I NUOVI CRITICI - Aracne editrice - · la tradizione tragica, tragicomica e ... sotto la maschera...
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I NUOVI CRITICI
LABORATORIO CULTURALE
I NUOVI CRITICI
LABORATORIO CULTURALE
La collana intende ospitare le opere di critici esordienti, non ac-cademici, che si esercitano quotidianamente nella lettura di opereletterarie e poetiche sia italiane che straniere, nell’analisi cinema-tografica di film noti e meno noti, nell’interpretazione delle opered’arte del presente e del passato, nell’attenta fruizione di opere tea-trali sia sperimentali che classiche. Una critica di chi legge, interpretae decifra giorno dopo giorno, con gli occhi ben aperti sul mondo.
Diego Chiesi
La gotta nella letteratura
Prefazione diEnrica Salvaneschi
Copyright © MMXIVARACNE editrice S.r.l.
via Raffaele Garofalo, /A–B Roma()
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I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica,di riproduzione e di adattamento anche parziale,
con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi.
Non sono assolutamente consentite le fotocopiesenza il permesso scritto dell’Editore.
I edizione: giugno
Indice
7 Praefatio
11 Capitolo I
Introduzione
13 Capitolo II
La tradizione testuale lucianea
17 Capitolo III
La Ποδάγρα
39 Capitolo IV
L’ Ὠκύπους
43 Capitolo V
Spunti di analisi comparata
51 Capitolo VI
La Ποδάγρα fra le opere lucianee
61 Capitolo VII
Teatrabilità
69 Capitolo VIII
Aristofane: la prima attestazione letteraria della gotta
73 Capitolo IX
La gotta nella medicina greca
83 Capitolo X
La gotta nella tradizione letteraria greca
91 Capitolo XI
La gotta nella medicina latina
101 Capitolo XII
La gotta nella tradizione letteraria latina
123 Capitolo XIII
La gotta nella tradizione letteraria italiana
145 Capitolo XIV
La gotta in Shakespeare
153 Capitolo XV
Robert Burton: gotta e melanconia
177 Capitolo XVI
La Joie de vivre e Little Lord Fauntleroy
201 Capitolo XVII
Anomalie deambulatorie nei miti classici: proposte interpreta-
tive
225 Capitolo XVIII
Conclusione
233 Bibliografia essenziale
7
Praefatio
La gotta, grecamente podagra, non ha finora assunto un ruolo de-
gno di nota nell’àmbito accattivante e inquietante della nosografia mi-
tica e letteraria. Mi si passi questa iunctura forse audace, ma efficace:
si pensi, per richiami di sicura eccellenza, al fegato di Prometeo, alla
follia di Ercale, alla gibbosità di Tersite, all’epilessia di Ió, giù giù fi-
no alla tisi della dumasiana dame aux camélias, Marie Duplessis ov-
vero Violetta ovvero Camille ovvero Margherita Gautier, al tifo del
turgeneviano Bazarov, all’emicrania del bulgakoviano Ponzio Pilato,
al mal di denti di Thomas Buddenbrook e alla sifilide di Adrian Le-
verkühn in Thomas Mann. Ma non addentriamoci nel voluttuoso elen-
co di questi morbi, nobili o nobilitati: diciamo piuttosto che la presen-
te monografia rivendica un ruolo non così illustre, ma suggestivamen-
te vitale e sinuoso a un’affezione patologica dall’apparenza non nobi-
le, forse perché ritenuta non mortale e, all’apparenza, così sconsola-
tamente priva di ricadute psichiche da restare esclusa dalle sprezzanti
perversioni dichiarate dall’uomo del sottosuolo dostoevskiano, “mala-
to e malvagio”. Ma è proprio vero tutto questo? Oppure anche gli aci-
di urici del gottoso possono adire un riscatto come male psichico e
fantastico, simile a (o parente minore, umile corollario di) quello che
da secoli inerisce agli umori della melanconia? Tale è l’argomento
della ricerca che qui si presenta e tale è, per così dire, il punto di pro-
mozione della sindrome podagrosa: la sua attinenza al mondo morbo-
so della patologia melanconica. Essa è già sottesa e sottintesa dal testo
archetipo per ogni ricerca sul tema: un’operetta cosiddetta minore in-
clusa nel corpus Lucianeum, strutturata a tragedia, di cui Ποδάγρα
(Podagra) è protagonista ed eponima. Nessun dato decisivo impedisce
di attribuire a Luciano medesimo questo ironico e irridente omaggio
alla tragedia classica, vista con l’occhio deformante e pur partecipe di
un formidabile e sottile genio creativo, che coglie gli sparsi spunti del-
8 Praefatio
la tradizione tragica, tragicomica e satirica, anche latina, e ne affida la
continuazione ai secoli venturi, fino al Novecento gaddiano; ma intan-
to, secondo l’interpretazione avallata dai critici, un suo succedaneo
della tarda antichità sarebbe riuscito a far entrare nel corpus Lucia-
neum un emulo opuscoletto tragiciforme, l’ Ὠκύπους (Pie’ Veloce)
che con la Podagra compone un dittico inquietante di inesorabile,
morboso destino. Questo destino riceve poi una garanzia decisiva, or-
mai in epoca pienamente barocca, da un altro libro epocale, The Ana-
tomy of Melancholy di Robert Burton (I edizione 1621): tradizionalis-
simo e originale, caotico all’apparenza ma in realtà dominato da una
lucida ragione empirica, il trattato burtoniano consta di citazioni da
autori classici e post–classici che, sotto la maschera del redivivo De-
mocritus ridens, imbrigliano sindromi somatiche e ossessioni fantasti-
che: in questo plesso la gotta riceve una vera e propria, esplicita pro-
mozione melanconica, che lasciamo al lettore di scoprire, sotto la gui-
da sapiente dell’autore.
L’autore: Diego Chiesi, giovane interprete qui alla sua opera se-
conda (dopo L’originalità classica della commedia alfieriana, Edizio-
ni dell’Orso, Alessandria 2012), affronta con falcata di autentico stu-
dioso un compito che crescit eundo, valicando cime poetiche, quali
Jacopone da Todi e William Shakespeare, visitando la narrativa zolia-
na e la fiaba sociale di Frances Hodgson Burnett, nonché discoprendo
accattivanti autori “minori”, quali il nostro secentista Francesco Ful-
vio Frugoni. I testi esaminati, provenienti dalle letterature greca, lati-
na, italiana, francese, inglese nell’intero arco della loro documentazio-
ne, sono sempre discussi in lingua originale (ma nondimeno accompa-
gnati da traduzione, al fine di renderne più agevole a chiunque la
comprensione) e presentati in un colloquio storico e metastorico che
mai dimentica i valori formali e deformanti di un’interazione continua
tra stile e tema, fra tradizione e sua decantazione nel presente, tra ra-
gione e passione, in un’acribìa esegetica sempre sorretta da nitore e-
spressivo.
Ringrazio il prof. Moreno Morani per averci esortato a questa solu-
zione editoriale: segno che i valori della scuola e della cultura non vo-
gliono e non possono cedere alla conformità dell’ignoranza, della fret-
ta e del “pressappoco”, bestia fanatica che troppi ritengono trionfante.
Ma con Podagra, l’abbiamo capito, non ce la può fare.
Enrica Salvaneschi
Genova, maggio 2014
Nota dell’autore:
Mi permetto di ringraziare la prof. Salvaneschi, insostituibile e in-
stancabile aiuto nei miei due principali lavori, con la quale spero di
avere ulteriori occasioni di lavoro. Ad E. S., quasi Musa, sono debito-
re anche per l’idea del presente tema di ricerca e per il suggerimento
di testi fondamentali quali quello burtoniano o quello zoliano. Ringra-
zio parimenti il prof. Leonardo Paganelli, per la disponibilità e la sua
spontanea recensione al mio precedente lavoro; il prof. Walter Lapi-
ni, per la stima più volte dimostratami; il prof. Oscar Meo per il sug-
gerimento sul dipinto di Hogarth, riprodotto in copertina; gli amici
“scolophili” per gli inesauribili spunti; i miei genitori, senza i quali
non avrei fatto ciò che ho fatto.
D. C.
9 Prefatio
11
Capitolo I
Introduzione
La gotta (denominata anche podagra perché colpisce soprattutto il
piede) è una malattia che accompagna l’evoluzione umana: si trova
presso ogni popolo e in ogni era e recenti ricerche mediche rilevano
come la percentuale mondiale dei gottosi sia in costante crescita. Il
presente studio intende essere una documentazione non medica, ma
letteraria, della malattia. Il punto di partenza è costituito da Luciano,
che, nel II secolo d. C., scrisse un’opera teatrale intitolata Ποδάγρα,
brillante contaminazione fra tragedia e commedia. Strettamente con-
nesso alla Ποδάγρα è l’ Ὠκύπους, tramandato come lucianeo ma
quasi certamente posteriore: non mancano in esso spunti comici, ma la
conclusione dell’opera è marcata da una tragica inesorabilità. I due te-
sti costituiscono tuttavia un dittico speculare, con gioco di echi e ri-
chiami che illustreremo. Attraverso un progressivo ampliamento del
discorso, condotto in prospettiva comparatistica, cercheremo di trac-
ciare una sommaria storia del tema della gotta in letteratura. Iniziere-
mo dalle opere lucianee, i parenti più stretti del nostro testo di avvio;
seguiremo quindi tale fil rouge lungo le letterature greca e latina, sen-
za dimenticare i grandi medici dell’antichità. Già a questo punto, e-
mergerà come le attestazioni letterarie non siano semplici citazioni ac-
comunate da un lemma: similari sono i campi semantici e gli orizzonti
concettuali nei quali la malattia è inserita. Non sarà pertanto fuori luo-
go parlare di un “tema” della podagra, intendendo un insieme di loci
ove l’oggetto compare secondo coerenti linee di sviluppo e di signifi-
cato. E sarà parimenti evidente come le differenti attestazioni siano
sovente inter–dipendenti: gli autori cronologicamente più recenti si ri-
fanno a chi li ha preceduti, declinando il nostro tema in maniera con-
sapevole. Si istituisce così, sul motivo della podagra, un dialogo inter–
12 Capitolo I
letterario che è alla base del comparativismo. Continueremo quindi il
percorso attraverso la tradizione letteraria italiana, negli esempi ritenu-
ti più emblematici (conoscere è sempre sintetizzare). Concluso questo
percorso lineare, introdurremo l’analisi di alcune opere straniere rite-
nute significative: in particolare, The Anatomy of Melancholy, scritta
nella prima metà del Seicento dall’inglese Robert Burton, che testi-
monia un’importante ripresa della Ποδάγρα lucianea e contribuisce
ad ampliare il discorso al tema della melanconia, inaspettatamente
connessa con la podagra. Ci volgeremo poi alla mitologia classica, fil-
trata attraverso la lente del piede malato, a chiedersi se esso possa co-
stituire un’unità di senso. Comun denominatore al nostro percorso sarà
il registro comico: la podagra (e, più genericamente, la deformazione
o malattia al piede) è sovente trattata in chiave comica ed è funzionale
a produrre riso. Guarderemo, pertanto, con occhio attento al problema
del comico; e insistendo sul legame tra piede e comicità, motivato sia
su base letteraria, sia su base mitologica, termineremo le nostre argo-
mentazioni. Emergerà alla lettura come Luciano sia uno snodo fonda-
mentale nella storia del tema, cosa che giustifica sia l’averlo scelto
come punto di partenza, sia l’ampio spazio che gli verrà dedicato: in
qualche modo, Luciano, autore della Weltliteratur, e la classicità con
lui “dettano le linee”, fornendo al motivo contesti, contenuti e stili con
cui le epoche successive dovranno confrontarsi.
Occorre ancora una puntualizzazione. Nonostante la gotta sia una
malattia ai piedi o comunque alle articolazioni, il nome si estende pro-
gressivamente anche ad altre malattie: ad esempio, in italiano la gotta
caduca (o gotta di cuore) è l’epilessia; nella Miscellanea Tironiana, la
voce gutta podagrica vel arderitica significa genericamente “artrite” 1, e in questa accezione si ritrova in varie lingue romanze, dal porto-
ghese al rumeno; altrove essa indica la paralisi. Noi, tuttavia, ci occu-
peremo qui della gotta nel suo senso proprio, come malattia (dolorosa
ma non mortale) alle articolazioni di mani e piedi.
1 Già in greco ποδάγρα καὶ ἰσχιάς e in latino podagra vel arthritis, pur non essendo si-
nonimi, formano sovente dittologia.
13
Capitolo II
La tradizione testuale lucianea
Prima di iniziare la trattazione del nostro tema, riteniamo opportu-
no fornire un quadro succinto ma chiaro della storia del testo lucianeo.
I più recenti contributi a tal proposito, elencati in ordine cronologico,
sono i seguenti: la prefazione all’ottima edizione critica della Oxford
curata da M. D. Macleod (1970–1987); l’introduzione all’edizione
dello Juppiter Tragoedus fatta da J. Coenen nel 1977, ove Coenen ri-
flette sullo stemma proposto da Macleod e lo modifica in parte; la pre-
fazione all’edizione Les Belles Lettres curata da J. Bompaire nel 1993,
che fonde gli stemmi di Macleod e Coenen; e, infine, l’italiana UTET,
di carattere più divulgativo, edita a cura di Vincenzo Longo tra il 1976
e il 1993.
La tradizione del testo di Luciano è complessa, come ben si può
immaginare. In realtà, la fortuna letteraria non arrise a Luciano nei
primi secoli successivi alla sua morte: fu solo sporadicamente citato,
ad esempio da Lattanzio e da Isidoro, e poi da alcuni dotti dell’Asia
Minore e della Siria, regione patria dello scrittore. Il nome di Luciano
ricompare con la Rinascita bizantina, dal IX secolo in avanti: in parti-
colare, il patriarca Fozio dichiara di aver letto il Phalaris, i Dialogi
Mortuorum e Meretricii e molti altri scritti di vario argomento (Bibl.,
cod. 128, 96a). In termini filologici, la scarsa fortuna nei secoli
dell’Alto Medioevo significa che non vi fu proliferazione di codici e
che la tradizione del testo subì poche corruttele tra il II sec. d.C. (seco-
lo in cui visse Luciano e in cui si producono gli originali) e il IX; dal
IX–X secolo in poi, invece, varie copie furono prodotte, con le inevi-
tabili conseguenze che ciò comporta. La tradizione del testo è biparti-
ta, ciò essendo dovuto alla notevole mole del corpus lucianeo. Quindi,
una parte della tradizione si rifà all’iparchetipo perduto γ, editio
14 Capitolo II
maior, che trasmetteva la totalità delle opere del Samosatense; un’altra
parte della tradizione si rifà invece all’iparchetipo perduto β, editio
minor, che rappresenta una selezione del corpus e ne trasmette un po’
meno della metà. Alcune opere, quindi, avranno tradizione semplice,
essendo tramandate solo dai manoscritti della famiglia γ; altre, pre-
senti in entrambi i rami, avranno duplice trasmissione. Il più antico
manoscritto di cui abbiamo testimonianza è quello che leggeva Fozio:
è senz’altro perduto e potrebbe essere lo stesso γ od ω, da γ derivato;
sicuramente appartiene alla famiglia di γ, poiché i Dialoghi Mortuo-
rum e Meretricii non rientrano fra le opere tràdite da β. È poi logico
supporre un archetipo da cui gli iparchetipi γ e β discendono. La cro-
nologia degli iparchetipi è dunque alta, intorno al IX secolo. Dal per-
duto γ discende Γ, il codice Vaticano 90, redatto all’inizio del X seco-
lo, di alta affidabilità, che riporta i testi nell’ordine tradizionale, dall’1
all’86. Proprio l’ordine in cui vengono riportati i testi (chiamato col
termine greco ἀκωλουθία) è stato considerato un criterio di attendi-
bilità e di derivazione; come indica la numerazione, è stato supposto
che l’ordine di Γ sia quello “corretto”, ossia originariamente presente
in γ, innovato dagli altri manoscritti. Recentemente, invece, Coenen
ha avanzato l’ipotesi che l’ἀκωλουθία di γ non sia quella presente in
Γ, ma quella di cui si ha traccia in Ω e V.
Altro manoscritto fondamentale ed autorevole, redatto da Areta nel
914, è l’Arleiano 5694, cosiddetto E. Questo manoscritto si pone a
metà fra le due famiglie di tradizione e dimostra come contaminazioni
e contatti fra queste siano avvenuti fin dagli albori della storia del te-
sto lucianeo. E è posseduto solo in parte: una pars prior E(1)
, da cui
deriva il codice B(1)
(inizio XI sec.), è perduta e discende da β; una
pars posterior E(2)
, da cui deriva B(2)
(inizio XI sec.), è posseduta e di-
scende dalla famiglia di γ. Non v’è comunque ancora totale accordo
su E, tanto che Bompaire, nel suo intervento conclusivo, continua a
definirla “véritable crux codicologique” 1.
Nella famiglia di β, altro codice di capitale importanza è U, ovvero
il Vaticano 1324 (sec. X–XI), posseduto solo in parte. Pur non essen-
1 J. BOMPAIRE, Oeuvres / Lucien, Les Belles Lettres, Parigi 1993, Introduzione, p. LXIV.