Il Collirio #07

36
1

description

Rivista Culturale Indipendente Aprile 2015 - Velocità

Transcript of Il Collirio #07

1

2

“Un mobile più lento non può essere raggiunto da uno più rapido; giacché quello che segue deve arrivare al punto che occupava quello che è seguito e dove questo non è più (quando il secondo arriva); in tal modo il primo conserva sempre un vantaggio sul secondo”.

In copertina: “Turble” di Massimiliano Boz Edition of 200 offset - stampato presso Tipografia Reali

3

Editoriale

rcadia e locomotiva.I saluti più affezionati e cordiali, quasi lacrimosi, a Titiro e Melibeo, ultimi gerarchi di un’idea in via di sparizione. Situati al crocevia di una emozione, nel passaggio da una doppia fascinazione – quella per la mitologia greca arcaica, fonte di invidia e paternità, e quella per il passato che non ritorna, un tempo in cui il sandalo era sporco di terra e immediatezza e non del sangue delle congiure – sono poi riassorbiti dalla storia che non dimentica, quasi orgogliosa nell’aver reso tributo ad una figura tanto autorevole. Il problema nasce da un equivoco di contesto. L’escatologia emozionata del puer, protagonista assente dei versi della quarta Bucolica, nasce dall’esigenza di un ritorno, bianco e dorato e sedotto dalla dimensione ciclica della vita e della storia. È il serpente che rincontra se stesso, il rimpianto e l’accettazione. C’è una cosa che viene dimenticata, l’età dell’oro è una età di quiete, un mondo ristabilito nei caratteri originari. Il mondo occidentale non riesce a tradire la sua doppia radice, quella greco-latina e quella ebraica. Nella filologica rielaborazione di intenti, la croce si impossessa delle figure per una legittimazione che sa di heimarmene e convincimento. Si tratta di giustificare tutto il mondo prima dell’annuncio, come se nell’oblio di qualcosa che non poteva esistere ci fossero in realtà i prodromi della meraviglia. A cambiare è però il modo radicale di intendere le attese, il millenarismo contro la ciclicità. Le paure da anno Mille sottolineano il febbrile e vivo concorso per raggiungere un punto di giudizio finale, il rimpianto vuole una placida riproposizione di uno stato di cose. Binari paralleli, tristi e antichi, che hanno suggerito al tempo che è venuto una matrice sbagliata, quella della speranza a tutti i costi.

A

4

S T A G I O N I S C A L A R I

L’alba dissetanted’un mattino di novembrecopre vuoti transitaticome vuole: indifferente.

Il mattino passa fermodentro al ghiaccio dei ricordi,in attesa che l’invernone scolpisca fine i bordi.Prima vera riflessione

di un’assurda nostalgia,che meriggia col pantonee tratteggia fantasiedi comete che al crepuscolosi accantonano in un mucchio, trapuntato d’incoerenza: che spettacolo distratto.

Un tremendo saliscendisu scale mobili assiologichetra generazioni poco stabili;giù, nelle voragini, paure escatologiche,su, nei cieli siderali, risposte poco logiche,meravigliose costellazioni d’ignoranza, poi aurore boreali.È calda e sa di mare: la mia morte è profonda, come una notte d’estate.

-EFFETTI COLLATERALI-

5

6

Tornò a milioni di anni fa. Altrimenti gli sarebbe parso di perdere di vista l’essenza, e le ragioni, delle cose. I canoni del mondo che lui e lei avevano lasciato, se lui li avesse applicati, lo avrebbero comunque potuto attrarre a lei, ma non nel modo così essenziale che adesso sperimentava dentro di sé. Fu nel momento in cui ne prese pieno possesso, che tornò a canoni da antico Fanerozoico.

***

Bisognava essere veloci. Scappare via. Entrambi si erano mossi dal loro Pianeta, a bordo di una nave cosmica, per provare ad avvicinarsi all’orizzonte degli eventi. La storia di altri Pianeti con vita estinta, di cui la loro specie era venuta a conoscenza, aveva eiettato il suo monito. L’istinto delle genti avrebbe prevalso. Anche lì da loro. Non si sarebbe potuto chiedere di conservare le risorse a disposizione per le generazioni a venire, se era la loro generazione ad averne bisogno. Le risorse stesse sarebbero, quindi, prima o poi terminate. Non bisognava commettere gli stessi errori in cui incorsero altre specie, in realtà non bisognava commettere il vessillifero di tutti gli errori: muoversi in ritardo. Bisognava essere veloci. La loro generazione decise pertanto di investire in un programma di esplorazione cosmica. Cercare altri posti dove poi migrare, al momento opportuno. Farlo per tempo. Per non rimpiangere il tempo. Lui e lei, e la loro nave, facevano parte di un programma più ampio. Molte spedizioni c’erano state, nei decenni precedenti. Altre ne sarebbero seguite. Ma, nell’avvicinarsi alla singolarità di quell’orizzonte, erano soli.

E passare attraverso la singolarità, sfondarla, li proiettò in un viaggio senza tempo. Sarebbe stato un pomeriggio, una sera? Una mattina, forse? Non lo seppero mai. Ma accadde proprio in quel tempo.

***

Le cose andavano come dovevano. I robot controllavano l’andatura ed il funzionamento della nave. Le risorse per vivere, lì dentro, erano abbondanti. Nessuna possibilità, ed in realtà anche nessun desiderio, di comunicare con l’esterno. Quale esterno, tra l’altro? Intorno, era il vuoto. Non fu necessaria nessuna parola. Lei capì. Andò da sola dall’altro capo della nave, si tolse la tuta, indossò un abito semplice, elegante. Nero. Morbido, a cadere sulle ginocchia. Collant neri, velati. Leggerissimo trucco. Sembrava assolutamente fuori luogo. Era invece il luogo adatto. Era il tempo adatto. Lui la vide rientrare, nella grande stanza che usavano per riposare. Non venne nessuna parola, ad affiorargli sulle labbra. Quali parole, poi? La baciò. Con semplicità. Con la stessa semplicità naturale con cui sarebbe accaduto il resto.

Si accorse, odorandone la nuca, di alcuni piccoli nei che la addobbavano. La spogliò del vestito. Rigorosamente in piedi. Le chiese di sfilarsi il reggiseno. Scoprì, ma in realtà lo aveva da sempre immaginato, che altri nei facevano da satelliti ai suoi due piccoli Pianeti. Diresse le sue labbra

A L L A N A T U R A , A L C A S O , A L L A N E C E S S I T À

“ S P A C E I N S T I N C T : B A C K A N D F O R T H T O W A R D T H E H O R I Z O N .”

verso il centro di gravità di quei Pianeti. Succhiò a fondo. Poi, non ebbe altro desiderio che guardarla, dai fianchi in giù. Non gli importava più nulla, adesso, del suo viso. Né del suo seno. Voleva solo guardarle i collant neri, e le piccole mutandine bianche di una semplicità stravolgente, che difendevano, cingendoli, i suoi fianchi. Si spogliò, guardandola. Rimase al cospetto di lei, senza imbarazzarsi per la naturalezza della sua torre eretta.

Fu in quel momento che lei fece l’unica cosa da fare, e l’unica che in realtà fece prendendo l’iniziativa, in un crescendo velocissimo di eventi dove tutto il resto sarebbe stato attuato da lui. Si inginocchiò, devota, al sesso di lui. Ne assorbì il sapore, con delicatezza. Lui prolungò l’attesa. Odorò a lungo i feromoni emessi da lei, miscelati al tessuto delle sue mutandine, e delle sue calze. Poi abbassò quei guardiani dei fianchi, alle ginocchia. Le porte del tempio erano dischiuse. Lui avvicinò le sue labbra con cautela, e molto rispetto. Fece breccia in quelle porte. La fece sospirare per alcuni lunghi minuti, benché entrambi sapessero che lì non aveva senso il concetto di lungo, né di minuto.

Tornò a milioni di anni fa.

L’istinto, antico, di possederla, si impossessò di lui, L’istinto, antico, di essere posseduta, di lei. Non c’erano più i canoni del mondo che avevano lasciato, forse, probabilmente, per l’eternità. Le calze e le mutandine furono le uniche spettatrici, adagiate lì su una sedia. Videro lui girarla di schiena. E disporre di lei, sul grande letto. Udirono lei dire “sono nata per te. E per questo attimo. Segui la tua natura.” Lui se ne impossessò. Il suo sesso non le lasciò nessuno scampo. Né lei lo desiderava. La città di lei era stata rapidamente presa. Le porte, sfondate. Lui non si accontentò di aggirarsi nel centro. Volle scoprire ogni periferia di quella città. La invase.

Piovve.

7

8

9

10

Economia reale e finanza: stesso binario, velocità diverse.Prima del triennio 2006 - 2008, periodo in cui si è manifestata la crisi dei mutui subprime, una delle poche certezze di un economista, in erba o navigato che fosse, era che lo sviluppo del sistema finanziario influisse positivamente sulla crescita dell’economia reale, dove per “economia reale” si intende l’ambito della vita economica direttamente collegato alla distribuzione di beni e servizi. Poiché questa relazione si dava per assodata, la disputa tendeva spesso a spostarsi sulle modalità di sviluppo finanziario più adatte a favorire la crescita reale dell’economia. Sostanzialmente si poteva a) puntare su mercati sempre più ampi, profondi ed efficienti, oppure b) favorire la crescita di istituzioni dedicate al supporto delle imprese. Ad oggi, a causa della crisi finanziaria suddetta, sembra prevalere la percezione opposta, ovvero che la crescita del sistema finanziario sia negativamente correlata con quella dell’industria e del commercio di un Paese. I motivi sono diversi. Da un lato la liberalizzazione dei capitali, rea di aver creato un contesto oligopolistico internazionale all’interno del quale si sono potuti fissare i prezzi delle attività finanziarie e sottrarre, per la maggiore redditività, risorse all’economia reale. Dall’altro lato il fatto che il circuito creditizio, per espandersi più velocemente e (tentare di) ridurre i rischi, concede prestiti ai settori produttivi e/o distributivi più patrimonializzati, ai quali risulta quindi più facile l’uso del patrimonio come collaterale (garanzia). Tuttavia, questi settori sono tipicamente caratterizzati da bassa crescita della profittabilità, il che, complessivamente, crea poco valore.Per dare un’indicazione numerica dello sviluppo dei mercati finanziari, al giugno 2014 l’ammontare totale delle esposizioni in titoli derivati (contratti il cui valore dipende da un’attività sottostante) era di 691mila miliardi

di dollari USA, circa dieci volte il PIL mondiale e 20% in più rispetto al 2008. La gran parte di questa esposizione è raggruppata in quindici banche; tra queste la più esposta è senza dubbio Deutsche Bank, con 75mila miliardi di euro di strumenti derivati in portafoglio, un importo più o meno pari a cinque volte il PIL dell’Europa stessa. E’ bene specificare, comunque, che in condizioni di stabilità si tratta di investimenti quasi del tutto coperti.Se pensiamo invece all’economia “tangibile”, è piuttosto sotto gli occhi di tutti che negli ultimi anni si è assistito ad una decelerazione dei ritmi di crescita. Le politiche monetarie espansive, adottate per contrastare la crisi delle economie, hanno in realtà avuto una efficacia limitata (o annullata) dal momento in cui la liquidità immessa nel sistema non è andata a finanziare investimenti delle imprese e consumi delle famiglie, ma soprattutto operazioni finanziarie, che notoriamente non aumentano l’occupazione, non si trasformano in PIL e neanche in gettito fiscale aggiuntivo per le casse degli Stati. Di qui il paradosso che la politica monetaria per raggiungere i suoi obiettivi deve oggi ricorrere a strumenti non convenzionali: come la finanza ha sempre innovato per trovare il modo di aggirare i vincoli posti dalle banche centrali, ora sono le banche centrali a dover innovare per trovare il modo di aggirare le sabbie mobili della finanza. Ma la politica monetaria non basta. L’economia reale deve ritrovare se stessa e la capacità di competere con la finanza per attrarre risorse. È una questione di produttività ed efficienza. Uno degli economisti contemporanei meno ortodossi, Ha-Joon Chang, sostiene che, in termini di produttività la lavatrice abbia rivoluzionato la società moderna in modo più profondo di quanto abbia fatto Internet. Probabilmente bisognerebbe credergli.

STESSO BINARIO, 2 VELOCITÀ

11

cotton fiocJaco Pastorius -

Donna Lee

Cristina Zavalloni - Cavaquinho

Enrico Rava - C.T.’s Dance

Latcho Drom - La Verdine

Ornette Coleman Quartet - Eventually

The Chemical Brothers - Star Guitar

Flying Lotus - Pickled!

Fela Kuti - Go Slow

igiene auricolare

12

I lettori più accaniti provano gusto nel divorare libri, nell’accelerare in una folle corsa che cerca di cibare gli occhi con le parole, di saziare la mente. Ma è spesso il libro a divorarci.Fortunatamente, il valore oggettivo di un’opera e le sue conseguenze soggettive non dipendono dalla sua prolissità o brevità, ma in qualsiasi tipo di scrittura si effettua sempre un’operazione sulla durata, una scelta tra velocità e indugio.Il pregio delle raccolte enciclopediche, contenenti l’intero scibile umano, si unisce alla loro imponenza, ma quanto ancor più prezioso può divenire un semplice epigramma che cattura con poche parole

F E S T I N A L E N T E : A F F R E T T A T I L E N T A M E N T E

il senso profondo di una questione qualsiasi?La velocità nello stile è spesso più gradita perché folgora, spiazza, ci inonda bruscamente lasciandoci sopraffatti da una marea di idee e sensazioni molteplici. In questo diluvio di stimoli nasce la creatività.Prendiamo “La diligenza inglese” (1849) di Thomas De Quincey, egli narra di un viaggio notturno sul box di un velocissimo mail-coach che quasi si schianta con un calesse; il protagonista, prevedendo la collisione, urla per avvertire il guidatore: “Io avevo compiuto il primo passo; il secondo spettava al giovanotto; il terzo a Dio”.Rapidità, agilità di ragionamento, una raffinata

economia espressiva per descrivere pochi secondi che precedono uno scontro quasi certo, ma che la prontezza di riflessi e di calcolo riesce ad evitare.La velocità mentale supera la velocità fisica. La velocità del racconto ci scaraventa all’interno di esso, superando qualsiasi descrizione ampollosa.La velocità, in quanto valore misurabile, è divenuta garanzia di qualità, ma la velocità mentale non è misurabile, non può piegarsi a fini pratici, conserva la sua purezza nell’atto di creazione soggettivo. Un attimo di nascita e morte in cui il pensiero diventa inespugnabile.Bisogna dire anche che un ragionamento approfondito

sarà sicuramente più calzante e sistematico, ma perderà la primigenia genialità, quel baluginio improvviso impossibile da sottomettere.Nella scrittura la rapidità è un valore aggiunto, è la capacità dell’immaginazione di farsi parola, di annientare puntando alla precisione e alla densità espressiva. Una forza che implode in poche righe:

“Non scordare:noi camminiamo sopra l’inferno,guardando i fiori”

13

14

I wanna be supersonic-il bosone di beppe-

15

È il tardo pomeriggio del 27 settembre 1946; ci si prepara per un importante test di volo, l’ultimo, prima del tentativo ufficiale di stabilire un nuovo record di velocità. Lo sviluppo dei motori a getto permette ormai di ottenere spinte tali da raggiungere velocità elevatissime, ma c’è ancora una misteriosa barriera invisibile su cui si sono scontrati i precedenti tentativi di superare la velocità del suono: è proprio la volontà di rompere questo maledetto muro che anima Geoffrey de Havilland Jr, figlio del fondatore dell’omonima società di costruzioni aeronautiche

e test pilot impegnato in questa fondamentale prova…La velocità del suono: circa 1237 km/h in condizioni tipiche a livello del mare. Sembrerebbe solo un numero, un normale step da poter raggiungere gradualmente con piccoli sforzi successivi. In realtà essa rappresenta un enorme confine, quello che negli anni del secondo dopoguerra fu battezzato “muro del suono”; espressione che dà molto efficacemente l’immagine della netta separazione che esiste tra i due regimi di velocità: al di sotto e al di sopra di questa soglia.

Il motivo per cui questa particolare velocità assume un significato così importante risiede nel fatto che essa è la velocità con la quale si propagano nell’aria le perturbazioni prodotte dalle cause più disparate. Ad esempio, i nostri spostamenti sono resi possibili dal fatto che dal nostro corpo si generano dei disturbi che si propagano alla velocità del suono nell’aria circostante, informando le particelle che devono muoversi di conseguenza, per permettere così il nostro passaggio. Ebbene, se un corpo si muove ad una velocità pari proprio a quella del suono, o addirittura maggiore, nasce un evidente problema: le informazioni sul moto del corpo non riescono a tenere il passo, e l’aria davanti non può sapere che deve spostarsi per permettere il passaggio. Accade così che repentinamente le particelle cominciano ad accumularsi davanti al corpo, quasi a formare un muro, e di conseguenza la resistenza offerta dall’aria cresce del pari repentinamente: si genera così una cosiddetta onda d’urto.Queste cose de Havilland le conosceva. Sapeva anche che durante il volo di un aereo si formavano delle onde d’urto già un po’ prima che si raggiungesse la velocità del suono, a causa delle accelerazioni che l’aria subisce in alcune zone circostanti alle ali. Tuttavia, egli era anche ben conscio del fatto che ancora molte, troppe cose non si sapevano sulle conseguenze che tali fenomeni potessero avere sul comportamento di un velivolo. Dunque de Havilland conosceva bene i grandi rischi che lo aspettavano nell’impresa che voleva compiere.

Purtroppo quel giorno le cose non andarono bene: una volta raggiunta un’elevata velocità, l’aereo non rispose più come previsto, de Havilland perse tragicamente la vita durante il volo e per questo non ci è dato sapere se egli abbia raggiunto o no il proprio obiettivo. Tuttavia, quel giorno resta comunque molto significativo: esso mostra che l’ambizione nel raggiungere mete prima considerate utopiche, l’audacia di mettersi in gioco in prima persona, ed anche l’inevitabile presenza di un certo numero di fallimenti prima del successo, sono tutti elementi imprescindibili per la realizzazione del progresso scientifico e tecnologico. Che possa poi tramutarsi eventualmente in un reale vantaggio per tutti, questa è la vera domanda, o la vera scommessa.

16

Allo scoccare del 24 Luglio, la tua corsa sarà durata esattamente 23 anni. Si tratta di una metafora, chiariamoci. Di correre per davvero non hai mai voluto saperne. Ma andiamo con ordine.Vieni al mondo con un anticipo di circa 7 giorni. Tutti sono pronti a darti una pacca sulle spalle già solo per questo. Bruci le tappe: piuttosto che l’omogenizzato preferisci la pizza, poco importa che tu abbia i denti o meno. Via il ciuccio, via i capricci, il pannolone diventa un ricordo lontano.Le scuole materne: parli già bene, parli tanto: la lettura della poesia conclusiva della recita di Natale spetta a te. Stai andando fortissimo. Fatta eccezione per Educazione all’immagine, sei proprio una bimba promettente. Alle elementari l’andazzo non cambia: Ottimi come se piovessero e via andare.Alla vigilia delle scuole medie scegli la tua sezione, quella in cui si fa Francese: è un’opportunità che non si può far a meno di cogliere – ti dicono, ti dici… Non hai un pomeriggio libero: i giorni dispari nuoto, quelli pari il corso di Inglese. Bisogna fare il più possibile, e in fretta!Ti ritrovi all’età di 16 anni con una gran voglia di mollare baracca e burattini e andare altrove: sorprendentemente lo fai. 10 mesi in Germania e dimentichi cos’è la fretta. Torni a casa e la Maturità bussa alla tua porta come i 4 colpi del destino di Beethoven: la accompagnano la certificazione di inglese, quella di francese, la patente e l’ECDL. A chiudere la coda c’è il surreale corso di arte presepiale che dovrebbe avvicinarti al 100/100. Lo manchi, per poco, ma ti getti comunque il liceo alle spalle poco prima di compiere 19 anni. Ce l’hai fatta! Se questa società disponesse di coccardine per i più meritevoli, te ne saresti già guadagnata una. Il tempo rallenta, seppur di poco, durante l’Estate. A Filosofia, che nel frattempo è divenuta la tua passione,

inconsapevoli maratonetipreferisci Scienze Internazionali. Un lavoro magari lo trovi.Accetti tutti i voti che ti capitano: la competizione è spietata e bisogna concludere in 3 anni spaccati. Te ne convinci al punto da mettere in discussione di partire per l’Erasmus perché “si perde tempo”. Corri il rischio ma di tempo non ne perdi. E’ Luglio, l’afa romagnola non perdona, ma nulla più si frappone tra te e quella sacrosantissima corona d’alloro. Congratulazioni dottoressa!Gli applausi ancora riecheggiano quando d’improvviso hai la percezione che il tempo si fermi solo per permetterti di osservare; allora ti guardi attorno e sono tutti lì, le migliaia di maratoneti che corrono con te, come te, a tratti persino contro di te. Ognuno con una pettorina diversa, ti raccontano una storia spaventosamente simile alla tua, e nel loro affanno, non puoi fare a meno di leggere quella stessa ansia da prestazione che decenni or sono la borghesia ha istillato nei suoi figli. E se è vero che anche “l’operaio vuole il figlio dottore”, allora nessuno può esimersi dalla corsa, tutti indistintamente dobbiamo lavorare alla preservazione o alla costruzione del nostro status. Se in un primo momento i partecipanti sarebbero stati squisitamente europei, adesso non c’è regione del mondo che non sia presente. Corritori sudamericani, mediorientali e asiatici nutrono le fila di un corteo che avanza col diffondersi a macchia d’olio della favola neoliberista. Ed è così che ti accorgi che la tua traiettoria non è un inedito, né un’eccezione, bensì una delle tante parabole del tuo tempo.

17

I due caffeinomani si erano sfiorati, mani a lambire la ciotola dello zucchero, atomi a danzare sulle loro teste.Erano usciti da quel bar stracolmo di spritz, un ultimo sguardo e poi via, a scomparire dietro uno dei tanti angoli che offre la città: angoli dietro i quali sparire o dai quali ricomparire improvvisamente.Ma quando un urto c’è, quando il caos decide che il caso non esiste, non c’è angolo che possa interrompere la prepotente reazione che mischia anime, sparpaglia elettroni e porterà inevitabilmente alla formazione di qualcosa.Ciò che si forma immediatamente da quell’urto è un qualcosa formatosi prima che il pensiero lo possa immaginare, svanito prima che l’occhio lo possa ammirare: un “prodotto a controllo cinetico”, nato dalla velocità e dall’esuberanza di due elementi che si scontrano, caratterizzato da un’instabilità di base che sancirà anche la sua morte. Un amore eterno perso come fosse un accendino.

C A F F E ’ AT O M I C O # 0 2-radicale libero-

La morte di questo prodotto dà vita ad un “prodotto a controllo termodinamico”: un qualcosa di immaginato, sognato, auspicato; arrivato con lentezza per non andare più via; come se quegli elementi che avevano peccato d’esuberanza avessero di colpo imparato a dosare i sentimenti, a credere nell’attesa, a saper coltivare con pazienza e dedizione fino all’arrivo della stagione fertile. Un’amicizia nata tra i cazzotti e che non teme la neve fra i capelli.Bar centrale, ora dell’aperitivo: i soliti pochi camerieri per i soliti troppi clienti, i soliti specchi che da anni immortalano enormi compagnie di amici solitari.Due caffè…atomici!E un po’ d’acqua…per la pillola…

18

Mi chiamo Niki Lauda e sono un pilota. Corro perché le macchine sono l’unico mondo che conosco, il solo in cui io mi senta come un Dio, che può disporre delle sue creature a suo piacimento. Posso migliorarle e instaurare una totale empatia con loro, fino a diventare una sola cosa. Corro perché sulla velocità so esercitare il controllo, corro perché il rischio mi insegna che la paura va accettata e non combattuta, che bisogna scendere a patti con lei, e da lei imparare, come ho fatto, quando bisogna fermarsi. Corro perché James è lì, a starmi sempre col fiato sul collo, e la nostra rivalità sembra quasi essere qualcosa di atavico, di ancestrale, tale, forse, da tenermi in vita persino quando qualcuno aveva supposto che la fine era giunta: io invece altro non avevo in testa, se non il martellante pensiero di rimettermi al più presto lì, sul sedile della mia Ferrari, per batterlo ancora e ancora. Del resto, la pista, qualunque essa fosse, ci è sempre sembrata troppo piccola per entrambi.Mi chiamo James Hunt, e corro perché, parliamoci chiaro, nulla mi riesce così bene. Corro perché il cuore inizia a battere all’impazzata e sembra quasi voler esplodere da

LENTI A CONTATTOigiene VISUALE

un momento all’altro. Corro perché la testa è finalmente sgombra e il corpo pervaso da scariche di adrenalina, la migliore tra tutte le droghe che ho conosciuto. Spingo la vita al limite così come premo quel piede sull’acceleratore perché quando c’è solo il rombo del motore, la morte ti si rivela con il suo volto più sincero e tu sei lì, impassibile, e la guardi, sfidandola dritta negli occhi: ha un volto così familiare, a tratti rassicurante, e allora non posso fare a meno di sorriderle, perché non la temo, perché niente come il sentirla così vicino mi fa sentire vivo, come se ogni giorno fosse l’ultimo. E poi c’è Niki. Corro perché, come negarlo, c’è lui, perché devo dimostrare che solo uno tra noi è il migliore, che il primo posto sul podio mi appartiene di diritto. Ma a volte mi capita di pensare che forse siamo molto più simili di quello che pensiamo: disposti reciprocamente a considerarsi, almeno per quanto riguarda, se non l’uomo, certamente il pilota, come due diverse facce di una stessa medaglia, ognuna delle quali esiste solo in ragione della presenza dell’altra.

19

20

21

22

Quando parliamo di rappresentazione della velocità nell’arte, non può che venirci in mente l’esperienza rivoluzionaria del movimento futurista, nato nel primo decennio del 900 da una profonda volontà di scardinare i dogmi e le tradizioni del passato, all’insegna di una nuova ed esaltante celebrazione della contemporaneità e di una elettrizzante fiducia nei confronti del progresso scientifico e tecnologico. Eppure, osservando attentamente dal punto di vista tecnico le prime opere dei futuristi, risulta lampante una matrice di base divisionista, così come è chiaro un riferimento alla pittura impressionista e postimpressionista. Ma allora, quando avviene effettivamente la vera svolta? In realtà, il momento di rottura degli schemi avviene grazie al confronto con le ricerche cubiste dell’epoca, più precisamente quando nel 1912 Umberto Boccioni, personalità indiscussa del movimento futurista, si reca a Parigi in visita all’amico Gino Severini, che, per puro caso, o se preferiamo chiamarlo destino, aveva il proprio studio artistico proprio nello stesso edificio di Braque, protagonista delle ricerche cubiste insieme a Picasso.Non dobbiamo stupirci quindi, se è proprio a Parigi che, suggestionato da quest’atmosfera così fervente, Boccioni iniziò ad elaborare il famoso Manifesto tecnico della scultura futurista, scrivendo ad un amico: “In questi

Dinamismo di un ciclista-OLTRE LO SGUARDO DI MEDUSA-

giorni sono ossessionato dalla scultura! Credo di aver visto un completo rinnovamento in quest’arte mummificata”.Due sembrano essere le parole chiave del rinnovamento dell’arte futurista: polimaterismo e compenetrazione. Per polimaterismo, si intende la necessità di superare i materiali tradizionali dell’arte, abbandonando il tipico marmo e il bronzo, in favore di materiali nuovi come legno, vetro, plastica, cartone, ferro e cemento, con la consapevolezza che anche una molteplicità di materie differenti può coesistere armonicamente in una sola opera. Accanto a questa nozione c’è poi quella di compenetrazione, intesa come indispensabile dialogo tra gli oggetti e lo spazio circostante, idea alla base della ricerca di Boccioni, il quale arriverà ad affermare l’assenza di distanza tra oggetti differenti.Manca però un terzo ed ultimo elemento fondamentale della poetica futurista, ossia la ricerca forsennata del movimento

e del ritmo nelle opere d’arte, visto che alla base del discorso c’è l’esaltazione del progresso e della modernità, di un mondo in continua crescita: dove niente resta così com’è, tutto muta, dove l’uomo moderno si ritrova a correre senza sosta, sospinto da una carica di dinamismo che rompe la noiosa monotonia del passato. E nella pittura, così come nella scultura, si cerca di fondere proprio l’arte con la velocità; gli artisti provano a rappresentare il dinamismo presente in tutte le cose, scomponendo e ripetendo le singole immagini, cercando di sintetizzare in un unico fotogramma i diversi stadi del movimento, e generando un inevitabile caotico intreccio di macchie, linee e colori violenti.Così, in Dinamismo di un ciclista di Boccioni, quello che l’artista vuole mostrarci è proprio questa idea di dinamismo del nuovo uomo moderno che attraversa la città, personificato da un ciclista in corsa che si muove velocemente grazie al supporto di

una bicicletta. Il senso di movimento è dato da un turbinio di linee e luci folgoranti, le cosiddette linee-forza, rese con pennellate frammentate e violente, che stanno a rappresentare lo slancio vitale e la forza del progresso.Quello che interessa all’artista non è mostrarci un uomo sulla sua bicicletta, bensì la fusione tra la figura e l’oggetto, che diventano un’unica forma plastica; l’intento non è realizzare un’istantanea fotografica, bensì coinvolgere lo spettatore e scaraventarlo dentro l’opera, per renderlo partecipe del movimento e diventare lui stesso movimento.Se quindi nelle opere di Boccioni non riusciamo a distinguere gli oggetti e le figure non è un caso: l’artista in realtà non vuole farci vedere qualcosa, ma intende farci vivere delle sensazioni, rimanendo fedele agli intenti professati nel manifesto del 1910: “…per dipingere una figura non bisogna farla; bisogna farne l’atmosfera…”

23

Il grande teatro di pietra che abbiamo costruito e nel quale perpetriamo i nostri affanni, un giorno si sgretolerà. La colonna si spezzerà, lasciando il posto a qualcosa di più lento, lieve e duraturo. E non saremo neanche lì per tenere il tempo.

24

25

Come in ogni ambito, così anche in quello militare, per la precisione quello delle tattiche militari, si assiste a quel momento, quel giro di boa, in cui un collettivo, un generale o uno stratega ha un’idea rivoluzionaria che da quel punto in poi cambierà per sempre il modo di vedere lo svolgimento di una guerra. La testuggine romana e la falange macedone sono solo due esempi, forse i più noti, di come piccoli accorgimenti, se eseguiti con un tempismo impeccabile e grande esercizio, possano cambiare le sorti di una battaglia, anche in condizioni avverse, ed entrare nella storia.Spesso queste intuizioni derivano da lunghi periodi di staticità conflittuale, in cui nessuna delle due parti riesce ad avere la meglio, subendo entrambe, al tempo stesso, ingenti perdite. L’esempio emblematico di questa difficile situazione è la prima guerra mondiale, in cui le potenze adottarono la cosiddetta “guerra di trincea”: solchi scavati nel terreno lunghi anche chilometri, in cui i soldati prendevano posizione dando vita ad una guerra poco risolutiva, rimanendo nella medesima posizione anche per mesi, e che dal punto di vista tattico dava ben poche alternative allo svolgimento del conflitto.XX secolo, seconda guerra mondiale, Germania. Il generale tedesco Guderian intuisce un modello di guerra nel quale le unità corazzate si muovono e combattono in maniera coordinata, in modo da supportarsi reciprocamente e moltiplicare la capacità di sfondamento. E’ la cosiddetta guerra lampo o Blitzkrieg, che nel 1939 in un solo mese piegherà la Polonia e riaffaccerà il mondo intero sullo scenario bellico. Da questo punto in avanti il modo di fare guerra non sarà più lo stesso, e la Germania nazista riporterà una serie di vittorie dovute a questa tattica che faranno tremare il mondo intero.Il centro focale dell’esercito divenne l’unità. Essa era organizzata in cunei di sfondamento corazzati, supportati da fanteria d’assalto; le unità corazzate garantivano alle truppe attaccanti una forte superiorità di fuoco e di movimento laddove queste intendevano sfondare. Elevata mobilità ed eccellente comunicazione erano quindi necessarie per una tattica che prevedeva dapprima uno sfondamento fulmineo delle linee nemiche per mezzo della combinazione fra carri, artiglieria ed aviazione, e in un secondo momento l’avanzata dei Tank verso i centri logistici nemici per tagliare rifornimenti e comunicazioni, seguiti sempre dalla fanteria motorizzata al fine di difendere i fianchi e le retrovie delle colonne cingolate, parti vulnerabili della punta corazzata.Come ogni rivoluzione, anche quella strategica-militare va di pari passo con le innovazioni e il progresso dei campi più disparati: non sarebbe stata possibile, infatti, senza le migliorie del motore a scoppio e della radio da campo, oltre ai sistemi informatici interni ai mezzi corazzati, che hanno permesso ai reparti un coordinamento superiore a qualsiasi altro dello stesso periodo. Nonostante questa tecnica abbia cambiato il modo

di concepire le battaglie, essa, però, non era priva di punti deboli: esisteva il pericolo per la forza attaccante di allungare eccessivamente la linea dei rifornimenti e risultare quindi poco omogenea, perdendo quel tempismo necessario alla riuscita delle operazioni; oppure poteva essere sconfitta da un nemico determinato che sacrificasse territorio in cambio del tempo per riorganizzarsi, come si vide nell’Operazione Barbarossa del 1941, in cui l’Armata Rossa, pagando il prezzo di molte vite e territori, indietreggiò abbastanza per prepararsi al contrattacco e sconfiggere l’esercito tedesco.In un mondo in cui si andava sempre più di fretta, quindi, la velocità si stava lentamente insinuando in tutto ciò che all’uomo era caro e, purtroppo, la guerra non fece eccezione.

B L I T Z K R I E G

“In ogni conflitto le manovre regolari portano

allo scontro, e quelle imprevedibili alla vittoria.”

26

-fosfeni-

manifesti sintomi da futurismoLe luci artificiali dei lampioni illuminavano la strada, colorando di giallo il nero asfalto di quella notte senza stelle. Dalla vetrata del mio squallido caffè automobili sportive sfrecciavano nei due sensi di marcia. Motori ruggenti come belve spezzavano il silenzio del locale vuoto. Scie di fumo grigio si disperdevano in quella luce itterica.“Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, perché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente.”“Si chiude!” bofonchiò il proprietario. Lasciai gli spiccioli sul bancone ed uscii.Il freddo gelido e tagliente penetrava nelle ossa. Attraversavo la strada, quando dal nulla comparve una bestia rossa metallica che mi avrebbe indubbiamente colto, se solo non mi fossi gettato di corsa sul marciapiede opposto. L’auto, allora, con un’inversione a U, tornò indietro. Si dirigeva ancora verso di me. Istintivamente presi a correre, sentivo il rombo sempre più vicino. Giallo. Nero. Giallo. Nero. Le strisce illuminate e quelle buie dell’asfalto si alternavano sotto i miei occhi e sotto le suole delle mie scarpe. Imboccai una stradina, stretta ed angusta. Lì non avrebbe potuto raggiungermi. Ero in salvo. Forse. Ma continuavo a correre. Alla fine della strada mi si aprì un’altra ampia via illuminata. “Un’automobile da corsa sul cofano adorno di grossi tubi simili a serpenti dall’alito esplosivo… un’automobile ruggente, che sembra correre sulla mitraglia, è più bella della Vittoria di Samotracia.”L’olfatto e la vista furono colpiti all’unisono dall’acre odore di bruciato e dal grigio fumo. Fumo fitto al punto da vedere con difficoltà il rosso fuoco che erompeva dalle enormi finestre di un antico palazzo. Qualcuno, ancora rinchiuso tra le mura di quell’inferno, lanciava oggetti infuocati. Impiegai qualche secondo per capire che piovevano libri incendiati. E quell’edificio antico, nient’altro era che la loro casa. “E vengano dunque gli allegri incendiari dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli… Suvvia! Date fuoco agli scaffali delle

biblioteche!”Il tempo di prender coscienza dello scempio che stava avvenendo non ci fu. Lì, nel fumo, due fari, come gli occhi di una belva nel mezzo di una foresta buia, puntavano su di me. Ripresi la corsa, stavolta la distanza che mi separava dall’automobile era pochissima. Corsi comunque. Un ponte. Delle ringhiere. Sotto un fiume. Mi gettai. Null’altro restava da fare. Acqua gelida penetrò nelle narici raggelandomi il cervello. Gli abiti fradici mi spingevano a fondo. Li tolsi non senza difficoltà. La corrente del fiume mi trascinava. Il mio obiettivo era raggiungere una delle sponde. Voci e urla dall’alto. Un altro ponte, come quello dal quale mi ero tuffato. Uomini. Urla e bestemmie. Oggetti lanciati nel fiume. Enormi. Erano statue, quadri, opere d’arte di ogni genere. Raggiunsi faticosamente la sponda prima di trovarmi sotto quella cascata di arte. Nascosto dalle tenebre assistetti all’orrendo spettacolo.“Musei: cimiteri!”Seminudo, tremante e spaventato trovai delle scale che dal fiume mi riportarono sulle strade principali di quella città infernale. Pochi passi. Una rissa. Un gruppo di giovani picchiava selvaggiamente anziani ed uomini di mezza età, incapaci di difendersi dai pugni, dai calci e dalle sprangate di quelle belve. “E’ dall’Italia che noi lanciamo pel mondo questo nostro manifesto di violenza travolgente e incendiaria, col quale fondiamo oggi il “Futurismo”, perché vogliamo liberare questo paese dalla sua fetida cancrena di professori, d’archeologi, di ciceroni e d’antiquari.”Era la notte futurista.

27

V e l o c i tà d i u n fau n o-la piramide-

Dong!Disperazioni

Già è la notte!

Tic dong!Il cincillà tintinnò.

È bello essere vecchi,provare tutto.

Tic tac dong!Tu tù ndra.

Ho detto il falso per bere in eternola dolcissima verità.

Tip tap tic tac dong!Vert Rougebolle al samovàr Deserti!

Verranno forse i poeti di mille anni a mescere il verbo,e saremo in festa per l’eternità.

Trova il fauno

28

V i a r o m a n s 9Entrate pure, respirate, guardate. Siete così lontani. Rimanete quanto volete, accomodatevi, non ricorderò il vostro nome, né dove siete stati. Non ricorderò, con un sorriso disegnato dalle crepe. Non siate tristi per me, avrei voluto più battiti, più respiri, ma adesso tutto è passato. Non c’è più velocità qui, non c’è lentezza. Questo è il mio tempo, questa è la mia stasi. Non cercate di comprenderla, se non potete restar fermi, passate oltre. Io resto qui.

29

Sento cedere parti di me, lentamente, senza perderle. E’ un lasciarle andare. Dove non so, ha importanza poi? Qui ed ora, l’importanza delle cose, la loro collocazione, è relativa. Non servono determinate categorie in questo limbo.C’è stata la vita, scorreva fluida, potete sentirlo, lo so. Potete sentirlo, anche respirandomi poco. Guardandola respirare piano, come la guardo io, come lei guarda me, entrandomi dentro. Motore immobile di questo stillicidio.

30

“Vivere è non pensare”, scriveva Fernando Pessoa nel suo Il libro dell’inquietudine. E come dargli torto. Se fossimo in grado di non pensare di continuo, probabilmente vivremmo liberi dalle decisioni, dall’insonnia, dai problemi spesso inutili che ci poniamo. Sfortunatamente tutto questo non è possibile, perché alla base del nostro agire – e quindi del pensare – quotidiano si nascondono ben due attori peculiari: il pensiero lento e quello veloce. Due protagonisti che però ci rendono meno vulnerabili dal punto di vista cognitivo e ci aiutano a condurre una vita più lunga, sana e felice. A confermarlo è Daniel Kahneman, psicologo israeliano e premio Nobel per l’Economia che ha dimostrato proprio questo nel suo libro Thinking, fast and slow. Dopo quarant’anni di esperimenti sui meccanismi cognitivi, Kahneman è giunto a una nuova visione della razionalità umana, una razionalità non più idealizzata ma realistica e soprattutto calzante con le capacità della nostra mente. Lo psicologo sottolinea, infatti, che le persone sono incapaci di ragionare in modo statico. È tutta una questione di velocità. Il pensiero veloce e quello lento – anche noti come sistema 1 e sistema 2 – sottendono i nostri processi cognitivi legati alla memoria. Il primo sistema è inconscio, impulsivo, automatico, veloce, salta subito alle conclusioni e spreca poca energia. Il secondo invece è consapevole, deliberativo, riflessivo, lento e costoso, dal momento che

spreca molta più energia del primo. Grazie al pensiero veloce, per esempio, siamo in grado di captare all’istante la paura sul viso di una persona – in circa trenta millesimi di secondo – mentre con il pensiero lento svolgiamo i calcoli matematici più elaborati. E nonostante i due sistemi sembrino operare in due domini diversi e distaccati, la loro interazione gioca un ruolo fondamentale. Gli errori commessi dal primo, se non filtrati dal secondo, danno luogo a impressioni false, delle vere e proprie illusioni ottiche che vanno a influire sui nostri giudizi e sulle decisioni quotidiane. Il più delle volte, infatti, le nostre scelte sono il prodotto del pensiero veloce che “illude” quello lento e che successivamente tende a a giustificare il nostro modo d’agire in maniera “razionale”. Ma se la nostra razionalità è difettosa, ciascuno di noi non può essere condizionato dall’impulsività del sistema 1 e dalla pigrizia del sistema 2. L’intuizione quindi non aiuta, anzi. Abbiamo quindi bisogno di una “spinta nel fare la cosa giusta” che risulta indispensabile soprattutto se siamo “cittadini costretti ad affrontare un esercito di professionisti della manipolazione”, conclude Kahneman. Occorre difenderci da noi stessi prima ancora che dagli altri. E il modo migliore per farlo è cambiare il nostro meccanismo di pensare per non assecondare il pensiero veloce, senza così illudere il pensiero lento. Vivere è pensare in maniera inversa.

Pensieri a due velocità

31

Uno dei computer più veloci del mondo, il CM-5, riesce ad immagazzinare dati fino alla velocità di 100 gigaflop ovvero 0,1 teraflop. Una velocità assolutamente strabiliante ma che, comparata alle possibili capacità del nostro cervello, risulta quasi insignificante: in teoria, la nostra macchina pensante può accumulare fino a 280 quintilioni di bit di memoria (280 più trenta zeri!) a velocità comprese tra i 100 ed i 100.000 teraflop. Questo dimostra come una parte della memoria umana sia ampiamente sottovalutata e sotto sfruttata. Allora qual è il confine tra il nostro conscio ed il nostro inconscio, se teniamo conto anche della memoria? Ma soprattutto: dove si trova quest’ultima? Nel cervello, fisicamente delimitata o, come la coscienza, può risiedere non-localmente rispetto all’organismo?Probabilmente, come esiste un carattere conscio ed uno inconscio di noi stessi, così esiste una memoria superficiale, automatica e impulsiva, ed una più inconscia, recondita, riflessiva, più dispendiosa in termini di energia ma con potenzialità enormi.E’ comune ormai la convinzione che tutti noi possediamo risorse mentali difficilmente delimitabili in ordine di spazio e tempo, ed è dimostrato che la mente, e la memoria, hanno una propria “spazialità”, una sorta di dimensione perimetrale capace di interferire con l’ambiente circostante.

Se non fosse così, non potremmo immagazzinare così tanti dati, né saremmo in grado di incamerarli.Tutti questi bit di memoria devono essere considerati come tante diverse connessioni neuronali: i neuroni, nel continuo interagire tra loro, connettendosi, fanno emergere a livello conscio le informazioni che abbiamo precedentemente accumulato o che erano già incamerate a livello inconscio.Se pensiamo che vi sono più connessioni in un corpo umano di quante stelle ci sono in una galassia, allora possiamo avere una minima idea di quali possano essere le enormi capacità latenti della nostra memoria. Di sicuro non dovrebbe essere difficile recuperare informazioni apparentemente dimenticate, ma si potrebbe addirittura fantasticare su un auto-potenziamento.Il punto è che tutti gli esseri viventi, specialmente gli umani, hanno capacità mentali, in termini fisici, biologici, di gran lunga superiori ai limiti che normalmente si conoscono. Dal momento che la nostra coscienza risiede non-localmente rispetto all’organismo, la presunta memoria in essa contenuta, quella recondita, riflessiva, attinge alle stesse fonti non locali, che, senza il limite dello spazio e del tempo, ci forniscono potenzialità infinite. Se è vero che la coscienza umana possiede una memoria, essa sicuramente sarà non-fisica e di illimitata potenza.

R e s e x t e n s a

32

BOMBARDAMENTO [MEDIATICO]TRIBUTO A FTM

Ogni 5 secondi fake da assedio postare

account da tastiera tictictictictic

ammutinamento di 500 followers per bannarlo

spammmmmando a destra e manca

rapidi violenza [PRESTO] dita occhi monitors

fotoscioppati che dio ti followa

selfie selfie

selfie

instagrammiamociclic clic clic like dling

notificavibbrrrrrrrrrra senza sosta

la cover-nel centro di quel

tumblrusto swishhhhashtag di qua logggggare

di làpugni tagli sminuzzare

privacy

LOL scenari

apocalitticiquesto altisonante

gooooglare tracazzateINFINITO MOTO IPNOTICO GEEK

pugni calci fighttando in brainstorming senza brain

il tuo background il mio feedback linkati se ci

trollanoudire shazzammando

vedere piccando offrirsi offrirsi

offrirsi offrirsifuturisti zang-tumb tumb-

tumb tuuumstep arretrati sgargianti

nell’ingranaggio post-moderno.

33

M I S E R I E I M M O B I L ICAPITOLO SETTIMO

I

Ilmondocorre.Eradestituentepensareaquantofosseroeffimereleepoche.Eranopassatitantitempinelcorsodellasuavita,qualcunomodaiolo,qualcunointessutotra lepieghediunatrasformazionesociale,ostorica,o inqualchemodoculturale.Erapassatoiltempodell’antraceedell’ebola,ederapassatoanchequellodellepoltronedivellutoarancione.Erapassatoiltempodelle“riscoperte”,chefosseroquelladell’antisemitismocosmicooquelladeipantaloniasigaretta. Imenoantropocentriciavevanogiàmostratoquell’insignificantepuntinocheèlavialatteanelleriproduzionidiunagalassiachevaespandendosi. Una forma di vita pensante, quella dell’uomo. Pensante di pensieri sovversivi e autoannientanti. Ma capace anchediinventarelapizzaelaricerca.LabibliotecadellacasadiMarcoeraunapolverieraincuituttoquestoentravaincontrasto.Momentiletterari,generi,questionidifferenti,distribuitiattraversouncriterio–quellodell’autore–chepotesseessereuniversale. Era la ricerca dell’algoritmo, lo sperato abbandono della decisione estemporanea. Marco aveva sognato di quellalibreriaamuropertuttalavita,neiconfrontipiùassiduidisestessoconildesigndellasuaesistenza.Eradaposizionareesattamentelì,inquelmodo.Ilmondoèunpostodifficile,cosìsfumato,cosìpienodisituazionicomplesse,cosìmeritevolediessereraccontato.Meritevoleperchécustodedituttelestoriepensate.Tuttelestoriedelmondo.Erano passati anni da quel giorno di luglio, il giorno in cui la morte si affacciò sulla vita. Alle volte Marco lo dimenticava. Il modoincuil’esistenzavaavantispingearimuoverel’insignificanzadialcunimomentichepossonofingeredivantareilvessillodell’intensità.L’intensità,nellavita,nonesiste.Eraquestoilsignificatodelcaloditensione.Prendereilbuonodalcontesto,efarlofioriresenzaaffacciarsieffettivamentealfuturo.C’èdadubitarecheMarcopensassetuttoquestomentreaspettaval’arrivodisuonipote.Avevanocinquantasetteannididifferenza.Nonavevanolostessonome,ilpadrenonavevavoluto.LacosanonavevarattristatoMarco.Suamoglieeramortadaquasitrecentogiorni,mortificandolasuavita,creandoildoloreeilsacrificiopiùgrandicheloavesseromaisfioratoinqualchemodo.Seneeraandatasenzacalvario,all’improvviso,ilche,dopotantianniinsieme,potevaessereanchepeggio.Loavevanodistrattoleverdureelestelle,duetradimenti,dueignomiechesonosostantivifemminili, divenute quasi amanti, abbracciandolo in camicia da notte, mentre i reni assestavano colpi sgarbati alla sua dignità. Perdendolaperfettaautonomianell’orinaresentivadiavercompiutoildefinitivopassoversounadimensionechecredevasolamentefiabescaemaipossibile,quelladellavecchiaiamortificante.Giornidopogiornidiincapacedeambulazione,sorrisicontritieverdurelesse.Ilnipotesembravalungidall’arrivare,ilventosussurravaaivetri,provandoascalfireisedimentifattidisabbia e rancore. Erano cadute tre foglie gialle e crespe. Un’ambiguità vederle crollare.“Ciao,Marco”,silevòcosìunavoceinattesadaqualcheparteoltrelebracciadellapoltrona.“Chic’è?Chiè?”,lastanchezzadellavocediunvecchiononpotevaneanchefartrasparirel’agitazionechepotevaprocurareunasituazionedelgenere.Marcoruotòoltrelapoltronaperguardarechivifosse.Nerimasesorpreso,sebbenefosseunraggiungimentoquasiepifanico.Eraovvio,talmenteovvio.Eraunafigurachenonvedevadatantissimianni.Unavisionecheeragiunta inquelparticolaregiorno,quelgiornodiluglioincuinienteeracambiato,nérimessoindiscussione,matuttoerastatoinqualchemodosignificatoe destabilizzato. Era una figura maschile, con i capelli neri e un pallore ottocentesco. Sembrava invecchiato, ma noneccessivamente.Sulleguancerasecomparivanospruzzidibarbabrizzolata.“Chestranorivederti.Rivedertiqui,ora”,disseMarco,provandoanonmostrarsiperplesso–operazionenoncomplessadatol’incredibilesforzorichiestoallacostellazionedirughepersomatizzareunaespressione.“Possoimmaginarechesiastrano,ma,sebenricordi,lastranezzanonènellospiritodellastoria.Tutteledistrazionipossonoesserenecessarie.Nonvogliocomunquefareilpanegiricodiunavisionedelmondodiquestotipo,enonpensareneanchecheiosiaqualcosadiassimilabileallamorte.Inquelcasosareicomparsopiùspesso,etistareiaccompagnandooraversounascalaapiolichenonportadanessunaparte”,risposel’altro,chesembravaaverepersopartedelpallore,riacquistandocircolazionesanguignaallegote.“Perchéseiquiallora?”,chieseMarco.L’altravoltaincuisieranovisti, l’uomosierapalesatoallostessomodo,dalnulla,inscrittonelturbinefluvialedellafollachestavaaccompagnandolamortediMaria.Potevaessereuncaso,potevaesseresolamenteun’animacheavevabisognodiconfrontarsiconqualcuno.Maisuoiocchisuggerivanoqualcosadidiverso,lacrimosiesconfortati.Marcosierafattounasuaidea,manoneraarrivatoadimmaginareunpensieroconcretosulfilochelegavaquell’uomoallasuaesistenza.“Nonlosai,Marco?”,chiesel’altro.“No,nonriescopiùadimmaginarmelo.Tiavevocompletamentedimenticato.Nonpensavodidovermiricordareiltuoviso.”“Questosignificachenonhaiprestatoattenzionealnostroprecedenteincontro.”

34

“Miavevi raccontatouna strana storiadieventie vampirismo, nientedicredibile”, risposeMarco, sforzandosidi ricordarequalcosa.“Chisei,comunque?”.“Marco,iosonoSebastian,l’amicodiMaria.Sonoiochel’houccisa,ècolpamiaseèmorta.”Marco ricordò improvvisamente.Il sole di quel giorno si era tramutato in nubi e poi in tenebra. Il sudore estivo era stato temporaneamente interrotto da una cappa fattadi notte eprofumi. Jean-Louis eradistante, lui eMarco non si eranoquasi più parlati dopoquello cheerasuccesso.Mancavanoleparolepernonrenderebanalelatragedia.Avevanoanchesmessodiguardarsi.Marconotòperòunapersonacheerapassataanchedall’ospedale,imbottitainunagiaccalungadipellenera.Personachericonobbeasuavolta Marco, facendogli un cenno. Poi gli si avvicinò.“Ciao,tueriall’ospedaledaMaria,vero?”,chieselui.“Sì, purtroppo sì. Ero con lei quando è successo, una tragedia, davvero una tragedia”, risposeMarco. Jean-Louis, pocodistante, ascoltava distrattamente.“Edimmi,laconoscevibene?Erisuoamico?IomichiamoSebastian”.“Inrealtàlaconoscevoappena,èstatouncasocheiofossiconleipropriooggi.Perché?Voieravatemoltointimi?”.L’altrorabbrividì,sbiancando.Feceduepassiindietro.Avevaunnomeeunportamentochesapevanodiesoticoelachiaravogliadiconfidarsi inmodoadeguato.Sembravaperòessereprossimoadischiudereunsegretoterribile, forse inqualchemodolegatoall’inquietudinecheavevatrascinatoMariasinoallamorte.Jean-Louiseraandatovia,passeggiandolontanonel tempo e nella notte. Questa cosa indusse Sebastian ad avvicinarsi nuovamente a Marco. Sembrava malato di una malattia inesistente, e guarito di una guarigione inventata.“Possoparlarti?”,glichiese.

35

L E N T A M E N T EIN ORDINE DI APPARIZIONE: HANNO ILLUSTRATO PER NOI:

VittorioMolloEditoriale

Cohiba[EFFETTI COLLATERALI]Stagioni scalari

Fabio MontagnaroAlla natura, al caso, alla necessità

LucaDeGennarioAquinoStesso binario, 2 velocità

EmmegiFestina lente

Beppe Daniele[il bosone di beppe]I wanna be supersonic

ValeriaAiuoloInconsapevoli maratoneti

Antonio De simone[radicale libero]Caffè atomico #02

Raffaella Ferraro[Oltre lo sguardo di Medusa]Dinamismo di un ciclista

Davide PrestigiacomoTeatro di pietra

Marco BraviBlitzkrieg

ValeriaErcolano[fosfeni]Manifesti

DarioChiaiese[la piramide] Velocità di un fauno AlessandroVulloVia romans 9

MariarosariaMazzacanePensieri a due velocità

Emilio FiorentinoRes extensa

NataleDeGregorioBombardamento (mediatico)

Claudia TailLaura Mancini

AnarelaCamilla Ippolita Donato

Chiara GuglielminaChiara Mazzoletti

SaudadeFilippo Cardu

Alessia GallariniManuel Di Pinto

Giacomo Moggioli + BozAlessandro Crippa

Van MileValentina Tassalini

Alessandro LazzaroDezurni Krivac

Vincenzo Tortora

34

5-237

101213

14-15161719

20-21222627

30-3132

Massimiliano BozGianni Bardi

Teo SandiglianoGianfilippo Liguoro

ZacGiovanni Esposito

Federica SaliniLorenzo Perin

Matheus CartocciIrene Sarlo

Luca Baldini

8-924

28-29

Vittorio Mollo

© 2015 [Effetto Placebo]

COPERTINA/BACK COVER:

E S T R A T T O B Y :

IGENE AUR ICOLARE BY:

I G E N E V I S U A L E B Y :

I N S E R T I F OTO G R A F I C I :

C A P I T O L O S E T T I M O :

PER COLLABORARE CON NOI:www.effettoplacebo.org

[email protected]: EFFETTO PLACEBO

36