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Interprofessionalità il coraggio come educazione In questo numero La Comunità per minori “L’isola che non c’è” cooperativa sociale a r.l. “Piccolo Carro” Mensile CePASA di Spoleto - Spedizione in abbonamento postale - Pub. inf. 70% - Filiale di Perugia Anno IX - n. 79 Numero straordinario 2000

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Interprofessionalità

il coraggio come educazione

In questo numero

La Comunità per minori “L’isola che non c’è”

cooperativa sociale a r.l. “Piccolo Carro”

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Anno IX - n. 79Numero straordinario 2000

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SE VIENINELLA NOSTRA COMUNITÀ

PUOI IMPARAREUN VOLO OLTRE LE ALI

di Cristina Aristei (psicologa – Bastia)e di Pietro Salerno (psicologo – Assisi)

Cristina Aristeipresidente della coop. sociale “Il Piccolo Carro” di Bastia

Pietro Salernopresidente della coop. sociale “Il Grande Carro” di Assisi

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Plenitude

Ogni volo ha sempre il suo rischioma spessoil non voler correre rischici obbliga a rimanere ancorati al nostro egoismo

Pietro Salerno

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LAVORIAMOPER CHI HA LA SFORTUNA DI AVVICINARSI ALLA VITA

IN SITUAZIONE DI DISAGIO

Nella vita dei ragazzi, adeguati stimoli affettivi e educativi rappresentano le occasionimigliori per la crescita umana e per lo sviluppo psicologico. Di conseguenza, affetto eeducazione determinano il positivo evolversi dei cicli delle stagioni esistenziali.Questo è quanto afferma la ricerca scientifica ed è anche ciò che testimonia la nostraesperienza. Purtroppo, per i ragazzi che sono costretti a vivere nelle Comunità perMinori, non è stato così: non hanno avuto il giusto affetto e non hanno ricevuta la giustaeducazione. Tragiche combinazioni hanno devastato l’esistenza nel suo nascere. Ed èper questo che molti sforzi della prevenzione non sempre raggiungono gli obiettivi pre-fissati e non sempre servono a risolvere i problemi presenti nelle mille storie segnate so-prattutto da gravi carenze imputabili alla famiglia e alla società. Recuperare ciò che nonsi ha avuto durante l’infanzia, la preadolescenza e l’adolescenza è un’operazione arduache richiede non solo buone qualità umane ma anche altissima professionalità (cfr.Pianeta Infanzia – Dossier monografico: in strada con bambini e ragazzi - Firenze -Istituto degli Innocenti - Dicembre 1999; quaderno n.12 del Centro nazionale di docu-mentazione ed analisi per l’infanzia e l’adolescenza; Cittadini in crescita, n. 1/2000).

Date le naturali e inevitabili insufficienze della realtà dei servizi territoriali, pubblici eprivati, la migliore prevenzione preferiamo indicarla nella capacità di elaborare e di at-tuare progetti con programmi d’intervento strategico centrati sull’integrazioneall’interno delle maglie della rete di questa società ambigua e complessa, ma non catti-va. Infatti, oggi si va sempre più delineando la figura dell’operatore di strada (lavorodi strada iniziato negli anni Ottanta: cfr. carta di Certaldo del 1994, carta di Candiadel 1997, carta di Bologna del 1999, carta di Firenze del 1999…), appunto perché nel-le grandi città la strada sta diventando il momento privilegiato dell’incontro. (cfr.Andrè Stuer - La loro storia si scrive nella strada - Video O.N.G. Terra Nuova - ViaUrbania, 156 - 00184 Roma - Tel. 06-485534). A nostro parere, non c’è niente di nuo-vo. Si sta recuperando un antico momento educativo della vecchia società. Anche unavolta il cortile e la piazza dei nostri paesi erano lo spazio dove bambini e adolescentiesprimevano e vagliavano la voglia di protagonismo attraverso il gioco e l’organizza-zione in gruppi. Erano tentativi per imparare a sviluppare il proprio potenziale ine-spresso. Era un vero e proprio mini-tirocinio di vita senza la presenza dell’adulto. Maallora erano altri tempi! Tempi migliori!

Piccolo Carro

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I ragazzi della nostra comunità per minori hanno avuto come scuola la strada, hannoagito nella strada secondo l’ordine della criminalità e il disordine della coscienza mo-rale. L’oppressione, il ricatto, la vendetta, la punizione li hanno educati tanto più quan-do a tali processi si accompagnavano modelli adulti capaci di suscitare fascino im-prontato a forza, a destrezza, a competizione sleale, all’uso sistematico della menzo-gna, alle regole del male… Unici dispositivi di degrado e di morte che essi conoscono.In questo quadro del dirompente sviluppo dell’urbanesimo, a nostro parere, ha perso laqualità della condizione del vivere (cfr. Pianeta Infanzia n. 7/1999 - Dossier monogra-fico sul lavoro minorile).

L’esplosione urbana è la nuova catastrofe che incombe sugli abitanti attraverso l’in-treccio complesso di ostacoli e di disagi tipico delle periferie, dei quartieri dormitorioe dei ghetti debolmente legati al resto della città. Le “città invisibili” di Italo Calvinosono invivibili. Manca il centro dei vecchi paesi. Il centro è centro perché rappresentaciò che c’è di supremo: i valori, gli stili di vita, la tradizione, gli archetipi… Manca uncuore arcaico che unisce tutti i cuori. Proprio per questo, a nostro parere, molti luoghinon sono aree di aggregazione , ma spazi vaganti e ondate umane ad alta probabilità didevianza e di emarginazione. Non hanno una buona offerta di opportunità per l’auto-realizzazione personale. Non sperimentano la solidarietà. Quindi, lo spazio urbano de-ve tornare educativo.

L’educazione nelle strade delle nuove generazioni dovrebbe essere pensata e progettataall’interno di un’azione integrata di riqualificazione del tessuto urbano. Le piazze e lestrade devono essere rese abitabili a dimensione umana. Muretti, bar, sale da giochi…possono diventare anche occasione di crescita culturale e di formazione, costituendo“punti” di partecipazione, di discussione, di confronto e di scambio. Ogni gruppoinformale può trasformarsi in “luogo sociale educativo” dove ognuno dialoga,ascolta, esprime atteggiamenti e pensieri senza protagonismi, ritualismi, maschera-menti, lavori di bassa soglia. Se il viaggio e l’avventura sono le coordinate che guida-no la storia dei comportamenti adolescenziali, perché non entriamo in queste stradeprima che il tempo non li trasforma in uomini?. Se il futuro non è altro che la proiezio-ne del presente, perché non coinvolgere ragazzi, adolescenti e giovani e chiarire insie-me il loro coinvolgimento nei percorsi di disagio, di esclusione e di devianza con pro-getti professionalmente e culturalmente evoluti?

Il nostro non è un “lavoro di strada”, ma vede la strada come servizio preventivo al pa-ri della scuola e della chiesa. Strada come laboratorio di vita. E la vita, secondo ilparadigma costruttivista, può essere re-inventata dopo aver analizzato le diverse verità.Arlecchino multicolore può cedere il posto al bianco Pulcinella. Tutti veniamo daun’educazione fatta di consensi partecipati. Sta all’educazione saper usare la forza o ladebolezza della variabilità umana.

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La comunità non è un ammasso di parti, funzionali o disfunzionali, visti con questo oquel tipo di occhiali teorici, ma è un insieme di energie, di forze, di bisogni, di ango-sce, di incertezze, di misteri… viventi in persone che si incontrano, si scontrano, sievitano e si influenzano. Infatti, è difficile il coinvolgimento, la comprensione, la par-tecipazione, la valorizzazione, l’incoraggiamento, la prevenzione...

Intervenire pedagogicamente per noi non vuol dire stare tra l’assistenziale e il filosofi-co, ma è come muoversi al chiaro di luna nel tentativo di vedere l’alba prima deglialtri. E in tale operazione ritornano vere le parole di Bateson quando cerca di metterein guardia gli educatori che non sanno ammettere il proprio torto: “Coloro cui sfuggel’idea che non possono sbagliare, non riusciranno ad apprendere nulla se non la tecni-ca”. Chi, del resto, lavora nelle comunità sa che i nodi problematici ruotano in un pri-mo momento attorno ai concetti dinamici di educazione/assistenza e diaccettazione/cambiamento e in un secondo momento sfruttano le strategie di ascolto,di orientamento/informazione, di relazione d’aiuto, di presa in carico dei bisogni… alfine di contenere le nevrosi da privazione, di risignificare il quotidiano e di interioriz-zare le regole della convivenza sociale. Una vita senza regole è la strategia dell’anar-chia. Come resta ovvio dedurre, muoversi lungo queste direttive di processualità e direlazionalità non è facile poichè non basta la disponibilità ad una presenza capace dicondividere esperienze, ma sottintende l’abilità ad accompagnare i processi di “rico-struzione” di significati esistenziali smarriti o assenti (cfr. A. Minio - Minimo vitale -CePASA - Thyrus 1999; A. Minio - Mediocrità - CePASA - Thyrus 2000).

Di conseguenza, la valutazione dei risultati di un percorso educativo non può esserevista come un “giudizio” sulla propria professionalità, ma andrebbe identificata al con-cetto di “tentativo di dare senso” alla vita di comunità onde evitare l’inevitabile burn-out degli operatori. La valutazione educativa, infatti, non è un ingabbiamento in quan-to è difficile coordinare i tempi del raggiungimento del risultato con i tempi della va-lutazione. Quindi, valutare è seguire la logica di senso del progetto che va letto co-me un investimento a lungo termine. Trattare i “dati” è un’operazione arida che operain termini di quantità, ma non offre stimoli sufficienti ad interrogarsi, a porsi domandeprofonde sulla qualità. Mancando, poi, un gruppo di controllo non è possibile dare giu-dizi chiari sugli esiti raggiunti. Infine, la natura stessa della relazione umana non per-mette l’uso dell’invasività degli strumenti di valutazione, di qualunque genere essi sia-no. Ma in verità, è possibile riuscire a definire l’efficacia e giudicare la predittività diuno specifico cambiamento? Ogni valutazione ricavata evidenzia un risultato fatto dichiaroscuri, capace soltanto di fornire agli operatori occasioni per capire in quali obiet-tivi del progetto si è lavorato bene e quali momenti andavano curati meglio per le ri-sorse disponibili ed i tempi di maturazione. La valutazione non è uno strumento chefornisce solo risposte, ma è una grande occasione per seguire piste di approfondimentoed arricchire i processi di auto-apprendimento. In conclusione, valutare per noi è un

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modo di favorire il processo di accumulazione di conoscenze tali da permetterci diesprimere apprezzamenti sul “senso” di ciò che facciamo.

Ogni attività territoriale, intesa come intervento da valutare nelle finalità di ascolto,recupero e presenza nel mondo del disagio, a nostro parere, andrebbe letta sinergica-mente assieme alla globalità degli altri servizi sociali liberati da contrasti e conflitti diqualsiasi genere. Un progetto comune di cultura condivisa dell’integrazione producedi più del frammentario singolo progetto settoriale che opera autonomamente. Infatti,è la condivisione delle strategie che rende possibile restituire voce e diritti agli esclu-si, educati dalle risonanze provenienti da tutti gli ambienti che si occupano del disa-dattamento. Così, in linea di tendenza con gli anni Novanta, se si riuscirà a sensibi-lizzare anche l’opinione pubblica, non si legittimerà la rimozione del disagio, mala promozione dell’agio usando un ampio ventaglio di interventi educativi possibili.Ogni prevenzione efficace, infatti, si preoccupa di promuovere il benessere allonta-nando gli adolescenti dai fattori di rischio ed offrendo bussole di orientamento alla vi-ta e spazi capaci di convogliare le potenzialità inespresse e rimuovere gli ostacoli allosviluppo.

Di fronte all’abdicazione pedagogica delle figure parentali e ai collassi educativi delleprincipali agenzie di socializzazione (associazioni, club, punti d’incontro, parroc-chie…), oggi devono rinascere ed essere favoriti questi tipi di nuovi interventi senzafragilità e inadeguatezze. Interventi progettati con il cuore e illuminati dalla ragione.Ma ogni buon progetto necessita di una perfetta organizzazione a rete per andareavanti e per raggiungere gli obiettivi dichiarati. Infatti, la dimensione organizzativa in-cide nelle vicende quotidiane degli operatori e nelle dinamiche psicologiche degliospiti della comunità.

L’organizzazione è la risorsa critica, da non sottovalutare: il grado di prevedibilità deiproblemi su cui si lavora e il livello di stabilità dei processi del progetto sono control-lati dalle variabili organizzative (flessibilità, decentramento, policentrismo, standardiz-zazione, stabilità, continuità, formazione, innovazione, sperimentazione, circolazionedella comunicazione, accoglienza, coordinamento, ideazione, decisionalità, monito-raggio, interdipendenza positiva…). Chi ha avuto modo di trovarsi coinvolto in tragittiterapeutici, infatti, sa che l’organizzazione della comunità diventa il luogo in cui fi-nalmente i problemi trovano posto per essere esposti, le difficoltà prendono il loro no-me vero e le soluzioni possono essere prese in considerazione in modo serio.

E aggiungiamo che ciò non basta se la relazione educativa non è in grado di entrarenella mente dell’altro senza rozzezza. Per entrare nel cuore di chi ci sta accanto spessonon è sufficiente il possesso della scienza. Occorre delicatezza.

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Non è una menzogna affermare che nel mondo aumenta sempre più la violenza (fisica,verbale, morale, psicologica…) probabilmente per le supercompetizioni che hanno uneffetto degenerativo nel modo di vivere della nostra società, per un bisogno di emozio-ni sempre più forti, per accendere il cervello con percezioni impossibili... In ciò ilcomportamento adolescente sembra trovarsi a suo agio. Così, per riuscire a sentire ilpulsare dell’esistenza l’adolescente ha bisogno che tutti gli stimoli siano esagerati,spinti al massimo: ama le sfide pericolose, predilige la musica ad alto volume, si lancianell’esperienza affettiva a corpo morto, si agita con le luci delle discoteche... ma lavelocità e la fretta non portano benessere, tranquillità o calma. Di conseguenza, quan-do si smarrisce il senso della realtà e si perdono i valori del rispetto della persona, leforme di devianza tendono ad aumentare.

In tale contesto, ogni disagio del ragazzo trova la terapia più efficace in un adultosignificativo in quanto gli adolescenti sono in dinamismo evolutivo costante, divisi inmille frammenti che si muovono a velocità differenti e in direzioni impensate, comeschegge impazzite. Nel loro egocentrismo non riescono ad avere coscienza delle con-seguenze delle loro azioni su se stessi e sugli altri. I gesti che compiono non hannonessuna risonanza. Afferma il pedagogista Claudio Bucciarelli che “il dramma di mol-ti adolescenti di oggi non è quello di essere o non-essere, ma piuttosto dell’apparire edello scomparire in una esperienza sensoriale dominante”.

In questa logica, purtroppo, l’esibizione di molti comportamenti è mantenuta dal grup-po di appartenenza. Certe forme di teppismo hanno la loro permanenza nel riconosci-mento del gruppo. Più l’individuo è fragile, insicuro e debole e più subisce la dipen-denza passiva dal gruppo. E l’adulto che fa? Forse capisce, ma non sa relazionarsi.Prende scorciatoie formalmente educative. Usa fermezze che non funzionano perchénon c’è credibilità. Sforna saggezza e buonsenso che non sono riconosciuti e apprezza-ti. Educa senza identificare i propri punti deboli, le proprie miserie, i propri spazi pro-tetti, i propri mutismi permalosi, i propri irrigidimenti immotivati… Ma, allora che si-gnifica educare? Educare è scavare in noi stessi nuove vie di comunicazione… è sape-re restare persona evitando di trasformarsi in personaggio… è riconoscere l’umanitàsenza mettersi i panni del fanatico salvatore o dell’indiscusso maestro di vita… Ineducazione la nostra parola non è mai l’ultima, ma la penultima. L’ultima deve esserelasciata all’adolescente. Per un altro pedagogista, Franco Santamaria, ogni educatoreformatore deve “muoversi delicatamente nei pensieri” e nelle problematiche del singo-lo adolescente, che sono un mix di intenzioni progettuali, di contraddizioni e di ambi-valenze.

L’adolescente esige comprensione, protagonismo, partecipazione, identità… che sonodomande di riduzione della loro complessità. Del resto, tutti cerchiamo occhiali pervedere l’unità della nostra esperienza. Tutti, implicitamente, siamo riduttori di com-

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plessità. Quando non capiamo, semplifichiamo per evitare la confusione. Ed è così checostruiamo le nostre qualità umane. Semplificare vuol dire usare l’umiltà comeconsapevolezza di non avere le soluzioni esatte, la disponibilità, la tolleranza, la capa-cità di saper stare nell’incertezza, la flessibilità, la permeabilità, l’accoglienza e l’ac-cettazione incondizionata, l’atteggiamento non giudicante… il saper leggere positiva-mente la realtà adolescenziale, la capacità dialogica, la costruzione di raccordi nellarete comunitaria, la regolazione del gruppo attraverso l’apprendimento cooperativo…Questo ed altro, se associate ad una buona abilità cognitiva e operativa, può creare unadeguato profilo professionale che è la risultante di un ventaglio di competenze edu-cative indispensabili per chi si occupa di formazione. Infatti, il lavoro con gli adole-scenti non può configurarsi come un recinto dove si allevano puledri da macello.Questa scelta conferma l’emarginazione, la segregazione, l’estraneità, la devianza…A nostro parere, l’operatore sociale deve riprendersi quella “passione educativa” chefa prevalere l’attenzione sull’indifferenza, l’impegno sulla superficialità, la scommes-sa sull’indolenza…

Il pedagogista Roberto Maurizio, infine, ritiene che un “fattore di un lavoro serio siaanche la cura impiegata nel garantire la memoria del progetto-adolescenti, in modoche il patrimonio di conoscenze prodotte e di scoperte realizzate in ordine ai processiattivati, alle tecniche elaborate, ai risultati raggiunti non vada disperso e non resti affi-dato alla capacità dei singoli operatori di mantenerlo in vita. Ciò che si è fatto bisognafarlo rivivere nel tempo. Occorre rendere visibile l’invisibilità. Tenere attenzione allamemoria di ciò che si fa e di ciò che si pensa significa costruire un tessuto connettivoculturale a consolidamento dell’organizzazione”. Ed è quello che noi facciamo dal1996 (cfr. C. Aristei, A. Minio, P. Salerno – Nell’isola che non c’è la curiosità diventaterapia – CePASA - Piccolo Carro 1998)

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Tavolo dove gli operatori confrontano le “osservazioni” e programmano l’azione educativa

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SIAMO ENTRATI NELLO SCENARIO DELLE COMUNITÀ CON IN MENTE UNA FILOSOFIA AGILE

PER OSPITI SENZA VOGLIA

Le prime tre significative iniziative di “colonia terapeutica” vanno rintracciate negliStati Uniti intorno agli anni Quaranta ed hanno come quadro di riferimento la “psico-logia dell’io” (cfr. F. Redl – D. Wineman - Bambini che odiano – Boringhieri 1975).Negli anni Cinquanta in Inghilterra cominciano ad affermarsi i “centri per bambini”della Richmond Fellowship, che s’ispira ai contributi di Kurt Lewin e di Wilfred Bione ai forti contatti consultivi con il Tavistock Institute of Human Relation di Londra(cfr. J. Megee Lyon – I servizi RF per bambini e adolescenti – APS 1985).

In Italia, il problema minorile viene evidenziato dallo scrittore Italo Calvino con unadichiarazione, allora rivoluzionaria: “Nei momenti in cui il regno dell’umano mi sem-bra condannato alla pesantezza… devo cambiare il mio approccio, devo guardare ilmondo con un’altra ottica, un’altra logica, altri modi di conoscenza e di verifica…”. Ecosì intorno agli anni Sessanta e Settanta, questo principio viene preso a promozionedi una nuova cultura del sociale, capace di ribaltare il modo di operare sui minori chiu-si nelle “istituzioni totali” (cfr. E. Goffman – Asylums – Einaudi 1968; F. Basaglia –L’istituzione negata – Einaudi 1967) che tendono ad essere sostituite dalla nascita del-le “comunità” (cfr. pubblicazioni del Centro Nazionale di Documentazione e Analisisull’Infanzia e l’Adolescenza (Istituto degli Innocenti) di Firenze e del CoordinamentoNazionale delle Comunità per Minori (CNCM) di Firenze). Comunità è il nuovo termi-ne che rimanda al concetto di gruppo centrato sulle relazioni primarie di accettazio-ne, ascolto, comprensione, tolleranza, attenzione, riconoscimento, incoraggiamento,valorizzazione… che costruisce un “progetto” di formazione e di lavoro educativo(contenimento di cariche distruttive, sedazione di angosce profonde… sviluppo dellaprosocialità e dell’autonomia, gestione della salute globale… libera espressione all’in-terno di rapporti interpersonali affettivamente ricchi…), …senza riproporre i ruoli fal-limentari del “collegio”, dell’ ”istituto”, dell’ “orfanotrofio”, del “riformatorio”, del“carcere”… senza ricalcare la monotonia organizzativa e l’aridità dei ruoli parentalidei “focolari” degli anni Cinquanta … e senza confondersi con la specifica configura-zione di “intimità della famiglia” (cfr. V. Ducci - Il processo di deistituzionalizzazionein Italia negli ultimi decenni: dal dopoguerra (1946) alla nuova politica nazionaledell’infanzia e dell’adolescenza (1998) in “Pianeta Infanzia n. 9/1999 - pag. 213-268).

La finzione parentale simbolica voluta da Jean Cartry, a nostro parere, non può rim-piazzare una categoria educativa di genitore con una surrogata di quasi-genitore: il

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contatto con la realtà per essere terapeutico deve avere caratteristiche autentiche. Lacarità cristiana parla di amore universale ma non codifica questo con una sorta di geni-tore-super, ruolo non facilmente ripercorribile né scientificamente consigliabile.

È il principio della realtà che garantisce lo sviluppo, sia psico-affettivo che mentale-cognitivo. Alla base di questa rinnovata educazione c’è la costruzione di un “proget-to”. Progettare significa prendere decisioni per dare ordine a elementi non organizza-ti… trovare un principio unificatore che aiuti a partecipare ad un’esperienza di cam-biamento… seguire un proprio rilevatore della cultura sedimentata in termini di rifles-sioni, elaborazioni e risultati… avere un sogno con delle scadenze. In realtà, questi na-scenti paradigmi socio-culturali hanno avuto il merito di evidenziare i limiti dei vecchiservizi e di influenzare l’orientamento in ambito legislativo.

Ed è cosi che si sono sviluppate una serie di tipologie comunitarie, che attualmentestanno diventando un arcipelago in continua evoluzione (case famiglia o gruppi fami-glia, famiglia terapeutica o genitori simbolici, comunità alloggio, comunità di acco-glienza, gruppi appartamento, progetti educativi individuali…). A nostro parere, atutt’oggi, manca una seria analisi multifunzionale di queste organizzazioni al fine dicapire meglio la motivazione, il senso, il valore, la natura specifica…

La storia della costituzione della comunità “L’isola che non c’è” comincia adAssisi il 18 gennaio 1996. Eravamo reduci da una disorganizzata e drammatica espe-rienza di comunità con soggetti mentalmente svantaggiati. L’avevamo abbandonataperché quel modo di gestire il disagio non corrispondeva alle nostre convinzioni psi-copedagogiche né ai principi etici a cui si ispirava l’azione del nostro volontariato.Prendemmo contatti con alcuni amici e mettemmo assieme energie e risorse che ognu-no di noi possedeva. Eravamo in nove quella sera. Spaventati e incerti, ognuno cercavaappoggio e riparo nell’altro. Ma fummo nove coraggiosi moralmente: Cristina, Pietro,Samuel, Laura, Maria, Fabiana, Rita, Massimo, Peppe. Facemmo un cammino diffici-le, tempestato di anticamere e di rifiuti. Utilizzammo il volontariato. Non c’erano sol-di. Non avevamo computer né scrivanie. Possedevamo soltanto una stanza e tante idee.Soprattutto molta fede religiosa e tanta fiducia nel nostro modo di pensare trasferitonello Statuto: “…Assistere i nuovi poveri e i nuovi emarginati… Essere di riferimentocome la Stella Polare, simbolo della cooperativa, per ritrovare la strada come i navi-ganti di un tempo… Volere una società edificata sulle ceneri degli antichi concettifrancescani…” Ci davano forza tre idee di base

fine: realizzare una realtà capace di soccorrere ed assistere le devianze minorili. La fi-nalità educativa è mettere in grado di ritornare in modo adeguato alle proprie famiglied’origine, oppure far raggiungere una sufficiente autonomia per una esistenza indipen-dente attraverso l’inserimento lavorativo.

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traccia: ripercorrere l’ideologia del francescanesimo eviscerando la praticità dell’in-tervento per un risultato a breve e a lungo termine

novità: assistere i minori da 0-18 anni se pur in ambiti differenti ma con possibilità di con-tatto per far rivisitare l’esperienza della famiglia mancata. Quando l’uomo ha il coraggiodi leggere attraverso il buio dei meandri della sua anima, può scegliere effettivamente seproporsi in maniera nuova, come vuole il suo cuore, o ripercorrere strade battute e sterili.

Nella nostra isola che non c’èogni storia è una storia a sé...

ogni sofferenza è una sofferenza a sé...ogni abbandono è un abbandono a sé…ogni solitudine è una solitudine a sé…

In pratica, per noi l’isola che non c’è è il regno di Peter Pan dove fiaba e realtà posso-no intrecciarsi per disegnare il progetto di ogni ragazzo, così ogni bimbo sperduto con

• nome: scritto sui documenti ma spesso ignorato e dimenticato• età: dai 12 ai 21 anni• provenienza: tutto il territorio italiano• corporatura: apparentemente adulta, vissuta, stanca• segni particolari: tracce di violenza psichica e fisica

in questa comunità diventa un ragazzo più vero con un nome, una storia, un progetto. Nonera un ragazzo di strada, ma semplicemente un ragazzo senza ali. Ali che la comunità èpronta a fornire usando l’immaginazione positiva. A volte, le favole fanno rivivere espe-rienze dimenticate, spostano in un mondo al quale non siamo abituati e insegnano a co-struire una vita migliore. Pertanto, l’accoglienza del ragazzo riveste la caratteristica della“magia” per fargli respirare emozioni vitali soprattutto nei primi minuti dell’ingresso.

Attualmente possiamo ospitare sino a 20 minori misti provenienti dalle emergenze socialidel territorio (legge 3/97 art. 4-6), dai Servizi Minorili del Ministero di Grazia e Giustiziain attuazione del DPR 448/1988, dai Servizi sociali delle ASL , dai Comuni… Sono

ragazzi soli, abbandonati, deviati…ragazzi consumati, disamorati, sconcertati…

ragazzi già uomini di strada…ragazzi con regole fuori dalle regole…

ragazzi con un contenitore cognitivo da muovere con cautela…non ragazzi pazzi,

ma ragazzi solitari, un tutt’uno con ciò che hanno vissuto …

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La prima unità residenziale è stata attivata il 22 gennaio 1997 ad Assisi. E proprio inquei giorni, il “Corriere dell’Umbria” dava notizia di una madre agli arresti domiciliaricon un bambino di diciotto mesi. Decidemmo di accoglierla, gratuitamente, in via del-la Cooperazione 47. In brevissimo tempo abbiamo ospitato sette ragazzi. Fu un convi-vere arricchente che ci permise di mettere a fuoco l’attuale nostro progetto di comu-nità. Ma è stato difficile restare nella “città santa” in quanto i “minori a rischio” nonerano residenti graditi probabilmente per una serie di pregiudizi (ignoranza, paura, in-sensibilità, insofferenza…). Chi non capisce il dolore molto probabilmente crede chenon esista. Ma basterebbe conoscere le “storie dei nostri ragazzi” per “convertirsi” allacarità cristiana. Così, fummo costretti a cambiare residenza e ci spostammo in un ap-partamento a Bastia (via S. Michele Arcangelo). Aumentando gli ospiti, abbiamo cer-cato una sistemazione provvisoria a Costano (Via S. Elisabetta). Ora abbiamo due am-bienti grandi e accoglienti e abbiamo deciso di prendere fissa dimora nelle sedi diPerugia (località Ripa - Via dell’Aeroporto) e di Bettona (località Bandita).

Le prime tre sedi storiche: Assisi, Bastia, Costano.

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13Piccolo Carro

Sede di Ripa: mq. 500 con 2 ettari di spazio verde

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Sede di Bettona: mq. 300 con 1 ettaro di bosco.

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15Piccolo Carro

Sede della Direzione e dell’Amministrazione a S. Maria degli Angeli

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Lo spazio della comunità è il naturale ambiente di vita situato in un normale edificio,inserito nel contesto sociale circostante. La struttura abitativa è organizzata in modo taleda permettere a ciascuno di muoversi come “a casa propria”… con un iniziale tocco fan-tastico perché deve presentarsi come un luogo prima da conoscere e poi da dominare.

Se qualche volta passate davanti al nostro cancello,fermatevi un attimo.

Sentirete pulsare la vita, quella veraQuella che ci obbliga al pianto e al sorriso, alla delusione e all’amarezza

ma che ci prospetta ben altro.

Se qualche volta passate di qua,fate piano,

parlate sottovocee posate il passo con leggerezza.Assorti e attenti potrete sentire

… la voce di Pinocchio…il pianto di Cenerentola

… il battito delle ali di Peter Pan

Di notte, osservando il cielo umbro tra le miriadi di stelle, abbandonati con la schienasprofondata nelle umide erbe del Subasio, noi siamo abituati a vedere un nuovo ragaz-zo capace di ridare “ali” a tutti i piccoli abitanti dell’Isola che non c’è. In verità, vo-gliamo che le nostre comunità rappresentino il cielo stellato con alcune costellazionisempre lucenti e che servano ad orientare ogni navigante in posizione di smarrimento.

L’ingresso in comunità richiede una minima disposizione a riconoscere le proprie diffi-coltà e a mettere un minimo di collaborazione per giungere a qualche cambiamento.Generalmente, la maggior parte degli utenti arriva in comunità provenendo da situazionifamiliari caratterizzate da deprivazione affettiva e da forti elementi di disgregazione.Quindi, l’ammissione è condizionata dal decreto del Tribunale per Minorenni o dalle di-sposizioni degli organi preposti alla tutela dei minori. Da parte nostra al minore è richie-sto, che al momento dell’ingresso, si assuma un impegno di studio o di lavoro, che con-dizionano la durata della permanenza nella comunità. Il senso dello stare in comunitàviene così giustificato dall’evoluzione positiva dalla situazione di partenza. Al momentodell’ingresso in comunità, la maggior parte dei minori sono degli sconosciuti in quantosono carenti le informazioni sulla loro storia, sulle famiglie dalle quali sono stati allonta-nanti, sull’atteggiamento verso la società, la scuola e le altre istituzioni… Ma tale scarsaconoscenza del caso non comporta grossi disagi per chi gestiste la comunità, che tende aprivilegiare il presente e non il passato. Talvolta, però, questo non sapere diventa ulterio-re difficoltà a fare una valutazione preventiva se il gruppo è adatto al nuovo ospite.

interprofessionalità

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La tipologia di disadattamento degli ospiti è varia e complessa: spazia dall’autoag-gressività all’aggressione tra pari, ai disturbi sociali, agli atti delinquenziali… In prati-ca in comunità convivono minori deprivati, disturbati e difficili, adolescenti pluripro-blematici, ragazzi con incapacità di tollerare emotivamente la minima frustrazione,soggetti depressi, con tendenze al suicidio, con stati borderline di personalità, con ge-nitori maltrattanti, con uso esagerato di droghe… Sembrano testardi, conflittuali, im-permeabili al cambiamento… ma sono ragazzi e ragazze che provengono da esperien-ze dolorose di ricoveri in istituti, di affidamenti familiari che non hanno funzionato, diadozioni non accettate, di abusi di ogni genere, … Nel loro breve percorso di vita han-no occupato tanti spazi senza mai trovare un posto caldo e protettivo. Non li ha “ucci-si” la solitudine né l’isolamento. Li ha maciullati quel sentirsi annullati da una presen-za psicologica violenta, quel sentirsi controllati nel modo di pensare, quel sentirsi di-sfatti nei propri vissuti personali… Obbligati a difendersi dalla molteplicità dei rischihanno improvvisato un falso Sé, che non sa mediare tra l’io che agisce, esperisce e co-nosce e il me che osserva, spiega e valuta (cfr. M. Mead – Mente, Sé e Società –Universitaria Firenze 1966). E così non sono più in grado di orchestrare le proprie to-nalità affettive, non sanno mantenere una coerenza interiore, non sanno quale progettoseguire… Infatti, non navigano entro sponde sicure e non possiedono una base sicuraper allenarsi a capire la vita. Non riescono a superare il rapporto che intercorre tra il Sée l’Altro (non sanno accettarsi, non sanno amarsi, non hanno fiducia, vivono insicuri,mancano di autonomia, non partecipano affettivamente agli eventi…). Il loro Sé è statoprofanato e umiliato mentre tentavano di costruirsi la loro intersoggettività per esserepresenti nel mondo. Non hanno avuto la possibilità di esprimere la loro adeguatezzanel rispondere socialmente in prima persona. Non gli è stata data la possibilità di usarele proprie abilità cognitive. Non c’è stata la possibilità di sperimentare le proprie com-petenze relazionali… e così sono diventati teste piene di rabbia, di tristezza, di sensodi onnipotenza... Al primo impatto, in loro si avverte l’abbondante fatica di vivere.Dietro analisi profonda, sembrano giocattoli rotti e abbandonati in soffitta perché nes-suno li usa più o pupazzi che si agitano inutilmente.

L’èquipe educativa si compone di svariati operatori: medici, psichiatri, psicologi, psi-coterapeuti, sociologi, pedagogisti, coordinatori responsabili, educatori, assistenti so-ciali, infermieri, animatori, artigiani, insegnanti, tirocinanti, obiettori di coscienza, vo-lontari…

La formazione è la base della vita stessa della comunità ed è la nostra buona carta dicredito, perché essa prima di operare garantisce uno spazio di riflessione che impedi-sce di essere travolti dal quotidiano comunitario. Scambio e confronto tra egli operato-ri permette aggiustamenti, reimpostazioni e talvolta reiscrizioni di parti del progetto. Ilfulcro della gestione è nelle riunioni della equipe dirigente, nelle riunioni settimanali

Piccolo Carro

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degli operatori per la formazione, programmazione e verifica e nelle riunioni mensilidi organizzazione. La supervisione psicologica è esplicata da uno psicoterapeuta ester-no, mentre la supervisione tecnica, focalizzata sul prodotto del lavoro, è curata dal re-sponsabile legale della comunità. Inoltre, l’autoformazione permanente è ottenuta conla stesura dei protocolli individuali e con la riflessione sul progetto generale e sui pro-getti educativi personalizzati, sulla concettualizzazione dell’azione pedagogica e sulleletture personali indicate dalla direzione.

La valutazione del lavoro educativo da parte dell’equipe direttiva avviene seguendoalcune tracce implicite nelle finalità della comunità: identità personale, percezione disé e degli altri, relazione con gli educatori e i coetanei, rapporto con le istituzioni (fa-miglia, scuola, società, chiesa…), uso del tempo libero, autonomia, senso della vita,memoria del passato, progetti per il futuro… In realtà, abbiamo notato che i primi dia-loghi (parlami di te, cosa facevi prima di vivere in questa comunità, cosa pensi dei tuoigenitori, dove pensi che abbiano sbagliato nei tuoi confronti, a chi immagini di rasso-migliare, parli con qualcuno dei tuoi problemi attuali, quando hai visto questa comu-nità cosa hai pensato, come ti trovi in comunità, pensi che questa nuova esperienza tipossa servire, che progetti hai per il tuo prossimo futuro, cosa ti dà maggiormente fa-stidio, quali sono i pensieri più ricorrenti che hai in testa, come vorresti vivere…) sonototalmente diversi dagli ultimi colloqui (com’è andata la vita in comunità, questa espe-rienza ti è servita, ti sei sentito accettato…). Non si presentano più come vittime nécome protagonisti negativi, ma manifestano un cambiamento e si fanno voler bene datutti. Non fanno il doppio gioco, ma cercano di “ambientarsi”. Non vivono alla giorna-ta ma cominciano a condividere qualche “ambizione”. Non hanno paura di volare, macominciano a crescere. Non odiano ma comprendono. La parola “dovere” diventa“piacere”. La logica del “potere” si evolve in “solidarietà”… Finalmente, scoprono chela vita si può ripensare.

La percezione della comunità da parte degli utenti (ragazzi e ragazze) varia da indi-viduo a individuo e dipende principalmente dal tipo di relazione instaurata con gli ope-ratori adulti della comunità (spazio di confidenza dialogica, disponibilità del sostegnoemotivo, sentimento di accettazione, confronto con il modo di porsi dei vari educatori,affidabilità, riservatezza, delazioni, tradimenti…), con i coetanei (sentimento di appar-tenenza reciproca, negoziazione dei conflitti, chiarezza dei rapporti, amicizia…), conle regole (responsabilità, condivisione sociale, occasione per nuovi apprendimenti, ne-cessità per la convivenza, significato del limite…) e con lo stile di conduzione dell’or-ganizzazione. Quando si sentono “riconosciuti” eliminano le distanze, tendono a con-fermare le aspettative della comunità e trasformano il deserto affettivo in un piccoloverdeggiante giardino.

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Le fatiche e le principali difficoltà vanno riscontrate negli abbandoni da parte di al-cuni operatori perché hanno trovato altro lavoro più sicuro o migliori occasioni. Il turnover degli educatori minaccia il clima relazionale faticosamente costruito durante ilpercorso di formazione. Ogni volta che cambia un educatore si perde la sicurezza dipoter fare affidamento su un gruppo stabile e ben affiatato. Il continuo avvicendarsidegli operatori disorienta il funzionamento della comunità. Ma ci ha dato anche unanuova buona cultura del turn over: l’instabilità e la discontinuità degli operatori per-mette ai progetti flessibilità ed elasticità. Altri intoppi possono essere evidenziati an-che nel sistema di turnazione che, data la sua peculiarità, non riesce ad accontentare leesigenze di tutti gli operatori.

Il rapporto con il territorio non è prevalentemente conflittuale. Il venir meno dellacapacità di difesa della famiglia tradizionale ha reso le pareti sociali più penetrabili echiunque può guardare meglio senza pregiudizi. Infatti, a questo indebolimento dellastruttura familiare ha corrisposto il senso del rafforzamento del volontariato. La rivolu-zione culturale in atto facilita il cambiamento degli atteggiamenti e l’approvazione deinuovi strumenti educativi. La gente prende coscienza del fenomeno, lo riconosce e co-mincia a facilitarlo.

Piccolo Carro

Uno degli studi per i colloqui di psicoterapia con annesso il salottino di attesa.

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ABBIAMO CREATO UNA NOSTRA RETE DI SERVIZI PER FACILITARE IL CONTATTO CON LA GLOBALITÀ

DEL VISSUTO SOCIALE

· Piccolo Carro: cooperativa sociale che gestisce la comunità per minori (progetto“L’isola che non c’è”) e una serie di servizi per l’infanzia e l’adolescenza, quali adesempio il Baby parking: una modalità di intrattenimento dei bambini non scolariz-zati (progetto “L’erba voglio”); il Baby bus, il Telefono Psicologico 24 ore su 24….

· Grande Carro: cooperativa sorella che offre possibilità concrete di integrazione la-vorativa a tutti gli ospiti che intendono ricostruire un futuro solido senza più frane.Si tratta di autentiche esperienze lavorative: laboratorio di falegnameria, restauro,montaggio porte, daghettato, pronto intervento, manutenzioni varie, edilizia, imbal-laggio, collaborazioni industriali per manifattura di tessuti…

· La casa di Pietro:L’azione educativa, agita in questo ambiente accogliente e organizzato, riduce il di-sordine e il caos. Si tratta di una struttura efficace e ad alto livello che integra i varipiani comportamentali che portano al benessere individuale e sociale.

· Assistenzapedagogica: didattica per apprendimenti lacunari, punti incontro-ascolto per genitorie docenti…psicologica: servizi di consulenza psicologica, psicoterapia, tirocinio per operatorivari e psicologi….biomedica: prestazioni di terapie alternative finalizzate al benessere fisico…domiciliare: interventi di emergenza per situazioni di infermità temporanea o perma-nente…

· Formazione: aggiornamento e perfezionamento a ciclo continuo per psicologi, ope-ratori dell’educazione, della sanità, del mondo del lavoro…

· Biblioteca specializzata: oltre seimila volumi di psicologia, psichiatria, medicina,sociologia, pedagogia, antropologia, sessuologia, letteratura…

· Collaborazioni: con il CePASA di Spoleto (Centro di Psicologia Applicata e di Sudisull’Apprendimento - associazione scientifico-culturale), gruppi di ricerca,Università…

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USIAMO UNA METODOLOGIA IN CONTINUA COSTRUZIONE E RICOSTRUZIONE

Secondo la nostra ottica, gli educatori di comunità sono operatori socio-educativi (danoi meglio denominati joyleader cioè produttori di gioia), la cui funzione è apertanell’ambiente circostante e radicata nel territorio per non restare isolata all’interno diuna struttura, che altrimenti diverrebbe emarginata ed emarginante. Ma sono soprattut-to degli educatori professionali perchè hanno chiare le idee su alcuni concetti che qua-lificano la loro competenza operativa.

Contatto: Dal punto di vista pedagogico, ogni allontanamento temporaneo dalla fami-glia dovrebbe servire per ricreare un nuovo intreccio di rapporti e di relazioni in unnuovo ambiente libero da tensioni e problematiche tali da non sfociare in ulteriori pa-tologie interpersonali. L’operatore, pertanto, stando insieme ai ragazzi utilizza il prin-cipio rogersiano dell’accettazione incondizionata e totale. Accettare vuol dire assume-re un atteggiamento non giudicante. Essere “accettanti”, però, non vuol dire essere“empatici”. Chi educa non mette nessuna maschera ma cerca di essere reale “hic etnunc”, non giudica ma comprende, non utilizza la permissività ma usa l’autorevolezza.Nell’atto educativo non conta la ricerca della causa né la sottolineatura della conse-guenza, ma la percezione che ognuno ha di sé e degli altri all’interno del progetto, dicui l’educatore ha piena consapevolezza, affinchè ogni minore possa risolvere adegua-tamente i propri conflitti, le proprie frustrazioni e i propri disagi nella partecipazionealla vita quotidiana. La comunità, così, diventa un secondo utero per una seconda rina-scita. È un nascere contro che offre nuove condizioni per il cambiamento, percorsi al-ternativi alla ridefinizione della vita… utilizzando soprattutto i compiti che riguardanola conduzione della casa, la preparazione del cibo, la pulizia personale, la cura di sé, ilgioco, le attività del progetto… insistendo sull’acquisizione dell’obbedienza alle rego-le essenziali di buona educazione e ai principi basilari per una corretta conduzionedell’organizzazione, per creare un clima minimo di fiducia reciproca e di sicurezza disè, al di là di ogni senso puramente repressivo; infatti, le regole di conduzione della co-munità mirano ad evitare lo scontro catastrofico con la vita quotidiana e servono allariaffermazione dei valori dell’amicizia, della responsabilità, della interdipendenza posi-tiva… Soprattutto alcune regole di base servono a garantire la sicurezza: nessuna vio-lenza contro se stessi e gli altri (se si verificano episodi di violenza si discutono e si ela-borano impegni scritti…), niente droga e alcool, niente sesso libero (ma educazione allasessualità, all’amicizia, all’altruismo, all’apertura affettiva, all’incontro d’amore…).

Perché le regole? Le regole, se sono il risultato delle aspettative reciproche, diventanoun elemento tranquillizzante che dà stabilità alla vita quotidiana perché non vengono

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percepite scariche di valenze persecutorie e il gruppo non fa più da cassa di risonanzaalle proprie tentazioni. Un sistema di idee condivise diventa teoria implicita: il minoreè un oggetto sociale da “dominare” cognitivamente e emotivamente attraverso schemie semplificazioni che ne possono far vedere gli esiti.

Perché l’autorevolezza dell’adulto? La letteratura psicologica afferma che il bisognodi rispecchiamento del minore nell’adulto significativo (genitore, educatore, docen-te…) ha un’importanza basilare per il processo di autostima e per l’acquisizione di unapropria identità sociale, anche se con l’età il bisogno di guida tenda ad essere trasferitosui coetanei. La comunità diventa la bottega dove ogni minore fa l’apprendista. Restachiaro che per favorire la crescita in tutte le direzioni è importante cercare il coinvolgi-mento della famiglia d’origine (in vista in un possibile reinserimento), la scuola, i ser-vizi territoriali… In una comunità educante ogni elemento ha un suo valore e porta unproprio contributo.

Affettività: Nell’ambito della relazione educativa l’aspetto affettivo va chiaramentedistinto da quello professionale, al fine di evitare legami emotivi fortemente connotatiche danneggerebbero la crescita dell’autonomia personale del ragazzo in quanto si po-trebbe sviluppare una relazione confusa, mistificatoria, mascherata, non autentica.Abitualmente, l’ostacolo implicito in certe complicità viene risolto con la differenzia-zione dei ruoli operativi nei vari campi di competenza: organizzazione interna, dimen-sione sociale, aspetto pedagogico, attenzione terapeutica… Tale diversità libera dai ri-schi dei vissuti di onnipotenza suggeriti dalla compassione del singolo educatore per ilragazzo in disagio. Non genera confusione dei ruoli. Quindi, le differenze di posizio-ne mantengono i valori di fondo. E sono questi vari codici espressivi, ben strutturati,che producono comunque effetti non riconducibili interamente all’operato del singolo.Le parti strutturano l’intervento. Del resto, i processi di crescita di una persona non so-no influenzati solo dalle caratteristiche ambientali ma anche dalla coordinazione deiruoli che rivestono le persone che educano. Nessuno può supplire ad una mancanza ri-coprendo ruoli parentali assenti o negativi, ma tutti possono contribuire alla realizza-zione dei bisogni evolutivi del minore. Così si evita di cadere nelle sabbie mobili.Ormai nessuno dà valore scientifico alla cultura psicologica tradizionale che enfatizza-va l’importanza dei primi anni di vita sostenendone l’immodificabilità dei loro effettidisastrosi (cfr. Trauma, complesso, blocco...). Oggi la ricerca scientifica è attestata sulfatto che, durante i processi di sviluppo, conta la relazione. La personalità si strutturaprincipalmente sulla relazione.

Di conseguenza, l’operatore, data la sua precarietà, evita la presa in carico totale delragazzo per non esporlo a ulteriori attaccamenti e a dolorose separazioni e distacchi.Prendersi cura, al di fuori della famiglia e della rete sociale, è un servizio che assicurala protezione dai pericoli, dal disagio e dalla sofferenza, garantendone l’incoraggia-

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mento a sviluppare le proprie potenzialità sociali e intellettuali per diventare una “per-sona totale autonoma” … L’educatore sostiene il cammino verso l’autonomia dei figlialtrui senza slanci invadenti. Sostegno senza sostituzione. A nostro parere, cercare disublimare o allontanare il male dalle figure parentali per salvarle come genitori interio-rizzati, non è sufficiente per sostenere il peso dell’investimento emotivo. Riattivare lepassate fantasie elaborate da bambino, comunque, aumentano le difficoltà del rappor-to. Quindi, l’educatore non può prendersi il lusso di soffrire insieme al ragazzo o per ilragazzo. Se soffre rischia di perdere la forza e l’equilibrio del guidare con lucido di-stacco. Spesso, del resto, si rischia di giocare con forme di improvvisazioni emotive.Manca il legame naturale della coerenza genitoriale. E le incoerenze non pagano, anziaprono il varco verso le sabbie mobili. I ragazzi di comunità sono sabbie mobili el’educatore non può caderci dentro. Vengono da esperienze che li hanno abituati a tut-to: genitori affidatari, assistenti sociali, psichiatri, psicologi, giudici, poliziotti, guardiepenitenziarie, carabinieri…famiglie temporanee, ospedali, questura, tribunali, carce-re… droga, alcool, violenza, maltrattamento, abuso, prostituzione, spaccio…

Processo educativo: A proposito sono state elaborate una serie di schede personaliper avere sotto controllo l’andamento all’interno della comunità dal momento dell’am-missione al momento della dimissione (cfr. scheda sociale, profilo dell’osservazionediretta, mappa descrittiva dei comportamenti e degli atteggiamenti… intervista clini-ca, questionari, test…). Si tratta di strumenti che permettono di tratteggiare un quadrovivacemente realistico della vita dell’ospite. Per evitare la discontinuità comunicativacon la conseguente rottura del clima relazionale, gli educatori hanno incontri settima-nali di scambio informativo e un incontro di verifica mensile. Il coordinatore raccogliele osservazioni secondo un criterio descrittivo e non interpretativo e le sottopone allariflessione degli educatori per cercare di restituire il vero significato agli eventi al di làdelle eterogeneità, contraddizioni, ambivalenze, disfunzioni, alleanze, complicità… Ilcontinuo confronto sugli indicatori e sugli obiettivi costruisce la vita senza deformarla:

Alcuni indicatori:• indicatori di stato: cognitività• indicatori di processo: integrazione/opposizione• indicatori di risultato: abilità

Alcuni obiettivi: • acquisizione di un buon grado di autostima e di valorizzazione delle risorse personali• sviluppo di una coscienza critica nei confronti della realtà• elaborazione del vissuto personale e familiare• promozione della socializzazione e dei comportamenti prosociali• interiorizzazione delle regole interne ed esterne della comunità

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• preparazione dei pasti• conduzione dei lavori domestici (lavanderia, pulizia ambienti…)• responsabilizzazione nella gestione del denaro• cura degli spazi • allevamento e cura di animali• educazione all’igiene e alla cura della persona• acquisizione di competenze tecniche e professionali• avviamento al lavoro

Stare in comunità per noi è osservare il movimento dell’educare: dal tempo biologicoal tempo pedagogico per recuperare la storia passata, vivere il presente e progettare ilfuturo. In tale percorso l’educatore è un audace interprete del quotidiano, istruttore delvissuto giornaliero, catalizzatore degli attimi di serenità... La vita comunitaria è innan-zitutto pratica educativa.

La diagnosi educativa non è un giudizio sul minore ma un evidenziamento delle po-tenzialità inespresse, è un punto di partenza per elaborare un programma educativodifferenziale, discrezionale e ridefinibile in qualsiasi momento per un allargamentodell’analisi. Il progetto educativo generale della comunità vive dei mini-progetti edu-cativi individuali. Dal progetto presunto (ideale) al progetto palese (reale) come opera-zione di ottimizzazione.

Il lavoro educativo con ogni singolo minore viene puntualizzato e coordinato dalladirezione terapeutica al fine di assicurare le condizione per un normale processo dicrescita e per permettere il recupero dei ritardi evolutivi. Si lavora anche in funzionedi una possibile modificazione del contesto familiare e ambientale al fine di garantireun rientro con effetti positivi. È ovvio che la messa a punto di questa operazione è unlavoro delicato e complesso perché si tratta di sapere come tradurre bisogni, desideri erichieste attraverso un progetto realistico in funzione del benessere del minore. È evi-dente che gli interventi di risocializzazione prevedono compiti domestici quotidiani,attività pratiche, apprendimento dall’esperienza, lavoro di gruppo, incontri su discus-sioni tematiche, apprendimento scolastico, libera ricreazione, uso educativo del tempolibero (sport, teatro, cineforum, arte…). Non si fanno miracoli né guarigioni miraco-lose. L’agire quotidiano e ordinario diventa fatto educativo straordinario: oltre ad es-sere un’azione che dura oltre, in quanto produce esiti dalla tangibilità immediata, èanche un’azione che provoca altro, perché innesca metamorfosi. Il tutto si ispira ad unmodello di vita familiare. In tal senso la comunità va considerata come un luogo dicrescita attraverso la vita di gruppo e, quindi, un territorio di transizione, dove si arri-va per imparare ad andarsene per le strade del mondo comportandosi da veri galan-tuomini.

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Integrazione dei programmi educativi individuali nel progetto generale di comunità:

Il progetto educativo di base predilige la fiaba, l’immaginario, il simbolo, la metafo-ra… che diventano gli elementi su cui lavorare per ritrovare le dimensioni smarritedelle singole personalità. Si lavora con l’immaginario per ritrovare l’io disperso. Fiabecome evasione dal quel “carcere” dove ognuno si sente imprigionato. Ogni fiaba di-venta mistica (guarda al sovrannaturale), magia (entra nella natura non conosciuta) eumanità (rispecchia la realtà della vita).

c’era una volta… come spazio dove si ristruttura la mente:Pinocchio non era un pezzo di legno, ma uno di quelli buoni e non serviva solo ad ac-cendere il fuoco. I nostri ragazzi sono fondamentalmente paragonabili a questo pezzodi legno. Sono tronchi d’albero con una corteccia profonda da non permettere di entra-re all’interno dell’anima. Ma se un falegname riesce a plasmare il legno con il cuorene tira fuori un desiderio chiamato Pinocchio. Geppetto sa vedere e sa come tirare fuo-ri la vita. Realtà e fantasia non sono canali separati. I ragazzi sono scatole di emozio-ni. Sono eroi per caso. (cfr. P. Salerno – Nell’isola che non c’è la curiosità diventa te-rapia – Una favola nella favola - pp. 63-69)

familiarità … come luogo dove si costruisce la vita:Il ragazzo non è “quello che io vedo”. Il ragazzo abituato a stare in strada è un ragazzoche vive la vita in ogni suo momento con espedienti. La strada non offre il tempo perpensare, non fa ragionare… In strada vince il più veloce, il più forte e il più furbo. Egliè ciò che fa e per questo non è in grado di teorizzare. Non è poesia perchè vive solo diprosa. Manca l’abbraccio naturale dei genitori. Il nostro ragazzo è un ragazzo dall’etànegata: è feto non voluto, cellula rifiutata, persona non amata... Si è consumato primadel tempo ed è diventato un ragazzo al limite. È un ragazzo che ha fallito l’accomoda-mento nelle nuove famiglie approssimate. Non ha stabilità affettiva. È un contenitorevuoto dove le esperienze più strane e dilanianti sono cadute dentro e a cui non è in gra-do di dare un posto, un nome, un significato… Il contenitore emana sensazioni piace-voli o spiacevoli secondo come è mosso e secondo il genere di confusione che provo-ca. Il nostro ragazzo non conosce la parola sentimento: ha dovuto imparare a non pro-vare nessun sentimento per sopravvivere. Per questo motivo non è possibile lavorarepartendo dai danni subiti. È un tutt’uno con ciò che ha vissuto. L’angoscia profonda èla sua normalità. Non c’è speranza nei suoi pensieri, ma solo fame. È fame più che de-siderio. Quindi, occorre aggiungere nuove positive esperienze dentro il contenitoreper rimpiazzare quelle negative. L’acqua sporca cederà il posto all’acqua pulita.

pet-therapy … come occasione per addolcire i contatti:La pet assisted therapy (terapia coadiuvata da animali da compagnia) è un ausilio tera-peutico, conosciuto già nel 1792, che noi utilizziamo come supporto alla situazione di

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disagio e di immaturità. Gli animali fanno da mediatori e diventano coterapeuti inquanto essi hanno un “carattere” fisso, sempre con le stesse caratteristiche e per questodanno gratificazione, attraggono senza tradire, fanno muovere in un clima di sicurezza,scatenano sentimenti di protezione e di contatto, danno affettuosità e ubbidienza gra-tuita, soddisfano le necessità della vita emozionale, attivano forme di socializzazionee di interazione... Gli animali diventano veri e propri lubrificanti sociali.Ammortizzatori di stress fisico ed affettivo.

biblioteca… come scoperta del tempo perduto:La lettura ha un grande valore terapeutico in quanto amplia la visione della percezionedella realtà e stimola il cambiamento. L’assenza di un’evoluzione culturale, avendoimpedito l’accettazione e l’interpretazione della storia individuale, può essere recupe-rata attraverso il rispecchiamento della vita da parte di alcuni scrittori e attraverso la ri-flessione sui problemi esistenziali ad opera di alcuni specialisti.

ogni momento… come il momento per crescere:Il colloquio psicologico non avviene nell’ambito del classico lettino o della sedia bol-lente, ma viene agito al momento in cui si crea l’occasione e il ragazzo apre quella por-ta che ha sempre voluto tenere chiusa. Ogni momento può essere il momento terapeuti-co soprattutto quando si sta in gruppo. Da noi la terapia di gruppo non è chiamata taleperché sarebbe rifiutata. Diamo un breve accenno di alcuni lavori in gruppo (cerchio).

Il circle-time diventa il “giro delle carezze”. I nostri ragazzi sanno di avere alcuni minutispeciali di attenzione per esprimere i loro pensieri e il senso degli eventi della loro esi-stenza. Per alcuni, ripartire dalla vita fetale attraverso una serie di giochi corporei propo-sti dai personaggi delle fiabe, significa colmare quei vuoti generati dalla esperienza am-bientale. Dalla globalità di tanti linguaggi (musica, colore, suono…) si arriva all’indivi-dualità del soggetto che scopre il ritorno alla gioia di vivere che è nascosta in ognuno diloro. Scintille di autenticità che restituiscono tutti i sapori e i colori del vivere.

Il “gioco degli angioletti” diventa l’incontro con l’altro per avere quelle coccole emo-tive che fanno prendere coscienza dei propri sentimenti in un’esperienza d’amore.Così ognuno ha la possibilità di provare che le relazioni autentiche, come le regoledella convivenza, formano il carattere, insegnano la sensazione di amare e di sentirsiamati, fanno apprendere il controllo delle reazioni rispetto agli acting-out (comporta-menti distruttivi, cortocircuiti impulsivi…), abituano ad evitare i conflitti inutili..Stando assieme agli altri si apprende la crescita piuttosto che la perfezione… si prendecoscienza della propria realtà senza sentirsi psicoanalizzati… o colpevolizzati.

L’incontro di gruppo tematico permette di discutere su un argomento propostodall’educatore o da un ospite (stima, rispetto, responsabilità, buone maniere, educazio-

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ne, amicizia, cultura, solidarietà…). Si lavora come il contadino sul campo che sta at-tento a tutto ciò che avviene sul terreno per non rovinare ciò che coltiva. Per un conta-dino amare è ascoltare il tremore delle zolle intirizzite, è stupirsi del frutto che non c’è,è cogliere la melanconia dei rami nudi, è capire i fremiti dei nuovi germogli… Non è ilsilenzio dell’orto. E soprattutto si cerca di rovesciare una brutta legge del branco: nelleazioni positive il gruppo isola, mentre nelle azioni negative il gruppo appoggia, sostie-ne e protegge.

un territorio aperto alla globalità del benessere:Vengono privilegiate le terapie naturali alternative, tipiche dei centri di benessere.Quindi, quando lo staff medico-psicoterapeutico lo ritiene opportuno, la cura farmaco-logia viene sostituita con rimedi di medicina ayurvetica, omeopatia, naturopatia, fito-terapia…

… e infine si fanno tante altre esperienze: ambientazioni, temi, scrittura creativa…

27Piccolo Carro

Stanze dove si pratica la ricerca individuale o di gruppo con l’uso della biblioteca.

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CERCHIAMO DI SEGUIRE I SEGUENTIPERCORSI DI BASE

DI ORIENTAMENTO NELL’AZIONE EDUCATIVA

Passaggi educativi per i minori ospiti:

- accoglienza: chi sei, chi siamo, cosa facciamo…- contatto: analisi dell’uso delle capacità residue: un individuo si modifica partendo

dal positivo, da qualcosa che già esiste e su cui si possa costruire il cambiamento.Ogni ragazzo è una carta bianca sui cui si colora senza usare preconcetti o cartelle dipresentazione. Il “foglio bianco” si riempie tenendo conto che ogni colore assumediverse tonalità a seconda chi gli sta vicino…

- sverniciatura: cogliere dove inizia il disagio e dove inizia la maleducazione; capire ilconfine tra aggressività necessaria e senso di responsabilità…

- relazionalità: stare con l’altro è scegliere un operatore referente che sa accoglieresenza parlare del “disagio”…

- terapia globale: comportamentale, cognitiva, sociale… occupazionale… integrazionale…

Bussole psicopedagogiche per gli adulti educatori:

- fissare collegialmente gli obiettivi della vita comunitaria, non vista come naturale,ma vissuta come gruppo autoeducante evitando psicologismi, intimismi, moralismi,narcisismi, false alleanze, aggressività sotterranee, colpi bassi…

- operare con creatività professionale prevedendo i rischi, garantendo il rispetto della le-galità e dei regolamenti, muovendosi secondo le logiche delle finalità organizzative…

- discutere le conseguenze e i risultati dei programmi chiarendo i limiti, le responsabi-lità, il rispetto dei ruoli…

- rispettare la naturale leadership per facilitare la soluzione dei conflitti e la condivi-sione delle decisioni…

- valorizzare le competenze e le potenzialità inespresse di ogni singolo membro…- abituarsi allo stile democratico partecipativo di tipo cooperativo: le decisioni ven-

gono prese senza perdere di vista l’opinione delle minoranze...- favorire la mobilità per evitare la strutturazione della relazione con gli ospiti e la

possibilità di squalifica del ruolo educatore… favorendo la pluralità dei modelli at-traverso l’arricchimento delle presenze socializzanti… a vantaggio dell’unità e conti-nuità culturale dell’organizzazione…

- educare significa imparare a essere l’ultimo nella ricerca della gratificazione perso-nale: la gratificazione dovrà provenire dalla cooperazione al raggiungimento del pro-

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29Piccolo Carro

getto fissato in èquipe (maturità collaborativa). La crisi della presenza, se vissutapositivamente, fa comprendere il valore della “prosocialità” nel contatto e nei primiapprocci, nell’incapacità a fronteggiare la situazione...

- iniziare a fare l’educatore significa cominciare ad apprendere a costruire la mappatu-ra dei bisogni dei minori, utilizzando autodefinizioni, osservazioni, interviste a te-ma... dando visibilità all’invisibile... senza forzare le identità soggettive dentro lacultura della Comunità...

Burn out professionale:

La prima selezione del personale mira a individuare operatori psicologicamente equilibratie a verificare il livello di conoscenze possedute circa lo sviluppo, il comportamento umanoe la gamma di deviazioni possibili, l’organizzazione sociale del piccolo gruppo, la differen-za tra educazione e terapia e gli elementi basilari della conduzione di una struttura residen-ziale. Tutto ciò, la formazione iniziale e l’aggiornamento, però, non garantiscono la preven-zione del burn out (cfr. scheda in “Interprofessionalità” n.78/2000). Infatti, abitualmente,si registrano difficoltà nel raggiungere un accordo sul mantenimento del sistema, sul mododi raggiungere uno stile buono e utile di interazione reciproca, sulla promozione di un cli-ma soddisfacente per tutti durante l’assistenza residenziale… Per evitare lo stress profes-sionale, pertanto, ad ogni singolo operatore viene applicato un questionario messo a puntoper esplorare gli aspetti più significativi della sua azione in comunità (storia culturale eprofessionale, esperienze di formazione, corsi di specializzazione, modelli di riferimento…situazione lavorativa, previsioni di continuità, orari di lavoro… livelli di soddisfazione, pro-blematiche con gli ospiti e con i colleghi… attività di comunità, progettazione educativa,metodologia di lavoro, supervisione, valutazione…(cfr. questionario del quaderno n. 5“Educare in comunità” - Regione Toscana - Coordinamento Nazionale Comunità perMinori 1993). L’operatore deve essere protetto dal rischio di diventare un inquieto fanta-sma che segue l’ossessivo andare dei suoi passi e l’ansioso scorrere delle ore… La comu-nità non deve tessere vissuta come un arido cammino di ossa polverose, né un calendario dinomi tracciati sulla lavagna delle presenze quotidiane, né uno specchio dove ognuno cercala riflessione di se stesso… ma un terreno familiare che insegna a prendere il futuro nelleproprie mani… Quando l’esperienza non attinge ad un personale processo di elaborazioneporta inevitabilmente al rammarico e all’insoddisfazione di ciò che si fa. Si crede di cono-scere ciò che si compie ogni giorno ma se ne subisce l’illusione del gesto quotidiano: l’ap-parente sapienza mostra tutta la sua debolezza. .. all’entusiasmo iniziale segue la delusionedelle aspettative… la mancanza di criteri e di metodi di verifica per ciò che si fa, i limiti ele ambiguità fanno entrare nel cortocircuito emotivo… Allora, stretti dalla morsa di un pre-sente disorientante per il proprio futuro lavorativo, i piccoli inevitabili problemi quotidianiassumono l’aspetto di difficoltà insormontabili.

Per chi intende conoscere meglio i principi e le modalità di conduzione delle nostre comunità, lo invitiamo a leggere ilvolume sul “Piccolo Carro” di prossima pubblicazione (tel. 075 – 8043898)

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30 interprofessionalità

Corso “BABY-JOKER” creatore di giocosità

Non si tratta di un corso finalizzato alla gestione di un banale parcheggio per bambini. La proposta formativa è centratasul bisogno di imparare ad attrezzare strutture educative aperte e dinamiche che promuovano la creatività come occa-sione culturale, l’attenzione psicologica come strumento flessibile per la crescita individuale, il gioco pedagogico perla cancellazione di false esigenze... e soprattutto per far apprendere esperienze interpersonali significative.

OBIETTIVI:- favorire la crescita psicofisica del bambino (0-6 anni)- incentivare i processi di socializzazione infantile- promuovere attività creative contro l’isolamento e la solitudine infantile- acquisire abilità psicosociali finalizzate alla conduzione di comunità infantili- facilitare la serenità del diritto dei genitori al lavoro e all’uso del tempo libero- restituire dignità professionale agli operatori - insegnare la maturità collaborativa

CONTENUTI generali: Area psicologica e sociologica: i problemi della crescita e dello sviluppo del bambino

identità e ruolo degli operatori del baby parkingArea pedagogica e metodologica: elementi di programmazione e valutazione

maturità collaborativa nella gestione di un progettoArea dell’animazione: giochi formativi finalizzati a far acquisire le abilità professionali

DURATA: cento ore

Corso “JOYLEADER DI COMUNITÀ”produttore di gioia

E’ una proposta di progetto formativo (master) per l’educatore di comunità che ha come sfondo il rinforzo del pedago-gico rispetto alla genericità del sociale. In questi ultimi decenni, infatti, le attenti analisi dei processi del cambiamentohanno risvegliato l’attenzione verso nuove problematiche inquietanti e drammatiche della condizione infantile e giova-nile. Con il presente progetto si intende offrire una opportunità di imparare a leggere il fenomeno in chiave nuova ondetrovare risposte più adeguate e realistiche che abbiano valore sia per il soggetto che per il gruppo. Più che prediligerel’intervento sul gruppo, preferiamo orientare i partecipanti ad agire anche sull’individuo in modo più mirato, centrandoil cuore della persona. Alla logica gruppale deve subentrare il valore della specificità del caso poiché un “io debole”non può subito “fare gruppo”. Il corso si propone la sperimentazione per vedere se questo nuovo percorso funziona omeno. Finalità generale del corso, dunque, è il creare un nuovo tipo di animatore che, oltre a saper agire, sappia proget-tare in modo specifico e flessibile puntando alla singolarità dell’intervento. Si tratta di abbandonare un po’ la filosofiadell’abituale per immergersi nella sfida dell’insolito introdotta dalla modernità. Animazione non più come arte, ma co-me un ventaglio aperto ed arricchente di competenze più complesse che mettano in condizione di collaborare in teamper costruire progetti di vita controllabili e valutabili senza rigorismo scolastico ma con l’elasticità dell’extrascuola edella cultura del riconoscimento delle diversità...

Obiettivi:- acquisire conoscenze in campo socio-psico-pedagogico e i fondamenti epistemologici- sviluppare capacità di lettura nei contesti sociali(gerarchia dei reali bisogni, problemi di una comunità, punti forza...)

- fornire strumenti della promozione del benessere alla luce dell’analisi organizzativa multidimensionale- apprendere criteri di progettazione, di intervento e di valutazione degli esiti educativi- avere abilità relazionali e qualità umane sui diversi piani sociali

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31Piccolo Carro

Articolazione delle discipline:- Psicologia e pedagogia della formazione (50 ore)- Sociologia del disagio dell’operatore e dell’utente (10 ore)- Patologia psichiatrica e micropatologia del sociale (10 ore)- Condizione minorile e profilo socio-giuridico (10 ore)- Distensione e benessere neuro-psichico (10 ore)- Animazione (30 ore)- Teorie e tecniche dei “giochi psicologici” (30 ore)- Metodi e strategie di conduzione di una comunità (50 ore)

Si elencano alcuni contenuti della formazione: analisi multidimensionale dell’organizzazione; personalità di contat-to; maturità collaborativa; percezione di sé e degli altri; comprensione e educazione tra ascolto e informazione; anali-si di un problema, negoziazione e processi di decisione; i fondamentali strumenti dell’educatore-formatore; la presen-za efficace; la mobilitazione dei processi di pensiero individuale e di gruppo; l’allenamento a restare sul tema; l’im-mersione nelle acque della propria e altrui interiorità gradualmente senza angosce e senza scatenare sentimenti dicolpa (perdita di controllo, slatentizzazione di nuclei psicopatologici...); la relazione simmetrico-negoziale; l’analisi evalutazione delle abilità sociali dei vari membri del gruppo; le differenze cognitive, razionali ed irrazionali, dei com-portamenti; le tecniche di gestione e controllo degli atteggiamenti di disabilità sociale; la comunicazione competentenell’informazione, nella formazione e nella consultazione; l’ascolto come flusso di stima; le tecniche di gestione dellacritica, della polemica, dell’opposizione...; la conduzione di un colloquio, di una discussione, di un dibattito, di unariunione...; la valutazione dello stile relazionale (assertività, aggressività e passività)…; la gestione dello stress e del-la tensione morale (burn-out...). La condizione adolescenziale e il disagio tra teoria della personalità e teoria dell’aiu-to. L’indirizzo neorogersiano: dall’ascolto centrato sulla persona al metodo cognitivo-comportamentale. Oltrel’ascolto attivo: dire esplicito e dire implicito (conduzione di un gruppo-incontro con esercitazioni). Tecnica riflettentee confini teorico-applicativi (Rogers, Gordon, Carkhuff, Tausch, Brazer...). Orientamenti nella soluzione dei problemidi comunicazione in classe e in altri ambienti. La conduzione di un gruppo di lavoro e di una dinamica di gruppo.Giochi di animazione e giochi psicologici. Altri argomenti suggeriti dai partecipanti

Criteri metodologici:La didattica usata è quella attiva: ai seminari teorico-pratici seguiranno discussioni, simulate, esercitazioni mirate; i va-ri moduli tematici saranno coordinate da un tutor; ogni partecipante potrà accedere ai laboratori multimediali per ap-profondire i propri interessi di ricerca.

Docenti:Aristei Cristina (psicologa, presidente coop sociale di Comunità per Minori) - Cocchi Franco (psicologo ASL, Perugia)- Dinardo Michele (psicologo rogersiano, Venosa) - Natalicchi Luca (psichiatra Junghiano, Perugia) - MazzettiLuciano (cattedra di pedagogia, università di Roma) - Menga Renzo (formatore e operatore multimediale, L’Aquila) -Minio Antonino (psicoterapeuta, facoltà di medicina e chirurgia, università di Perugia) - Panfili Osvaldo (editore,Arrone) - Rossi Giovanni (giudice, Perugia) - Tordelli Piero (sociologo, Macerata) – Salerno Pietro (psicologo, con-duttore di Comunità)

Partecipanti:Numero programmato massimo di 20 persone, dietro colloquio di selezione.

Requisiti culturali di ammissione:Laurea o diploma di scuola superiore o esperienza lavorativa come volontario in qualche comunità almeno per un annoo come operatore nel settore socio-sanitario, nell’area scolastica, nell’ambito educativo-ricreativo o aziendale.

Modalità di iscrizione:Domanda in carta semplice in apposito modulo, fotocopia del titolo di studio, fotografia, curriculum culturale, profes-sionale e scientifico.

Certificazione di frequenza:Alla fine della formazione chi avrà frequentato per almeno l’80% del monte-ore, avrà superato l’esame finale e avràelaborato una tesina, riceverà un attestato-diploma di esperto nella conduzione di comunità nel ruolo di joyleader

Durata: duecento ore di lavoro d’aula e cento ore di esercitazioni individualizzate.

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Saggi teorici, resoconti di esperienze, contributi di ricerche e programmi d’intervento di vari Autori italiani e stranieri resial CePASA in congressi e seminari di studio, sono stati raccolti secondo uno schema organico e operativamente utile.

Leggere è sempre un buon investimento culturale!

AGGRESSIVITÀ E COMPORTAMENTI DIFFICILI(484 pagine) L. 50.000

TIMIDEZZA E INIBIZIONE SOCIALE (372 pagine) L. 50.000

COMUNICAZIONE UMANA E CONDUZIONE DELLA CLASSE(276 pagine) L. 35.000

CONOSCO UNA SCUOLA DOVE TUTTI VANNO MA CHE NESSUNO FREQUENTA(580 pagine) L. 60.000

IL CORAGGIO COME VITA, EDUCAZIONE E AMORE(758 pagine) L. 105.000 - Cofanetto con tre volumi

NELL’ISOLA CHE NON C’È LA CURIOSITÀ DIVENTA TERAPIA(548 pagine) L. 50.000

MINIMO VITALE(333 pagine) L. 30.000

MESTIZIE (in press … disordini della personalità, nevrosi, psicosi…)

SAGGEZZE (in press … tutto ciò che serve alla professione docente...)

TENTAZIONI (in press… valori, società, politica, denaro, tempo libero…)

32 interprofessionalità

I primi cinque volumi sono dati in omaggio-benvenuto, sino ad esaurimento, a chi diventa Socio CePASA

Antonino Minio

Mediocrità

Percorsi formativi per educatori

Pag. 333 - £. 30.000

Pag. 336 - £. 35.000

NELL’ISOLA CHE NON C’É

la curiosità

diventa

terapia

C. Aristei, A. Minio, P. Salerno

zainetto psicologico per il duemilastrumenti psicologici

per il mondo degli affetti

Antonino Minio

Superficialità

Pag. 344 - £. 40.000

minimalia per la formazione

Fragilità

Antonino Minio

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INTERPROFESSIONALITÀPeriodico mensile dell’associazione scientifico-culturale CePASA di Spoleto

Ce.P.A.S.A.Centro di Psicologia Applicata e Studi sull’Apprendimento

Viale Marconi, 148 - 06049 Spoleto (PG) - Casella Postale 134Tel. e Fax 0743 / 48076 - Cell. 0338 / 8364421

Dal 1975 per la “persona” attraverso una “psicologia integrata” alle altre scienze

SOCI INCARICATI REFERENTI DELLE SEDI Ce.P.A.S.A. DI SPOLETO:

Umbria: Assisi 06080 - c/o Coop. Sociale Il Piccolo Carro - Zona industriale S. Maria degli Angeli - Tel. 075/8043898

Marche: S. Ginesio 62026 - Via Vallimestre, 1 - Tel. 0733/656864 (P. Tordelli)

Campania: Casapulla 81020 - Via Brodolini, 19 - Tel. 0823/460860 (G. Di Martino)

Avellino 83100 - Via G. Matteotti, 10 - Tel. 0339/8347764 (R. Postiglione)

Lazio: Roma 00199 - Viale Libia, 93 - Tel. 06/86214089 (C. Aurigemma)

Basilicata: Venosa 85029 - Via Emilia, 3 - Tel. 0972/35622 (M. Dinardo)

Potenza 85100 - Tel. 0972/33672 - Cell. 0338/1826975 (E. Giuralarocca)

Matera 75100 - Tel. 0835/335597 (A. Falcone)

La collaborazione è aperta a tutti. Manoscritti, dattiloscritti e fotografie, anche se non pubblicati, non si restituiscono.Inserzioni e articoli sono liberi da compensi economici. La responsabilità delle opinioni espresse sugli articoli firmati competeai singoli autori, dei quali si intende rispettare il libero pensiero e la piena libertà di giudizio.

Tutti i diritti sono riservati. È permessa tuttavia la riproduzione di testi senza autorizzazione scritta purché venga citata la fonteed informata l’associazione PROPRIETARIA CePASA - Viale Marconi, 148 - 06049 SPOLETO.

La Legge 675/96 sulla “Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali” obbliga ad informareche i Suoi dati sono inseriti nella nostra “mailing list”. Garantiamo che tali dati sono utilizzati esclusivamente per l’invio dellenostre iniziative e sono trattati con la massima riservatezza. È Sua facoltà richiedere la rettifica e la cancellazione degli stessi.

————

Autorizzazione del Tribunale di Spoleto del 13-11-90 al n. 70 Registro Giornali e PeriodiciGrafica, Composizione e Stampa: Litostampa 3B - Spoleto

Copertina di Pietro Salerno - Foto di Paolo Bartoccioni

Si cercano soci per apertura di nuovi “punti” dell’associazione CEPASATel. 0743/48076 - cell. 0338/8364421 Fax 0743/48076

Sito internet: www.cepasa.it Casella e-mail: [email protected]

Il periodico è inviato gratuitamenteai Soci e a tutti coloro che «sostengono» le iniziative del CePASA e del Piccolo CarroQuesto fascicolo è stato chiuso nel mese di Ottobre 2000 ed è stato stampato in 3.000 copie

Direttore responsabile: Antonino Minio

Cooperativa Sociale a r.l. PICCOLO CARROSede Legale: Via Primo Maggio, 13 - Bastia Umbra (PG)

Sede Amministrativa: Via Zona Industriale - Santa Maria degli Angeli - Assisi (PG)Tel. / Fax 075/8043898

Comunità per Minori - L’isola che non c’èVia dell’areoporto, 26 - Ripa (PG)

Babyparking - L’erba voglioVia Mecatti, 19 - S. Maria degli Angeli - Assisi (PG)

in consociazione

sito Internet: www.piccolocarro.it e-mail: [email protected]

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“Interprofessionalità” è una rivista per dirigenti, docenti, genitori, medici, psicologi,

pedagogisti, sociologi, assistenti sociali, operatori di comunità, amministratori... ed è

scritta per essere letta e capita da tutti. Chi desidera riceverla può immediatamente

aderire al CePASA, in qualità di socio sostenitore con un contributo straordinario

minimo di £. 100.000, e così favorire la pluralità del dibattito culturale. Non contano

solo le idee degli “esperti” ma anche quelle di coloro che vivono direttamente un pro-

blema. Le riviste con sole “immagini” o con tanta “pubblicità” rischiano di diventare

libri per ignoranti...

Una rivista aperta a tutto e per tutti

Se ti tolgono la parola INTERPROFESSIONALITÀ ti presta la sua voceOccasione per chi vuole essere e sentirsi presente con idee nuove e concrete!Sostieni la cultura... Contribuisci associandoti... Invia la tua adesione a

C/C Postale n. 12902060

Argomenti monotematici dei numeri precedenti:

Leadership e management - La solitudine dei dirigenti - L’isolamento nelle carceri - La libertà del piacere di essere

vecchio.

L’educazione sessuale entra nella scuola - Una sessualità, felice e consapevole - Il bambino e la cicogna - Le

scuole di sessuologia a confronto sull’educazione sessuale - Sesso mal trattato - Violenza sessuale intrafamiliare -

Pedofilia e violenza sui minori.

L’operatore di contesto - La personalità di contatto - I processi di attribuzione della responsabilità - Bulimia,

anoressia e obesità - La depressione infantile - Lo sviluppo della morale secondo Kohlberg - Il sentimento amicale

- La psicoterapia integrazionale - Interpersonale e intrapsichico.

Individualità e metodo dei casi - Moralità ed etica dei comportamenti - Il rilassamento - Sport tradito - Sport uma-

nizzato - L’ascolto attivo - Dire implicito e dire esplicito - L’osservazione come conoscenza impropria.

Educazione multimediale - Didattica e laboratorio multimedia - Effetto televisione - Cattiva televisione - Il cinema

a scuola - Fare teatro senza troppo psicologismo.

Disagio e progetti educativi - Progetto baby fiction - Progetto educazione alla vita - Progetto scrittura creativa -

Progetto Joyleader - Progetto apprendere con successo - Progetto dispersione scolastica - Progetto impediamo

che i barbari entrando in classe saccheggino la scuola - Progetto operatore sanitario di fronte al malato termina-

le - Progetto mediazione familiare - Progetto creatività televisiva e cinematografica - Progetto centri ascolto -

Progetto club incontri bambini-anziani - Progetto sostegno psicologico per soggetti in disagio e svantaggio.

Dai una mano al CePASA, confermando in qualsiasi momento la tua iscrizione!

Associazione Culturale CePASACentro di Psicologia Applicata

06049 SPOLETO (Pg)➞

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C’è qualcosa che ti preoccupa?Hai bisogno del consiglio di uno psicologo?

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