il Cingolo n. 5

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l’informazione che lascia il solco il Cingolo n. 5, dicembre 2010 light

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Il numero 5 de 'il Cingolo'

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l’informazione che lascia il solcoil Cingolo  n. 5, dicembre 2010

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 Gli approfondimenti, le storie, la cultura e l’informazione de il  Cin-golo approdano sul web all’indirizzowww.ilcingolo.net.

Oltre al semplice download della ri-vista cartacea, il nuovo portale ren-derà possibile un aggiornamento costante degli articoli provenienti dalla nutrita redazione e si potranno seguire gli sviluppi delle vicende se-guite dalla rivista.

Un luogo d’incontro virtuale per non perdersi di vista tra un numero e l’al-tro e coltivare una corretta informa-zione!

ilcingolo.net

SommariosaluteLa pillola un anno dopo ����������������������������� 3

AttualitàFamiglia� Il ‘modello unico’ è bipartisan �����4

il Cingolo culturaleLibri da comodino ������������������������������������� 5

L’insostenibile debolezza dell’essere ���������6

il Cingolo culturale racconta Racconto di Natale �������������������������������������� 7Uno dei due �������������������������������������������������8

Pagina promozionale e non soloLentella, bellezza sostenibile ������������������� 10

Quando ti trovi d’accordocon la maggioranza, è il momento

di fermarti a riflettere.Mark Twain

~CaporedattoreAntonino Dolce

VicePina Colamarino

WebmasterNicola Lucio Ciancaglini

RedazioneStefania Cionci, Giorgio Conti, Gianni Cordisco, Fernando Crisci, Giordana D’Achille, Roberto De Ficis, Elena Falcucci, Valentino Giammichele, Giulio Giarrocco, Angelo Marchione, Manuela Moro, Daniele Roberti, Valentina Sciascia, Emanuela Tascone

Stampato in proprioDistribuito a: Fresagrandinaria, Furci, Lentella, San Salvo, Vasto (presso sede Arci).

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Supplemento di histonium.net, Reg. Tribunale di Vasto n. 106 del 25 maggio 2005, anno VI, num. 361.On-line su www.sansalvo.net e www.iltrigno.net da domenica 2 gennaio 2011.

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la pillola un anno dopoStefania Cionci [email protected]

passato un anno dal via libera all’utilizzo della pil-lola RU486 negli ospedali italiani e una domanda mi sorge spontanea: l’ospeda-

le di Vasto si sarà adeguato alla storica e tanto sofferta decisione? Sono curiosa e decido di fare delle ricerche. La pri-ma persona da cui potrei avere delle risposte è il mio medico di famiglia e, dopo aver atteso pazientemente il mio turno, entro nel suo studio. Immedia-tamente mi spiega il funzionamento della RU486, ma lo interrompo per-ché stavolta sono interessata a sapere a chi e a quali strutture rivolgermi nel caso in cui volessi interrompere una gravidanza con la RU486. Mi spie-ga che lui è la persona meno adatta non potendo neppure prescriverla e mi consiglia di andare al consultorio. Decido di seguire il suo suggerimento e il giorno seguente sono al consul-torio. Anche qui non riesco a sapere molto non avendo la struttura ricevu-to ancora alcuna direttiva. Tuttavia l’ostetrica mi svela l’esistenza, presso l’ospedale, di un servizio medico di I.V.G., che sta per Interruzione Volon-taria di Gravidanza, e di una dottores-sa responsabile del servizio stesso la quale, una volta a settimana, esegue gli interventi chirurgici. Questa volta credo di aver trovato la persona giu-sta. Finalmente, dopo qualche gior-no e un po’ di attesa, riesco a parlare con il medico in questione. La nostra chiacchierata è molto interessante e tocca tutti i punti della mia ricerca compresi la religione e la morale, ma in men che non si dica le mie aspettative vengono deluse. Mi fa presente che la pillola abortiva a Vasto non c’è ancora e che si fa fatica anche a parlarne, no-nostante l’ospedale ne abbia fatto ri-

chiesta mesi addietro in seguito all’ar-rivo di una circolare regionale. Inoltre, sembra che, qualora la pillola dovesse arrivare, la struttura ospedaliera po-trebbe non essere in grado di ospitare le pazienti che ne facciano richiesta in quanto la sua somministrazione preve-de, per legge, una degenza di tre gior-ni e, dunque, una struttura che abbia una certa disponibilità di posti letto. Direi un paradosso se si tiene presente che l’aborto chirurgico, di gran lunga più rischioso, viene effettuato in Day Surgery e la paziente viene dimessa il giorno stesso. Ma c’è di più! Non solo vengo a sapere, mio malgrado, che la dottoressa responsabile del servizio di I.V.G. è l’unica a praticare l’interruzio-ne di gravidanza presso il nosocomio vastese poiché tutti gli altri medici

sono obiettori, ma che questa è una condizione comune a molti ospedali in Abruzzo alcuni dei quali non hanno addirittura medici che la pratichino. Eppure mi è sembrato di capire che molte donne ricorrono all’aborto e che i relativi numeri sono elevati. Si tenga presente che solo all’ospedale di Vasto vengono eseguite in media cinque in-terruzioni ogni settimana. Tutto que-sto rappresenta un disagio per chi si trova a gestire un simile servizio me-dico stanti le difficoltà di combinare le strutture, l’esiguo personale medico, le alte richieste e i tempi brevi entro cui un’interruzione può essere effet-tuata. In conclusione non solo non ci sono novità ma a quanto pare l’argo-mento aborto alle soglie del 2011 spa-venta ancora.

salute | pillola

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attualità | famiglia

sulla demonizzazione e sull’esclusione delle fami-glie cosiddette non tradizio-nali che si è giocata anche

la seconda Conferenza sulla famiglia, svoltasi a Milano dall’8 al 10 novem-bre scorso. Come nel 2007 a Firenze, con Rosy Bindi ministro per la Fami-glia, il dicastero creato ad hoc per lei da Romano Prodi, anche quest’anno tutte le riflessioni si sono concentrate solo sul ‘modello unico’ di famiglia bi-partisanamente riconosciuto: quello tradizionale, uomo-donna, con figli o orientato alla procreazione. Sostegni solo per coppie con figli o orientate alla procreazione. Anzi no, anche alle coppie di fatto, ovvero ai figli nati al loro interno: perché le coppie di fat-to in Italia non hanno riconoscimenti giuridici, nemmeno quelle tra perso-ne di sesso diverso; li hanno invece, ex articolo 30 della Costituzione, i figli nati fuori dal matrimonio. Il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi, dopo le prime dichiarazioni alla Conferenza sulla famiglia a Milano, ha corretto re-pentinamente il tiro, «perché – spiega – non sono un nazista»; ma la rettifica non ha comunque placato le critiche del mondo laico e di quello ‘lgbt’ (le-sbiche, gay, bisessuali, transgender).Le frizioni erano cominciate già alla vigilia della conferenza di Milano, quando le associazioni e in particola-re la deputata del PD, Paola Concia, avevano accusato gli organizzatori di averli esclusi dagli interventi. Le pa-role di Sacconi e, in generale, tutti i punti toccati durante la conferenza, non hanno fatto altro che avvalorare le tesi del movimento lgbt: parlando solo di un ‘modello’ di famiglia, quel-la cosiddetta tradizionale, si esclu-dono tante altre forme di ‘famiglie’ e non solo quelle formate da coppie dello stesso sesso. «È particolarmen-te grave – spiegano Paolo Patanè, presidente nazionale di Arcigay, e Francesca Polo, presidente naziona-

vata solo dalle associazioni. Anche il mondo politico è intervienuto, muo-vendo però da altre basi. Risponden-do a Sacconi e a Giovanardi, interve-nuto prima del ministro del Welfare con toni ancora più duri, i democra-tici – a parte la prevedibile reazione di Paola Concia – hanno ignorato la questione omosessuale, presa in con-siderazione solo dai ‘soliti’ radicali che protestavano durante i lavori del-la conferenza.Era difficile aspettarsi qualcosa di diverso: il PD, anche quello di base e ‘giovane’ di Renzi e Civati, sulle istanze lgbt è per lo più freddo o al massimo tiepido. Le sue platee, quan-do si parla di matrimoni gay e parità dei diritti, stentano a scaldarsi. E d’al-tronde alla presidenza di quel partito siede Rosy Bindi che nel 2007, mentre da ministro per le Politiche della fa-miglia proponeva i DiCo, dal palco del ‘Laboratorio delle politiche familiari’, rivolgendosi a Paola Concia prima e Paola Binetti poi, disse: «Io so che la conferenza nazionale di Firenze (sulla famiglia, 24-26 maggio 2007), avrà un problema negli inviti perché io non ho invitato le associazioni degli omo-sessuali e lo dico con molta tranquil-lità. Faccio questa scelta come segno di chiarezza. Le persone destinatarie dei DiCo non sono legittimate a par-tecipare. Io questa sfida la prendo, ma dico agli organizzatori del Family Day: non fate confusione andando a manifestare in nome della famiglia contro qualcosa che con la famiglia non ha niente a che vedere».E solo un paio di mesi prima, inter-venendo ai lavori del convegno Tem-pi moderni e… famiglia, promosso da Data Management e da Rosanna Lambertucci, Bindi aveva affermato: «La famiglia è tra un uomo e una don-na e quindi il desiderio di maternità e di paternità un omosessuale se lo deve scordare». Per poi concludere con questa frase, rispolverata di re-cente, dopo la battuta omofobica di Berlusconi, per completare il ‘com-pendio’ delle dichiarazioni anti-gay: «è meglio che un bambino stia in Africa, piuttosto che cresca con due uomini, o due donne».Alla costante e bipartisan negazione delle famiglie gay si addicono le pa-role di Nichi Vendola sulle forme di espiazione dell’omosessualità lette durante Vieni  via  con  me: «violato nella sua dignità e nei suoi diritti nel nome del costume, della religione, dell’ideologia, dell’ordine pubblico, dell’etica».

le di Arcilesbica – il veto di parola all’associazionismo gay che viene da questa conferenza istituzionale e che, per questo, dovrebbe rappresentare tutti i cittadini. Nel discorso di aper-tura di Francesco Giorgino si è voluto addirittura sottolineare l’inesistenza di una declinazione al plurale delle famiglie italiane contro ogni realtà del Paese e a conferma del fatto che la conferenza, pur essendo pagata da tutti, si rivolge solo ad una parte della società italiana e a Oltretevere».È intervenuta anche Famiglie Arcoba-leno, l’associazione di genitori omo-sessuali: «Non ci possono imporre un modello di famiglia. – ha dichiarato la sua presidente, Giuseppina La Delfa – la nostra esistenza è realtà». Come sono realtà i figli di genitori omoses-suali: secondo le stime ci sono in Ita-lia oltre 100.000 bambini e bambine nati da persone gay o lesbiche che hanno avuto figli durante preceden-ti rapporti eterosessuali o ricorrendo alla fecondazione assistita (all’estero). «Quello che fanno è negarci ogni tu-tela e ogni diritto. Siamo senza dirit-ti, ma con tutti i doveri che spettano ai cittadini. Ignorano innanzi tutto le difficoltà dei nostri figli costretti a convivere con l’omofobia di stato», conclude La Delfa.Omofobia di stato che Gianni Ale-manno ha messo ben in luce a mar-gine della conferenza milanese: il sin-daco di Roma ha rincarato la proposta di Sacconi suggerendo di affiancare agli sgravi alle famiglie numerose una maggiore tassazione per single e gay. «Perché – ha detto Alemanno – bisogna sfuggire alla tentazione di voler dare tutto a tutti, e quindi ai gay e ai single, altrimenti non faremo mai politiche familiari. Bisogna concen-trarci sulla famiglia della Costituzio-ne formata da un uomo e una donna che fanno figli».La critica alle proposte emerse alla Conferenza sulla famiglia non è arri-

Famigliail ‘modello unico’ è bipartisan

andrea Tornese

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il Cingolo culturale_libri da comodino

SHiVER - una storia d’amore e di lupiMaggie Stiefvater, Rizzoli, 2009, 401 pagine, 9,50 euro

Di storie e romanzi di amori tra ‘crea-ture maledette’ e umani le librerie ne sono piene. Shiver, invece, è un raccon-to che arriva fino al cuore: la delicatezza delle immagini e delle sfumature emo-tive offerte da Maggie Stiefvater nel suo libro, vi costringeranno a leggerlo tutto d’un fiato.Grace, adolescente, si prende cura di un lupo che la salvò dall’attacco del branco quando lei era ancora bambina. Giorno dopo giorno incrocia tra la vegetazione del bosco i suoi magnetici occhi gial-li, gli stessi che ritroverà in Sam, lupo d’inverno e ragazzo d’estate. L’incontro tra i due avviene mentre la città intera dà la caccia al branco, a causa del ri-trovamento di un cadavere sbranato. La ragazza, appurata la vera identità di Sam, intraprende con lui una storia d’amore che tenta di vincere il tempo ri-manente all’ennesima trasformazione e la ricerca di un modo per regalargli una forma umana definitiva.Il finale, davvero avvincente, si risolve in poche righe, ma vi lascerà sicura-mente di stucco.

Manuela Moro

Foglie d’erbaWhitman Walt, Newton Compton, 1892, 416 pagine, 7 euro.

Siamo in periodo natalizio ed è tempo di regali, perché non puntare su un libro di poesia? Un’idea risolutiva e poco impegnativa. La mia proposta è Foglie  d’erba (Leaves  of Grass) di Walt Whitman, l’opera fondamentale di tutta la sua vita, oggetto di un interrotto tra-vaglio creativo sfociato in nove differen-ti edizioni, ognuna delle quali ampliava la raccolta precedente, fino a quella de-finitiva del 1891-92, che ne costituisce il documento testamentario.Whitman, o più affettuosamente ‘zio Walt’, fu poeta dell’io (celebre il suo Canto  di me  stesso - Song  of myself) e cantore dell’amore verso la vita (O ca-pitano, o mio capitano! è tra la sue liri-che più famose, resa ancor più popolare

dal film L’attimo fuggente), ma come le foglie d’erba, anche i temi trattati nel-la sua poesia sono i più diversi e mol-teplici: la natura, la città, il misticismo, il sesso (in particolare l’omoerotismo), la democrazia, la libertà e soprattutto la fratellanza, autenticamente vissuta da Whitman verso coloro che la società rifiutava: gli africani costretti alla schia-vitù, le prostitute, i malfattori, i malati, i disabili, i disperati, i suicidi: «In ogni persona ritrovo me stesso, non uno che mi superi, non uno che valga un chicco d’orzo di meno».Tale capacità di cantare tutti gli aspet-ti dell’esistenza (egli stesso definì la sua poesia ‘coraggiosa, moderna, on-niabbracciante e cosmica’) ha reso quest’opera immortale (infatti è cono-sciuta anche con l’appellativo di ‘Bibbia americana’) e ha imposto il suo autore al centro del canone della letteratura statunitense. Foglie  d’erba è disponibile in diverse edizioni o se preferite potete leggere tutte le poesie sul sito italiano dedicato a Walt Whitman: http://www.dvolt.com

Giulio Giarrocco

in viaggio con l’asinoAndrea Bocconi e Claudio Visentin, Guanda, 2009, 173 pagine, 13 euro.

Si dice che la copertina di un libro può fare la sua fortuna. È il caso di que-sto titolo. Infatti, per me, è andata proprio così, mi ha fulminato dallo scaffa-le ad altezza occhi la sua copertina color carta da zucchero con un irresisti-bile asino con al collo un cartello: slow travel. Ognuno ha le sue debolezze, io ce l’ho per gli asini, ebbe-ne sì, e si spiegano anche molte cose.Ma veniamo al libro. È il racconto di una esperienza unica, e purtroppo rara, di due papà di una famiglia borghese to-scana con i rispettivi figli. Un professo-re universitario e uno scrittore di viaggi, uno che di viaggi se ne intende, ma è questo il viaggio che gli entra nel cuore: da Tagliacozzo a Celano in groppa a un asino, per una settimana nella selvaggia natura abruzzese con tutti gli incontri e gli imprevisti del caso.Un modo per riappropriarsi del proprio tempo, di fermare il mondo e scendere, per una settimana, in compagnia di un animale che, nonostante i falsi luoghi comuni, ha molto da insegnare.

Un viaggio alla pari tra padri e figli, tutti ugualmente sprovveduti in un contesto del tutto fuori della norma, l’esplorazio-ne di un mondo normale che diventa straordinario semplicemente perché lo si guarda a rallentatore.Tutti possono fare questo insolito viag-gio riscoprendo valori e luoghi piccoli e preziosi come l’Appennino abruzzese. È stato lo scrittore Stevenson (L’isola del  tesoro) ad aprire la strada dei slow travel in compagnia degli asini; era il 1878 quando decise di attraversare quattro regioni della Francia con la sola compagnia dell’asina Modestine. Oggi quel percorso è diventato un cult tra i viaggi bizzarri, gli appassionati parto-no da ogni parte del mondo per vivere un’esperienza unica. Chissà che questo libro non porti la stessa fortuna al per-corso Tagliacozzo-Celano.

Pina Colamarino

appunti di un venditore di donneGiorgio Faletti, B.C. Dalai Editore, 2010, 397 pagine, 20 euro.

Questo è il titolo dell’ultimo libro di Giorgio Faletti, un appassionato romanzo alla ricerca della verità.Chi è Bravo, perché vende le donne e perché improvvisa-mente si trova al centro di un complotto, queste le doman-de principali; il tutto si svol-ge nel 1978 a Milano, princi-palmente nell’Ascot Club, al tempo Derby, il famoso lo-cale in cui tanti cabarettisti, tra cui proprio Faletti, hanno iniziato la loro carriera. Una brutta vicenda porta Bravo

a non poter più vivere le donne come vorrebbe, non può amarle e per questo le vende, l’unico ‘amico’ è il signore cie-co con cui divide il pianerottolo e i rebus che inventano e si pongono a vicenda.A un certo punto la routine di Bravo si spezza perché arriva Carla e da quel mo-mento qualcosa non quadra più, si ritro-va un paio di volte a un passo dalla morte, l’hanno preso di mira e lui cerca in tutti i modi di scoprire chi lo vuole incastrare e perché. Il ‘78 è l’anno della cattura e ucci-sione di Aldo Moro, si affaccerà sulla sce-na anche la crudeltà delle Brigate Rosse, molto vicine a Bravo. Arrivare a scoprire la verità è sempre doloroso soprattutto per il nostro venditore di donne.Faletti merita di essere letto.

Giordana D’Achille

libri

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il Cingolo culturale_

giulio giarrocco [email protected]

ell’immaginario comune la debolezza è ritenuta un difetto, una caratteristica negativa, quasi un disvalo-re, poiché viene associata

all’idea di vulnerabilità e inferiorità. Tut-ti noi vogliamo/dobbiamo essere ‘forti’ poiché chi è ‘debole’ non emerge nel la-voro, non ha fortuna nei rapporti sociali, non riesce a superare i problemi e le sfide della vita, soprattutto nel nostro modello culturale di vita, basato sulla prestazione,

l’inSoSTEnibilE dEbolEzza dEll’ESSERE

sul successo e l’autoaffermazione. D’al-tronde anche fra gli animali è così: vince e non soccombe chi è più forte.Vorrei però proporre una visione antite-tica della questione, che può essere pre-liminarmente posta in questi termini: “vince chi è più debole”.Lo spunto mi è sorto dal paragrafo 76 del Tao Te Ching, uno dei testi sacri del Ta-oismo, la cui compilazione viene attribu-ita a Lao-Tze (autore quasi leggendario, contemporaneo di Confucio; VI-V secolo a.C. secondo la tradizione). Per chi non conoscesse quest’opera, ne consiglio vi-vamente la lettura (potete trovare il testo integrale all’indirizzo http://www.liber-liber.it/biblioteca/l/lao_tzu/tao_te_ching/html/indice.htm).Il suddetto capitolo 76 si intitola Guar-darsi dalla forza e recita:

Quando l’uomo nasce è debole e flessibileE quando muore è forte e duroForza e durezza sono compagnedella morte,Debolezza e flessibilità sono compagne della vita.[…]

Dunque la vera forza della vita è racchiu-sa nella debole e tenera gemma, mentre la scorza dura dell’albero è ormai vita passata, legna da ardere.Questo concetto è in tutta la filosofia antica, non solo quella orientale. Basti ripensare alla celebre favola di Esopo sull’olivo e la canna:

La canna e l’olivo discutevano di resistenza,  di  forza  e  di  sicurezza,  e l’olivo  rinfacciava  alla  canna  di  es-sere debole e facile a piegarsi a tutti i venti. La canna, silenziosa, non ri-spondeva. Non passò molto  tempo,  e 

si levò una violenta bufera. La canna per quanto scossa e piegata dalle raf-fiche,  ne  uscì  salva  senza  difficoltà; ma l’olivo, che cercava di resistere ai venti, fu spezzato dalla loro violenza.

Da questa prospettiva, il concetto di de-bolezza si avvicina a quello di duttilità, flessibilità e tenerezza, che sono qualità positive e vincenti, sinonimo di crescita e dinamismo, mentre la forza e la rigi-dità corrispondono all’idea di staticità e involuzione.Riflettendoci, possiamo estendere que-sta interpretazione del termine debolez-za a ogni campo della vita umana; per esempio all’amore, che è «la più nobile debolezza dello spirito» (John Dryden) nonché «lo scambio di due fragilità» (Vit-torino Andreoli).Per il Taoismo il simbolo più efficace del-la flessibilità e della (apparente) debolez-za è rappresentato dall’acqua, che è per sua natura capace di adattarsi e penetra-re dovunque:

Nulla al mondo è più molle e debole dell’acqua.Eppure nessuno la supera nell’attaccare ciò che è duro e forte.Niente può cambiarla.La debolezza vince la forza.La mollezza vince la durezza.[…]

(Tao Te Ching, 78)

Dunque, in vista del nuovo anno, il buon proposito da attuare sarà quello di riappropriarci delle nostre fragilità e di valorizzare la nostra debolezza, prendendo esempio dalla canna che si piega ma non si spezza, poiché chi conosce le proprie debolezze è davvero più forte di chi si affida ciecamente alla sola forza.

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il Cingolo culturale racconta

racConTO Di natALedi Daniele Roberti

L’ anziano prete, avvolto nel suo nero abito talare, camminava lentamente, ammiran-do soddisfatto il duro lavoro svolto nella chiesa. Gli affreschi riportati agli origina-li fasti, l’imponente rosone con le vetrate

multicolore, da cui filtravano gli ultimi bagliori di un fred-do sole invernale, illuminando l’altare in pietra bianca ri-coperto di fiori, dal quale tra poche ore avrebbe celebrato la liturgia del Santo Natale. Era giunto in quel piccolo e sperduto paese, tra i monti abruzzesi, da ormai un anno. Quando era arrivato, la casa di Dio era in pessimo stato, si era rimboccato le mani e con l’aiuto del Signore e delle sue pecorelle l’aveva riportata all’antico splendore. Mentre os-servava che ogni dettaglio fosse al suo posto, ripeteva a me-moria il sermone che si era preparato. S’intitolava L’infinito amore di Dio e ne andava particolarmente fiero. Era intento a sistemare un vaso di fiori ai piedi dell’altare, quando udì, alle sue spalle, il portone di legno massiccio aprirsi. Si girò e vide una ragazzina mulatta avanzare. «È ancora presto» le disse. La ragazza sembrò non curarsi del prete, si guardava intorno incuriosita, avanzando lentamente verso l’altare. Quando fu a un paio di metri, notò che indossava solo una vecchia t-shirt sbiadita e una gonna rattoppata, inoltre era scalza. Il solo vedere i piedi nudi sul freddo marmo bianco, lo fece rabbrividire. «Mia cara, cosa fai cosi conciata? Hai bisogno di aiuto?». Le chiese, con tono falsamente preoccu-pato. La ragazza, incurante della sua presenza, era intenta a fissare a testa in su, il grande crocifisso di legno, posto al di sopra dell’altare, dal quale pendeva un Cristo sofferente. Poi, come se si fosse accorta solo ora della presenza del vec-chio, si girò verso di lui e mostrò un sorriso beffardo, di chi la sa lunga. Con un balzo si sedette sull’altare, sparpaglian-do i fiori messi con tanta cura. L’anziano prete, rimase alli-bito, ma prima che potesse reagire, la ragazza parlò con un tono caldo che scosse zone ormai assopite delle sue vecchie membra. «Questa è la casa di Dio?» chiese. «Sì, e adesso scendi subito da lì» rispose il prete, paonazzo dalla rabbia. «Mmm... – sospirò languida – dov’è? Io non lo vedo» «Dio è intorno a te, in ogni luogo – le rispose l’anziano avanzando verso di lei, ora visibilmente fuori di se – Ora scendi!». La ragazza, divenne improvvisamente seria, in un istante fu come se il buio calasse intorno a lui per avvolgerlo, «Ascol-tami prete, ho una storia da raccontarti». E iniziò: «Mi chia-mo Irma, vivevo con i miei genitori e il mio fratellino in un piccolo villaggio in Congo. Mio padre era un contadino che si spaccava la schiena ogni giorno sotto il sole impietoso. Nonostante le difficoltà eravamo felici. Poi una sera come questa, iniziò la fine. Mia madre era intenta a cucinare, io giocavo sdraiata a terra con il mio fratellino, mentre mio pa-dre riposava in camera da letto, quando sentii bussare alla porta. Entrarono una decina di uomini armati di kalashini-kov e machete. Chiesero da mangiare, mia madre gli diede

tutto quello che avevamo, poi chiesero, dov’era mio padre. Si recarono nella sua stanza, lo sentii piangere e supplicare pietà, poi uno sparo. Mia madre cominciò a gridare e cercò di raggiungerlo. I soldati la fermarono e le intimarono di smetterla, se non lo fai, ti taglieremo una gamba, le dissero. Mia madre continuò a urlare. Un soldato prese un machete e le segò la gamba sinistra, sopra il ginocchio. Poi la misero ad arrostire sul braciere. Infine chiesero a mio fratello di otto anni di mangiarla. Lui si rifiutò e si scagliò contro di loro. Gli spararono un colpo in testa. Ero impotente di fron-te a quell’orrore. Chiesi aiuto, gridai il nome del Signore, lo pregai che mettesse fine a tutto questo. Come risposta, mi presero e mi stuprarono a turno davanti a mia madre, che lentamente moriva dissanguata. Dimmi prete, dov’era Dio quel giorno?». Il vecchio prete, si sentì mancare l’aria, di colpo tutti gli anni si fecero sentire sulle gambe che tra-ballanti non lo reggevano più. Sconvolto, si sedette su una panca e guardò il crocifisso in cerca di una risposta. Quello che vide invece di rincuorarlo, riuscì se possibile a farlo sprofondare ancora più in basso. L’espressione di sofferen-za del Cristo si era trasformata in un muto grido di disgu-sto, la testa era volta completamente verso sinistra, come se cercasse di non volgere lo sguardo su quella ragazzina giunta da non si sa dove. Si guardò attonito intorno, le figu-re dei santi si coprivano il viso, urlavano, fuggendo da de-moni e serpi che fino a poco fa schiacciavano con fierezza. Lentamente si volse verso la ragazza, senza tuttavia avere il coraggio di guardarla negli occhi. Era scesa dall’altare, senza far alcun rumore e ora era di fronte a lui, a pochi cen-timetri dal suo petto. Poteva sentirne l’odore selvatico, che gli ricordava il bosco, dove da ragazzo passeggiava insieme al padre. Istintivamente abbassò il capo e guardò i piedi della ragazza. Erano zoccoli neri come pece, lentamente alzò lo sguardo sulle gambe, prima sinuose e lisce, ora di-ventate orribilmente tozze e ricoperte di una spessa nera peluria. Non osò guardare oltre, con voce inferma, chiese «Dimmi, chi sei?». La ragazza sbuffò «Sai benissimo chi sono, Prete. Un tempo ero il più splendido tra gli angeli. Ma non preoccuparti, non sono qui per la tua inutile ani-ma, volevo solo farti gli auguri di un sereno Natale e ricor-dare alle tue pecorelle, che io ci sono, sempre. Dio o non Dio». Detto questo si allontanò. Il prete cadde in ginocchio e cominciò a piangere in silenzio.

A Berta,ovunque proteggila.

Nota �ell’autoreLa storia raccontata da Irma, non è il frutto della mia perversa fan-tasia� Purtroppo è una storia vera, una delle tante che accadono in posti dimenticati da Dio e soprattutto dagli uomini� Per info e donazioni: www�runforcongowomen�org

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il Cingolo culturale racconta

uno Dei duEdi Simone Racano

I l vento faceva sbattere le vecchie persiane di legno tanto forte da coprire quasi il rumore della grandine che colpiva le tavole del tetto. Il temporale aveva iniziato a imperversare da pochi minuti e le nuvole buttavano talmente

tanta acqua da far pensare che tutti i santi del paradiso si fossero messi di punto in bianco ad annaffiare i propri orti. In un attimo fuori fu tutto allagato e piccole cascate d’acqua avevano iniziato a bagnare il pavimento di terra battuta della baracca.«Un gran bel tempo di merda» era solito dire Valerio in queste circostanze. Da bambino non aveva mai avuto pau-ra dei tuoni. Si metteva sempre alla finestra a osservare afflitto il mondo colorarsi improvvisamente e per pochi istanti di un azzurro abbagliante, aspettare un paio di se-condi fissando le gocce d’acqua che sbattevano contro il vetro e ascoltare poi il tuono pensando «Che palle, questo pomeriggio niente partita di calcetto».A sette chilometri da casa sua, sempre durante i tempo-rali, un altro bambino cicciottello di nome Francesco si accucciava sul divano coprendosi la testa con un cusci-no, aspettando che il temporale e gli spaventosi ruggiti dei fulmini se ne andassero. Lui aveva una paura incre-dibile dei tuoni. Sapeva benissimo che erano un normale fenomeno naturale, che non era Giove che si incazzava e scatenava la sua furia contro quei disgraziati degli esseri umani, e che non era nemmeno il Padreterno che aveva avuto la brillante idea di mandare un altro diluvio. Erano semplicemente tuoni, però gli facevano paura. Come gli facevano paura i fuochi d’artificio, i serpenti, i cani, i ra-gni, le cavallette, le lucertole, i brutti voti a scuola e quei maledetti bulletti che lo prendevano in giro perché era il ciccione della situazione. E primo fra tutti a prenderlo a sberle era sempre Valerio.Adesso, a distanza di quasi trent’anni, i due si ritrovavano insieme in un capanno sperduto tra i boschi del medio-alto Vastese a puntarsi vicendevolmente una pistola in faccia. Quella volta nella rapina c’era uscito il morto. Era-no entrati in casa di un’anziana chiamata Bettina, rimasta vedova da pochi giorni. La vecchia abitava in campagna, in una casa senza recinzioni e né cani da guardia. «Un giochetto da ragazzi» aveva pensato subito Valerio che, da gran bastardo che era, non si fece perdere l’occasione di andarle a fare visita per vedere se custodiva qualche bel gruzzolo. Bettina aveva due figlie, entrambe sposate e con bambini piccoli. Nessuna delle due era rimasta vicino alla madre dopo la morte di Pasquale, anche perché la donna non voleva. Aveva settantanove anni ma ne dimostrava una decina di meno. Riusciva benissimo a occuparsi da

sola della casa e di quella decina di galline e conigli che aveva nella stalla. A darle qualche difficoltà sarebbero sta-te solo le bollette, ma Bettina sapeva che per queste prati-che poteva fare affidamento sulle figlie.La vecchia si sentiva coraggiosa, e anche troppo.Francesco, nonostante da bambino avesse odiato con tutto il cuore Valerio per i guai che gli faceva passare, tanto da volerlo quasi morto, ora si ritrovava a fare il suo scagnoz-zo. Anche a trentasette anni era rimasto grasso, pesava più di un quintale ed era alto un metro e ottantadue. Era una bestia di uomo, molto utile a sfondare i vecchi portoni di legno delle case di campagna. Questo Valerio lo aveva in-tuito fin da subito, ecco perché lo aveva voluto con lui.Quel gran bastardo di Valerio.I genitori di Francesco sapevano bene che se non avesse frequentato quel tipo a quest’ora anche il loro figlio avreb-be trovato un posto di lavoro fisso da qualche parte, ma-gari non avrebbe mai lasciato gli studi al primo anno di superiori, e magari sarebbe potuto diventare un ingegnere o un avvocato. E invece il loro caro figlio si era messo die-tro le bravate di quel poco di buono.L’infanzia di Francesco non era stata delle migliori. Sem-pre preso in giro da tutti per la sua stazza e le sue pau-re, sempre bersaglio delle cattiverie di tutti i bambini, dall’asilo alle medie. Crescendo in queste condizioni o si arrivava ad acquisire un livello di sopportazione e fredda calma incredibili oppure ci si lasciava andare allo ‘sfascio’ più assoluto, come appunto lui fece.Valerio era un teppista da piccolo e lo rimase da grande. Adorava rubare, lo faceva sentire superiore agli altri. I pacchetti di gigomme e caramelle al bar quando era bam-bino, poi i motorini quando compì quattordici anni, poi le macchine e le rapine nelle case. Ed era anche bravo a farlo, considerando che non era stato mai beccato. Lui ov-viamente si vantava di questo, con gli ‘amici’ che sapeva avrebbero tenuto la bocca chiusa per il timore reveren-ziale che avevano nei suoi confronti. Francesco era uno di questi, ed era anche uno che voleva diventare fregno, come si diceva da quelle parti, proprio come Valerio. Vole-va vantarsi di qualcosa e apparire un ‘tipaccio di un altro livello’ agli occhi degli altri.In fondo però era un uomo dal cuore buono, ma se ne rese conto troppo tardi. Ormai Valerio aveva ammazza-to Bettina. La vecchia si era dimostrata troppo sveglia, accorgendosi quasi immediatamente che i due si erano intrufolati di notte in casa sua. Lei aveva il sonno leggero e l’udito di una lince. Nonostante i due ladri fossero stati molto silenziosi nelle loro ‘manovre’ rimasero fregati lo stesso. Bettina accese le luci iniziò a gridare verso i due,

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il Cingolo culturale racconta

urlando di uscire, dicendo che ormai li aveva visti in fac-cia e che avrebbe subito chiamato i carabinieri. E mentre strillava un proiettile gli entrò in bocca, spappolandogli mezza faccia.Quella fu la risposta di Valerio.I due scapparono subito, senza prendere niente, per andar-si a rifugiare nel capanno dove erano soliti spartirsi i bot-tini. Dovevano pensare a come agire, un omicidio non era come una rapina, questa volta erano davvero in guai gros-si. Valerio aveva agito in modo sconsiderato, e non ancora si rendeva conto bene di quello che aveva fatto. Francesco invece se n’era reso conto, e come. La sua parte buona ave-va iniziato finalmente a farsi sentire, e gli stava dicendo che aveva buttato via gli ultimi quindici anni della sua vita appresso uno stronzo. Gli era servito un omicidio per fargli capire che aveva sbagliato tutto. Sapeva benissimo di non poter porre rimedio a questo, ma poteva fare qualcos’altro. E puntò la sua pistola dritta in faccia a Valerio.«Ma che cazzo fai!» gli urlò Valerio puntandogli in faccia la pistola a sua volta.Questo fu lo sbaglio di Francesco. Lui voleva solo spaven-tarlo e portarlo dai carabinieri. Ma era un ingenuo, pur-troppo, e non si era ricordato che anche il suo compagno era armato, che aveva dimostrato di avere pochi scrupoli nell’ammazzare qualcuno e che avrebbe ucciso di nuovo senza pensarci ulteriormente. Valerio tuttavia non riuscì a sparare. Era agitato e non aveva la lucidità necessaria per capire che l’altro non aveva il coraggio di ammazzarlo. Pensava solo che ormai aveva la galera assicurata.«Mi vuoi sparare Stefano? Eh?! Che cazzo vuoi fare?! Avanti dimmelo!!».«Ora tu vieni con me e ti porto dai carabinieri».«No, noi non andiamo da nessuna parte pezzo di cretino. Ora tu posi la tua arma o altrimenti ti ammazzo».«E se ti ammazzo prima io?».I due rimasero a guardarsi mentre fuori il temporale di-ventava sempre più violento. Poi sentirono uno starnuto.La loro prima, istintiva reazione fu di voltarsi dove era provenuto il rumore e puntare le pistole verso quella ra-gazza che stava seduta su una panca sotto la finestra, in-tenta a soffiarsi il naso con un fazzoletto di carta.«Chi diavolo sei tu?! Che ci fai qui?!» urlò agitato Valerio.La ragazza alzò gli occhi, buttò il fazzoletto a terra e fissò le due pistole che puntavano contro di lei. Era una ragazza molto, terribilmente sexy. Aveva un vestitino nero molto attillato che mostrava alla perfezione le forme ben propor-zionate del suo corpo. Gli occhi erano azzurri come il mare durante delle meravigliose giornate di sole e aveva dei lunghi capelli rossi e lisci. Era sicuramente una tipa che non passava inosservata.«Ehm... – rispose lei molto tranquillamente e quasi imba-razzata – Io sono la “mietitrice”».«Tu sei chi?» gli fece sempre Valerio scuotendo la testa confuso.«Ho detto “sono la mietitrice”, hai capito bello? Sono quel-la che va a spasso per la Terra a prendere le anime dei morti per portarle all’altro mondo. Chiaro?».Francesco e Valerio si fissarono con aria interrogativa, mentre continuavano a puntarle contro le pistole. Poi si

ricordarono che erano in procinto di spararsi l’un l’altro, e quindi si ripuntarono le armi contro.«Ragazzi non siete in una bella situazione, sapete? Sono qui per prendere uno di voi due. Indovinate chi?».La ragazza sembrava estremamente tranquilla e convinta di quello che diceva, mentre i due uomini sudavano fred-do. Riebbero entrambi una reazione istintiva simultanea quando quella si alzò in piedi e si avvicinò, e le puntarono di nuovo addosso le pistole.Lei si fermò e alzò le mani con aria sorpresa, poi le abbassò borbottando: «Ma che faccio, tanto sono immortale».«Adesso lo scopriremo subito se lo sei, brutta ficcanaso!» urlò Valerio mentre si apprestava a spararle.«No, non lo farai di nuovo!» gli rispose Francesco puntan-do la pistola verso il suo antagonista. In quel momento ebbe davvero lo stimolo di fare fuoco e piantare in un orbi-ta oculare di quel bastardo un proiettile. Ma non lo fece. Il suo buon cuore, tornato a farsi sentire nel momento meno opportuno, glielo impedì.Valerio di buon cuore non ne aveva e reagì molto pron-tamente. Il proiettile penetrò appena sopra il naso di Francesco, spappolando anche a lui la faccia. Schizzi di sangue e brandelli di tessuto organico gli sporcarono il volto e la giacca. Ora la questione era chiusa. Mancava solo la ragazza.«Accidenti, non doveva finire così» disse lei guardando con rammarico il cadavere di Francesco.«Stai zitta maledetta! Adesso tocca a te!».Valerio puntò dritto alla fronte della ragazza e fece fuo-co. L’esplosione fu molto rumorosa, ma la ragazza rimase completamente illesa. Il proiettile non aveva trapassato la sua testa, come fosse sparito nel nulla.«Mi sa che non ti ho convinto prima caro mio. – disse lei iniziando a camminare intorno ad un esterrefatto e am-mutolito Valerio – In effetti quando dico che io sono la mietitrice non mi crede mai nessuno. Sai di solito come vengo rappresentata? Con una lunga tunica nera, la faccia da teschio e un falcione in mano. Non mi rende molta giu-stizia quella immagine, vero? Erroneamente mi chiama-no “Morte”, ma Morte è un altro tizio. Quando scende lui sulla Terra accadono disastri davvero notevoli. Hai sentito parlare di Sodoma e Gomorra, del diluvio universale o del-le varie pestilenze della storia? Credo che l’ultima volta che Morte si sia fatto un giro da queste parti ci sia stata quell’epidemia chiamata Spagnola. Ma alla fine queste cose non ti interessano, eh?».La ragazza avvicinò il suo viso a quello dell’uomo, sorri-dendo.Valerio era talmente agitato che non riusciva quasi a respi-rare. Vide la ragazza alzare la mano sinistra e poggiare il dito indice sulla sua fronte sudata.«In fondo Francesco era un brav’uomo. Troppo semplice e ingenuo, ma era bravo. Lo trovavo dolce e simpatico» disse lei, poi diede un colpetto alla fronte di Valerio.L’uomo sentì una scarica calda e violenta in testa. L’effetto di quel colpetto fu lo stesso di un proiettile, come quello esploso dalla sua pistola poco prima e scomparso nel nul-la. La ragazza era venuta per ‘mietere’ la sua anima.«Che lavoraccio però...» si limitò a dire poi lei.

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LENTELLA, BELLEZZA SOSTENIBILE

Il 15 Novembre 2010 si è svolta la 1° giornata della BELLEZZA SOSTENIBILE� Presso la parrucchiera Cerino Sandra a Len-tella, i clienti del salone si sono incontrati per portare a termine un progetto promosso dalla DAVINES in collaborazione con LifeGate� Con un contributo in denaro si è stato possibile partecipare alla creazione e alla tutela di aree boschive nel Parco del Ticino� Tra una bruschettina con l’olio nuovo e la degustazione di ottimo vino novello,si è arrivati a creare e tutelare 445 m2 di bosco! La parrucchiera, inoltre promuove l’utilizzo di prodotti e cosmetici provenienti da agricoltura biologica, prodotti con energie rinnovabili e racchiusi in un packaging a Impatto Zero� Così puoi farti bella e rispettare l’ambiente!

Elena Falcucci