominò gli interre. Questi, convocati i comi-zi, elessero Lucio Tarquinio. [...]. Racconterò ora da qualestirpe egli discendeva, quale fu il suo paese di origine, perquali motivi venne a Roma e con quali mezzi riuscí a con-quistarsi il regno, cosí come lo ho appreso dall�annalisticaromana.

Un uomo di Corinto, di nome Demarato, della stirpe deiBacchiadi, aveva navigato verso l�Italia col proposito diesercitarvi il commercio, conducendovi la sua nave da cari-co e le proprie merci. Vendutele nelle città etrusche cheallora erano le piú fiorenti in Italia ed essendosi procuratoun guadagno notevole, non volle piú toccare altri porti, macontinuò i suoi traffici nelle medesime acque trasportandole merci greche fra gli Etruschi e quelle etrusche fra i Greci.In questo modo divenne molto ricco. Quando avvenne larivolta a Corinto e il tiranno Cipselo cacciò i Bacchiadi, rite-nendo di non poter continuare a vivere in sicurezza sottola tirannide, viste le ricchezze che possedeva e visto cheapparteneva alla classe aristocratica, prese quanto potevaportar via dei suoi averi e si imbarcò da Corinto; poichéaveva molti e buoni amici fra gli Etruschi, data la sua atti-vità commerciale, e in particolar modo a Tarquinia, unacittà allora grande e fiorente, prese dimora lí e sposò una

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donna di illustre casata. Da lei ebbe due figli, ai quali diedenomi etruschi, Arrunte a uno, Lucumone all�altro, e lieducò alla greca e all�etrusca; quando divennero adulti lifece sposare con donne di lignaggio.

Il racconto di Dionisio di Alicarnasso che abbiamoqui riportato (III 46), relativo alle origini di TarquinioPrisco, derivato da fonti dell�annalistica romana deliv-iii secolo a. C.1, sembra quanto mai opportuno ad illu-strare la situazione che si viene a creare in Etruria attor-no alla metà del vii secolo a. C. Demarato è un aristo-cratico dedito all�attività commerciale, come gran partedei Corinzi che, nel corso del vii secolo a. C., si eranosostituiti agli Euboici nei traffici marittimi. Quandonella propria città si instaura la tirannide (intorno al 657a. C.), preferisce stabilirsi a Tarquinia dove, nonostan-te le proprie origini, sposa un�etrusca e ha due figli, unodei quali, Lucumone, trasferitosi poi a Roma, diverrà ilsuccessore di Anco Marcio, il primo Tarquinio.

Il racconto potrebbe considerarsi una pura leggenda� e i toni leggendari non mancano � se l�evidenzaarcheologica non portasse elementi che confermano que-sta tradizione per lo meno nelle linee di fondo. Alcunitesti epigrafici risalenti a quest�epoca contengono nomipersonali greci integrati nel sistema onomastico etruscoe numerosi termini indicanti oggetti o prodotti alimen-tari pregiati, come l�olio, derivano dal greco2; vasi corin-zi fra i piú prestigiosi, anche con figurazioni complesse,non solo quelli con un repertorio decorativo di routine,vengono acquisiti dal mercato etrusco costituendo verie propri objets d�art.

Nei centri primari dell�Etruria meridionale costiera,a Caere, Tarquinia e Vulci, mercanti e coloni greci siintegrano facilmente e non solo a livello di semplice con-vivenza con la popolazione locale se qualcuno di essi puòraggiungere rapidamente, con i propri mezzi, posizioni

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di grande prestigio sociale. Il caso di Arrunte e Lucu-mone, figli del greco Demarato, educati alla greca e all�e-trusca, trova una conferma proprio nell�epigrafia con-temporanea: a Caere un Larth potrebbe essere figlio diun greco chiamato Teleclés, a Tarquinia un Rutile è figliodi un greco chiamato Hippocrátes, nome quest�ultimoche qualifica in senso aristocratico il suo portatore.

Le fonti antiche attribuiscono alla figura di Demara-to anche una funzione �civilizzatrice� non indifferenteal punto che l�alfabetizzazione degli Etruschi sarebbeavvenuta per suo merito (Tacito, Annales XI 14): ineffetti la notizia non ha validità storica se oggi riuscia-mo a datare le piú antiche iscrizioni etrusche un cin-quantennio prima del suo arrivo, ma essa si inquadranella mentalità della tradizione romana che trovava inun greco il punto di riferimento fondamentale per la tra-smissione di determinati strumenti di cultura in Italia.

Alcuni dicono che a Samos primi degli altri Rhoikos eTheodoros inventarono la tecnica della plastica in terra-cotta, assai prima che i Bacchiadi fossero cacciati da Corin-to; Demarato, poi, che generò in Etruria il romano Tar-quinio, profugo da Corinto, fu accompagnato dai formato-ri Eucheir, Diopos ed Eugrammos che trasmisero in Italiaquesta tecnica3.

L�integrazione di Greci, nobili o commercianti chefossero, deve aver provocato anche l�arrivo di modelliculturali di altra natura, la cui traccia rimane, oggi, piúevidente, proprio nella documentazione archeologica:notevoli, ad esempio, le rappresentazioni, nel reperto-rio figurativo di prevalente ascendenza orientale, dimostri favolosi come la chimera o il centauro, e, ancoradi piú, le prime attestazioni di miti legati alle leggendedi Eracle, di Ulisse e degli eroi tebani4. È chiaro, comun-

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que, che questi documenti si inseriscono in un�area piut-tosto limitata della cultura, sí che noi possiamo avverti-re i sintomi di una progressiva ellenizzazione solo alivelli sovrastrutturali; problematico rimane invece, permancanza di dati, distinguere l�essenza del rapportoreale, di natura economica e politica, cioè, che si erainstaurato fra i nuovi arrivati e le comunità etrusche. Aquanto ci è dato vedere, il contatto non riduce gli Etru-schi a un ruolo subalterno ma, al contrario, l�inseri-mento dei mercanti greci nel mondo etrusco provocaun�appropriazione di modelli culturali ellenici, e, fral�altro, di modelli legati al mondo della produzione chevengono usati in funzione concorrenziale.

Non per nulla l�acmé della talassocrazia etrusca puòessere collocata fra l�ultimo quarto del vii secolo a. C. eil primo quarto del vi secolo a. C. L�attività marinara,già praticata, come si è visto, in modo non organico, siorganizza proprio in antagonismo alla espansione grecanel Mediterraneo occidentale, provocando, nella tradi-zione greca, tutta una serie di favole riferite ai tempimitici, sulla crudeltà dei �pirati�-commercianti tirreni5;sul piano della concretezza dei dati archeologici la dif-fusione del vasellame d�uso corrente realizzato in buc-chero o di prodotti alimentari pregiati come il vino,distribuito in anfore da trasporto che si tende a ritene-re fabbricate a Vulci6 (il primo diffuso in tutto il baci-no del Mediterraneo, le seconde soprattutto nel Tirre-no e nella Francia meridionale), viene interpretata comeil documento di una forma di concorrenza commercialeetrusca nei confronti della colonizzazione dei Greci diFocea che si concreta frattanto nella fondazione di Mar-siglia nel 600 a. C.7.

Conseguenza di ciò, sul piano dell�organizzazioneterritoriale e sociale, dovrebbe essere la conclusione delprocesso di urbanizzazione dei grandi centri primari

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sulla costa, cui consegue la contemporanea formazionedi una nuova e piú intraprendente compagine sociale,quella �mercantile�, e la definitiva affermazione di alcu-ne grandi città, in particolar modo di Caere e Vulci, sulloro territorio interno8.

Significativo appare ancora una volta, per la situa-zione delle città etrusche in questo periodo, l�esempiodi Roma che, sotto il regno di Tarquinio Prisco, divie-ne una pólis tyrrhenís: il centro viene riorganizzato secon-do modelli verosimilmente etruschi, diventa la sede diun�attività edilizia piuttosto cospicua che comporta l�im-pianto di strade, la costruzione di case in mattoni etegole, fra le quali la medesima sede del rex9. Le stessefonti letterarie rispecchiano in modo abbastanza chiaroche il periodo etrusco ha comportato nello status dei vil-laggi romani una sorta di profondo mutamento dellestrutture economiche e sociali. Le opere pubbliche attri-buite ai Tarquini, l�arrivo di artigiani specializzati «daogni parte dell�Etruria» (Livio, I 56.1) forniscono unanuova veste alla città dove viene potenziata l�attivitàcommerciale sia con i Greci sia con altri centri etruschi.

Nelle città etrusche questo processo deve essere statoforse piú precoce, stando almeno a quanto ci rivelano iprimi scavi condotti nei centri abitati: lo standard deicorredi tombali, a iniziare dal 630 a. C. in poi, non regi-stra accumuli di ricchezze cosí imponenti come nel cin-quantennio precedente, estendendosi piuttosto la capa-cità di acquisire determinati beni a un maggior numerodi nuclei familiari. Sociologicamente la prova di ciòviene fornita dall�onomastica personale: si diffonde oral�uso di formule onomastiche bimembri, che sostitui-scono quelle precedenti con il solo nome personale, nellequali si aggiunge al praenomen un secondo elemento (diderivazione patronimica per la maggior parte dei casi),che indica l�appartenenza dell�individuo a una determi-nata classe di persone le quali si riconoscono tutte in un

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determinato antenato-capostipite. L�appartenenza a ungruppo nell�ambito delle comunità cittadine, alquantopiú vaste delle precedenti, significa, cioè, che è funzio-nalmente necessaria la sua identificazione attraverso un�segno� che non denota solo la comunanza di legami disangue, ma anche interessi economici e politici comuni10.L�aristocrazia emergente, che si connota diffusamentecon questo secondo nome, partecipa alla gestione poli-tica ed economica di una società nella quale la classedominante, etnicamente composita, si organizza secon-do raggruppamenti gentilizi, e fonda il proprio potere suuna milizia personale, ben evidente nelle rappresenta-zioni che si diffondono nella seconda metà del vii seco-lo, armata ellenicamente all�oplitica, formata da gruppidi clienti, legati al patrono da vincoli personali che impli-cano determinati doveri, ma anche specifici diritti11.

La connotazione tipicamente agraria delle gentesromane non trova rispondenza del tutto precisa nelle ari-stocrazie delle città costiere dell�Etruria meridionale,dove le attività commerciali sembrano costituire unodegli elementi essenziali nella dinamica di coagulazionepolitica entro la città.

Lo sviluppo dei nuovi rapporti di produzione, del-l�attività commerciale, del costituirsi delle città in que-sto periodo come comunità �aperte�, viene provato ingran parte dalla distribuzione di beni facilmente tra-sportabili e riproducibili, come le ceramiche decorate afigure nere, prodotte da maestranze sulla cui formazio-ne e organizzazione sembra necessario soffermarsi.

1. Il modello dei «bánausoi» greci.

Si è trascurato fino ad ora di analizzare un aspettosingolarmente importante nella storia della produzione

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artistica come quello della ceramica, per porre in rilie-vo quel tipo di attività che era indirizzato verso ogget-ti di lusso. In effetti la ceramica con decorazione figu-rata della prima metà del vii secolo a. C., se si eccet-tuano i casi del ceramista greco Aristonothos, già ricor-dato, e di qualche gruppo di vasi ancora poco studiato,esaurito l�impulso iniziale, sembra ripetere in modopedissequo gli stilemi di derivazione euboica e corinzia,risolti nella maggior parte dei casi in una decorazione ditipo geometrico attardata. Né, d�altronde, la ceramicagreca importata fino al 650 a. C., sia che provenisse daCorinto, sia dalla Grecia orientale, poteva offrire model-li da imitare. Una volta esaurita la richiesta �principe-sca�, il consolidamento della società gentilizia comportòanche un aumento della compagine sociale interessataall�uso o all�acquisizione di ceramiche figurate. Pur rima-nendo anche in quest�ambito una richiesta molto quali-ficata, capace di assorbire alcuni capolavori della cera-mica greca come l�ólpe Chigi � opera di un ceramografocorinzio del 640-30 a. C., destinata al mercato colonia-le � o l�oinochóe Lévy � opera di un ceramografo rodiodello stesso periodo � rinvenute rispettivamente a Veiie a Caere12, si assiste a un rinnovamento radicale dellatradizione ceramistica che viene imputato per l�appun-to a maestranze greche, immigrate da Corinto e da Rodi.

Quale fosse la tradizione figurativa entro la quale simuovevano le maestranze locali viene dimostrato dai piúantichi vasi in bucchero di Caere con decorazioni graf-fite, improntati a uno stile tardo-orientalizzante, di tipocomposito, con una prevalente componente siro-fenicia,stile che si era venuto a formare con l�importazione dioggetti di lusso orientali13. A questa stessa tradizione siconnette, nell�ultimo trentennio del secolo, una produ-zione di ceramica figurata che preferisce la decorazionepolicroma e in cui stile esuberante e figurazioni di mostrifavolosi si distaccano molto dal decorativismo compat-

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to e iterante della produzione vulcente, maggiormentelegata, come si vedrà, a una disciplina formale derivatadirettamente dalla ceramografia corinzia. È nell�ambitodi questa tradizione che si pone uno dei documenti figu-rati piú interessanti, l�oinochóe rinvenuta a Tragliatel-la, in territorio caeretano, eseguita su commissione daun ceramografo molto vicino al gruppo dei Vasi policro-mi. Un uomo e una donna, Mamarce e Thesathei, si scam-biano verosimilmente un dono alla presenza della figlio-letta Velelia, prima che il guerriero parta con un grup-po d�armati al seguito; dall�altro lato, nel fregio conti-nuo, la rappresentazione del virgiliano «lusus Troiae» èseguita da una duplice scena di accoppiamento14. Latematica è legata al ceto aristocratico: il gioco era riser-vato a Roma ai giovinetti nobili; la scena di partenza,con un gruppo di armati appartenenti tutti a una stessafazione � come si evince dallo �stemma� raffigurato alcentro degli scudi � è un tema di grande successo nelmondo etrusco che presto si trasferirà dall�ambito pri-vato, come in questo caso, a quello pubblico, nella deco-razione di edifici. Lo stile, per quanto contenuto neilimiti di una tradizione ceramografica di ascendenzacorinzia (la fila di opliti ricorda alla lontana rappresen-tazioni note sulla ceramica tardoprotocorinzia), ha carat-teri propri, rilevabili soprattutto nella caratterizzazioneespressiva e nella corsività vignettistica.

Di carattere diverso è invece la produzione di cera-mica a figure nere che si localizza a Vulci, a partire dal630 a. C., documentata piuttosto chiaramente nel suosviluppo e nella sua continuità fino alla metà circa delvi secolo a. C. Un notevole numero di studi, apparsinegli ultimi due decenni, ha fornito, attraverso un lavo-ro di tipo attribuzionistico, un quadro molto esaurien-te di questa produzione, distinguendo fra oltre cinque-mila vasi una serie di �gruppi� o di �cicli� di opere entrole quali sono state distinte le diverse personalità di pit-

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tori. Da questa analisi è emerso un panorama piuttostosignificativo sulla cultura figurativa di questo periodo inEtruria, tale da poter condizionare anche il giudiziocomplessivo su tutta l�attività artistica dell�epoca.

La disponibilità del mercato etrusco nei confrontidella ceramica greca, in particolar modo corinzia, appa-re già agli inizi del vii secolo a. C. quando i Corinzi sisostituiscono agli Euboici nell�attività commerciale; laceramica di Corinto è attestata, pur se in misura mino-re di quanto non si riscontri nelle colonie greche dell�I-talia meridionale, anche nelle tombe �principesche� del-l�area tosco-laziale15. Questa richiesta sembra comun-que aumentare in corrispondenza del terzo quarto del viisecolo a. C., quando giungono prodotti figurati, nellatecnica a figure nere e policroma, del tardo protocorin-zio e del transizionale16. Anche se in misura minore, lostesso tipo di richiesta sembra rivolto alle botteghe deiceramisti della Grecia orientale, dalle quali, in prece-denza, erano giunti coppe da bere con decorazione sub-geometrica e contenitori per olii profumati17.

L�aumento del consumo comporta quindi lo stanzia-mento in loco, in un�area appartenente al mondo colo-niale, di botteghe nate per impulso degli artigiani greci.

Di formazione greco-orientale risulta il «pittore delleRondini» attivo a Vulci nell�ultimo trentennio del viisecolo a. C.18. Come altri suoi colleghi che si stanzianoin Sicilia, appartiene a quella serie di �artisti viaggianti�di cui Aristonothos è un progono, che trovano nelmondo coloniale, in sedi lontane dal luogo di origine eformazione, un mercato per la propria attività. La suaesperienza rimane comunque piuttosto isolata e anzi, aun certo punto della sua attività, il suo linguaggio sem-bra ormai condizionato dalla dilagante influenza dellapittura vascolare corinzia, di cui adotta talune icono-grafie; con il tempo, egli passa dal minuto e coerentedecorativismo dello stile di origine a figurazioni di mag-

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gior impegno nelle quali la sua cultura si rivela ormaidecisamente coloniale, con un�aura quasi barbarica, cosíche lo stesso tema decorativo della �partenza del guer-riero� si mescola a rappresentazioni di animali fantasti-ci dietro le quali sono ravvisabili schemi quasi �ricorda-ti� della pittura cicladica o siceliota.

Di educazione corinzia è invece il «pittore della Sfin-ge Barbuta», alla cui bottega si attribuiscono piú dicento opere. La sua origine va anzitutto collocata neltempo: a Corinto l�organizzazione dell�artigianato, attor-no al 640 a. C., subisce una trasformazione, venendosia determinare una rottura fra l�attività svolta nel quar-tiere dei ceramisti, dedita alla produzione di vasi stan-dard di medio costo, e quella individuale di artigiani cheproducono opere di maggior impegno figurativo, desti-nate a una committenza piú facoltosa19. In questomomento di rottura, al quale segue una svolta nei pro-dotti, classificati come tardoprotocorinzi o transiziona-li, si educa il «pittore della Sfinge Barbuta»: egli si stan-zia a Vulci e opera in un primo momento isolatamente,trasmettendo all�Etruria tecnica, temi iconografici e stiledella pittura vascolare del periodo corinzio �transizio-nale�. Niente appare nelle sue opere che non sia di matri-ce greca: dipinge su forme di vasi note a Corinto sullequali organizza in zone delimitate da fasce motivi ani-malistici e riempitivi corinzi, fra i quali inserisce, e nonepisodicamente, elementi derivati dalla ceramografiagreco-orientale20. La sua attività, particolarmente inten-sa, gli permette di creare, forse per primo, una veraindustria locale (che può definirsi a buon diritto etru-sco-corinzia), la cui produzione soddisfa gradatamenteuna richiesta che va oltre la sede stabile che il pittore siè scelto e che nella fase avanzata del suo iter potrà anno-verare una filiale anche a Caere. In nessuna area colo-niale può essere distinta con tanta chiarezza una perso-nalità del genere che non sembra comunque adagiarsi in

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una produzione di routine, ma esegue opere con raffi-gurazioni piú complesse, riecheggianti in un caso anchescene dell�Iliade.

Sulla scia di questa produzione, alla fine del vii seco-lo a. C., nascono altre botteghe che rinnovano lo stiledel caposcuola, impiegando le piú progredite esperien-ze della ceramografia corinzia, quelle del corinzio anti-co, o adeguandosi a un tipo di produzione sostanzial-mente nuovo per questo centro, quello dei vasi dipinticon tecnica policroma. Adottata nella generazione pre-cedente soprattutto a Caere, ma anche a Veii � doveopera un decoratore, il «maestro Castellani», specializ-zato in un suo stile miniaturistico che nelle figure for-mate da ritagli giustapposti di colore evoca certe espe-rienze della metallotecnica fenicizzante21 � questa tec-nica si ritrova a Vulci non solo sui vasi, ma anche suoggetti di lusso quali le uova di struzzo22.

L�attività di questa seconda generazione di ceramo-grafi sembra trovare proprio nell�abbondante uso dellapolicromia, del colore aggiunto, una sua cifra stilisticaparticolare, anche se la tecnica a figure nere adottata, gliorditi ornamentali, entro i quali si inseriscono abnormifigure fantastiche, quali una Gorgone-Minotauro, sonodi evidente tradizione corinzia23.

La feconda attività delle officine della seconda gene-razione di pittori provoca presumibilmente anche unaloro diaspora verso altri centri, come ad esempio Tar-quinia24. Ma a Vulci � siamo ormai nei primi decenni delvi secolo a. C. � si afferma ora una nuova generazionedi pittori, legati già alle esperienze del corinzio medio,che si indirizza verso una produzione di massa; la dina-mica interna delle officine si ristruttura, specializzandosiaddirittura nella decorazione di determinate forme divasi: i due maggiori cicli, definiti «delle Olpai» e «deiRosoni», producono ormai per una massiccia richiestadel mercato interno. Significativa appare la presenza di

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questo genere di vasi a Tharros, colonia fenicia in Sar-degna, a Cartagine e nella Francia meridionale, certa-mente minore in confronto alla diffusione nel bacino delMediterraneo di vasellame d�uso comune come il buc-chero; i mercanti etruschi che si spingono sul mare sem-brano quindi fondamentalmente vulcenti: ad essi, adesempio, va imputata anche l�etruschizzazione dellecoste meridionali della Campania attorno agli inizi delvi secolo a. C.25.

Come è stato giustamente notato, questo momentoha uno sfondo storico ben preciso: i condottieri vulcen-ti, secondo la tradizione (i fratelli Vibenna, Mastarna -Servio Tullio), entrano a Roma con le loro milizie, facen-do leva anche sugli strati intermedi della popolazione,ormai sufficientemente individuati, e trasformano l�an-tico assetto monarchico-patriarcale della città in unaltro, di tipo monarchico-tirannico26. È proprio la pre-senza di una produzione artistica di massa, come quel-la della ceramica etrusco-corinzia dei decenni fra il 580e il 560 a. C., a garantire l�esistenza di un ceto inter-medio, che richiede determinati beni �massificati� e chesi aggrega, in forme organizzate di clientela, alle classiaristocratiche.

L�esistenza di botteghe di ceramisti a Vulci, che crea-no prodotti di cosí larga diffusione, attesta inequivoca-bilmente non solo il predominio commerciale di questacittà, ma anche un contatto continuo con il mondogreco. I modi mediante i quali si organizza questo con-tatto possono essere evinti dalle scoperte avvenuterecentemente nel porto di Gravisca, presso Tarquinia27.Un�area decentrata rispetto alla città è qui adibita aluogo sacro dagli stessi commercianti greci, che forsefondano attorno al 600 a. C. un luogo di culto: l�occu-pazione del suolo da parte dei Greci registra un possi-bile riconoscimento di determinati rapporti giuridici conla comunità etrusca e l�instaurarsi di relazioni stabili.

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L�area del porto diviene quindi non solo il luogo discambi, ma anche il punto stabile di contatto fra lediverse culture: l�ellenizzazione progressiva della cultu-ra etrusca nel corso del vi secolo a. C., che sembravafinora limitata ad alcune sfere marginali, cominceràinfatti a comportare l�assunzione di determinati �model-li� che non sono riferibili solo alle forme di organizza-zione politica o alla vita religiosa, ma che inciderannoanche nella vita economica e sociale.

2. I beni di lusso.

La creazione di una produzione locale di ceramicafigurata determina una flessione nel settore delle impor-tazioni di ceramica greca attorno alla fine del vii secoloa. C. Contemporaneamente, con la formazione di unacompagine sufficientemente ampia di tipo gentilizio,cessa la richiesta di beni di alto pregio e il flusso diimportazioni dal Mediterraneo orientale sembra oraindirizzarsi non tanto verso oggetti intrinsecamente pre-ziosi, quanto piuttosto verso unguenti, essenze, profu-mi, contenuti in vasetti di pasta vitrea, di faïence, di ala-bastro, provenienti direttamente da Rodi e dall�Egitto,in particolare dall�emporio di Naucrati, fondato sul deltadel Nilo28. In questo ambito va compreso anche il vinodi Chio, che evidentemente costituisce una merce di pre-gio rispetto alla produzione etrusca, in particolare vul-cente, che si diffonde nel Tirreno. Dall�Anatolia, daSamo e da Rodi provengono anche vari tipi di vasi bron-zei che trovano un�imitazione locale, destinata ancheallo smercio nell�interno dell�Italia29.

I beni preziosi prodotti negli ateliers etruschi sem-brano infatti ora diffusi in aree geograficamente piúlontane dalla zona costiera, come l�Etruria interna o ilversante medio-adriatico, ancora esclusi dalla formazio-

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ne degli �stati� di tipo gentilizio, aree nelle quali la strut-tura sociale ruota attorno a figure di �capi�, le cui tombe,fisicamente emergenti, come nell�Etruria settentrionaleinterna, spiccano per la loro monumentalità.

Oggetti in avorio e uova di struzzo, decorati a inci-sione o a intaglio, costituiscono un esempio caratteri-stico di questa produzione di manufatti artistici di pre-gio. Localizzabile già in età precedente a Caere e Vulci,l�attività dei téktones, a differenza di quanto accadenella ceramica, inserita invece in una dinamica di pro-duzione condizionata da una disciplina di �scuola�, simuove ancora nell�ambito della temperie decorativaorientalizzante, ma assume temi figurati nuovi che sicombinano con elementi tradizionali. Cosí nelle pissidieburnee scoperte a Chiusi, verosimilmente uscite da unabottega di Vulci, accanto al ricordo delle decorazionizoomorfe di derivazione orientale, si inseriscono episo-di derivati dall�Odissea (la rappresentazione di Scillasotto la nave di Ulisse, che è un unicum nel repertoriofigurativo di età cosí antica; la fuga dei compagni di Ulis-se sotto gli arieti dall�antro di Polifemo) o scene di «par-tenza per la guerra» connesse con una danza forse divalore propiziatorio, cui partecipano donne e opliti30.

A questo repertorio, nel quale penetrano soggettiderivati dalla ceramografia corinzia quali il carro daguerra, la teoria di opliti, i combattimenti, si rifannoanche le decorazioni apposte su altri oggetti, come leuova di struzzo, importate direttamente dall�Africa odall�Asia occidentale. «Per la loro grandezza vengonoconsiderate come se fossero vasi», riferisce Plinio(Naturalis historia X 2) e il loro valore, anche nei donidi carattere cerimoniale, viene confermato dalle rap-presentazioni dell�arte egizia. Presenti già nel periodoorientalizzante nelle tombe �principesche�, esse diven-tano in questo periodo materia di particolari cure edecorazione 31.

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La loro superficie veniva �preparata� incidendo i con-torni delle figure, mentre le parti che costituivano losfondo venivano abbassate e riempite di colore o difoglia d�oro in modo che le immagini, a bassissimo rilie-vo, risultassero piú evidenziate. Costituendo in tal modoil corpo-contenitore del vaso, le uova potevano ancheessere impreziosite da elementi di avorio rivestiti dilamina d�oro, che venivano applicati come collo o comepiede del recipiente. Due in particolare, rinvenute l�unaa Quinto Fiorentino, l�altra a Pitino San Severino(Macerata), presentano sul corpo una decorazione ani-malistica di tipo suborientalizzante, mentre il collo, inavorio, è configurato a protome femminile imitante pro-totipi certamente fenici32. Il centro al quale si attribui-sce la produzione di questi oggetti è Vulci, dove sonostate rinvenute cinque uova di struzzo associate in unadeposizione del tardo vii secolo a. C.; i motivi animali-stici sono mescolati a scene piú complesse, di lotta frabelve, di derivazione corinzia, ma esprimono anche con-tenuti legati al mondo della committenza: parata mili-tare con opliti, cavalieri, guerrieri in �partenza� per laguerra.

È evidente, quindi, che lo stile semplicemente deco-rativo dei beni di pregio ha ora bisogno di figurazioniche esprimano piú chiaramente l�ambiente sociale nelquale essi circolano, quell�ambiente in cui il prestigio delcapo-aristocratico si individua nel guerriero che �parte�e nel quale gli opliti, accompagnatori, sono la milizia per-sonale, la �clientela�.

Là dove esisteva una società piú gerarchizzata, comenell�Etruria settentrionale interna, la richiesta di questibeni preziosi sollecita una piccola industria locale chelavora su materiale di piú facile reperibilità come l�os-so: tutta l�area gravitante attorno ai guadi dell�Arno, cheverso la fine del vii secolo a. C. acquisisce una propriafisionomia culturale, ci documenta una fiorente attività

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di questo genere che però, da un punto di vista figura-tivo, si connette ancora con lo stile suborientalizzante33.

3. L�attività artistica e l�edilizia urbana.

Le scarse testimonianze che ancora oggi si posseggo-no sugli insediamenti etruschi permettono di delineareun quadro molto parziale dell�architettura domestica.Solo scoperte recenti, riferibili però a centri minori del-l�Etruria meridionale, sui quali non si sono stratificatepersistenze moderne, stanno fornendo indicazioni dinotevole interesse sulla tecnica costruttiva, sulle strut-ture abitative, sulla decorazione degli edifici34. Proprioil carattere secondario di questi siti, che nascono allafine del vii secolo a. C., alle volte su vecchi insediamentiprotostorici, come riflesso di una nuova occupazionedel territorio che ha i caratteri di una vera e propria coa-gulazione urbana, inviterebbe a non generalizzare ildiscorso applicandolo ai poli urbani primari. È pur veroperò che anche a Roma, verso la fine del vii secolo a. C.,l�evidenza archeologica mostra una trasformazione delsito abitato in senso architettonico e urbanistico: stra-de con pavimenti battuti, fiancheggiate da canali per ildeflusso delle acque, sulle quali si ordinano le prime casecostruite con mattoni crudi, essiccati al sole, o con bloc-chi squadrati, e con il tetto coperto da tegole fittili35.

L�esempio piú caratteristico in questo senso ci vieneproprio da un edificio �civile�, la Regia, di cui sono staterecentemente individuate le diverse fasi costruttive36, acominciare dalla prima, costituita da capanne degli inizidel vii secolo, per continuare nelle successive, con fon-dazioni ormai in pietra e mattoni crudi, dell�ultimo quar-to del secolo, concordanti con il principio della fase�etrusca� della monarchia romana. Le fasi che precedo-no la costruzione della Regia di età repubblicana, data-

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ta attorno al 500 a. C., nonostante i rifacimenti causa-ti da alluvioni o incendi, mostrano fondamentalmente lastessa tipologia edilizia: due ambienti allineati, precedutida un portico e racchiusi da un muro di cinta.

In altri termini possiamo parlare di una vera e pro-pria �rivoluzione� nel contesto urbano: da agglomerati dicapanne si passa a una fase in cui l�edilizia civile assu-me un carattere monumentale. La relazione che lega nelmondo etrusco l�architettura funeraria con quella dome-stica rivela in questo stesso momento una trasformazio-ne anche negli interni tombali. Alle soluzioni, pur sem-pre a carattere monumentale, di interni che imitano lospazio compreso entro una capanna si sostituiscono inquest�epoca, nella necropoli di Caere, ambienti che ten-dono a organizzarsi attorno a una camera centrale e neiquali gli elementi costitutivi della casa come le porte ele finestre, tendono a evidenziarsi37.

La tipologia edilizia prevede agli inizi un unico vanorettangolare, derivato forse dalle capanne a pianta ovale,al quale viene aggiunto poi un ambiente coassiale con-tiguo; le aggiunte o le varianti sono molto frequenti síche non sembra possibile, almeno allo stadio attualedelle ricerche, stabilire uno sviluppo preciso dell�archi-tettura domestica. Solo piú tardi sembra affermarsi untipo articolato in tre camere parallele che si aprono suun vestibolo allungato, chiuso o porticato, analogo anchein questo caso agli interni delle tombe caeretane dellaprima metà del vi secolo a. C.38.

Le tecniche costruttive sono diverse: dalla piú sem-plice, con muri in mattoni crudi o in terra battuta e tego-le di copertura essiccate al sole, alla piú elaborata, cheimpiega pali di legno robusti e resistenti che formano loscheletro della costruzione e muri costituiti da argillaimpastata su graticci di canne, impostati su uno zocco-lo di pietra. Meno economica sembra la tecnica di ese-cuzione dei muri con blocchi allineati a secco in piú fila-

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ri, che vengono ricavati da zone prossime al luogo dicostruzione degli edifici.

Con l�edilizia nasce anche una tradizione di artigia-nato che avrà notevoli ripercussioni nel lavoro urbano.Sia i rinvenimenti di Acquarossa sia i piú recenti diMurlo (Siena) ci restituiscono i primi esempi di ele-menti ornamentali eseguiti in argilla che venivano impie-gati nella decorazione del tetto. La loro posizione nellediverse parti del tetto viene illustrata dalle urne cinera-rie di Caere che imitano modelli di case. Le tegole ter-minali, con i bordi rialzati, che si disponevano lungo irampanti frontonali, le testate dei coppi, che erano visi-bili nei lati lunghi, le tegole, che sporgevano dai murilungo la linea di gronda, visibili nella loro faccia infe-riore, presentano negli edifici piú antichi di Acquaros-sa una decorazione dipinta, in bianco sul fondo rossodella terracotta, con motivi vegetali o animali � comeaironi, cavalli ed esseri fantastici � che ricordano, sianella tecnica che nello stile delle raffigurazioni, una clas-se di ceramica etrusca abbondantemente distribuita intutto il territorio di Veii, di Caere e di Falerii. Le appen-dici plastiche che decorano certe tegole, per lo piú pro-tomi di animali a rilievo, si ricollegano direttamente allatendenza tutta locale di animare le superfici vascolaricon elementi decorativi a tutto tondo presi dal reperto-rio animalistico.

La fase successiva, dell�inoltrato vi secolo a. C.,mostra però che alla decorazione dipinta si aggiungequella plastica, che interessa anche le lastre di rivesti-mento, nelle quali i motivi decorativi ripetuti, eseguitiin rilievo con l�ausilio di matrici, vengono successiva-mente dipinti. L�innovazione tecnica, emancipando icoroplasti dall�attività ceramistica, favorisce una nuovaspecializzazione nell�ambito della produzione artistica,direttamente collegata questa volta all�edilizia urbana.

Ogni elemento veniva eseguito ricorrendo a stampi

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fittili, entro i quali era pressato un impasto di argilla; ladecorazione a stampo era ottenuta mediante modelli giàpronti, forse di legno. È probabile che in un primotempo gli stampi fossero fatti essiccare al sole e chequindi fossero sottoposti a una o piú cotture che per-mettevano prima la solidificazione dell�argilla e poi l�at-tacco dell�ingubbiatura, un velo di argilla liquida o dicalce, il quale, rendendo tutta la superficie omogenea,facilitava l�adesione dei colori, che venivano aggiuntialla fine, prima della cottura definitiva.

La tecnica, abbastanza complessa, trova precedentinel mondo antico, soprattutto nell�area ellenizzata del-l�Anatolia; la tradizione letteraria assegna invece l�in-troduzione della coroplastica in Italia agli artisti cheseguirono Demarato nel suo esilio in Italia, e proprio aun artista che lavorava a Corinto, Butades di Sicione,veniva attribuita la creazione di elementi decorativi rea-lizzati con l�aiuto di stampi (Plinio, Naturalis historiaXXXV 151 sgg.).» È comunque certo che i primi esem-pi di lastre architettoniche in terracotta con decorazio-ni a basso rilievo, dai contorni estremamente duri, sec-chi, �xilografici�, come è stato detto recentemente39, daporre attorno al 575 a. C., attestano la diffusione di que-sta tecnica nell�area piú direttamente a contatto con ilTevere (Roma, Veii e Vignanello). A contrasto con ledecorazioni plastiche di derivazione ceramistica o con igrandi tondi fittili figurati, recentemente scoperti adAcquarossa e a Murlo, che sembrano quasi grandi dise-gni ritagliati nell�argilla fresca, l�ausilio dei mezzi mec-canici, l�organizzazione stessa del lavoro, che prevedediversi momenti nel processo produttivo, inducono adammettere l�esistenza di un artigianato specializzato.

La tematica di questi primi rilievi è abbastanza fissa:cortei di guerrieri a cavallo, o in atto di salire sui carri,teorie di animali fantastici nelle lastre o nelle tegole ter-minali; teste femminili nelle testate dei coppi, a volte

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Gorgoni. È chiaro che il prestigio della decorazionedoveva essere subordinato all�importanza delle costru-zioni: per questo motivo si è creduto che le decorazio-ni fossero esclusivamente destinate a edifici di culto, male scoperte di Acquarossa, come quelle di Murlo, di cuiparleremo successivamente, possono modificare per lomeno parzialmente questo giudizio.

Dopo la metà del vi secolo a. C. ad Acquarossa si assi-ste a una sorta di trasformazione �monumentale� di un�a-rea dell�abitato: il carattere casuale delle unità abitati-ve, che si amplificano per l�aggregazione di nuoviambienti, alcune volte ricavati direttamente nella roccia(forse riservati al deposito di granaglie), organizzatiattorno ad aree scoperte nelle quali si trovano i pozzi,si differenzia nettamente in un�altra zona dello scavo,dove è stato rilevato un edificio con una serie di ambien-ti disposti a L, preceduti da un porticato sorretto dacolonne lignee su elementi architettonici in peperino; ilsistema decorativo fittile era composto da antefisse atesta femminile e da quattro serie di lastre, stilistica-mente non omogenee40. Le analogie che presenta il com-plesso con la planimetria della Regia a Roma hanno fattosupporre che, anche in questo caso, l�edificio avesse uncarattere civile: le terrecotte figurate, quindi, contra-riamente a quanto si ritiene in genere, non erano desti-nate esclusivamente a decorare edifici di culto, ma ancheedifici civili di una determinata importanza, residenzedi �dinasti� o luoghi cui si annetteva un determinatoruolo nell�organizzazione politica dell�insediamento.

Lo sviluppo assunto attorno al secondo quarto delsecolo dalla decorazione coroplastica, soprattutto neicentri secondari, dipendenti dalle grandi città della costa(come attestano i ritrovamenti nei territori di Caere eVulci, a Poggio Buco e Tuscania), permette forse di ipo-tizzare che il fenomeno di aggregazione della popola-zione nelle campagne comportasse anche la presenza di

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forme gerarchiche, di cui si coglie il riflesso proprionelle decorazioni in terracotta impiegate in edifici civi-li. La frequente apparizione di armati o l�isolamentodella figura del guerriero che sale sul carro, in partenzaper la guerra, dovrebbero in un certo senso connotaresociologicamente la classe dominante.

La mancanza di dati contestuali precisi, che possonoindicarci la funzionalità degli edifici piú antichi, di cuiconosciamo solo le fondamenta, rende in un certo sensoproblematica l�individuazione degli edifici di culto.

Fa eccezione in questo senso Satrico, un centro delLazio posto sul fiume Astura, a sud di Roma, fra Anzioe Pomezia, dove furono scoperte, sulla sommità di unmodesto colle, tracce di vita che si susseguono dallatarda età del bronzo fino alla distruzione romana del 346a. C. Qui, attorno alla metà del vi secolo a. C., si assi-ste alla prima costruzione monumentale del santuario diMater Matuta al quale si affiancano diversi ambienti diabitazione con fondamenta in pietra. L�insediamentoprecedente, formato da un agglomerato di capanne,mostra collegato alla vita del sito anche un culto, chedovette essere praticato fin dall�ultimo quarto dell�viiisecolo a. C., età cui rimontano gli oggetti piú antichi rin-venuti nella stipe votiva, costruita anche questa in occa-sione dell�erezione del tempio41. La decorazione coro-plastica piú antica, da collocarsi nel terzo quarto del visecolo a. C., è piuttosto frammentaria, ma conservalastre con figure di arcieri, una placca con gorgone eantefisse a testa femminile.

Piú antica ancora è la costruzione rinvenuta a Veii,a Piazza d�Armi, in un sito che è considerato la roccadella città42, dove l�identificazione dell�edificio comeluogo di culto può essere provata dalla recente scopertadi altari all�aperto, che si trovavano di fronte al tempiovero e proprio, un semplice ambiente rettangolare, dimodeste dimensioni, con una decorazione fittile non di

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primo ordine, concepita secondo quello stile �xilografi-co� di cui si è detto precedentemente.

È in questo momento, quindi, che l�edilizia sacra ini-zia un iter di prima grandezza nella storia dell�Etruriameridionale e del Lazio, come punto di riferimentonecessario di una nuova concezione del culto, polo obbli-gato di quella che è la stessa organizzazione dell�assettourbano.

4. L�arte funeraria.

È ormai noto che i documenti dell�attività artisticasvoltasi in Etruria provengono principalmente dallenecropoli. Il fatto consegue circostanze di ordine diver-so, dovute, da una parte, all�indirizzo che hanno avutole ricerche fino ai nostri giorni, orientate prevalente-mente negli scavi di sepolcreti, certamente piú fruttuo-si, e, dall�altra, al carattere stesso della civiltà etrusca, cheriservava al culto dei morti cure particolari, certamentenon limitate, come nel caso della Grecia arcaica e forseanche di Roma alla fine del vii secolo, da leggi antisun-tuarie. Di qui l�importanza che assume, di fronte allalacunosa documentazione dell�attività artistica urbana, ingran parte ancora da scoprire, l�arte funeraria, in parti-colar modo in quei settori delle manifestazioni figurati-ve convenzionalmente dette �maggiori�, quali la pitturaparietale e la scultura decorativa a tutto tondo.

L�inizio di questa attività si pone in concomitanzacon lo sviluppo di tombe a camera, inserite in necropo-li anche a carattere monumentale, che possiamo rileva-re nel corso del vii secolo a. C. in tutti i piú importan-ti centri dell�Etruria. Imitando in modo piú o menofedele l�architettura domestica, soprattutto nella dispo-sizione interna, la tomba a camera riveste un dupliceinteresse: attesta l�esistenza di dimore stabili, provviste

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di una loro logica abitativa anche nella diversa funzio-ne degli ambienti; documenta ormai la presenza di areesuburbane dedicate al culto dei morti, riservate, ancheper la continuità delle deposizioni, alla nuova classe gen-tilizia che si è andata formando.

La decorazione tombale evoca comunque una serie dicontenuti simbolici legati non soltanto al culto dei morti,ma anche alla vita, essendo costante, a quanto sembra,la connessione fra il defunto e la sua integrità psicofisi-ca, restituita, anche nel rito incineratorio dell�età delferro, dall�ossuario antropomorfo. Nel vii secolo, pre-valendo in Etruria meridionale il rito inumatorio, ildefunto viene inserito in un ambiente �umano�, assicu-randogli la tomba, con la sua architettura presa in pre-stito dall�ambiente domestico e con il corredo funebre,le condizioni per continuare la vita terrena. Fornito,attraverso offerte di commestibili, dei mezzi per la con-tinuità biologica, il defunto deve anche conservare iconnotati del suo rango: di qui la restituzione del con-tenitore fisico nel quale viveva, imitato realisticamenteo sublimato attraverso rappresentazioni simboliche cari-cate di elementi che contribuiscono a evidenziare ilcarattere monumentale od onorario del sepolcro.

La decorazione tombale nella fase iniziale assumepertanto un duplice valore. Da una parte ci rivela aspet-ti della vita urbana, ma al contempo ci fornisce unaserie di indicazioni relative all�ideologia della morte,che, per effetto di accumulazioni culturali esterne, ten-derà con il tempo a trasformarsi.

La natura sporadica della decorazione tombale nellaseconda metà del vii secolo a. C. non permette di sta-bilire se esistessero maestranze dedite esclusivamente aquesta attività.

La pittura parietale può essere considerata, ad esem-pio, un fatto del tutto eccezionale. Manca alle mae-

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stranze che operano nel vii secolo una tecnica precisadella pittura a fresco. La tomba delle Anatre di Veii, lapiú antica finora scoperta, da collocare nel secondo quar-to del vii secolo a. C., mostra, come tutte le tombe suc-cessive del gruppo orientalizzante, che il decoratoreapplica direttamente il colore alla superficie della pare-te, preparata solo mediante una politura delle asperitàrocciose. Sul fondo sono state dipinte con colore con-trastante figure di anatre, piene o in out-line, che seguo-no le linee di un disegno preparatorio inciso. Una tec-nica che ricorda assai da vicino quella ceramografica,dalla quale sono tratti anche i motivi decorativi, tipicidel repertorio �italo-geometrico�. Né è casuale che nellastessa tomba un�olla di argilla presenti una decorazionestrettamente connessa con quella parietale43, quasi adimostrare la stretta relazione che lega pittura parieta-le e ceramografia.

Allo stesso modo le pitture scoperte nelle granditombe orientalizzanti di Caere, ormai evanide, o quelledel tutto scomparse di Tarquinia, Cosa e Magliano, ripe-tono motivi propri della ceramica orientalizzante comeleoni e felini gradienti in teoria, catene di fiori di lotoe palmette fenicie e, benché eccezionalmente, la rap-presentazione di una nave44. A Caere le decorazionidipinte, pur se prive di un qualsiasi intento contenuti-stico, sembrano un�aggiunta intesa a monumentalizzarela grandiosità di taluni interni.

Diverso è il caso delle pitture della tomba Campanadi Veii, scoperte attorno alla metà dell�Ottocento,anch�esse in stato di progressivo degradamento. For-mata da due camere allineate sullo stesso asse e da duecamerette disposte ai lati dell�ingresso principale, latomba presenta la decorazione dipinta piú complessanella parete di fondo della prima camera, ai lati dellaporta centrale che immette nell�ambiente successivo. Adifferenza di quanto accade a Caere, dove la decorazio-

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ne sembra un fatto marginale, interessando zone limi-tate, qui si tenta per la prima volta di organizzare la pit-tura entro un sistema preciso di pannelli disposti su dueregistri, ai lati di una porta. La delimitazione delle zonea disposizione costringe il decoratore a comprimereentro uno spazio ridotto una serie di figure che sisovrappongono agli ornati senza alcun rispetto per spazio per proporzioni. Nei due registri inferiori si affollanoanimali e ornati vegetali, i primi di evidente derivazio-ne corinzia, i secondi ancora connessi con lo stile subo-rientalizzante che troviamo documentato abbastanzaspesso anche nelle ceramiche figurate etrusche delloscorcio del vii secolo a. C.; nei registri superiori siaffrontano figure di cavalieri e di uomini appiedati,quasi impediti nella marcia da un�esuberante natura diinfiorescenze vegetali, riprese dal consueto repertoriofantastico45. Per quanto privo di una capacità di siste-mare entro i riquadri le figure degli animali, che pre-sentano zampe leggermente allungate, con il conse-guente impicciolimento del cavaliere, il decoratore sausare in modo vivace la policromia, anch�essa impiega-ta in modo del tutto antirealistico, ma con uno specifi-co intendimento espressivo. Poco consueto a decoraregrandi superfici, il pittore sembra nella sua formazioneoriginaria un ceramografo: la disposizione stessa dellescene dipende dalla ceramica, poiché in basso sonodisposte zone con fregi zoomorfi e in alto quelle princi-pali, nelle quali sono impegnate le figure umane; l�im-piego della policromia a zone giustapposte di colore,che distinguono le varie parti del corpo degli animali,contribuisce a creare un linguaggio fantastico, ingigan-tito rispetto a quelle esperienze della filiale veiente delleceramiche dei Vasi policromi, cui si era fatto cenno inprecedenza.

L�evidente rapporto con le esperienze figurative del-l�arte �minore� attesta che la tradizionale relazione che

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viene instaurata fra �arti maggiori� e �minori� è qui deltutto capovolta: sembra cioè che occasionale fosse piut-tosto l�esecuzione di opere di grande impegno la cui rea-lizzazione veniva assegnata a maestranze distolte momen-taneamente dalla loro precipua attività artigianale.

Anche per la scultura decorativa la dinamica di pro-duzione non appare differente, prendendo essa a model-lo, almeno in questa prima fase, esperienze della picco-la plastica, in ceramica o materiale prezioso.

Il primo nucleo di sculture a tutto tondo che cono-sciamo proviene da una tomba monumentale di Vetulo-nia, detta «della Pietrera». La storia interna di questomonumento che, dopo un crollo della volta di poco suc-cessivo alla sua costruzione, fu nuovamente riedificatoe il cui materiale fu utilizzato per l�edilizia ottocentescadel moderno centro di Vetulonia, ha reso problematical�interpretazione dei numerosi frammenti pertinenti allestatue che dovevano decorare l�interno della camera. Èassai probabile che esse dovessero essere addossate allepareti, presso i letti funerari. Due figure femminili pre-sentano le braccia incrociate sul petto e le mani chiusea pugno con il pollice sollevato tra i seni, gesto che haun�ascendenza orientale ma che al contempo si ritrovanelle figure delle �piangenti� nelle piú tarde scene di�esposizione� del defunto46. L�iconografia e lo stile siriconducono a opere di piccola plastica di imitazioneorientale, siro-fenicia. Gravando notevoli dubbi sullaricostruzione dell�intero ciclo decorativo, maggiore inte-resse possono destare alcuni indizi che ci informano sullavoro concreto degli artigiani47. In particolare una testafinita, confrontata con un�analoga incompiuta, mostrache al lavoro dello scultore manca ancora qualsiasi ideadi un bozzetto preparatorio e che gli strumenti adope-rati si limitano a uno scalpello e a un coltello. Con que-sti arnesi egli distingue le masse essenziali, i piani e gli

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spigoli, lavorando poi di cesello per i particolari piúminuti, ma rimanendo spesso insoddisfatto della propriaopera, che lascia non finita proprio perché si accorgedegli errori commessi. Riprendendo schemi iconografi-ci che circolano nella piccola plastica, egli dimostra inquesta fase iniziale del proprio lavoro una serie di diffi-coltà che gli provengono da questo processo di �ingi-gantimento� di piccoli modelli, soprattutto nella realiz-zazione delle proporzioni e nell�esecuzione dei volti.

Parzialmente diversa appare la situazione per quan-to concerne le poche sculture caeretane che conosciamo,appartenenti anche queste al terzo quarto del vii secoloa. C. La cura che viene data nelle tombe di Caere all�i-mitazione realistica degli interni si estende per gli inta-gliatori della roccia anche alla realizzazione di arredi chefanno parte evidentemente dell�assetto interno di casedi un certo �tono�: sedie, piccoli altari, scudi appesi allepareti sono realizzati a rilievo. Una scoperta assai recen-te avvenuta a Caere dimostra come all�attività degli�scavini� si aggiungesse quella degli scultori: nel primoambiente di una piccola tomba a due camere assiali,riservato forse al culto � il secondo infatti è provvistodi una banchina per la deposizione dei defunti � eranoricavate dalla roccia due figure ammantate, con unabarba rettangolare, di evidente ispirazione siro-ittita49,sedute su un trono con spalliera circolare. Questo tipodi iconografia, che incontrerà un notevole successo nel-l�Etruria in età arcaica, in particolare nell�area di Chiu-si, ritorna anche in una delle piú interessanti tombecaeretane, quella denominata «delle Cinque sedie»; unambiente minore era qui concepito come una stanzadomestica: cinque sedie rettangolari erano allineate suuna parete, due seggi con spalliera ricurva erano dispo-sti su un�altra, davanti ai primi erano due tavoli rettan-golari con le zampe centinate, di fianco agli altri unasorta di cesto cilindrico, lungo un�altra parete un picco-

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lo altare con delle cavità50. Su questi seggi dovevanosedere altrettante immagini di defunti, realizzate in ter-racotta (se ne conservano ora solo tre, una al Museo deiConservatori a Roma, due al British Museum di Lon-dra), stilisticamente ancora inseribili nell�ambienteorientalizzante51.

A livello ideologico sembra dunque intenso in questomomento il culto per gli antenati (siamo nel periodo incui la stessa formula onomastica prevede un elementoaggiunto al nome proprio, che segnala la dipendenzadell�individuo da un antenato-capostipite), al punto dariservare loro, nel sepolcro, un ambiente dove i defun-ti, viventi nelle loro immagini di pietra o di terracotta,venivano ancora una volta restituiti all�integrità fisica.

Assai piú frequente, dalla fine del vii secolo a. C., èla presenza di sculture raffiguranti leoni o pantere, ani-mali fantastici o leggendari (come la sfinge o il centau-ro), che dovevano essere posti all�ingresso delle tombe,in qualità di �guardiani�, in funzione apotropaica. La piúantica attestazione è una sfinge in terracotta dalla tombadei Doli di Caere, databile attorno al 630 a. C.52, deri-vata chiaramente da modelli orientalizzanti, ma una tra-dizione vera e propria in questo senso può essere loca-lizzata principalmente a Vulci, dove, senza soluzione dicontinuità, si ravvisa un�attività specializzata in questosettore, che inizia attorno a quest�epoca per protrarsifino alla fine del vi secolo a. C.

Lo stimolo verso una scultura di tipo monumentale,che ormai non tiene piú conto di piccoli modelli, puòessere venuto da esempi di grande plastica giunti attra-verso il commercio marittimo. Un caso di opera impor-tata probabilmente da Rodi è la statuetta rinvenutanella tomba d�Iside a Vulci53, in gesso alabastrino: crea-ta verosimilmente nel luogo d�origine come statuetta diofferente, da esporre come anáthema in un santuario,essa assume nel contesto funerario, dove è stato rinve-

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nuto anche un busto di bronzo di esecuzione locale, raf-figurante un�altra figura femminile, una funzione forseanaloga a quella delle statuette caeretane.

In questa tradizione, che parte essa pure dalla tem-perie orientalizzante, si enuclea un gruppo di sculturedecorative costituite da leoni e sfingi, databili nel primotrentennio del vi secolo a. C.54, in cui diviene sempre piúaffiorante la componente figurativa corinzia: in questoambito si colloca la piú famosa statua dell�arcaismo etru-sco, il Centauro di Vulci. È possibile anzi riconoscere inquesto gruppo di statue alcune affinità piuttosto strin-genti, come nel caso del �maestro� che ha eseguito il Cen-tauro, al quale può essere attribuita anche una sfinge oraal Museum of Fine Arts di Boston55: constatazione, que-sta, che ci permette di formulare finalmente, anche perla grande scultura, l�ipotesi dell�esistenza di una tradi-zione di botteghe. Il Centauro rappresenta un punto dipartenza della grande plastica funeraria, ricco com�è dispunti nuovi, emersi evidentemente dalla rinnovata tem-perie corinzieggiante che si riscontra a Vulci attorno al580 a. C. anche nella ceramica d�imitazione. La volu-metria che distingue quest�opera mostra in modo ine-quivocabile l�affrancamento da una visione bidimensio-nale, da basso rilievo, riflessa invece nelle precedentisculture vetuloniesi, mentre rende possibile un suo inse-rimento nella piú antica scultura greco-continentale. Adun�analisi piú attenta, però, la capigliatura, pur nel vivosenso di corposità delle trecce e dei �piani� della par-rucca, rivela ancora vitali elementi orientali di piú anti-ca ascendenza; del pari il volto, enorme, mostruoso � maquest�esasperazione può essere spiegata tenendo contodella funzione apotropaica che aveva la statua � ricordanei suoi caratteri stilistici d�insieme opere di piccolaplastica siriache o rodie piuttosto che la grande scultu-ra greca, presente forse piú nella impostazione generaledell�opera56. Di qui il carattere �coloniale� del Centauro,

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frutto di una formazione eclettica, lontano da esperien-ze coerenti di �scuola� che possono distinguersi contem-poraneamente in Grecia.

Una diversa esperienza di tipo artigiano, maturata acontatto di un repertorio figurativo di derivazione orien-talizzante e nell�ambito di una routine vicina a quella degliintagliatori di legno, è quella tipicamente tarquiniese deicosiddetti «lastroni» in pietra, che dovevano probabil-mente coprire il cielo di tombe a camera57. Il materialetufaceo dal quale sono ricavati, facile all�intaglio, la pre-senza di veri e propri cassettoni, circondati da fasce condecorazione figurata, portano a presumere che essi imi-tassero un soffitto ligneo. Lo scopo eminentemente deco-rativo che dovevano assolvere i «lastroni» non impegnapertanto le maestranze in rappresentazioni di contenutoparticolare: il repertorio animalistico viene isolato nelledecorazioni metopali o si presenta in lunghe teorie neiriquadri lunghi, come nei fregi ceramografici. In questopullulare di figurine, episodi staccati, derivati diretta-mente dai miti greci e collegabili alle iconografie tra-smesse dalla ceramica greca del primo quarto del vi seco-lo a. C., sembrano perdere il loro significato originario einserirsi in un gioco di figurazioni puramente decorativo.

1 Per un commento alla tradizione annalistica cfr. r. m. ogilvie, ACommentary on Livy Books 1-5, Oxford 1965, pp. 140 sgg.

2 c. de simone, Per la storia degli imprestiti greci in etrusco, in Auf-stieg und Niedergang der römischen Welt, I, 2, Berlin � New York 1972,pp. 508 sgg.

3 plinio, Naturalis historia XXXV 152.4 i. krauskopf, Der thebanische Sagenkreis und andere griechische

Sagen in der etruskischen Kunst, Mainz 1974, pp. 4-25 e g. camporea-le, in «Studi Etruschi», xliii (1975), pp. 357 sgg.

5 Sul problema, piú recentemente, cfr. m. gras, La piraterie tyrrhé-nienne en mer Egée, in L�Italie préromaine et la Rome républicaine, I,Rome 1976, pp. 341 sgg.

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6 m. martelli, in «Prospettiva», iv (1975), p. 44.7 Ampio excursus su questi problemi in j.-p. morel, L�expansion

phocéenne en Occident: dix années de recherches (1966-1975), in «Bul-letin de correspondence hellénique», xcix (1975), pp. 893 sgg.

8 Sui rapporti fra questi due centri e il loro territorio cfr. g. colon-na, in «Studi Etruschi», xxix (1961), pp. 79 sgg.; id., ivi, xxxv (1967),pp. 12 sgg. e cristofani, in La civiltà arcaica di Vulci e la sua espan-sione, Firenze 1977, pp. 189 sgg.

9 g. colonna, Aspetti della Roma primitiva: l�orientalizzante recente,in «Archeologia classica», xvi (1964), pp. 3 sgg.; f. e. brown, La pro-tostoria della Regia, in «Rendiconti della Pontificia Accademia diarcheologia», xlvii (1974-75), pp. 15 sgg.

10 m. cristofani, in L�etrusco arcaico, Firenze 1976, pp. 103 sgg.11 Le rappresentazioni, di cui si dirà piú oltre, prevedono per soli-

to dei cortei di opliti aperti dalla figura del �capo-guerriero� sul carro:id., in «Studi Etruschi», xxxix (1971), pp. 74 sgg. Sulla clientela inetà arcaica da ultimo m. torelli, in «Dialoghi di archeologia», viii(1974-75), pp. 33 sgg. (Sulla diffusione della tattica oplitica è piúaccettabile la posizione espressa da a. m. snodgrass, in «Journal of Hel-lenic Studies», lxxxv (1965), pp. 116 sgg.).

12 Sul significato di questi vasi nel contesto etrusco: a. giuliano, IlPittore delle Rondini, in «Prospettiva», iii ( 1975), pp. 2 sgg.

13 m. bonamici, I buccheri con figurazioni graffite, Firenze 1974, pp.87 sgg.

14 a. alföldi, Early Rome and the Latins, Ann Arbor 1965, pp. 281sgg.

15 m. cristofani, in «Studi Etruschi», xxxviii (1970), pp. 274 sgg.16 Si ricordano in particolare per Veii: h. payne, Necrocorinthia,

Oxford 1931, pp. 94 sg.; per Caere: ivi, pp. 277 sgg.; per Vulci: Nuoveacquisizioni e scoperte nell�Etruria meridionale, catalogo della mostra,Roma 1975, tav. 49.8 (qui anche, a tav. 8, un�olpe tardoprotocorinziada Veii con decorazione policroma).

17 m. martelli, La ceramica greco-orientale in Etruria, in Les céra-miques de la Grèce de l�Est et leur diffusion en Occident, Napoli 1977,pp. 115 sgg.

18 giuliano, Il Pittore delle Rondini cit.19 j. l. benson, Die Geschichte der Korintischen Vasen, Basel 1953,

pp. 94 sg.20 f. zevi, Nuovi vasi del Pittore della Sfinge Barbuta, in «Studi Etru-

schi», xxxvii (1969), pp. 39 sgg.21 m. cristofani martelli, in «Studi Etruschi», xxxix (1971), pp.

379 sgg.22 m. torelli, ivi, xxxiii (1965), pp. 329 sgg.23 j. g. szilàgyi, in «Archeologia classica», xx (1968), pp. 17-21 (pit-

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tore di Feoli e pittore della Scuola Americana); m. martelli, Per il pit-tore di Feoli, in «Prospettiva», xi (1977), pp. 2 sgg.

24 j. g. szilàgyi, in «Studi Etruschi», xl (1972), pp. 54 sgg. (Pit-tore senza graffito).

25 Sulla diffusione della ceramica etrusco-corinzia e su tutti questiproblemi cfr. id., in La civiltà arcaica di Vulci e la sua espansione cit.,pp. 49 sgg. Si veda anche, dello stesso autore, l�opera di sintesi Etru-sko-korinthosi Vázafestészet, Budapest 1975, purtroppo in una linguainaccessibile.

26 g. colonna, in «Studi Etruschi», xxix (1961), pp. 80 sgg.27 Per Gravisca e sulla sua funzione: m. torelli, Il santuario di Hera

a Gravisca, in «La parola del passato», xxvi (1971), pp. 44 sgg.28 Su questi oggetti: f. von bissing, Zeit und Herkunft der im Cer-

veteri gefundenen Gefässe aus ägyptischer Fayence und glasiertem Ton,München 1941. Per alcuni aggiornamenti: a. rathje, in Studia roma-na in honorem Petri Krarup oblata, Roma 1976, pp. 10 sgg. Sul proble-ma dei profumi: r. pfister, in Real-Encyclopädie der klass. Altertum-swissenschaft, II serie, IA (1914), s. v. Rauchopfer, cc. 267-86.

29 Sul problema delle importazioni dalla Grecia orientale, ivi com-presa la ceramica, cfr. l�ampia rassegna di martelli, La ceramicagreco-orientale in Etruria cit.

30 m. cristofani, Per una nuova lettura della pisside della Pania, in«Studi Etruschi», xxxix (1971), pp. 63 sgg.

31 m. torelli, Un uovo di struzzo dipinto conservato nel Museo di Tar-quinia, ivi, xxxiii (1965), pp. 329 sgg.

32 L�individuazione degli oggetti si deve a chi scrive. Gli elementiframmentari da Quinto sono pubblicati da g. caputo, in «Arte anticae moderna», xvii (1962), pp. 65-67, fig. 14.

33 Su questi problemi cfr. id., in Aspetti e problemi dell�Etruria inter-na, Firenze 1974, pp. 29 sgg. (qui anche i miei interventi, pp. 67 sgg.e 147 sgg.).

34 Cfr. soprattutto le ricerche compiute dalla scuola svedese a Lunisul Mignone, San Giovenale e Acquarossa: Etruscan Culture, Land andPeople, Malmö 1962, pp. 313 sgg.; a. boëthius, in «Opuscula Roma-na», vi (1968), pp. 9 sgg.; c. e. oestenberg, ivi, vii (1969), pp. 89 sgg.;b. blomé, in «Palladio», xix (1969), pp. 139 sgg.; Gli Etruschi. Nuovericerche e scoperte, catalogo della mostra a cura di G. Colonna e C. E.Oestenberg, Milano 1972; c. e. oestenberg, in Aspetti e problemi del-l�Etruria interna, Firenze 1974, pp. 75 sgg.; id., Case etrusche ad Acqua-rossa, Roma 1975: f. prayon, Frühetruskische Grab- und Hausarchitek-tur, Heidelberg 1975, pp. 128 sgg.

35 e. gjerstad, Early Rome, I, Lund 1953, pp. 130 sgg.; IV, Lund1973, pp. 403 sgg. Per la cronologia di questa fase di Roma e sulla �rivo-luzione� urbana: g. colonna, Aspetti culturali della Roma primitiva: il

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periodo orientalizzante recente, in «Archeologia classica», xvi (1964), pp.1 sgg.; h. riemann, in «Gymnasium», lxxii (1965), pp. 346 sgg.

36 brown, La protostoria della Regia cit., pp. 15 sgg.37 prayon, Frühetruskische Grab cit., pp. 154 sgg.38 Questa tipologia edilizia è presente anche nelle colonie greche,

come mostrano gli scavi di Megara Hyblaea (cfr. g. vallet, f. villarde p. auberson, Megara Hyblaea, I: Le quartier de l�agorà archaïque,Roma 1976, pp. 293 sgg.).

39 a. andrén, Osservazioni sulle terrecotte architettoniche etrusco-ita-liche, in «Opuscula Romana», viii (1971), pp. 6 sgg.

40 c. e. oestenberg, Le terrecotte architettoniche etrusche di Acqua-rossa, in «Colloqui del Sodalizio», ii (1968-70), 1972, pp. 103 sgg.

41 a. andrén, Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples,Lund-Leipzig 1940, pp. 453 sgg.; g. colonna, in Civiltà del Lazio pri-mitivo, Roma 1976, pp. 324 sgg.

42 e. stefani, in «Monumenti Antichi dei Lincei», xl, (1944), cc.228 sgg.

43 a. de agostino, La tomba delle Anatre a Veio, in «Archeologiaclassica», xv (1963), pp. 219-22.

44 Manca un�edizione delle tombe dipinte di Cerveteri: bisognarifarsi sempre a g. bovini, in «Ampurias», ix ( 1949), pp. 67 sgg. Unatomba, forse piú antica, è stata scoperta nel 1970: cfr. «Studi Etru-schi», xli (1973), p. 538.

45 Per queste pitture cfr. piú recentemente l. banti, Le pitture dellatomba Campana a Veii, in «Studi Etruschi», xxxviii (1970), pp. 27 sgg.,dove è raccolta tutta la letteratura precedente; il parere della Banti èperaltro fortemente discordante da quella che è ormai la piú accredi-tata collocazione cronologica e stilistica delle pitture.

46 g. camporeale, Scene etrusche di prothesis, in «Römische Mittei-lungen», lxvi (1959), pp. 31-44 elenca i monumenti con queste scene.

47 a. hus, Recherches sur la statuaire en pierre étrusque archaïque, Paris1961, pp. 452 e 475 sgg.

48 prayon, Frühetruskische Grab cit., pp. 107 sgg.49 Cfr. la breve notizia di g. colonna, in «Studi Etruschi», xli

(1973), pp. 540-41.50 Cfr. la ricostruzione data da f. prayon, Zum ursprünglichen Aus-

sehen und zur Deutung des Kultraumes in der Tomba delle Cinque Sediebei Cerveteri, in «Marburger Winckelmann-Programm», 1974 (1975),pp. 1-15.

51 id., Zur Datierung der drei frühetruskische Sitzstatuetten aus Cerve-teri, in «Römische Mitteilungen», lxxxii (1975), pp. 165 sgg. con let-teratura precedente.

52 g. colonna, in Gli Etruschi. Nuove ricerche e scoperte, catalogodella mostra cit., pp. 82-83.

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53 L�illustrazione di questa statuetta si deve a s. haynes, Antike Pla-stik, IV, 1964, pp. 12-29, che rifiuta comunque l�ipotesi di una sua ori-gine greco-orientale (ammessa invece, fra l�altro, da A. Hus, M. Mar-telli, G. M. A. Richter, F. Zevi e da chi scrive).

54 w. l. brown, The Etruscan Lion, Oxford 1960, pp. 62-66.55 c. vermeule, in «Bulletin of the Museum of Fine Arts, Boston»,

lxii (1964), pp. 107-9.56 Per un�analisi minuta del Centauro cfr. hus, Recherches cit., pp.

144-61.57 m. pallottino, Tarquinia, in «Monumenti Antichi dei Lincei»,

xxxvi (1937), cc. 197-207. Alcuni frammenti sono stati scoperti anchea Vulci.

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Capitolo quarto

Maestranze greche e maestranze locali

Varrone tramanda inoltre che la plastica in argilla, pro-pria dell�Italia e in particolare dell�Etruria, qui raggiunse unalto grado di perfezione. Tarquinio Prisco fece venire aRoma da Veii Vulca, commissionandogli la statua di Giovesul Campidoglio che era d�argilla e per tale motivo venivaperiodicamente colorata col minio; sempre d�argilla eranole quadrighe poste come fastigio sul tempio, delle qualiabbiamo già parlato. Ancora da Vulca fu eseguita la statuadi Ercole oggi a Roma che conserva il nome dalla materiadi cui è fatta (Hercules fictilis). Tutti questi simulacri di divi-nità erano molto famosi.

Questo passo di Plinio il Vecchio, che abbiamo ripor-tato integralmente (Naturalis historia XXXV 157), trovacorrispondenza in altre fonti antiche che attribuiscono laquadriga a un non precisato artista veiente o ai maestridi Veii, chiamati però da Tarquinio il Superbo1. Poichégli autori antichi scambiano spesso i due Tarquinii nel-l�attribuire loro le medesime notizie, ha avuto maggiorcredito l�ipotesi che la decorazione del tempio di GioveCapitolino, inaugurato subito dopo la fine della monar-chia, fosse stata eseguita sotto il regno del Superbo, tra-dizionalmente datato fra il 534 e il 510 a. C.

Tralasciando per ora una serie di questioni relativeallo stesso nome dell�artista etrusco, per il quale si èrecentemente prospettata l�ipotesi che si tratti di una

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ricostruzione erudita dei filologi del xix secolo su unpasso corrotto del testo pliniano, e tenendo invece pre-sente che l�attività coroplastica che si svolgeva a Veiipuò avere una conferma diretta nei cicli decorativi dellocale tempio del Portonaccio2, ci rivolgeremo piuttostoa un dato di grande interesse contenuto nella notizia: aVeii esisteva un gruppo organizzato di maestranze cheaveva raggiunto un tale grado di fama che fu chiamatoin un�altra città � nella fattispecie Roma � per realizza-re la decorazione del massimo tempio urbano. Si tratta,in definitiva, di una commissione voluta dall�autoritàstatale che da tempo andava costruendo sulla rocca dellacittà un edificio di culto che avrebbe dovuto emergeresopra gli altri, sostituendo anche il santuario federale delMonte Albano, presso il quale si radunavano i populiLatini.

L�autorità pubblica, si diceva, ma anche a questoproposito sarà necessario precisare in quale modo � aRoma come nelle città dell�Etruria meridionale � essa siconfigurasse.

Il periodo della monarchia etrusca a Roma segnala unsovvertimento della primitiva struttura sociale: la tra-dizione (ad esempio Livio, I 35.2) attribuisce ai Tar-quinii il sostegno della plebe e l�inimicizia dei patres,esponenti dell�aristocrazia agraria, forse perché al tempodegli Etruschi il potere si concentrava nella massimacarica dello stato a tutto svantaggio dell�assemblea deipatres, il senato. Ed è proprio sotto un re di origine etru-sca, Servio Tullio, asceso al potere in circostanze tuttosommato misteriose, che si viene a definire un nuovoassetto politico e sociale per la città sul quale le fontiantiche si dilungano estesamente3.

L�organizzazione dello stato romano giunge infatti aun complesso assetto di tipo accentrato che trova nellacittà, nel suo rapporto con la campagna, divisa fra le gen-tes, il suo punto di riferimento. Le riforme serviane, di

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tipo censitario, facilitano l�ascesa di famiglie di nuovaformazione, i cui rappresentanti si aggregano nel sena-to ai vecchi patres; stabilendosi poi una rudimentaleforma di moneta con il sigillo dell�autorità statale, ven-gono stimolate nuove forme di operazioni economiche.A livello territoriale la costruzione delle mura urbane,la divisione in regioni dello spazio cittadino, determinafisicamente e giuridicamente il concetto di città-stato;all�esterno della città, viceversa, la fondazione di san-tuari extraurbani � alcuni voluti direttamente dal re,come quello di Diana sull�Aventino � esercita una fun-zione di richiamo per gli stranieri, in particolare per icommercianti, che non vengono piú direttamente inte-grati, come in precedenza, nell�organizzazione urbana4.Queste riforme passano a Roma attraverso un perso-naggio che ha svolto la funzione di tiranno-liberatore neiconfronti del dominio della vecchia aristocrazia agraria.Un esempio di figure simili, che si pongono come tiran-ni nell�organizzazione statale in un momento non moltolontano da quello romano, ci proviene anche dall�Etru-ria. Il titolare della dedica di Pyrgi, Thefarie Velianas(«re su Cisra», ossia Caere, nel testo fenicio), dedica untempio e una statua a Uni-Astarte nel terzo anno del suoregno (non è quindi un magistrato annuale), poichébeneficia della protezione della dea. Questa dedica, dellafine del vi secolo a. C., va collocata, grosso modo, nelperiodo in cui anche in Italia si assiste all�avvento dellatirannia: di qui l�ipotesi che anche Thefarie Velianasfosse giunto alla massima carica attraverso un atto diappropriazione personale del potere per il quale, comeaccade per altri tiranni della Ionia o della Magna Gre-cia, avrebbe ricevuto una sorta di carisma dalla divinitàprotettrice. Policrate a Samo si mette sotto la protezio-ne di Hera e dedica alla divinità un tempio grandioso;Pisistrato ad Atene sotto quella di Athena, di cui rico-struisce e abbellisce il tempio; Servio Tullio a Roma

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sotto quella di Fortuna, in onore della quale erige unsantuario nel Foro Boario, zona tradizionalmente lega-ta ai traffici tiberini5. Queste figure, che hanno poteristraordinari, carismatici, fondati in gran parte sull�ap-poggio di compagini sociali che fino ad allora eranorimaste estranee alla scena politica, emergono da unnebuloso quadro di lotte politiche esterne � di cui fafede l�affresco della tomba François, sul quale tornere-mo in seguito � e interne, che vedono un contrasto fravecchia e nuova aristocrazia, fra vecchia classe dirigen-te e nuova emergente.

Non c�è dubbio infatti che la definitiva formazionedella città abbia comportato anche un declino dellamobilità commerciale etrusca, cosí ben documentata,tra la fine del vii e la prima metà del vi secolo a. C. dallaesportazione dei vasi di bucchero e delle anfore vinarie.Sono le stesse città-stato, ora, a richiamare, i mercantigreci che si installano stabilmente lungo le coste dell�E-truria meridionale e trovano punti di riferimento stabi-li nei porti dei grandi centri, a Pyrgi e a Gravisca, dovei santuari extraurbani costituiscono i luoghi di aggrega-zione. Le recenti scoperte di Gravisca, dove sono statetrovate dediche vascolari votive in greco ad Afrodite edHera su ceramica greco-orientale o attica e un fram-mento di ancora in pietra riutilizzato per una dedica adApollo dal mercante Sostratos di Egina, noto a Erodo-to (IV 152), inducono a pensare a una sorta di fondacogreco presso Tarquinia istituito nel corso del vi secoloa. C., nel quale i commercianti greci erano autorizzati,al di fuori delle mura cittadine, a praticare anche i pro-pri culti6. A ragione è stato ricordato, per analogia, l�em-porio greco di Naucrati in Egitto, funzionante circanella stessa epoca, ai cui abitanti il faraone Amasi avevaconcesso di praticare i propri culti e di costruire sacellie altari7. A Gravisca come a Naucrati appare assai con-sistente la presenza di Greci dell�Asia Minore e di Egi-

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neti, con una prevalente precedenza in ordine di tempodei primi � in particolare dei Samii � sui secondi.

La funzione di questi �punti di appoggio� nel bacinodel Mediterraneo può considerarsi diversa da quelladelle colonie vere e proprie, di piú antica origine, che sierano stanziate non solo in Italia meridionale e in Sici-lia, ma anche lungo le coste dell�Africa settentrionale,della Spagna e della Francia meridionale. Mentre nellecolonie il gruppo etnico dominante si era organizzatoseguendo i modelli politici della madrepatria, Naucratio Gravisca assumono piuttosto la caratteristica di �portidi commercio� fornendo cosí ai mercanti uno spazio peresercitare determinate forme di scambio con popolazio-ni non greche (come gli Egizi o gli Etruschi).

La parte preponderante assunta dai Greci dell�AsiaMinore in questa fase del commercio marittimo può esse-re compresa tenendo presente l�estrema complessità dellastoria politica e culturale di quest�area, dalla quale sidipartono, sia pure per motivi diversi, nuovi movimen-ti di colonizzazione. Le forme di vassallaggio cui eranosottoposte le città ioniche da parte dei Lidî non aveva-no provocato infatti alcuna battuta d�arresto nella loroattività commerciale, sia che fosse diretta verso il mare,sia verso lo stesso entroterra anatolico: l�ultimo re dellaLidia, Creso, viene descritto dalla tradizione letterariagreca come un uomo culturalmente ellenizzato. La debo-le resistenza che le città ioniche, politicamente divise dairriducibili contrasti, opposero ai successivi invasori, iPersiani, e le forme di tributo certamente piú aspre impo-ste dai nuovi dominatori determinarono una sorta didiaspora degli Ioni nel Mediterraneo, in particolar mododei Focei, che abbandonarono la loro patria per seguirele rotte già percorse dai loro padri, verso la Francia meri-dionale e la Corsica. Ma prima della diaspora dei Focei(c. 545 a. C.), e anche dopo, vita culturale ed economi-ca non dovettero subire notevoli flessioni.

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Fonti letterarie e fonti archeologiche ci offrono unquadro non ancora del tutto chiarito su questo periodo,nel quale possiamo enucleare due diversi livelli di mobi-lità fra i Greci dell�Asia Minore. Il primo va identifica-to nel movimento coloniale vero e proprio, che interes-sa sia i fuggiaschi di Focea sia un gruppo di Samii ostilialla tirannia di Policrate. Il secondo va interpretato comecontinuazione di un�attività commerciale esistente, cheutilizza determinate rotte già percorse dai naviganti dellaIonia e che probabilmente si intensifica proprio neidecenni attorno alla metà del vi secolo a. C. L�ascesa deltiranno Policrate a Samo, attorno al 540 a. C., tipicorappresentante della classe oligarchica dedita a forme dicommercio come la pirateria, attesta quale ruolo avesse,nella Grecia orientale, l�attività commerciale.

Ai Focei Erodoto attribuisce la prerogativa di averpercorso il Mediterraneo con navi lunghe e rapide e diaver raggiunto Tartesso (I 163), ma, in un altro luogodelle sue Storie (IV 152), ricorda anche un samio, Cho-laios, che al tempo della fondazione di Cirene era statotrasportato dalle correnti marine nello stesso luogo, oltrele colonne d�Ercole. Quando i Focei lasciano nelle manidel generale persiano Harpagos la loro città cercano rifu-gio in Corsica dove, vent�anni prima (C. 565 a. C.), sierano assicurati il possesso di una città, Alalia. L�attivitàcommerciale che essi cominciano a esercitare nel Tirre-no si risolve a danno delle città dell�Etruria costiera (inparticolare di Caere) e di Cartagine, sí che lo scontro,inevitabile, costringe i Focei a partire dalla Corsica e araggiungere prima Reggio e poi a fondare una nuovacolonia, Velia, non distante da Poseidonia (cfr. Erodo-to, I 166-67).

L�attività commerciale degli Ioni attorno alla metàdel vi secolo a. C. e oltre viene a configurarsi, dopo lescoperte di Gravisca, in modo assai piú chiaro. Il movi-mento �coloniale� è infatti preceduto e seguito dall�arri-

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vo di merci provenienti direttamente dall�isola di Samo:protomi di grifo bronzee scoperte in congruo numero aTarquinia, Roma, nella Val di Chiana (Brolio), a Peru-gia e in Umbria (Trestina); coppe decorate a figure nere,imitanti quelle attiche, uscite da una bottega operantea Samo attorno ai decenni centrali della metà del seco-lo (rinvenute a Gravisca e a Caere) e alcuni vasi gia-niformi (rinvenuti a Vulci, Chiusi e Tarquinia). Si trat-ta di prodotti che nella stessa Grecia hanno una diffu-sione limitata, ma che troviamo costantemente nel san-tuario di Hera a Samo, a Naucrati e in Etruria, e che cidovrebbero fornire un indizio abbastanza preciso sullaprovenienza dei mercanti che in quel periodo, per quan-to concerne l�artigianato artistico, dovevano fornire gliEtruschi di objets d�art come le ceramiche attiche.

Non è comunque improbabile che l�azione dei colo-ni di Focea, altamente civilizzati, abbia stimolato lepopolazioni già ellenizzate del Tirreno, in particolare gliEtruschi. La visione schematica di �blocchi� etnici chesi sarebbero contrapposti sul mare (Etruschi, Cartaginesie Greci) si va attenuando, da quando si sono individuatelungo le coste dell�area tosco-laziale (a Gravisca e, pro-babilmente a Pyrgi, come forse nella stessa Roma) luo-ghi nei quali il contatto con gli stranieri poteva avveni-re liberamente, sí che l�impatto con i Greci dell�Orien-te può aver servito di stimolo per la rielaborazione dideterminati modelli culturali8. Non è un caso, anzi, cheproprio in questo periodo le città dell�Etruria meridio-nale ricevono una piú profonda ellenizzazione, e in unmomento di cambiamenti interni che investono la stes-sa distribuzione demografica: attorno al 530 a. C. si assi-ste a una diaspora della popolazione sparsa nel territo-rio verso i centri primari, quasi che le grandi città costie-re o quelle di piú recente formazione dell�interno �come Volterra o Chiusi � offrano motivi di richiamo perle popolazioni della campagna9.

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Le città-stato, socialmente strutturate per grandi gen-tes, godono infatti di un periodo di notevole prosperitàe proprio ora, forse sul modello della lega ionica, isti-tuiscono rapporti politicamente stabili fra loro sottoforma di una lega sacra, nella quale si riconosce il nomenetrusco, e un luogo di culto comune, il santuario �fede-rale� dedicato alla divinità Voltumna, presso Volsi-nii-Orvieto10. All�interno di queste strutture, apparen-temente compatte, si verificano fenomeni di �coloniz-zazione� organizzata che partono proprio dall�internodella regione, dall�area gravitante attorno al santuario diVoltumna, verso l�Emilia o la Campania interna, giàinteressate in età precedente dalla frequentazione etru-sca. La fondazione coloniale, con le sue strutture e infra-strutture create ex novo � come ad esempio la città diMarzabotto �, rappresenta in modo abbastanza chiaroil sistema urbano cosí come si è venuto a configurare nel-l�area tosco-laziale tra la fine del vii e il vi secolo a. C.:come esito dello sviluppo demografico e delle esigenzeproduttive (intese soprattutto come conservazione dellastruttura aristocratica e comunitaria della città-stato), lacolonia riflette in qualche modo la situazione dellacomunità d�origine. Il regime di proprietà, che nellenecropoli è arguibile da uno standard specifico, riscon-trabile nell�uniformità delle tombe costruite secondo un�piano� urbanistico dei cimiteri di Caere o Orvieto, pre-suppone l�esistenza di un ceto �urbano� che organizza inmodo razionale i propri modi di produzione, legati allosfruttamento della terra, anche attraverso la creazionedi infrastrutture, quali le opere di canalizzazione riscon-trate a Veii11.

Questo mutamento permette anche la recezione, alivello sovrastrutturale, di modelli esterni che compor-tano cambiamenti di un certo rilievo. Nell�ambito deisantuari, ad esempio, i simulacri delle divinità sonoesemplati direttamente sull�iconografia greca o sono

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addirittura importazioni greche. A Roma il simulacro diDiana nel santuario dell�Aventino, doveva essere unoxóanon di probabile provenienza greca, mentre il Palla-dio rinvenuto sul Palatino è un originale databile allafine del vi secolo a. C.12. A Orvieto, nel piccolo santua-rio extraurbano di Vei presso la Cannicella, la statua diculto, la cosiddetta Venere, è un originale greco-orien-tale riutilizzato, mentre a Volterra una testa maschile didivinità deriva da modelli massalioti del tardo arcai-smo13. Sarebbe inoltre importante riuscire a provare laprovenienza dall�Etruria di una testa di koûrosgreco-orientale, di poco piú antica, �scoperta� nei magaz-zini del Museo Archeologico di Firenze14.

L�antropomorfizzazione della divinità, un fenomenoche può essere riportato proprio a quest�epoca, passaattraverso le iconografie elaborate in Grecia, e ilpantheon etrusco viene in qualche modo a rivestirsi dipanni ellenici. L�introduzione di divinità estranee allareligione locale, quali Apollo e Artemide, che conserva-no in etrusco il loro nome greco (Apulu e Artumes),rimonta a quest�età, attraverso il contatto con la com-pagine greca, in particolare proprio con quella focese diMassalia, dove i culti piú importanti erano appuntoquelli ad Apollo e Artemide (Strabone, IV 179). Allafine del vi secolo Sostratos dedica ad Apollo Eginetaparte di un�ancora in pietra nel santuario greco di Gra-visca usando la propria lingua e, sempre nella stessaarea, le dediche votive in greco per Afrodite precedonoquelle in etrusco per la divinità corrispondente, Turan.La reinterpretazione etrusca delle divinità greche avvie-ne pertanto proprio in queste sedi, dove l�interferenzaesterna non provoca un rigetto da parte della comunitàlocale, quanto piuttosto un�integrazione di elementi cul-turali esterni, come accade a Roma, dove nel santuariosull�Aventino la Diana latina viene identificata con l�Ar-temide greca.

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Le arti decorative in determinati settori della produ-zione, che prendono l�avvio proprio in questo periodo,come gli specchi bronzei con decorazione incisa o legemme, ci restituiscono dalla fine del vi secolo a. C. unrepertorio nel quale Apollo e Artemide sono protagoni-sti e dove tutta una serie di personaggi dei cicli eroicigreci sembra perfettamente inserita nella cultura figu-rativa etrusca15. È comunque proprio attraverso l�ono-mastica divina, attraverso quei nomi che compaionocome puri imprestiti greci nell�etrusco, che cogliamoquesto fenomeno, al quale non si può non attribuire unsignificato assai piú profondo, che investe direttamen-te anche il comportamento politico delle città etrusche.L�esistenza di un thesaurós dei Caeriti nel centro sacroad Apollo, a Delfi, di cui ci informa Strabone (V 220),inserisce evidentemente la città sotto l�influenza deter-minante dell�oracolo delfico che fu consultato, secondoErodoto (I 167), proprio dopo la sconfitta consumata adanno dei Focei nella battaglia del Mar Sardo. L�evi-denza archeologica ci consente comunque di far risalirepiú in alto nel tempo l�influenza del repertorio decora-tivo greco a sfondo mitologico, che, penetrato massic-ciamente nel corso del secondo quarto del vi secolo a.C. attraverso la ceramica attica a figure nere, influenzaanche la ceramografia locale a partire dalla metà delsecolo, nelle opere di officine impiantate direttamenteda artigiani greci a Vulci o a Caere. Si è ritenuto che latematica mitologica rappresentata nella produzione figu-rata etrusca fosse stata imitata per puri scopi decorati-vi senza un�effettiva comprensione delle leggende. Studirecenti hanno messo in luce, però, che alcune scene, rap-presentate proprio su monumenti etruschi della secon-da metà del vi secolo a. C., prescindono da modelli figu-rativi greci e sono state invece create ex novo in ambien-te etrusco, probabilmente in relazione a una tematicache veniva importata anche attraverso la tradizione

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orale16: le saghe greche, in altri termini, divengono untema di notevole interesse per gli Etruschi e il loro valo-re diciamo pure edonistico, di racconto, si riflette sugliobjets d�art.

È probabile, anzi, che in questo stesso momento quelpubblico di acquirenti etruschi di rango, che richiede ivasi attici figurati e che commissiona alle botteghe loca-li di artigiani greci o ellenizzati opere in cui è ampia-mente utilizzato il repertorio mitologico greco, rielabo-ri autonomamente anche le proprie tradizioni, �elleniz-zando� le proprie origini. E mentre la tematica decora-tiva dei santuari dell�ultimo quarto del vi secolo a. C.dimostrerà l�avvenuta appropriazione dei culti greci �come vedremo in seguito � e la stessa toponomasticaprenderà una veste ellenica proprio in quei siti in cui lafrequentazione greca sarà maggiore (come a Pyrgi, unodei porti di Caere, o a Regae, il porto di Vulci), saràrecepita, probabilmente per opera di una società che siè andata gradatamente ellenizzando, la tradizionegreco-pelasga sull�origine degli Etruschi, cui potrà vaga-mente accennare, successivamete, il grande altorilievodel tempio A di Pyrgi17. In altri termini tutta una seriedi elementi che presi di per sé potrebbero sembrarecasuali si inserisce invece in un quadro complesso in cuil�ellenizzazione, a livello sovrastrutturale, si comprendesolo nell�ambito di una progressiva appropriazione daparte dell�élite gentilizia di modelli culturali greci e dellaesigenza di alcune città-stato, come Caere, di inserirsipoliticamente nel piú vasto contesto del Mediterraneo,attraverso la costruzione di un sacello votivo nel san-tuario di Delfi.

La funzione svolta dai mercanti e dagli artigiani greci� veri e propri veicoli nella trasmissione della cultura �è il tema da trattare.

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1. La ceramografia e la grande pittura.

Il consolidarsi di una tradizione di grande pittura inEtruria nella seconda metà del vi secolo a. C. è un feno-meno ampiamente conosciuto, anche nella letteratura didivulgazione, e al limite, per la sua stessa notorietà,potrebbe apparire oggi persino logoro. È anche veroperò che, rivisto alla luce della sua formazione storica enon piú nell�ambito di una esaltazione di valori esteti-ci, può fornire indicazioni abbastanza precise sui diver-si indirizzi di gusto che agirono negli ultimi decenni delvi secolo a. C. È ormai acquisito negli studi che fra cera-mografia e grande pittura esistono notevoli legami; èsemmai nuovo � poiché di data recente sono le scoper-te � il confronto fra grandi pitture rinvenute in Anato-lia (negli intonaci dipinti delle case di Gordion o nelletombe della Licia), e gli affreschi delle tombe tarquiniesio delle lastre dipinte di Caere18.

Nella seconda metà del vi secolo a. C. prosperano aCaere e a Vulci alcune botteghe di ceramografi di diver-sa formazione, che lavorano direttamente per la clien-tela soddisfacendo esigenze che rientravano in un gustogià acquisito dal consumo di anfore «tirreniche», pro-dotte poco prima della metà del secolo da officine ate-niesi in gran parte per i mercati etruschi. L�interesse perquesto genere di opere si riflette anche in una produ-zione analoga, quella dei cosiddetti vasi «calcidesi»,opera forse di artigiani stanziati a Reggio che produco-no anche per il mercato etrusco19. Prevalente in questaceramica è l�illustrazione di alcuni episodi delle saghegreche, alla cui comprensione aiutavano spesso didasca-lie esplicative in greco, con il nome dei personaggi: nonè un caso, quindi, che il piú grandioso prodotto dellaceramica attica a figure nere del 570 a. C., il famoso cra-tere François, scoperto a Chiusi, si presenti come unvero e proprio centone della mitologia greca. La fun-

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zione di questi vasi, usati come capaci contenitori diliquidi, era legata anche all�uso che se ne doveva fare neibanchetti, occasioni nelle quali determinate usanze sim-posiache elleniche potevano essere penetrate, con il loroprestigio culturale, nella vita aristocratica.

Dopo la metà del vi secolo a. C., in piena fiorituradi importazioni da Atene, appaiono in Etruria hydríai,anfore e dînoi � vasi di grandi dimensioni � decorati daceramografi di diversa formazione.

A Vulci può essere seguita per due generazioni circa,a cominciare dal 540 a. C., l�attività di alcuni ceramo-grafi che viene etichettata nel gruppo dei vasi «ponti-ci». La prima personalità, il «pittore di Paride»20, lavo-ra evidentemente sulla scia del successo avuto dalleanfore «tirreniche»: un cospicuo gruppo di anfore pre-senta sulla spalla scene mitologiche e sul corpo una seriedi fasce con teorie di animali, proprio come nella cera-mica attica a figure nere. Nonostante questa sintassi ilsuo linguaggio denuncia chiaramente un�origine colo-niale: molti motivi decorativi derivano dalla ceramicagreco-orientale, in particolare le grandi infiorescenze ole file di pernici e la realizzazione delle figure umane,con i contorni molli ma decisi, i profili appuntiti, ripor-ta alla ceramografia ionica. Ancora a Vulci deve essereattivo un altro pittore, contemporaneo, al quale sonostate attribuite quattro anfore (che vanno sotto il nomedi «gruppo di Northampton»), il cui stile mostra piú evi-denti ascendenze dalla ceramografia nordionica. Sullecoste dell�Anatolia, prima dell�invasione persiana, sierano infatti stanziate officine di ceramisti provenientidall�Attica, la cui produzione era diretta principalmen-te verso gli insediamenti coloniali del Mar Nero e versol�emporio di Naucrati, nel Delta egizio: il pittore diNorthampton è una di queste personalità, ma il suo sog-giorno in Etruria sembra particolarmente breve e senzaseguito specifico21. Al contrario, l�officina del pittore di

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Paride continua in una produzione che sembra semprepiú allentare i suoi rapporti formali con la disciplina ini-ziale: il contenuto mitologico delle scene perde il suo ori-ginario significato di contesto figurativo, divenendo lefigure mitiche motivi decorativi isolati, inseriti in fileornamentali; le scene sono piú vivaci e movimentate,mal sopportando la costrizione delle partizioni, lo stilerisente di altre esperienze figurative, anche attiche, checoncorrono a creare un linguaggio imbarbarito, ma conpeculiari connotati �etruschi�22.

La seconda generazione di ceramografi, ruotanteattorno alla personalità del cosiddetto «pittore di Mica-li», opera in un momento in cui l�importazione di vasiattici a figure nere è al suo apogeo: questo spiega la pro-gressiva assimilazione di elementi dalla ceramica attica,quali le forme vascolari o la stessa partizione delle deco-razioni, ma il background stilistico rimane pur semprequello ionizzante23. L�attività cessa del tutto quando lanuova tecnica a figure rosse, �inventata� ad Atene, ancheper le nuove potenzialità espressive che comporta, siimpone definitivamente e i vasi di importazione sop-piantano del tutto l�attività ceramografica locale.

Anche a Caere le esperienze ceramografiche partonoda maestranze greco-orientali. Gli artigiani provengonodirettamente dalla Ionia asiatica, a seguito dell�invasio-ne persiana, e dànno vita a una produzione che ha unconsumo prevalentemente locale, limitata alla realizza-zione di dînoi e hydríai a figure nere. Mentre i dînoi rive-lano una forte ascendenza clazomenia, al punto che direcente, sulla base di rinvenimenti effettuati in due cittàdella Ionia, Larisa e Smirne, si è tentato addirittura diriconoscere la stessa mano di un ceramografo operantein Asia Minore e in Etruria24, le hydríai al contrario,risultano una produzione meno condizionata dalla cera-mografia attica o clazomenia, piú libera nelle sue mani-festazioni espressive, con una tendenziale preferenza

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verso la narrazione, che potrebbe derivare piú dallagrande pittura che non dalla disciplina ceramografica.L�origine ionica del «maestro delle hydríai», conferma-ta dal tipo di alfabeto greco usato nelle iscrizioni appo-ste vicino ad alcuni personaggi, è stata piú di recentecaratterizzata in senso �eolico�25 ma lo stesso passo diErodoto riferito alla fuga dei Focei dalla loro città (I164) ricorda fra i doni votivi che essi lasciarono, perchétroppo pesanti per essere imbarcati sulle navi, quelli inbronzo, in pietra e in pittura. Di conseguenza la dia-spora di artigiani dalla Ionia del Nord, e in particolaredei Focei, i cui prodotti venivano acquisiti dalle coloniee dagli empori situati lungo le coste occidentali del MarNero o nella zona del Delta, si colloca come momentodeterminante nella storia artistica dell�Etruria.

Nel contesto delle maestranze ioniche operanti inEtruria il «maestro delle hydríai» appare senz�altro il piúoriginale. La sua prima opera, un vaso conservato al Bri-tish Museum, mostra figurazioni generiche come unalotta fra armati che sembrano ancora dipendere da for-mule propriamente ceramografiche; tutta la sua produ-zione successiva, di cui si hanno riflessi stilistici anchenella grande pittura tarquiniese, presenta invece temimitologici, anche rari, che potrebbero configurarsi comerichiesta specifica della clientela etrusca. Anche da que-sto punto di vista le hydríai, a differenza dei dînoi neiquali compaiono generiche scene di kómos, si pongonosu un piano certamente diverso. Il maestro, pur ope-rando in una piccola bottega, alla quale possono essereassegnate una quarantina di opere, obbedisce dunque auna richiesta particolarmente qualificata: poiché èimpossibile interpretare le scene in funzione funeraria,nonostante i vasi provengano da contesti tombali, anchequesta produzione, sulla linea di quanto ci attesta la pre-cedente ceramica attica a figure nere (nella quale il signi-ficato delle scene figurate delle saghe greche poteva

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essere evinto anche dalle didascalie esplicative da partedi chi sapeva leggere il greco), si colloca nell�ambito diquella documentazione che ci permette di provare l�ar-rivo in Etruria di tradizioni leggendarie e favolisticheelleniche, che probabilmente viene rivitalizzata propriodalla nuova diaspora greco-orientale.

Quel che può maggiormente colpire nell�attività deiceramisti nordionici è la completa assenza dei loro pro-dotti a Tarquinia, città da cui dipendeva l�emporio diGravisca, non diversamente strutturato, come si è visto,da quello piú famoso di Naucrati. La complessa storiadi questo porto, che di giorno in giorno fornisce nuovidati, ci invita a modificare in senso ellenico tutta la cul-tura etrusca della seconda metà del vi secolo a. C., inparticolar modo il settore artistico: la scoperta di mate-rie coloranti frammiste a materiale votivo di importa-zione greca è un elemento di prima importanza per com-prendere quale fosse la provenienza dei pittori delletombe tarquiniesi26.

A questo punto il discorso sulla pittura funeraria diTarquinia può essere impostato in modo diverso.

Alcuni dei frammenti di intonaci dipinti scoperti aGordion hanno permesso un confronto con le pittureetrusche della seconda metà del vi secolo a. C.27: in par-ticolare il rendimento delle teste di �Orfeo e Euridice�,dalla Casa dipinta di Gordion, risulta lo stesso dei lot-tatori della tomba degli Auguri di Tarquinia. Il paralle-lo, in sé valido, trova una spiegazione imputando unruolo di mediatori ai ceramografi nordionici operanti inEtruria. La prima personalità distinta nel ristretto grup-po dei dînoi «Campana» può ad esempio assumersi que-sta responsabilità: nella sua prima opera, un�hydría rin-venuta a Caere28, la figura di Eracle in particolare, attic-ciata e muscolosa come quella dei lottatori della tombadegli Auguri, presenta una soluzione abbastanza rara nel

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rendimento dell�occhio sgranato, con una corona di trat-ti che indicano le ciglia, particolare che ricorre sia nellepitture di Gordion che in quelle tarquiniesi. La relazio-ne fra pittura vascolare e pittura parietale può essereulteriormente esemplificata: una danzatrice della tombadei Giocolieri di Tarquinia e una delle figure di mena-di dipinte nell�hydría caeretana con l�episodio di Tityoshanno un�evidente relazione sul piano stilistico-forma-le. Non c�è dubbio, ora, che la tomba degli Auguri equella dei Giocolieri possano inserirsi in una stessa tem-perie alla quale partecipa anche il decoratore della tombadelle Olimpiadi29. Nella sequenza delle tombe arcaichedi Tarquinia queste pitture occupano un posto partico-lare e possono considerarsi una sorta di rottura nel-l�ambito di una tradizione già esistente, i cui limiti cro-nologici superiori risalgono alla prima metà del vi seco-lo a. C. Questa tradizione, che limitava l�interventodecorativo pittorico nella camera funeraria a una falsaporta, dipinta al centro della parete di fondo, o ad ani-mali affrontati, con un�evidente funzione apotropaica,inizialmente posti a occupare la parete maggiormente invista (in seguito puri elementi decorativi inseriti ai latidel frontoncino nel contesto di una scansione �architet-tonica� della camera funeraria stessa), subisce infatti unimprovviso quanto rapido mutamento dovuto alla nasci-ta di un largo fregio figurato, campito, che occupa defi-nitivamente le pareti in quella zona che precedente-mente era lasciata bianca30.

L�innesto della nuova tradizione su una piú anticapuò essere compreso dal fatto che la falsa porta rimaneancora un elemento fisso, sia nella tomba degli Auguriche in quella delle Olimpiadi, assumendo probabilmen-te il significato di un�indicazione simbolica di unambiente succedaneo a quello reale, addirittura l�aldilà,secondo ipotesi espresse da piú di uno studioso. Nelnumero abbastanza rilevante di monumenti nei quali è

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presente questo motivo va inclusa anche un�altra tomba,quella delle Iscrizioni, dove può essere individuata unacomponente stilistica diversa, forse piú raffinata dellaprecedente, destinata ad avere un certo seguito: se nepuò avere un�idea analizzando singole figure, come quel-le dei danzatori, che riappaiono nelle tombe del Topo-lino, Cardarelli e dei Baccanti, o come quelle dei cava-lieri, che vengono trasferite nella tomba del Barone31.Anche in questo caso l�influenza della pittura nordioni-ca può essere ricercata nell�opera dei ceramografi delgruppo «Campana» che offrono i modelli per le figureorgiastiche cosí come per i molli contorni delle figurefemminili della tomba del Barone32.

Del tutto diversa appare la radice stilistica della famo-sa tomba della Caccia e Pesca, nella quale gli intenti nar-rativi e l�evidente predilezione per la rappresentazionepaesaggistica riconducono all�ambiente samio dei cera-mografi detti «piccoli maestri» nel quale troviamo unascena di uccellagione oltre che file di delfini guizzanti33.Ancora differente è lo stile delle pitture della tomba deiTori, alle quali non si può negare un�affinità piú che evi-dente con la ceramica «pontica» e i cui indubbi ionismisi collocano nell�eclettismo della ceramografia a figurenere locale34. La raffigurazione mitologica dell�agguato diAchille a Troilo, eccezionale nell�ambito delle pitturetombali, si stende come un quadro o piuttosto come unarazzo fra le due porte della camera centrale: l�episodiomitico, derivato dagli stessi modelli della pittura vasco-lare, si inserisce nell�ambiente funerario come elementodella cultura favolistica ellenica, trasmessa in Etruria, alquale si può attribuire, piú che un riferimento realisticoal fondatore della tomba (di cui si conserva anche ilnome, Arath Spuriana), un valore edonistico-decorativo.

Le differenti matrici stilistiche che si distinguono inqueste pitture tombali, datate fra il 540 e il 510 a. C.,indicano dunque che in questo momento si crea a Tar-

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quinia una tradizione artigianale di notevole importan-za, la cui durata può essere seguita per altri quattrosecoli. Ma la natura stessa del linguaggio figurativo,dipendente da diverse esperienze della cultura artisticaionica, indica proprio in questo trentennio il momentodi maggiore vivacità culturale.

Se ci spostiamo a Caere, dove la pittura parietale èun fenomeno di piú antica origine, la seconda metà delvi secolo a. C. ci segnala un�innovazione nel campodella pittura monumentale di eguale importanza: l�uso,del tutto sconosciuto in precedenza, di grandi tavole interracotta, con figurazioni dipinte, destinate a rivestirele pareti di edifici o di tombe35. Anche questi docu-menti, non del tutto perspicui per gli interventi di ridi-pintura ottocenteschi, offrono l�occasione per istituireconfronti molto precisi con le pitture greche: un pínaxframmentario con figura femminile, da un edificio dellacittà, può essere avvicinato a una figura degli intonacidi Gordion, ma forse confronti anche piú stringenti, chesi spingono fino all�identica realizzazione della capiglia-tura, possono essere offerti proprio dalla ceramica cla-zomenia36.

Il mondo della pittura anatolica si è d�altronde arric-chito di recente della scoperta di tombe dipinte rinve-nute sull�altopiano della Licia, che ripropongono anco-ra il tema del trasferimento dei pittori ionici in Etruria37.In particolare nel monumento piú antico, datato al530-520 a. C., le affinità stilistiche con le tombe degliAuguri o delle Olimpiadi di Tarquinia sono notevoli; maè piú nello spirito generale che informa talune compo-sizioni dei fregi minori, nei quali sono rappresentate ilritorno dalla caccia e una scena di navigazione, che puòessere colta una predilezione per la narrazione vivace: lastessa che ritroviamo nella tomba della Caccia e Pesca.La concezione realistica di queste rappresentazioni, il cuisignificato primario orienta non tanto verso un rappor-

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to con la vita dell�oltretomba, quanto piuttosto versoriferimenti concreti alla vita reale, non sembra altro cheuna manifestazione di abros¦ne greco-orientale riflessanelle pitture tombali di cui gli Etruschi ripetono i moti-vi uniformandosi al medesimo modello �antropologico�di vita.

I pittori greco-orientali che operano a Tarquiniaattorno al 530 a. C. vanno dunque considerati sullostesso piano dei ceramografi che lavorano a Caere e aVulci; la loro attività doveva far parte di una routineartigianale che aveva contatti con quella dei ceramogra-fi e non v�è dubbio che la decorazione di una tombapotesse costituire anche per un ceramografo un caso dicommissione non raro: il pittore della tomba dei Tori,ad esempio, certamente etrusco, esperto nella decora-zione dei frontoncini, schizza di getto le raffigurazionidei timpani che rientravano in una sintassi propriamenteceramografica oltre che in una tradizione decorativa giàconsolidata nella grande pittura tarquiniese, mentre hanotevoli ripensamenti nella esecuzione del �quadro� conAchille e Troilo38. Il pittore della tomba degli Auguri, alcontrario, da identificare probabilmente con un grecoorientale, pur se non privo di pentimenti nel disegnopreparatorio, mostra invece una grande sicurezza nel-l�esecuzione della megalografia: a volte, anzi, l�abbozzonaturalistico dell�immagine graffita risulta qualitativa-mente superiore a quella che è poi la sua traduzionecome immagine colorata39. Pur se eseguita in tempobreve, la pittura di una tomba non doveva essere unacommissione quotidiana: è stato ricordato giustamenteche solo il 2 per cento delle tombe tarquiniesi ha unadecorazione dipinta, configurandosi dunque questimonumenti come diretta espressione di una classe social-mente abbiente. Cosí mentre il pittore della tomba deiTori sembra adattarsi non senza difficoltà a una nuovatradizione, il pittore della tomba degli Auguri fa parte

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di una generazione di artisti che, inaugurandone unanuova, produce un piú raffinato bene di consumo perl�élite tarquiniese.

Le diversità che appaiono sul piano espressivo nelletombe di tendenze «focesi» (degli Auguri, dei Gioco-lieri, delle Olimpiadi, della Fustigazione), «samie» (Cac-cia e Pesca), «nordioniche» (Iscrizioni, del Morto, deiBaccanti, del Barone) e «pontiche» (dei Tori), etichet-te che usiamo solo per differenziare le diverse matricistilistiche, autorizza ad ammettere l�esistenza di diver-se botteghe di artigiani, di differente provenienza e for-mazione, che operano contemporaneamente nello spaziodi una generazione, prima che, agli inizi del v secolo,sotto l�influenza della pittura attica, si stabilisca una tra-dizione decorativa unitaria. Le diverse tendenze fannocapo a maestranze forse in competizione, richiamatedalla attività di un emporio come quello graviscano, nelquale le iscrizioni votive del terzo quarto del vi secoloa. C. indicano con evidenza palmare la provenienzaionica dei trafficanti40, a volte emissari di grossi impren-ditori, in posizione socialmente subalterna. Come i vasainordionici, titolari di piccole officine in Etruria, i cuiprodotti circolano all�interno del mercato locale rag-giungendo al massimo un�altra area di insediamento afini commerciali, come quella del Delta41, cosí anche idecoratori di tombe, impegnati in una produzione arti-stica che soddisfa la richiesta locale, si inseriscono nelmondo della produzione della città etrusca in qualità dibánausoi, offrendo anche un modello di organizzazioneper l�attività artistica che troverà una rapida diffusione(si pensi alle contemporanee botteghe di coroplasti, dicui si parlerà tra breve) e comporterà anche commissio-ni al di fuori dell�ambito tarquiniese42.

La tematica che i pittori affrontano negli affreschitombali sembra al contempo condizionata da un�ideolo-gia aristocratica che difficilmente potremmo considera-

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re originata localmente. Il mondo di riferimento appa-re anche qui quello greco-orientale: giochi, corse deicarri, la frequente apparizione del cavallo e di eserciziequestri come giochi �nobili�, la stessa caccia, si ritro-vano ad esempio nei rilievi funerari e nelle pitture tom-bali della Licia. Il repertorio è comunque abbastanza dif-ferenziato e, quanto ai giochi, mescola scene di conte-nuto locale, come il gioco sanguinoso del Phersu o le rap-presentazioni di saltimbanchi, realizzate con un tono fie-ristico-paesano. Si tratta di temi che precedono la piúdiffusa ideologia simposiaca riflessa nelle scene di ban-chetto, che solo verso la fine del vi secolo a. C. divieneil tema centrale della decorazione quando la tradizioneartigiana si organizza in modo stabile nella città, ed ela-bora schemi fissi sotto lo stimolo di una richiesta preci-sa. Proprio nel momento in cui questa iconografia assu-me un carattere quasi esclusivo appare evidente che nel-l�ambito della committenza è avvenuta una scelta pre-cisa nel programma figurativo: il banchetto assumeormai preferenzialmente l�ideale della vita magnatizia43,prendendo il sopravvento su una tematica piú vasta,tutta profana, che comprendeva anche i giochi, l�arteequestre, la caccia, significative queste ultime per indi-care anche la connotazione �agraria� della nobiltà tar-quiniese.

Di conseguenza, assieme alla nuova tradizione distile, ai Greci d�Oriente va imputata anche la trasmis-sione di iconografie nelle quali si rispecchia un�ideolo-gia che viene accolta dagli Etruschi come espressione diuno status symbol.

2. L�attività edilizia nei centri urbani.

Nel maggio del 1916 Giulio Quirino Giglioli, effet-tuando una serie di saggi di scavo nella località di Por-

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tonaccio, situata a ovest della città di Veii, fuori dellacinta muraria, aveva la ventura di scoprire in una delletrincee che andava praticando una serie di statue in ter-racotta frammentarie, collocate all�inpiedi, deposte vero-similmente in quel modo «per il rispetto che destavanogli antichi numi»44. Restaurate poco dopo, esse si rive-larono fra i piú straordinari monumenti della coropla-stica antica � e da allora si risvegliò l�interesse per l�ar-te etrusca � ma furono considerate isolatamente, in par-ticolar modo il famoso Apollo, al di fuori del loro con-testo di rinvenimento, peraltro abbondantemente scon-volto già in età antica, sí che risulta oggi difficile rico-struire tutto il complesso, anche per difetto delle edi-zioni di scavo.

La pianta del tempio, situata in un luogo già in pre-cedenza adibito a culto, era a triplice cella, del tipo chenel De architectura di Vitruvio viene definito tuscanicus.Nella sua esposizione sui principî che si devono osser-vare nella costruzione dei templi l�architetto romanocosí si esprime a proposito dei criteri costruttivi di que-sto tipo edilizio (IV vii 1 sgg.):

Il sito che è stato prescelto per il tempio, una volta chesia divisa in sei parti la sua lunghezza, se ne tolga una: quel-lo che rimane costituisce la larghezza dell�edificio. Si passipoi a dividere a metà la lunghezza: la parte piú interna saràdestinata agli spazi per la cella, quella vicina alla fronte allacollocazione delle colonne.

La misura della lunghezza venga poi divisa in dieci partie se ne lascino tre a destra e tre a sinistra per le celle mino-ri o per i vani aperti, qualora ve ne siano, mentre le altrequattro mediane saranno da assegnarsi al tempio vero e pro-prio � e cioè alla cella. Lo spazio del pronao anteriore allacella venga disposto per le colonne in modo che quelle d�an-golo siano di fronte a quelle d�anta, allineate rispetto allepareti esterne; due mediane si trovino sulla linea delle pare-

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ti che separano le ante e il tempio vero e proprio, che sitrova in mezzo; altrettante vengano poi disposte lungo glistessi allineamenti a metà fra le ante e la prima fila dicolonne.

Le colonne abbiano il diametro inferiore pari a un set-timo dell�altezza, l�altezza pari a un terzo dell�intera lun-ghezza della cella e il diametro superiore pari a un quartodi quello inferiore.

Queste indicazioni che Vitruvio aveva accolto da unalunga pratica di architetto e che costituivano parte inte-grante della sua educazione, formatasi a Roma nell�i-noltrato i secolo a. C., erano probabilmente comprese inuna trattatistica a noi ignota nella quale, nonostantel�imperante gusto classicistico, anche il tipo ediliziotuscanicus aveva ancora una sua vitalità.

Il tempio di Portonaccio, però, eretto verso la fine delvi secolo a. C., non rispetta le proporzioni vitruviane:la pianta è quasi quadrata, lo spazio occupato dal pro-nao ha un�area maggiore di quella occupata dalle trecelle, mentre il di poco piú antico tempio di Giove Capi-tolino a Roma o i successivi templi A di Pyrgi e del Bel-vedere a Orvieto sembrano adattarsi piú compiutamen-te a questo schema, la cui elaborazione appare certa-mente etrusca. L�architettura domestica, come ad esem-pio nel caso dell�abitazione monumentale di Acquaros-sa, riflessa anche negli interni delle tombe di Caere sca-vate nella roccia, ci documenta la disposizione di treambienti paralleli che si aprono su un vestibolo, a voltecolonnato45.

La trasformazione in senso monumentale di questoschema edilizio si afferma gradatamente, quando l�edi-ficazione di luoghi di culto, indissolubilmente legati allafunzionalità del santuario nell�insediamento urbano,trova come modelli una soluzione greco-coloniale, comequella del tempio periptero, attestato ad esempio a Pyrgi

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(tempio B) e a Satrico, o una soluzione che, ampliandola semplice costruzione rettangolare � attestata ad esem-pio nel piú antico tempio poliadico di Piazza d�Armi aVeii �, deriva dallo schema delle case signorili e si iden-tifica come tuscanica.

Sul coronamento del tempio tuscanicus Vitruvioaggiunge (IV vii 5):

Sopra i travi e sopra i muri le sporgenze dei mutuli � itravi della copertura � avanzino per la quarta parte dell�al-tezza della colonna e sul loro spessore vengano fissati gliantepagmenta � le decorazioni in terracotta. Sopra ancora sicollochi il timpano del frontone come struttura di corona-mento, in muratura o in legno. Come strutture portanti sicollochino il columen � il trave maggiore centrale � i canthe-rii � i travi maggiori ai due lati del frontone �, i templa � itravi trasversali che completano l�intelaiatura del tetto � inmodo tale che lo stillicidio corrisponda a un terzo del tettocompleto.

L�aspetto generale di questo tempio non sembracomunque il migliore all�architetto romano: si tratta ditempli araióstyloi � con le colonne rade � nei quali gliintercolumni sono piú grandi del necessario; per talemotivo (III iii 5):

non si possono usare epistili di pietra o di marmo � troppopesanti � ma travi di legno in un sol pezzo. L�effetto di que-sti templi è paragonabile a quello di un uomo che stia agambe divaricate e abbia la testa grossa, basso e largo. Lesommità vengono decorate con statue di terracotta o dibronzo dorato, secondo la tradizione etrusca, come accadeper il tempio di Cerere presso il Circo Massimo, per il tem-pio di Ercole di Pompeo o ancora per il tempio di GioveCapitolino.

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La decorazione di questa struttura, che nella partesuperiore è costruita con materiali leggeri, presentalastre di copertura delle travi (antepagmenta) e statue,preferibilmente in terracotta.

All�ultimo quarantennio del vi secolo a. C. rimontauna sorta di febbrile attività edilizia che investe granparte dei centri urbani dell�Etruria meridionale e delLazio: Veii, Caere, Tarquinia, Vulci e Roselle, Roma,Falerii, Preneste, Velletri, Lanuvio e Satrico hanno resti-tuito un�ingente quantità di terrecotte decorative, quasitutte di destinazione templare46, da collegare a edificicostruiti in quest�epoca. Il tempio urbano, come sede diun culto poliadico, è una tipica espressione della reli-giosità della pólis greca e come tale viene ricevuto nel-l�area tosco-laziale anche se nell�ambito di una stessacittà, come del resto nelle medesime colonie greche, lapluralità di culti e quindi di edifici sacri trova ampiadocumentazione.

Non è forse un caso che la letteratura artistica rela-tiva ai monumenti di Roma ci fornisca a questo propo-sito una serie di notizie proprio per l�ultima fase del-l�arcaismo: le connotazioni �tiranniche� che assumono imonarchi etruschi, in particolare Servio Tullio e Tar-quinio il Superbo, comportano nell�ambito della loropolitica un�attività edilizia intesa ad affermare il pro-prio potere che si concreta anche nella costruzione disantuari dedicati a divinità dalle quali, come già si èdetto, essi ricevono una veste carismatica: è il caso diServio Tullio, con i suoi legami con Artemide-Diana ocon Fortuna, è il caso di Thefarie Velianas, a Pyrgi, conUni-Astarte47. Per la decorazione di questi templi, anchea Roma, le commissioni erano affidate ad artisti etru-schi: il caso piú famoso è quello di Vulca, di cui ciinforma Plinio il Vecchio nel passo che abbiamo ripor-tato integralmente in apertura, esecutore della statua di

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culto pertinente al massimo tempio romano e di altrestatue famose, ma soprattutto dei maestri veienti cheeseguono gli acroteri del tempio di Giove Capitolino.La redazione del nome dell�artista veiente appare incer-ta nei manoscritti relativi al testo di Plinio, ma il rap-porto con il nome etrusco Velcha o con il nome Ulchupuò far accettare la ricostruzione del suo nome dovutaai filologi ottocenteschi.

Alla bottega di Vulca sono state attribuite di recen-te alcune lastre architettoniche48 i cui tipi sono attesta-ti a Veii, nei santuari di Portonaccio e Campetti, aRoma, sul Campidoglio e nel tempio del Foro Boariodedicato a Fortuna, e a Velletri. Si tratta di lastre cheripetono identici motivi: Processione di carri, Personaggiseduti, Banchetto e Corsa di Carri, derivati da matriciaffini49. Le lastre stilisticamente si collocano nella tem-perie ionica compresa nel ventennio 540-520 a. C. di cuila cultura figurativa attestata nella ceramica ionica, nellelastre dipinte da Caere del gruppo «Campana» oggi alLouvre, o la stessa bronzistica caeretana possono esse-re un utile modello di riferimento50.

Nel complesso monumentale del tempio di Porto-naccio queste lastre possono considerarsi i resti di unafase decorativa piú antica del santuario dell�Apollo � ilcui sistema decorativo, comprensivo dei famosi acrote-ri di cui si dirà in seguito, si pone fra il 520 e il 500 a.C. �, o di altro edificio, forse una delle piú piccolecostruzioni comprese nell�area sacra51. Fra il materialeproveniente da questi scavi è compresa anche una ter-racotta frammentaria, raffigurante una testa elmata, didimensioni minori del vero, probabilmente appartenen-te a una piccola statua di Menerva, divinità alla quale eradedicato il tempio, che stilisticamente appare assaidiversa dalle grandi terrecotte attribuite al «maestrodell�Apollo». Il confronto piú pertinente per questatesta ci proviene da una statua acroteriale rinvenuta

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negli scavi dei templi del Foro Boario a Roma: un altroacroterio rappresentante una divinità elmata, apparte-nente a sua volta a una fase decorativa che include ancheuna statua di Ercole nonché i frammenti di lastre tipoVelletri. Rispetto alla testa veiente l�acroterio di Romasi distingue per certe emergenze plastiche nell�indica-zione della bocca e nel rilevamento delle palpebre chelo accostano a antefisse derivate dallo stesso tipo, daltempio di Portonaccio e dal tempio di Velletri52. Lamatrice stilistica di queste opere è indubbiamente ioni-ca e piú precisamente può essere avvicinata a un grup-po di sculture considerate samie, provenienti dall�He-raîon di Samo o dal Didymaîon di Mileto datate fra il550 e il 540 a. C. I modelli di mediazione possono esse-re trovati fruttuosamente nei balsamari plastici ioniciconfigurati53. In senso �samio� si può interpretare anchel�altro acroterio proveniente da Sant�Omobono, la sta-tua acefala di Ercole, la cui iconografia viene accolta inEtruria proprio negli ultimi decenni del vi secolo.

L�attività decorativa di questa bottega veiente puòessere posta dunque attorno al 540-520 a. C.; essa sem-bra impegnata quasi contemporaneamente a Veii, aRoma e a Velletri. Le lastre costituiscono la �guida� perriconoscerne l�attività; i tipi femminili, attestati sia nellestatue acroteriali, sia nelle antefisse, si scalano invece neltempo: la Menerva di Veii sembra piú vicina ai prototi-pi ceramici greci, mentre l�antefissa femminile di Veii,piú accentuata nei valori plastici, è a capo di una �serie�che continua negli esiti stilisticamente piú consunti del-l�acroterio di Roma e delle antefisse di Velletri.

Non c�è dubbio, quindi, che abbiamo una notevolerispondenza fra i limiti cronologici entro i quali si puòporre l�attività di questa officina, che fa capo a Veii, eil 509 a. C., data della cacciata di Tarquinio il Superboda Roma. Questi, stando a Livio (I 56.1), «intento a

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completare il tempio di Giove Capitolino aveva chia-mato da ogni parte dell�Etruria artigiani e aveva impie-gato in queste opere non solo denaro pubblico, ma anchemanodopera plebea». I lavori edilizi, infatti, impegna-vano per un preciso disegno politico le masse, dalmomento che impedivano loro «di essere di peso allostato» (I 56.3).

Da un passo di Plutarco riferito allo stesso episodio(Poblicola 13), risulta però che le maestranze veientidovevano essere attive a Roma anche dopo la cacciatadel Superbo. Di un�attività etrusca nel settore dell�edi-lizia templare a Roma attorno al 500 a. C. abbiamoinfatti un�altra testimonianza, purtroppo isolata: unapiccola testa di Ercole proveniente dall�Esquilino, zonache con Servio Tullio era entrata a far parte dello spa-zio urbano. Il confronto con le terrecotte rinvenute neltempio piú antico di Pyrgi, il tempio B, prova anche inquesto caso che si tratta di officine operanti fondamen-talmente nella città di Caere54.

Il complesso monumentale del santuario di Pyrgi,composto da due templi paralleli, costruiti a un cin-quantennio circa di distanza l�uno dall�altro, è ancoraoggi uno dei pochi pubblicato nella sua interezza, dalmomento che per gli altri edifici risalenti a quest�epocaè mancata finora un�edizione unitaria, di contesto, checomprendesse cioè sia il complesso delle decorazioni, siaquello degli elementi strutturali55. L�attività edilizia chesi svolgeva attorno a una costruzione sacra non puòesaurirsi infatti nella valutazione degli elementi decora-tivi piú prestigiosi, come le statue acroteriali, ma richie-de un esame complessivo. Il medesimo aspetto tecnicodella coroplastica, sul quale si richiamò precedentemen-te l�attenzione, fornisce buoni elementi per compren-dere come questo tipo di attività abbia avuto un�orga-nizzazione interna non indifferente, soprattutto semessa in relazione con la cospicua attività edilizia che si

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registra in questo periodo. Le differenti fasi di esecu-zione prevedevano infatti una serie di operazioni cheandavano dalla scelta e dall�impasto della terra fino allerifiniture e alla coloritura delle diverse parti; il prodot-to passava attraverso momenti quali la modellazione(nei casi di pezzi eseguiti a mano) o la formazione (nelcaso di pezzi eseguiti a stampo), l�essiccazione, la cotturae il consolidamento. Ognuna di queste singole fasidovette subire un progressivo raffinamento: l�operazio-ne di cottura, in particolare per i pezzi di grandi dimen-sioni, poneva problemi non indifferenti, sí che spesso leparti venivano cotte separatamente. Nel caso delle ter-recotte decorative una gran parte, dagli antepagmentaalle cornici sino alle lastre di rivestimento o alle ante-fisse, veniva eseguita con matrici, mentre la modella-zione a mano era riservata alle statue acroteriali; visono, comunque, delle eccezioni: alcuni acroteri campanisono eseguiti a stampo e alcune antefisse del santuariodell�Apollo di Veii sono eseguite a mano. A quanto sem-bra, presso i templi le maestranze dovevano stabilire laloro officina per tutto il periodo necessario alla decora-zione, sfruttando la terra locale, che non doveva subirelunghi processi di depurazione, come quelli della cera-mica; anzi, la presenza di impurità poteva impedire chedurante la cottura si formassero fenditure. Gli artigianiin questo senso divenivano vere e proprie �maestranzevaganti�, dal momento che il loro bagaglio poteva esse-re facilmente spostato: diversamente non si spieghereb-be l�uso di identiche matrici in lastre decorative deitempli di Veii, Roma e Velletri.

La documentazione piú completa su cui ci possiamosoffermare è quella del tempio B di Pyrgi e del tempiodi Portonaccio a Veii. Dedicato a Uni dal dinasta diCaere, Thefarie Velianas, il tempio B di Pyrgi era pre-sumibilmente un periptero con quattro colonne sui latibrevi e sei sui lati lunghi, distanziate secondo moduli che

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prevedono basi metrologiche di tipo attico56; la cella, pic-cola, era disposta verso il fondo ed era probabilmentepreceduta da una doppia fila di colonne. La decorazio-ne architettonica, risalente a una sola fase decorativaunitaria, comprendeva lastre di rivestimento in alto rilie-vo che coprivano nel frontone le testate dei travi mag-giori del tetto e figure acroteriali a tutto tondo in dueserie, una di maggiori dimensioni con busti femminili eun�altra con figure di cavalieri piú piccole; a stampo eraeseguito tutto il resto della decorazione, che compren-de sime rampanti, lastre di rivestimento (che hannoormai abbandonato lo schema del fregio narrativo di ori-gine ionica e si limitano a decorazioni vegetali, come inMagna Grecia) poste a decorare le cimase e la base delfrontone e antefisse. Queste ultime in particolare sonodi due serie diverse, una con teste di negro alternate ateste di menadi, l�altra con figure complete, di incertainterpretazione e di rara iconografia. Gli spioventi deltetto erano ricoperti da tegole, disposte in fila, secondol�uso corinzio, delle quali l�ultima, visibile dal basso,sulla linea di gronda, era decorata da pitture.

Tutti gli elementi figurati presentano nel tempio B diPyrgi un�evidente unità di stile, che non si limita solo aquesto ciclo, ma si ritrova nelle decorazioni a tuttotondo di altri due templi scoperti nella seconda metà del-l�Ottocento all�interno della città di Caere, nella loca-lità Vigna Marini. Si tratta di acroteri che raffiguranoguerrieri armati e un�Amazzonomachia e di antefisse configura intera rappresentante un sileno seduto. All�atti-vità di questa officina possono essere attribuiti anchemonumenti di diversa destinazione, come alcune urnet-te fittili funerarie scoperte nella necropoli di Caere, oradivise fra il Louvre e il British Museum57, nelle quali siriconoscono addirittura le stesse matrici di base usateper rappresentare le teste dei defunti distesi e degliarmati dei templi. Le maestranze che hanno lavorato per

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la decorazione del tempio B di Pyrgi e per i due templiurbani di Caere accettavano pertanto anche commissio-ni da parte di privati, utilizzando gli stessi modelli peropere di destinazione assai differente: il fatto stesso chemodelli maschili o femminili di teste fossero impiegati,oltre che per le decorazioni templari, anche per i �ritrat-ti� dei defunti, indica quanto risultasse generica e sim-bolica la rappresentazione del morto sull�urna.

All�interno di questa bottega dovevano lavorare diver-si artigiani la cui qualità può essere ben distinta: notevo-lissimi appaiono gli acroteri con figure femminili o, concavalli, piú deboli le teste di guerrieri, piccole e roton-deggianti con occhi dal bulbo sporgente58, i cui modellivanno ricercati nelle sculture frammentarie dei thesauroìdi Delfi dedicati da Massalia e da un�altra pólis, questaignota � ma forse la stessa Caere � che datano al 510-500a. C.59. Si tratta, in definitiva, di opere che si muovonoancora nell�ambito ionizzante, che sfuma però gradata-mente nella ormai preponderante influenza dell�arte atti-ca. In questo senso la bottega caeretana, cui va attribui-to anche il frammento romano dall�Esquilino con testa diErcole, si trova a operare in un momento di transizione,usufruendo però di un retaggio di esperienze precedentidi cui abbiamo solo testimonianze sparse.

A Caere, infatti, la tradizione coroplastica sembradistinguersi già dalla metà del vi secolo a. C. per aspet-ti piuttosto peculiari. Le stesse lastre di rivestimento confregio di tipo ionico, differiscono notevolmente per stileda quelle veienti, anche se il repertorio delle scene è lostesso (corse di cavalli, processioni di carri): la decora-zione policroma prende il sopravvento, al punto che glistessi soggetti si trovano in rilievo o solo dipinti60. Anchenelle piú antiche antefisse a testa femminile l�elementopittorico sembra dominante: i volti allungati, gli occhiamigdaloidi, le orecchie sporgenti richiamano espressa-mente le maschere votive greco-orientali61.

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Nella fase successiva, che data attorno al 530 a. C.,ed è quindi contemporanea all�arrivo dei ceramografiionici, l�attività coroplastica sembra diffondersi in modopiú ampio, si specializza nel rilievo, utilizza identichematrici per diverse opere e al tempo stesso si orientaverso indirizzi stilistici piú precisi.

A una medesima officina, ad esempio, vanno attri-buite alcune antefisse a testa femminile e il grande acro-terio oggi a Berlino con la rappresentazione dell�episo-dio mitico di Eos, l�Aurora, che rapisce Kephalos quasiinfante62, monumento che denuncia notevoli squilibrinell�esecuzione, dovuti proprio alla stessa tecnica diassemblaggio delle diverse parti. Su un�ideale distesamarina, simbolicamente accennata da una serie di volu-te contrapposte, viene rappresentata una figura femmi-nile in corsa composta, con un mantello leggero chepende a pieghe simmetriche lungo le gambe e copre ilcorpo dai contorni lievi, come nei tripodi bronzei cae-retani63; l�impostazione della testa sul corpo, decisa-mente ingombrante, ci conferma come l�operazione del-l�artigiano obbedisse a una certa economicità (la matri-ce-base è la stessa delle antefisse), ma indica anche un�in-tenzionale attenzione alla prevalenza della testa, con lasua fissità da idolo, nella quale si poteva concentrare ilsignificato magico-religioso della divinità, l�etrusca The-san, che veniva identificata con la Eos greca.

È questa la temperie in cui si collocano opere moltofamose, come i due grandi sarcofagi policromi con cop-pie a banchetto, caposaldi iniziali di un�attività coro-plastica legata a commissioni private, la cui produzionemostra il continuo oscillamento di modelli e di gusto cheavviene a Caere fra il 530 e il 480 a. C.

Stilisticamente collegato a esperienze contempora-nee che vanno dalle pitture su lastre di terracotta allabronzistica, il «sarcofago degli Sposi» è una creazioneindubbiamente locale in cui, come nell�acroterio con

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Eos e Kephalos, i volti impassibili, quasi identici, e ibusti pesanti, sovrastano quel gioco raffinato di piani edi pieghe che scivolano verso il fondo della veste: qui,comunque, i profili delle teste, ricavate forse da unostesso stampo, richiamano modelli dell�area settentrio-nale della Ionia asiatica. L�uso di urne fittili configura-te a klínai ha in questo periodo, a Caere, notevole for-tuna: un esempio di dimensioni minori, di recente rin-venimento64, può costituire un precedente alla serie piúcospicua, contemporanea all�attività della bottega allaquale vanno attribuite le decorazioni dei templi di VignaMarini a Caere, del tempio B di Pyrgi e del santuariodell�Esquilino a Roma. È proprio da quest�officina cheescono fra l�altro, agli inizi del v secolo a. C., prodottidi differente impegno o esito formale: una piccola urnaoggi al Louvre65, con una figura distesa in cui il volto pre-senta tratti piú tardi rispetto alla realizzazione del corpo,avvolto in un sudario svolazzante già conosciuto in opereprecedenti, tratti che richiamano un monumento di mag-gior qualità, conservato nel Museo di Caere66, per ilquale sono state ricordate, non a torto, le sculture diEgina. La figura, semisdraiata a banchetto, quasi innudità eroica, rispecchia un ideale atletico, e rientrapienamente nei canoni della scultura tardoarcaica: nonv�è dubbio che il volto, non ancora depurato da unmezzo sorriso arcaico, con gli occhi amigdaloidi e glizigomi sporgenti, si accosta allo stile eginetico, inaugu-rando un nuovo momento nella storia della cultura cae-retana che troverà uno sviluppo nella decorazione deltempio di Satrico, edificato attorno al 480 a. C.

Nel settore dell�attività coroplastica può essere iden-tificata nell�ultimo decennio del vi secolo a. C. un�altraofficina a Veii, che si rivela soprattutto nel ciclo sta-tuario, scoperta a Portonaccio e che cambia i propriorientamenti stilistici rispetto a quella tradizione già

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vivace, che aveva dato i propri frutti anche a Roma e aVelletri. L�area del santuario, che cominciò a essereoggetto di culto fra la fine del vii e gli inizi del vi seco-lo, per interrompersi agli inizi del iv, con la distruzioneromana, potrebbe considerarsi un terreno favorevolissi-mo per l�esame della trasformazione edilizia di un com-plesso sacro67. Alla distruzione romana si aggiunse però,fino ad età moderna, la riutilizzazione del sito come cavadi tufo e come terreno agricolo, fatti che comportaronolo scarico di molti materiali lapidei al di sotto del ter-razzamento sul quale era collocato il santuario. La siste-mazione monumentale del sito avvenne comunque nellaseconda metà del vi secolo a. C. I resti ancora oggi visi-bili conservano un recinto di forma quasi triangolareentro il quale erano compresi il tempio, fiancheggiato daun lato da una piscina, e uno spazio lastricato con unaltare, provvisto al centro di una fossa per i sacrifici, epozzi con funzione presumibilmente rituale, collegatifra loro da un sistema di canali e di cisterne.

Le fondazioni del tempio, che poggiano parzialmen-te su una piccola costruzione anteriore � quella allaquale appartenevano forse le lastre del 540-520 a. C. �in parte divelta, restituiscono un edificio di pianta quasiquadrata, con i lati lunghi oltre 18 metri (differentiquindi dal rapporto 6 : 5 canonizzato da Vitruvio) men-tre i tre spazi riservati alle celle sembrerebbero rifarsialla sequenza 3 : 4 : 3 ricordata dall�architetto romano.La decorazione fittile fu eseguita da un gruppo di mae-stranze ben organizzato il quale realizzò tutte le serieeseguite a stampo attenendosi a un programma preciso,che teneva conto, già al momento dell�esecuzione, dellafutura messa in opera dei vari elementi. Cosí le sime ele lastre di rivestimento dello scheletro ligneo nella partefrontonale hanno rivelato una numerazione dei diversielementi, che utilizza combinazioni di lettere per silla-be, fissata in modo tale che la loro applicazione fosse

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facilitata per gli operai che dovevano compiere il mon-taggio dall�interno della costruzione, prima che il tettofosse coperto di tegole68.

Non c�è dubbio, comunque, che il maggior prestigionell�ambito di questa decorazione veniva assunto daglielementi figurati: le statue acroteriali, le antefisse e lelastre di rivestimento frontonali, che ricoprivano letestate del columen e dei cantherii. Le prime erano col-locate su basi a sgabello, disposte lungo il trave maggioredel tetto, provviste alla base di aperture semicircolariche si incastravano sui coppi: i lati erano provvisti di unadecorazione dipinta mentre nel piano di appoggio, inca-vato, venivano inserite le statue, che poggiavano a lorovolta su un piedistallo rettangolare69. La loro vedutautile doveva risultare di profilo, dal momento che essevenivano viste lateralmente, come un grande altorilievoche aveva per sfondo il cielo. Il loro numero rimaneincerto, ma è stato possibile ricostruire dai frammentiche si posseggono un gruppo formato dalle tre figure diApollo e Herakles in lotta per il possesso della cerva ceri-nite di fronte a Hermes e un altro con Latona che tienein braccio Apollo infante, in fuga di fronte al serpentePitone: temi legati ambedue alla divinità di Delfi, illu-strativi di una situazione oggettiva del santuario, dedi-cato al culto di Menerva, forse di carattere oracolare70.

Il punto di vista principale dei gruppi statuari dove-va essere in rapporto al fianco settentrionale del tempiostesso, dove passava una strada extramuraria dellacittà71. Le diverse ricostruzioni proposte, basate su rap-presentazioni della ceramica attica nota anche in Etru-ria, prevedono figure in atto di procedere, in movi-mento, che hanno ormai abbandonato lo schema arcai-co della «corsa in ginocchio», ancora attestato nell�a-croterio caeretano con Eos e Kephalos. In questo sensoesse si inseriscono nei criteri compositivi noti nei fron-toni e nei fregi architettonici greci dello scorcio del vi

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secolo, dove le figure sono sempre realizzate in movi-mento: dal frontone dell�Hekatómpedon pisistrateo conAthena che atterra il gigante Enkelados a quello degliAlcmeonidi di Delfi, dal fregio del thesaurós dei Sifni allemetope con danzatrici dell�Heraîon del Sele o alle Leu-cippidi del santuario di Reggio72. I volti delle statue pre-sentano relazioni abbastanza evidenti con le opere gre-che dell�arcaismo maturo, ma l�attenzione va rivoltapiuttosto alla realizzazione dei corpi, elastici, densi, mapercorsi dal nervoso gioco dei panneggi che terminanocon spigoli appuntiti, quasi metallici, affidati a un dise-gno lineare. Sono opere da considerare dunque nellaloro effettiva funzionalità di statue che dovevano esse-re viste in lontananza, come esito di un linguaggio cheaffida alla linea di contorno la massima funzione espres-siva, ma che tende a impreziosire poi il gioco delle super-fici attraverso una grafia iterata che ricorda da vicinouno ionismo già atticizzante.

La concezione unitaria di stile che appare dietro aqueste sculture, financo nelle antefisse, eseguite a mano,ma anche attraverso stampi che costituiscono la matri-ce di base per la decorazione di altri edifici di Veii73,tende almeno per ora a individuare un�officina che lavo-ra esclusivamente per la città, ben organizzata anche nel-l�esecuzione delle terrecotte ornamentali e nella loromessa in opera. L�ipotesi di riconoscere in Vulca il �capo�di questa bottega, che opera a Veii nell�ultimo venten-nio del vi secolo a. C., può essere suggestiva anche inrelazione alla qualità intrinseca delle opere74, ma man-cano, come per la bottega veiente piú antica, resti mate-riali, a Roma, che attestino l�attività di questa officina,a differenza di quanto accade per la bottega dei coro-plasti caeretani. Si direbbe piuttosto che anche nelcampo della sola decorazione ornamentale l�influenzadelle maestranze caeretane sia piú diffusa di quellaveiente, dato che nelle altre città del Lazio o nella stes-

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sa Capua, dove gli Etruschi deducono una colonia attor-no a quest�epoca, le tendenze si uniformano a questi cri-teri decorativi75. L�attività del «maestro dell�Apollo» èdunque destinata, fino a nuove scoperte, a uno splen-dido isolamento. Vulca, per proprio conto, potrebbeessere riportato a un�età piú antica, che coincide con leprime manifestazioni della coroplastica: il suo inseri-mento nel periodo corrispondente al regno di TarquinioPrisco, secondo il passo di Plinio citato precedente-mente, spiegherebbe la sua fama come creatore di sta-tue a tutto tondo quali immagini di divinità in una cittàcome Roma la quale, sempre secondo Varrone, citato dasant�Agostino, avrebbe conosciuto immagini di divinitàsolo centosettant�anni dopo la sua fondazione76.

3. I beni suntuari �commerciabili�.

Nella seconda metà del v secolo a. C. due poeti atti-ci, Crizia e Ferecrate, ricordano i bronzi �tirrenici�: Cri-zia avrebbe voluto che tutta l�utensileria domestica fossedi fabbricazione etrusca, Ferecrate, in una commedia,lodava in particolare le lucerne77. Una fama del genereera legata quindi a una fiorente produzione e non è uncaso che due frammenti appartenenti a un tripode fab-bricato a Vulci, degli inizi del v secolo a. C., siano statirinvenuti sull�acropoli di Atene78. Intorno all�ultimoquarto del vi secolo a. C. inizia infatti un�attività suvasta scala dedita alla realizzazione di utensili di mag-gior pregio che si sovrappone alla piú comune produ-zione dovuta ai semplici calderai.

La nuova industria, che impiegava direttamente lematerie prime della regione, deve aver comportato unadiversa organizzazione delle officine, poiché gli oggettierano il risultato di procedimenti diversi: il corpo deivasi, che veniva ricavato da una o diverse lamine di

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bronzo martellate su una forma, risultava compatto all�e-sterno, dal momento che i giunti venivano saldatimediante un materiale di apporto e attraverso la fusio-ne; con la stessa tecnica venivano poi aggiunte le figurea tutto tondo o le placchette a basso rilievo che eranoeseguite a parte, con il procedimento a cera perduta79.

Meno diffusa, ma certamente ancora piú prestigiosa,è in questo periodo anche la toreutica, legata, a quantoci è dato di intuire, a una committenza socialmente qua-lificata non solo nelle città, ma anche nelle aree perife-riche della regione. I piú importanti bronzi sbalzati dellaseconda metà del vi secolo a. C. provengono infatti daiterritori di Chiusi e Perugia, aree in cui il processo diurbanizzazione fu assai piú lento rispetto alla regionecostiera e in cui la stessa storia sociale appare in ritardo,ferma ancora a uno stadio di notevole gerarchizzazione,o dalla necropoli di Monteleone di Spoleto, centro sabi-no, al margine dell�Etruria80. La richiesta di questi ogget-ti, comunque, carri �da parata�, grandi sostegni di lebe-ti, si inquadra nella scia di precedenti acquisizioni cheprovenivano direttamente dalla città della costa, in par-ticolare da Tarquinia, dove sono attestati, come nei ter-ritori di Chiusi e Perugia, appliques bronzee a testa digrifo pertinenti a calderoni, di fabbricazione samia81.

Purtroppo tutti questi monumenti, acquisiti dalcommercio antiquario, sono privi del loro contesto dipertinenza e, salvo che per il carro di Monteleone, giun-to al Metropolitan Museum di New York con parte delcorredo, comprendente ceramica attica del terzo quar-to del vi secolo a. C., non abbiamo a disposizione imateriali concomitanti82.

In queste opere i temi decorativi assumono un�im-portanza del tutto particolare: sul carro di Monteleone,al centro, è rappresentata Teti che consegna le armi adAchille; nelle fiancate, da un lato Achille lotta controMemnone, dall�altro viene eroizzato, in una scena di

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assunzione nel regno celeste. Su alcune lamine di carroda Chiusi ritroviamo la scena di Teti e Achille, nonchéla lotta fra Teseo e il Minotauro; nel carro di Castel SanMariano, Herakles che combatte le Amazzoni. Tuttisoggetti legati alla mitologia greca e, in particolare, a unatematica eroica che ha nella lotta armata il suo culmine.

Nei tre tripodi da San Valentino presso Perugia, alcontrario, nei quali le scene sono organizzate nei diver-si registri dei sostegni di forma piramidale, la tematica(centrata sulle storie di Peleo e Teti, di Perseo insegui-to dalle Gorgoni, di Eracle in lotta con il leone e cosívia), pur rifacendosi a differenti cicli mitici, si collega atutto un repertorio ampiamente diffuso nella ceramicagreca importata in Etruria.

In questi monumenti non c�è però una stringenteomogeneità stilistica.

Il carro di Monteleone viene giudicato una realizza-zione provinciale, nella quale elementi di derivazionepeloponnesiaca si combinano con altri di incipiente ioni-smo; se dovessimo però trovare un�etichetta riferibileagli stili ceramografici per i modelli di queste figurazio-ni la scelta potrebbe cadere sulla ceramica «calcidese»,forse prodotta in una bottega di Reggio, ma ampia-mente diffusa in Etruria. È una suggestione, questa, chenon viene solo dalla frequente rappresentazione di saghegreche che troviamo sulle superfici di questi vasi, ma daalcuni schemi iconografici, anche di dettaglio, che tro-viamo sulla bordura inferiore del carro. I bronzi di Chiu-si, che discendono da analoghe tendenze, sono al con-fronto ben povera cosa.

Stilisticamente e qualitativamente differenti appaio-no il carro di Castel San Mariano e i tripodi di SanValentino, rinvenuti presso Perugia, che devono essereusciti da uno stesso milieu, chiaramente improntatodallo stile ionico piú diffuso. Purtroppo i bronzi diCastel San Mariano, che decoravano le spalliere dei

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carri, sono in frammenti e la stessa collocazione museo-grafica (Perugia e Monaco) non permette una loro rico-struzione. L�officina dalla quale sono usciti è comunquedi livello superiore rispetto alla precedente: è sufficien-te uno sguardo di confronto alle cariatidi femminili o algrande parapetto frontale con Herakles e le Amazzoni,dove sono stati notati particolari narrativi addiritturaeruditi83, per rendersene conto. La tecnica a sbalzo arric-chita dalle incrostazioni riportate, il fitto lavoro di buli-no, il linguaggio raccordabile a genuine esperienzegreco-orientali, improntate a quel tipo di ionismo che siè riscontrato anche nelle terrecotte romane di Sant�O-mobono o nel «sarcofago degli Sposi» di Caere, rivela-no un artigiano assai abile. I tripodi Loeb risultano dipoco piú modesti: l�incisione è meno accurata, impiega-ta con parsimonia e lo stile ricorda quelle lastre in ter-racotta, dai contorni già piú sfatti, che si diffondono daVeii nel Lazio.

A Vulci, al contrario, si può attribuire un�attività dibronzisti esercitata su scala industriale, nonostante lanotevole dispersione di materiali che ci segnala la storiadegli scavi effettuati nella necropoli di questo centro.Questa attribuzione è sembrata a volte solo un fatto dicomodo, dal momento che non sono stati rinvenuti restidi fonderie, ma solo una matrice da fusione in terrarefrattaria modellata �in negativo�, stilisticamente col-locabile nel primo quarto del v secolo a. C., scoperta inuna tomba assai piú tarda84. Fra i pochi corredi tomba-li di cui vi sia una segnalazione un complesso in parti-colare presenta però una notevole ricchezza di bronzi:la cosiddetta «tomba del Guerriero», scoperta intatta,con un�intera panoplia e un nucleo di vasi attici databi-li attorno al 520 a. C.85. In questo complesso la ric-chezza dei bronzi non è solo attestata dalle armi (l�elmo,ad esempio, ha le paragnatidi decorate a sbalzo), ma

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anche dal vasellame bronzeo di uso domestico: grandipatere, un colino, due mestoli, un grande stámnos, duebrocche, un attingitoio, oggetti che possiamo conside-rare abbastanza comuni nelle necropoli dell�Etruria odelle zone etruschizzate (l�area emiliana, la necropoli diAleria in Corsica e cosí via).

La media di quest�industria è appunto caratterizzatada vasellame di uso simposiaco, quali brocche dal beccoappuntito (definite Schnabelkannen), attingitoi dal corpoaffusolato, in cui l�elemento fuso, costituito dall�ansa,spesso con decorazioni plastiche riportate, è servito dibase per recenti classificazioni86.

Nelle Schnabelkannen l�ansa all�attacco superiore sibiforca, adattandosi alla rotondità della bocca e termi-nando con elementi a ghianda � i piú comuni �, a testadi serpente o a corpo di leone; l�attacco inferiore è costi-tuito invece da una placca traforata con una palmettarivolta in basso sormontata da un motivo ad ancora o apalmette; molto piú rara è la sostituzione di quest�ulti-mo elemento con placchette decorate da figure, mentreeccezionali sono i casi in cui l�ansa è costituita da unafigura virile nuda, un piccolo koûros. Negli attingitoi ilmanico, di tipo sormontante, termina all�attacco infe-riore con un leoncino. La fabbricazione di questi ogget-ti si pone fra l�avanzata seconda metà del vi secolo e ilv secolo a. C. e la durata cosí lunga si spiega anche conla loro cospicuità numerica: circa trecento Schnabelkan-nen e una quarantina di brocchette, tutte rinvenute inItalia, la cui distribuzione copre massicciamente lenecropoli dell�Etruria meridionale (soprattutto Vulci eTarquinia), ma anche l�Etruria campana (area sorrenti-na), le necropoli medio-adriatiche, l�Etruria padana:significativa è anche la loro diffusione nell�Italia set-tentrionale, in particolare nella zona dei laghi alpini,area di smistamento di questi prodotti verso la zonarenana, o verso la Champagne87. Le Schnabelkannen sem-

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brano infatti avere notevole successo soprattutto fra i�principi� celti, le cui tombe a tumulo contengono comeutensile straniero piú diffuso proprio le brocche etru-sche, assieme a bacili o caldaie che fanno parte di unaproduzione piú corrente. Due complessi tombali, fra glialtri, hanno restituito, assieme alle Schnabelkannen, altriutensili che possono ricondursi a questa tradizione arti-gianale: il primo, scoperto a Vix, nei pressi di Châtil-lon-sur-Seine, conteneva oltre al famoso cratere di bron-zo di fabbricazione peloponnesiaca, due bacili con ansedecorate da palmette, il secondo, rinvenuto a Dürkheim,presso Spira, ha restituito uno stámnos e un tripode con-cordemente attribuito alla produzione vulcente88.

Sul piano della distribuzione le Schnabelkannen tro-vano anche una diffusione �marittima�: ad Aleria, inCorsica, dove sono stati rinvenuti anche degli attingitoi,e a Cartagine.

Carattere suntuario va attribuito ad altri prodotti,destinati probabilmente a usi cerimoniali, assai menoconsistenti numericamente, forniti di una piú ricca deco-razione plastica.

Tripodi, vasi di grandi dimensioni come crateri, anfo-re, hydríai e incensieri, portacandele (forse le lucernericordate da Ferecrate), vanno infatti interpretati comeoggetti pertinenti ad arredi domestici di ceti abbienti:in una tomba di Spina, ad esempio, erano riuniti, assie-me a prestigiose ceramiche attiche a figure rosse, un tri-pode, un cratere e un portacandele89. Al di fuori del con-testo etrusco rinvenimenti di questo genere si localizza-no, come era accaduto precedentemente in età orienta-lizzante, in santuari � nel caso specifico addirittura l�a-cropoli di Atene � o nelle ricche tombe di �capi� sabinio celti (Campovalano in Abruzzo, Dürkheim e Vix).

In qualità di arredi pertinenti alla sfera del prestigio,questi oggetti sembrano inserirsi, forse concorrenzial-mente, in un circuito �commerciale� che, per tutto il vi

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secolo a. C., partiva da fabbriche del Peloponneso.Molti bronzi dubbiosamente attribuiti a officine spar-tane provengono infatti da tombe principesche dellaGrecia periferica (Trebeniste) o dell�Italia meridionalenon ellenizzata (Ugento, Sala Consilina, Treia pressoMacerata) o ancora dalle necropoli celtiche (Grächwil,in Svizzera, e ancora Vix, in Francia)90. In ambientemegalo-greco la loro utilizzazione sembra invece desti-nata a luoghi di culto quali l�heróon di Paestum91.

L�unità di questa produzione in Etruria, nonostantei diversi tipi di arredi, può essere avvertita dal fatto cheelementi decorativi fusi, come le anse configurate, ven-gono saldati a vasi di forma diversa (anfore, hydríai equalche Schnabelkanne)92. Le decorazioni fuse infatti,per la loro stessa natura, permettono di seguire, dal 540al 470 a. C. circa, le differenti tendenze di stile che ope-rano all�interno della produzione e di intravvedere lapossibilità che poche botteghe abbiano lavorato nellabronzistica, a Vulci, unitariamente e nel corso di duegenerazioni circa.

La produzione di tripodi, analogamente a quantoaccade per i vasi bronzei con appliques plastiche, conti-nua una tradizione peloponnesiaca93. Tipicamente etru-sche sembrano invece la produzione di �incensieri�, figu-re-cariatidi di danzatori che insistono su un treppiede ereggono sulla testa un supporto piú o meno elaborato peril piattello bruciaprofumi94, e la produzione di porta-candele, alti steli scanalati su treppiede che terminanosuperiormente con un fiore dai petali appuntiti � neiquali si adattavano le candele � e, al centro, con una opiú figure a gruppi95.

Tripodi e portacandele sembrano i piú diffusi all�e-sterno dell�Etruria. Un esemplare di questi ultimi giun-ge fino a Melfi96, mentre nella prima metà del v secoloa. C. altri se ne diffondono in Etruria padana (a Mar-zabotto, Bologna e Spina). Numerose sono altresí le raf-

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figurazioni di questi oggetti sulla ceramica attica a figu-re rosse, fatto che conferma la testimonianza delle fontiletterarie già ricordata.

Circolazione piú ridotta hanno invece alcune classi dioggetti che, per l�intrinseco valore del materiale dalquale vengono ricavati, possono a maggior diritto inse-rirsi fra i �beni suntuari�: si tratta di oggetti che rien-trano nell�arte dell�intaglio di materie preziose, dall�oroalle pietre dure fino all�avorio, legati al consumo estre-mamente circoscritto del ceto abbiente.

Anche in questo settore le questioni sono numerose,muovendosi sempre la problematica nella dialettica rela-tiva alla presenza di artigiani greci in Etruria e al ruoloche essi assumono nell�industria artistica locale.

Vengono considerati per solito unitariamente gli anel-li aurei con figurazioni incise e le gemme97, ma nello stes-so ambito, che è quello della sfragistica, vanno incluseanche le poche monete d�oro o d�argento arcaiche chepossono attribuirsi alle città etrusche, le cui emissionidovute presumibilmente a privati, non ad autorità pub-bliche, appaiono molto rare e comunque di scarsa cir-colazione. Gli anelli con castone ellittico decorato daimmagini incise sono di origine egizio-fenicia e sembra-no essere stati trasmessi in Etruria attraverso Cipro e laGrecia98. Il cerchio, di oro massiccio o piú raramented�argento, sostiene un castone nel quale le figurazionisono divise in diversi registri, secondo la moda fenicia,o si organizzano all�interno dell�ellissi in un�unica scena,secondo la moda greca. La tradizione degli anelli sem-bra abbastanza antica in Etruria, risalendo forse allaprima metà del vi secolo a. C. Le stesse immagini � ani-mali reali e fantastici � rientrano anche stilisticamentenel repertorio orientalizzante, ma la presenza di alcuniesseri, quali gli ippocampi, di origine greca, consente diinserire la produzione in un ambiente eclettico in cui il

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repertorio fenicizzante si mescola a quello greco. Laproduzione di anelli con castoni decorati a sbalzo è inve-ce piú tarda e spesso essi presentano una decorazioneaccessoria ottenuta con bordature a granulazione, fili-granate o godronate. Le scene, ormai distese nel campoellittico, divengono piú complesse: animali in posizionearaldica, carri in corsa � tema dominante nel repertorio�, scene della mitologia greca, come Apollo e Tityos,Nereo che si trasforma, o di genere, come le donne allafontana, indicano forse che la funzione degli anelli dove-va essere quella di �sigilli� privati. È in questo momen-to che sembra prevalere un repertorio ornamentale diret-tamente stimolato dalla ceramica «pontica» e da queiprodotti che costituiscono l�attività locale della cera-mografia etrusca. È un momento nel quale si elabora unostile propriamente animalistico, che viene accolto dagliintagliatori di gemme, e impiegato anche nelle rare emis-sioni monetali. Tutta una serie di aurei di ancora incer-ta collocazione, che presenta come simbolo una testa dileone, si connette ad esempio, con lo stile di un gruppodi anelli caratterizzati da un disegno minuto99.

Caratteri affini si ritrovano nelle pietre dure inta-gliate, introdotte in Etruria negli ultimi tre decenni delvi secolo a. C.: la tradizione etrusca si innesta diretta-mente sulla scia di un�attività che viene importata dallaGrecia orientale, al punto che le prime manifestazionidella glittica etrusca si inseriscono agevolmente nel capi-tolo delle gemme greche di stile arcaico100. Il complessodelle figurazioni deriva direttamente dallo stile �robusto�di netta impronta ionica, nel quale la scena mitologicaconserva ancora i suoi contenuti specifici: quattro opere,attribuite a un unico intagliatore101, che presentano fral�altro le già note scene della consegna delle armi diAchille a Teti e di Herakles e Nereo, dipendono inmodo inconfondibile dalla tradizione di alcuni maestriionici che avevano elaborato uno stile caratteristico

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soprattutto nei nudi maschili, evidenziati e torniti, neiquali lo sviluppo dell�anatomia seguiva quello della con-temporanea scultura. Nell�ambito delle gemme di stile�robusto� le immagini di satiri, con figure �piene� o �slan-ciate� costituiscono una tendenza che riconosciamo inun�altra produzione eseguita a intaglio, quella di picco-li scrigni di avorio decorati a basso rilievo.

Questa ulteriore classe di monumenti di pregio, difabbricazione etrusca, pone interessanti problemi circa lasua diffusione. Quantitativamente attorno alla quaran-tina di esemplari, sparsi nelle collezioni di grandi musei,le lastre d�avorio che costituivano i cofanetti possonoessere classificate, per lo stile delle raffigurazioni, in tregrandi gruppi che si scaglionano fra il 530 e il 470 a. C.circa102. Nel gruppo piú antico, i cui esemplari sono statirinvenuti a Vulci, Tarquinia, Orvieto e Ruvo, in Puglia,le figurazioni sono quelle diffuse anche nella pittura tom-bale: carri in corsa, lotte di animali, scene di caccia e dibanchetto, personaggi favolosi, stilisticamente connessicon la ceramica «pontica». Un gruppo intermedio, dadatare attorno agli inizi del v secolo a. C., è distribuitofra Caere, Chiusi, Bologna, Paestum e Rodi: le figura-zioni non cambiano quanto a genere, solo lo stile è menoaccurato. Un gruppo piú tardo, infine, dove prevalgonofigure di animali accosciati, è il piú corsivo della serie,ma ha una distribuzione ancora piú vasta: Vulci, Chiu-si, Bologna, Capua e, al di fuori dell�Italia, Nora in Sar-degna e Delo nelle Cicladi103. L�affinità stilistica che sinota fra le lastrine piú antiche della serie e la glitticainduce a pensare a una sorta di omogeneità fra intaglia-tori di materiali preziosi e non è improbabile che le dueattività potessero essere collegate. Il carattere insolito diquesti beni segnala che il loro impiego non raggiungevasolo aree ben conosciute al commercio etrusco, come leregioni colonizzate, ma sedi anche abbastanza lontane,al di fuori del bacino tirrenico104 .

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Anche le oreficerie personali mostrano attorno all�ul-timo ventennio del vi secolo una serie di novità tecni-che e morfologiche, oltre che stilistiche, che comporta-no una sorta di rottura con la tradizione precedente105.Collane, orecchini � fra i quali si diffonde la forma abaule �, fibule e portabalsamari sembrano ormai prero-gative solo femminili. Gli elementi di riporto sostitui-scono la granulazione, la tecnica del pulviscolo prevale,l�inserimento di paste vitree colorate aggiunge un ele-mento di colore fino ad allora assente. Non è a questioggetti che si possono chiedere ovviamente indicazionicirca i mutamenti di stile, data l�ovvietà del repertoriodecorativo, ma è probabile che le officine non fosseropoi numerose, tutte gravitanti nell�Etruria meridionalecostiera, dove si addensano i rinvenimenti, con l�unicaeccezione di Ruvo, in Puglia.

4. Breve excursus sullo stile.

Mediando posizioni che, nell�uno o nell�altro ver-sante, apparivano eccessivamente radicali, Massimo Pal-lottino, in un denso lavoro apparso nel 1950106, coglie-va già il significato storico delle manifestazioni figura-tive in Etruria nella seconda metà del vi secolo a. C. Leconquiste formali dell�arte greca venivano infatti consi-derate nella loro piú vasta articolazione territoriale,come conseguenze di dirette elaborazioni regionali; que-ste, poi, venivano a intersecarsi in aree periferiche allaGrecia propria, ma partecipavano a quella comune defi-nizione di stile che, nella prima metà del v secolo a. C.,si sarebbe concentrata nella sola Grecia peninsulare. Econcludeva: «Una storia del gusto ionico o ionizzante inetà arcaica sarebbe inconcepibile, se, in primo o insecondo piano, non vi fosse inclusa e contemplata l�E-truria».

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Da allora il quadro delle scoperte si è ampliato ed èstato possibile, come si è visto, identificare gli esiti del-l�arcaismo etrusco nell�attività di artigiani immigratidalla Ionia asiatica. Le manifestazioni figurative hannoassunto quindi la funzione di �rivelatore� nei confrontidi un processo storicamente assai complesso.

Sarebbe però un errore considerare queste manife-stazioni, nella stessa Etruria, come fenomeno unitariosul piano dello stile. Diversi sono infatti i filoni figura-tivi che possiamo seguire nella seconda metà del vi seco-lo a. C.: la loro durata e la loro fisionomia, oltretutto,appaiono condizionate da un progressivo degradamen-to del linguaggio figurativo di maestranze le quali, esau-rita la funzione dell�artigiano greco � quasi un �capo-bottega� � vengono coinvolte sia dalla rapidità del con-sumo sia dalla stessa precarietà delle strutture all�inter-no dell�attività artigianale.

Le differenze di carattere stilistico che abbiamo nota-to nell�opera dei pittori tarquiniesi dell�ultimo trenten-nio del vi secolo a. C. indicano che, nell�ambito delgusto ionico dominante, la cultura artistica che è allespalle dei diversi gruppi di artigiani non è omogenea.D�altra parte, nell�attività coroplastica, dove organizza-zione delle botteghe e �domanda� permettono il conso-lidamento delle strutture produttive, la fisionomia di�scuole� cittadine � una ad esempio a Veii, l�altra a Caere� può essere distinta con una certa continuità, anche sel�intervento di nuove maestranze (come ad esempio il«maestro dell�Apollo») trasforma e arricchisce il lin-guaggio che s�era andato formando in precedenza.

Le attività dei ceramografi, dei bronzisti o degli inta-gliatori riflettono egualmente questi fenomeni e, per laloro stessa continuità, possono costituire un tessuto con-nettivo in cui collocare anche manifestazioni piú cla-morose, come quelle fin qui ricordate.

Se analizziamo ad esempio le opere dei ceramografi

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�pontici� comprese nel ventennio 540-520 a. C. e, uni-tamente, quelle degli intagliatori di avorio o dei bron-zisti vulcenti appartenenti alla prima generazione dimaestranze, i caratteri stilistici appaiono sufficiente-mente unitari. Una linea che tende a campire corpipesanti, dai contorni molli, e si impreziosisce nei giochiraffinati dei lievi panneggi; fregi ornamentali opulenti,a volte esorbitanti da una scansione che si vorrebbe rit-mica: segni di un�evidente preferenza per l�esaltazionedi una natura che si vuole sovrabbondante.

Di contro a queste esperienze sufficientemente omo-genee appaiono classi vascolari, come le hydríai caereta-ne o i dînoi «Campana», che confermano la provviso-rietà piú che la precarietà dello stanziamento di deter-minate officine degli artigiani greco-orientali.

Nella generazione successiva, attorno alla fine delsecolo, assai poco rimane delle tendenze ionizzanti piúemergenti: la pittura vascolare si impoverisce e tende adaccettare, ma solo di riflesso, le prime influenze attiche;gli intagliatori tendono a loro volta a limitare il mondofigurativo al repertorio animalistico, usando un lin-guaggio sfatto, che prelude già alla completa consun-zione del periodo successivo; solo ai bronzisti, produt-tori di beni che assumono carattere di prestigio, rimanela possibilità di aggiornare la propria cultura artistica.Avviene in questo modo che alcuni �temi� dell�arte grecapeninsulare della fine del vi o dell�inizio del v secolo,come ad esempio le rappresentazioni della figura umana,si riflettono adeguatamente su alcuni incensieri, mentrenello stile delle appliques gli schemi compositivi e stili-stici della prima ceramica attica a figure rosse sembra-no un necessario precedente.

La formazione di uno stile di �transizione� fra le espe-rienze ioniche e le prime influenze attiche viene a con-centrarsi proprio nell�opera del «maestro dell�Apollo» diVeii. La ricostruzione di questa complessa personalità,

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che appare abbastanza isolata nel contesto etrusco epriva di epigoni, individua come componenti essenzialida una parte il dinamismo di certe formulazioni dellaplastica ionica, ormai affrancate dalla mollezza delmedio arcaismo, dall�altra le stilizzazioni dei panneggia spigolo, taglienti e aguzzi, che ritroviamo nella scul-tura ateniese del tardo arcaismo o nei pittori attici dellaprima generazione che opera nella tecnica a figure rosse.L�equilibrio fra emergenze plastiche e gioco di linee rav-visabile nel rapporto volume-panneggio che caratteriz-za il linguaggio del «maestro dell�Apollo», rimane unfatto isolato e viene semplicemente imitato, senza unprogressivo approfondimento delle possibilità espressi-ve, dalla bronzistica degli inizi del v secolo a. C. Non èun caso che già prima della scoperta delle statue di Por-tonaccio Adolf Furtwängler, nella sua fondamentaleopera sulle gemme antiche, individuasse nella ripetizio-ne di formule tardoarcaiche il limite dell�arte etruscaposteriore al 500 a. C.

1 Cfr. anche plutarco, Poblicola 13 e verrio flacco, in festo L342, s. v. Ratumenna porta; servio, In Vergilii Aeneidos librum VII 188(commenti: s. ferri, Plinio il Vecchio. Storia delle arti antiche, Roma1946, pp. 212 sg.; a. rumpf, in Real Encyclopädie, II serie, XVIII(1961), cc. 1223 sgg., s. v. Vulca).

2 m. pallottino, La scuola di Vulca, Roma 1945.3 Su questi problemi la brillante sintesi di j. heurgon, Il Mediter-

raneo occidentale dalla preistoria alle guerre puniche, Bari 1972, pp.222-39.

4 m. torelli, Tre studi di storia etrusca, in «Dialoghi di archeologia»,viii (1974-75), pp. 47 sgg.; m. pallottino, Servius Tullius à la lumièredes nouvelles découvertes archéologiques et épigraphiques, in «ComptesRendus de l�Académie des Inscriptions et Belles Lettres», 1977, pp.216 sgg.

5 Cfr. per quanto concerne la Grecia: h. berve, Die Tyrannis bei denGriechen, München 1967; c. mossé, La tyrannie dans la Grèce antique,Paris 1969.

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6 m. torelli, Il santuario di Hera a Gravisca, in «La parola del pas-sato», xxvi (1971), pp. 50 sgg. Sulla dedica di Sostratos anche p. a.gianfrotta, ivi, xxx (1975), pp. 311 sgg.

7 j. boardman, The Greeks Overseas, Harmondsworth 19742, pp.134 sgg.

8 j.-p. morel, L�expansion phocéenne en Occident, in «Bulletin de cor-respondence hellénique», xcix (1975), pp. 853-96, con ricca letteratura.

9 m. cristofani, Città e campagna nell�Etruria settentrionale, Arez-zo 1976, pp. 7 sgg.

10 j. heurgon, L�état étrusque, in «Historia», vi (1957), pp. 86 sgg.11 g. a. mansuelli, Problemi e prospettive di studio sull�urbanistica

antica. La città etrusca, in «Studi storici», viii (1967), pp. 5 sgg. Per icuniculi di Veii: s. judson e a. kahane, in «Papers of the BritishSchool at Rome», xxxi (1963), pp. 74 sgg.

12 e. paribeni, in «Bollettino d�arte», l (1964), pp. 193 sgg.; c.ampolo, in «La parola del passato», xxv (1970), pp. 200 sg.

13 a. andrén, Marmora Etruriae, in «Antike Plastik», viii (1967), pp.7 sgg.

14 c. laviosa, in «Archeologia classica», xvi (1964), pp. 13 sgg.15 i. mayer-prokop, Die gravierten etruskischen Griffspiegel archai-

schen Stils, Heidelberg 1967, pp. 43 sgg.; p. zazoff, Etruskische Ska-rabäen, Mainz am Rhein 1968.

16 r. hampe e e. simon, Griechische Sagen in der frühen etruskischenKunst, Mainz am Rhein 1964; g. camporeale, Saghe greche nell�arteetrusca arcaica, in «La parola del passato», xix (1964), pp. 428 sgg.; t.dohrn, Die Etrusker und die griechischen Sage, in «Römische Mittei-lungen», lxxiii-lxxiv (1966-67), pp. 15 sgg.

17 Si veda, da ultimo, g. colonna, in «Notizie degli Scavi», 1970,supplemento II (1973), pp. 58 sgg.

18 Su questi problemi da ultimo m. cristofani, Storia dell�arte eacculturazione: le pitture arcaiche di Tarquinia, in «Prospettiva», vii(1976), pp. 2 sgg.

19 Sui vasi calcidesi buona sintesi di l. banti, in Enciclopedia del-l�arte antica, II, 1959, pp. 260 sgg.

20 l. hannestad, The Paris Painter. An Etruscan Vase Painter, Cope-naghen 1974.

21 Il rapporto fra questo pittore e il gruppo pontico sembra comun-que innegabile: r. m. cook, A List of Clazomenian Pottery, in «Annualof the British School at Athens», xlvii (1952), pp. 119 sgg.

22 l. hannestad, The Followers of the Paris Painter, Copenaghen 1976.23 j. d. beazley, Etruscan Vase Painting, Oxford 1947, pp. 12 sgg.

(si vedano anche gli aggiornamenti di g. uggeri, in «Quaderni ticine-si di numismatica e antichità classiche», iv [1975], pp. 17 sgg. e di e.mangani, in «Prospettiva», xi [1977], pp. 41 sgg.).

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24 j. m. cook, Old Smyrne: Ionic Black Figure and other Sixth-Cen-tury Figured Wares, in «Annual of the British School at Athens», lx(1965), pp. 114 sgg.

25 e. walter-karydi, Aeolische Kunst, in Studien zur griechischenVasenmalerei, Bonn 1970, p. 13. Sulle hydríai caeretane cfr. j. m.hemelrijk, De Ceretaanse Hydriae, Rotterdam 1956.

26 Cfr. «Notizie degli Scavi», 1971, p. 238 (ocra rossa e bleu egi-ziano).

27 boardman, The Greek Overseas cit., p. 214; g. colonna, in Enci-clopedia dell�arte antica, supplemento 1970 (Roma 1973), p. 767, s. v.Tarquinia.

28 r. m. cook, j. m. hemelrijk, A Hydria of the Campana Group inBonn, in «Jahrbuch der Berliner Museen», v (1963), pp. 107 sgg.

29 cristofani, Storia dell�arte e acculturazione cit., p. 4.30 La documentazione delle tombe tarquiniesi piú antiche, senza fre-

gio figurato, è raccolta in m. moretti, Pittura etrusca in Tarquinia, Mila-no 1974, pp. 16 sgg. (tomba delle Pantere) e id., Nuovi monumenti dellapittura etrusca, Milano 1966, pp. 4 sgg., 33 (tombe della Capanna, deiLeoni di Giada) ecc. Classificazione preliminare di queste tombe (esclu-se quelle di piú recente scoperta): g. a. mansuelli, Le sens architectu-ral dans les peintures des tombes tarquiniennes avant l�époque hellénisti-que, in «Revue archéologique», 1967, 1, pp. 41 sgg.

31 moretti, Pittura etrusca in Tarquinia cit., tavv. 10, 44, 46 e 60.32 m. pallottino, La peinture étrusque, Genève 1952, p. 56.33 e. walter-karydi, Samische Gefässen des 6. Jahrhunderts v. Chr.,

Bonn 1973, pp. 34 sgg.34 a. giuliano, Osservazioni sulle pitture della tomba dei Tori a Tar-

quinia, in «Studi Etruschi», xxxvii (1969), pp. 17 sgg.35 f. roncalli, Le lastre dipinte da Cerveteri, Roma 1965, pp. 47 sgg.

Legate alla decorazione architettonica sono invece le piú antiche tego-le dipinte da Acquarossa.

36 Cfr. l�opera del «Petrie Painter», cook, A List cit., pp. 128 sgg.37 m. j. mellink, Notes on Anatolian Wall Painting, in Mansel�e

Armagan, I, Ankara 1974, pp. 537 sgg.38 giuliano, Osservazioni cit., pp. 10 sgg.39 Cfr. g. becatti e f. magi, Le pitture della tomba degli Auguri e del

Pulcinella, Monumenti della pittura antica scoperti in Italia, I: TarquiniiIII-IV, Roma 1955, pp. 24 sg. e soprattutto fig. 12 e tav. x.

40 torelli, Il santuario di Hera a Gravisca cit., pp. 44 sgg.41 Un frammento di hydría caeretana proviene infatti da Naucrati.42 Come nel caso delle piú tarde tombe chiusine su cui r. bianchi

bandinelli, Le pitture delle tombe arcaiche di Clusium, Monumenti dellaPittura antica scoperti in Italia, I: Clusium, Roma 1939.

43 Cfr. sul tema e sul suo sviluppo j.-m. dentzer, Aux origines de

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l�iconographie du banquet couché, in «Revue archéologique», 1971, 2,pp. 215 sgg.

44 g. q. giglioli, in «Notizie degli Scavi», 1919, p. 15.45 Sul problema, con differenti valutazioni, a. andrén, in «Rendi-

conti Pontificia Accademia», xxxii (1959-60), pp. 46 sgg.; g. colon-na, in «Studi Etruschi», xxxiii (1965), pp. 159 sgg. Sulla tipologia degliinterni tombali di Caere: f. prayon, Frühetruskische Haus- und Gra-barchitektur, Heidelberg 1975, pp. 96 sgg.

46 Su tutta questa documentazione è fondamentale a. andrén, Archi-tectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples, Lund-Leipzig 1940.

47 Cfr. per Thefarie Velianas, g. colonna, in «Archeologia classica»,xvii (1965), pp. 286 sgg.; j. ferron, in Aufstieg und Niedergang der römi-schen Welt, I, 1, Berlin - New York 1972, pp. 220 sgg.

48 t. gantz, Terracotta Figured Friezes from the Workshop of Vulca,in «Opuscula Romana», x (1974), pp. 1 sgg., ma cfr. le mie rettifiche:Artisti etruschi a Roma nell�ultimo trentennio del VI secolo a. C., in «Pro-spettiva», ix (1977), pp. 2 sgg.

49 Su questa serie di lastre: a. andrén, Osservazioni sulle terrecottearchitettoniche etrusco-italiche, in «Opuscula Romana», viii (1971), pp.1 sgg. e, piú recentemente, a. c. brown, in Archaeological Reports for1973-74, London 1975, pp. 60 sgg.

50 l. banti, in Tyrrhenica. Saggi di studi etruschi, Milano 1957, pp.77 sgg.

51 Sul complesso del Portonaccio cfr. poi pp. 100 sgg.52 Su questi problemi cfr. il mio lavoro Artisti etruschi cit. prece-

dentemente.53 Su queste sculture: e. buschor, Altsamische Standbilder, IV, Ber-

lin 1961, pp. 97 sg.; n. himmelmann, Beiträge zur Chronologie derarchaischen ostionischen Plastik, in «Instanbuler Mitteilungen», xv (1965), pp. 38 sg. Sui vasi plastici: j. ducat, Les vases plastiques rhodiensarchaiques en terre cuite, Paris 1966, pp. 40 sgg., 47 sgg., 67 sgg. (que-sti ultimi a testa di Ercole).

54 Per il confronto cfr. ancora il mio Artisti etruschi cit.55 aa.vv., Pyrgi. Scavi nel santuario etrusco (1959-1967), in «Noti-

zie degli Scavi», vol. XXIV (1970), supplemento II, Roma 1973.56 Sul tempio g. colonna e f. melis, ivi, pp. 275 sgg.57 m.-f. briguet, Urnes archaïques étrusques, in «Revue archéologi-

que», 1968, 1, pp. 49 sgg.58 colonna, art. cit., pp. 402 sgg.59 e. langlotz, Studien zur nordostgriechischen Kunst, Mainz am

Rhein 1975, pp. 45 sgg., 64 sgg. Per l�identificazione del thesaurós ano-nimo p. de la coste messelière, in «Bulletin de correspondence hel-lénique», xciii (1969), p. 747.

60 f. roncalli, Le lastre dipinte da Cerveteri, Firenze 1965, p. 80.

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61 andrén, Architectural Terracottas cit., tavv. 6, 13.62 Ibid., pp. cxcv sg.63 Per questi tripodi si veda piú sotto, pp. 103 sg.64 Nuove scoperte e acquisizioni nell�Etruria meridionale, catalogo

della mostra, Roma 1975, pp. 13 sg., nota 19.65 briguet, Urnes cit., pp. 58 sgg., figg. 15, 22 e 23.66 m. moretti, in Arte e civiltà degli Etruschi, catalogo della mostra,

Torino 1967, pp. 109 sgg.67 Relazioni di scavo su questo complesso, tutte di carattere preli-

minare: giglioli, art. cit., 1919, pp. 13 sgg.; e. stefani, in «Notiziedegli Scavi», 1946, pp. 36 sgg. e 1953, pp. 29 sgg. (scoperte successi-ve a quelle del Giglioli); m. pallottino, in «Le arti», ii (1939-40), pp.17 sgg. (scavi 1939); m. santangelo, in «Bollettino d�arte», 1952, pp.147 sgg. (scavi 1944-49).

68 g. de vita de angelis, in «Studi Etruschi», xxxvi (1968), pp.403-50.

69 e. stefani, in «Notizie degli Scavi», 1946, pp. 36 sgg.70 m. torelli, in «Archeologia classica», xx (1968), p. 228.71 m. pallottino, Il grande acroterio femminile di Veio, ivi, ii (1950),

pp. 152 sgg.; a. minto, La decorazione coroplastica nell�architettura deltempio etrusco, in «Studi Etruschi», xxii (1952-53), pp. 21 sgg.; s.ferri, Divinatio in fastigium Veiens, in «Archeologia classica», vi(1954), pp. 115 sgg.

72 La migliore analisi del complesso rimane quella di pallottino, Ilgrande acroterio cit.

73 l. vagnetti, Il santuario di Campetti a Veii, Firenze 1971, pp. 26sg., tav. 1.

74 Su questo problema: pallottino, La scuola di Vulca cit.75 melis, in Scavi di Pyrgi cit., pp. 408 sgg.76 o. w. von vacano, Vulca, Rom und die Wölfin, in Aufstieg und Nie-

dergang der römischen Welt, I, 4, Berlin - New York 1973, pp. 541 sgg.77 ateneo, I 28b e XV, 700c.78 g. fischetti, in «Studi Etruschi», xviii (1944), pp. 20 sg. Il lavo-

ro migliore rimane ancora quello di p. j. riis, Rod-Tripods, in «Actaarchaeologica», x (1938), pp. 22 sgg.

79 Per un excursus sulla tecnologia dei bronzi etruschi: a. hus, Lesbronzes étrusques, Bruxelles 1975, pp. 12-50.

80 Su questi bronzi cfr. le edizioni principali di a. furtwängler,in brunn-bruckmann, nn. 586-87 (Monteleone di Spoleto); e. peter-sen, in «Römische Mitteilungen», ix (1894), pp. 253 sgg., e m. pal-lottino, in Arte e civiltà degli Etruschi, catalogo della mostra, Milano1955, pp. 46 sgg, (Castel San Mariano); g. h. chase, in «AmericanJournal of Archaeology», xii (1908), pp. 287 sgg. (tripodi Loeb da SanValentino). Inoltre: u. scerrato, in «Archeologia classica», viii (1956),

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pp. 153 sgg.; banti, in Tyrrhenica cit., pp. 89 sgg.; w. l. brown, TheEtruscan Lion, Oxford 1960, pp. 80 sgg.; c. grünwald, in Opus Nobi-le, Wiesbaden 1969, pp. 53 sgg.

81 u. jantzen, in «Archaeologischer Anzeiger», 1966, pp. 123 sgg.(Perugia, Brolio, Città di Castello).

82 Cfr. comunque a. minto, in «Bullettino di Paletnologia Italiana»,xliv (1924), pp. 145 sgg. (Monteleone di Spoleto), e in «Studi Etru-schi», ix (1935), pp. 401 sgg. (San Valentino).

83 r. hampe, e. simon, Griechische Sagen in der frühetruskischenKunst, Mainz am Rhein, 1964, pp. 11 sgg.

84 k. a. neugebauer, Archaische Vulcenter Bronzen, in «Jahrbuch desdeutschen archäologischen Instituts», lviii (1943), pp. 206 sgg.

85 m. moretti, Il Museo Nazionale di Villa Giulia, Roma 1967, pp.36 sgg., 50, fig. 39.

86 p. guzzo, in «Rendiconti dell�Accademia dei Lincei», serie VIII,xxv (1970), pp. 87 sgg.; b. bouloumié, Les oenochoés en bronze du type«Schnabelkanne» en Italie, Roma 1973.

87 id., in «Gallia», xxxi (1973), pp. 1 sgg.88 Per Vix: r. joffroy, «Fondation E. Piot. Mémoires et Monu-

ments», lxviii (1954), pp. 1 sgg.; per Dürkheim: p. jacobsthal e a.langsdorff, Die Bronzenschnabelkannen, Berlin 1929, pp. 22 sgg. Sulfenomeno della distribuzione di beni suntuari etruschi nelle tombe cel-tiche, con interessanti osservazioni sugli aspetti strutturali, f. fischer,Keimélia, in «Germania», li (1973), pp. 436-59.

89 s. aurigemma, Scavi di Spina, I, Roma 1960, pp. 48 sgg.90 Su questi problemi un excursus abbastanza recente in h. jucker,

Bronzehenkel und Bronzehydria in Pesaro, in «Studia Oliveriana», xiii-xiv(1966), pp. 3 sgg. Per successive scoperte: c. f. lo porto, in «Atti eMemorie Società Magna Grecia», xi-xii (1970-1971), pp. 99 sgg.

91 p. c. sestieri, Il sacello heroon posidoniate, in «Bollettino d�ar-te», 1955, pp. 53 sgg.

92 Cfr. d. kent hill, in «American Journal of Archaeology», lviii(1958), pp. 196 sgg.; o. zanco, Bronzi arcaici da Campovalano, Roma1974, pp. 42 sgg. Per un�anfora s. haynes, Etruscan Bronze Utensils,London 1965, p. 7 e per esemplari recentemente pubblicati m. t. fal-coni amorelli, in «Archeologia classica», xix (1968), pp. 308 sg.

93 riis, Rod-Tripods cit., pp. 18 sgg.94 r. zandrino, in «Studi Etruschi», xxii (1952-53), pp. 329 sgg.95 t. dohrn, in «Römische Mitteilungen», lxvi (1959), pp. 45 sgg.96 d. adamesteanu, in «Atti e Memorie Società Magna Grecia»,

vi-vii (1965-66), pp. 190 sgg.97 g. m. a. richter, Engraved Gems of the Greeks and the Etruscans,

London 1968, pp. 173 sgg.; j. boardman, Greek Gems and FingerRings, London 1970, pp. 152 sgg.

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98 id., Archaic Finger Rings, in «Antike Kunst», x (1967), pp. 3 sgg.99 l. breglia, L�oro con la testa di leone, in Contributi introduttivi

allo studio della monetazione etrusca, Napoli 1975 [Roma 1976], pp.75 sgg.

100 j. boardman, Archaic Greek Gems, London 1968, pp. 169 sgg.101 p. zazoff, Zur ältesten Glyptik Etruriens, in «Jahrbuch des deut-

schen archäologischen Instituts», xci (1966), pp. 63 sgg.102 l. pollak, Archaische Elfenbeinreliefs, in «Römische Mitteilun-

gen», xxi (1906), pp. 314 sgg.; m. pallottino, Scrigno tarquiniese conrilievi d�avorio arcaici, in «Rivista Istituto di Archeologia e Storia del-l�arte», v (1935), pp. 39 sgg.; y. huls, Ivoires d�Etrurie, Bruxelles1957, pp. 66 sgg.

103 Per Nora: m. e. aubet, in «Studi Sardi», xxiii (1973-74), pp.125 sgg.; per Delo: Fouilles de Délos, XVIII, tav. 77, pp. 237 sg.

104 M. Gras ha avanzato l�ipotesi che questo materiale rifletta l�at-tività dei �pirati� tirreni nell�Egeo (cfr. il suo lavoro in L�Italie préro-maine et la Rome républicaine, I, Roma 1976, pp. 341 sgg.).

105 Sui problemi, in genere, l. breglia, Catalogo delle oreficerie delMuseo Nazionale di Napoli, Roma 1941, pp. 106 sgg.; e. coche de laferté, Les bijoux antiques, Paris 1956, pp. 80 sgg. Per rinvenimenti piúrecenti da Vulci: h. hoffmann e v. von claer, Antiker Gold- und Sil-berschmuck, Mainz am Rhein 1968, pp. 9-15.

106 m. pallottino, Sul problema delle correlazioni artistiche tra Gre-cia ed Etruria, in «La parola del passato», v (1950), pp. 5-17.

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Capitolo quinto

Arte rurale e arte urbana

Fino a questo punto il nostro interesse si è concen-trato prevalentemente sui centri e sulle attività che sisono svolte lungo la costa tirrenica e si è lasciato da parteun altro grande quadro ambientale, quello gravitanteattorno al bacino idrografico del Tevere e dei suoiaffluenti di destra. Il ruolo di arterie di traffico svoltodai percorsi fluviali ha permesso in queste zone uno svi-luppo graduale dei centri etruschi, che può essere segui-to diacronicamente man mano che ci allontaniamo daicomprensori oggi situati nel Lazio � in particolare l�agerFaliscus � per addentrarci, dopo Orvieto, nelle valli delChiana e dell�Arno.

La storiografia antica a proposito di queste aree cifornisce notizie risalenti a un periodo abbastanza tardo,centrate tutte sul re di Chiusi, Porsenna, alleato del-l�ultimo monarca etrusco cacciato da Roma. Gli episo-di collegati alle lotte dei Romani contro questo perso-naggio assumono nell�annalistica una colorazione alquan-to retorica, ma non v�è dubbio che l�ingerenza di Chiu-si nella storia di Roma, nel confuso momento della finedella monarchia, cui è collegata anche la battaglia di Ari-cia (fra il 508 e il 504 a. C.), rivela indubbi interessi diquesto centro nei traffici che si svolgevano lungo ilTevere, percorso al quale erano interessati anche i cen-tri di Volsinii-Orvieto, Falerii e Veii.

L�interpretazione dei dati archeologici diviene per-

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tanto l�unica possibile, soprattutto per l�età piú antica,e le stesse manifestazioni figurative possono avere unloro significato nella storia di questi insediamenti.

Nell�età del ferro quest�area è caratterizzata da pic-coli nuclei insediativi situati su basse colline lungo l�as-se Tevere-Chiana o lungo transiti trasversali, collegaticon il sistema fluviale dell�Ombrone, che sfocia a sud diRoselle. La situazione archeologicamente compromessadi questo territorio, letteralmente sconvolto dagli scaviottocenteschi, costringe però a ricorrere alla letteraturad�epoca per comprendere in modo sia pur vago la tipo-logia degli insediamenti.

A Fonte dell�Aia, presso Chiusi, fu rinvenuta «un�in-tera necropoli arcaica con propri caratteri speciali, checi possono dare ad intendere qualche cosa che a quellaprimitiva età sociale si riferisca. Abbiamo 26 sepolcriche si riscontrano tutti collocati ordinatamente; abbia-mo uno spazio che si estende per ogni lato circa due-cento metri; le tombe sono tutte fabbricate a pozzo». Lanecropoli «giace a mezzogiorno a un kilometro dellacittà, inclinata all�oriente, sormontata da un altipianoche le sorge a tergo, d�onde si domina tutta, che se nonsi può dire l�acropoli, fu certo il campo o il luogo di con-vegno di tutta quella gente onde la necropoli ebbe ori-gine». Qui furono trovate, come nelle altre necropolichiusine di Poggio Renzo e Marcianella, tombe a zirosparse attorno all�area delle tombe a pozzo che eranodisposte con un certo �ordine�1. Nei pressi di Sarteano,a Solaia, l�«altura che domina la valle del Chiana e del-l�Orcia, era occupata e abitata; i suoi sepolcri s�esten-dono in giro»2 . Scavi successivi in questa località, dettaPoggio Rotondo, hanno portato alla scoperta di tombea pozzo, di tombe a ziro e di una tomba a camera conossuari antropomorfi. Ancora presso Sarteano la tenutadi Sferracavalli si trova «sopra una delle colline con cui

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la montagna di Cetona si abbassa verso Sarteano. Vifurono scoperte non meno di 150 tombe prescindendoda quelle che si trovarono sciupate. Le quali tombe con-sistono in buchi quadrati scavati nel terreno vergine ele cui pareti sono foderate di ciottoli»3.

A Cancelli di Cetona, infine, a 700 metri d�altezza,«le tombe erano disposte a filari, in apparenza senzasegni esteriori, ma effettivamente distinte già in anticoda un mucchio superficiale di grossi ciottoli bianchi dimarmo, circa 20 pezzi per ciascuna tomba. In generalei vasi cinerari si trovarono custoditi entro il solito zirocaratteristico delle tombe di questa specie; una lastra dilavagna locale di color bigio copriva i singoli ziri»4.

La terminologia impiegata dagli scavatori ottocente-schi ha bisogno di alcune spiegazioni: tomba a pozzo etomba a ziro indicano tipi di sepoltura diversi. Si trat-ta sempre di una fossa quasi cilindrica nel fondo dellaquale è ricavato, con pietrame, l�alloggiamento per l�os-suario, che alcune volte viene sostituito da un grossodolio di impasto, infisso in terra � �ziro� nel gergo tosca-no. Mentre il primo tipo di tomba è caratteristico del-l�età del ferro, il secondo sembra abbastanza comune nelperiodo successivo, quando l�ossuario tende ad assume-re fattezze umane, si antropomorfizza.

Le tombe a ziro risultano quindi una logica conti-nuazione delle tombe a pozzo dell�età del ferro, ad essecontigue, condensandosi in alcune necropoli pressoChiusi, o piú lontano, a nord (Dolciano), fino alle riveoccidentali del lago Trasimeno e, a sud, a Sarteano, aCetona, fino a San Casciano dei Bagni e, a est, a Castel-luccio di Renza, sul passo de La Foce. Conseguono cioèuna situazione demografica che si configura per abitatisparsi in forma di villaggi che emana direttamente dal-l�età del ferro. Un�analisi della cultura materiale dei cor-redi mostra una netta prevalenza della ceramica suglioggetti di metallo, in gran parte in ferro; rare le armi

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(punte di lancia, coltelli) e alcune volte presenti le scuri,probabilmente non solo armi di offesa, ma anche �inse-gne� di comando. Mancano comunque le ricche paruresdi armi della tarda età del ferro note nel Lazio e nellenecropoli dei centri marittimi e gli stessi ossuari d�im-pasto, alcune volte, non seguono la tipologia villanovia-na, sono privi di decorazioni e solo vagamente biconi-cheggianti, come a Sferracavalli, presso Sarteano.

L�economia chiusa che caratterizzò questi centri nelcorso dell�viii e vii secolo a. C. non impedí però adalcuni gruppi umani, stanziati nei siti piú aperti al tran-sito, di formare gradatamente dei poli urbani, di cuiChiusi e Arezzo sono poi, alla fine del vi secolo a. C.,gli esempi piú significativi. Le tombe a camera, indici diuna nuova concezione dell�ambiente funerario, non piúlegato all�individuo ma a un insieme di persone unite davincoli familiari, si concentrano attorno alla fine del viisecolo a. C. soprattutto nelle necropoli piú vicine aChiusi, centro che si va caratterizzando come un puntodi confluenza dei percorsi fra nord e sud, fra il territo-rio di Perugia e l�area dell�Orcia e dell�Ombrone. La loroorigine si collega direttamente alle prime forme di accu-mulazione di ktémata, di ricchezze personali entro latomba, in netto ritardo rispetto alle necropoli delle cittàcostiere.

I vasi cinerari in bronzo sono deposti su seggi metal-lici, gli arredi sono ricchi, in avorio e altre materie pre-ziose, notevoli le scuri, le accette, anche incrostate inavorio, i resti di tessuti preziosi. Mancano comunqueintere necropoli in cui si condensino tombe di questotipo, le quali, al contrario, risultano isolate, anche anotevole distanza fra loro, quasi che siano appartenutea ricchi �capi� le cui abitazioni, sparse nel territorio,non erano forse comprese in insediamenti complessi.

Fra questi tipi di insediamento spicca quello recen-temente messo in luce a Poggio Civitate (Murlo, Siena),

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lungo la valle dell�Ombrone, a metà strada fra la con-fluenza dell�Arbia e del Merse: è probabile che alla finedel vii secolo a. C. � i resti maggiori scoperti rimonta-no alla ricostruzione effettuata poco prima della metàdel vi secolo a. C. � l�insediamento fosse organizzato inuna serie di ambienti disposti attorno a un cortile. Ladecorazione architettonica che attiene alla prima fase,come quella piú antica di Acquarossa, presenta elemen-ti in terracotta con decorazioni semplici, mentre quellapertinente alla seconda fase ha una ricca serie di ele-menti figurati quasi finalizzati all�esaltazione del dina-sta locale. Alla famiglia regnante, che sembra aver assun-to alcuni modelli ideologici vigenti nelle aree periferichedel mondo ellenico, spettano quegli stessi oggetti pre-ziosi che ritroviamo come beni di prestigio nelle tombericche dell�area chiusina, nei tumuli di Camucia e delSodo presso Cortona o di Castellina in Chianti e fin nel-l�imponente tomba a thólos di Quinto Fiorentino, sullariva destra dell�Arno. La distruzione di questa �resi-denza�, avvenuta in modo improvviso attorno al 525 a.C., per un abbandono voluto o per un�imposizione ester-na � che non ha impedito comunque agli abitanti delluogo di recingere l�insediamento con un argine che nevietasse l�accesso e di seppellire interi scarichi di terre-cotte decorative �, ci fornisce un dato di notevole inte-resse storico: contemporaneamente, infatti, vengonoabbandonati anche altri centri secondari, presso Sar-teano e Cetona, e perfino l�insediamento presso il vali-co di Castelluccio, mentre attorno a Chiusi si moltipli-cano le necropoli e si rilevano elementi raccordabili adattività produttive �urbane�: i numerosissimi segnacolifunerari in pietra locale, decorati a intaglio, i prodottidelle officine ceramistiche locali, i famosi buccheri�pesanti�, iperdecorati. È, in altri termini, il periodocorrispondente alle imprese di Porsenna, è il momentoin cui si assiste a un imponente movimento migratorio

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degli Etruschi oltre l�Appennino che comporterà la fon-dazione o la deduzione di vari centri di tipo coloniale aMarzabotto, Bologna e Spina, movimento nel quale ilcontingente degli abitanti della Val di Chiana sarà statosenz�altro prevalente.

Sull�onda di questo fenomeno si assiste anche alla for-mazione di un nuovo centro urbano nel sito di Arezzo,città che sul piano dei rapporti fra l�Etruria padana el�Etruria propria acquista, assieme a Volterra, un ruolodi prim�ordine; piú che alla zona del Casentino, cheappare, almeno per ora, fondamentalmente poco popo-lata, quasi un�area di accantonamento culturale nellaquale l�esistenza di stipi votive o di santuari è forsecondizionata dal grande culto salutare del monte Falte-rona, questa nuova città sembra infatti guardare al Val-darno, strada di penetrazione naturale verso i valichiappenninici.

Alla fine del vi secolo il quadro demografico sembrapertanto mutato: i due poli urbani, Chiusi e Arezzo,sono divenuti i centri piú funzionali alle attività com-merciali e alle esigenze abitative, le località secondariesi sono spopolate e gran parte degli abitanti ha parteci-pato all�emigrazione oltre Appennino. Nelle città si èvenuta formando una ricca oligarchia agraria che nonrisentirà affatto, come si vedrà in seguito, della crisi checoinvolgerà l�Etruria marittima dopo il 474 a. C., datadella sconfitta navale degli Etruschi presso Cuma.

Una situazione non dissimile da un punto di vistaarcheologico può essere rilevata nel distretto di Volter-ra. Anche in questo territorio i percorsi fluviali mostra-no di essere, fin dall�età del ferro, le aree preferenzialidi stanziamento per piccoli nuclei abitativi insediati sulcorso dell�Elsa, dell�Era e del Cecina5. Il quadro dellenecropoli villanoviane dislocate attorno al massiccio sucui sorgerà la città attesta anche per Volterra quel tipodi aggregazione per singole comunità di villaggio che in

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prosieguo di tempo si svilupperà attraverso un gradua-le sinecismo dei gruppi umani. A differenza di quantoaccade nei centri dell�Etruria costiera, le forme di osten-tazione di ktémata entro le tombe o lo stesso sviluppodei monumenti funerari, fisicamente emergenti, non sisegnala tanto nelle necropoli dell�aggregato �protourba-no� quanto nelle tombe a thólos, isolate lungo la stradache partendo da Populonia, lungo la linea pedemonta-na, si addentrava verso l�interno sfruttando il corso delCecina, tombe che tipologicamente sembrano elaboratesu modelli attestati a Vetulonia e a Populonia. L�esem-pio delle grandi tombe a thólos di Quinto Fiorentino, �non lontane dai guadi dell�Arno �, una delle quali conun ricco corredo di beni preziosi, di provenienza anchevulcente oltre che di produzione locale6, indica comelungo i transiti, a differenza di quanto accadeva neicentri �protourbani� dove predominava l�attività agri-cola, le forme di arricchimento dipendessero da attività�di rapina� che comportavano piú facili possibilità diappropriazione di beni. Allo stesso modo le tombe deldistretto volterrano dislocate lungo la strada Populonia-Volterra, a Bibbona, Casalmarittimo e Casaglia, dovreb-bero rispecchiare una situazione analoga.

Gli scavi condotti recentemente sull�acropoli di Vol-terra hanno messo in luce una stratigrafia abbastanzailluminante in questo senso: la prima fase edilizia conmuri in pietra risale alla fine del vi � inizi del v secoloa. C. Nonostante manchi nella necropoli una buonadocumentazione di tombe risalenti a quest�epoca, lacostruzione di una cinta muraria che racchiude gli edi-fici monumentali secondo un assetto urbanistico preci-so, coincide probabilmente con l�affermazione di unceto urbano, forse mercantile, che fondava la propriapotenza sullo sfruttamento delle miniere di rame delcomprensorio, analogamente a quanto era accaduto, inetà precedente, per altre città della costa. Il consolida-

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mento delle strutture urbane in senso monumentale,contemporaneo alla �colonizzazione� dell�Etruria pada-na, e la funzione svolta da Volterra nello scambio deimetalli, estratti dalle miniere del comprensorio, attri-buiscono a questo centro un nuovo ruolo nei confrontisia dei commerci che avvenivano nell�alto Tirreno,anche ad opera dei Massalioti, sia dei traffici con l�areapadana7.

1. Esperienze artistiche di carattere �rurale�: i canopi ela plastica in argilla.

Su una manifestazione tipica del territorio chiusino,i cosiddetti canopi8, grava una letteratura che parte dal-l�antiquaria tardo-ottocentesca e si sviluppa nel dibatti-to che caratterizzò, nel periodo fra le due guerre, il pro-blema del carattere �italico�, anellenico, dell�arte etruscae romana. Nei canopi si constatavano la natura ingenuae �primitiva� dell�arte etrusca e l�interesse per l�espres-sivo, per l�individuale, in contrasto con quanto vi era ditipizzato o di idealizzato nell�arte greca. Una voltaastratti dal loro contesto d�origine, purtroppo mal rico-struibile a causa degli scavi ottocenteschi, i vasi antro-pomorfi divenivano in effetti materiali da contemplarecon curiosità e avendo presenti le contemporanee espe-rienze dell�espressionismo mitteleuropeo9.

Ricondotti nell�alveo della loro concreta produzionei canopi oggi ci appaiono in una luce molto diversa. Èpossibile infatti tracciare una loro evoluzione tipologicache parte dagli elementi fondamentali dell�ossuario del-l�età del ferro � costituito da un contenitore per le cene-ri allungato, spesso di forma biconica, coperto da unaciotola o da una sua variante � e che sviluppa gradata-mente sia il coperchio � che simboleggia la testa � sia ilcontenitore � che costituisce il corpo. Si tratta di un�e-

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voluzione abbastanza lenta, durata oltre cento anni, cheinizia poco prima della metà del vii secolo a. C.

Pur conservandosi a livello rituale un costume dell�etàdel ferro, è evidente che la redazione in termini antro-pomorfici dell�ossuario realizza un�ideologia di reinte-grazione del defunto nel suo aspetto fisico dopo la com-bustione del cadavere.

Alcune esperienze del tardo viii secolo a. C. riscon-trabili soprattutto nell�area vulcente costituisconocomunque precedenti abbastanza precisi10. A Vulci e aSaturnia il coperchio a ciotola è sormontato da un globo,a Bisenzio un cinerario ha vere e proprie forme umane;quest�uso diviene sempre piú raro con la diffusione delrito inumatorio anche se nelle tombe piú ricche nonmancano elementi simbolici � quali sfere di bronzo sucollo cilindrico o braccia bronzee � che tendono a �rivi-talizzare� il defunto e che si spingono ancora piú oltrequando realizzano veri e propri �busti� in lamina bron-zea o d�argento.

A Chiusi i precedenti dei canopi si pongono attornoal secondo quarto del vii secolo a. C. Una tomba a ziro,scoperta nel 1881, con una ricca suppellettile in bronzopresenta un evidente nesso con queste manifestazioni11:l�ossuario, coperto da una ciotola emisferica, stando alledescrizioni degli scavatori, era posto su un seggio, difronte a una piccola tavola, e risultava «cinto da unafascia di bronzo vestita un tempo di cuoio, la quale siallacciava con la sua fibbia». Il processo di identifica-zione defunto-ossuario risulta dunque in quest�epocagià vigente e continua nel tempo non solo nei canopi, maanche in vasi cinerari che abbozzano fattezze umane,ricoperti da una semplice ciotola e, particolarmente, inquelle urne funerarie che recano sul coperchio immagi-ni di defunti intere, a tutto tondo, circondate da figu-rette di �piangenti�, il cui legame con la plastica canopi-ca sarà illustrato poco oltre.

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La diretta derivazione dei cinerari antropomorfi dal-l�attività ceramistica appare evidente: i contenitori sonoalle volte vasi comuni e le teste, derivando da tazzecapovolte, ne seguono inizialmente la tipologia, aggiun-gendo elementi plastici o incisioni per indicare occhi obocca. Lo sviluppo dei coperchi, d�altra parte, anchequando assumono la forma sferica della testa, non pre-giudica la forma del contenitore, che, a volte, può iden-tificarsi in un�olla comune. Queste constatazioni per-mettono di comprendere come nell�attività di routinedel ceramista, che produceva vasi d�impasto di uso cor-rente, la creazione dell�ossuario antropomorfo era forseabbastanza eccezionale e che un criterio di tipo �econo-mico� poteva far impiegare per il contenitore vasi giàpronti per altri usi.

Fino al momento della creazione di determinati tipistandard questa produzione sembra legata a interventiche difficilmente potremmo attribuire a tendenzeespressive unitarie. Il momento in cui queste esperien-ze si cristallizzano in una produzione standard può esse-re infatti collocato nella prima metà del vi secolo a. C.,quando si notano alcune costanti tipologiche, derivateevidentemente da una �moda�, riscontrabili soprattuttonelle capigliature maschili e femminili realizzate a trec-cioline che si dipartono dal centro della testa. Questotipo standard, che costituisce oltre il 30 per cento deimonumenti conservatici, si afferma contemporanea-mente nelle necropoli di Chiusi, Dolciano, Sarteano eCetona. Esso attesta l�innesto di una nuova dinamicanella tradizione artigiana, che si adatta a piú progredi-te forme di strutture produttive entro le quali il settore�artistico� assume un ruolo specifico.

Non è un caso che la �moda� della capigliatura a trec-cioline riprenda modelli �esterni�, visibili soprattuttonelle statue funerarie in pietra, rinvenute nella zona diChiusi, il cui inizio viene collocato attorno al 580 a.

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C.12. Possibili interferenze fra questa classe monumentale� la cui destinazione di segnacoli per tombe è certo diver-sa da quella dei cinerari antropomorfi � e i canopi si limi-tano pero a questi fatti estremamente marginali, dimo-strando come la divisione del lavoro fra plasticatori-cera-misti e intagliatori di pietra comportasse l�obbedienza adeterminati filoni �figurativi� del tutto indipendenti,obbedienza che veniva resa piú cogente proprio nell�e-secuzione di ossuari, destinati a specifici monumenti ditradizione locale. Sicché potrebbe considerarsi estraneaa questa classe monumentale la comparazione, propostada piú di uno studioso, con prodotti artistici inseribili inuna tradizione �esterna�, entro la quale la componentefigurativa ellenica è dominante. D�altronde la stessa atti-vità dei ceramisti del distretto chiusino sembra limitatafino alla metà del vi secolo alle ceramiche di impasto e arare esperienze nei buccheri, talvolta decorati da figura-zioni impresse con l�ausilio di un cilindretto, che spessorisultano tecnicamente imperfetti. Solo dopo il 550 a. C.,infatti, si viene a creare una vera e propria industria nelsettore dei buccheri pesanti � nessuno dei quali rinve-nuto associato con i canopi �, che occupa massicciamen-te il mercato interno, ma si estende ampiamente lungo ilpercorso commerciale del Tevere-Chiana13.

Fra le esperienze piú singolari di questa plasticavanno annoverate le poche urne cinerarie nelle quali ilsignificato rituale assolto dai canopi si arricchisce di ele-menti derivati dal culto. Si tratta di tre esemplari, duenel Museo di Chiusi, il terzo a Philadelphia14 che pre-sentano un contenitore troncoconico, esemplato sulcorpo di una situla e un coperchio elaboratissimo, inmezzo al quale è una figura umana stante, circondata daun brulicare di piccoli personaggi. I gesti che caratte-rizzano queste figure, stilisticamente avvicinabili aicanopi della seconda metà del vii secolo, sono quasitutti da collegare alla lamentazione funebre. La mano

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stretta al petto con il pollice alzato � che ritorna nellestatue della Pietrera, nella rappresentazione del chorósfemminile sulla pisside della Pania e nelle stesse scultu-re funerarie di Chiusi, � o il rigido movimento del brac-cio piegato in alto potrebbero infatti accennare a ungesto di disperazione. Né sembra diverso l�atteggia-mento delle piccole figure plastiche disposte attorno alcoperchio dell�ossuario. L�intento �narrativo� che sot-tintende quest�esperienza figurativa è lo stesso cheriscontriamo nell�ossuario di Bisenzio, piú antico, gene-rato da uno stesso ambiente �folcloristico� � termine alquale non si deve dare una connotazione negativa, mache certamente sembra piú appropriato di �primitivo�,usato da Bianchi Bandinelli recentemente. La vitalitàfigurativa dei precedenti è qui quasi sclerotizzata dall�i-terazione dei personaggi, come accade anche in un lebe-te, forse contemporaneo, proveniente da un altro cen-tro �rurale�, Pitigliano, che presenta sull�orlo figurineplastiche di piangenti. L�interesse di questi ossuari siconcentra soprattutto nel loro contenuto figurativo:attorno alle immagini dei defunti, che prevalgono per laloro altezza, identificandosi nella �guida�, si svolge unintero chorós cui partecipa una piccola comunità diuomini e donne che per i loro gesti ripetuti sembranoobbedire a un cerimoniale preciso al quale, in una società�arcaica�, partecipano i soli parenti, che circondano ildefunto, reintegrato fisicamente nella rappresentazionedel rito15. Rispetto ai culti funerari dell�Etruria costieral�area di Chiusi, proprio attraverso i canopi, conservaun�ideologia protostorica secondo la quale il defunto sidistingue attraverso la propria individualità e vienedeposto in una tomba singola. Le sepolture individuali,caratteristiche a Chiusi anche dopo la metà del vi seco-lo a. C., sembrano però cessare con la diffusione delletombe a camera, piuttosto rare nell�orientalizzante ecomunque pertinenti al ceto per ricchezza eminente che

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sembra aver recepito precocemente quest�ideologia dalterritorio marittimo. Il processo di deculturazione, chenei centri dell�Etruria costiera data oltre un secoloprima, comporterà allora, anche nel distretto chiusino,l�acquisizione non del tutto generalizzata del rito dell�i-numazione: episodi, questi, che coincideranno con laformazione di un centro politicamente e socialmenteorganizzato nella stessa Chiusi. Non a caso, infatti, i vil-laggi di Dolciano, Sarteano e Cetona sembrano abban-donati proprio dopo l�età delle tombe a ziro � con osenza ossuario antropomorfo �, mentre le necropoliattorno a Chiusi-città mostreranno un�evidente con-centrazione demografica a partire dalla seconda metà delvi secolo a. C.

La fine di quest�esperienza culturale e figurativa vapertanto spiegata nell�ambito di un fenomeno storico diassai piú vasta portata, determinato da un mutamentodelle forme di produzione: lo spopolamento dei villaggiautosufficienti, che si basavano su un�economia agrico-la, è conseguente al potenziamento di Chiusi, divenutaun centro urbano inserito nei traffici della valle delTevere.

Un fenomeno figurativamente analogo a quello cheabbiamo fin qui illustrato è offerto da un monumentofunerario piuttosto famoso, l�ossuario scoperto a Mon-tescudaio, nel distretto volterrano. Inserito assai recen-temente in una produzione ceramistica tipica di questoterritorio, che si caratterizza per l�aggiunta di elementiplastici alla superficie del vaso, realizzati con cordoniche si dispongono in orditi di carattere geometrico, ilmonumento riprende la forma biconica dei cinerari del-l�età del ferro documentati anche a Volterra16. L�ag-giunta della decorazione plastica fornisce al ceramista lapossibilità di esprimere in questo monumento il suo piúalto impegno figurativo. Sul coperchio egli realizza atutto tondo una scena di banchetto: un uomo è seduto

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su un seggio con spalliera, davanti a un tavolo rotondocon zampe bifide, sul quale sono disposte focacce roton-de impilate e altri pani a forma di fagiolo; vicino altavolo sono un grande cratere per contenere il vino e unadonna, ritta su uno sgabello, vestita di chitone, con unalunga treccia dietro le spalle, forse con un flabello inmano. Focacce di cereali e vino dimostrano forse che ilbanchetto ha un carattere rituale, dal momento che sonoescluse le carni, che pure sappiamo far parte dell�ali-mentazione. La rappresentazione è sommaria, rudimen-tale; i connotati riflettono abbastanza chiaramente lostile della bronzistica vetuloniese orientalizzante, masembrano al di fuori di quella disciplina formale, di�bottega�, che pure si riconosce nella produzione di bron-zetti a tutto tondo. Ancora una volta il ceramista tendea esprimere nell�ossuario funerario un contenuto ritua-le, finalizzato, come nei canopi, all�eroizzazione deldefunto che viene effigiato su un seggio, in una rappre-sentazione simbolica comunque attinente alla sua posi-zione di prestigio.

2. La plastica votiva in bronzo.

Il grande collezionismo archeologico ha avuto anchea livello locale, fin dal xviii secolo, una notevole influen-za: la connotazione negativa che talvolta assumeva il ter-mine �anticaglie�, riferito alla produzione �minore�, nondiminuiva certamente l�interesse di amatori o piccolicollezionisti che spesso venivano gabbati da abili falsi-ficatori. Fra le �anticaglie� rientravano anche gli �idoli�� le piccole figure umane in bronzo � che formavanograndi o medi nuclei negli importanti istituti culturalipubblici � come il Cabinet des Médailles a Parigi o ilMuseo Profano della Biblioteca Vaticana � o piccolecollezioni nelle piú modeste biblioteche o raccolte muni-

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cipali. Di fronte a siffatti monumenti, che nei diversipassaggi da un amatore ad un altro, dal rinvenitore allacollezione � pubblica o privata che fosse � hanno spes-so perduto quei dati di provenienza o di rinvenimentoche oggi sarebbe estremamente prezioso conoscere, l�at-teggiamento non oltrepassava la mera curiosità erudita.È sufficiente sfogliare le centinaia di illustrazioni che nel1737 Anton Francesco Gori dedica a questi monumen-ti nel primo volume del suo Museum Etruscum per ren-dersene conto: si tenta di identificare le immagini convarie divinità del pantheon italico e, nelle didascalieche accompagnano le illustrazioni, le collezioni di appar-tenenza risultano le piú diverse, dal Museo Mediceoalle raccolte delle �Accademie� toscane e delle famigliepatrizie fiorentine e perugine.

In un quadro come questo, nel quale il materiale è ingran parte disperso, può accadere che il rinvenimento diun piccolo deposito di alcune statuette in bronzo � trefigure umane e due di bovidi � avvenuto in un centrodella Bretagna, Thorigné-en-Charnie17, divenga illumi-nante per comprendere tutta una serie di oggetti analo-ghi, conservati in buon numero nei musei di Volterra edi Arezzo o nelle collezioni medicee poi passate alMuseo Archeologico di Firenze.

Anche se la loro distribuzione museografica divieneindiziaria per comprendere l�area di diffusione e di fab-bricazione, ci si deve rivolgere spesso agli archivi pertrovare qualche notizia. Cosí, in una lettera ad AntonFrancesco Gori, il volterrano G. Guarnacci scriveva nel1742: «Gli do nuova che in congiuntura di aver fattocerte fosse in un nostro luogo detto Colloreto, ho avutola fortuna di trovare sotto un ulivo piú di due braccia(in profondità), dove vi era una macia di sassi, numerododici begli idoli, e tra di questi vi sono quattro bellevacchine e gli altri otto sono uomini in varie figure dialtezza circa sei dita l�uno... Molti anni addietro ve ne

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sono trovati altri e questi dai contadini trafugati e ven-duti a diverse persone»18. Non è improbabile che unlungo lavoro d�archivio possa fornirci ulteriori notizie suquesti rinvenimenti o sulle provenienze � come è avve-nuto per un nucleo di bronzetti volterrani oggi al Museodi Lione19 � ma possiamo fin d�ora anticipare che la fun-zione di questi depositi, di entità differente, può forseessere già chiarita.

Dalla metà del vi secolo a. C. in poi, questi depositihanno chiaramente un carattere votivo, associati comesono a santuari o a culti salutari, ma spesso, assieme alleimmagini in bronzo fuse, si segnalano utensili o armi lacui offerta era condizionata al valore intrinseco che siattribuiva al metallo20. Il dedicante, cioè, nel compiereil suo atto, si privava di un bene personale, il quale,attraverso l�occultamento, veniva escluso dalla circola-zione. Fenomeni di questo genere non sono ignoti in etàprotostorica, quando rileviamo l�esistenza in tutta Ita-lia di �ripostigli� di oggetti metallici, la cui funzione �comunque la si interpreti21 � era sempre quella legata allatesaurizzazione. Una volta che i bronzi figurati si sosti-tuiscono parzialmente a oggetti metallici legati a usiquotidiani o cerimoniali, l�oggetto assume, oltre al valo-re economico, anche un significato simbolico ricavabiledall�immagine stessa.

I tipi figurati attestati in questi depositi sono fon-damentalmente tre: figura maschile, figura femminile �con attributi differenti � e figure di animali. Gli esem-plari scoperti a Thorigné-en-Charnie sono associabili aserie ben documentate in Etruria, di cui è possibiledistinguere tipi fissi. I bronzetti maschili sono in gene-re figure di guerrieri coperti dal solo perizoma, rileva-to in corrispondenza del sesso, chiuso forse in un astuc-cio penico, il braccio sinistro poggiato su un fianco,quello destro proteso in avanti, e talvolta con una lan-cia nella mano corrispondente. I bronzetti femminili ci

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restituiscono l�immagine di donne velate, vestite di unlungo chitone fino ai piedi: dalla veste fuoriescono gliavambracci e le mani assumono posizioni differenti. Lefigure di animali, infine, rappresentano quasi semprebovini22.

Questa tematica fissa, entro la quale è possibiledistinguere varianti, soprattutto nei gesti o negli attri-buti delle figure, subisce una evoluzione stilistica abba-stanza significativa. La sequenza inizia infatti con figu-re che presentano un trattamento estremamente som-mario: viene accentuata la dolicocefalia, gli occhi sonograndi e globosi, la bocca larga, i corpi appiattiti e quasiprivi di notazione anatomica. La visione è quella geo-metrizzante che si nota anche nell�ossuario di Monte-scudaio, databile nel terzo quarto del vii secolo a. C.Solo verso la fine del secolo è possibile distinguere unanuova serie stilistica, definita impropriamente dei �gla-diatori�, costituita da una quarantina di bronzetti a figu-ra virile, con un perizoma a forma di shorts, espressio-ne di una tendenza che risente piú da vicino dell�in-fluenza orientalizzante: i corpi acquistano infatti unaloro consistenza, la pettinatura e lo stesso perizoma sonoelementi iconografici noti nelle figurazioni orientali.Sembra interessante sottolineare che uno di questi bron-zetti proviene dall�area dell�acropoli di Volterra, là dove,in prosieguo di tempo, si stanzierà il santuario piúimportante della città23.

La durata di queste due serie è per ora imprecisabi-le: mentre la seconda sembrerebbe circoscritta neltempo, la prima dura forse piú di un secolo dal momen-to che subisce, nell�ultima fase della produzione, l�in-fluenza dello stile ellenico. La stessa distribuzione degliesemplari va infatti messa in relazione con la loro dura-ta: la prima serie, piú numerosa, ha una diffusione ecce-zionale in tutta Europa, che indica probabilmente iti-nerari e vie commerciali lungo i corsi fluviali24; la secon-

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da, al contrario, sembra circoscritta all�Etruria setten-trionale25.

L�occorrenza dei tre tipi distinti può invece avere unqualche interesse: guerriero, offerente femminile e bovi-de esprimono simbolicamente l�immagine di una societànella quale attività bellica e attività agricola sono lecomponenti fondamentali. La coppia non dovrebbe rap-presentare singole divinità, come pure si è ritenuto, mai �poli� di opposizione del nucleo sociale di base � lafamiglia � che vengono sublimati nell�immagine votiva.

Agli inizi del v secolo a. C., quando i depositi voti-vi si concentrano nei santuari urbani26, l�immagine delguerriero armato alla greca coesiste con quella di figuregiovanili in nudità eroica, che, pur discendendo diret-tamente dai piú antichi �gladiatori�, rispecchiano for-malmente l�ideale di bellezza e di forza agonistica greco.I bronzetti di offerenti femminili con la melagrana, sonoora accuratamente abbigliati secondo la moda ionica. Lasocietà urbana, portatrice di ideologie diverse, ha arric-chito in un certo senso la varietà dei tipi, assumendomodelli provenienti da un diverso contesto etnografico.La recezione di modelli derivati dal koûros e dalla kóreellenici � nei quali, nel contesto d�origine, si rispec-chiava sul piano contenutistico una possibile soluzionedelle antiche iniziazioni27 e, sul piano formale, un astrat-to ideale di bellezza � indica infatti un mutamento nellamentalità degli offerenti. Questa trasformazione è benavvertibile anche nel cambiamento dell�espressione for-male. Fino alla �scoperta� della testa Lorenzini di Volterra� un frammento di statua marmorea di dimensioni piúgrandi del normale attribuito proprio per questo aun�immagine di culto � la plastica bronzea tardoarcaicarinvenuta in Etruria settentrionale era per solito attri-buita a Vulci, centro nel quale, come si è visto, dovevafiorire un�industria artistica di notevole livello28. Que-st�opera, dai caratteri nettamente tardoarcaici, che rive-

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lano ascendenze nordioniche vitali nell�ambiente mas-saliota, è una tipica �testa di serie� stilistica dalla qualedipende un cospicuo numero di bronzetti a figuraumana, nudi o vestiti, rinvenuti a Populonia, a Pizzidi-monte presso Prato, a Castellina in Chianti, nella stipedel Falterona e in Emilia, databili nel primo ventenniodel v secolo a. C. Nell�Etruria settentrionale dunque,questa tradizione di stile rinnova la plastica votiva inbronzo divulgando modelli �esterni� che si trasmettonocon notevole rapidità.

Nel corso di centocinquant�anni circa si assiste per-tanto a una riduzione dell�area di diffusione di questioggetti: nel periodo piú antico, gli artigiani-mercantiche si riforniscono di materie prime nel territorio vol-terrano, ricco di miniere, mostrano una mobilità note-vole, ma in prosieguo di tempo, dalla seconda metà delvi secolo a. C., la loro area di operatività sembra restrin-gersi alle città dell�Etruria settentrionale e al territorio�colonizzato� dell�Emilia. I bronzetti a figura umanaesauriscono ora la propria funzionalità nell�ambito deisantuari urbani o rurali, mentre i segni di un�attivitàcommerciale con l�Europa provengono ormai dai ricchioggetti bronzei di uso domestico che si accumulano,come si è visto, nelle tombe dei �principi-guerrieri� celti.

3. La �residenza� di Poggio Civitate: la cultura figurati-va di un dinasta dell�area interna.

Gli scavi che da piú di un decennio sta conducendoil Bryn Mawr College nelle zone di Poggio Civitate ePiano del Tesoro presso Murlo, a sud di Siena, hannoportato alla scoperta di un insediamento situato su unpianoro posto sulla sommità di una collina che dominatutto il paesaggio circostante, verso la valle dell�Arbia eche è collegata al sistema fluviale del Merse-Ombrone

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attraverso piccoli torrenti. L�insediamento consiste inun complesso monumentale di forma quadrangolareesteso 3600 m2, al centro del quale è un�ampia corte cir-condata da una serie di ambienti, porticati per tre lati,mentre quello restante è preceduto da un piccolo edifi-cio rettangolare, leggermente spostato rispetto all�assemediano del recinto30.

Le ricerche effettuate piú di recente, interessate ascoprire le strutture sottostanti la corte porticata, hannoavuto la funzione di chiarire il quadro culturale delprimo insediamento e di precisare la cronologia dei restivisibili. Poco si conosce ancora dell�edificio inferiore, lacui planimetria, a quanto sembra, non doveva diversifi-carsi molto da quella piú recente. Il materiale pertinen-te al livello piú antico che è finora accessibile da pub-blicazioni a carattere preliminare, si dispone fra l�ulti-mo quarto del vii e il primo quarto del vi secolo a. C.La ceramica greca di importazione che fornisce questitermini cronologici è costituita da coppe ioniche e da unvaso mesocorinzio, ma assai piú cospicua e la messe diceramica di impasto, di piccoli oggetti in avorio e osso31,che riconducono ad aree di fabbricazione proprie del-l�Etruria costiera o a officine locali.

Da questi dati emerge abbastanza chiaramente che lafrequentazione della Collina del Tesoro inizia dopo lametà del vii secolo a. C. e che un primo addensamentodemografico nel sito si può porre attorno alla fine dellostesso secolo. Le terrecotte architettoniche pertinentiall�edificio inferiore, delle quali si conoscono per ora soloalcuni acroteri figurati, trovano il loro confronto piúimmediato nelle già ricordate decorazioni di Acquarossa.

Lo standard culturale di questa prima fase appare didiscreto livello, come poteva d�altronde desumersi dairinvenimenti sporadici effettuati precedentemente nellanecropoli: gli oggetti debbono in prevalenza essere giun-ti dai centri costieri, ai quali andrà attribuito anche un

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ruolo di redistribuzione dei prodotti greci, e dall�area diVulci. Un posto a parte è occupato invece dai beni dilusso � avori e oreficerie � la cui diffusione si orientapiuttosto verso l�area interna dell�Etruria, gravitantesul corso del Chiana e dell�Arno. Si tratta infatti dioggetti che possiamo riscontrare anche nelle tombemonumentali situate lungo le vie commerciali piú fre-quentate dell�Etruria settentrionale interna, nelle qualiè ben distinguibile l�alto potenziale economico dei sepol-ti. Al pari di queste tombe (Camucia e il Sodo pressoCortona, Quinto Fiorentino presso l�Arno), che sem-brano come isolate manifestazioni di un�insospettataricchezza in un territorio nel quale manca, in quest�età,quella concentrazione demografica che conosciamo neicentri della costa, anche l�insediamento di Murlo appa-re un fatto isolato. Ove si eccettuino i segni per ora spo-radici di un�identica situazione a Castelluccio di Pien-za, valico fra la regione chiusina e il Grossetano, o aCastelnuovo Berardenga, dove sono stati notati sor-prendenti agganci culturali con la piú antica fase diMurlo32, a tutto il territorio, per ora avaro di trova-menti, può attribuirsi una tipologia di insediamenti spar-si, nei quali poteva svolgersi una vita autonoma rispet-to ai maggiori centri marittimi.

La grande corte porticata di Murlo viene costruitasuccessivamente, sopra i resti piú antichi, secondo unpiano preordinato: il riferimento ai fori repubblicani,che pure è stato fatto, è fuor di luogo. La corte quadratae porticata non soddisfa affatto quanto è postulato daVitruvio circa i fora italici e, d�altro canto, i fori piú anti-chi che conosciamo (quelli di Cosa e di Pompei) riflet-tono esperienze assai stratificate nel tempo che non pos-sono servire da confronto immediato. Per giungere aun�identificazione circa la natura di questo complesso,nel quale si è voluto vedere un santuario, ci sembranecessario tener conto anzitutto del contesto

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storico-ambientale in cui si inserisce l�edificio. Nell�E-truria settentrionale interna testimonianze monumentaliattribuibili a santuari datano solo agli inizi del v secoloa. C.33. La funzionalità di un edificio di culto nell�Italiaarcaica sembra infatti correlata all�esistenza di un cen-tro urbano, nel quale l�esigenza devozionale trova unasua espressione monumentale definita. Gli esempi diSatrico, di Caere o dello stesso santuario di Portonac-cio a Veii, già ricordati, risultano a questo propositosignificativi34. Nell�Etruria settentrionale interna, dovei culti sembrano essenzialmente legati a una società ditipo agricolo, e dove gli stessi santuari dovevano averecarattere prevalentemente posticcio, non si conoscono,almeno per ora, tracce di edifici di culto arcaici anchein quei siti dove sorgeranno veri e propri santuari.

I centri minori dell�Etruria interna forniti di un asset-to urbano, come quello scoperto ad Acquarossa pressoViterbo, dimostrano come la costruzione piú prestigio-sa � planimetricamente affine a quella di Poggio Civi-tate anche se di dimensioni piú ridotte � avesse proba-bilmente la funzione di residenza �principesca�35.

Sia l�edificio di Acquarossa che la �residenza� di Pog-gio Civitate non ricordano però alcun tipo di costruzio-ne finora attestato in Italia. Il cortile porticato assumenell�economia di questi edifici il ruolo piú significativo:non è fuor di luogo, a questo proposito, il richiamo aipalazzi di Larisa sull�Hermos, in Asia Minore, o diVouni, a Cipro, nei quali la corte rappresenta il centroper costruzioni nelle quali si svolgeva la vita aristocra-tica del dinasta. La natura del confronto non va postain questo caso da un punto di vista genetico, ma tenen-do presenti le esigenze di funzionalità che una costru-zione del genere poteva richiedere: non a caso ci dob-biamo rivolgere ai siti periferici del mondo ellenico qualila Grecia orientale o Cipro, aree nelle quali è piú vivala componente ideologica dei grandi �palazzi� orientali,

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per trovare adeguati paralleli, dal momento che l�edifi-cazione di simili monumenti nella Grecia propria, doveci si avviava gradatamente alla vita democratica, nonpoteva soddisfare alcun tipo di esigenza funzionale36.

Prima di affrontare alcuni problemi figurativi relati-vi alla decorazione coroplastica sembra perciò utile fer-marsi su alcune indicazioni fornite dai rinvenimentiminori. L�attività ceramistica locale è attestata dallanotevole produzione di vasi di uso domestico quali ollee fornelli, che si collegano da un punto di vista morfo-logico a quella produzione, attestata in molti centri abi-tati, che trova stretti rapporti anche con il buccherochiusino. La cultura figurativa che ispira in modo uni-tario sia gli arredi minori sia la decorazione architetto-nica induce ad affrontare il problema dell�attribuzionedi tutta questa attività artistica a un�organizzazione divasai e coroplasti operanti nel sito di Poggio Civitate.A questa soluzione porta anche un elemento concreto:l�argilla impiegata, quasi sempre di colore rosso-arancio,ricca di inclusi, materiale che è servito sia per la crea-zione delle terrecotte architettoniche, sia per il vasella-me domestico, dal piú umile al piú prestigioso.

La traccia fondamentale sull�attività dei coroplasti èstata fornita da Bianchi Bandinelli37: esistono a Murlouna produzione a stampo, che comprende lastre deco-rative, sime rampanti, sime laterali e antefisse, eseguitemeccanicamente, e un�altra a tutto tondo, dalla qualeprovengono i grandi acroteri. Il divario qualitativo chesi rileva fra queste due produzioni è dovuto probabil-mente al fatto che le matrici sono state importate ocomunque create da maestranze qualificate, mentre gliacroteri sono stati eseguiti senza l�ausilio di modellipreesistenti.

Fra gli acroteri, le statue sedute sono un esempiosignificativo di quanto si vuole dimostrare. Bianchi Ban-

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dinelli ha già indicato che, a monte di queste esperien-ze, c�è una tradizione di artigianato locale, priva dimodelli di riferimento. A noi sembra che alcune inge-nuità espressive nelle statue di Murlo siano proprio daattribuire all�inesperienza di maestranze abituate a lavo-rare nelle botteghe dei vasai, in un ambiente, cioè, dovevenivano prodotti come manifestazioni di maggior rilie-vo figurativo i cinerari antropomorfi: necessariamente,allora, l�esito doveva essere �rustico�, in specie nei volti,che risultano «come il corpo di un vaso di argilla d�im-pasto»38. Che l�ambiente fosse quello dei vasai locali loconferma un frammento di rhyton in bucchero con testaumana, che risulta un confronto assai suggestivo. Siripete praticamente un fatto che è riscontrabile nellastessa ceramica chiusina prodotta in serie, nella quale gliartigiani sono estremamente abili nel ricoprire le super-fici di decorazioni utilizzando mezzi meccanici comestampiglie o cilindretti, ma rimangono del tutto disin-teressati di fronte alla realizzazione della figura umana.

Nelle decorazioni eseguite con un procedimento mec-canico il tono è invece decisamente diverso. Si conside-rino ad esempio le lastre, nelle quali lo stile appare uni-tario: silhouettes con poca evidenza plastica, che la poli-cromia rendeva simili a lunghe fasce colorate, con uneffetto comparabile a quello delle ceramiche figurate.L�interesse meramente iconografico che ha mosso fino-ra gli studi su queste lastre, trattate per di piú ognunaseparatamente, al di fuori del carattere unitario che vainvece loro attribuito39, ha rilevato componenti figura-tive di origine diversa. Annotata da un punto di vistastilistico un�ispirazione genericamente corinzia, visibilesoprattutto nelle lastre con il banchetto e con la corsadei cavalli, i termini di riferimento per il contenutodelle scene vanno ricercati non tanto nei modelli di ori-gine �esterna�, quanto piuttosto in quel repertorio deco-rativo locale nel quale si è venuto a costituire un lin-

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guaggio autoctono, con propri contenuti e propri mezziespressivi. Le lastre raffigurano banchetti, giochi e para-te, una tematica che, inserita nel repertorio decorativodell�arte �minore� del distretto chiusino, trova numero-se rispondenze: beni di lusso come le pissidi d�avorioscoperte nella necropoli della Pania40 o oggetti d�usocome il vasellame in bucchero decorato con l�ausilio dicilindretti, brulicante di figure minute, intente a giochi,banchetti o cerimonie, costituiscono il mondo figurati-vo nel quale possono essere collocate le lastre di Murlo.Nella decorazione di Poggio Civitate questo repertoriosi emancipa dal contesto figurativo degli arredi dome-stici e si presenta invece come documento di prim�ordi-ne per esprimere i contenuti ideologici della classe domi-nante. Non ci sembra fuor di luogo il confronto con leterrecotte architettoniche del �palazzo� di Larisa, dovele lastre, non di esclusiva pertinenza templare, rappre-sentano il banchetto, la caccia o le parate, i simboli, inaltri termini, della ricchezza, della nobiltà e della poten-za del dinasta.

Si tratta, in definitiva, di una simbologia piuttostotrasparente che troviamo riflessa anche nel repertorioiconografico che conosciamo nell�arte delle situle del-l�area padana, i cui committenti sembrano egualmentepreoccupati di esprimere il loro mondo attraverso ludi,epulae e pompae. E, in ultima analisi, se valutiamo l�in-tento estremamente narrativo, realistico, teso alla descri-zione del particolare, che muove quei toreuti � la cui cul-tura figurativa può essere messa in relazione propriocon l�area chiusina �, non possiamo non confrontarlocon la cura analitica e minuziosa con la quale i coropla-sti di Poggio Civitate hanno realizzato ogni dettaglio,ogni arredo, ogni insegna41 che servisse a riflettere lo sta-tus sociale dei personaggi rappresentati.

Il punto di vista che qui si esprime contrasta sensi-bilmente con l�interpretazione data dagli studiosi ame-

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ricani sui soggetti di queste lastre, alcune delle qualihanno condizionato la stessa identificazione del com-plesso come �santuario�.

La serie delle lastre con personaggi seduti è statainfatti interpretata come rappresentazione della triadecapitolina e della triade aventina, ipotesi che trova fortiostacoli anche da un punto di vista storico-religioso:bisognerebbe infatti ipotizzare che prima del 550 a. C.fosse penetrato a Poggio Civitate un culto �plebeo� comequello a Cerere, Libero e Libera, che a Roma ha un rico-noscimento ufficiale solo agli inizi del v secolo a. C. Laspiegazione piú semplice e plausibile è invece quella chevede la rappresentazione di un signore-guerriero segui-to dalla moglie e dal resto della famiglia. I personaggi dirango inferiore si segnalano, univocamente, per la loroposizione stante e per alcuni dettagli iconografici, comele pettinature, che non raggiungono l�importanza della�parrucca a piani� attribuita ai personaggi seduti. Lastessa coppia coniugale, che precede gli altri personaggiseduti, compare nella serie delle lastre con scena di pro-cessione, seduta su un carro, preceduta e seguita da ser-vitori che recano arredi e oggetti che si confanno alfasto provinciale, oggetti che ritroviamo concretamen-te nel corredo della tomba dei Flabelli di Populonia, per-tinente a un nucleo familiare di rango �principesco�42.

Risolta in chiave �laica� l�interpretazione di questescene, fra le quali corre un certo tipo di relazione (gio-chi e banchetti, corteo e �apparizione� del signore conla sua famiglia), ci sembra probabile anche l�ipotesi sulcarattere �residenziale� del complesso formulata prece-dentemente.

L�edificio provvisto di una ricca decorazione archi-tettonica risulta una sorta di insediamento-castello nelquale si doveva svolgere una vita autosufficiente e nelquale l�attività artistica ha lasciato un segno rilevante;

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al contempo le tracce della vita domestica ci vengonorestituite da un notevole numero di resti materiali (cera-mica d�uso, oggetti d�abbigliamento, ornamenti di mobi-li), mentre i segni di culto, sia per quanto concerne ledediche iscritte, sia i doni votivi sembrano per ora piut-tosto vaghi. La possibilità che in questo luogo si svol-gesse una qualche forma di culto non è comunque daescludere, ma essa era certo connessa, e strettamente,alla classe dominante, entro la quale la figura piú altadella struttura gerarchica doveva riunire in sé il poterepolitico e quello religioso: l�attributo del lituo, assiemea quello delle armi, che viene riferito al primo perso-naggio seduto nella serie delle lastre può in qualchemodo indicarlo. Anche le statue sedute, che decorava-no la sommità del tetto, per la loro stessa posizione, siinseriscono nell�ambito di rappresentazioni che nel con-testo locale assumono un significato legato all�ambitodella venerazione o della regalità, come avviene neglistessi canopi, depositati su ricchi seggi, o nelle statuefunerarie della seconda metà del secolo. È dunque iltono celebrativo che sembra prevalere su tutta la deco-razione.

I dati dello scavo permettono di verificare un abban-dono del sito e una sua �distruzione� attorno al 525 a.C. Il fenomeno non è isolato, ma presenta analogie sin-croniche soprattutto in altre zone dell�Etruria meridio-nale interna, ad esempio in quei centri che i Romanicomprenderanno poi nella praefectura di Statonia. Lafioritura di insediamenti situati nell�alta valle del Fioraè stata messa in relazione con il fondamentale ruolo cheessi dovevano svolgere nell�itinerario Vulci-Chiusi, mala cultura materiale dimostra che l�intero distretto eraanche il tramite obbligato degli scambi commerciali frala valle del Tevere e le città della costa settentrionaledell�Etruria43. L�accentramento demografico in questisiti, rilevabile soprattutto dall�estensione delle necropoli

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nel corso del vii e vi secolo a. C. e dalle stesse costru-zioni con terrecotte architettoniche che corrispondononelle dimensioni a quelle di Murlo, non esclude ovvia-mente che anche le attività agricole assumessero una loroimportanza, in particolar luogo in queste aree collinari.La situazione di Poggio Civitate non ci sembra diversa:la fioritura di questi centri va connessa infatti all�inte-resse che nella seconda metà del vii secolo a. C. assumeil percorso naturale della valle dell�Ombrone, fiumenavigabile nell�antichità, come arteria di comunicazio-ne fra i centri marittimi (Vetulonia e Roselle) e i centriinterni (Castelluccio di Pienza e Chiusi)44. Appare deltutto improbabile che il luogo fosse stato scelto per col-locarvi un santuario isolato e che tutta la costruzioneassumesse questo significato, al punto che la corte e gliambienti che la circondavano fossero adibiti a luogo diculto: ci si potrebbe chiedere, allora, quale ruolo dove-va svolgere la necropoli, non molto distante dalla �resi-denza�, che ha restituito e continua a restituire tombeil cui standard non può essere imputato a gente di pas-saggio45.

Secondo gli scavatori un indizio della funzione sacradel luogo potrebbe ricavarsi dal modo in cui fu distrut-to e recintato l�insediamento o furono formati interiscarichi di terrecotte architettoniche. Constatato chel�abbandono del sito fu deliberato, possiamo costruiretutte le ipotesi che vogliamo se non inseriamo questoevento nel quadro storico e archeologico contempora-neo. Nell�area meridionale interna, dopo l�abbandonopiú o meno forzato dei centri verso la fine del vi seco-lo a. C., si assiste, nel corso dell�età ellenistica, neglistessi siti o nell�ambito dei medesimi distretti, a un ripo-polamento delle zone disertate come riflesso di nuovetendenze dello stato romano o degli stessi aristocraticietruschi verso piú avanzate forme di produzione agri-cola46. L�evidenza archeologica non fornisce per il terri-

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torio di Murlo un quadro altrettanto esauriente, dalmomento che i rinvenimenti hanno un carattere piutto-sto sporadico. Accettando però, come sembra ormaichiaro, che Murlo è un centro posto fra le città costie-re gravitanti attorno al lago Prile (nell�odierna piana diGrosseto) e il distretto chiusino, possono emergere datidi un certo interesse. Da una parte Roselle, nella secon-da metà del vi secolo a. C., assurge a un ruolo di primopiano anche nei confronti di Vetulonia, come indicanotutti gli indizi per ora rilevabili dalle relazioni prelimi-nari sullo scavo della città, dall�altro tutti i centri chesorgono a sud-ovest di Poggio Civitate, situati sul cri-nale che divide il sistema idrografico dell�Orcia da quel-lo dell�Astrone, soggetti a influenza chiusina, ripetonola situazione rilevata a Poggio Civitate: l�occupazionedelle sedi dislocate in villaggi, forse meno stabile, tendea cessare attorno alla fine del vi secolo a vantaggio del-l�incremento demografico che si registra a Chiusi pro-prio in quest�epoca. La fine di Poggio Civitate, perquanto non violenta, si colloca dunque nel momento sto-rico complesso e tormentato corrispondente alla finedell�età regia a Roma e va collegata alla capacità di attra-zione che esercitano i poli urbani nei confronti dei pic-coli potentati rurali, di cui è prevedibile scoprire altriresti, simili a quelli di Murlo, che esauriscono, attornoalla fine del vi secolo a. C., il ruolo politico ed econo-mico avuto in età precedente47.

4. La scultura funeraria nei distretti del Chiana, del-l�Arno e a Felsina: committenza urbana e committenzarurale.

Il fenomeno di spopolamento dei centri rurali, che siconfigurassero come villaggi o come �residenze� dinasti-che, provoca nel distretto chiusino uno sviluppo del

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centro maggiore entro il quale le attività legate al com-mercio, attraverso i traffici fluviali, trovano un poten-ziamento. Le tombe a camera si generalizzano, occu-pando le colline che circondano il luogo dell�insedia-mento, l�attuale città di Chiusi, la loro disposizioneinterna diviene piú complessa, fungendo l�ambiente cen-trale da vestibolo rispetto alle piú piccole camere rica-vate attorno alle pareti, dove vengono deposti i restiumani48.

In una società urbanizzata, nella quale il ceto aristo-cratico si sostituisce al potere accentrato, anche le ric-chezze spettanti al �capo�, concretate negli arredi fune-bri, tendono ora a distribuirsi piú omogeneamente. E laproduzione artistica rivela molto efficacemente questocarattere, sviluppandosi per l�arte funeraria un tipo dimonumenti prodotti da botteghe stanziate nel centrourbano. Si tratta di un notevole gruppo di segnacolitombali e di urne funerarie, decorati a basso rilievo, ese-guiti in una pietra di tipo travertinoide estratta da caveprossime a Città della Pieve49.

L�esemplare piú antico di questa classe, da porreprima della metà del vi secolo a. C., è al tempo stesso ilpiú monumentale e il piú complesso nelle figurazioni.Presenta infatti tre cilindri sovrapposti che recano sullasuperficie scene differenti, collegate con il rito funebre:una sfilata di opliti, interrotta da un flautista, una danzafemminile, interrotta forse da una scena di compiantofunebre, corse di cavalieri e una scena di lotta. La tema-tica si collega al repertorio iconografico che abbiamo giàvisto nella decorazione della residenza di Murlo, indi-viduando uno stesso contesto di pertinenza sociale, masi carica di un significato funerario che può essere evin-to soprattutto dalla scena di compianto: la celebrazionedel rito impegna infatti compagni d�arme, suonatori, ungruppo di giovinette che danzano, personaggi che cele-brano giochi in onore del defunto. Eventi, questi, che

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solennizzano, come accade nelle società �arcaiche�, unmomento particolare come la cerimonia funebre, nel-l�ambito della quale le prove di forza fisica restituisco-no alla collettività dei partecipanti al rito la sicurezzacirca la propria esistenza.

La successiva semplificazione di questi monumenti,urne e cippi, cilindrici o parallelepipedi che siano, sor-montati da elementi di coronamento a sfera o a �cipol-la�, riduce le scene rappresentate in rilievo a temi diret-tamente connessi con la reintegrazione alla vita dei par-tecipanti � il banchetto, i giochi � mentre un significa-to legato al rango sociale di appartenenza dei commit-tenti rivelano le scene di �assemblea�, con personaggiseduti, che appaiono con i simboli della loro autorità,come nelle lastre decorative di Murlo.

La sistemazione cronologica di questa classe monu-mentale appare ancora lontana da una precisa classifi-cazione, data l�inesistenza di notizie circa i rinveni-menti, avvenuti per la maggior parte nel corso dei tumul-tuosi scavi ottocenteschi50. «Forma e stile sono cosí inti-mamente legati alla materia che vanamente si cerche-rebbe una parentela stilistica in altre classi di monu-menti dovuti sempre all�arte locale di Chiusi, per esem-pio i buccheri a rilievo o nelle scarse pitture di vasi afigure nere. Mentre nei buccheri in aderenza alle possi-bilità della materia si manifestano tendenze alle formedolcemente arrotondate a rilievi morbidi, la pietra tene-ra e granulosa può essere sfruttata con buoni effetti, riu-scendo a trarre effetti gradevoli di forme semplificate,definite nitidamente da intagli e modellate con rilieviappena sensibili»51. Dal momento iniziale, nel quale lecomposizioni esprimono una loro grandiosità, forse trop-po �costruita� mediante l�iterazione degli stessi motivi,ritagliati sullo sfondo, si passa a scene ridotte nelle qualile ascendenze ioniche divengono piú evidenti, e la con-cezione compositiva guadagna in equilibrio. È forse la

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stessa tecnica dell�intaglio che ricorda le esperienze deicofanetti eburnei citati in precedenza, molti dei qualirinvenuti proprio a Chiusi. Ma è poi «la grande fontedell�arte greca intravista quasi solamente attraverso laceramica» attica a figure rosse52 a fornire i modelli stili-stici a questa scuola, con gli inizi del v secolo a. C., nelmomento in cui gli affrescatori di Tarquinia vengonochiamati a dipingere anche le tombe dei maggiorentichiusini.

Non diverso è il disagio nell�illustrare un�altra classedi segnacoli funerari, le cosiddette «pietre fiesolane»,una trentina di monumenti che hanno spesso servito inetà moderna come materiale da costruzione: nella chie-sa di San Tommaso a Firenze, in una casa rurale di Set-tignano, nella torre della villa medicea di Trebbio, allarocca di Montemurlo53. Non si conoscono elementi diassociazione tombale per questi monumenti, le cui areedi rinvenimento possono concentrarsi nelle attuali zonedel Mugello, di Firenze-Fiesole e di Artimino-Pistoia,individuando le aree di popolamento a nord dell�Arno.Rispetto ai segnacoli chiusini le �pietre� presentano unaloro fisionomia peculiare, dal momento che alcune diesse assolvono la funzione di �stele�, come i precedentivolterrani (monumenti nei quali il carattere celebrativoper il defunto è piú evidente). La pietra «serena», mor-bida a tagliarsi come la pietra «fetida» chiusina, vienescelta per realizzare la decorazione a basso rilievo. Nellestele, piú che nei cippi, dove prevalgono raffigurazionidi animali esotici o fantastici in funzione simbolico-apo-tropaica, la rappresentazione di guerrieri o di personag-gi con lituo, isolati, dipende in modo evidente dai monu-menti funerari dell�area volterrana, ma assai frequentisono le immagini che ricorrono anche nel repertoriochiusino, come il banchetto, limitato però a pochi per-sonaggi che raffigurano il nucleo familiare di base, le

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danze e i giochi e, in un sol caso, una scena di commia-to fra armati. Il mondo che viene rappresentato è ridot-to dunque agli elementi essenziali; manca quella coralitàche spesso ricorre nei cippi chiusini, individuandosiforse in questo tipo di evidenze figurative una societàdi tipo �rurale� nella quale le rappresentazioni connesseal �prestigio� del defunto si risolvono nei simboli del suopotere o della sua ricchezza personale. La stessa distri-buzione geografica dei monumenti, non concentratinelle necropoli attorno a un grande centro urbano, masparsi nelle diverse aree di popolamento della mediavalle dell�Arno e del Sieve, favorisce quest�interpreta-zione. Nonostante ciò le �pietre� fiesolane, pur nellavarietà dei tipi, costituiscono un complesso unitario daun punto di vista stilistico, che andrà probabilmenteattribuito a un�unica generazione di maestranze attivenei decenni attorno al 500 a. C. I motivi decorativiaccessori e lo stile delle raffigurazioni rientrano in un lin-guaggio che è ben conosciuto anche nella piccola bron-zistica locale, nel quale appaiono evidenti le ascenden-ze nordioniche: la mediazione delle botteghe di Orvie-to e di Chiusi, sostenuta da piú parti, può essere oraattenuata tenendo presente il ruolo che le influenzefocesi hanno avuto nella formazione della cultura arti-stica dei distretti dell�Etruria settentrionale.

La dinamica del fenomeno che abbiamo cercato diillustrare per Chiusi trova un parallelo successivo inEmilia. La diaspora degli Etruschi del Nord oltreAppennino porta con sé anche una nuova concezionedella struttura urbana organizzata, che viene applicataa siti di nuova formazione, quali Marzabotto e Spina, ead abitati preesistenti, non ignoti alla frequentazioneprecedente, come Bologna. Mentre a Marzabotto eSpina le strutture urbane pianificate ortogonalmentedenunciano la propria origine coloniale, a Felsina l�im-

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patto con la cultura degli Etruschi favorisce il concen-tramento urbano in un�area precedentemente abitataper villaggi54.

Spina assume presto i caratteri di un emporio com-merciale e la compagine etrusca piú intraprendente eser-citerà fino a epoca avanzata una concorrenza diretta neiconfronti dei �pirati� illirici e indigeni catturando prati-camente tutto il commercio ateniese nell�Adriatico edivenendo punto di smistamento di prodotti agricoli edi bestiame, di metalli e d�ambra; Marzabotto rimaneinvece ancorata al suo ruolo di �città carovaniera� nel-l�itinerario che si svolgeva lungo l�Appennino e svilup-perà fondamentalmente attività terziarie. Felsina, alcontrario, sorta di punto di incrocio fra itinerari diver-si, situata agli inizi del percorso del Reno in pianura, col-legata a Spina, si svilupperà in modo piú omogeneo,assumendo i caratteri propri di una pólis dell�Etruriainterna. Nonostante le successive sedimentazioni stori-che, per l�evoluzione della città etrusca è stata propostauna sorta di condensazione rispetto alle diverse areeoccupate dai villaggi dell�età del ferro con uno sposta-mento verso le colline sudoccidentali. Il recente rinve-nimento di un santuario individua tipi di culto che ricor-dano funzionalmente quelli di Arezzo55. Le necropolietrusche, fuori dell�abitato, tutte formate da tombe indi-viduali, secondo un costume che rivela indubbie ascen-denze �rurali�, mostrano uno standard medio abbastan-za alto entro il quale gli oggetti di lusso hanno preciseetichette di provenienza: ceramiche da Atene, bronzi eavori dall�Etruria propria.

L�emergenza di una classe di monumenti elaboratilocalmente, legata al culto funerario, si localizza solodopo la metà del v secolo a. C., quando si diffondonole caratteristiche stele a forma di ferro di cavallo, deco-rate a intaglio e poi dipinte, la cui durata è seguibile perun secolo circa. Si tratta di un fenomeno parallelo a quel-

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lo chiusino sia per quanto concerne la nascita di unacoscienza figurativa legata a una società urbana, sia perquanto riguarda lo stesso repertorio delle immagini.

Il nucleo di origine di queste manifestazioni vacomunque cercato nel ristretto gruppo di stele orienta-lizzanti che appaiono già nella seconda metà del vii seco-lo a. C. come segnali di tombe pertinenti a personaggieminenti non solo nell�area bolognese, ma anche nelterritorio circostante56. Mentre il repertorio decorativosi collega alle immagini simboliche della cultura orien-talizzante della valle dell�Arno, il tipo monumentalerivela indubbie congruenze con manifestazioni analoghenote fra gli Italici dell�area adriatica. Ma già da questoperiodo si evidenzia come fatto fondamentale un filo chelega, innegabilmente, le manifestazioni artistiche diBologna alla cultura dell�area interna dell�Etruria set-tentrionale57. Nelle stele della Bologna etrusca, Felsina,i riscontri divengono ancora piú puntuali: il monumen-to, raramente provvisto di iscrizione, segnala la presen-za della tomba e distribuisce su piú registri, con nettaprevalenza di quello centrale, una tematica affine a quel-la dei cippi chiusini. Ai fini della comprensione dellamentalità della committenza i dati piú significativi emer-gono proprio nel repertorio iconografico: questo generedi manifestazioni inizia a Felsina quando sta cadendo indisuso a Chiusi e quando, soprattutto, la tematica si staorientando verso trasparenti allusioni al mondo funera-rio58. Numericamente poco consistenti sono a Felsina lerappresentazioni relative a banchetti, giochi, danze ecorse di cavalli, che potrebbero derivare dalla tematicachiusina, cosí come quelle di guerrieri isolati, che, aloro volta, potrebbero derivare dalla tematica �fiesola-na�. Massiccia, invece, è la rappresentazione di viaggi acavallo o su carro condotto da cavalli alati, di congedofra personaggi, che iniziano già nella seconda metà delv secolo a. C.59. La successiva presenza di personaggi

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alati negli stessi soggetti chiarisce quanto in preceden-za rimaneva allusivo: la lotta del guerriero contro figu-re mostruose potrebbe indicare una continuazione del-l�attività in vita del defunto anche nell�aldilà, in unmondo che si profila dunque come un ambiente popo-lato da mostri favolosi, alcuni dei quali assumono anchevesti sileniche60.

A ben riguardare il repertorio dei cippi chiusini, iltema del viaggio in carro condotto da cavalli alati è atte-stato solo su un monumento della metà del v secolo a.C., ma, nella seconda metà del secolo, le grandi sta-tue-cinerario accolgono sui coperchi demoni femminilialati in compagnia del defunto61. È proprio la massicciadocumentazione felsinea ad attestare l�esistenza, nellaseconda metà del v secolo a. C., di una precisa coscien-za demonologica nella mentalità etrusca, che può emer-gere in quest�area forse per il maggior contatto, in que-st�epoca, con la visione escatologica della cultura greca,tramite Spina. La trasformazione del repertorio docu-menta che al concetto del monumento funerario intesocome fatto connesso al prestigio del defunto si sostitui-sce l�esigenza di esprimere credenze nuove, che sem-brano diffondersi proprio nell�area interna dell�Etru-ria62 e, di qui, verso la costa tirrenica.

1 «Bullettino dell�Instituto di Corrispondenza Archeologica», 1882,pp. 230 sg.

2 «Notizie degli Scavi», 1892, p. 308.3 «Bullettino dell�Instituto di Corrispondenza Archeologica», 1879,

pp. 233 sg. 4 «Monumenti Antichi dei Lincei», x (1899), c. 150.5 e. fiumi, La facies arcaica del territorio volterrano, in «Studi Etru-

schi», xxix (1961), pp. 253 sgg.6 g. caputo, Cultura orientalizzante nella vallata dell�Arno, in Aspet-

ti e problemi dell�Etruria interna, Firenze 1974, pp. 19 sgg., ma si veda-no anche gli interventi successivi (pp. 55 sgg. e 147 sgg.).

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7 m. cristofani, Volterra, scavi 1969-1971, in «Notizie degli Scavi»,supplemento 1973 (1976), pp. 242 sgg.

8 Il libro piú recente su questi monumenti è r. gempeler, Die etru-skischen Kanopen, Einsiedeln 1974, sul quale si veda però la mia recen-sione in «Studi Etruschi», xliv (1976), pp. 473-83.

9 Cfr. a questo proposito l�articolo-bilancio di c. anti, Il problemadell�arte italica, in «Studi Etruschi», iv (1930), pp. 151-71.

10 Cfr. da ultimo f. delpino, in La civiltà arcaica di Vulci e la suaespansione, Firenze 1977, pp. 173 sgg.

11 e. hall dohan, A Ziro Burial from Chiusi, in «American Journalof Archaeology», xxxix (1935), pp. 198 sgg.

12 a. hus, Recherches sur la statuaire en pierre étrusque archaïque, Paris1961, pp. 239 sgg.

13 Manca ancora un repertorio aggiornato delle forme e delle deco-razioni di questa classe. Sulla distribuzione dei buccheri chiusini si vedag. camporeale, in Aspetti e problemi dell�Etruria interna cit., pp. 104sgg.

14 Uno dei due esemplari di Chiusi è stato rubato. Altri esemplaria Berlino e a Philadelphia sembrano falsi del tardo Ottocento: cri-stofani, art. cit. a nota 8, p. 482. Dubbio anche l�esemplare conserva-to a Oxford (Ashmolean Museum).

15 e. de martino, La ritualità del lamento funebre antico come tecni-ca di reintegrazione, in «Studi e materiali di storia delle religioni», xxvi(1955), pp. 15 sgg. e, in particolare, per le lamentazioni funebri nellesocietà arcaiche, pp. 36 sgg. Per una recente messa a punto di questerappresentazioni si veda t. dohrn, Totenklage im frühen Etrurien, in«Römische Mitteilungen», lxxxiii (1976), pp. 195 sgg.

16 f. magi, L�ossuario di Montescudaio, in Atti I simposio internazio-nale di preistoria italica, Roma 1969, pp. 121-33; f. nicosia, Il cinera-rio di Montescudaio, in «Studi Etruschi», xxxvii (1969), pp. 369-401.

17 Su questa scoperta e sul suo significato: s. boucher, Une aire deculture italo-céltique aux VII-VI siècles av. J. Ch., in «Mélanges de l�E-cole française de Rome», lxxxi (1969), pp. 37 sgg.; e adesso in «Gal-lia», xxviii (1970), pp. 190 sgg.

18 La lettera è citata da fiumi, La facies arcaica cit., p. 286, nota 88.La località di Colloreto si trova a metà strada sull�itinerario che colle-gava Volterra con Montecatini Val di Cecina, zona mineraria.

19 s. boucher, Bronzes grecs, hellénistiques et étrusques des Musées deLyon, Lyon 1970, nn. 49, 51, 97-103.

20 È il caso di alcune stipi famose dell�Etruria settentrionale comequella di Brolio in Val di Chiana o del monte Falterona, che hannorestituito oltre ai bronzetti figurati anche frammenti di oggetti bron-zei (arredi domestici o armi) e, nella fase piú tarda, monete.

21 Una rassegna su questi problemi è curata da m. a. fugazzola

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delpino, in Popoli e civiltà dell�Italia antica, IV, Roma 1975, pp. 43sgg.

22 Oltre alle opere citate di s. boucher, cfr. j. balty, Un centre deproduction de bronzes figurés de l�Etrurie septentrionale, in «Bulletin del�Institut Belge de Rome», xxxiii (1966), pp. 5 sgg.

23 Sulla provenienza dalla Cappadocia di questi bronzetti si posso-no esprimere seri dubbi; cfr. comunque a. hus, in «Mélanges de L�É-cole française de Rome», lxxi (1959), pp. 9 sgg.

24 Località di rinvenimento: Francia (Châtillon-sur-Seine, Thori-gné-en-Charnie, Montaulin [Aube]); Francia (Menthon); Jugoslavia(Smederevo).

25 Località di rinvenimento: Volterra, Castello (Firenze), territoriosenese, territorio fra Chiusi e Perugia, Montalcino.

26 Cfr. da ultimi: p. bocci pacini, Appunti su Arezzo arcaica, in«Studi Etruschi», xlii (1975), pp. 65 sgg.; g. gualandi, Santuari e stipivotive dell�Etruria padana, ivi, xli (1974), pp. 37 sg.

27 a. brelich, Paides e parthenoi, Roma 1969, pp. 435 sg. e 448 sg.28 Cfr. ad esempio p. j. riis, Tyrrhenika, Copenaghen 1941, p. 135.29 m. cristofani martelli, Il ripostiglio di Volterra, in Contributi

introduttivi allo studio della monetazione etrusca, Napoli 1975 [Roma1976], pp. 87 sgg.

30 Cfr. sull�insediamento: Poggio Civitate, catalogo della mostra,Firenze 1970; inoltre, con tutta la letteratura, m. cristofani, Consi-derazioni su Poggio Civitate (Murlo, Siena), in «Prospettiva», i (1975),pp. 9-17.

31 Cfr. le relazioni preliminari poi pubblicate in «American Journalof Archaeology», lxxviii (1974), pp. 268 sgg.; lxxix (1975), pp. 357sgg.; lxxxi (1977), pp. 3 sgg.

32 Per i caratteri della cultura materiale nell�area settentrionale cfr.g. camporeale, Irradiazione della cultura chiusina arcaica, in Aspetti eproblemi dell�Etruria interna cit., pp. 99 sgg.; p. bocci pacini, Un ritro-vamento arcaico presso Castelnuovo Berardenga, in «Studi Etruschi», xli(1973), pp. 121 sgg.

33 Cfr. per Chiusi: a. andrén, Architectural Terracottas from Etru-sco-Italic Temples, Lund 1941, pp. 252 sgg.; per Arezzo: g. maetzke,in «Bollettino d�Arte», 1949, pp. 249 sgg.

34 Cfr. pp. 67 sgg.35 c. e. oestenberg, Case etrusche ad Acquarossa, Roma 1975, pp. 44 sgg.36 Cfr. a questo proposito a. giuliano, Enciclopedia dell�arte anti-

ca, V, 1963, pp. 856-858, s. v. Palazzo. Sull�origine e sulle componen-ti orientali del palazzo di Vouni: e. gjerstad, in Corolla Archaeologi-ca Gustavo Adolpho dicata, Lund-Leipzig 1932, pp. 145 sgg.

37 r. bianchi bandinelli e a. giuliano, Etruschi e Italici prima deldominio di Roma, Milano 1973, pp. 195 sgg.

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38 r. bianchi bandinelli, Osservazioni sulle statue acroteriali di Pog-gio Civitate, in «Dialoghi di archeologia», vi (1972), p. 238.

39 p. j. small, The Banquet Frieze from Poggio Civitate (Murlo), in«Studi Etruschi», xxxix (1971), pp. 25 sgg.; t. n. gantz, Divine Triadson an Archaic Etruscan Frieze Plaque from Poggio Civitate, ivi, pp. 3 sgg.;m. cool root, An Etruscan Horse Race from Poggio Civitate, in «Ame-rican Journal of Archaeology», lxxvii (1973), pp. 121 sgg.; t. n. gantz,The Procession Frieze from the Etruscan Sanctuary from Poggio Civitate,in «Römische Mitteilungen», lxxxi (1974), pp. 1 sgg.

40 m. cristofani, Per una nuova lettura della pisside della Pania, in«Studi Etruschi», xxxix (1971), pp. 79 sgg.

41 Si veda j. macintosh, Representations of Furniture on the FriezePlaques from Poggio Civitate, in «Römische Mitteilungen», lxxxi(1974), pp. 15 sgg.

42 L�interpretazione relativa alla coppia maritale è stata suggerita alGantz, che l�ha comunque rifiutata, da G. Dumézil (cfr. gantz, Divi-ne Triads cit., p. 22, nota 66).

43 g. colonna, Ricerche sull�Etruria interna volsinese, in «Studi Etru-schi», xli (1973), pp. 63 sgg.

44 Si confrontino soprattutto le lastre di Poggio Buco («Notizie degliScavi», 1898, pp. 435 sgg.).

45 Per i materiali dalle tombe cfr. per ora Poggio Civitate, catalogodella mostra cit., pp. 14 sgg.

46 Su questi problemi cfr. gli interventi in Aspetti e problemi del-l�Etruria interna cit., pp. 273 sg. e 277.

47 Per un�analisi piú dettagliata del fenomeno cfr. cristofani, Con-siderazioni su Poggio Civitate cit., pp. 7-9 e in La civiltà arcaica di Vulcicit., pp. 249 sgg.

48 Per i problemi di Chiusi rimane ancora fondamentale r. bianchibandinelli, Clusium, in «Monumenti Antichi dei Lincei», xxx (1926);per questi aspetti, cc. 383 sgg. e 389 sgg.

49 Nonostante recenti contributi rimane ancora fondamentale perquesta classe e. paribeni, I rilievi chiusini arcaici, in «Studi Etruschi»,xii (1938), pp. 57 sgg. e xiii (1939), pp. 179 sgg.

50 Anche questa classe non fu esente da falsificazioni: m.-f. briguet,in «Mélanges de l�École française de Rome. Antiquité», lxxxiv (1972),pp. 847 sgg. e in Mélanges Boyancé, Roma 1974, pp. 103 sgg.

51 paribeni, I rilievi chiusini cit., p. 198.52 Ibid., p. 199 sgg.53 Su questa classe fondamentale è f. magi, Stele e cippi fiesolani, in

«Studi Etruschi», vi (1932), pp. 11 sgg. In seguito la letteratura è ripre-sa da f. nicosia, Due nuovi cippi fiesolani, in «Studi Etruschi», xxxiv(1966), pp. 149 sgg. Rinvenimenti recenti a Pistoia, Settignano pres-so Firenze e a Frascole (Dicomano).

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54 Per Marzabotto: g. a. mansuelli, Marzabotto: dix années de fouil-les et recherches, in «Mélanges de l� École française de Rome. Anti-quité», lxxxiv (1972), pp. 111 sgg. Per Spina: g. uggeri e s. uggeripatitucci, Topografia e urbanistica di Spina, in «Studi Etruschi», xlii(1974), pp. 69 sgg. Per Bologna: g. a. mansuelli, Bologna. Centro sto-rico, Bologna 1970, pp. 21 sg.

55 g. gualandi, Un santuario felsineo nell�ex villa Cassarini, in «Attie memorie Deputazione storia patria per le province di Romagna», xxiv(1973), pp. 315 sgg., che tende però a considerare il santuario comecentro sacro della città. Illuminante la situazione di Arezzo con le sueStipi: bocci pacini, Appunti su Arezzo arcaica cit., pp. 47 sgg.

56 Su questi problemi si veda soprattutto g. a. mansuelli, Una stelefelsinea di tradizione villanoviana, in «Rivista Istituto Archeologia e Sto-ria dell�Arte», v-vi (1956-57), pp. 1 sgg. Per una scoperta recente, utileper la cronologia, l. kruta poppi, in «Studi Etruschi», xlv (1977), pp.53 sgg.

57 Mi riferisco in particolare sia alla bronzistica (tintinnabulo dellatomba degli Ori, situla della Certosa) che alla nota testa Gozzadini,confrontabile con le sfingi arcaiche in pietra di Chiusi.

58 Sul repertorio delle stele felsinee: p. ducati, Le pietre funerariefelsinee, in «Monumenti Antichi dei Lincei», xx (1911), cc. 525 sgg.

59 Per una classificazione tematica in questo senso: j. m. bláz-quez, Caballos en el infierno etrusco, in «Ampurias», xix (1957-58),pp. 37 sgg.

60 Sul significato funerario del sileno: s. ferri, Il sileno nell�oltre-tomba etrusco, in «Historia», iii (1929), pp. 61 sgg.

61 Per il cippo: paribeni, I rilievi chiusini cit., pp. 192 sg. Per le sta-tue-cinerario cfr. oltre, pp. 157 sgg.

62 Sul significato delle scene dipinte nelle tombe orvietane cfr. p.171.

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Capitolo sesto

Il problema della recezione dell�arte classica

Gli scontri fra interi �popoli� che caratterizzano ilprimo venticinquennio del v secolo a. C., partendo dalleguerre greco-persiane in Oriente e coinvolgendo, inOccidente, Greci della Magna Grecia, Etruschi e Car-taginesi, devono aver profondamente influito all�inter-no dell�organizzazione delle póleis etrusche della costa,nella cui economia era fondamentale l�attività mercan-tile. La definitiva sconfitta dei Persiani nel 480 a. C. aSalamina coincide con la disfatta navale dei Cartagine-si a Imera in Sicilia, mentre, poco piú tardi, nel 474 a.C., altri �barbari�, proprio gli Etruschi, sono sconfitti daIerone, tiranno di Siracusa, nelle acque di Cuma. L�au-ra celebrativa che avvolge questi episodi nella tradizio-ne letteraria greca è stata recepita dagli storici moder-ni, in particolar modo in quell�ambito della storiografiaborghese che ha inteso privilegiare lo �spirito� greco neiconfronti delle popolazioni anelleniche. Quale sia statoin realtà il peso di questa perdita sul piano politico nonpuò essere evinto chiaramente dalla tradizione lettera-ria. Pur nella scarsità di informazioni fornite dalle fontiantiche conosciamo ancora due attacchi della marineriasiracusana ai porti dell�Etruria metallifera e alle comu-nità coloniali stanziate sulla costa occidentale della Cor-sica (Diodoro Siculo, XI 87.6 e 88) che sembrano unasuccessiva reazione di Siracusa all�attività piratesca degli

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Etruschi in Sicilia; nel 413 a. C., poi, la spedizioneetrusca guidata dal praetor Etruriae in aiuto degli Ate-niesi impegnati nell�assedio di Siracusa è un�ulteriorerisposta a una serie di avvenimenti che vedono l�Etru-ria impegnata a contrastare l�espansionismo sempre piúdilagante di Siracusa nel Tirreno1.

L�interpretazione che può essere data ad alcuni fattiarcheologici ben documentati, quale ad esempio il fortecalo delle importazioni di ceramica attica dopo l�acméraggiunta fra il 520 e il 480 a. C., deve tener conto del-l�apertura di mercati nuovi e fiorenti, come quelli adria-tici o del Mediterraneo occidentale, ma anche e soprat-tutto di fatti interni alle stesse città dell�Etruria meri-dionale costiera nelle quali le comunità di mercanti grecistanziate nei porti sembrano dileguarsi progressivamen-te, al punto che i luoghi di culto, fondati e frequentatiuna volta dai meteci greci, assumono, come a Gravisca,un carattere prevalentemente locale.

Sul piano della storia sociale l�esempio di Roma puòfornire alcune illuminazioni. La piú intraprendente com-pagine plebea, formata anche dal ceto mercantile, cultu-ralmente orientata verso la Magna Grecia, e il piú mobi-le contingente etrusco, trapiantato a Roma dall�etàmonarchica e integrato nello stato romano, dal 486 a. C.fino al 461 a. C. vengono esclusi dalle massime carichepubbliche: il vecchio patriziato agrario, in un periodo direcessione economica, respinge sia la nuova classe socia-le sia elementi etnicamente esterni, riprendendo quotasul piano politico2. La dipendenza culturale ed economi-ca di Roma dall�Etruria accelera, dopo la fine dellamonarchia, un processo di ristagno, contemporaneo almomento in cui divengono piú gravi i problemi di orga-nizzazione civile e sociale: la �serrata del patriziato�, nelsecondo quarto del v secolo a. C., non è altro che la riaf-fermazione della vecchia aristocrazia fondiaria, ma èanche il primo episodio di quello scontro fra classi anta-

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goniste, il patriziato e la plebe, che anima tutta la storiasociale di Roma fino alla riorganizzazione del 367 a. C.

La società etrusca appare al contrario fondamental-mente statica da questo punto di vista, mancando, aquanto sembra, quella compagine �intermedia�, priva diorigini aristocratiche, che riesce a inserirsi nella classedirigente romana. I ceti aristocratici delle città costiereescono dalla crisi riaffermando il proprio potere sullaproprietà fondiaria, mentre quelli dei centri interni paio-no avvertire in misura minore i sintomi di questa reces-sione: la classe di semi-liberi o di clienti-servitori solodopo molto tempo e a seconda delle diverse situazionilocali, potrà infatti emanciparsi da una condizione disubalternità che gli autori classici descrivono in modonon omogeneo.

In un quadro di questo genere, assodata la continuitàdelle esperienze artistiche dal periodo di maggioreinfluenza ionica fino al 480 a. C., i decenni posteriorialla battaglia di Cuma dovrebbero apparire come unmomento di �vuoto�, nel quale l�attività artistica, per ilsuo carattere tutto sommato precario, subisce un riflus-so. Ciò nonostante sembra possibile avvertire in questoperiodo una concentrazione di esperienze figurative inalcune tombe tarquiniesi o nel secondo tempio di Pyrgi,mentre una vera e propria assenza di novità espressivesi avverte solo nella seconda metà del secolo. Anche sei modelli del tardo arcaismo sembrano costituire, nel vsecolo a. C., l�unico mondo di riferimento possiamo tut-tavia assistere, in particolar modo nell�area tiberina, aun aggiornamento progressivo nei confronti del con-temporaneo sviluppo dell�arte greca di età classica. Lerapide conquiste formali che portano gli artisti dellaGrecia propria dal 480 al 450 a. C. alla formazione diquel fenomeno che è l�arte �classica� rimangono infattiun episodio irripetibile nella misura in cui ad Atene e inGrecia esse risultano appannaggio di scuole di artisti e

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di personalità che operano in un ambiente culturale deipiú avanzati, al servizio di una committenza pubblicache impiegava somme ingentissime per la costruzione ela decorazione dei grandi templi poliadici. La mancan-za di una trasmissione diretta di esperienze o di media-zioni, che erano invece avvenute nei decenni finali delvi secolo a. C., la relativa disponibilità economica, fannosí che l�influenza dell�arte classica in Etruria divenga unfatto figurativamente marginale, innestato su una tra-dizione che aveva tratto spunto vitale dagli esiti deltardo arcaismo.

1. I grandi cicli decorativi del tardo arcaismo.

Attorno al 500 a. C. l�attività ceramografica etruscaha un netto declino: la ceramica attica a figure rosse hainfatti nel primo venticinquennio del secolo un indub-bio ruolo sostitutivo, anche se non mancano documen-ti relativi a occasionali presenze di ceramografi di ori-gine greca che imitano, nel ventennio 480-460 a. C., laceramica attica usando tecniche insolite come la suddi-pintura sul fondo nero del vaso3. Le conquiste formaliattribuibili alla pittura vascolare attica a figure rosse,nella quale le linee interne ai corpi si caricano di unapotenzialità espressiva del tutto nuova, favorendo rap-presentazioni di scorci e prospetti, trovano un chiaroriscontro nella pittura tarquiniese della prima genera-zione del v secolo, i cui esiti stilistici sono stati spessoconfrontati con l�opera di quei decoratori attici cherispondono ai nomi di Psiax, Oltos o Euphronios, o deipiú tardi pittori di Brygos e di Kleophrades. La decora-zione dipinta della tomba delle Bighe di Tarquinia segnaun definitivo mutamento nell�ambito della pittura tom-bale4. È infatti il risultato di una tradizione che già nellaparete di fondo della piú antica tomba delle Leonesse o

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nella attenta calibratura delle figure del fregio dellatomba del Barone sembra obbedire a una sorta di �ordi-ne� nel sistema decorativo, qui accentuato dall�aggettodi elementi strutturali, come la grande mensola chesostiene il trave maggiore o il piccolo fregio. Le novitàconcernono il contenuto delle rappresentazioni, la tec-nica pittorica e lo stile. I temi del banchetto, raffigura-ti nella parete centrale, e le danze, nelle pareti laterali,già noti, solo ora vengono codificati come elementi primidel contesto figurativo come indicano i monumentiposteriori. Viene cosí operata una precisa scelta da partedei committenti entro un ventaglio di tematiche, pre-cedentemente assai piú numerose e finalizzate, comenell�Oriente greco, a esaltare la ricchezza e l�opulenzadel destinatario. Anche in una tomba dipinta della Licia,databile agli inizi del v secolo a. C., pertinente forse aun dignitario persiano, il motivo del banchetto divieneil soggetto della parete piú importante5; d�altro canto,anche i rilievi funerari commissionati dall�aristocraziagreca, adottano dal 500 a. C. questo tema, che vieneriservato però al solo defunto eroizzato. Il significatoche assume in Grecia questa iconografia, anche in sensomisticheggiante6, può risultare estraneo in Etruria, dovela scena si svolge all�aperto e con la partecipazione diun�intera famiglia che prende parte simbolicamente,oltre il tempo della propria generazione, a un eventocerimoniale nel quale il pasto in comune, allietato damusiche e danze, è forse ancora un�occasione per dimo-strare la propria tryphé 7.

Le scene rappresentate nel fregio minore della tombadelle Bighe svolgono il tema già noto delle attività ago-nistiche, che avvengono davanti a una tribuna dispostaa U, divisa in due piani: quello superiore è occupato dafigure sedute, maschili e femminili, vestite di tuttopunto, che assistono ai giochi, allineate quasi in parata;quello inferiore da figure maschili quasi sdraiate per

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terra, alcune delle quali nude e in atteggiamenti lascivi.La solennità che accompagna per solito la raffigurazio-ne di giochi, come ad esempio nei rilievi dei contempo-ranei cippi chiusini, è qui decisamente mitigata da epi-sodi con contenuti realistici, che si riferiscono comun-que a un pubblico escluso dalla manifestazione, che vipartecipa occasionalmente: non e impossibile che la stes-sa nudità indichi l�appartenenza di questi giovani almondo servile.

La tecnica pittorica alterna al fondo bianco del pic-colo fregio il fondo rosso della scena del banchetto,ricordando la tecnica �bilingue� della ceramica attica. Lapreparazione della parete è particolarmente elaborata: suuno strato di argilla mista a torba è stata applicata unascialbatura di calce sulla quale veniva inciso il disegnopreparatorio, eseguito a mano libera entro riquadraturesegnate con cordicelle tese sulla superficie ancora mor-bida delle pareti. I colori usati non sono piú allo statopuro, ma ottenuti mediante mescolanze che favorisco-no i mezzi toni.

Da un punto di vista disegnativo le novità stilistichesi concentrano soprattutto nella disinvoltura con laquale, nel fregio minore, i volti dei personaggi risultanovariamente atteggiati, le articolazioni vengono eviden-ziate, gli scorci sono avvertiti, il rapporto spazio-figuraviene proposto: un repertorio di immagini, quelle atle-tiche, che non solo ricorda le novità che Plinio il Vec-chio attribuiva a Kimon di Kleonai (Naturalis historiaXXXV 56), ma che rientra anche nel patrimonio for-male già esperito nel disegno di ceramografi attici comeOltos. Su una comune esperienza di stile, che rispecchiafondamentalmente il clima della pittura attica, si svi-luppa a Tarquinia, nel corso della prima metà del vsecolo, una scuola di decoratori piuttosto diseguale, chealterna a punte qualitativamente alte, come la tomba delTriclinio o quella del Letto funebre, esperienze assai piú

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modeste preludenti già al repertorio di routine dellaseconda metà del secolo.

Rispetto all�artigiano che opera �liberamente�, crean-do piccoli capolavori che alcuni credono di mano greca,nasce ora una pratica decorativa che utilizza gli stessimodelli, impiegando evidentemente identici �cartoni�: ildisegno preparatorio non è piú tormentato; contorni ecolori seguono pedissequamente l�immagine incisa. Sullaparete di fondo si allineano tre letti (piú raramente dueo quattro) sui quali sono sdraiate anche donne, a diffe-renza di quanto si rileva nella pittura della tomba delleBighe, con personaggi esclusivamente maschili; varianosolo gli animali domestici che sbucano sotto i letti o ipoggiapiedi. Acconciature, ornamenti personali, coper-te, tavole con �servizi� per bere si ripetono; le figure disuonatori derivano da un repertorio fisso8; le soluzionidisegnative per indicare il panneggio si semplificano,banalizzano con la loro inconsistenza la raffinatezza deisimmetrici panneggi tardoarcaici che sono invece visibilinella tomba del Triclinio9. In questo gruppo di dipintisoggetti anche nuovi, quali la nave oneraria rappresen-tata su una parete dell�omonima tomba o la caccia nelpiccolo fregio della tomba Querciola I, rientrano nel lin-guaggio convenzionale.

Da questa tradizione si affrancano però alcunimonumenti-guida, nei quali si può seguire il riflessodelle piú avanzate esperienze che la letteratura artisticariferisce al disegno e alla pittura greca. La tomba delLetto funebre diviene in questo panorama uniforme uncaso abbastanza raro: la rappresentazione si svolge sottoun ampio velario i cui orli drappeggiati si dispongonoattorno alle pareti suggerendo allo spettatore di trovar-si entro un ambiente realizzato all�aperto, appartato,quasi un padiglione, come nella piú antica tomba delCacciatore. La parete di fondo è occupata da un impo-nente catafalco sul quale si trovano, presso due coppie

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di cuscini, altrettanti mantelli e, sopra, due mitre concorona di foglie alla base; ai lati del letto, figure di gio-vani in gesto di saluto o di compianto; davanti a loro ini-ziano subito i banchettanti, quasi indifferenti della pre-senza simbolica ma incombente della coppia dei defun-ti. Diversamente dalla tomba del Triclinio, dove il reper-torio di routine si nobilita per l�estrema calibratura dellacomposizione e per la raffinatezza disegnativa, qui lasovrapposizione dei piani dovrebbe indicare indiretta-mente un riflesso della pittura di Polignoto di Taso10. Ineffetti, però, la disposizione delle figure su due pianirisulta quasi una casuale sovrapposizione di due scenedistinte, l�una relativa al compianto, l�altra al banchet-to, dato che il resto delle figurazioni si svolge nelle pare-ti laterali secondo il consueto ordinamento paratattico.C�è da notare semmai, soprattutto in alcuni particolarie nelle figure di due giovani scudieri, come la linea, par-ticolarmente nitida, parzialmente liberata dalla conven-zionalità tardoarcaica, si avvii a suggerire naturalistica-mente i contorni dei corpi, risentendo dello stile cera-mografico protoclassico. Piú significativa, proprio daquesto punto di vista, appare la tomba della Scrofanera11 molto danneggiata, nella quale il decoratore simuove ancora piú liberamente, soprattutto negli arditiscorci della rappresentazione della caccia sul frontonci-no. Nella scena del banchetto, poi, il fastoso cromatismodelle vesti dei partecipanti, degli addobbi e delle coper-te, fa da sfondo a figure di servitori in primo piano, daicontorni deliberatamente netti e insistiti che le proiet-tano quasi in avanti. L�aggiornamento di questo pitto-re è visibile anche nei pochi casi in cui, superando le con-venzioni tardoarcaiche, realizza compiutamente di pro-filo gli occhi delle figure.

Nel settore della scultura templare è possibile coglie-re una produzione che, dopo gli esiti particolarmente

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vivaci e a volte personali delle scuole di Veii e di Caere,diviene piú uniforme, ma si colloca in modo compiutonel contemporaneo sviluppo della scultura greca.

La componente eginetica che si vuole intravvedere inalcune sculture in terracotta di Caere e Veii o nei ciclidecorativi di Falerii o di Satrico12, datati poco dopo l�e-secuzione dei frontoni del tempio di Afaia a Egina(510-490 a. C), pur nei contorni sfuggenti che assumo-no le opere eginetiche (eseguite nella famosa lega dibronzo che veniva prodotta nell�isola, ricordata dalla let-teratura artistica), si colora forse oggi di una sua veri-dicità se si tiene presente il ruolo avuto dagli Egineti nelcommercio marittimo, contemporaneamente e successi-vamente ai Samii. La dedica di Sostratos ad Apollo Egi-neta nel santuario di Gravisca, la posizione dominanteche egli assume nei confronti della redistribuzione dellaceramica ateniese, il ruolo svolto dall�isola nel momen-to in cui la Ionia è sotto la dominazione persiana13 ren-dono verosimile, anche sul piano delle manifestazionifigurative, l�interferenza del linguaggio eginetico inEtruria. Pur se elaborato non direttamente nell�isola, lostile di Egina trova nei due frontoni o nella famosa testabronzea barbata del Museo dell�Acropoli di Atene ele-menti di notevole spicco14 e diviene, d�altra parte, di pri-maria importanza nei confronti di esperienze che si svol-gono al di fuori della Grecia propria, a Cirene, in Sici-lia, nell�Italia meridionale o nella stessa Etruria.

L�innesto di questa nuova tradizione è ben visibileproprio in alcuni cicli decorativi dell�inizio del secolo. ACaere la bottega di coroplasti che abbiamo individuatofornisce l�esempio piú suggestivo di queste tendenze nellafigura di un giovane, semisdraiato a banchetto, che ram-menta anche nello schema compositivo le figure dei cadu-ti del frontone di Egina. A Veii gli esiti piú tardivi del-l�officina del «maestro dell�Apollo», una testa di guer-riero e un�altra di Minerva15 risentono, soprattutto la

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prima, di analoghe esperienze. Il ciclo piú importante èperò rappresentato dalla decorazione del tempio di MaterMatuta a Satrico nel Lazio, rinvenuto alla fine del seco-lo scorso, ma purtroppo mai esaminato con quella curache un vaglio attento del materiale richiederebbe16.

Il carattere �ellenizzante� dell�edificio è avvertibiledalla stessa planimetria: la cella, molto lunga, e il vesti-bolo erano circondati da un vero e proprio peristilio allagreca, con quattro colonne sui lati brevi e otto (o piut-tosto sette) sui lati lunghi; gli interassi fra le colonne sonodi misura costante, tranne che nell�intercolumnio cen-trale della facciata; ampio è lo spazio fra le colonne e imuri della cella ad oîkos: dati che riconducono inevita-bilmente alle grandi costruzioni templari in pietra dellaMagna Grecia17. Ma è soprattutto la ricca decorazionefittile, con tematiche direttamente connesse al mondogreco � del resto già ampiamente attestate a Veii, Romae Pyrgi, nell�ultimo trentennio del vi secolo a. C. � cherende il santuario di Satrico forse il piú �greco� di quan-ti siano stati scoperti nell�Italia tirrenica.

Il soggetto delle lastre frontonali che ricoprivano letestate del columen non è molto chiaro: guerrieri arma-ti alla greca, con scudi rotondi recanti diversi episéma-ta, combattono contro �barbari� vestiti all�orientale:amazzoni o forse Persiani. Le scene di monomachiaobbedivano a schemi compositivi che dovevano fissaremomenti specifici del combattimento e che quindi svi-luppavano varie fasi della lotta, con personaggi caden-ti, morti, che la gamma espressiva dei volti, pur nel-l�ambito di una convenzionalità cui non sfuggono nem-meno i modelli greci, doveva variare. La stessa altaqualità si trova negli scarsi resti delle statue, forse didestinazione acroteriale, in particolare in un gruppocon una coppia di personaggi o nella cosiddetta testa diZeus, forse la piú �eginetica� della serie, direttamentederivata da soluzioni espressive della scuola coroplasti-

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ca caeretana18. Un nucleo di antefisse, con gruppi difigure a tutto tondo, e in particolare uno con variazio-ni sul notissimo tema del satiro e della menade, rivelaassai bene il procedimento usato dai coroplasti. Su alcu-ne matrici-base relative ai volti � tutti particolarmenteatoni � e alla disposizione delle membra, vengonocostruiti sei gruppi nei quali la coppia si presenta inatteggiamenti diversi. Il modellato anatomico maschileè uno stanco riflesso del piú vivido torso veiente attri-buibile alla tarda tradizione del «maestro dell�Apollo»(appartenente, forse, alla quadriga fittile che decoravail culmine frontonale del tempio di Portonaccio aVeii)19. I panneggi hanno poca consistenza e si dispon-gono in ritmi iterati. Il tentativo di bloccare le imma-gini di una sequenza figurativa, che ha una sua logicacontinuità in un modello forse disegnativo, rientracomunque in un gusto tipicamente tardo-arcaico cheritroviamo in opere della piccola plastica in bronzo,come l�Aiace suicida da Populonia, che sembrano lega-te a prototipi peloponnesiaci ed eginetici. La fortuna diquesti modelli, limitatamente alle teste di menade e disatiro, adottati anche per personaggi di diversa natura,appare notevole se può essere seguita diffusamente nellascultura del primo trentennio del secolo anche nellearee settentrionali20.

In questa atmosfera che dipende strettamente daltardo arcaismo, può ritenersi eccezionale la decorazio-ne del tempio A di Pyrgi, datato attorno al 460 a. C., icui grandi altorilievi, con soggetti connessi al ciclo deiSette contro Tebe � ciclo che fra l�altro, poco dopo il479 a. C., aveva costituito il soggetto di famose pittu-re di Onasias nel pronao del tempio di Athena Areia aPlatea �, rispecchiano una fase stilisticamente piú avan-zata, connessa direttamente con lo sviluppo contempo-raneo della scultura greca21. Il quadro fittile ricomposto,

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pertinente al trave centrale del frontone aperto, si giovadi una composizione complessa, su tre piani distinti,nella quale la figura di Athena viene isolata nei confrontidei gruppi di Tideo e Melanippo cadenti, e di Zeus eCapaneo. L�isolamento di Athena in questo contestofigurativo è una conseguenza del suo atteggiamento psi-cologico: sembra perplessa o forse irritata di fronte allaviolenza del suo protetto, Tideo, mentre Zeus, privo diarmatura, si lancia contro l�urlante Capaneo. La costru-zione piramidale dei corpi aggettanti degli altri due eroitebani, con le teste avanzate, è evidentemente connes-sa con la visione del quadro fittile, che, collocato in alto,veniva visto dal basso, e non mancano tracce di corre-zioni ottiche anche nella figura di Athena, che ha la divi-sione dei capelli leggermente spostata verso sinistra. Laricchezza di elementi dinamici, fusi all�interno di unacomposizione che tiene conto di accorgimenti finalizza-ti a un miglior rendimento dello spazio, può ricordaremodelli disegnativi famosi, come quelli di Onasias, pit-tore della cerchia polignotea. La convenzionalità deipanneggi e delle acconciature, la genericità dei voltimaschili, che risultano ancorati al tipo del sileno barba-to del tardo arcaismo, sottoposto però a variazioniespressive intenzionalmente accentuate, riconduconocomunque il plasticatore nell�alveo di una tradizioneche precede gli esiti del primo classicismo. In questosenso la lastra di Pyrgi, assieme al resto della decora-zione architettonica, può considerarsi l�episodio piúavanzato di una koiné artigianale che sembra aver ori-gine nell�area piú meridionale dell�Etruria, comprensi-va anche del Lazio; l�ambiente continua ad essere col-legato con la Magna Grecia, con o senza il tramite dellaCampania dove, peraltro, la fondazione o la �rifonda-zione� etrusca di Capua alla fine del vi secolo a. C. devepur aver svolto un suo ruolo.

La stessa tematica della decorazione plastica sembra

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direttamente mutuata dalla mitologia greca e, nel casodel tempio A di Pyrgi, sviluppa un soggetto particolar-mente �erudito� dipendente dalla saga dei Sette a Tebe,abbastanza raro nella documentazione iconograficagreca, attestato invece con dovizia in Etruria, soprat-tutto nella glittica tardoarcaica22. Inserito nel frontonedi uno dei templi etruschi piú noti alle fonti letterarieper il sacco avvenuto nel 384 a. C., esso richiama, peril carattere �argivo� del mito, la leggendaria fondazione�pelasgica� del santuario (Strabone, V 225), alla qualepuò essersi senz�altro richiamata la comunità caeretana,certamente fra le piú ellenizzate dell�Etruria costiera,che ha commissionato l�esecuzione del tempio.

2. L�arte classica nel distretto tiberino.

Il territorio interno dell�Etruria in particolar modonei centri gravitanti attorno alla grande arteria del Teve-re, quali Veii, Falerii, Orvieto e Chiusi, sembra avere uncarattere privilegiato nei confronti del problema relati-vo alla recezione dello stile classico23.

Lo stato degli studi in questo settore ci permette diiniziare il nostro discorso da Chiusi. La documentazio-ne artistica in questo periodo presenta infatti caratteri-stiche proprie e, per quanto concerne la prima metà delv secolo a. C., essa è costituita prevalentemente damonumenti funerari: da una parte i cippi con decora-zione figurata a basso rilievo e dall�altra le pitture tom-bali, manifestazioni per tanti aspetti affini, derivate damodelli comuni. Un gruppo di rilievi in particolare ha isuoi prototipi nella ceramica attica di stile tardoarcaicoe severo e può pertanto essere datato al secondo quartodel v secolo a. C., anche se non si può escludere chealcuni esemplari scendano oltre24. La pittura tombale,che ripete soggetti analoghi a quelli rappresentati nei

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cippi, può essere attribuita a due generazioni di mae-stranze, attive nella prima metà del v secolo a. C.25.

Mentre per le pitture il discorso è particolarmentecomplesso, dal momento che esse non costituiscono unatradizione �continua�, i cippi decorati rappresentano,come si è già visto, un documento significativo di artelegata all�attività di maestranze che lavorano unitaria-mente per un pubblico che ha affinato la propria cultu-ra figurativa; essi, in altri termini, realizzano il quadrodi una civiltà nella quale le esperienze artistiche sono alservizio di una società urbanizzata. Questa ricca docu-mentazione, che si sviluppa in particolare dall�età del rePorsenna, trova, a livello di scultura funzionalmentedifferente, ad esempio quella onoraria e templare, mani-festazioni di un certo interesse.

Attorno al 480-470 a. C. vanno datati tre frammen-ti bronzei provenienti da Acqua Santa, a Chianciano,sicuramente pertinenti alla medesima statua, che fu ese-guita in materiale nobile. Il tipo ha anzi influenzato, alivello iconografico e stilistico, tutta una serie di picco-li bronzi votivi contemporanei. Come la testa Lorenzi-ni di Volterra, altro documento del tardo arcaismo �set-tentrionale�, i frammenti da Acqua Santa sono infatti ilprototipo di una serie di bronzetti di prevalente deri-vazione ionizzante, la cui distribuzione interessa i san-tuari dell�agro fiesolano, del Falterona e dell�Emilia.Nell�ambito di questa raffinata esperienza bronzisticarientra anche un oggetto di lusso come il famoso �lam-padario� di Cortona, la cui decorazione ha tutti i trattidi questo milieu stilistico.

Attorno alla metà del v secolo a. C. in quest�area avvie-ne un cambiamento di linguaggio in senso prevalente-mente e sorprendentemente classico. La recente seriazio-ne di un gruppo monumentale piuttosto omogeneo, quel-lo delle statue-cinerario di Chiusi, permette di riconside-rare tutta la plastica dell�area tiberina in termini nuovi26.

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Le statue-cinerario presentano immagini femminilisedute su seggi adorni, e personaggi maschili semire-cumbenti a banchetto, vicino ai quali compaiono figurefemminili, presumibilmente le rispettive mogli, a voltesostituite dall�immagine del demone femminile dellamorte. La continuità ideologica con i canopi sembraconservata, dal momento che le teste movibili serviva-no a chiudere il corpo cavo della statua entro il qualevenivano conservate le ceneri del defunto. Ma c�è di piú,dal momento che i precedenti delle statue, anche questia grandezza naturale, si ritrovano in alcuni esemplaririsalenti ancora alla seconda metà del vi secolo che pos-sono considerarsi una vera e propria �amplificazione�dei canopi in termini di grande plastica.

In un momento in cui predomina a Chiusi il rito inu-matorio le statue-cinerario costituiscono infatti unrichiamo a un�antica tradizione, anche se da un puntodi vista iconografico i modelli di riferimento appaionodiversi. Alla base di queste rappresentazioni è infatti unmotivo unitario che va ravvisato nel modellogreco-orientale della scena del banchetto �dinastico� incui l�uomo appare disteso sulla klíne, mentre la donnagli è seduta vicino. Le statue-cinerario sembrano in uncerto senso frazionare questo modello e realizzare duediverse serie: da un lato la donna seduta, provvista diricchi attributi, quali le vesti cerimoniali e il trono abraccioli, che assume quasi le sembianze della divinitàdell�oltretomba, Persefone; dall�altro l�uomo, in semi-nudità eroica, giacente a banchetto con la patera inmano, che viene rappresentato al culmine della suatryphé. Il processo di eroizzazione si manifesta dunqueprendendo a prestito dal mondo greco tematiche propriedel rilievo funerario che simboleggiavano nelle scenedel banchetto un elemento di glorificazione del defun-to27. Alcuni dati di associazione archeologica e elemen-ti iconografici forniscono termini cronologici abbastan-

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za precisi: la produzione inizia con la metà del v secoloe si protrae per poco piú di due generazioni. La sequen-za dei monumenti permette anche di agganciare allesuccessive fasi stilistiche diversi cicli decorativi dei tem-pli di Orvieto, Falerii e Veii, nonché le scarse testimo-nianze della scultura in bronzo della stessa area. Il ren-dimento delle capigliature, in particolare, con le ciocchedivise, i ciuffi laterali rilevati, oggetto alle volte di unavera e propria esercitazione calligrafica, evidenzia unaaffinità tecnica fra intagliatori di pietra � quali gli scul-tori delle statue chiusine � e i coroplasti. Partite daesperienze che dipendono da convenzioni stilistichedirettamente legate al linguaggio del tardo arcaismo, lemaestranze chiusine rivelano a poco a poco un aggior-namento nella realizzazione dei panneggi o delle capi-gliature che tiene conto del linguaggio fidiaco, mentre inudi giovanili, soprattutto nel momento piú tardo dellaproduzione, riconducono a formule policletee.

Assai affine, in questo senso, è il fenomeno che inte-ressa le terrecotte dell�area veiente-falisca e di quellaorvietana. A Veii, forse sulla piú antica scia dell�attivitàdi Vulca e del maestro dell�Apollo, è esistita una scuoladi coroplasti alla quale è possibile attribuire un�attivitàininterrotta fino alla caduta della città, nel 396 a. C.28.Un ciclo inedito di statue votive provenienti dal san-tuario di Portonaccio comprende, fra l�altro, un offe-rente con mantello che deriva da tipi statuari dell�am-biente del maestro di Olimpia29, figure di giovinetti nudiche seguono nello schema della ponderazione e nellarealizzazione anatomica i �canoni� della scultura poli-cletea, figure femminili con panneggi di ascendenzafidiaca.

A Orvieto la decorazione dei santuari di Vigna Gran-de, del Belvedere, di via San Leonardo, della Cannicel-la documenta, dalla metà del v secolo in poi, una fecon-da attività coroplastica che viene attribuita a una scuo-

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la locale30. Soprattutto i frammenti frontonali del tem-pio di San Leonardo, non ricomponibili, meritano uncenno. Si tratta di tre teste a tutto tondo, una femmi-nile, le altre due virili e barbate, e di un torso giovani-le che si collocano in una temperie fortemente classica:dietro le teste maschili, con la barba formata da lunghiriccioli distinti, emerge il retroterra fidiaco, mentre nellatesta femminile si avvertono già le cadenze piú manie-rate riflesse nella ceramica degli inizi del iv secolo a. C.

Non fa dunque meraviglia che la testa di Zeus daFalerii ripeta abbastanza fedelmente il tipo dello Zeus diFidia31 o che un�altra di carattere votivo, rappresentan-te un giovane imberbe, tradisca una forte ascendenzapolicletea, da riconoscersi soprattutto nella creazionedel Diadumeno, del 430-420 a. C.

A Chiusi, dove la documentazione di statue funera-rie è piuttosto ricca � circa trenta pezzi, fra i quali alcu-ni con aggiunte ottocentesche �, le terrecotte architet-toniche sono finora scarse, ma alcune antefisse a testafemminile rivelano stretti rapporti con la scultura in pie-tra. È probabile che nella seconda metà del secolo i coro-plasti di Chiusi siano stati influenzati da quelli di Orvie-to, e non è impossibile che la stessa funzione sia poi statasvolta da Chiusi nei confronti del distretto aretino.

Le scuole artistiche regionali dell�entroterra tiberino,che fanno capo a Veii-Falerii, Orvieto e Chiusi, lavora-vano fondamentalmente la terracotta, ma il loro inter-vento deve essere stato necessario per la creazione dimodelli in argilla che servivano per la fusione di statuedi bronzo.

La piccola plastica bronzea dell�Etruria settentriona-le, attribuibile alla seconda metà del v secolo a. C.,segue infatti gli stessi indirizzi stilistici, e l�esistenza diuna grande plastica in materiale nobile ci viene confer-mata da due opere uscite da un�officina orvietana, la sta-

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tua votiva del Marte di Todi e la testa bronzea, forse distatua onoraria, dal lago di Bolsena, nonché da un pre-zioso coperchio di urna scoperto a Perugia e oggi con-servato all�Ermitage32. Il coperchio, direttamente colle-gato con le statue funerarie di Chiusi, dimostra anzi che,a livello di classi abbienti, la commissione di un�operache assolveva una funzione privata poteva essere affi-data alle stesse botteghe che creavano statue votive eonorarie. I cinerari in pietra di Chiusi, prodotti tutti dieguale qualità, si pongono artisticamente allo stessolivello delle statue onorarie. Essi si inseriscono in unaproduzione di tipo essenzialmente élitario, che ben siadatta alla situazione di estrema agiatezza descritta dallefonti letterarie per gli inizi del iv secolo a. C., quandoi Galli invadono la Val di Chiana (si veda ad esempioDionisio d�Alicarnasso, XIII 16). L�elaborazione del lin-guaggio figurativo è avvenuta dunque all�interno di que-ste botteghe ed è probabile che il lento aggiornamentodelle maestranze dipendesse anche dagli artisti stranie-ri che venivano richiamati in zone cosí ricche. La dina-mica di questo fenomeno, che può essere intuita piú cheprovata (a differenza di quanto avviene nell�attività arti-stica che si svolgeva contemporaneamente nelle corti deitiranni sicelioti), trova conferme indirette nella stessamobilità delle maestranze etrusche alle quali venivanoaffidate commissioni anche al di fuori del loro ambien-te di origine33. E non c�è dubbio, allora, che artisti stra-nieri potessero giungere nel Lazio al seguito di unarichiesta di sculture che appaiono indubbiamente di pro-venienza magnogreca34. I modelli, in altri termini, nonerano forniti dai piccoli oggetti del commercio artistico,quali i vasi plastici attici, come pure si è creduto, ma daesempi concreti di originali importati o da maestranzeimmigrate.

Nella scultura del distretto tiberino i prototipi �seve-ri� persistono fino a quando il linguaggio artistico che si

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sviluppa nelle città del Peloponneso (a Olimpia e adArgo) o ad Atene trasmette modelli famosi, da ricercarsinello Zeus di Fidia e nella scultura policletea35. Le sta-tue di Chiusi ci documentano che lo stile severo pene-tra nel linguaggio figurativo locale quando il tardoar-caismo ha una sua precisa tradizione. Le statue femmi-nili sedute piú antiche sono un esempio della vitalità cheavevano in questo ambiente gli schemi figurativigreco-orientali: il rendimento dei panneggi e ancoraquello delle formulazioni ionico-attiche, di gusto deco-rativo, affine a quello che ritroviamo nei rilievi dei cippio nelle pitture tombali. Le teste, al contrario, pur neiloro lineamenti un po� pesanti, sono creazioni tipiche deltardo stile severo. In prosieguo di tempo, abbandonatoil decorativismo ionizzante, si constatano una maggioreunitarietà e una stretta dipendenza da modelli riferibi-li al periodo protoclassico, per i quali un confronto sti-listico calzante può essere costituito dalla ricca serie diterrecotte tarantine. L�aggiornamento successivo in ter-mini classici avviene solo in alcuni dettagli (il tratta-mento dei panneggi e delle capigliature maschili, affinia quelle policletee), mentre si conservano schemi piúantichi sia nel solido impianto delle statue femminilisedute sia nella struttura delle teste. Si accettano cioèsolo alcune soluzioni marginali dello stile classico, che sirisolvono in giochi decorativi. Soltanto alla fine del vsecolo e agli inizi del iv si ritrova l�eco di una certa coe-renza stilistica, filtrata forse attraverso la piú ricca espe-rienza della scuola orvietana. È in questo momento chevanno collocati due monumenti già ricordati, il Marte diTodi e il coperchio di Perugia, creazioni fra le piú �clas-siche� che conosciamo in Etruria. La loro realizzazione,giustificabile nell�ambito di ateliers organizzati per unaclientela d�élite, è anche il risultato di un interesse rin-novato per prodotti artistici del mondo greco, che sirivela anche a livello di acquisizione di vasi attici di stile

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postclassico, e che giustifica, in questo stesso momento,lo stanziamento a Falerii di un gruppo di ceramografiattici che organizzerà poi anche una filiale a Chiusi36. Sidelinea, pertanto, un quadro di rapporti fra le piú impor-tanti città etrusche dell�interno e quelle del Lazio chenon solo ha portato a reciproci scambi di esperienze, maha contribuito anche a elevare la cultura figurativa loca-le al livello di nuove tendenze di stile.

Al contrario, nell�area marittima, non troviamo nellaseconda metà del v secolo a. C. una documentazionealtrettanto cospicua, ma un attardamento entro i limitidel tardo arcaismo. Nell�ambito della scultura, che appa-re in questo senso il fenomeno piú appariscente, non èpossibile, almeno per ora, enucleare gruppi altrettantoomogenei di monumenti; anche nel settore della deco-razione architettonica non disponiamo di materiali chepossano competere per qualità con quelli dell�Etruriainterna. Questa crisi nasce probabilmente dal declinodelle strutture economiche portanti delle città costiere,quelle inerenti ai traffici e ai commerci, iniziato dopo labattaglia di Cuma. La ricchezza agricola dell�interno,che comportava anche forme di commercio37 evitò pro-babilmente una decadenza cosí rapida: il rapporto pri-vilegiato che si era instaurato con la campagna portòanzi allo sviluppo di opere idrauliche38, iniziative a sfon-do pubblico che partivano dalla stessa élite che com-missionava i monumenti figurati.

2. L�artigianato artistico nel IV secolo a. C.

La decorazione fittile dei templi di Veii, Falerii eOrvieto, che si collega in modo sufficientemente plau-sibile all�arte classica dell�ultimo trentennio del v seco-lo, indica chiaramente che alla fine del secolo la com-mittenza pubblica ha una propria disponibilità finan-

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ziaria, disponibilità che trova, come si è visto, un cor-rispettivo anche nella produzione artistica a carattereprivato, con funzione votiva e onoraria cosí come fune-raria. Anche a Roma, a partire dal 484 a. C. (anno incui fu dedicato il tempio dei Castori), si assiste a unastasi nel settore dell�edilizia templare che cessa solo nel433 a. C. (anno in cui fu votato il tempio di ApolloMedico). Da allora, e in particolare nel corso del ivsecolo a. C., l�attività edilizia si intensifica; nuovi san-tuari vengono dedicati a divinità poliadiche di cittàdistrutte in guerra o strette d�assedio, divinità che ven-gono inserite nei culti romani, come la Iuno Regina diVeii.

L�area laziale-tiberina sembra anche interessata, agliinizi del iv secolo a. C., a una ripresa di attività pro-duttive nell�artigianato artistico che culmina nelle espe-rienze ceramografiche del gruppo «falisco» e del grup-po «chiusino». Il fenomeno ripete, un trentennio piútardi, quanto era accaduto nella Magna Grecia, in par-ticolare nella Sibaritide e nella Siritide. Le fondazionidi Thourioi, colonia situata sulle rovine di Sibari, volu-ta da Pericle poco dopo la metà del v secolo a. C., e diHeraclea � conclusiva questa di una guerra fra Thourioie Taranto � avevano infatti comportato nuove esigenzecirca il consumo di determinati beni, fra i quali la cera-mica decorata, immancabile aspetto di un�attività arti-gianale che l�Atene del v secolo aveva, egemonizzato. InLucania, come poi, a distanza di un decennio circa, aTaranto, si stabiliscono ateliers direttamente dipenden-ti dalle officine ateniesi, il cui linguaggio può essere col-locato nell�area stilistica della scuola polignotea seguen-do, per tutto il trentennio finale del v secolo, umori etendenze dei ceramografi attici, compresi gli accenti�manieristici� dello scorcio del secolo39. La seconda gene-razione degli artisti lucani è probabilmente influenzatadalla personalità di Zeusi, pittore forse nativo della stes-

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sa Heraclea, attivo anche in Italia meridionale e in Sici-lia. Le importanti innovazioni che vengono attribuite aquesto pittore dalla letteratura artistica antica, sia nellarappresentazione dello spazio che nell�uso dei colori, sianello scegliere temi figurativi in cui si evidenziasserodeterminati effetti psicologici, sono contemporanee alleprime manifestazioni ceramografiche della Campania edel Lazio. Mentre in Campania (zona fra le piú ricetti-ve in Italia, assieme a Spina, di ceramica attica della finedel v e degli inizi del iv secolo), le prime officine cera-miche dipendono forse da maestranze attiche già stan-ziate a Siracusa alla fine del secolo40, nel Lazio il grup-po falisco rivela stretti legami con le tendenze dellaceramografia attica del principio del iv secolo a. C. Adifferenza della locale produzione a figure rosse di etàprecedente, non omogenea, che alle volte aveva però for-nito opere di notevole intensità, la scuola falisca è laprima officina organizzata che si stanzia in un centro persoddisfare esigenze di una richiesta che il commercio deivasi attici, pur se in debole ripresa, non riusciva evi-dentemente a contenere41. La controversia sulla localiz-zazione del centro di produzione � Falerii o Roma �nasce dalle iscrizioni che si trovano dipinte sui vasi stes-si: due k¦likes rinvenute a Falerii presentano sulla cor-nice che circonda il tondo centrale un�iscrizione dipin-ta prima della cottura, in lingua falisca, probabilmenteun verso saturnio che esprime una morale di tipo preo-raziano circa il «carpe diem»42; uno stámnos, trovatopure a Falerii, riporta invece come �didascalie�, appostevicino alle figure mitologiche rappresentate (Giove,Ganimede, Cupido e Minerva), nomi in latino43. Nelleraffigurazioni di questi vasi sembra prevalere, comenella contemporanea ceramica attica, una tematica amo-rosa o comunque profana, dalla quale non sono esclusenemmeno le divinità. Dei ed eroi compaiono fra satiri emenadi o sono raffigurati assieme ai loro favoriti: Zeus

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e Ganimede, Dioniso e Arianna, Aurora e Cefalo, Peleoe Teti, Afrodite e Adone.

La fase iniziale di questa produzione, in cui domina-no vasi di notevoli dimensioni e coppe per bere, è lega-ta in modo diretto ad un gruppo di artigiani attici cheil Beazley ha chiamato «pittore di Londra F 64», «pit-tore di Jena» e «pittore di Meleagro». Il pittore di Lon-dra F 6444 sembra specializzato nel dipingere rappre-sentazioni di divinità su carri, in stile fiorito e fastoso:fra le poche provenienze accertate di opere a lui attri-buibili si annovera per l�appunto Falerii e proprio ilprimo pittore del gruppo falisco dipinge tre crateri conscene molto simili45. Sia il pittore di Meleagro che quel-lo di Jena si limitano invece a decorare coppe o vasi conscene di �genere�, anche a carattere mitologico, usandoun linguaggio che ripete certe convenzionalità del pit-tore di Meidias46. Elemento di notevole importanza è ladistribuzione delle opere attribuite ai pittori attici oraricordati: le ceramiche sembrano dirette verso mercatifino ad allora insoliti come il Mar Nero, gli oppida cel-tici, le coste della Spagna mediterranea. In Italia Romae il Lazio riflettono a questo riguardo la situazione dellaCampania, dove l�importazione della ceramica attica afigure rosse non sembra aver mai cessato il suo flusso; apartire dalla fine del v secolo a. C., anzi, la distribuzio-ne interessa anche centri dell�entroterra, dove domina-no le aristocrazie italiche47. Allo stesso modo, nell�areafalisca, tutta la produzione ceramica della prima gene-razione di artisti trova acquirenti nel ceto magnatizioche si orienta verso tematiche legate alle gioie profanee solo eccezionalmente commissiona vasi con scene mito-logiche di vasto respiro, derivate dal ciclo iliaco, qualil�uccisione dei prigionieri troiani in onore di Patroclo ola �notte di Troia�.

È da questa generazione di pittori falisci che derivauna scuola di ceramografi localizzabile a Chiusi, centro

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nel quale la ceramica di Falerii giunge forse mediata daOrvieto48, e dove l�installazione di un atelier di pittorisembra dettata anche dalla richiesta di nuovi acquiren-ti della Val di Chiana e di Volterra49. Anche qui le rap-presentazioni rientrano nella sfera simposiaca e le formeceramiche piú diffuse sono proprio le coppe per bere;protagonisti delle scene sono satiri e menadi e solo rara-mente compaiono divinità estranee al contesto dioni-siaco. Eccezionale è un cratere a calice da Volterra,databile alla metà del secolo, nel quale figure di guerrierie di personaggi femminili non sono organizzate su piúpiani, come nei vasi falisci, ma si allineano lungo lasuperficie senza un�apparente relazione fra loro. Il dise-gno, molto accurato, con la nitidità iniziale e il gusto�fiorito� della ceramica tardomeidiaca, attesta la validitàdella scuola ceramica chiusina.

La produzione successiva alla metà del iv secolo a. C.sembra moltiplicarsi in una serie di esperienze qualita-tivamente assai piú modeste, entro le quali è possibileseguire un progressivo allentamento della disciplina for-male.

Numericamente assai piú consistenti, le ceramichefigurate si dirigono ora verso un pubblico piú ampio, diminori pretese. Questo fenomeno facilita lo stanzia-mento di officine in piú centri: a Caere si stabilisconoateliers di derivazione falisca, cosí come a Orvieto, dovela produzione si estende anche al mercato chiusino; aVolterra artigiani che derivano direttamente dai cera-mografi chiusini della prima metà del iv secolo a. C.; aTarquinia, infine, officine che organizzano produzionisu vasta scala50.

L�identificazione dei diversi ateliers si basa su crite-ri stilistici che consentono di riconoscere singole fab-briche nei diversi centri tenendo conto anche della quan-tità di vasi attribuibili a un determinato gruppo. Ladistribuzione al di fuori del contesto produttivo di ori-

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gine viene per solito interpretata come indizio di inte-ressi �commerciali� di un centro verso le aree corrispon-denti.

Cosí l�attività ceramistica di Caere, fra le piú mas-sicce della seconda metà del iv secolo a. C.51, sembrainteressare, tramite forse il porto di Pyrgi, Populonia eAleria, in Corsica, centri collegati al controllo del Tir-reno, che accolgono diversi generi della produzione cera-mistica caeretana (vasi figurati o di uso comune, a ver-nice nera). Mentre il consumo delle ceramiche a figurerosse con rappresentazioni piú complesse sembra esau-rirsi nell�ambito del centro di produzione o in aree pro-priamente etrusche, la diffusione di vasi con decorazio-ni semplici (teste femminili, ad esempio) appare inveceassai piú ampia. I piattelli di Genucilia, con decorazio-ni generiche, prodotti a Falerii e Caere, si diffondonocosí ampiamente nell�Italia centrale, a Roma e nelle suecolonie, nei porti del Tirreno, a Genova, a Cartagine ea Cirene.

Abbandonati i temi mitologici, il repertorio decora-tivo si orienta progressivamente verso la sfera dionisia-ca o il mondo femminile. L�iconografia delle giovinetteappartenenti al corteo di Afrodite viene pero utilizzataper figure di demoni femminili alati, mentre satiri, sile-ni e centauri assumono gradualmente connotazioni fune-rarie in qualità di esseri appartenenti a un mondo �diver-so�. L�iconografia del satiro itifallico è addirittura impie-gata in un caso per raffigurare un demone infernale che,in una scena, colpisce con un martello un uomo cadutoa terra52. Il repertorio è ormai direttamente connesso conl�oltretomba che da un lato appare in modo trasparentenelle figurazioni con il demone Charun (personaggioassente nel repertorio della ceramica italiota), dall�altroin modo piú simbolico nelle rappresentazioni di tipodionisiaco, il cui carattere escatologico diviene ormaipredominante. Charun, in particolare, sembra un perso-

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naggio creato dagli Etruschi quasi come ipostasi dellamorte, contaminando diversi connotati animaleschiappartenenti a esseri mostruosi del repertorio figurati-vo greco53. La destinazione funeraria della ceramica sem-bra dunque prevalente: la religiosità piú diffusa imponenuove tematiche, mentre il carattere di lusso della pro-duzione della prima metà del iv secolo, legata alla sferasimposiaca, viene a esaurirsi.

Direttamente connesse con il mondo funerario sonole scene dipinte sui crateri e sugli stámnoi a figure rosse,usati come contenitori di ceneri, che vengono prodottida un�officina volterrana nell�inoltrata seconda metà deliv secolo per la durata di due generazioni circa. Mentrelo stile appare inizialmente derivato dalla scuola dei pit-tori di coppe chiusini, i temi figurati, piú complessinella fase piú antica (Herakles in lotta con il mostromarino, i pigmei che combattono le gru), mostrano inseguito un dichiarato carattere funerario. La superficiedel vaso accoglie addirittura il �ritratto� simbolico deldefunto che viene rappresentato con la sola testa, di pro-filo, nella quale si avverte una generica designazione,come nei piú antichi canopi, della fisicità distrutta dalrito crematorio. Nonostante lo scadimento qualitativo,fra la fine del iv e gli inizi del iii secolo è questa una delleattività artistiche che ha maggior successo nell�Etruriasettentrionale: oltre che nel territorio di Volterra, i cine-rari di questo tipo si diffondono in Emilia, nel territo-rio aretino, a Chiusi, Perugia e perfino in Corsica54.

L�attenzione data alla testa umana come elementodecorativo ritorna, pur se con significato diverso, anchenella produzione vascolare dell�Etruria meridionale. Leteste femminili, in particolare, risalgono a un gusto chesi afferma dopo la metà del iv secolo a. C. nella ceramicaitaliota. I rapporti con la contemporanea ceramografiadell�Italia meridionale rimangono però abbastanza tenui,tranne che per un gruppo di vasi definiti «campaniz-

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zanti», prodotti da una vera e propria filiale di un ate-lier campano che influenza soprattutto le fabbriche cae-retane55: è evidente, pertanto, che l�acquisizione di pro-dotti provenienti dall�esterno, numericamente cosíridotta, non può sostituire l�attività delle officine loca-li, che coprono il fabbisogno interno. Le recenti scopertedi tombe ad Aleria, sulla costa tirrenica della Corsica,dove è da presumere l�esistenza di un fondaco etrusco,dimostrano che la presenza della ceramica a figure rossedella Campania è minima in percentuale rispetto a quel-la etrusca56.

Piú complesso è il percorso stilistico di altri artigianiche lavorano in qualità di incisori nella fabbricazione dioggetti che interessano il mundus muliebris: specchi eciste bronzee.

Numericamente assai cospicui gli specchi vengonoconsiderati un genere di artigianato artistico tipicamen-te etrusco, iniziato già verso la fine del vi secolo a. C.57,ma sottoposto a piú ampia produzione proprio nel iv eiii secolo a. C. L�esecuzione di questi oggetti prevedel�intervento di maestranze specializzate in differenti fasidi lavorazione. Il corpo dello specchio, fuso in unamatrice di terra refrattaria, viene poi decorato dagliincisori e sottoposto a una cottura che doveva facilita-re l�operazione di martellamento e di politura dellasuperficie; il manico a codolo � quando non si diffondel�uso piú economico del manico fuso � viene spesso rive-stito con riporti in osso o in avorio anche decorati58. Ilcorpo della cista, cilindrico, è al contrario ottenuto dauna lamina rettangolare che viene martellata, decorataa incisione e poi congiunta alle due estremità. Sostegnie manici, ottenuti con procedimento a fusione, sono poiapplicati al corpo cilindrico dell�oggetto e al coperchio.

Mentre gli specchi sembrano prodotti un po� ovun-que in Etruria, come documentano i caratteri delle iscri-zioni incise vicino alle figure, le ciste escono prevalen-

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temente da ateliers di Preneste dove fiorisce, dall�ulti-mo quarto del iv secolo a. C., qualche officina diretta-mente dipendente da quelle etrusche. A differenza diquanto accade in Etruria, tuttavia, questo tipo di arti-gianato, nel contesto laziale, assume forse una posizio-ne di maggior prestigio dal momento che non mancanofirme di artisti su entrambe le categorie di oggetti59.

La superficie rotonda dello specchio, fin dagli esem-plari piú antichi, provoca alcune difficoltà all�incisore:quando non si tratta di personaggi isolati, assimilabilispesso alle rappresentazioni dei tondi di coppe dellaceramica figurata, le scene piú complesse derivano infat-ti da modelli rettangolari, forse anche grandi pitture, chedevono essere ridotti nello spazio circolare della super-ficie. Prodotti di una tecnica artigianale che gradata-mente assume il carattere della ripetitività, i tondidivengono l�oggetto precipuo della pratica decorativa,ma l�abilità dell�artigiano non oltrepassa la capacità diinserire determinate tipologie figurative, create per svol-gere funzioni diverse, entro un campo rotondo e neltogliere o aggiungere determinati elementi figurativi.Da un punto di vista tecnico il bulino che disegna l�im-magine è l�unico strumento del mestiere, ed è strumen-to che non permette pentimenti: a differenza di quan-to accade nella ceramica, dove la linea di contorno sigiova dell�apporto del colore, qui è solo la linea a svol-gere una funzione espressiva, dal momento che i trat-teggi interni o le zone puntinate hanno un ruolo deltutto secondario60. La pratica artigiana tende a compor-re le figure rispetto a un asse centrale che coincide conil diametro verticale del tondo: di qui è possibile enu-cleare un canone figurativo proprio a questa industriaartistica che, assieme alla qualità del disegno, puo for-nire in qualche modo un metro di giudizio.

Il repertorio figurativo è vario: nel suo nucleo piúconsistente comprende temi legati alla mitologia e all�e-

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pica greca, mentre piú scarse sono scene con saghe loca-li61. La prevalenza di Minerva o di divinità della cerchiadi Afrodite e di Dioniso è legata in qualche modo alcarattere tutto femminile degli oggetti. Anche il ciclotroiano, preferito ad altri temi eroici, presenta spesso l�e-pisodio del giudizio di Paride; soggetti piú rari sono avolte chiariti da didascalie esplicative, fra le quali spic-ca quella iscritta entro cartiglio su uno specchio conl�immagine di Hera che allatta Herakles. Se comunquelo scopo prevalente di questa attività artigianale è quel-lo decorativo, il motivo iconografico può divenire in uncerto senso secondario e alcune volte può svuotarsi deltutto del suo significato originario per assumere un ruolodi puro significante: questo spiega la presenza entrodeterminati campi figurati di personaggi che apparten-gono ad altre �famiglie� iconografiche o di identichefigure passe-partout che svolgono una funzione soloriempitiva e nulla aggiungono al significato della rap-presentazione.

Nonostante la quantità di questi oggetti, di cui nonè priva alcuna collezione museografica a caratterearcheologico, la mancanza di dati di scavo, che potreb-bero fornire indizi di carattere cronologico, obbliga spes-so a fondarsi su elementi subiettivi come quelli dell�in-dagine stilistica62. A recenti prese di posizione, che vor-rebbero far terminare con il iii secolo la produzione, sicontrappongono alcune evidenze archeologiche che por-tano a collocare gli specchi del tipo piú tardo, priviormai di ogni qualità, anche nel ii secolo a. C.63.

Tenendo comunque presenti quei criteri di giudiziodi cui si diceva dianzi, legati alla qualità del disegno eal gusto della composizione, è possibile distinguere nellamassa della produzione, in tutto il suo sviluppo, artigianiche assimilano consapevolmente le esperienze figurati-ve piú avanzate della grafica contemporanea e altri cheinvece ripiegano su una produzione piú di routine dipen-

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dendo da modelli di incisori piú dotati. In questo sensoil confronto con la ceramica figurata, in particolar modocon i medaglioni interni delle coppe, sembra istruttivo:nella prima metà del iv secolo la serie migliore si inseri-sce negli esiti stilistici del tardo manierismo o si affidaa un disegno nitido, inteso nella tradizione parrasiana,come puro gioco di linea che suggerisce volumi; dopo lametà del secolo il gusto cambia a favore di un linguag-gio piú ornato nel quale la combinazione di tecnichediverse (linea di contorno, tratteggio, fondo puntinato,motivi decorativi ottenuti con piccoli punzoni) suggeri-sce effetti cromatici64. La complessità delle scene, la ric-chezza di arredi e vesti, lo sfarzo delle cornici, costitui-te da elementi vegetali, da animali in lotta, da testeuscenti da cespi di acanto, richiamano le esperienzedella ceramica tarantina di stile �ornato�, del venticin-quennio successivo alla metà del secolo65, quasi assentiinvece nella ceramica etrusca a figure rosse contempo-ranea, indirizzata verso una produzione di piú largoconsumo. Come nei grandi vasi apuli, destinati agli ipo-gei gentilizi dell�aristocrazia dei centri ellenizzati del-l�Apulia, anche in questi oggetti lo stile prescelto sem-bra distinguersi per un fasto sovrabbondante. È proprioin questo momento che possiamo porre gli inizi dellaproduzione laziale, tradizionalmente assegnata a Prene-ste, una produzione il cui standard non sembra poimolto alto, tranne che in alcune ciste in cui la superfi-cie cilindrica del corpo è decorata da scene delle perdu-te megalografie magnogreche66: il processo di riduzioneda un grande modello avviene qui piú facilmente, doven-do il decoratore adattare sulla superficie uno schema ori-ginariamente rettangolare. I temi figurati piú impegna-tivi, rivelano, come la ceramica apula di stile �ornato�,notevoli connessioni con le rappresentazioni drammati-che. Non ci troviamo però di fronte a una reinterpreta-zione locale dei testi letterari dal momento che deve

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essere avvenuta una trasmissione diretta di modelli figu-rativi dalla Magna Grecia.

L�unico artista che firma una cista, il già ricordatoNovios Plautios, viene considerato di origine campana,ma non sono da sottovalutare, proprio perché egli è atti-vo a Roma, i rapporti fra il mondo etrusco-laziale e laPuglia che culminano in eventi cronologicamente moltoravvicinati come la fondazione della via Appia nel 312a. C. e il trattato fra Roma e Taranto nel 303 a. C.67.Dati questi di indubbia importanza anche per com-prendere la pittura e la scultura contemporanea, di cuisi dirà fra poco. Certo è che la stessa produzione pre-nestina, dopo il momento iniziale di grande livello, cadrànel corso del iii secolo in formulazioni stilisticamentesciatte, che allenteranno sempre di piú i loro rapportiformali con i modelli di origine, in analogia a quantoaccade in un�altra produzione tipicamente prenestina,quella dei busti funerari in pietra, nella quale può esse-re seguito assai piú concretamente il declassamento dellaforma artistica68.

4. La pittura funeraria nel IV secolo a. C.

Una volta fissati, attraverso l�esame dell�artigianatoartistico, gli orientamenti di stile che emergono nel corsodel iv secolo a. C., possiamo rivolgerci con maggior fidu-cia alla grande pittura. Si è constatato, pur in una gene-rale tendenza allo scadimento della forma, già avvertibi-le nella seconda metà del secolo, come i ceramografi e gliincisori, forse per il differente ruolo che hanno le loroopere nella circolazione dei prodotti, obbediscano a ten-denze non del tutto omogenee stilisticamente, ottenen-do sul piano qualitativo risultati discontinui.

La grande pittura ha un carattere decisamente piúepisodico rispetto al periodo precedente, nonostante il

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iv secolo costituisca un momento in cui nuove espe-rienze tecniche ed espressive alimentano nella lettera-tura artistica greca interventi polemici, in particolare sulcarattere illusorio che assume nella pittura la realtà con-creta. L�eco che abbiamo di queste tendenze �illusioni-stiche� nella pittura etrusca della prima metà del iv seco-lo a. C. è piuttosto attutita; finché non si maturanoattorno al 350 a. C. le grandi esperienze delle scuole pit-toriche di Corinto e Sicione, la pittura rimane ancora undisegno colorato. Le innovazioni tecniche che si susse-guono in Grecia, note piú dalle fonti scritte che da quel-le figurate, offrono un puntuale supporto cronologicoper la pittura etrusca; anche il contemporaneo sviluppodi stile nella ceramica figurata, delineato precedente-mente, condiziona il nostro discorso sulla megalografia.

Le tombe dipinte, ridotte di numero, sono divenuteormai appannaggio della ristretta classe dirigente deicentri urbani, che predilige sempre di piú temi celebra-tivi, inserendo la tradizionale iconografia del banchettonel mondo dell�aldilà ma alla presenza delle stesse divi-nità infernali, Ade e Persefone, di eroi delle saghe gre-che o, ancora, di antenati, che partecipano direttamen-te alla cerimonia. L�ambiente è dunque di tipo �eroico�e i riferimenti indicano che la visione della vita nell�al-dilà, anche se funestata dalla presenza di mostri infer-nali, è fortemente influenzata dall�ideologia gentilizia.Di ciò dànno conto anche le iscrizioni dipinte vicino aipersonaggi, nelle quali ricorrono spesso, oltre ai nomipersonali, anche le titolature magistratuali.

La nuova interpretazione degli affreschi della tombadell�Orco I di Tarquinia, stilisticamente connessa con laprima generazione dei ceramografi falisci69, accentua ilcarattere �onorario� della decorazione, tutta finalizzataall�apoteosi della coppia banchettante raffigurata nellanicchia di fondo. L�iscrizione apposta vicino all�uomoinforma della sua carriera politica, che ha raggiunto il

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vertice della praetura Etruriae; una delle due figure digiovinetti che si trovano davanti al letto tende verso dilui uno scudo iscritto, una sorta di insegna concessaglidalla comunità pubblica per i meriti speciali conseguitiforse nella famosa spedizione armata contro Siracusa inaiuto degli Ateniesi70.

Piú grandioso, sempre a Tarquinia, è l�impianto dellatomba degli Scudi, nella quale, come nel caso prece-dente, appare anche l�iscrizione con la data di fonda-zione del monumento funerario71. La disposizione inter-na � una grande camera sulla quale si aprono tre stanzecon porte e finestre � condiziona con i suoi intervalli ilgrande fregio figurato, il primo esempio di grande pit-tura direttamente connesso con l�esaltazione della fami-glia. Dai lati della parete d�ingresso partono due corteidistinti che si dirigono verso le pareti laterali della came-ra, cortei che accompagnano i defunti nell�aldilà, dovetroveranno i parenti premorti. Larth Velcha, il fondato-re della tomba, è preceduto da due littori e seguito daun giovinetto, che reca sulla spalla una sella curule, e dadue suonatori; davanti al corteo è la figura della moglie,che lo accoglie assieme a una coppia di avi. Negli spazisuccessivi della parete due coppie distinte sono rappre-sentate a banchetto: la prima raffigura i genitori di LarthVelcha, l�altra lo stesso titolare della tomba, assiemealla sua compagna, integrato ormai nel banchetto fami-liare che si svolge nell�aldilà. Sopra la sua immaginecorre una lunga iscrizione, purtroppo frammentaria, chefornisce al lettore indicazioni relative alla sua carrierapolitica e alla sua prosapia. L�altra parte del corteo, chesi svolge lungo la parete sinistra, sembra composta pre-valentemente da personaggi femminili estranei alla gensproprietaria dell�ipogeo, ma evidentemente imparenta-ti con questa; essi si dirigono verso una coppia di ante-nati, seduti, che le iscrizioni identificano con quelli giàrappresentati a banchetto nella parete di fronte. Unici

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elementi figurativi che indicano il carattere funerario ditutta la rappresentazione sono due genietti alati, dipin-ti sulle finestre della parete di fondo, uno con un mar-tello, l�altro con un dittico nel quale è dipinta l�iscrizionerelativa alla fondazione della tomba.

Le pitture continuano, in modo piú schematico, nellacontigua camera di fondo, con un fregio continuo discudi sui quali � come anche sugli stipiti delle porte,sulle finestre e, comunque, negli spazi lasciati liberidella camera principale � sono state dipinte successiva-mente iscrizioni relative ad altri membri della famigliamorti in prosieguo di tempo.

Il monumento riveste dunque un interesse di prim�or-dine per comprendere quale fosse, proiettata nel mondoinfero, l�ideologia gentilizia: il defunto entra nell�aldilàcon tutti i connotati che lo qualificano socialmente e,anche nel mondo dei morti, non è allontanato dal suonucleo sociale di appartenenza. Per la classe aristocrati-ca, in altri termini, la tomba è un luogo nel quale si per-petua una mentalità specifica, concretandosi in partico-lare nel culto degli antenati. La famosa descrizione deifunerali di aristocratici romani fornita da Polibio (VI53), occasione nella quale intervenivano anche gli avipremorti, attraverso le loro maschere funerarie portatedai parenti viventi, e la stessa sacralità che hanno aRoma i parentes, per i quali esistono culti appositi, pos-sono costituire un plafond adeguato anche per il mondoetrusco del iv secolo a. C. dove abbonda una documen-tazione antiquaria ed epigrafica al proposito72.

Tre tombe dipinte scoperte nella necropoli di Sette-camini a Orvieto rafforzano questa convinzione73. Nellatomba Golini I il defunto arriva in carro, accompagna-to dal demone femminile con il rotolo in mano e vieneincluso nel nucleo familiare degli avi premorti, rappre-sentati a banchetto. Distesi a coppie su quattro klínai,sono anch�essi distinti da un�iscrizione dipinta, che

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riporta la genealogia completa e le cariche pubblicherivestite, ma partecipano a un evento cerimoniale alquale assistono anche Ade e Persefone seduti. Lungo ilsettore sinistro delle pareti corre un lungo fregio conscene di carattere strettamente domestico: carni appe-se, la cucina, il forno, il tavolo con le brocche e le coppe,servitori affaccendati realizzano il quadro dei prepara-tivi per un banchetto importante, animato dalla pre-senza di animali domestici che sbucano un po� dapper-tutto. Un�atmosfera piú solenne caratterizza invece lealtre due tombe, in una delle quali le fasi della parten-za, del distacco e dell�arrivo del defunto nell�oltretom-ba, che viene ammesso a partecipare al banchetto degliavi dopo una purificazione, sono rappresentati in suc-cessione continua.

La diversa qualità dei monumenti non permette dicoinvolgerli in un discorso del tutto unitario. Nelle pit-ture orvietane, ormai poco apprezzabili per il loro statodi degradazione, i tentativi di scorcio non sono molti,la maniera pittorica si basa sulla linea di contorno e ilchiaroscuro a tratto si limita a dettagli riferiti al pelamedegli animali, come nell�anfora a figure rosse rinvenutanella stessa tomba Golini, databile poco dopo la metà deliv secolo a. C.74.

Nella tomba degli Scudi, al contrario, la grassa lineadi contorno, stemperata a volte da velature che sottoli-neano gli incarnati femminili, orienta verso uno stile chetende a dilatare la materia pittorica e che, pur nella suacorsività, tiene conto di espedienti piú avanzati: la rea-lizzazione delle teste contrasta molto con il piú con-venzionale rendimento dei corpi o con il colorito esovrabbondante carico delle tavole e delle coperte, quasiche l�ideale fisico, derivato da evidenti modelli post-classici per le donne e da tipi che si elaborano in areamedio-italica per gli uomini � e il confronto con il BrutoCapitolino non ci sembra da scartare �, si concentri

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fondamentalmente nel ritratto75. In questo senso, anzi,la tomba degli Scudi mostra di essere inserita in unakoiné che coinvolge sia l�Italia meridionale � come ciattesta la tomba del Magistrato recentemente scopertaa Paestum, databile attorno alla fine del iv secolo � sial�Italia centrale � si può ricordare il ritratto da San Gio-vanni Lipioni � sia infine le stesse raffigurazioni vasco-lari etrusche: credo che non possa esserci confrontomigliore fra le teste maschili e femminili della tombadegli Scudi e la rappresentazione di una coppia maritalesu un vaso caeretano del terzo quarto del iv secolo a. C.

La concezione della tomba aristocratica come monu-mento onorario, finalizzato alla glorificazione della fami-glia, si arricchisce di contenuti chiaramente politici nellatomba François, scoperta a Vulci in una parte dellanecropoli in cui gli ipogei gentilizi contemporanei sonoper solito sprovvisti di decorazione dipinta, ma moltoricchi di iscrizioni. Come nella tomba degli Scudi l�am-biente centrale, architettonicamente elaborato, nondoveva assolvere la funzione di cella funeraria quantopiuttosto di vestibolo: la decorazione dipinta che copri-va le pareti assumeva quindi un carattere esplicitamen-te commemorativo76. Il programma figurativo degliaffreschi, molto complesso, ha una sua logica interna chesi concreta in una serie di relazioni fra le diverse zonefigurate, disposte in pannelli nei settori delle pareti chefiancheggiano i vani delle porte che immettono nellecamere funerarie, e in fregio continuo nell�ambiente difondo. La scelta di Nestore e Fenice, i �saggi� dei poemiomerici le cui figure sono dipinte isolatamente ai latidella porta laterale di sinistra, ha probabilmente unarelazione con le immagini dei loro pendants ritratti sullaparete destra, il fondatore della tomba, Vel Saties, e suamoglie. Il vicendevole fratricidio di Eteocle e Polinicesullo sguincio di sinistra ha come corrispondente, a

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destra, la lotta sanguinosa fra due personaggi storici:Marce Camitlnas e Cneve Tarchunies di Roma. Il fregiocontinuo che occupa il lato sinistro rappresenta la scenadel sacrificio dei prigionieri troiani in onore di Patroclo,che compare come ombra; è a sua volta a contrasto conuna rappresentazione �storica� derivata da tradizionietrusche rappresentata sul lato destro: tre coppie diduellanti, fra i quali soccombe sempre un personaggioche le iscrizioni designano, oltre che con il nome pro-prio, anche con l�etnico (Volsinii, Sovana e forse Fale-rii) e infine, nell�angolo, un personaggio nudo, che ilnome indica come Macstrna, in atto di liberare dallecatene Caile Vipinas. I duellanti ai quali manca l�etnico,e quindi vulcenti, i cui nomi corrispondono a Avle Vipi-nas, Rasce e Larth Ultnas, vincono sui loro nemici, pro-venienti da altre città, cosí come Marce Camitlnas, chenel duello rappresentato nello sguincio destro del vesti-bolo uccide addirittura un Gneo Tarquinio di Roma. Ilriferimento �storico� appare certo, soprattutto alla lucedi fonti antiche che potrebbero far intravvedere nell�e-pisodio una versione della storiografia etrusca su uno deire di Roma, Servio Tullio, detto anche Mastarna, e suisuoi rapporti con i condottieri vulcenti Celio e AuloVibenna77.

La giustapposizione fra personaggi o episodi del mitoe personaggi o episodi riferiti a una realtà storica nontrova un�adeguata rispondenza nelle pitture che fian-cheggiano la porta d�ingresso alla tomba. Da un latoAiace, personaggio presente anche nel fregio dell�ucci-sione dei prigionieri troiani, aggredisce Cassandra (anco-ra un greco contro una troiana); dall�altro Sisifo compiela sua fatica nell�oltretomba e ha presso di sé un eroedella saga tebana, Anfiarao, la cui identità viene accer-tata solo per la presenza dell�iscrizione con il suo nome.Se il mondo greco è un modello di riferimento per i pro-prietari della tomba (che si rifanno ai �saggi� del mondo

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omerico), la contrapposizione Greci-Troiani potrebbeessere intesa in analogia a una contrapposizioneVulci-Roma: come i Troiani soccombono ai Greci nelrito espiatorio in onore di Patroclo, cosí le città alleatecontro Vulci, fra le quali è anche Roma, simboleggiatada Gneo Tarquinio, vengono sconfitte dai guerrieri vul-centi e dai loro commilitoni78. Il significato politico degliaffreschi si collocherebbe cosí nella realtà storica con-temporanea alle pitture della tomba, eseguite in unmomento di lotte fra Vulci e Roma79.

La disposizione a pannelli nella decorazione del vesti-bolo, con soggetti isolati, nei quali si trovano cicli eroi-ci del mondo omerico mescolati alla rappresentazione diun brano di nékyia (la fatica di Sisifo nell�oltretomba,alla quale assiste Adrasto), attesta come il procedimen-to decorativo fosse basato sulla scelta di temi che pote-vano rientrare in un repertorio comune. Una rappre-sentazione piú completa di nékyia si ha ad esempio nellatomba dell�Orco II a Tarquinia, nella quale erano raffi-gurati vari eroi greci nell�aldilà, quali Aiace, Tiresia,Agamennone, Sisifo, Teseo e Piritoo, dominati dallasolenne presenza di Ade e Persefone seduti in tronodavanti al guerriero tricorpore Gerione. Il tema è quichiaramente preso in prestito da una famosa rappresen-tazione dell�aldilà, forse quella dipinta da Nikias diAtene, attivo attorno al 330 a. C., e ripresa nei grandicrateri funerari apuli della cerchia del pittore di Dario80.I defunti partecipano dunque a un ambiente �eroico� cheli qualifica ancora come personaggi di cultura greca.

È necessario a questo punto accennare a un proble-ma di carattere storico-artistico che coinvolge le duetombe ora ricordate e le inserisce nello stesso ambientein cui sono stati collocati gli esempi piú significatividell�arte incisoria dell�ultimo trentennio del iv secolo81.La maniera pittorica nella tomba François e nella tombadell�Orco II è molto affine: la linea di contorno è accom-

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pagnata da un chiaroscuro denso, ottenuto mediantebrevi pennellate parallele sovrapposte; le capigliaturesono alle volte a boccoli, leggermente baroccheggianti,come nella ceramica apula di stile ornato; i volti sonospesso di tre quarti, leggermente piegati verso il basso,come nello stile del ceramografo apulo chiamato pitto-re di Dario; gli scudi sono di scorcio; abbondante èl�ombreggiatura. Il linguaggio, decisamente pittorico, siè emancipato da una concezione puramente disegnativa:la forza del modello, anche nelle sue implicazioni stili-stiche, risalta assai bene nella scena della tomba Françoiscon i prigionieri troiani, dove i demoni etruschi Charune Vanth, chiaramente aggiunti, hanno un impianto for-temente disegnativo rispetto al resto delle figure82.

Mancando i grandi originali della pittura tarantina,l�attenzione può essere rivolta ai partiti ornamentali.Nella tomba François, ad esempio, elementi come ilmeandro prospettico, ottenuto con il sussidio di ritoc-chi bianchi che sottolineano gli spigoli in sporgenza, suiquali batte la luce, e il fregio con animali in lotta deri-vano chiaramente dalla ceramica apula della metà del ivsecolo a. C.83. C�è dunque un aggiornamento notevolenella tecnica e nello stile che non può prescindere dalleesperienze dell�Italia meridionale.

Ma l�esito piú evoluto della padronanza degli effettichiaroscurali, non piú ottenuti attraverso il tratteggio,ma mediante la composizione e la giustapposizione degliimpasti cromatici, si riscontra in alcune tombe tarqui-niesi che già si pongono nell�orizzonte del primo elleni-smo. L�accentuazione degli elementi pittorici in senso�realistico� è il riflesso di una tecnica a macchia nellaquale si evidenzia un�innovazione propria della pitturagreca della seconda metà del iv secolo a. C.: lo splendor,l�aggiunta di un lumen, di una pennellata di bianco,cioè, là dove si immagina l�incidenza del raggio di luce(Plinio, Naturalis historia XXXV 29), espediente ben

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noto alla ceramica suddipinta greca, italiota e dell�areacentro-italica84. Gli affreschi della tomba Giglioli di Tar-quinia esprimono meglio di altri queste novità tecni-che85: gli oggetti dipinti sulle pareti, armi e insegne,sembrano forniti ciascuno di una sorgente di luce pro-pria, ma il problema della rappresentazione prospetticaviene risolto unitariamente nella realizzazione dell�in-clinazione dei chiodi, volti tutti a destra o a sinistrarispetto all�asse della parete centrale. L�aggiunta dellumen interessa le superfici in cui si riflette la luce, men-tre in altre tombe, forse piú tarde, coinvolge anche gliincarnati86.

La decorazione della tomba Giglioli appare signifi-cativa anche dal punto di vista contenutistico: attornoalla camera sono disposte casse di sarcofagi con scenedipinte di contenuto demonologico, ma sulle pareti bian-che spiccano scudi, corazze, elmi, spade, schinieri, inse-gne, strumenti musicali per la battaglia o per il trionfo.Oggetti che sono appesi illusionisticamente, quasi a crea-re l�effetto di una sala d�armi e a esprimere anche un�i-deologia della città-stato che si evince soprattutto negliemblemi degli scudi: la testa di cinghiale e la livella,presi a prestito dalla contemporanea monetazione inbronzo di Tarquinia87. Il motivo delle armi appese nellatomba ha una storia piuttosto precisa nel primo elleni-smo, dal momento che sembra preferito dall�aristocra-zia militare macedone. In qualità di simbolo diretta-mente connesso al rango, esso si diffonde nell�Italiameridionale, interessando le tombe dipinte di Egnaziae di Paestum e si trasmette anche in Etruria, nelle cittàdella costa, a Caere e Tarquinia. La tomba Giglioli è l�e-sempio piú cospicuo di questa tendenza e l�esibizioneattraverso gli scudi di simboli direttamente connessi conlo stato può far pensare che i committenti abbiano inqualche modo voluto accennare ad avvenimenti �stori-ci�: nel 308 a. C. fra Tarquiniesi e Romani si stipula

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infatti una pace di quarant�anni e sarebbe suggestivointerpretare nelle armi appese, ormai inutilizzate, unriferimento a questo evento preciso.

Nel corso del iv secolo a. C. la pittura tombale è dive-nuta dunque una manifestazione esclusiva e per talemotivo la mentalità dei committenti appare piú chiaradi quanto non accada in età precedente. In ogni ciclodecorativo essi tendono a sovrapporre al mondo ultra-terreno le proprie prerogative di classe; dopo il 350 a.C. interviene poi, in maniera piú o meno esplicita, latendenza a esaltare avvenimenti �storici�. Anche a Romarisulta che un membro della gens dei Fabii, nel 304 a. C.dipinse nel tempio della Salute un avvenimento storico(Plinio, Naturalis historia XXXV 19; Dionisio d�Alicar-nasso, XVI 6) e non molto piú tardi un sepolcro deiFabii viene decorato con una serie di affreschi che cele-brano gli stessi avvenimenti, riferiti alla seconda guerrasannitica88. Le città etrusche del Meridione, alla sogliadi entrare definitivamente nell�orbita romana, si mostra-no strutturate socialmente per gruppi gentilizi, dai qualipromana un�ideologia direttamente legata al rango e allestesse imprese politiche che rientrano nella gestionedello stato affidata alla nobilitas.

Lo sviluppo della maniera pittorica, d�altro canto,mostrando un progressivo distacco dalle esperienze pura-mente disegnative, pone questo momento della storiaartistica del iv secolo in modo non diverso da quantoabbiamo visto per la pittura dell�ultimo trentennio delvi secolo a. C. Se confrontiamo anzi la qualità, la tema-tica e l�indubbio interesse compositivo della pittura tom-bale etrusca � alla quale doveva corrispondere anche unapittura di carattere urbano contemporanea, di cui abbia-mo scarsissimi frustuli89 � con quella pestana, potremovedere che le tendenze sono le stesse. Anche le tombea cassone dipinte di Paestum, grazie alle recenti sco-perte, rivelano dalla metà del iv secolo a. C. un ade-

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guamento della tecnica pittorica alle esperienze che siriflettono nella ceramica apula90: l�influenza di Taranto,come centro di mediazione culturale fra il mondo grecoe l�Italia centrale, è divenuta dunque predominante.

5. Problemi della scultura: l�influenza di Taranto e l�a-rea medioitalica.

Documenti di notevole rilievo per comprendere l�in-fluenza di Taranto in Etruria possono ritenersi anche lesculture decorative: in questo caso il supporto non provie-ne, come per le megalografie, da modelli ricostruiti attra-verso l�artigianato artistico, ma da originali veri e propri.

La produzione artistica a Taranto nella seconda metàdel iv secolo interessa diversi settori dell�artigianato:officine di toreuti che realizzano vasellame sbalzato,con un ricco repertorio decorativo di chiara improntapostclassica, che viene esportato nella stessa Magna Gre-cia o nel Lazio, ma anche in aree �barbariche� assai piúdistanti, dove viene accumulato nelle tombe; botteghedi ceramografi che aggiornano la tecnica pittorica a figu-re rosse o reinventano, con risultati molto efficaci sulpiano della pittura �compendiaria�, la tecnica a suddi-pintura; attività di scalpellini che organizzano una pro-duzione di scultura funeraria a rilievo particolarmenteimportante91. Una produzione che nel suo complesso èben ancorata all�arte attica del iv secolo a. C. e il cuiconsumo è diretto non solo verso la pólis, ma ancheverso i ceti eminenti dell�Apulia piú ellenizzati.

Momento culminante di questa attività è l�arrivo diLisippo, dopo il 323 a. C., che esegue uno Zeus colos-sale per l�agorá e un Herakles per l�acropoli, ambedue inbronzo, opere che siglano il prestigio di Taranto nellalega italiota92. Sono commissioni volute dall�autoritàpubblica e rivolte all�artista ufficiale di Alessandro

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Magno che devono aver comportato alcuni cambiamen-ti nel contesto artistico locale, nonostante gli orienta-menti già ben individuabili. Particolare significato assu-mono i rilievi funerari in pietra tenera la cui produzio-ne, stando agli studi piú recenti, si colloca dalla secon-da metà del iv secolo al primo ventennio del iii secoloa. C.93. Dalle centinaia di frammenti conservati si evin-ce che gli scalpellini tarantini elaborano un linguaggioparticolarmente eclettico: il tipico �sfumato� dei rilievifunerari attici del iv secolo a. C., il potente dinamismodella scultura scopadea, riflesso soprattutto nel fregio delMausoleo di Alicarnasso, rimangono tendenze stilisticheessenziali anche quando l�intervento di Lisippo nellacultura artistica locale chiarisce il rapporto dinamico fraspazio e figura umana.

In Etruria le testimonianze piú cospicue di sculturefunerarie connotate in questo senso ci provengono daVulci, dove l�arte incisoria degli specchi o le stesse pit-ture della tomba François mostrano contemporanea-mente, come si è già visto, forti ascendenze tarantine.Capitelli con protomi umane figurate, rilievi funerari diincerta collocazione, con soggetti noti alla scultura taran-tina quali l�Amazzonomachia o il ratto delle Leucippi-di, rielaborano chiaramente modelli italioti94. Significa-tivi anche i rilievi dei non molti sarcofagi scoperti inquesta necropoli, difficilmente inseribili in tendenzeunitarie di bottega.

I due sarcofagi bisomi oggi a Boston, con scene diAmazzonomachia e di corteo, a rilievo sulla cassa,rispecchiano in modo abbastanza evidente le tendenzeatticizzanti, ancora della metà del iv secolo a. C., che siriscontrano nei piú antichi rilievi tarantini: panneggileggeri, gruppi di poche figure giustapposte, atmosferaancora aulica, priva di qualsiasi riferimento al mondoagitato e dinamico del rilievo protoellenistico.

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A Tarquinia la decorazione dei sarcofagi, che costi-tuiranno una classe monumentale continua, prodottadalla metà del iv fino al i secolo a. C., appare in unprimo momento piú essenziale, anche nella scelta deitemi. Lotte di animali reali e fantastici, derivati diret-tamente dalla simbologia dei sarcofagi lignei tarantini,sono inizialmente uno dei temi piú frequenti, ma lalotta è spesso sostenuta dai mortali, che combattono congrifoni o con esseri mostruosi: la simbologia funerariadiviene ancora piú chiara quando intervengono i demo-ni dell�oltretomba95.

Depositati nelle tombe a camera, che divengono illuogo di raccolta di monumenti funerari pertinenti aidefunti di una stessa famiglia, i sarcofagi appaiono untipo di sepoltura fra i piú richiesti dalla nobilitas tar-quiniese. Alcuni di essi provengono anche dal Mediter-raneo. Sarcofagi in marmo delle isole dell�Egeo di tipo�architettonico� o con l�immagine del defunto distesa sulcoperchio, il cui circuito distributivo parte da Paro inte-ressando diverse aree del mondo periferico circumelle-nico, giungono anche in Etruria dove la loro accessibi-lità nel contesto locale viene perfezionata attraverso ele-menti decorativi, realizzati anche con immagini pittori-che, che fanno parte del repertorio etrusco96. È solo neidecenni ultimi del secolo che i rilievi dei sarcofagi siindirizzano verso temi piú complessi, con scene preferi-bilmente di battaglia.

Già per i sepolcri dipinti dello scorcio del iv secolo a.C. avevamo ricordato i resti dell�ipogeo romano dell�E-squilino appartenente a un ramo della gens Fabia. Ancheper il tipo di tomba ipogea con sarcofagi due esempiromani, la tomba dei Cornelii e quella degli Scipioni97,famiglie fra le piú in vista della nobilitas, possono servi-re da confronto per individuare il carattere degli ipogeitarquiniesi. Le sepolture romane, pur se piú modesterispetto a quelle etrusche, sviluppano due tipi di sarco-

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fagi noti anche in Etruria: quello �architettonico�, con ilcoperchio a tetto displuviato, e quello ad altare � raris-simo per la verità a Tarquinia, dove si segnala un soloesempio �, derivato probabilmente da modelli sicelioti:l�adesione a questo tipo di modelli, chiara nel sarcofagodi Lucio Scipione Barbato, console nel 298 a. C., rivelaperò un diverso orientamento culturale della nobilitasromana che ancora negli ultimi decenni del iv secolosembrava indirizzarsi verso Taranto.

Sempre Taranto funge da punto di riferimento per leesperienze piuttosto ricche della coroplastica architet-tonica dell�Italia centrale risalenti alla fine del iv seco-lo a. C., esperienze che indicano una rinnovata attivitànei templi maggiori di Caere, Tarquinia, Falerii e Orvie-to nonché nelle stesse città del Lazio (Roma, Lavinio,Antemnae e cosí via).

Purtroppo i resti di questa attività sono notevol-mente frammentari, sufficienti solo a farci rimpiangerela perdita dei cicli decorativi, un�eco dei quali è conser-vata nelle statue appartenenti alla decorazione fronto-nale del tempio urbano in località Scasato a Falerii. Iltempio fu eretto e decorato certamente prima del 241a. C., anno in cui la città fu distrutta dai Romani e tra-sferita in pianura. Difficilmente ricomponibili nella lorounità originaria le statue appartenevano a un santuariodi notevole importanza, situato al centro dell�area urba-na, e seguono nel tempo la placca di frontone del tem-pio dell�Ara della Regina di Tarquinia con i famosi caval-li alati. La notevole importanza che assumono in questadecorazione le figure umane, di cui si hanno riflessianche nella decorazione di un tempio di Antemnae o inuna testa sporadica proveniente dall�area dei santuari diPyrgi, si rivela soprattutto nel carattere eclettico dei tipistatuari, derivati in modo diretto dalla grande sculturadei maestri greci del iv secolo. Il Meleagro di Skopas, il

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ritratto lisippeo di Alessandro Magno, le statue femmi-nili di tipo prassitelico sono i modelli di questa decora-zione frontonale. Le antefisse, eseguite a mano libera,presentano un linguaggio piú caricato, ricco di riferi-menti alla tradizione di Skopas: nelle espressioni deivolti dagli occhi infossati, nella realizzazione libera dellecapigliature sconvolte, nella ricca gamma di posizioniassunte dalle teste, spesso in forte torsione, esse rivela-no ascendenze che si collocano in una tradizione bennota nella Magna Grecia, di cui costituiscono un rifles-so certamente non attutito. La frammentarietà del mate-riale impedisce di cogliere come fosse risolto il proble-ma spazio-figura, che nei rilievi dei sarcofagi appareancora legato a una tradizione disegnativa, ma non v�èdubbio che una soluzione in questo senso doveva esse-re proposta da artefici che mostrano, come i pittori con-temporanei, una notevole predisposizione ad accoglierele novità che giungevano dalla Grecia.

Il rapporto maestranze - committenza privata puòessere chiarito soprattutto dalla plastica votiva, chetrova la sua piú ampia diffusione nell�Italia centrale pro-prio a cominciare dal iv secolo a. C. Le prime esperien-ze di questo �genere� artistico affondano però le lororadici ancora nel v secolo a. C. e paiono un direttoriflesso di un settore dell�artigianato artistico dellaMagna Grecia assai ben documentato fin da età piúantica: il costo stesso di un oggetto votivo in terracottarispetto a uno di bronzo, una volta che le officine deicoroplasti avevano creato una complessa organizzazioneper le decorazioni degli edifici urbani, poteva mettere adisposizione di un pubblico piú vasto oggetti da impie-gare come ex voto.

C�è da dire però che le piú diffuse classi di terrecot-te votive di piccole dimensioni, teste, figure isolate o agruppi, ex voto anatomici, sembrano esplodere in con-comitanza con la diffusione di culti legati a una religio-

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sità �popolare�, nella quale la venerazione è orientataverso divinità della fecondità o, comunque, della mater-nità, e, in epoca piú tarda, verso divinità risanatrici.

La pratica artigianale sulla quale si imposta il proce-dimento tecnico delle terrecotte votive, depositate neisantuari fino a quando, ingombrando per il loro nume-ro, venivano scaricate periodicamente entro fosse sca-vate all�uopo presso il luogo sacro, si basava sugli stessiprocedimenti di lavorazione che già conosciamo per leterrecotte architettoniche. Realizzazione della forma (oprototipo) in terra, da cui vengono tratte meccanica-mente, sempre con l�argilla, matrici in negativo; su que-ste vengono eseguite variazioni rispetto al tipo-base,con l�aggiunta di elementi o con ritocchi a mano libera.Il �positivo�, che si otteneva colando entro la formal�impasto di terra, poteva servire a sua volta comemodello per successive �generazioni� di immagini, malimitatamente al processo di graduale riduzione che esseassumevano per effetto della cottura98. Trattandosi difigure a tutto tondo il procedimento prevedeva nei pezzidi minori dimensioni l�utilizzazione di due matrici, unaper la parte anteriore, l�altra per la parte posteriore, cheerano saldate prima della cottura e adattate anche coninterventi aggiuntivi a mano libera, mentre nelle figuredi maggiori dimensioni gli stampi potevano essere piúnumerosi99. Dopo la cottura la coloritura delle superficiavveniva impiegando gli stessi procedimenti usati nelleterrecotte architettoniche.

In un contesto siffatto, una volta messo in luce ilcarattere �industriale� del procedimento, l�interesse puòessere spostato sulla qualità dei prototipi e sul significatoche essi assumono in relazione al culto.

Le teste isolate, assenti nel mondo greco, assumonouna funzione non trascurabile in un aspetto significati-vo della civiltà artistica etrusco-italica: quello relativo al�ritratto�. Ma, a cominciare dagli inizi del v secolo, i tipi

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rappresentati nelle teste del santuario di Campetti aVeii, probabilmente dedicato a una divinità etrusca assi-milabile a Cerere, seguono per tutto il periodo prece-dente la fase �romana� della città � che inizia con il 396a. C. � indirizzi stilistici peculiari della scultura dell�a-rea tiberina; in particolare essi si attengono agli schemistilistici della coroplastica dell�area falisca e orvietana egiustificano quindi una possibile �doppia attività� deicoroplasti, soprattutto quando lo stesso prototipo vieneimpiegato per antefisse di destinazione architettonica eper teste votive100. Il tipo fisico che si viene affermandonel iv secolo, ben seguibile per l�appunto nelle terrecottevotive, trova riscontri sia nella plastica che nella gran-de pittura.

Il punto di partenza per le teste femminili è offertodalla scultura dell�area tiberina: gli ascendenti sono darintracciare in modelli classici di cui le pitture orvieta-ne o la stessa tomba tarquiniese degli Scudi documen-tano bene la vitalità. Nel corso della metà del iv secolosi afferma un nuovo tipo nel quale la capigliatura, divi-sa al centro, si dispone ai lati del volto in due bande dicapelli a grossi boccoli, mentre il volto ritiene ancora icaratteri classici101. Per le teste maschili il punto inizia-le è sempre l�area tiberina: le immagini barbate di SanLeonardo a Orvieto indicano il modello-tipo sul quale sirielaborano successivamente, ma con poche modifiche,non solo gli ex voto ma anche le teste dei sarcofagi piúantichi, le immagini vascolari e la pittura della secondametà del iv secolo a. C.102.

Questa documentazione, piuttosto diffusa, indica chesi è affermata in Italia centrale una coscienza figurativasulla rappresentazione del tipo fisico che ha una matri-ce originariamente agganciata alle esperienze classiche.Modelli esterni come il ritratto di Aristotele, creatoattorno al 330 a. C., piú volte chiamato in causa, hannoin effetti una validità relativa: il vero mutamento avvie-

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ne infatti solo alla fine del secolo, quando il tipo fisicorappresentato dal ritratto di Alessandro Magno si sosti-tuisce appieno all�ideale classico avvertibile nelle testebarbate103.

Sul piano dello stile la componente locale è ben indi-viduabile proprio nei rapporti interni della forma arti-stica: il volto si presenta come un blocco unico sul qualei dettagli anatomici hanno scarsa presa. Capigliatura ebarba sono invece oggetto di una cura specifica: la capi-gliatura, in particolare, si sovrappone alla testa quasicome aggiunta, senza comporre con il resto un�unitàorganica. Questi connotati si riassumono nella famosatesta bronzea del Bruto Capitolino, opera forse prove-niente dalla stessa Roma, realizzata, come il Marte diTodi o la testa di Bolsena, per fusione a cera perdutasecondo la tradizione bronzistica dell�area tiberina.L�eco classica si è però spenta a favore di una notevolecaratterizzazione dei tratti individuali e la stessa tecni-ca di fusione ha forse favorito la netta separazione fracapigliatura e volto, dove l�aura classica rimane solonella compostezza generale.

Il carattere onorario di questo �ritratto�, apparte-nente originariamente a una statua forse equestre, rea-lizza compiutamente il tono che doveva confarsi al tipofisico della nobilitas nella seconda metà del iv secolo a.C. Esso, infatti, può essere agevolmente inserito in unatradizione che ci è attestata dai ritratti di personaggimaschili dipinti nelle tombe François di Vulci e degliScudi di Tarquinia nonché da quelli scolpiti nei sarco-fagi tarquiniesi della tomba dei Partunu. Il confrontomigliore rimane comunque la testa bronzea da San Gio-vanni Lipioni (Abruzzo), punto di riferimento insosti-tuibile per documentare come tutta l�area dell�Italia cen-trale risulti legata, in questo specifico settore della tra-dizione artistica, agli stessi modelli104.

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1 m. pallottino, La Sicilia fra l�Africa e l�Etruria: problemi storici eculturali, in «Kokalos», xviii-xix (1972-73), pp. 38 sgg.; m. torelli,Elogia Tarquiniensia, Firenze 1975, pp. 56 sgg.

2 Si veda soprattutto a. momigliano, Osservazioni sulla distinzionefra patrizi e plebei, in Les origines de la république romaine, Genève1967, pp. 197-222. Sul problema di plebei ed Etruschi presenti nei fasticonsolari di Roma fra il 509 a. C. e il 486 a. C. cfr. e. gjerstad, EarlyRome, V, Lund 1973, pp. 73 sgg.

3 Si veda ad esempio la ceramica del gruppo «Praxias» (cosiddettadalla firma in greco del pittore etruschizzato arnthe praxias), di produ-zione vulcente (j. g. szilàgyi, in Miscellanea C. Majewski oblata, War-szawa 1973, pp. 95 sgg.).

4 m. cagiano de azevedo, Saggio su alcuni pittori etruschi, in «StudiEtruschi», xxvii (1959), pp. 74 sgg.

5 La relazione preliminare sulla tomba di Karaburun (Licia) è di m.j. mellink, in «American Journal of Archaeology», lxxvii (1973), pp.297 sgg.

6 Su questi problemi: j.- m. dentzer, Aux origines de l�iconographiedu banquet couché, in «Revue archéologique», 1971, 2, pp. 215 sgg.Sui rilievi greci: r. n. thöngesstringaris, Das griechische Totenmahl,in «Athenische Mitteilungen», lxxx (1965), pp. 1 sgg.

7 Le ipotesi sul significato del banchetto sono passate in rassegnada s. de marinis, La tipologia del banchetto nell�arte etrusca arcaica,Roma 1961, pp. 119 sgg.

8 Cfr. ad esempio m. moretti, Nuovi monumenti della pittura etru-sca in Tarquinia, Milano 1966, pp. 197 e 208 (Tombe della Nave e3226).

9 Un gruppo abbastanza omogeneo, da collocare attorno al 460-450a. C. è costituito dalle tombe della Nave, della Pulcella, Querciola I,Lerici 3226 e del Guerriero (cfr., oltre a moretti, Nuovi monumenticit., pp. 197 e 208, per le tombe di piú antica scoperta: f. weege, Etru-skische Malerei, Halle 1921, tavv. 11-13 e f. messerschmidt, in Scrit-ti in onore di B. Nogara, Città del Vaticano 1937, pp. 289 sgg.).

10 cagiano, Saggio cit., pp. 93 sg.; m. pallottino, La peinture étru-sque, Genève 1952, pp. 81 sgg.

11 moretti, Nuovi monumenti cit., pp. 177 sgg.12 m. sprenger, Die etruskische Plastik des V. jahrhunderts v. Chr. und

ihr Verhältnis zur griechischen Kunst, Roma 1972, pp. 19 sgg., 29 sgg.,43 sg. e 49 sg.

13 Cfr. m. torelli, Il santuario di Hera a Gravisca, in «La parola delpassato», xxvi (1971), pp. 55 sgg.; a. w. johnston, The Reabilitationof Sostratos, ivi, xxvii (1972), pp. 416 sgg. Sulla talassocrazia egineti-ca nel decennio 491-481 cfr. m. miller, The Talassocracies, Albany1971, pp. 43 sg.

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14 Per le sculture, cosí come risultano dopo il recente restauro, d.ohly, Die Aegineten. I. Die Marmorskulpturen des Tempels der Afaia aufEgina, München 1976.

15 m. santangelo, in «Bollettino d�arte», 1952, p. 155, figg. 17-18.16 a. della seta, Il Museo di Villa Giulia, Roma 1918, pp. 251 sgg.;

a. andrén, Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples, Lund1940, pp. 461 sgg.

17 Cfr. g. colonna, in «Studi Etruschi», xxxiii (1965), pp. 192 sgg.18 Si confrontino le teste di Ercole da Pyrgi e da Roma (sopra, pp. 100).19 m. pallottino, Torso fittile dal santuario dell�Apollo, in «Annua-

rio Scuola Italiana ad Atene», xxiv-xxvi (1950), p. 74.20 andrén, Architectural Terracottas cit., pp. clxiii sgg.21 Sulla decorazione: g. colonna, in «Notizie degli Scavi», 1970,

supplemento II, pp. 63 sgg. e 80 sgg.22 i. krauskopf, Der thebanische Sagenkreis und andere griechische

Sagen in der etruskischen Kunst, Mainz am Rhein 1974, pp. 40 sgg.23 g. a. mansuelli, La recezione dello stile severo e del classicismo

nella scultura etrusca, in «Revue archéologique», 1968, 1, pp. 73 sgg.24 e. paribeni, I rilievi chiusini arcaici, II, in «Studi Etruschi», xiii

(1939), pp. 201 sg.25 r. bianchi bandinelli, Le pitture delle tombe arcaiche, in Monu-

menti della pittura antica scoperti in Italia, I: Clusium, I, Roma 1939.26 m. cristofani, Statue-cinerario chiusine di età classica, Roma 1975.27 Si vedano: b. neutsch, Der Heros auf der Kline, in «Römische

Mitteilungen», lxviii (1961), pp. 155 sgg.; thönges-stringaris, Dasgriechische Totenmahl cit., pp. 5 sgg.

28 l. vagnetti, Il santuario di Campetti a Veio, Firenze 1971, pp. 166sgg.

29 La statua in questione è pubblicata da santangelo, art. cit., p.154, fig. 16.

30 Cfr. andrén, Una testa fittile etrusca del V secolo, in Dragma Mar-tino P. Nilsson dedicatum, Lund 1939, pp. 12 sgg., p. j. riis, Tyrrhenika,Copenaghen 1941, p. 100.

31 m. santangelo, in «Bollettino d�arte», 1948, pp. 1 sgg.32 f. roncalli, Il «Marte» di Todi. Bronzistica etrusca e ispirazione

classica, in «Memorie della Pontificia Accademia», ix (1973), vol. II;s. haynes, Ein etruskischer Bronzekopf vom Bolsenasee, in «Studi Etru-schi», xxxiii (1965), pp. 523 sgg.; a. j. vostchinina, Statua-cinerarioin bronzo di arte etrusca nelle collezioni dell�Ermitage, ivi, pp. 318 sgg.

33 l. vagnetti, Nota sui coroplasti veienti, in «Archeologia classica»,xviii (1968), pp. 113 sgg.

34 e. paribeni, Di una piccola kore del Museo di Taranto e della scul-tura in marmo in Magna Grecia, in «Atti e Memorie Società Magna Gre-cia», 1954, pp. 69 sg.

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35 Una documentazione di queste opere è raccolta in sprenger, Dieetruskische Plastik cit., pp. 35-41, 47-48 e 57-63.

36 Cfr. oltre, p. 163.37 Cfr., a proposito di Chiusi, strabone, V 226.38 aa.vv., The Ager Veientanus, in «Papers of the British School at

Rome», xxxvi (1968).39 a. d. trendall, The Red Figured Vases of Lucania, Campania and

Sicily, Oxford 1967, pp. 5 sgg.40 Ibid., pp. 194 sgg.41 Su questa classe è ancora fondamentale la classificazione di j. d.

beazley, Etruscan Vase Painting, Oxford 1947, pp. 70 sgg. 42 Il verso suona «Oggi berrò il vino; domani potrò esserne privo».

Sul significato di questi testi da ultimo g. morelli, in «Archeologiaclassica», xxv-xxvi (1973-74), pp. 440 sgg.

43 Canumede, [Die] spater, Cupico, Menerva: nella tomba fu rinvenu-to un vaso gemello, ma senza iscrizioni («Römische Mitteilungen», ii[1887], pp. 231 sgg.).

44 j. d. beazley, Attic Red-figured Vase-painters, Oxford 19632, pp.1419 sg.

45 id., Etruscan Vase Painting cit., pp. 70 sgg.46 id., Attic Red-Figured Vase-painters cit., pp. 1510 sgg.47 e. lepore, in Storia di Napoli, I, Napoli 1967, pp. 172 sgg.48 I vasi falisci provengono in maggior parte dall�agro falisco (Civi-

ta Castellana, Vignanello, Narce, ecc.) con punte notevoli anche aOrvieto (7 esemplari) e rare presenze (1 esemplare) a Chiusi e Caere.È ancora discussa la loro occorrenza nella necropoli di Genova.

49 I vasi del gruppo «Clusium» sono infatti concentrati a Chiusi enella Val di Chiana, con alcune presenze a Volterra e Orvieto.

50 beazley, Etruscan Vase Painting cit., pp. 133 sgg.51 m. a. del chiaro, Etruscan Red-figured Vase-painting at Caere,

Berkeley 1974.52 id., The Etruscan Funnel Group, Firenze 1974, tav. 47.53 Nel mondo greco Caronte assolveva il ruolo di traghettatore delle

anime nell�oltretomba e, come tale, veniva raffigurato nella grande pit-tura (cfr. pausania, X 28.1 sgg.); nel mondo etrusco esso appare piut-tosto come essere polivalente, assumendo funzioni diverse (messagge-ro, guardiano della tomba, psicopompo, demone punitore), nonostan-te l�evidente derivazione dal greco del suo nome (cfr. f. de ruyt, Cha-run, démon étrusque de la mort, Roma 1934).

54 m. montagna pasquinucci, Le kelebai volterrane, Firenze 1968;m. cristofani martelli, in L�Italie préromaine et la Rome républicai-ne, I, Roma 1976, pp. 215 sgg.; l. jéhasse, ibid., pp. 497 sgg.

55 beazley, Etruscan Vase Painting cit., pp. 63 sgg.; del chiaro,Etruscan... at Caere cit., pp. 123 sgg.

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56 2 esemplari campani contro 34 etruschi, secondo le statistiche dij. e l. jéhasse, La nécropole préromaine d�Aleria, Paris 1973, indici, pp.606 sg.

57 Bilanci consuntivi su questa fase della produzione, che è attual-mente la meglio studiata: i. mayer-prokop, Die gravierten etruskischenGriffspiegel arcbaischen Stils, Heidelberg 1967; g. pfister-roesgen, Dieetruskischen Spiegel des 5. Jhs. v. Chr., Frankfurt am Main 1975.

58 Da ultimo s. j. weinberg, Etruscan Bronze Mirror Handles, in«Muse», ix (1975), pp. 25-33.

59 «Novios Plautios med Romai fecid» («Novio Plauzio mi fece aRoma») sulla famosa Cista Ficoroni; «Vibis Pilipus cailavit» («VibioFilippo incise») e «Noci opus L. Valeri» («opera di Noco, schiavo diLucio Valerio») su due specchi (cfr. g. matthies, Die praenestinischenSpiegel, Strassburg 1912, p. 48).

60 Su questi problemi si veda soprattutto g. a. mansuelli, Gli spec-chi figurati etruschi, in «Studi Etruschi», xix (1946-47), pp. 9 sgg. Piúrecentemente d. rebuffat-emmanuel, Le miroir étrusque d�après la Col-lection du Cabinet des Médailles, Roma 1973. Utile, per un primoapproccio, g. a. mansuelli, s. v. Specchio in Enciclopedia dell�arte anti-ca, VII, 1966, pp. 435 sgg.

61 g. a. mansuelli, La mitologia figurata negli specchi etruschi, in«Studi Etruschi», xx (1948-49), pp. 59 sgg.

62 j. d. beazley, The World of the Etruscan Mirror, in «Journal ofHellenic Studies», lix (1949), pp. 1 sgg.

63 rebuffat-emmanuel, Le miroir étrusque cit., pp. 577 sgg.; ma sivedano le tombe di Chiusi e Perugia pubblicate in Caratteri dell�elleni-smo nelle urne etrusche, Atti dell�incontro di studi, Firenze 1977, pp.103-17.

64 Si veda ad esempio lo specchio analizzato dalla rebuffat-emma-nuel, Le miroir étrusque cit., pp. 51-64, ma soprattutto le considera-zioni di beazley, The World of the Etruscan Mirror cit., pp. 8 sgg.

65 In attesa dell�opera di Trendall si può vedere di questo studiosoil bilancio preliminare in Taranto nella civiltà della Magna Grecia, Attidel X Convegno di Studi sulla Magna Grecia, Napoli 1973, pp. 259 sgg.

66 t. dohrn, Aspekte grossgriechischer Malerei, in «Römische Mit-teilungen», lxxx (1973), pp. 26 sgg.

67 g. a. mansuelli, L�incisore Novios Plautios, in «Athenaeum», xlii(1964), pp. 131 sgg.

68 a. giuliano, Busti femminili da Palestrina, in «Römische Mittei-lungen», lx-lxi (1953-54), pp. 172 sgg.

69 Sulla cronologia cfr. a. rumpf, Classical and Postclassical GreekPainting, in «Journal of Hellenic Studies», lxvii (1947), pp. 11.

70 torelli, Elogia Tarquiniensia cit., pp. 45-56.71 Sul valore di questa iscrizione come di altre analoghe: h. rix, in

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Studien zur Sprachwissenschaft und Kulturkunde, Innsbruck 1968, pp.213 sgg.

72 m. pallottino, Il culto degli antenati in Etruria, in «Studi Etru-schi», xxvi (1958), pp. 49-83.

73 Cfr. g. c. conestabile, Pitture murali a fresco e suppellettili etru-sche in bronzo e terracotta scoperte presso Orvieto nel 1863, Firenze1863; d. cardella, La tomba degli Hescana a Orvieto, Roma 1893. Lepitture delle tombe scoperte nel 1863 furono staccate, ormai ridotte apochi frustuli (cfr. l. borrelli, Il distacco delle tombe Golini I e II diOrvieto, in «Bollettino Istituto Centrale del Restauro», v-vi (1951), pp.21 sgg.).

74 Su questi problemi m. marella vianello, Si può parlare di scuo-la orvietana o di tradizione locale orvietana nella storia della pittura sepol-crale degli Etruschi?, in «Antichità», i (1947), pp. 1-34.

75 Su questi problemi il lavoro piú recente è di g. hafner, Römi-sche und italische Porträts des 4. Jahrhunderts v. Chr., in «Römische Mit-teilungen», lxxvii (1970), pp. 46 sgg.

76 La letteratura su questo monumento è piuttosto vasta. Qui ricor-do solo, f. messerschmidt, Die Nekropolen von Vulci, in «Jahrbuchdes deutschen archäologischen Instituts», XIII fascicolo integrativo,Berlin 1930. Sulla cronologia della tomba, che una tendenza deglistudi voleva portare al ii o al principio del i secolo, cfr. m. cristofa-ni, Ricerche sulle pitture della tomba François di Vulci. I fregi decorativi,in «Dialoghi di archeologia», i (1967), pp. 186 sgg. Gli affreschi, stac-cati nel 1863, si conservano da tempo a Roma, a Villa Albani, nelmuseo privato della famiglia Torlonia.

77 Piú recentemente su questo personaggio e sulla rappresentazionedella tomba François r. t. ridley, The Enigma of Servius Tullius, in«Klio», lvii (1975), pp. 163-69. Si riportano qui le fonti che interes-sano il personaggio Mastarna.

festo, 486l: «Il Vicus Tuscus fu cosí chiamato secondo alcuni scrit-tori perché fu il sito, a Roma, in cui fu concesso di abitare a quegli Etru-schi che rimasero nella città dopo che il re Porsenna tolse l�assedio,secondo altri perché fu il luogo nel quale dimorarono i fratelli Celio eAulo Vibenna che si recarono a Roma, come si dice, presso il re Tar-quinio assieme a Mastarna» (trad. dal passo integrato da R. Garrucci).

Corpus Inscriptionum Latinarum, XIII 1668 I 17 sgg. (discorso del-l�imperatore Claudio): «Fra questo [Tarquinio Prisco] e suo figlio onipote [Tarquinio il Superbo] � non c�è infatti accordo fra le fonti �va inserito Servio Tullio, se seguiamo i testi latini nato dalla schiavaOcresia, se seguiamo i testi etruschi amico fedele di Celio Vibenna ecompagno di ogni sua avventura. Dopo una serie di avvenimenti, conil restante delle truppe di Celio, espatriò dall�Etruria, occupò il monteCelio, che chiamò in questo modo dal nome del suo condottiero e, aven-

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do cambiato nome (in etrusco si chiamava Mastarna), fu detto ServioTullio e tenne il regno con enormi benefici per lo stato».

78 Un�interpretazione del tutto diversa, conseguente con la suppo-sta derivazione �etrusca� della leggenda dell�origine troiana dei Latini,è quella di a. alföldi, Early Rome and the Latins, Ann Arbor 1965, pp.222 sgg. (la vittoria dei guerrieri vulcenti, eredi di Troia, riscatta l�an-tico massacro). Per un recente riesame delle fonti letterarie e archeo-logiche al proposito, nel quale emergono come dati di notevole interessele scoperte di Lavinio: f. castagnoli, Lavinium I, Roma 1972, pp. 96sgg.

79 Il ruolo di Vulci nelle guerre contro Roma del iv secolo a. C. nonè ben identificabile fino al 356 a. C. Il definitivo trionfo dei Romanisu Vulci è registrato dai Fasti sotto l�anno 280 a. C.

80 Sull�iconografia di questi vasi � non sulla loro classificazione sti-listica � si può vedere a. winkler, Die Darstellungen der Unterwelt aufunteritalischen Vasen, Breslau 1888.

81 Cfr. p. 166 sgg.82 f. messerschmidt, Probleme der etruskischen Malerei des Helle-

nismus, in «Jahrbuch des deutschen archäologischen Instituts», xlv(1930), pp. 64 sgg.

83 cristofani, Ricerche cit.84 p. moreno, Il realismo nella pittura greca del IV secolo a. C., in

«Rivista dell�Istituto di Archeologia e Storia dell�Arte», n. s., xiii-xiv(1964-65), pp. 27 sgg.

85 m. cristofani, Il fregio d�armi della Tomba Giglioli di Tarquinia,in «Dialoghi di archeologia», i (1967), pp. 294 sg.

86 Si veda ad esempio la tomba dei Caronti: moretti, Nuovi monu-menti cit., illustrazioni alle pp. 299 sgg.

87 m. cristofani, Problemi iconografici ed epigrafico-linguistici dellamonetazione in bronzo, in Contributi introduttivi allo studio della mone-tazione etrusca, Napoli 1975 [Roma 1976], pp. 357 sg.

88 f. coarelli, in Roma medio-repubblicana, catalogo della mostra,Roma 1974, pp. 200-8.

89 Si veda ad esempio il frammento di lastra da Falerii: andrén,Architectural Terracottas cit., p. 91.

90 a. rouveret, L�organisation spatiale des tombes de Paestum, in«Mélanges de l�École française de Rome. Antiquité», lxxxvii (1975),pp. 639 sgg.

91 Per un quadro dei problemi: a. adriani, La Magna Grecia nel qua-dro dell�arte ellenistica, in La Magna Grecia nel mondo ellenistico, Napo-li 1970, pp. 73-88.

92 j. dörig, Lysipp letztes Werk, in «Jahrbuch des deutschen archäo-logischen Instituts», lxxii (1957), pp. 19-43.

93 j. c. carter, The Sculpture of Taras, Philadelphia 1975.

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94 Per un inventario di queste sculture: a. hus, Réflexions sur la sta-tuaire en pierre de Vulci après l�époque archaïque, in Mélanges offerts àA. Piganiol, Paris 1966, pp. 665-676. Sulla linea di quanto viene quiespresso è invece lo studio di t. dohrn, Etruskische Zweifigurengruppenach Tarentiner Vorbild, in «Archäologischer Anzeiger», 1965, cc. 377sgg.

95 Per i sarcofagi tarquiniesi cfr. m. pallottino, Tarquinia, in«Monumenti Antichi dei Lincei», xxxvi (1937), cc. 441 sgg.

96 Altre aree interessate al commercio dei sarcofagi in marmo sonoil Mar Nero, Sidone, Cartagine, e, in Italia, Caere, Tarquinia, Spinae la stessa Roma. Si veda m. martelli, Un aspetto del commercio deimanufatti artistici nel IV secolo a. C.: i sarcofagi in marmo, in «Prospet-tiva», iii (1975), pp. 9-17. Il famoso sarcofago delle Amazzoni di Tar-quinia è, ad avviso di chi scrive, un�opera greca importata.

97 Sul problema cfr. soprattutto f. coarelli, Il sepolcro degli Sci-pioni, in «Dialoghi di archeologia», vi (1972), pp. 36 sgg.

98 e. jastrow, Abformung und Typenwandel in der antiken Tonpla-stik, in «Opuscula archaeologica», ii (1941), pp. 1 sgg.

99 Si vedano piú recentemente: m. bonghi jovino, Capua preroma-na. Terrecotte votive II, Firenze 1971, pp. 13-17; vagnetti, Il santua-rio di Campetti a Veio cit., pp. 157-165.

100 vagnetti, Il santuario cit., pp. 163 sgg.101 g. hafner, Frauen- und Mädchenbilder aus Terrakotta in Museo

Gregoriano Etrusco, in «Römische Mitteilungen», lxxii (1965), pp. 41sgg.

102 id., Römische und italische Porträts cit., pp. 46 sgg.103 id., Männer- und Jünglingsbilder aus Terrakotta in Museo Grego-

riano Etrusco, in «Römische Mitteilungen», lxxiii-lxxiv (1966-67), pp.42 sgg.

104 La cronologia del Bruto Capitolino è fra le piú discusse (si oscil-la fra una alta, attorno al 330-300 a. C., qui seguita, e una molto bassa,all�età augustea): cfr. da ultimo w. h. gross, Zum sogennanten Brutus,in Hellenismus in Mittelitalien, Göttingen 1976, pp. 564 sgg.

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Capitolo settimo

L�Ellenismo

Il problema dei rapporti fra attività artistica e livelliideologici della committenza, intesi soprattutto comerisultato di una specifica dinamica sociale � problemache abbiamo cercato di tener presente nelle pagine pre-cedenti �, in questa parte, dedicata all�ellenismo, divie-ne piú complesso. Intervengono infatti in questomomento nuove compagini sociali nell�ambito di chifruisce dell�oggetto artistico, condizionando con la pro-pria cultura sia contenuti che forme espressive. L�arti-gianato, come era accaduto precedentemente nel setto-re ceramistico, tende ad assumere sempre piú un carat-tere �industriale� al quale consegue, in alcuni livelli dellaproduzione, quello che viene definito �declassamento�del bene di cultura.

L�inquadramento storico-politico degli ultimi tresecoli dell�età repubblicana in Italia, pur se utile, nonappare per l�Etruria sufficiente a spiegare la distribu-zione del tutto anomala della produzione artistica. Gra-datamente, dagli inizi del iii secolo a. C. in poi, le cittàetrusche stringono patti di alleanza con Roma; alcune sitrovano private del proprio territorio, ridotto ad «agerpublicus populi Romani», e perdono la propria indi-pendenza politica. Le famiglie aristocratiche, dopo epi-sodi che assumono a volte il carattere di definitivedistruzioni delle comunità politiche di appartenenza �come accade a Volsinii-Orvieto nel 264 o a Falerii Vete-

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res nel 241 a. C. �, vedono come unico scampo un loroinserimento nei ranghi della classe dirigente romana oun�alleanza con Roma, anche per conservare una strut-tura sociale entro la quale i processi di diversificazionedelle classi potevano intaccare un potere che era rima-sto fondamentalmente intatto1.

Il noto passo di Livio relativo agli aiuti che le cittàetrusche fornirono a Roma per la flotta di Scipione l�A-fricano nel 205 a. C. attesta come la seconda guerrapunica avesse coinvolto direttamente anche l�Etruria, icui populi si trovavano ad essere, sia pure in formediverse, a seconda della natura dei singoli patti, forte-mente tributari dell�urbe. E Roma diviene infatti, dopola seconda guerra punica, in un momento di forte ripre-sa economica, il centro dal quale emanano i modelli cul-turali, quando essa si inserisce come interlocutore nelcomplesso gioco delle monarchie ellenistiche2. L�espan-sione economica di mercatores romani e italici diretta-mente legati alla nobilitas romana, impegnati in grosseoperazioni finanziarie in Oriente, dipende fondamen-talmente da una trasformazione dei modi di produzio-ne: le riforme graccane tentano invano di ricostruirequel tessuto di media e piccola proprietà che il regimedel latifondo aveva distrutto, a vantaggio di un ristret-to nucleo di grossi proprietari, in molte regioni d�Italiae anche nell�Etruria costiera. Non è un caso, forse, chePlutarco attribuisca a Tiberio Gracco le prime idee sulleriforme agrarie narrando del suo viaggio verso Numan-zia nel 135 a. C., quando, passando per l�Aurelia, egliriscontrò de visu i campi della costa etrusca abbando-nati, affidati a pochi schiavi di origine straniera. I ter-ritori di Caere, Tarquinia e Vulci risultavano in granparte gestiti da famiglie romane che si erano appropria-te di vaste aree di ager publicus e avevano stanziato nelterritorio, come unità produttive, ville rustiche destinateallo sfruttamento delle colture granarie, con pieno danno

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degli stessi insediamenti coloniali romani di Cosa, Gra-visca e Pyrgi.

Diversa è invece la situazione nell�Etruria internasettentrionale dove, a seguito di lotte sociali posteriorialla seconda guerra punica, avvenute nel 196 a. C., i ter-ritori si popolano fittamente di insediamenti e fattorie,di grandi sobborghi vicino alla città, in cui la produzio-ne agricola assume carattere intensivo e vede come pro-tagonista una classe di lavoratori liberi o di semi-liberi,alla quale si fornisce la possibilità, attraverso concessio-ni vagamente avvicinabili alla colonia, di dar vita a unregime di piccola e media proprietà, precedentementeassente.

Se l�età medio-repubblicana aveva coinciso in Roma,come nel resto dell�Italia centrale, con la creazione diuna koiné culturale in cui, soprattutto verso la fine deliv secolo, la produzione artistica aveva assunto aspettisufficientemente omogenei, da Taranto fino all�Etruriapassando attraverso la Campania, con gli inizi del iisecolo a. C. si assiste a una svolta definitiva degli orien-tamenti culturali, che comporta, sul piano della produ-zione artistica, un fenomeno di bipolarità. La nobilitas,quella stessa che amministra il potere attraverso il Sena-to e che è patrona di poeti o gestisce �circoli� culturali,si trova ad essere un forte punto di attrazione per lemaestranze artistiche, greco-orientali e ateniesi. L�atti-vità edilizia di stato, nell�urbe, è affidata ad artisti stra-nieri che giungono con i trionfatori delle guerre com-battute nell�Oriente ellenistico e in Grecia nel primotrentennio del ii secolo a. C.3. Questo continuo afflus-so di maestranze, che compone un tutt�uno con altrecompagini di stranieri che giungono a Roma, dai pen-satori ai letterati fino a gente delle piú diverse profes-sioni, comporta l�innesto di tradizioni di gusto che deri-vano inizialmente dalla cultura del paese d�origine per

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poi confluire in un eclettismo che caratterizzerà soprat-tutto l�ambiente romano alla fine del ii secolo a. C. Maa Roma il rapporto fra committenza e maestranze, pro-prio perché la nobilitas nel ii secolo a. C. è interessataalla costruzione di monumenti a carattere pubblico, sem-brerebbe ripetere, in un certo senso, il vecchio rappor-to pólis-artigiano piuttosto che il rapporto �privato� com-mittente-artigiano, tipico del mondo ellenistico. D�altrocanto quei settori della produzione che in Italia aveva-no in un certo senso anticipato questo secondo tipo dirapporto (la ceramica figurata, la toreutica, l�arte inci-soria) vengono a cessare del tutto, perdendo questo tipodi artigianato qualsiasi carattere �artistico� e divenendofondamentalmente bene d�uso legato a processi di pro-duzione industrializzati4.

L�utenza dell�oggetto artistico è dunque orientataprevalentemente verso la direzione pubblica, mentremanca quasi del tutto quella privata, tranne a ricono-scere, nell�ambito locale, riflessi evidenti delle tenden-ze dell�arte ufficiale in monumenti funerari apparte-nenti alla classe dirigente, come nel sepolcro degli Sci-pioni o in quello della via Tiburtina5.

L�arrivo di artisti dall�Asia Minore dopo la battagliadi Magnesia (190 a. C.) e di maestranze dalla Greciapropria dopo la battaglia di Pidna (168 a. C.) comportaanche la diffusione di una cultura fortemente intellet-tualistica come quella microasiatica e, sul piano dellaforma artistica, libertà espressive precedentementeassenti. Sul piano del contenuto si delinea in un certosenso una predilezione per la rappresentazione rara,connessa con determinati intenti celebrativi, il cui signi-ficato doveva spesso attenere a un livello simbolicoabbastanza alto.

Le decorazioni fittili dei grandi frontoni templari,solo ora accettati in Italia, sono indicative al proposito:nei templi di Talamone e Civitalba, legati in maniera

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evidente alle tendenze del �barocco� microasiatico, itemi figurativi frontonali avevano una relazione abba-stanza oscura con gli intenti celebrativi programmatici(le vittorie contro i Galli); solo il fregio, nel tempiettodi Civitalba, chiariva, con la scena di saccheggio di untempio ad opera dei Galli, il carattere del monumento.I templi poliadici di Luni, colonia romana fondata nel177 a. C., univano nei frontoni la rappresentazione delledivinità protettrici della città con l�uccisione dei Niobi-di, forse in relazione con l�avvenuta vendetta di Romanei confronti dei Liguri.

La cultura figurativa, anche per la sua stessa qualità,assumeva temi il cui contenuto simbolico poteva appari-re difficilmente afferrabile e allontanava sempre di piúl�utenza comune respingendola verso livelli �folcloristici�nei quali la rappresentazione, dell�episodio era invece tra-sparente da un punto di vista semantico e la sua realiz-zazione sul piano formale assumeva toni �popolari�6.

Nel gruppo di maestranze greche che si trasferisco-no a Roma è ben documentata la presenza di un�interafamiglia di artisti ateniesi che lavora per tre generazio-ni, a cominciare dal secondo decennio del ii secolo a. C.Notevoli sono altresí i documenti relativi a commissio-ni di interi complessi monumentali, soprattutto nellazona del Circo Flaminio7. Il clima artistico che si vienea formare non è documentato solo dalla scultura inmarmo � in particolare i simulacri di divinità �, nellaquale gli stessi artisti si firmano spesso come Athenaîoi8,ma anche dai caratteri stilistici dei grandi cicli decora-tivi per costruzioni commissionate da comunità pubbli-che in aree dell�Italia centrale che sono legate allo statoromano da rapporti politici.

L�influenza delle maestranze greche si manifesta inol-tre in quel �genere� artistico che sembrerebbe apparte-nere eminentemente alla sfera privata: il ritratto. Maanche in questo caso, e in particolar modo nel ii secolo

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a. C., il ritratto ha un carattere onorario e quindi fina-lità pubbliche. Tanto piú importante ci sembra inserirein questa sede il problema per la nota questione relati-va all��originalità� del ritratto di tradizione �italicoro-mana� nei confronti del ritratto greco9.

Il risultato piú importante di una problematica cheparte dagli studi degli anni �30 è quello di aver isolato neidecenni finali del iv secolo a. C. una tendenza unitarianella rappresentazione del tipo fisico, definita �medio-ita-lica�, come già si disse, che in quest�età si rivela vitalesolo come riferimento ai ritratti �storici�, di ricostruzio-ne, che nelle rappresentazioni monetali si identificano inTito Tazio, Numa Pompilio, Anco Marcio, Giunio Brutoe cosí via. Le fonti di ispirazione dovevano probabil-mente essere statue esistenti a Roma, create attorno allaseconda metà del iv secolo (di cui ci rimane come esem-pio il Bruto), che ritroviamo copiate ancora nel ii secolod. C. nella nota statua di Numa Pompilio dal Foro10. Ladurata di questo tipo di ritratto non è facilmente segui-bile, per la mancanza di documentazione a Roma, nono-stante le fonti letterarie assegnino al iii secolo a. C.numerosi ritratti o statue onorarie riferite a condottieri.Quando in età medio-ellenistica esso riappare, il climastilistico è del tutto cambiato. L�immagine di Tito Quin-zio Flaminino, vincitore del regno di Macedonia nellabattaglia di Cinocefale (197 a. C.), effigiata su uno sta-tere aureo, è esemplata sui modelli dei ritratti dei monar-chi ellenistici. Il cosiddetto ritratto di Ennio, dalla tombadegli Scipioni a Roma, è ormai un esempio di ritrattisti-ca influenzata dall�atticismo.

La documentazione di cui si dispone in Etruria, assaipiú cospicua, copre in modo piú documentato quest�ar-co di tempo fino a quando, attorno alla fine del ii seco-lo a. C., si elaborano a Roma i canoni del ritratto �veri-stico�, derivato, oltre che dalle tendenze realistiche delritratto fisionomico greco del tardo ellenismo, anche

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dall�influenza delle maschere funerarie. Questo nuovotipo di ritratto, che viene recepito agli inizi del i secoloa. C. da tutta l�aristocrazia municipale, va inteso anchecome risultato formale specifico delle nuove compaginisociali che emergono nella nobilitas romana del periodopostsillano.

Questo è dunque il quadro delle tendenze artistichea Roma nel medio ellenismo, basato su fonti letterariee archeologiche che costituiscono una griglia sufficien-te, in cui inserire i monumenti che non sono moltocospicui numericamente.

La documentazione archeologica dell�Etruria, ancheper la sua innegabile abbondanza, assume in questosenso una funzione di verifica per comprendere qualeruolo si debba attribuire alla produzione artistica in unasocietà che, per alcuni aspetti, sembra differenziarsi daquella romana.

1. Roma e l�Etruria: il fenomeno della �bipolarità� nellacoroplastica.

La ripresa dell�attività edilizia nel corso del ii secoloa. C. comporta, a Roma come nelle città etrusche, unosviluppo particolarmente significativo dell�architetturatemplare e della sua decorazione in terracotta: si trattadel momento finale di una tradizione etrusco-italica cheaveva assunto caratteri tipicamente �nazionali� e checederà ormai il posto alle costruzioni in pietra, diretta-mente mutuate dalla Grecia.

Al di fuori di Roma, dove pure l�attività coroplasti-ca è documentata nell�area sacra dell�Argentina, al Celioe sulla via Latina, le costruzioni templari interessanocolonie come Aquileia (fondata nel 181 a. C.), Luni(fondata nel 177 a. C.), Cosa (dove si ha una secondadeduzione nel 197 a. C.) e siti nei quali vengono cele-

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brate vittorie dell�esercito romano contro i Galli, qualiSentino (battaglia del 295 a. C.) o Talamone (battagliadel 225 a. C.). Il rifacimento di santuari urbani inte-ressa, in Etruria, città come Volterra e Arezzo, mentretracce di una plastica architettonica qualitativamentepiú modesta, ma contemporanea ai grandi complessifigurativi, si riscontrano per ora a Vetulonia, Roselle,Vulci, Sovana e Bolsena11. La decorazione, per influen-za diretta dei templi microasiatici, assume in questomomento nuovi elementi strutturali che la differenzia-no dalla tradizione etrusco-italica: i timpani vengonoriempiti di rappresentazioni che occupano tutto lo spa-zio frontonale; i fregi continui, di tipo �ionico�, conscene figurate o semplici motivi ornamentali, vengonomodellati a mano e costituiscono un nuovo spazio per ladecorazione ad alto rilievo. I livelli espressivi mostranodue fondamentali orientamenti: da una parte un lin-guaggio pittorico direttamente collegato a modelli del-l�Asia Minore, dall�altra una prevalente tendenza a ripe-tere quei modelli statuari che troviamo a Roma nelleopere degli scultori attici.

Le decorazioni di Talamone e Civitalba hanno mag-gior interesse in quanto riferibili direttamente all�artedecorativa privata delle città dell�Etruria settentriona-le. Nel frontone di Talamone, ad esempio, si condensauna serie di episodi che i rilievi delle urne funerarie diVolterra, Chiusi e Perugia attestano isolatamente12: alcentro Edipo cieco fra i figli Eteocle e Polinice morti,sostenuti da due personaggi; in alto Capaneo, che salesulle mura di Tebe; ai lati due quadrighe, quella diAnfiarao che sta precipitando in una voragine e quelladi Adrasto che fugge dal campo di battaglia. Nel fregiodi Civitalba appare la scena del saccheggio di un tempioda parte dei Galli con l�epifania di Artemide e Latona,riconnessa a un originale microasiatico che doveva rap-presentare il saccheggio del Didymaîon di Mileto avve-

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nuto nel 277-276 a. C.13. Nei fregi del tempio di Vol-terra dovevano essere rappresentati la caccia al cinghia-le calidonio e, probabilmente, l�Amazzonomachia14.

La stessa scelta delle rappresentazioni favorisce unlinguaggio violento, realizzato con toni �barocchi�, tipi-ci della cultura figurativa di Pergamo degli inizi del iisecolo a. C. Panneggi mossi, scomposti dal movimento,figure maschili nude in forte torsione, con pettoralirigonfi e muscolature evidenziate, teste spesso atteggia-te a sofferenza o a sforzo si inseriscono nelle tendenzedinamico-patetiche della scuola pergamena. L�integra-zione di queste iconografie nell�area etrusco-italica sisegnala per la presenza di figure demoniache femmini-li, assenti nei modelli greci di provenienza, che si cari-cano di un significato simbolico: sono le allegorie di undestino ineluttabile che porta gli eroi alla morte.

L�intervento di questa mentalità si riconosce anchenei frontoni dei due templi del foro di Luni15. Sebbenela comunità lunense appaia fondamentalmente romanae venga ormai esclusa una sua relazione precisa o didipendenza con l�area etrusca, uno dei frontoni, quellocon i Niobidi, accoglieva anche la figura di una Furia,iconograficamente assimilabile ai demoni femminili chepopolano il repertorio dei rilievi delle urne di Volterra.Questo elemento figurativo, che nell�area etrusca faormai parte di una religiosità ampia, a livello popolare,e poteva garantire per questo una piú chiara recezionedel significato del complesso figurativo, manca invecealla decorazione del tempio di via San Gregorio a Romache pure, a ragione, viene considerata come opera dellostesso ambiente culturale16. Le terrecotte di Luni, comequelle di via San Gregorio, mostrano infatti un direttocollegamento con le tendenze espressive di due scultoriattici della stessa famiglia, Timarchides e Polykles, cheoperano a Roma nel secondo decennio del ii secolo a. C.,in particolare per un membro della nobilitas, Marco

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Emilio Lepido. Un personaggio, questo, che fu fra iprotagonisti delle guerre romano-liguri, uno dei fonda-tori della nuova colonia e al tempo stesso uno di coloroche diede maggior impulso all�edilizia e alla scultura didestinazione sacra nel periodo in questione.

Direttamente a Roma e alla corrente atticizzante sicollegano alcuni fregi ornamentali rinvenuti ad Aquileia,a Caere e a Bolsena, queste ultime città dell�Etruriadirettamente dipendenti da Roma � la prima come «civi-tas sine suffragio», la seconda come stanziamento fon-dato direttamente dai Romani per la comunità etruscadella distrutta Volsinii-Orvieto. Teste femminili chefuoriescono da ricchi viluppi di acanto e viticci, eroti checavalcano grifoni marini, rientrano in una sorta di revi-val di esperienze tardoclassiche che si spiegano nellarielaborazione atticizzante.

Le terrecotte architettoniche scoperte ad Arezzo, inuno scarico presso le mura, pertinenti a un tempio dinon grandi dimensioni, attestano che nelle città dell�E-truria settentrionale la componente figurativa pergame-na, nella prima metà del secolo, risulta predominante. Iframmenti pertinenti alle figure frontonali � gli unici perora valutabili, mancando una pubblicazione complessi-va della decorazione � risultano forse l�espressione piúgenuinamente �pergamena� di tutta la documentazioneartistica contemporanea in Italia. Le teste, in particola-re, ricordano stilisticamente l�esperienza dell�altare diPergamo o la stessa impostazione �patetica� del ritrattodi Alessandro elaborato in questa città. Purtroppo nonè possibile identificare il soggetto del frontone, proba-bilmente un episodio di lotta o di guerra, ma l�immagi-ne della furia era anche qui un punto di riferimentosignificativo per lo spettatore.

La documentazione che stiamo analizzando provacome alcuni grandi centri dell�Etruria meridionale

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costiera, in particolare Caere e Vulci, appaiano nel iisecolo quasi esclusi dalle grandi manifestazioni artisti-che di Roma o dell�Etruria settentrionale. Il materialeepigrafico delle necropoli di queste città è sufficiente afarci comprendere la romanizzazione della popolazionegià nei decenni finali del ii secolo a. C., composta da unforte contingente di schiavi liberati cui deve aver corri-sposto, nell�ambito della classe dirigente, una fuga versoRoma: di qui il trasferimento nella capitale di una poten-ziale committenza che ha lasciato ai liberti, spesso di ori-gine straniera, la conduzione delle aziende. Ne consegueche la documentazione artistica è prevalentemente con-centrata nella plastica fittile a carattere devozionale chesi rinviene non solo presso i templi dei centri urbani, maanche in zone isolate del territorio, dove si deve presu-mere l�esistenza di piccoli santuari a carattere rurale,dalle strutture precarie, spesso situati presso sorgenti. Iculti sono ancora in prevalenza indirizzati verso divinitàsalutari alle quali si rivolge maggiormente la religiositàpopolare. I dati di rinvenimento, che nel loro comples-so non sono provvisti di un�adeguata edizione17, non cipermettono, almeno per ora, un discorso esaustivo, cheandrebbe condotto tenendo conto di alcune costantiprecise, riferite non solo ai tipi degli ex voto, ma anchealla loro diffusione diatopica. Teste di devoti, neonatiin fasce, statuette, ex voto anatomici, animali, costitui-scono il repertorio corrente, cui si aggiungono statuet-te bronzee, monete, vasellame, il cui excursus cronolo-gico copre il iii e il ii secolo a. C., se non oltre.

La ripetitività che caratterizza questa produzione fasí che nel ii secolo a. C. ricorra ancora nelle teste il tipo�medio-italico�, vigente alla fine del iv e nel iii secolo a.C.: le teste maschili velate, con i capelli che formano unafrangia in avanti disponendosi a ciocche sinuose, i voltiprognati, con le orecchie distaccate dalla testa e gli occhiapprofonditi, individuano chiaramente la validità, in

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una cultura figurativa devozionale, di piú antichi filoniespressivi. Parallelamente, però, si sviluppano tipi chediscendono dal ritratto ellenistico, dove il modellatoassume caratteri piú sfumati e i capelli si organizzano inmasse piú morbide e leggermente sconvolte.

Eccezionali, in questa categoria di oggetti, sono leteste che si elevano al di sopra di questa omogeneitàripetitiva. Una dalla stipe di Tarquinia deriva chiara-mente dalle tendenze del ritratto �medio-italico� e sipuò datare attorno alla metà del ii secolo a. C. Un�altra,dalla stipe di Caere, realizza invece in modo molto chia-ro gli indirizzi �veristici� del ritratto postsillano: la stes-sa cura con la quale sono resi i dettagli, quasi ad unguem,permettono di considerare questo monumento già roma-no.

Nell�ambito degli ex voto eseguiti a mano emergonoalcune statue a tutto tondo raffiguranti offerenti cheriflettono in maniera evidente il clima della statuariaonoraria, di cui un raro e pregnante esempio ci viene for-nito dalla statua bronzea del cosiddetto Arringatore,dalle rive del lago Trasimeno, datato al 100 a. C.18; nonè improbabile che la testa di Tarquinia si adattasse a unastatua di questo genere.

2. L�area meridionale: Tarquinia.

Negli ultimi decenni del iv secolo il popolamentodell�Etruria meridionale interna aveva trovato un nuovoincremento: la zona che viene tradizionalmente defini-ta delle �necropoli rupestri�, per l�aspetto caratteristicoche assumono le grandi facciate delle tombe scolpitenella roccia, subisce un aumento demografico notevolerispetto al periodo di abbandono generale delle sedi,avvenuto alla fine del vi secolo a. C. Nel territorio diTarquinia, in particolare, i centri situati nell�attuale

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Viterbese si ripopolano fino a costituire insediamenti dientità non secondaria, direttamente collegati con la cittàdalla quale sembrano dipendere: un rappresentante del-l�aristocrazia fondiaria di Musarna si vanta, agli inizi delii secolo a. C., di essere stato �pretore� a Tarquinia19; legentes tarquiniesi dei Caesennii e dei Fulcinii hannovaste proprietà fondiarie nel territorio di Axia, oggiCastel d�Asso20.

Le vie interne, collegate con il traffico tiberino,hanno assunto nuovamente un ruolo primario e, di con-seguenza, i percorsi intermedi, che collegano la costa conl�interno, si ripopolano di insediamenti corrispondentia precise esigenze di transito. D�altra parte la riduzionedell�hinterland vulcente a prefettura romana attorno al280 a. C. e la deduzione di una colonia romana a Satur-nia nel 183 a. C. avevano posto problemi di comunica-zione fra la capitale e questo territorio.

La fondazione consolare della via Clodia, attorno allafine del iii secolo a. C., strada che attraversava tutto ilViterbese collegando Roma con Saturnia e sfruttava per-corsi precedenti, contribuisce allo sviluppo di quest�area,che già nel iii secolo a. C. appariva ben popolata. Nor-chia e Tuscania non sono che centri primari nell�ambitodi un tessuto ricco di aggregati, che vanno da insedia-menti secondari, come Musarna, a piú piccole fattorie ocasolari. Tuscania, d�altra parte, costituiva una tappad�obbligo nell�itinerario che metteva in comunicazioneTarquinia con il lago di Bolsena, mentre Castel d�Assosi trovava al centro di una rete stradale che collegava icentri situati lungo la via Clodia con quelli posti sulla viaCassia, Sorrina e Ferentium21. La situazione politica diquesti centri minori nel periodo che ci interessa fa pre-sumere che essi siano stati legati a Tarquinia: non sispiegherebbe altrimenti la loro successiva inclusione nellastessa tribú romana nel i secolo a. C. Ma è anche veroche molte iscrizioni sepolcrali del iii e del ii secolo di Nor-

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chia e Tuscania ci restituiscono l�immagine di una societàstrutturata per grandi famiglie che detengono le magi-strature locali fino al momento del loro inserimento nellostato romano22. È evidente che lo sfruttamento agricolodelle pianure fu la principale fonte di arricchimento, maè difficile seguire, per lo meno in questo momento dellastoria degli studi, quali rapporti si siano instaurati nelregime di conduzione fondiaria fra gli assegnatari roma-ni e i proprietari etruschi e, soprattutto, in quale modosi sia verificato, anche in questa zona, lo sviluppo dellatifondo. Nel ii secolo a. C. le necropoli dei piccoli cen-tri mostrano una situazione analoga a quella tarquiniese,mentre nel i secolo a. C., come attesta l�orazione Pro Cae-cina di Cicerone, i grandi fondi ad Axia erano in possessosia delle famiglie di maggior prestigio di Tarquinia sia diinfluenti personaggi romani.

Nel massimo polo urbano di questo territorio, Tar-quinia, i dati di rinvenimento non risultano esaurienticome si desidererebbe. Nella necropoli, soprattutto neliii secolo, appaiono chiari due tipi di seppellimento: rarisono i grandi ipogei gentilizi di nuova costituzione �verosimilmente i defunti venivano sepolti nelle tombeche erano state fondate nello scorcio del iv e agli inizidel iii secolo �, mentre si distinguono gruppi di tombecon una struttura interna abbastanza irregolare, ma ordi-nate lungo strade sepolcrali, come a Caere, o tombe acamera con quattro deposizioni nelle quali i corredi ciattestano uno standard medio23. Il materiale epigraficoconferma questa diversità d�aspetti: le iscrizioni dipin-te sulle pareti delle tombe o incise sui sarcofagi prove-nienti dagli ipogei gentilizi rispecchiano una mentalitàche tende ancora a esibire prosapie e cursus honorum,quelle provenienti dai �quartieri� cemeteriali hannoesclusivamente carattere onomastico ma non registranola presenza di personaggi di estrazione servile, a diffe-

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renza di quanto accade nell�Etruria settentrionale24.Entro la ristretta cerchia dei notabili tarquiniesi siaccentua quel fenomeno di endogamia che già si intra-vede nel iv secolo a. C., fenomeno che coinvolge oraanche i signorotti dei centri secondari dell�interno, comeNorchia, Tuscania o Musarna. L�aristocrazia locale,attraverso i rapporti familiari, è capace di conservare ilmonopolio dell�amministrazione pubblica esaltando, finall�interno della tomba, la concezione della progeniefamiliare, connessa a una lunga tradizione, avvertibileanche nel ricorso a grandi iscrizioni dedicatorie che con-densano proprio attorno al ruolo della famiglia, dellagens, il significato stesso del grande ipogeo. Arroccata suprivilegi che derivavano da antichi diritti anche sul pos-sesso della terra, questa classe conserva integra la pro-pria fisionomia fino al momento in cui entra a far partedello stato romano.

La documentazione artistica a Tarquinia e nel suo ter-ritorio non è purtroppo basata su documenti provenientidalle aree urbane. Quanto oggi possiamo valutare risie-de fondamentalmente nelle espressioni figurative atte-state nelle tombe per la cui esecuzione la committenzaimpiega ancora parte delle sue sostanze.

Già nel corso del iii secolo il modello del monumen-to funerario individuale, il sarcofago, si era fissato defi-nitivamente: sul coperchio la figura del defunto era rap-presentata semirecumbente a banchetto; la cassa acco-glieva rilievi solo sulla facciata, limitando il repertorioa motivi decorativi semplici, con animali fantastici inschema araldico25. La successione di questi monumentifunerari, i cui ultimi esemplari, stando a un sarcofago diFerentium, datano attorno al 23 a. C.26, può esseredistinta attraverso lo studio degli elementi dei ritratti,caratterizzati soprattutto nella loro �tipicità� (uomoanziano, adulto o giovane; donna piú o meno anziana,

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abbigliata con minore o maggiore eleganza). Nonostan-te quanto è stato detto a proposito del carattere �reali-stico� del ritratto etrusco-italico, appare in modo evi-dente che nella società e nella cultura etrusca era man-cata quella disposizione mentale, derivata direttamentedalla riflessione filosofica, che portò in Grecia alla for-mazione del ritratto fisiognomico. Lo stesso monumen-to funerario � sarcofago o urna che fosse � rimanevachiuso nell�ambito della tomba, escluso dalla visione deipiú e si opponeva a fini commemorativi di caratterepubblico, rimanendo solo un documento di genericoriferimento a un individuo di cui si salvava l�identitàsoprattutto attraverso l�iscrizione.

Piuttosto rare sono le rappresentazioni mitologichesulle fronti dei sarcofagi. I temi rappresentati concer-nono infatti un repertorio il cui significato è facilmen-te riducibile a due sfere tematiche: il viaggio del defun-to nell�oltretomba, assai spesso provvisto delle insegneche lo caratterizzano come magistrato municipale; scenedirettamente connesse con la vita dell�aldilà, spessoanche violente, come nel sarcofago di Laris Pulena.

L�attenzione va dunque volta alle raffigurazioni deidefunti sui coperchi. Il tipo maschile che si afferma nelcorso del tardo iii secolo a. C. è in seminudità eroica,coperto solo da un mantello. Nel ii secolo si diffondeinvece l�immagine dell�uomo in tunica e mantello cherimane fino alla fine della produzione. Le teste sonocinte da corona; l�ispirazione genericamente �patetica�,con il volto leggermente rivolto in alto, rimane unacostante significativa di tutta la produzione che agliinizi sembra seguire modelli del ritratto pergameno percontinuare con esperienze stilisticamente piú essenzia-li, che accentuano la stereometria del capo. Non sonomolti i casi di �personalizzazione� del ritratto: il sarco-fago di Laris Pulena, personaggio raffigurato mentreapre di fronte allo spettatore un volumen nel quale è

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iscritta tutta la sua prosapia, è l�opera qualitativamentemigliore della serie, che può considerarsi un esito tardi-vo della tradizione �medio-italica�, come si evince dal suoconfronto col famoso ritratto di Fiesole al Louvre.

La povertà espressiva che caratterizza i prodotti suc-cessivi alla seconda metà del ii secolo si inserisce nelloscadimento definitivo delle officine, che produconoormai monumenti nei quali la testa sferica emerge dacorpi appena sbozzati. Si attenua, al contempo, la redi-stribuzione da parte di Tarquinia dei monumenti fune-rari destinati alla piccola aristocrazia dei centri mino-ri, quali Tuscania o Musarna, mentre si afferma proprioa Tuscania una specifica produzione di sarcofagi in ter-racotta che interessa solo marginalmente la clientelatarquiniese27. Le grandi dimensioni obbligano i coro-plasti a eseguire i monumenti in diversi pezzi che ven-gono poi accostati e colorati vivacemente � come delresto i sarcofagi in pietra � usando forse anche matriciper i volti. Il riferimento ai sarcofagi in pietra è all�i-nizio costante: gli esemplari piú antichi, da collocareancora prima della metà del ii secolo, mostrano evidentirapporti con i tipi �eroici� che vengono addirittura nobi-litati attraverso una simbologia dionisiaca, ma prestol�esecuzione a mano libera stimola in un certo sensol�improvvisazione e sfocia spesso nel bozzettismo. Figu-re recumbenti si alternano a figure supine, rappresen-tate a volte in un decoro tutto �paesano�, specie ledonne, che ostentano i loro gioielli da festa. Entro que-sta produzione l�affermazione della tipologia del �vela-to� è un elemento che porta già nel i secolo a. C. e nonc�è dubbio che il �verismo� di alcune teste si possa col-legare alla ritrattistica urbana. La tecnica si è però deci-samente svilita: i panneggi sono fettucce applicate suvolumi corporei privi di consistenza; le scarse decora-zioni sulle casse (ghirlande, un fregio d�armi, serpentimarini) rivelano anch�esse un notevole grado di improv-

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visazione, tutto giocato su sfoglie d�argilla nelle quali siinterviene con stecca e spatola.

Le tombe dipinte di Tarquinia databili attorno al iisecolo a. C. evocano assai meglio l�ambiente che abbia-mo delineato all�inizio.

La camera assume dimensioni particolarmente ampieed è destinata ad accogliere diverse generazioni di queidefunti che si riconoscono nell�ormai cadente sistemagentilizio. I soggetti delle pitture, come quelli dei rilie-vi dei sarcofagi, si riferiscono esclusivamente al mondoultraterreno.

I fregi continui, bassi, si dispongono sulla parte altadella parete. Nelle tombe Tartaglia o del Cardinale essisi svolgono come una sorta di volumen nel quale sonorappresentate scene riferite a momenti precisi della vitaultraterrena: il distacco dai familiari alla presenza didemoni minacciosi, il viaggio a piedi, a cavallo o in carroverso l�oltretomba, la vita stessa condotta negli inferi,spesso resa piú dolorosa dalle sevizie imposte dai demo-ni. La tecnica è quella compendiaria, delle macchie dicolore giustapposte, che si era andata affermando nellaprima metà del iii secolo nelle tombe Giglioli e deiFestoni.

Nell�ambito di un repertorio ormai definitivamentelegato al mondo ultraterreno si pongono anche le tombedei magistrati che privilegiano iconografie riferite chia-ramente alla loro distinzione sociale. Il corteo verso l�ol-tretomba è composto da suonatori che precedono ildefunto, seguito a sua volta dai littori con i fasci. Latomba Bruschi amplia quella tematica che nel iv secoloavevamo già trovato nelle tombe orvietane: i defunti chehanno avuto nel mondo terreno posizioni di prestigionell�amministrazione statale arrivano nell�oltretombaaccompagnati dal corteo; altri giungono semplicementea cavallo, ma sono accolti da uno stuolo di persone che

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le iscrizioni indicano anche con il grado di parentela cheli lega al committente.

Il modello iconografico del corteo del magistratoappare indubbiamente il piú interessante, dal momentoche manca al mondo greco e può reputarsi senz�altro ela-borato localmente. I diversi togati che lo compongono,rappresentati di profilo, assumono nel volto i tratti�patetici� dei ritratti che troviamo sui sarcofagi degliinizi del ii secolo a. C. I demoni che accompagnano idefunti, come nel caso della tomba del Tifone, sonochiaramente aggiunte che mal si adattano alla disposi-zione del corteo. Le immagini dei littori che a volte pre-cedono il defunto e non lo seguono, come avvenivainvece nei funerali dei magistrati romani, inducono aritenere che l�iconografia sia stata creata inizialmentecon fini commemorativi pubblici e che sia stata utiliz-zata, attraverso l�inserimento delle figure demoniache,per l�ambiente funerario, come nella tomba del Tifone28.

I pilastri che sostengono il soffitto delle grandi came-re divengono superfici nelle quali dominano le grandifigure demoniache: un minaccioso Charun nella tombaBruschi, due giganti anguipedi che sostengono la voltanella tomba del Tifone.

Quest�ultima è forse il monumento che rispecchiameglio l�eclettismo dell�ultima stagione della pittura tar-quiniese. I giganti anguipedi alati � fortemente tesi nellosforzo che compiono di sorreggere la volta celeste, indi-cata da un chiaroscuro ondulato � derivano da un model-lo pittorico pergameno da cui originano anche i grandigiganti dell�Ara; la loro compagna, sulla faccia posterioredel pilastro, una divinità alata femminile, molto stiliz-zata, con i piedi terminanti in caulicoli, è una evidentereminiscenza dello stile arcaistico atticizzante.

Il gusto figurativo è dunque aperto a ricevere espe-rienze diverse ma non ne rielabora alcuna, non essendocapace di operare una selezione di motivi e di stile: la

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decorazione pittorica, databile alla metà del ii secolo a.C., riflette il medesimo squilibrio di scelte e di espres-sioni della contemporanea arte romana. Il �quadro� conla scena di corteo, dipinto su una delle pareti, è inveceuna creazione locale e la sua storia iconografica ha amonte, come si è visto, una destinazione che non èfuneraria quanto piuttosto pubblica: si tratta anzi di unadelle ultime creazioni volute dall�aristocrazia etruscache verrà consegnata all�arte romana, dove assurgerà aifasti dei programmi figurativi dell�impero, a comincia-re dal fregio dell�Ara Pacis.

3. L�area settentrionale.

La situazione dell�Etruria settentrionale dopo la guer-ra annibalica appare nettamente differenziata29.

Volterra, nell�età della sua massima espansione, pre-senta una cinta muraria di oltre 7 chilometri che rac-chiude un�area di 256 ettari. Intorno al secondo quartodel ii secolo a. C., sull�acropoli, si assiste a un�opera diristrutturazione edilizia che comporta la costruzione didue templi paralleli, con una decorazione in terracottadi tipo �urbano�, circondati da muri di terrazzamentoche ne accentuano l�imponenza, la cui sistemazioneriflette un gusto urbanistico proprio dell�ellenismo ita-lico e laziale. La distribuzione delle necropoli extramu-rarie è piuttosto estesa e densa, soprattutto a partire daltardo iv secolo a. C., quando esse occupano spazi pre-cedentemente poco utilizzati. Le tombe, scavate soprat-tutto nei secoli scorsi, presentano spesso un numeronon rilevante di deposizioni, con l�eccezione di alcuniipogei, pertinenti a famiglie di rango. La documenta-zione archeologica nella sua globalità permette di fissa-re il culmine dell�aumento demografico in questa cittàsoprattutto nella seconda metà del ii secolo.

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Il territorio politicamente dipendente � i cui confinipossono essere delimitati tenendo conto della circolazio-ne, nel corso del iii secolo a. C., della moneta battuta daVolterra � presenta notevoli insediamenti nella zonacostiera e nella valle dell�Elsa, mentre minori sembrano,almeno per ora, i centri posti sulla valle dell�Era e neldistretto di Montaione. Mentre i centri costieri, Vada eCastiglioncello, risentono piú direttamente dei trafficimarittimi e sembrano aver svolto nei confronti del cen-tro primario un ruolo intermediario nello smistamento diprodotti d�uso, la zona dell�alta valle dell�Elsa presentaaggregati d�altura, situati attorno ai 300-400 metri d�al-tezza. Tutto il distretto faceva capo a quattro centri fon-damentali, individuabili negli attuali comuni di Casoled�Elsa, Monteriggioni, San Gimignano e Barberino, mala presenza di necropoli secondarie fra Casole e SanGimignano mostra che tutto questo territorio, in parti-colare fra la fine del iv e gli inizi del i secolo a. C., dove-va essere intensivamente utilizzato. Convenzionalmente,sfruttando anche le sopravvivenze di età medievali, icentri possono essere definiti �castelli�, nel senso che laloro funzione, nei confronti del centro primario, apparedi tutta dipendenza. In quest�area si individuano raretombe gentilizie a molte deposizioni (che si susseguonoper due secoli circa) nelle quali, come a Volterra, la scrit-tura nei titoli funerari appare del tutto eccezionale. Piúdalla natura delle tombe e dalla qualità dei monumentifunerari � urne in alabastro e in tufo, crateri e vasi acro-mi, eccezionalmente di bronzo � può essere ipotizzata l�e-sistenza di una classe �media� piuttosto ampia, stretta-mente dipendente dal centro cittadino, che dobbiamopresumere impegnata prevalentemente in attività agricolee artigianali, e di una ristretta classe magnatizia, pro-prietaria dei fondi, i cui rapporti con Roma si devonoessere gradualmente intensificati, come prova la storiadella famiglia Caecina.

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Posteriormente alla guerra contro Annibale il terri-torio di Chiusi appare letteralmente costellato di necro-poli costituite per lo piú da piccole tombe a camera o dacorridoi scavati nella roccia con loculi ricavati nelle pare-ti, coperti da una tegola. La carta di distribuzione dellenecropoli rispetto a quelle arcaiche ci permette di sta-bilire che nel corso del ii secolo a. C. si assiste a unaumento dell�80 per cento di siti con resti archeologicirispetto al periodo arcaico (vii-vi secolo a. C.). In con-fronto all�età arcaica, nella quale la popolazione apparearroccata su determinati siti � come nell�area di Ceto-na, Sarteano, Castelluccio di Pienza, Chianciano � erispetto al momento della coagulazione urbana entroChiusi (fine vi-v secolo) assistiamo a una vera e propriadiaspora della popolazione chiusina verso le campagnee verso centri secondari che coincidono solo parzial-mente con quelli di età arcaica, aumentando senz�altrodi numero nelle colline fra il lago di Chiusi e il Trasi-meno, nell�area di Montepulciano e di Città della Pieve.Di questi centri secondari abbiamo finora scarsissimenotizie, ma le necropoli del territorio, salvo alcune ecce-zioni, rivelano soprattutto monumenti funerari di mediaentità, quali urne in tufo con pochi elementi decorati-vi, urne di terracotta eseguite a stampo, vasi cinerari condecorazione dipinta. Circa il 60 per cento di questenecropoli presenta anche iscrizioni funerarie pertinentia liberi, documentando, a differenza di quanto accadea Volterra, quanto fossero diffusi in quest�area l�uso ela conoscenza della scrittura.

Le necropoli dipendono dunque da fitti insediamen-ti sparsi, nei quali erano stanziate, verosimilmente, unitàproduttive a gestione familiare o, in sostituzione di que-ste, servile, dipendenti da famiglie di rango residenti nelcentro primario o nella stessa campagna. Nella secondametà del ii secolo a. C. la diffusione di monumenti fune-rari prodotti in serie, quali le urne in terracotta, che con-

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tinueranno fino alla metà del i secolo a. C. circa, atte-sta la prevalenza massiccia nelle campagne di un cetoalfabetizzato, omogeneo economicamente ma non social-mente: le iscrizioni funerarie ci presentano infatti per-sonaggi liberi e lautni, servi liberati, alcuni dei quali,come prova il loro nome individuale, risultano proveni-re dai traffici di schiavi del Mediterraneo. Il quadro èquello di una serie di aziende agricole di piccole dimen-sioni che si sviluppano proprio nel periodo in cui, versoun pubblico composto da grossi proprietari terrieri, gliagronomi romani, da Catone a Varrone passando per iSaserna, di origine etrusca, teorizzano diversi tipi diagricoltura speculativa.

Non c�è dubbio che il regime di conduzione agricolaattestato in quest�area debba essere ricondotto a unaserie di motivi interni ai rapporti di produzione e all�in-fluenza di determinati modelli �esterni�, contemporaneial periodo in esame. È stato recentemente individuato,nel periodo che va dal 196 (anno nel quale le fonti par-lano di una «rivolta di schiavi» in Etruria) al 186 a. C.(anno del «Senatusconsultum de Bacchanalibus», checomportò forti repressioni di carattere politico-religio-so anche in Etruria), un momento di estrema tensionesociale nel quale si tentano forme di integrazione per leplebi cittadine, escluse dai diritti politici, ma utilizzatecome manodopera dalle oligarchie magnatizie30. L�evi-denza archeologica nel territorio di Chiusi indica, poste-riormente a questo decennio, una sorta di parcellizza-zione del terreno coltivabile, assegnato a quei liberi checostituivano la parte �plebea� della società urbana, par-cellizzazione che può aver avuto a monte il modellodelle assegnazioni coloniali romane contemporanee, chein Cisalpina e in Etruria prevedevano lotti di 5-10 iuge-ri. E i dati relativi all�indice di occupazione del territo-rio individuano per l�appunto quanto ci tramanda Var-rone attraverso il commento di Filargirio alle Georgiche

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virgiliane (II 168): «il sistema di coltivazione era tale chela terra veniva distribuita per parcelle».

Chiusi è in effetti l�area di cui le fonti romane par-lano piú spesso a proposito di prodotti agricoli. Vastedovevano essere le colture granarie, non di prima qua-lità, ma di facile coltivazione; primeggiavano però perimportanza colture di tipo speculativo come le uve pom-peiane che avevano attecchito favorevolmente. La dia-spora nelle campagne nel ii secolo a. C. attestata dai datiarcheologici ci segnala dunque una specie di �rivoluzio-ne� nei sistemi di conduzione agricola, condizionati daun nuovo modo di porre i rapporti di produzione maanche conseguenti una richiesta di beni materiali, comeil vino, che i nuovi sistemi avevano indotto a produrrein sovrappiú.

Il perimetro delle mura urbane di Perugia, come quel-lo di Chiusi, non era molto lungo (circa 3 chilometri), ele necropoli suburbane, stando ai censimenti operati, sitrovavano immediatamente fuori le mura. A poca distan-za dalla città necropoli piuttosto dense nelle localitàPalazzone, Ponticello di Campo, Santa Lucia, PonteSan Pietro, sembrano indicarci veri e propri sobborghi,densamente abitati, disposti secondo la preferenzialedirettrice di comunicazione che è la valle del Tevere.Allontanandoci da questo comprensorio gli insediamen-ti si rarefanno e la maglia dei rinvenimenti si allarga.Anche in questo territorio l�indice demografico salenotevolmente nel ii secolo a. C. inoltrato: nelle necro-poli scoperte nei sobborghi le tombe dimostrano unastruttura familiare piú compatta di quanto non si notinel Chiusino. La diffusione della scrittura prova anchequi la frequenza di tombe pertinenti a liberi, di altre per-tinenti a liberi e a lautni; i personaggi di rango subal-terno sono attestati anzi in maggior numero che a Chiu-si: viene cosí meglio documentato il processo di inte-grazione della classe servile, processo che, stando alle

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urne funerarie, potrebbe datarsi anche qui nella secon-da metà del ii secolo a. C.31. In altri termini la campa-gna perugina, maggiormente legata alla città di quantonon accade a Chiusi, sembra affidata a famiglie di lavo-ratori liberi o servi, di cui non sappiamo se il processodi affrancamento abbia mutato oltre che la posizionegiuridica anche quella relativa ai mezzi di produzione ealla proprietà fondiaria.

La documentazione archeologica ed epigrafica ci per-mette di restituire anche a quest�area un quadro socio-logico nel quale il ceto magnatizio è abbastanza ristret-to mentre assai consistente è la classe di individui inse-ribili in un ceto �medio�. L�emergenza di una tombacome l�ipogeo dei Volumni nella necropoli del Palazzo-ne indica infatti la notevole posizione della famiglia, lacui tomba ricalca planimetricamente disposizioni inter-ne molto piú antiche e i cui monumenti funerari � leurne in pietra stuccata � rivelano uno standard assaidiverso dalla piú comune produzione perugina in tufo.

A differenza di quanto avviene in quei territori neiquali i proprietari romani e la stessa declinante aristo-crazia etrusca, attraverso il sistema di grossi possedi-menti sparsi in diverse località, riuscivano a sfruttare illavoro servile, i dati che abbiamo esposto ci permetto-no di individuare in queste aree un modello economicodiverso dal �modo di produzione schiavistico�, ben visi-bile nell�Etruria meridionale costiera, dal momento cheil regime di colonia organizzata e di relativa autosuffi-cienza delle aziende può considerarsi un risultato inter-no alla trasformazione dei rapporti di classe in questearee, trasformazione che noi stessi, attraverso l�epigra-fia sepolcrale che ci documenta una progressiva eman-cipazione della popolazione rurale, riusciamo a cogliere32.

Attorno al 90 a. C. intervengono le leggi e le propo-ste di Druso relative a una nuova redistribuzione delleterre e alla equiparazione dei diritti degli italici a quel-

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li dei cittadini romani. Gli Etruschi sembrano i maggiorioppositori di questi provvedimenti e le fonti ricordanoun loro intervento a Roma contrario a queste disposi-zioni. La campagna di Chiusi, infatti, agli inizi del ivsecolo a. C., risultava fertile ma spopolata, in mano dipochi nobili (Livio, V 36.3); il ripopolamento delle cam-pagne era dunque l�esito di rivolte sociali che la nobili-tas non riusciva piú a sedare. Di conseguenza i provve-dimenti di Druso si configuravano come la trasforma-zione di un sistema che i grandi proprietari etruschi e lapopolazione rurale, ormai integrata in questo sistema,non dovevano vedere di buon occhio. E non è un caso,infatti, che dopo la lex Julia municipalis, che concedevaanche agli Etruschi la cittadinanza romana, i territori diChiusi e Perugia mostrino un notevole spopolamento.

In un quadro socio-economico cosí differente rispet-to all�Etruria meridionale è chiaro che anche la produ-zione artistica ha svolto un ruolo completamente diver-so.

Piú volte si è accennato ai monumenti funerari tipi-ci di questa zona, le urne funerarie, che possono esseredefinite una vera e propria manifestazione di arte �dimassa� nel senso che la loro ampia diffusione, la tecni-ca stessa di esecuzione, riconducono a una produzione«artigiana e di lavoro esercitato in piccole botteghe»,secondo un�intuizione felice di K. O. Müller espressa finnel lontano 1828. Questa produzione, che soddisfa unarichiesta limitata nel tempo (iii-i secolo a. C.) e ambitigeograficamente definiti (i territori di Volterra, Chiusie Perugia), solo in rari casi rivela un possibile regimeconcorrenziale fra le botteghe situate nei diversi centri.

Arte di �massa� si è detto, ma nel caso specifico, tran-ne che nella produzione perugina, non troviamo unpeggioramento della qualità artistica, bensí la nascita diuna tradizione artistica, particolarmente elevata a Chiu-

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si e Volterra, che si emancipa agli inizi del ii secolo a.C. da una precedente assai meno rilevante; il suo svi-luppo e la sua diffusione possono solo dimostrare con-cretamente la maggiore disponibilità da parte di unampio nucleo di persone ad acquisire determinati beniartistici. In questo senso le analisi da compiere per illu-strare questa produzione, anche per l�indubbia consi-stenza dei monumenti, che ammontano a diversemigliaia, privilegiano sia le maestranze, nel dupliceaspetto della loro formazione e della loro organizzazio-ne, sia i committenti che, appartenendo a livelli socia-li differenziati, erano forniti di una diversa cultura�mentale�.

Le urne venivano lavorate separatamente: i coperchirappresentavano il defunto recumbente a banchetto, lecasse venivano decorate a basso rilievo, su tre lati e, nelprosieguo della produzione, nella sola facciata.

La serie dei coperchi, dislocata in un arco di tempoche va dal iii al i secolo a. C. presenta come a Tarqui-nia figure caratterizzate nella loro �tipicità�. La distri-buzione dei coperchi nel tempo individua praticamentele stesse tendenze che abbiamo visto nei sarcofagi tar-quiniesi: da una produzione che tende a evidenziarealcuni caratteri patetici, agli inizi del ii secolo a. C., sipassa al ritratto improntato direttamente a quello per-gameno, con il defunto in seminudità eroica. Le cassesono provviste prevalentemente di motivi decorativi iso-lati, di derivazione ellenistica, già presenti nell�artigia-nato artistico del tardo iv secolo33. Intorno al 180 a. C.circa i coperchi qualitativamente piú alti, realizzati inalabastro sia a Chiusi che a Volterra � ma la produzio-ne di Chiusi sembra precedere leggermente quella vol-terrana � esibiscono il defunto nel pieno del suo fasto edella sua ricchezza che vengono espressi attraverso gliattributi. È in questo momento che il rilievo sull�urnaassume toni narrativi, derivati da modelli disegnativi

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ellenistici o improntati a una tematica demonologica opsicagogica (quella stessa che abbiamo riscontrato neisarcofagi e nelle pitture tarquiniesi), che trova, in areasettentrionale, ricchi precedenti nel patrimonio figura-tivo delle stele felsinee34.

Mentre i temi figurativi, nonostante le differenze dibottega, rimangono fissi, la realizzazione delle figure sulcoperchio cambia tipologia e anche orientamento distile. I caratteri di questo progressivo adeguamento allaritrattistica romana sono meglio seguibili a Volterra35. AChiusi, infatti, alla metà del ii secolo la produzione diurne fittili, attestata da esemplari che potremmo consi-derare prodotti �unici�, tende a massificarsi: l�attività deicoroplasti, che pure aveva portato a prodotti di indub-bio rilievo, come il famoso sarcofago di Larthia Seiantio la pregevole ma meno nota urna da Bruscalupo delWorcester Art Museum36, utilizza ormai procedimentidi riproduzione meccanica mediante matrici37. A Peru-gia gli intagliatori di travertino non sembrano all�altez-za degli ateliers volterrani: da un punto di vista espres-sivo la loro cultura non si emancipa da uno standard ditipo �folcloristico�.

Studi estremamente puntuali hanno messo in rilievoche a Volterra, attorno alla metà del ii secolo a. C., pren-dono il sopravvento schemi fissi nei quali il defuntoappare, come a Tarquinia, vestito di tunica e mantello;i modelli dei ritratti ricalcano ormai il classicismo dellacapitale, assumendo come tipo fisico fondamentale ilgenere che a Roma è attestato attraverso il ritratto delcosiddetto Ennio, genere che viene abbandonato soloalla fine del secolo. Accogliendo la tipologia del �velato�,il ritratto si adegua poi ai canoni �veristici� del princi-pio del i secolo a. C. e solo in prosieguo di tempo, con-temporaneamente ai diversi indirizzi che assume laritrattistica tardo-repubblicana a Roma, le tendenze�patetiche� riemergono in concomitanza con i ritratti

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del primo triumvirato. I rilievi delle casse, per contoloro, fornendoci un ricco repertorio iconografico che vadalle rappresentazioni di alcuni miti greci o locali a quel-le di cerimonie o eventi funebri fino a episodi della vitapubblica e privata, con il costante riferimento al carat-tere ineluttabile dell�evento � indicato, come sui fron-toni dei templi, da demoni o da altri personaggi delmondo ultraterreno � offrono all�indagine tutto unmondo di simboli che va ancora indagato per scoprire lamentalità o le credenze dei committenti. La simbologia�trasparente� che appare nei rilievi relativi alle scenecollegate con l�oltretomba, comprese quelle con viaggiodel magistrato38, diviene sempre piú oscura nei casi deirilievi con soggetto mitologico. Se, ad esempio, il rattodi Proserpina o il rapimento di Elena ad opera di Pari-de ripropongono, sia pure in senso �colto�, il momentodel distacco dalla vita, i temi legati al ciclo troiano, aquello odissiaco o a quello tebano, sembrano esulare,almeno per ora, da un rapporto chiaro con il mondofunerario. I criteri di interpretazione delle scene si sonobasati finora su diversi ordini di grandezze; in partico-lare le fonti letterarie � e fra queste ha prevalso, per lomeno a livello di soggetto, la contemporanea tradizionedella tragedia latina � e le fonti iconografiche. La diffi-coltà maggiore sta nello scoprire il nesso che lega soggettiprobabilmente noti alla committenza � che si dimostraampiamente ellenizzata � anche attraverso la risonanzache essi avevano a livello teatrale, con le vicende realicui si riferiscono o con la relazione simbolica con l�aldilà.

A Volterra, ad esempio, oltre il 50 per cento di que-ste rappresentazioni esibisce temi della mitologia greca,mentre il resto rientra nella tematica locale, demonolo-gica e psicagogica. Non c�è pertanto una prevalenza diun repertorio su un altro, quanto una sorta di integra-zione fra modelli di derivazione ellenistica e modellilocali.

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Se, in seconda istanza, ci rivolgiamo al piano dell�e-spressione, sorgono anche qui diversi problemi.

Ancora a Volterra elemento determinante per rico-struire il costo di un�urna è il materiale stesso con ilquale è stata eseguita: l�alabastro, piú costoso, o il tufo.Una valutazione globale della produzione porta a con-cludere che i rilievi pertinenti alle iconografie �greche�sono eseguiti per l�80 per cento in alabastro, percentualeche si abbassa al 40 per cento per i rilievi provvisti ditematiche �locali�.

Questi dati hanno una loro incidenza nel discussoproblema circa una produzione �colta� e un�altra �popo-lare� nell�ambito delle urne volterrane. Tendenza pre-valente sarebbe quella di riferire le urne di piú strettadipendenza dalla cultura figurativa ellenistica, realizza-te in alabastro, alla produzione �colta�, mentre le altre,di artigianato corrente, realizzate in tufo, alla produ-zione �popolare�, quella stessa che si ritrova in aree peri-feriche e che costituirà il terreno preparatorio alleespressioni artistiche tardoromane.

Tranne forse le urne perugine, quelle di Chiusi eVolterra non vanno però considerate nella problemati-ca dell�arte del mondo italico municipale (quella defini-ta, come �plebea�), ma nel contesto stesso dell�arte elle-nistica. Non esistono, infatti, nei rilievi delle urne diVolterra e Chiusi quei caratteri distintivi, sia iconolo-gici, sia formali, che si trovano su monumenti funeraridell�area sabellica nell�età della tarda repubblica o degliinizi dell�impero39. È evidente, infatti, che in quest�area,sia a livello di strutture mentali, sia a livello di praticaorganizzazione delle maestranze, mancavano quella tra-dizione e quella consuetudine con la produzione artisti-ca che da tempo si erano instaurate in Etruria. Nell�a-rea etrusca, inoltre, la presenza di una cultura artistica�urbana� dalla quale dipendevano ormai le stesse popo-lazioni rurali � cultura da contrapporsi a quella �rurale�

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dell�arte italica, dove prevalgono strutture insediative ditipo paganico-vicano �, aveva già portato da tempo allaformazione di una committenza educata alle esperienzeformali dell�arte greca.

Da queste considerazioni discende che il problemaartistico delle urne va considerato nell�ambito dell�i-dentica dinamica di formazione dell�arte romana del iisecolo a. C. Differenza notevole è comunque l�esisten-za di una massiccia documentazione di monumenti per-tinenti alla classe �media� nei quali l�oggetto artistico si�degrada� nella misura in cui cultura figurativa dellacommittenza e concreta realizzazione degli oggetti daparte delle maestranze si allontanano dal �modello�greco. Le urne qualitativamente migliori con rappre-sentazioni ispirate al repertorio greco-ellenistico e leurne di livello piú modesto, con rappresentazioni loca-li, individuano infatti due livelli di committenza. Ilprimo si orienta verso una cultura ellenizzante, il secon-do verso un mondo figurativo che si esprime attraversocontenuti che definiamo di origine �locale� proprio per-ché trovano il loro precedente nel iv secolo a. C. nellestele di Bologna. Rappresentazioni relative al viaggiodell�aldilà, al �congedo�, sono un precedente di rilievonella simbologia delle urne volterrane e attestano unmodo di concepire la morte legato a credenze vitali giàin età piú antica, che avevano trovato un terreno ferti-le in Etruria e avevano raggiunto, a quest�epoca, livellianche piú bassi. L�élite si dirige verso temi che espri-mono la propria cultura, la classe �media� � quella di arti-giani, piccoli proprietari, di liberi lavoratori, che si pos-sono permettere l�acquisto di un monumento funerariosiffatto � è ancorata a contenuti tradizionali. Fannoeccezione a questo proposito proprio le urne fittili diChiusi prodotte a stampo dove prevalgono due temi: lalotta fra due guerrieri armati che si trafiggono vicende-

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volmente alla presenza dei loro �geni�, due demoni fem-minili alati, e la lotta di un personaggio nudo che bran-disce un aratro contro un gruppo di guerrieri. Mentre ilprimo tema appare una chiara riduzione di una rappre-sentazione molto nota, quella del duello fra i figli diEdipo, Eteocle e Polinice, il secondo appare nuovo: sudi esso si è esercitata gran parte dell�esegesi antiquaria,a cominciare dal Winckelmann, che volle vedervi ilriflesso di un famoso dipinto della Stoa Pecile di Atenedove era rappresentato un eroe della battaglia di Mara-tona, scomparso misteriosamente dopo la vittoria, checombatteva con l�aratro40. Se prevediamo comunque unariduzione del significato originario dei due contesti figu-rativi a livello di quello che poteva essere l�ambiente difruizione, socialmente ben definibile, potrebbe prende-re corpo l�ipotesi di vaghe allusioni alle lotte socialiavvenute all�inizio del ii secolo, nelle quali l�aratro costi-tuisce l�arma di offesa.

Si sovrappongono, pertanto, due piani differenti:quello ideologico e quello stilistico-qualitativo. Il livel-lo artigianale che unifica tutti questi prodotti indurreb-be a inserire la produzione delle urne nell�ambito diun�arte privata, destinata e richiesta da una larga classemedia, con una capacità d�acquisto pressoché uniforme,legata a credenze tradizionali e da un�élite piú ristretta,con capacità d�acquisto maggiore, partecipe di una vitaspirituale che richiede simbologie piú complesse e cheaffida l�esecuzione dei monumenti a maestranze piú qua-lificate, legate anch�esse alla routine artigianale. Da unpunto di vista figurativo non si viene pertanto a creareuna cultura artistica coscientemente diversa, mentre sulpiano del contenuto la simbologia è a due livelli diffe-renti (uno della classe �media�, rurale e cittadina, di cuifruiscono in parte anche componenti della classe genti-lizia, l�altro esclusivamente gentilizio) che esprimonouno status sociale diverso.

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In questo senso il fenomeno può definirsi ben aggan-ciato all�arte ellenistica se essa è caratterizzata, come siè detto, da una funzione �privata� del prodotto e da unprocesso di riproduzione �industriale�41.

Considerate unitariamente, le urne rappresentanodunque un fenomeno artistico di massa, che non haconfronto in età precedente. Due distinte componentidevono aver permesso la loro larga diffusione: il costo� evidentemente accessibile � e il valore psicologico cheil monumento, cosí concepito, assumeva nei confrontidei consumatori. Una tradizione di questo genere, nataforse inizialmente per pochi committenti, deve aver poistandardizzato, con l�aumento della richiesta, certe espe-rienze che nella prima metà del ii secolo trovano espres-sioni qualitativamente alte42. Lo stadio della produzio-ne di massa si colloca, tanto a Volterra come a Chiusi,fra la metà del ii e la metà del i secolo a. C.

È nell�ambito di questo periodo che vanno ricercatitipi dell�organizzazione delle botteghe artigiane. Il crite-rio attribuzionistico, largamente usato in questi ultimianni43, è utile per ricostruire la dinamica di produzione diquesti monumenti, ma non può essere fine a se stesso.

Al 180 a. C. si fa risalire per Volterra l�introduzionedel rilievo narrativo a carattere mitologico. Le compo-sizioni assumono un equilibrio formale rigoroso, da rilie-vo continuo, che contrasta con le composizioni centri-fughe del rilievo chiusino. I modelli espressivi derivanodirettamente dal barocco asiatico, fortemente caratte-rizzato in senso coloristico. Dalla metà del secolo, inconcomitanza con quanto avviene a Roma e con quan-to avviene nella stessa Pergamo nel famoso fregio diTelefo, compreso nell�altare, gli orientamenti sembranoprediligere quelle intonazioni atticizzanti, classicistiche,che si diffondono anche nei fregi dei templi dell�AsiaMinore. La tendenza �barocca� sembra concentrarsi su

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esperienze di derivazione rodia, sulle quali andrà anco-ra approfondito il discorso44.

Nel i secolo a. C. le tendenze espressive da una parteschematizzano iconografie già note in fase precedente,dall�altra si connotano in senso decisamente neoatticiz-zante, in particolar modo da parte delle poche mae-stranze che producono ancora temi di notevole impe-gno45.

I laboratori degli artigiani dovevano essere stanziatiprevalentemente nelle città e ad essi si dovevano rivol-gere i committenti dei centri minori. Le cave di alaba-stro gessoso, nel Volterrano, erano situate nell�alta valledell�Era e nell�alta valle del Cecina; nel Chiusino, dovela qualità è assai diversa, di tipo calcareo, si dovevanotrovare particolarmente lontano. Non esistono elementiesterni per attribuire a centri del contado la produzione:i casi di opere non rifinite sono assai rari e la genericitàstessa dei �ritratti� (tranne quelli pertinenti a famigliemagnatizie), impediscono di pensare, come nel caso deisarcofagi di marmo pario del iv secolo a. C., che le urnevenissero rifinite sul posto, dopo il trasporto, da artigia-ni vaganti. Alle officine sinora individuate è stato attri-buito un numero modesto di urne, non oltre i ventipezzi, sí che potremmo senz�altro attribuire a quest�at-tività una conduzione parafamiliare. Il numero non rile-vante dei temi iconografici rappresentati sulle casse fa síche altrettanto poco numerosi dovevano essere i model-li di tradizione disegnativa. Tali modelli dovevano farparte di un repertorio grafico abbastanza diffuso (iden-tici schemi compaiono ad esempio, pur se non frequen-temente, a Volterra, Chiusi e Perugia)46, che derivavaprobabilmente da quel processo di riproduzione cui anda-vano soggetti nell�ellenismo i libri illustrati47. Diversimomenti di un ciclo mitologico � le storie dei Sette aTebe, di Pelope e Ippodamia, di Ulisse � dovevano farparte di un unico �quaderno� da cui venivano scelti sin-

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goli temi. Questo procedimento veniva usato anche peril repertorio a carattere demonologico: i diversi momen-ti dell�addio ai congiunti, del viaggio a cavallo, dell�arri-vo nell�oltretomba, facevano probabilmente parte all�o-rigine di un volumen illustrato � quello che vediamo sro-tolato sulle pareti dipinte delle tombe Tartaglia e del Car-dinale di Tarquinia � le cui vignette potevano commen-tare il contenuto di quei libri Acherontici etruschi, rela-tivi alla vita dell�aldilà, di cui parlano gli autori latini.

Il lavoro dell�artigiano consisteva essenzialmente neltrasferire questi diversi temi nel rilievo della cassa: que-sto procedimento di riproduzione era evidentementecondizionato dalla tradizione di bottega, dall�educazio-ne delle maestranze, dalle loro stesse capacità. Le varia-zioni apportate al modello iniziale (riduzione, inseri-mento di personaggi passe-partout negli spazi vuoti, ele-menti accessori) dipendono appunto dalla personalitàdell�artigiano, che operava una scelta combinando unaserie di elementi che aveva a disposizione.

In questo senso l�attività degli scalpellini poteva con-siderarsi pienamente inserita nella tradizione ellenistica:carattere �industriale� della produzione, derivata damodelli che circolavano nel mondo contemporaneo,diretto rapporto con la committenza, che poteva sce-gliere il monumento funerario tenendo presente sia ilsoggetto rappresentato, sia la stessa qualità della realiz-zazione, indicano in quest�ultimo e importante aspettodella produzione artistica in Etruria il momento finaledi partecipazione a un fenomeno culturale che avevainvestito tutto il Mediterraneo.

1 Su questi problemi: m. torelli, Senatori etruschi della tarda repub-blica e dell�impero, in «Dialoghi di archeologia», iii (1969), pp. 285-363e w. v. harris, Rome in Etruria and Umbria, Oxford 1971.

2 Su questi problemi si vedano i contributi raccolti negli atti di

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diversi colloqui che qui si segnalano in ordine di tempo: Roma e l�I-talia fra i Gracchi e Silla (Pontignano, giugno 1969), in «Dialoghi diarcheologia», iv-v (1971); Hellenismus in Mittelitalien (Göttingen,giugno 1974), Göttingen 1976; Caratteri dell�ellenismo nelle urne etru-sche (Siena, aprile 1976), in «Prospettiva», supplemento I, Firenze1977.

3 f. coarelli, Classe dirigente romana e arti figurative, in Roma e l�I-talia fra i Gracchi e Silla cit., pp. 249 sgg.; p. gros, Les premières géné-rations d�architectes hellénistiques à Rome, in L�Italie préromaine et laRome républicaine, I, Roma 1976, pp. 387 sgg.

4 j.-p. morel, Céramiques d�Italie et céramiques hellénistiques, inHellenismus in Mittelitalien cit., pp. 471-97.

5 f. coarelli, Arte ellenistica e arte romana: la cultura figurativa inRoma fra II e I secolo a. C., in Caratteri dell�ellenismo cit., pp. 35 sgg.

6 r. bianchi bandinelli, Arte «plebea», in «Dialoghi di archeolo-gia», i (1967), pp. 7 sgg.

7 coarelli, Classe dirigente romana cit.8 Sul valore delle firme: a. giuliano, La cultura artistica delle pro-

vince della Grecia in età romana, Roma 1965, pp. 45 sg. 9 Tutto il problema è ora trattato da p. zanker, Zur Rezeption des

hellenistischen Individualporträts in Rom und in den italischen Städten, inHellenismus in Mittelitalien cit., pp. 581-609. Lavoro precedente a que-sto al quale sembra ancora necessario attingere è quello di b. schweit-zer, Die Bildniskunst der römischen Republik, Weimar 1948. Importanteè anche la voce Ritratto di R. Bianchi Bandinelli, in Enciclopedia del-l�arte antica, vol. VI, 1965, pp. 716 sg. che sintetizza quanto lo studiosoera andato elaborando sul problema.

10 Sul problema: m. bieber, The Development of Portraiture onRoman Republican Coins, in Aufstieg und Niedergang der römischen Welt,I, 4, Berlin - New York 1973, pp. 875-79. Sul �ritratto� di Numa Pom-pilio: c. anti, Una statua di Numa nella casa delle Vestali, in «Bulletti-no Comunale», 1919, pp. 211-24.

11 Per questa documentazione cfr. a. andrén, Architectural Terra-cottas from Etrusco-Italic Temples, Lund 1940, nei capitoli riguardantile singole città. Aggiornamenti che tengono conto anche dei templi diCosa: m. j. strazzulla, Le terrecotte dell�Italia centrale, in Caratteri del-l�ellenismo cit., pp. 41 sgg.

12 o. w. von vacano, Der Tempelgiebel von Telamon, in «RömischeMitteilungen», lxxxii (1975), pp. 217 sgg.

13 m. segre, Sulle urne etrusche con raffigurazioni di Galli saccheg-gianti, in «Studi Etruschi», viii (1934), pp. 137 sgg.

14 m. cristofani, Volterra, scavi 1969-1971, in «Notizie degliScavi», 1973, supplemento (1976), pp. 58 sgg.

15 a. frova, in Scavi di Luni, I, Roma 1973, cc. 10-19 e 29-33.

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16 f. coarelli, Polycles, in «Studi Miscellanei», xv (1970), pp.85-87.

17 Fanno eccezione le stipi di Vulci (s. paglieri, in «Rivista dell�I-stituto di Archeologia e Storia dell�Arte», n. s., ix (1961), pp. 86 sgg.),Pyrgi (g. bartoloni, in «Notizie degli Scavi», 1970, supplemento II,pp. 552 sgg.), Veii (i. pohl e m. torelli, in «Notizie degli Scavi»,1973, pp. 227 sgg.) e Lavinio (a. la regina, in Lavinium II, Roma 1975,pp. 163 sgg.), oltre che quella di Carsoli (a. cederna, in «Notizie degliScavi», 1951, pp. 172 sgg.). Si porrà inoltre attenzione alla stipe roma-na di Minerva Medica all�Esquilino, di Comunità a Veii, dell�Ara dellaRegina a Tarquinia e, nell�agro caletrano, di San Sisto e del Citerno-ne, tutte sostanzialmente inedite. Per la stipe del Manganello pressoCaere cfr. «Studi Etruschi», viii (1935), pp. 91 sgg.

18 t. dohrn, Der Arringatore, Berlin 1968.19 Corpus Inscriptionum Etruscarum 5811: «Arnth Alethna figlio di

Laris: fu pretore a Tarquinia».20 cicerone, Pro Caecina IV 10-11: «Marco Fulcinio, o giudici, era

cittadino tarquiniese; fu stimato fra i piú rispettabili uomini nella suacomunità e svolse a Roma un�attività bancaria non disprezzabile. SposòCesennia, una donna appartenente alla nobiltà tarquiniese, di prova-tissima virtú, qualità che dimostrò mentre Fulcinio viveva e che eglistesso sottolineò nel suo testamento. A questa Cesennia egli vendetteun fondo nella campagna tarquiniese (ad Axia, per l�appunto) in queitempi cosí critici per assolvere i pagamenti; poiché si avvaleva della dotedella moglie in contanti, perché il suo denaro fosse piú sicuro, fece inmodo che la dote fosse impiegata nell�acquisto di quel fondo».

21 Su questi problemi: g. colonna, La cultura dell�Etruria meridio-nale interna con particolare riguardo alle necropoli rupestri, in Aspetti e pro-blemi dell�Etruria interna, Firenze 1974, pp. 260-63.

22 Corpus Inscriptionum Etruscarum 5683, 5696, 5755 (Tuscania),5807, 5816, 5819, 5820 (Musarna), 5872, 5874 (Norchia).

23 Si tratta di tombe provenienti da scavi recenti: l. cavagnarovanoni, in «Notizie degli Scavi», 1972, pp. 148-92.

24 Sul problema: m. cristofani, La tomba del Tifone. Cultura esocietà di Tarquinia in età tardo etrusca, in «Memorie dell�Accademia deiLincei», serie VIII, XIV, n. 4, pp. 245-47.

25 Sullo sviluppo dei sarcofagi rimane ancora importante la classifi-cazione proposta da m. pallottino, Tarquinia, in «Monumenti Anti-chi dei Lincei», xxxvi (1937), cc. 433 sgg. La raccolta di questi monu-menti, ormai incompleta, si deve a r. herbig, Die jüngeretruskischenSteinsarkophage, Berlin 1952.

26 La data consolare è presente nell�iscrizione Corpus InscriptionumEtruscarum 5651 pertinente a una donna.

27 Su questa produzione cfr. s. türr, Spätetruskische Tonsarkopha-

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ge, dissertazione, Giessen 1969. Nel catalogo sono compresi 44 sarco-fagi da Tuscania contro 8 da Tarquinia; le provenienze vulcenti nonvanno prese in considerazione (si tratta di monumenti già nella colle-zione Campanari).

28 Su questi problemi, come su quelli che seguono, cfr. cristofani,La tomba del Tifone cit., nonché La tomba del Tifone, in Monumentidella Pittura Antica scoperti in Italia, serie I: Tarquinii V, Roma 1971.

29 Su questi problemi si veda piú recentemente id., Strutture inse-diative e modi di produzione, in Caratteri dell�ellenismo cit., pp. 74 sgg.

30 m. torelli, Tre studi di storia etrusca, in «Dialoghi di archeolo-gia», viii (1974-75), pp. 74 sg.

31 Sui rinvenimenti recenti, che documentano questa situazione, cfr.a. e. feruglio, Complessi tombali con urne nel territorio di Perugia, inCaratteri dell�ellenismo cit., pp. 110 sgg.

32 Su questi problemi si veda ora l�analisi approfondita di h. rix,L�apporto dell�onomastica personale alla conoscenza della storia sociale,in Caratteri dell�ellenismo cit., pp. 64 sgg.

33 Su questi problemi cfr. f.-h. pairault, Recherches sur quelquesseries d�urnes de Volterra à répresentations mythologiques, Roma 1972, pp.99 sgg. Un ricco repertorio di casse con decorazione di questo generepuò essere ora visto in Corpus delle urne etrusche di età ellenistica 2. Urnevolterrane 2, Firenze 1977, nn. 63-94.

34 Sulla classificazione tipologica delle urne volterrane si veda m.martelli, Definizione cronologica delle urne volterrane, in Caratteri del-l�ellenismo cit., pp. 86 sgg. Per il repertorio delle stele felsinee cfr.sopra, p. 143 sgg.

35 Fra quanto è stato detto recentemente su questo problema si vedasoprattutto a. maggiani, Contributo alla cronologia delle urne volterra-ne. I coperchi, in «Memorie dell�Accademia dei Lincei», serie VIII, 19,1 (1976), pp. 3-44.

36 Per il sarcofago di Larthia Seianti cfr. l�illustrazione in herbig,Die jüngeretruskischen Steinsarkophage cit., p. 21, nota 20. Per l�urna:g. m. a. hanfmann, An Etruscan Terracotta Urn, in «Annual of theWorcester Art Museum», v (1946), p. 16.

37 Sulla durata di questo tipo di urne, che inizia poco prima dellametà del ii secolo a. C., cfr. i contributi di l. ponzi bonomi e m. miche-lucci, in Caratteri dell�ellenismo cit., pp. 93 sgg.

38 Per questo repertorio cfr. Urne volterrane 2 cit., nn. 95-133,136-82, 188-214, 216-30.

39 aa.vv., Sculture municipali dell�area sabellica fra l�età di Cesare equella di Nerone, in «Studi Miscellanei», x (1966).

40 g. körte, I rilievi delle urne etrusche, III, Berlin 1916, pp. 5-16.41 Cfr. r. bianchi bandinelli, Problemi dell�arte figurativa, in Roma

e l�Italia fra i Gracchi e Silla cit., pp. 172 sg.

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42 Si tratta di quello che F.-H. Pairault-Massa (Ateliers d�urnes ethistoire de Volterra, in Caratteri dell�ellenismo cit., pp. 157 sgg.) defini-sce «le beau langage».

43 In particolare cfr. pairault, Recherches cit.; m. cristofani mar-telli, Contributo alla classificazione delle urne volterrane. L�officina diPoggio alle Croci, in «Dialoghi di archeologia», viii (1974-75), pp. 213sgg., con valutazione globale dei monumenti; maggiani, Contributo cit.,pp. 24 sgg.

44 Cfr. pairault-massa, Ateliers d�urnes cit., che vorrebbe ricono-scere all�inizio di ogni produzione, stilisticamente connotata in senso�ellenistico�, maestranze greche.

45 a. maggiani, La bottega dell�urna Guarnacci 621, in «Studi Etru-schi», xliv (1976), pp. 111-46.

46 Si vedano ad esempio le illustrazioni relative ai rilievi con Cen-tauromachia in r. bianchi bandinelli e a. giuliano, Etruschi e Italiciprima del dominio di Roma, Milano 1973, pp. 310-11.

47 k. weitzmann, Illustration in Roll and Codex. A Study of the Ori-gin and Method of Text Illustration, Princeton 19702.

Mauro Cristofani L�arte degli Etruschi

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