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I NUOVI CRITICI

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I NUOVI CRITICI

La collana intende ospitare le opere di critici esordienti, non ac-cademici, che si esercitano quotidianamente nella lettura di opereletterarie e poetiche sia italiane che straniere, nell’analisi cinema-tografica di film noti e meno noti, nell’interpretazione delle opered’arte del presente e del passato, nell’attenta fruizione di opere tea-trali sia sperimentali che classiche. Una critica di chi legge, interpretae decifra giorno dopo giorno, con gli occhi ben aperti sul mondo.

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Pietro Cavara

Ricordo di un padre

Paolo Cavara, regista gentiluomo

Prefazione diFabrizio Fogliato

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I edizione: maggio

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a mia madre

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Indice

Prefazione di Fabrizio Fogliato............................................................9 Recensione di Alberto Pezzotta...........................................................13 Presentazione dell’autore....................................................................15 Introduzione alla prima edizione: Un articolo e dei ritagli di giornale……………………………………..17

Entusiasmi...........................................................................................23 Una profonda semplicità…………………………………………….26 Quello in cui credeva...........................................................................28 Un’eleganza congenita........................................................................31 Insegnamenti.......................................................................................34 Quello che mi raccontava……………………………………………37 Vacanze in Sardegna............................................................................40 Il modernismo dei reazionari………………………………………...43 Il jazz e la musica da film……………………………………………47 La fede nell’amicizia………………………………………………...50 Una filosofia del desiderio…………………………………………..53 Giri di palazzi......................................................................................55 Viaggiare a ritroso…………………………………………………...58 Trasgressione e sentimento………………………………………….61 Un regista sul set…………………………………………………… 65 Quello che pensava del suo cinema………………………………….68 Mondo porco ………………………………………………………..72 Il feticcio della modernità………………………………………….. 77 Fuga dalla violenza…………………………………………………. 79 Il ruolo di Giuda……………………………………………………..83 Del dolore, della speranza …………………………………………..85 Il martire e il mostro…..……………………………………………..88 Il senso della fine …………………………………………..………..91 Guardando avanti…………………………………………..………..93 Una feconda parentesi (passeggiate e foglie secche)..........................95 Tradizione e modernità ……………………………………..……….97 Personaggi ………………………………………………………....100

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Da un Fregoli a un altro ……………………………………………103 La sua eredità ……………………………………………………...106 La spinta e la consolazione ………………………………………...110 Appendice 1 La coscienza ecologica di un documentarista di talento…………...111

Appendice 2 Le due opposte realtà del cinema di Paolo Cavara, mio padre.........114

Testimonianze di Paolo Cavara…………………………………………119 Filmografia…………………………………………………………127

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Prefazione

Quando ci si accinge a realizzare un ritratto ci si interroga, se l’atto creativo, non sia limitante per esprimere, e contenere, l’intera essenza del soggetto in posa. Di per sé si tratta di esprimere una per-sona attraverso la sua immagine, ma già solo con la sua fisicità, il soggetto, in quanto essere umano, è una presenza di fronte alla quale non si può restare indifferenti. Artista e modello, uno di fronte all’altro intenti a studiarsi a vicenda per cogliere stupore e fragilità, perché il ritratto è anche saper cogliere l’istante in cui la persona si rivela nella sua verità profonda. Verità che non deve mai essere com-pleto svelamento ma che deve mantenere un alone di segretezza e mi-stero, elementi che costituiscono il fascino imperscrutabile di ogni in-dividuo. Ma l’artista è anche quello che osserva il soggetto da un punto di vista “intimo” e che, in modo “indiscreto” penetra l’animo più profondo del modello che ha di fronte e stabilisce con lui una “re-lazione privata”. Nel caso in cui il rapporto tra autore e modello sia declinato secondo dinamiche familiari, a questi elementi è necessario aggiungerne due: sentimenti e memoria. Nel ritrarre suo padre, Pietro Cavara affida alla profondità della materia un carattere eccezionale e comprende appieno la necessità di porre il modello come attore parte-cipativo del ritratto stesso. Non è quella messa in atto dall’autore un’opera unidirezionale bensì biunivoca, in cui non fa “vedere” più di quanto egli desideri. La scrittura che qui si amalgama con il ricordo, l’emozione, la nostalgia e l’assenza, definisce il ritratto di un padre, uomo, un regista (rigorosamente in quest’ordine) senza mai rendere il lettore pienamente partecipe dell’essenza intima e profonda che lega un padre ed un figlio. Ed è una scelta meritoria perché non viola mai la complicità e la spontaneità dei sentimenti paterni e filiali ma ne traduce l’impressione, il ricordo attraverso la continua presenza di immagini ricorrenti. Una, in particolare, quella che vede Paolo Cava-ra a Londra: eleganza sobria, entusiasmo, fiero atteggiamento da dandy. È l’immagine-icona di questo libro, il ritratto che porta il titolo “ricordo di un padre” quella in cui, attraverso i vestiti, la camminata, la posa, l’ambiente e gli oggetti, emergono le diverse sfaccettature dell’uomo. E non è un caso che quest’immagine sia un’immagine fo-

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10 Prefazione

tografica, perché quelli tratteggiati in questo libro da Pietro Cavara sono ritagli della memoria, frammenti di ricordi che sotto gli occhi di chi legge diventano come quelle fotografie del passato, ingiallite dal tempo ma, proprio per questo pregne di calore umano e di emozione. Pietro Cavara va oltre alla fotogenia di uno scatto d’autore per defi-nire un memoir in cui si avverte l’urgenza di un “ritratto totale”, quello che oltre ad esprimere il soggetto dell’istantanea, oltre a far emergere la personalità del modello contiene anche l’emozione, il pensiero dell’artista che non si vergogna di manifestare ciò che pensa. Da questo libro la figura di Paolo Cavara emerge attraverso il ricorso all’impressione del ricordo, come dice lo stesso figlio: “Quello che mi importava era di ricordare mio padre come io l’ho conosciuto e soprat-tutto mi è piaciuto descriverlo”. Nel fare ciò l’autore illumina le forme del soggetto con la luce della sua memoria che è fatta di momenti, istanti vissuti assieme, parole scambiate e sorrisi; ma è anche quella dell’abbigliamento, qui inteso come il mezzo attraverso cui ci si esprime nei confronti della società e degli oggetti appartenuti (appar-tenenti) al padre che qui assolvono la funzione di elementi rivelatori della personalità. Pietro Cavara non riconduce questa sua testimo-nianza ad un semplice elenco di aneddoti, ma al contrario riesce, con acume e intelligenza, a raccontare suo padre attraverso l’irripetibile unicità dei gesti e la significante eterogeneità degli atteggiamenti. Il ritratto che ne viene fuori è quello di un uomo che non viene mai completamente rivelato ma che mantiene attorno a sé un aura di mi-stero e di segretezza. È un ritratto intrigante in cui convivono rifles-sioni e considerazioni sul mondo e sulla vita ricolme di entusiasmi così come di preoccupazioni. Quello che pennella Pietro Cavara è il ritratto di un padre premuroso e attento, incuriosito e affascinato dal mistero della bellezza della natura; il ritratto di un uomo normale, semplice e ordinario (valori assai rari nel mondo di oggi); il ritratto di un regista capace di prendere decisioni importanti e di convivere in armonia con l’ “orchestra” che deve dirigere. Pietro Cavara racconta suo padre come uomo di cinema che vive ai margini del cinema stesso, volutamente lontano dal clamore e dal successo e, quando questo lo raggiunge in seguito all’uscita di Mondo cane, ne racconta tutto lo spaesamento e la preoccupazione. Proprio il film che egli vive in mo-do più controverso ritenendolo equivoco ma al contempo, come dice il

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Prefazione 11

figlio stesso, nel film c’è “un senso di crudeltà e di trasgressione che in fondo a mio padre non dispiaceva del tutto”, è l’elemento cardine at-torno a cui si delineano i valori e la priorità delle esigenze cinemato-grafiche di Paolo Cavara. Un regista attento nella scelta delle opere da dirigere nel momento in cui, per cause di forza maggiore, non può essere pienamente autore ma “solo” professionista. Si avverte nella inevitabile discontinuità e frammentarietà dei ricordi del figlio, il rammarico per l’incompiutezza artistica dell’opera del padre. Qui Pietro Cavara assurge al ruolo di archivista della memoria, cioè di colui che, attraverso il ricordo e la conservazione dello stesso, prova a rimettere ordine, a rassettare i cassetti, a far riemergere pagine dat-tiloscritte che delineano volontà inespresse, tensioni narrative irrisol-te e progetti accarezzati, cullati e amati che non hanno mai trovato la via della pellicola. Sono pagine fervide, pagine vibranti di indomita passione cinematografica, pagine pregne degli umori dell’epoca in cui sono state scritte, testimoni monolitici e presenti che parlano di un cinema in divenire. In questo suo memoir Pietro Cavara, costruisce, pezzo dopo pezzo, il ritratto di una personalità poliedrica e traduce l’immagine di suo padre secondo l’eclettismo che gli è proprio. Ne emerge un uomo sempre sfuggente, mai pienamente rivelato, animato da un tormento interiore che è sia creativo che esistenziale, pulsante di vitalità e di passione per la vita e attraversato da una pacata iro-nia. Elemento, questo, che emerge puntualmente in ogni passaggio del libro, una sorta di basso continuo, che attraversa le pagine della ri-cordo del padre per sedimentarsi nella scrittura del figlio. L’ironia è qui l’occhiale con cui Paolo Cavara osserva le cose del mondo in so-speso tra romanticismo e disincanto. Un mondo che egli ha amato, conosciuto, ripreso con l’occhio sul mirino della macchina da presa. Un mondo percorso, con ogni mezzo, a piedi e sul dorso degli animali più improbabili, un mondo vissuto che gli è entrato sotto pelle. Quel mondo a cui Paolo Cavara guarda con animo ecologista molto in an-ticipo sui tempi, e di cui intuisce, prima di altri, la deriva auto distrut-trice. Pietro Cavara, nel suo ricordo, non solo non ne fa mistero, ma, anzi, pone l'accento su questo carattere ecologico ante-litteram per raccontare la malinconia (anche in senso letterario) di un uomo che vede il pericolo, annusa l'imminente degradazione della società dei consumi e che, con le sue opere, indirettamente, ammonisce lo spetta-

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12 Prefazione

tore in merito alla smania di bisogno che cancella il desiderio. A te-stimoniare questa sua inquietudine, che egli pudicamente tiene dentro di se ma che non esita a far percepire ai suoi familiari, ci sono pro-prio le parole del regista a chiudere il testo. Testimonianze rigorose, esplicite e fortemente comunicative, attraverso cui l’autore racconta le intenzioni alle base delle proprie opere, esprime opinioni in merito alla società, e, in cui, a ben vedere, si avverte anche la preoccupazio-ne verso un mestiere ontologicamente legato alla precarietà e all’approdo temporaneo. Dal suo scritto, emerge, quindi, la volontà di Pietro Cavara di rendere il lettore partecipe del viaggio esistenziale ed artistico, compiuto dal padre. Un padre, troppo prematuramente scomparso, che ha lasciato, nei ricordi ma non nelle emozioni un sen-so di incompiutezza e di mancanza. L’assenza, è tradotta dallo scritto-re in termini filosofici come qualcosa di indissolubilmente legato al desiderio di poter ancora condividere la vita con un padre “maestro di vita”. Ecco, quindi, il ricorso, anche dal punto di vista della formu-la compositiva del testo, alla delineazione del ritratto non fotografico ma pittorico, in cui ogni frammento della memoria si traduce nella pennellata dell’artista che poco per volta definisce il suo quadro con severe impressioni, sorprendenti sfumature e improvvisi ritocchi. Un ritratto compartecipato in cui sembra di vedere Paolo Cavara nei di-versi momenti della sua vita mostrato con la passione e l’empatia che solo lo sguardo mediato con gli occhi di un figlio sanno restituire a chi legge.

Fabrizio Fogliato*

* Nato a Torino nel 1974, risiede ad Alzate Brianza. È docente e coordinatore didattico

presso StartingWork Como. È referente per la regione Lombardia, membro del C.T.S. e do-cente di "Storia del cinema e linguaggio audiovisivo" nel progetto triennale 2011-2014 I.F.T.S. “Tecnico superiore per la comunicazione e il multimedia”. Negli anni è stato redatto-re di Nocturno Cinema, Zabriskiepoint.net. Dal 2010 è redattore del portale digitale di cultura cinematografica Rapportoconfidenziale.org. È curatore di rassegne cinematografiche sul terri-torio Lombardo. Attualmente è curatore del Cineforum “STORIE – appunti sparsi di diversi viaggi” per la BCC dell’ Alta Brianza. È autore dei seguenti volumi: - “Flesh and Redemption: il cinema di Abel Ferrara” (Ed. Falsopiano, 2006) - “Saw-analisi di un successo annunciato” (Morpheo edizioni, 2008) - “La visione negata: il cinema di Michael Haneke” (Ed. Falsopiano, 2009) - “La visione negata: il nastro bianco” (eBook – Ed. Falsopiano, 2011) - “Abel Ferrara - Un filmaker a passeggio tra i generi (Ed. Sovera, 2013)

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Recensione

Paolo Cavara, uomo d’altri tempi sulle pagine di «Cinemasessanta»

Cinemasessanta deve il nome dell’anno di fondazione (il 1960): e,

sempre diretta da Mino Argentieri, cerca un equilibrio tra il recupero del passato e la critica dell’attualità. Sull’ultimo numero si parla di Fabio Carpi e della saggistica straniera dedicata ai nostri autori. E c’è la prima parte di un toccante memoir di Pietro Cavara dedicato al padre Paolo: regista rimosso, morto giovane, (56enne, nel 1982) penalizzato non solo dall‘associazione con Jacopetti per Mondo cane, ma anche dall’eclettismo curioso, dalla ricerca di un cinema di genere adulto. Nel ricordo del figlio, emerge quasi un uomo d’altri tempi, colto e amante della vita, ma dotato di un contraddittorio lato oscuro: che ha prodotto una riflessione sui rapporti tra immagine e violenza in grande anticipo sui tempi. L‘occhio selvaggio (con Leroy, documentarista cinico alla ricerca di scoop), La cattura, e il beffardo thriller ...e tanta paura, sono titoli che andrebbero restaurati.”

Alberto Pezzotta Corriere della Sera 2002

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Paolo Cavara

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Presentazione Questo libro è sostanzialmente la riedizione ampliata, riveduta e

corretta di un memoir dal titolo: Ricordo di un padre: Paolo Cavara, regista gentiluomo, e apparso nel 2002 in quattro parti distinte (co-prendo l’intero anno) per la rivista Cinemasessanta (nn.263-266).

Rispetto alla prima edizione sono stati aggiunti due paragrafi (Il ruolo di Giuda e Guardando avanti esclusi per ragioni di spazio), al-cuni passi sono stati soppressi, e di nuovi ne sono stati inseriti come si deve a una necessaria opera di revisione critica a distanza di dodici anni dalla prima pubblicazione. Ho smussato certe asperità e riscritto alcune parti che mi son sembrate poco chiare o dovute all’epoca a un non necessario distacco critico. Ma lo spirito è rimasto lo stesso. E per la prima volta il lavoro compare in veste unitaria.

Ho mantenuto l’introduzione alla prima edizione che fa riferimento a un mio primo precedente contributo (marzo 2000) sull’opera di mio padre apparso per la rivista Nocturno cinema, inserito qui in appendi-ce, dovutamente rivisto anch’esso, e che riporta alcune sue interviste ai giornali da me riunite e selezionate.

Infine ho ritenuto opportuno inserire alcune testimonianze per inte-ro rilasciate da mio padre ai giornali di alcuni suoi film, perché ritengo che la sua parola sia molto più importante della mia. Per quanto abbia cercato di rimanere fedele a ciò che pensava e realizzava e mi sia sfor-zato in diversi momenti necessari di rimanere il più distaccato possibi-le, non posso negare di aver pur sempre dato vita alla visione che io ho di mio padre e del suo cinema dopo molti anni dalla sua scomparsa. È inevitabile, non posso farci nulla.

Desidero perciò che questa mia perlustrazione “sul tempo perduto” non sia intesa come definitiva e sollevi semmai dibattiti, ricerche, pas-sioni: tutto questo servirà a ridar vita all’opera e alla personalità di mio padre. Con questa edizione riaffermo la volontà di onorare la sua memoria e di rendergli un po’ di giustizia nella speranza che il suo ci-nema sia presto oggetto di riconsiderazione e rivalutazione necessaria.

L’Autore

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Un articolo e dei ritagli di giornale Introduzione alla prima edizione

Alcuni mesi fa mi fu chiesto di scrivere un articolo sul cinema di

mio padre per la rivista Nocturno.1 C’erano contenute molte cose im-portanti in quell’articolo, alcune indubbiamente essenziali, arricchite da diverse dichiarazioni di mio padre ai giornali, che lui aveva ordi-nato e io ho gelosamente custodito. Mi è sembrato però che quanto vi fosse espresso non poteva esaurirsi in quelle poche pagine e che molte cose avrebbero meritato maggiore approfondimento. Mi ero forse spinto troppo in là su alcune affermazioni, nell’aver ipostatizzato il discorso critico sulla violenza a costante tematica di alcuni titoli, sep-pur motivato dalle sue stesse considerazioni sull’argomento, più ve-rosimili, a dire il vero, se ridotte a percezione psicologica di un male vincolante ed esistenziale, che a effettiva trascendenza negativa. Ave-vo inoltre mancato di tracciare un profilo della sua personalità; me-glio, mi ero reso conto di non aver raccordato l’opera e il pensiero di mio padre con il suo modo di intendere e di vivere la realtà. In più, una eccessiva seriosità di approccio, penso abbia un poco nuociuto alla comprensione del suo cinema, che conosce la sofferenza e la me-ditazione, ma anche il divertimento e l’ironia.

Ma al di là dei limiti tratteggiati, l’articolo colmava almeno una lacuna. Recava una sintesi “probabile” di un particolare approccio al cinema di mio padre rispondendo sicuramente a una richiesta essen-ziale di una parte dei lettori della rivista. Credo, in questo senso, di aver fornito, se non altro, una utile e possibile visione interpretativa del suo composito ed irrisolto percorso cinematografico (nonostante i tagli che ho dovuto fare di sue dichiarazioni per rientrare nei limiti delle sei cartelle).

Il problema di dover chiarire quello che non c’era nell’articolo si univa peraltro ad un’altra aspirazione: quella molto più antica di scrivere un libro su mio padre. A questo modo l’esigenza emergente rafforzava il proposito iniziale, rendendo non più procrastinabile l’attesa del progetto.

1 Il testo è riprodotto nell’Appendice 2

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18 Introduzione

Alcune pagine di questo lavoro sono argomentazioni su quanto egli pensava, rifletteva, esponeva non solo pubblicamente: il cinema in primo luogo, ma anche considerazioni sulla vita, il mondo, cose os-servate e dibattute. Ho cercato in questo caso di raccordare il suo pensiero con la sua arte e professione, sforzandomi di vederci possibi-li similitudini o cercando di chiarire a chi legge e per primo a me stesso qualcosa della sua personalità. Del resto questo libro è anche una interrogazione sull’uomo e il regista Paolo Cavara, e il mio punto di vista, per quanto privilegiato, non vuole essere oro colato, ma in-terpretazione il più fedele possibile al suo spirito e alla sua attività professionale. In questo senso ho cercato di legare le considerazioni sul cinema con quello che egli ha cercato di dire, anche riflettendo esclusivamente sull’opera, perché sono convinto che quest’ultima spesso racchiuda sensazioni e aspetti creativi solitamente indipendenti dalla volontà del suo autore. Da qui il rischio di dire troppo rispetto a quello che egli avrebbe pensato a riguardo. A questo rischio non ho potuto sottrarmi: ho sempre ritenuto molti suoi film qualcosa di non indifferente alla tentazione della discussione. E rivederli o discuterli è stato un modo per approfondire e riscoprire l’uomo che li ha diretti, dicendo magari qualcosa di nuovo.

Altri capitoli hanno un tono più letterario e descrittivo. Ho voluto raccontare mio padre anche attraverso frammenti di vita vissuti in-sieme: domeniche, estati, momenti passeggeri. Sono capitoli che non vogliono giungere a conclusioni (nemmeno quelli di precedente argo-mentazione peraltro vogliono esserlo totalmente). Ammetto che il ri-sultato d’insieme potrà risultare ad alcuni incostante o disomogeneo, in alcuni casi anche ripetitivo, ma ciò è dovuto al fatto che mio padre è stata una personalità complessa da descrivere e interpretare.

Quello che mi importava era di ricordare mio padre come io l’ho conosciuto e soprattutto come mi è piaciuto descriverlo. Del resto la mia non è né una biografia, né prettamente una discussione critica o strettamente filologica del suo cinema. Ho preferito seguire uno sche-ma libero, senza appoggi prestabiliti, se non quelli dichiarati nell’indice. E spero di aver in sostanza raggiunto lo scopo sopra men-zionato.

Non ho mancato, per quanto mi è stato possibile, di inserire la sua figura di nel più vasto panorama culturale dell’epoca, sforzandomi di