Rienzi, l’ultimo dei tRibuni - ilgiornalegrandieventi.it · di un anno per preparare que- ......

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Anno XiX - numero 37 - 9 maggio 2013 Rienzi, l’ultimo dei tRibuni di Richard Wagner Le interviste Parlano il regista De Ana e il tenore protagonista Schager A Pag. 2 La Storia dell’Opera Rienzi, prima tappa di Wagner verso il successo A Pag. 6 Il personaggio storico La vicenda di Cola di Rienzo, figlio di taverniere che voleva divenire Imperatore A Pag. 8 e 9 Wagner in Italia ed a Roma I sei viaggi del pellegrinaggio laico del compositore A Pag. 11 Cola di Rienzo e letteratura tedesca Dal romanzo di Bulwer-Lyttonil il Tribuno divenne simbolo del sogno rivoluzionario A Pag. 12 e 13

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Anno XiX - numero 37 - 9 maggio 2013

Rienzi, l’ultimo dei tRibunidi Richard Wagner

Le intervisteParlano il regista De Anae il tenore protagonista Schager

A Pag. 2

La Storia dell’OperaRienzi, prima tappa di Wagnerverso il successo

A Pag. 6

Il personaggio storicoLa vicenda di Cola di Rienzo,figlio di taverniere che voleva divenire Imperatore

A Pag. 8 e 9

Wagner in Italia ed a RomaI sei viaggi del pellegrinaggio laico del compositore

A Pag. 11

Cola di Rienzo e letteratura tedescaDal romanzo di Bulwer-Lyttonilil Tribuno divenne simbolo del sogno rivoluzionario

A Pag. 12 e 13

Maestose, ma allostesso tempo es-senziali. Giocano

come al solito sull’impattovisivo le scene di Hugo DeAna, regista, scenografo ecostumista di questo Rienzi.La colonna Traiana – forsepiù bella dell’originale - do-mina la scena. E’ elementodei Fori sì, ambientazionedel primo atto, ma soprat-tutto vuol essere un richia-mo generico a quella RomaAntica verso cui Cola diRienzo guardava con il suoprogetto politico di una re-pubblica di popolo. I cavalliche entrano ed escono nellevarie parti dell’opera, an-ch’essi di marmo bianco, so-no elementi senza una iden-tità precisa, proprio percreare una scena senza luo-go e senza tempo, «quasi unfilm in Bianco e Nero e che nel-la fase iniziale e nel finale è rac-contato quasi a ritmo cinema-tografico delle pellicole mute»,sottolinea il regista. «La vi-cenda di Cola di Rienzo è cosìlontana nel tempo e per certiversi così comune a varie epo-che che può essere ambientatain qualunque epoca, ma nel-l’opera l’importante è come simuovono e vivono i personag-gi», dice Hugo De Ana, regi-sta, scenografo e costumistadi questo allestimento e cheall’Opera di Roma ha lavo-rato più volte, l’ultima nelgennaio 2004 con la primamondiale di Marie Victoire,opera del 1913 di OttorinoRespighi, fino ad allora mairappresentata. Ed anche inquella occasione, l’oggi64enne regista argentino, alposto dell’ambientazionenella Francia della Rivolu-zione, propose una stazione

ferroviaria d’inizio ‘900,epoca della composizionedell’opera, in cui una com-pagnia teatrale attendeva lapartenza del treno.«Questo Rienzi, che affrontoper la prima volta essendo ope-ra pochissimo rappresentata –sottolinea De Ana – è un la-voro molto interessante perchése è vero che è“romantico”, an-cora legato all’accademismo ge-nerale, in se sviluppa certi ger-mi i quali dopo saranno presen-ti e maturati nel Wagner tradi-zionale. E’ un’opera molto pri-mitiva, dove si sente che il gio-vane compositore volesse riva-leggiare – come poi confessò –con Spontini e Meyerbeer, conAuber e Halévy, ma dove però,ad esempio, il rapporto dei duefratelli ed il finale sono un an-ticipo del Götterdämme-rung, Il Crepuscolo degliDei di 37 anni più tardo. C’ètutto Wagner, ma ancora nonin maniera chiara. Il regista quisi confronta con un’opera natacome Grand Opéra, genere cheera il teatro di massa. E’ unospettacolo molto complesso,ogni atto è quasi a se un’operacompleta». Naturalmentel’opera è presentata nellaversione già abbreviata unasettimana dopo la “prima”

dall’autore, nella quale quisono stati tagliati anche iballetti tipici del GrandOpéra, un po’ troppo dilata-ti per la concezione moder-na. «Quello di Rienzi – inter-viene il tenore AndreasSchager, protagonista nelprimo cast ed alla sua quin-ta esperienza con questo ti-tolo - è un ruolo molto “eroi-co” ed anche molto impegnati-vo per la voce. Bisogna avereuna buona cadenza perchél’opera è lunghissima», dice,mostrando le 724 pagine dispartito e quindi sottolinea«la preghiera all’inizio del 5°atto è una delle pagine più fa-mose e più belle, ma dura ben 8o 9 minuti! Mi ci è voluto piùdi un anno per preparare que-sto titolo prima del mio debuttoa Meiningen nel 2011». «Lo spettacolo – spiega ancoraDe Ana - corre tutto nel mon-do dell’astrazione, in un mondonon concreto. Siamo nel 1300,ma potremmo essere nel 100 onel 1800; il protagonista è Coladi Rienzo, ma potrebbe essereCesare o Napoleone, tutti uomi-ni che divengono tiranni co-minciano con l’essere socialistie diventano nazionalsocialisti.La storia non cambia tanto inmano a questi si chiamino Sta-lin o Geddafi. La storia tende aripetersi nel bene e nel male edil popolo è partecipe in formainconscia, anche nella caduta».Ed è singolare pensare che lapartitura originale del Rienzinon esiste più perché bruciònel rogo del bunker dellaCancelleria a Berlino il 30aprile 1945. Era stata, infatti,regalata ad Hitler dalla figliadi Wagner ed il Rienzi avevadeciso di intraprendere ilpercorso politico, da quellapartitura non si era mai vo-luto separare.

Andrea marini

2 Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

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Andrea MariniDirezione Redazione ed Amministrazione

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illustrazione del Rienzi di wagner, da una car-tolina austraca di fine XIX Secolo.

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~ ~ La Copertina ~ ~

~ ~ La Locandina ~ ~Teatro Costanzi, 9 - 18 maggio

Rienzi, l’ultimodei tRibuni

(Rienzi, der Letzte der Tribunen)Grande opera tragica in 5 atti

(WWV 49)

Musica di Richard Wagner

Libretto: proprio, dal romanzo di E. Bulwer-LyttonDedicato a Federico Augusto II, Re di Sassonia dal 1936

Prima rappresentazione: Dresda, Königlich Sächsisches Hoftheater, 20 ottobre 1842

Direttore Stefan SolteszRegia, Scene e Costumi Hugo de Ana

Maestro del Coro Roberto GabbianiLuci Vinicio Cheli

Movimenti mimici Leda LojodiceMaestro d’armi Renzo Musumeci Greco

Personaggi / Interpreti

Cola de Rienzi (T) Andreas Schager / Carsten Süss 16Irene, sua sorella (S) Manuela Uhl / Carola Glaser 16Stefano Colonna (B) Roman Astakhov Adriano, figlio di Stefano Colonna (Ms) Angela Denoke /

Chariklia Mavropoulou 16Paolo Orsini (B) Ljubomir PuskaricRaimondo, legato pontificio (B) Milcho BorovinovBaroncelli (T) Martin HomrichCecco del Vecchio (B) Jean Luc BallestraUn Messo di pace (S) Hannah Bradbury

con la partecipazione del Coro di Voci Bianche del Teatro dell’Opera diretto da José Maria Sciutto

ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERANuovo allestimento

In lingua originale con sovratitoli in italiano

Stagione 2013 del teatro dell’opera di Roma

18 - 25 giugno don PASquAledi Gaetano Donizetti

Direttore Bruno Campanella

27 giugno CuRlew RiveRdi Benjamin Britten

Direttore James Conlon

16 - 23 luglio nAbuCodonoSoRdi Giuseppe Verdi

Direttore Riccardo Muti

Stagione estiva alle terme di Caracalla

2 - 7 luglio teRRA e Cielodi Nino Rota

Coreografia Micha van HoecheDirettore Gaetano D’Espinosa

CAvAlleRiA RuStiCAnAdi Pietro Mascagni

1 - 6 agosto toSCAdi Giacomo Puccini

Direttore Renato Palumbo

23 - 31 ottobre tuRAndotdi Giacomo Puccini

Direttore Pinchas Steinberg

Parlano il regista De Ana ed il tenore protagonista Schager

Una scena senza tempo per unavicenda che è di ogni tempo

Hugo De Ana Andreas Schager

3Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

In questo allestimento i 5 atti di spartito sonostati divisi in due parti, separate dall’intervallo:1° e 2° atto (l’ascesa); 3°, 4° e 5° atto (la caduta).

Atto i - Roma, alla fine della prima metà del XIV secolo. In una stra-da Paolo Orsini, a capo di un drappello di seguaci, vuole rapire Irene, so-rella di Rienzi. Il tentativo fallisce per l’intervento di alcuni membri dellafamiglia Colonna, avversa agli Orsini, fra cui il giovane Adriano, inna-morato di Irene e Stefano Colonna che mette in salvo la giovane. L’arrivodi Rienzi, eletto tribuno del popolo in ossequio alla tradizione della re-pubblica romana, frena il tumulto. Rienzi invita i nobili a pacificarsi ed ilpopolo alla prudenza. Ma i nobili si sono già accordati per darsi battaglial’indomani fuori della città e così Rienzi mobilita il popolo: mentre i no-bili combatteranno, loro dovranno chiudere le porte di Roma, affinché inobili per rientrare siano costretti a giurare obbedienza alla legge. Intan-to Adriano, a colloquio con Rienzi, è diviso tra il dovere di combatterecon la Famiglia e l’amore per Irene. All’alba mentre il suono di tromba ri-chiama il popolo, arringato da Rienzi, il capo plebeo Cecco Del Vecchiooffre a lui la corona di Roma, che Rienzi però rifiuta preferendo il più mo-desto titolo di Tribuno Romano. Intanto le fazioni nobili chiuse fuori dal-la Città, si sono accordate per fingere l’obbedienza alla legge.

Atto ii – I messi di pace rientrano in Città dopo aver annunciato la fi-ne delle lotte civili. Gli Orsini ed i Colonna fanno atto di sottomissione aRienzi, ma in realtà meditano di assassinarlo. Adriano, giungendo inat-teso, ode suo padre Stefano, capo della famiglia Colonna, che con altri staarchitettando il delitto. Inorridito, è diviso - anche per l’amore per Irene -tra il dovere di avvertire Rienzi e la consapevolezza che se lo farà suo pa-dre sarà giustiziato. In una sala del Campidoglio si celebra la pace. Adriano si avvicina a Rien-zi e lo esorta a stare in guardia, senza però specificare altro. I festeggia-menti culminano con una pantomima in cinque parti su Lucrezia e la cac-ciata di Tarquinio il Superbo. Dopo la Danza, Paolo Orsini si avventa suRienzi e gli vibra un colpo di pugnale, ma il tribuno si salva grazie ad uncorsetto di metallo che, non fidandosi, ha indossato sotto la veste. Baron-

celli, cittadino fedele a Rienzi, entra nella sala gui-dando le guardie ed i nobili sono sopraffatti. Il po-polo grida vendetta e Rienzi proclama la condan-

na a morte per i traditori. Adriano, però, chiede ad Irene di intercederepresso il fratello affinché concede la grazia, in particolare al vecchio Ste-fano Colonna. Rienzi, dopo la toccante perorazione e qualche esitazione,concede il perdono a patto che i nobili riconfermino il giuramento. Il po-polo si ribella, ma poi ammira la saggezza del Tribuno.

Atto iii – Nella grande piazza del Foro – I nobili, per i quali la cle-menza del Tribuno è stata un’offesa, escono da Roma ed organizzano unesercito per marciare sulla Città. Il popolo rimprovera Rienzi per essersilasciato ancora ingannare dai nobili, ma egli riesce a riguadagnare il fa-vore dei romani e li prepara al combattimento. Adriano è nuovamente in-certo sul da farsi. Il popolo in armi inneggia (in Italiano, n.d.r.) con l’innodi battaglia «Santo Spirito Cavaliere».. Adriano si propone come mediato-re e tenta di convincere Rienzi ad attendere, ma questa volta il Tribunoignora l’appello e da il via alla battaglia. Adriano, rimasto in compagniadi Irene, decide di abbandonarla, ma è da lei trattenuto, mentre si odonole litanie delle donne che pregano per i loro uomini, che infine tornanovittoriosi, ma decimati e nasce così un nuovo malcontento nei confrontidi Rienzi. Quando vengono portati i corpi di Paolo Orsini e Stefano Co-lonna, Adriano si getta su quello del padre e maledice Rienzi, il quale lofa allontanare, per poi far suonare le campane in segno di vittoria.

Atto iv – Nella piazza della Basilica Lateranense – Baroncelli, CeccoDel Vecchio ed altri cittadini romani discutono sul fato che la grazia con-cessa ai nobili possa essere un progetto di alleanza con loro, visto chel’ambasciatore tedesco è stato richiamato in patria dall’Imperatore, alquale alcune voci dicono che i nobili abbiano fatto giungere la notizia cheRoma è in mano ad un violento ribelle, così come avrebbero fatto sapereal Papa, in Avignone, che Rienzi è un eretico, tanto che il Pontefice ha in-viato come suo legato il Cardinal Raimondo con il compito di ristabilirel’autorità papale. Il popolo, dunque, sta per abbandonare Rienzi, quandoil tribuno appare alla testa di un corteo per celebrare la vittoria. Anche

La Trama

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E’lo spartiacque tra il primo Wa-gner ed il Wagner della matu-

rità questo Rienzi, opera compostatra il 1837 ed il 1840 quando Richardaveva dai 24 ai 27 anni ed andato inscena a Dresda nel 1840 con un Wa-gner 29enne. Un’opera, la quarta dalui composta, che però poi il musici-sta tedesco bandì dal proprio “tem-pio” di Bayreuth, non consideran-dola degna di essere rappresentatain quel teatro scrigno della propriaarte. Invece, tra le note del Rienzi sicolgono freschi ed interessanti ger-mogli di quella che sarà la successi-va e più famosa produzione, pernon parlare della straordinaria bel-lezza e liricità della “preghiera” al-l’inizio del quinto atto. Si tratta diun’opera totalmente “romana” perambientazione, ma di rara esecuzio-ne – a Roma è stata eseguita una so-la volta nella stagione 1968/’69, di-rettore il celebre Oliviero De Fabri-tiis e regia di Giarrico Becher, nelcast Pier Miranda Ferraro (Rienzi),

Renzo Casellato (Adriano), LicinioMontefusco (Paolo Orsini) e DithaSommer (Irene) - che ripercorre latumultuosa vicenda di Cola di Rien-zo, il Tribuno romano che nella pri-ma metà del Trecento per due voltegovernò la Città, contrapponendosial potere dei nobili con il sogno diripristinare la repubblica sul model-lo dell’Antica Roma, ma che vennepoi ucciso dallo stesso popolo. Re-gia, scene e costumi sono dell’argen-tino Hugo De Ana, 64 anni, il qualeal Costanzi è stato tra l’altro perl’Iris di Mascagni che aprì la stagio-ne nel gennaio 1996 e poi, l’ultimavolta, con il discusso allestimentoper la prima mondiale della MarieVictoire di Ottorino Respighi, an-ch’essa ad aprire la stagione nel2004. Questa volta le sue scenogra-fie, sempre seducenti e grandiose,hanno giocato su pochi elementi ge-nerici – integrati da proiezioni - del-la Roma antica, capaci di creare unospazio senza luogo e senza tempo.

In passato il Rienzi solo una volta a Roma

Le ReplicheDomenica, 12 maggio, h. 16.30

Martedì, 14 maggio, h. 19.00

Giovedì, 16 maggio, h. 19.00

Sabato, 18 maggio, h. 18.00

5Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

Pagina a cura di Mariachiara Onori

Acantare come il tribunoRienzi saranno i tenoriAndreas Schager (9, 12,

14, 18 maggio) e Carsten Suss (16maggio). Andreas Schager, natoin Austria nel 1971, ha studiatoall’Università della Musica conWalter Moore e si è poiperfezionato con James King eToma Popescu. Nel 1998 ha vintoil Premio Speciale della Giuria peril 5° anniversario del ConcorsoInternazionale di Vienna e l’annoseguente ha ottenuto la medagliadella Fondazione “Jean-FrédéricPerrenoud” in Neuchâtel(Svizzera), il Premio della Critica eil Premio della Città di Costanza al Concorso Internazionale pertenori a Luhoj, (Romania). Nel 2000 è stato Ottokar in Zigeunerbarondi Strauss, divenendo tenore stabile nell’ensemble del VereinigtenStädtischen Bühnen Krefeld und Mönchengladbach. Negli anniseguenti ha cantato in numerose produzioni liriche. Il suorepertorio concertistico comprende composizioni di Bach,Beethoven, Haydn, Mendelssohn e Mozart. Nel 2011 il debutto nelruolo di Rienzi di Wagner al Staatstheater Meiningen, opera che hapoi cantato nuovamente nel 2012 all’Opera di Berlino, al TeatroReal di Madrid e quest’anno, dal 13 al 18 gennaio, in forma diconcerto alla Staatsoper di Amburgo con enorme successo.

Carsten Suss è nato a Magonza, in Germania, dove ha studiatocanto con suo padre. Dal 1997 al 2001 è stato membro dell’ensembleSemperoper Dresden. Nel corso della sua carriera Suss è statospesso invitato a tenere concerti e si è esibito a Tel Aviv,Gerusalemme, Budapest, Madrid, Milano, Vienna, Vilnius,Hongkong, Seoul, Tokio e Reykjavik, oltre a prendere parte anumerosi festival internazionali. Nella stagione 2012/2013 hainterpretato il Duca in Eine Nacht in Venedig. Per diversi anni è statoinvitato regolarmente all’Opera di Francoforte, esibendosi, in Ilviaggio del signor Brouček di Janáček, Die Zauberflöte, il Macbeth diErnst Bloch, Una tragedia fiorentina di Zemlinsky.

Andreas Schager e Carsten Süss

Rienzi, valoroso tribuno romano

Ad interpretare la donna amata dal giovane Adriano saranno isoprano manuela uhl (9, 12, 14, 18 maggio) e Carola Glaser(16 maggio).

manuela uhl, nata nel marzo 1971 in Ger-mania, ha studiato a Salisburgo, Zurigo eFreiburg e ha iniziato la carriera a Karlsru-he e Kiel, dove ebbe fin da subito l’occasio-ne di cantare in ruoli solistici. Le tappe sa-lienti degli ultimi anni sono state con Sentain SehnsuchtMeer, Ursula in Mathis, Els inDie Schatzgräber, Crisotemide in Elettra, ilruolo del titolo in Iphigénie en Aulide; e mol-ti altri ruoli. In concerto ha cantato le sinfo-nie n. 4 e n. 8 di Mahler, la Sinfonia n. 9 diBeethoven e La démoiselle elue di Debussy.Tra le apparizioni future ricordiamo l’Imperatrice nella nuova produ-zione di La donna senz’ombra al Teatro Colón di Bueno Aires, una nuo-va produzione de L’olandese volante a Hong-Kong e l’Ottava Sinfonia diMahler. Per il 2014 sono previsti, i debutti dei ruoli della maresciallane Il cavaliere della rosa, quello di Elsa in Lohengrin e di Sieglinde ne Lavalchiria e una nuova produzione di Der Traum ein Leben di Braunfels.

Carola Glaser, Nata a Basilea da una famiglia di musicisti, ha studiatoviolino, piano e poi canto nella città natale. Ha proseguito la suaformazione a New York presso il Mannes College con Peter Elkus,conseguendo la Laurea in Musica. Ha ricevuto numerose borse distudio e premi, tra i quali il Rubinstein Award e quindi i premiMigros, Kieferhablitzel e l’Hans Huber Study. Ha Continuato i suoistudi a Basilea, alla Musikhochschule con Kurt Widmer e all’OperaSchool, ottenendo il Diploma in Opera e Concerto. Già durante glistudi ha ricevuto ingaggi dai teatri dove ha interpretato svariati ruoli.Gli impegni del 2012 la portano ancora in giro per il mondointerpretando la Nona Sinfonia di Beethoven, la Quarta Sinfonia diMahler e il Rienzi. Nella Stagione 2012/13 canterà in Gianni Schicchi eSuor Angelica al Theater an der Wien, nel ruolo di Helmwige ne Lavalchiria a Darmstadt e a Basilea per la Nona Sinfonia di Beethoven.

Manuela Uhl e Carola Glaser

Irene, amata sorella di Rienzi

Ai mezzosoprano Angela denoke (9,12, 14, 18 maggio) e Chariklia ma-vropoulou (16 maggio) è affidato il

ruolo di Adriano. Angela denoke è nata nel 1961 a Stade(Germania). Dopo aver completato gli stu-di alla Hochschule für Musik und Theaterdi Amburgo è entrata nell’ensemble delTheater Ulm e poi alla Staatsoper di Stoc-carda. Durante la sua carriera si è esibitanei teatri e con le orchestre più prestigioseal mondo. Nel 1999 è stata votata cantante dell’anno da Opernwelte nel 2007 ha ricevuto il Deutsche Theaterpreis Der Faus per la suainterpretazione di Salomè. A febbraio del 2009 il Governo austriacol’ha insignita del titolo di Kammersängerin del Wiener Staatsoper.Gli impegni futuri la vedono con la Symphonieorchester des Baye-rischen Rundfunks e con la Philharmonia Orchestra.

Chariklia mavropoulou, nata a Berlino, ha studiato allíUniversityof Arts di Berlino con Ernst-Gerold Schramm. I primi impegni sonostati quelli con Vienna Volks e la State Opera, il Theatre Dessau, ela State Opera di Praga. Nel 1994 ha vinto la borsa di studio dellaRichard-Wagner-Society e il primo premio del Concorso nazionaletedesco fondato da Pl·cido Domingo, poi noto come The WorldOpera Competition. Da allora Ë stata spesso ospite di numerosi ri-nomati teatri díopera ed invitata a molti festival.

Acantare come Stefano Colonnasarà Roman Astakhov (9, 12, 14,16, 18). Nato a Mosca, ha studia-

to alla Russian Academy of Theatre Artcon il Professor Vladimir A. Matorinanded ha proseguito la formazione con Ga-lina Vishnevskaya al Galina Vishnev-skaya Opera Centre di Mosca. Durantegli studi ha cantato in ruoli da basso al-l’Helikon Opera Theatre e al NovayaOpera. Nel 2009 a Pesaro ha frequentatol’Accademia Nazionale di Canto RenataTebaldi Mario Del Monaco e masterclass del Professor Mario Melani. Hapreso parte a L’enfance du Christ allaMessa in si minore, ed è stato Amilcare ne La Gioconda di Ponchiel-li. A Praga ha debuttato con grande successo ne L’elisir d’amore. Dal2008 al 2011 ha cantato Barbiere di Siviglia, Il flauto magico, La Bohèmeed il Rienzi.

Roman Astakhov

Stefano Colonna, acerrimonemico degli Orsini

Angela Denoke e Chariklia Mavropoulou

Adriano, giovane uomo diviso fra amore e dovere

Manuela Uhl

Angela Denoke

Andreas Schager

Roman Astakhov

6 Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

Le prime pagine del-la gigantesca parti-tura furono abboz-

zate nel 1837 a Riga – cit-tà in cui Wagner ricopri-va la carica di Kapellme-siter nel teatro locale – leultime invece, a quanto sipuò ragionevolmentesupporre, nel carcere diParigi, dove nel 1840 l’al-lora giovane e squattrina-to compositore era statorinchiuso per debiti. Inanni difficili, segnati dallafame, dalla disperazionee dalle umiliazioni, ilgrande successo che ilpubblico decretò al Rien-zi, quel 20 ottobre del1842 all’Hoftheater diDresda, fu una vera boc-cata d’ossigeno per Wa-gner e certamente fece datrampolino per il futuro: icantanti, specie il prota-gonista, il tenore JosephAloys Tichatschek, e ilmezzosoprano Wilhelmi-ne Schröder Devrient(Adriano), furono ripetu-tamente chiamati alla ri-balta dopo ogni atto equesto nonostante le oltrecinque ore di rappresen-tazione, con lo stesso Wa-gner, seduto con la mo-glie in una barcaccia diproscenio, che non avevafatto che guardare l’oro-logio, patendo lui stessol’eccessiva lunghezza emonotonia di alcune se-zioni, tanto che, attenden-do con timore il verdettodel pubblico, aveva giàpredisposto nella sua te-sta i tagli necessari alle re-pliche. Tagli? Apriti cielo. Tichat-schek, che nel ruolo diRienzi aveva la possibilitàdi mettersi in luce nel suoregistro migliore, non nevoleva sapere di rinun-ciare alla gloria e nonavrebbe tollerato la can-cellazione di una sola no-ta dalla propria parte,complici del resto i suoiammiratori. Una versioneparzialmente sfoltita delRienzi fu accettata a sten-to dalla platea, solo quan-do l’eccessiva lunghezzadel dramma costrinse, il23 e 24 gennaio 1843, allarappresentazione in dueserate – atti I e II “Gran-

dezza di Rienzi” e atti III eIV “Caduta di Rienzi” -imponendo così il paga-mento di due distinti bi-glietti per una sola ope-ra. Il tutto era troppomacchinoso e la divisio-ne dell'opera assai pocogradita. Passò alloraquella versione parzial-mente ridotta che rimasein cartellone per ventidate consecutive.

oltre tre anni di lavorotra libretto e musica

Ma facciamo un passo in-dietro. La composizionedell’opera impegnò unarco di tempo piuttostolungo. Il libretto, che Wa-gner stesso trasse dal-l’omonimo romanzo diE.G. Bulwer Lytton, a suavolta ispirato ad una cro-naca italiana di un anoni-mo trecentesco, fu scrittodal luglio 1837 all’iniziodel 1840. La musica, inve-ce, cominciò ad impegna-re il compositore a Riganell’agosto del 1838 e futerminata a Parigi nel no-vembre del 1840. In fuga da Riga per i soli-ti e pesanti problemi eco-nomici, Wagner riparò aParigi, città nella qualecon la moglie, la cantanteMinna Planner, condusseuna vita ai limiti della di-sperazione, senza soldi,tormentato dai dispiacerie dai cattivi presagi, quo-tidianamente a caccia diespedienti per la soprav-vivenza, tutto a causa diconsigli poco avveduti.Nella primavera del 1840si era, difatti, stabilito inun costoso appartamentoin Rue du Helder, vicinoal Boulevard del Italiens,sicuro di una imminentecommissione da parte delThéàtre de la Renaissan-ce. Era stato raccomanda-to da Meyerbeer e spera-va di poter allestire Il di-vieto d'amare compostanel 1835 - sua terza operadopo l’incompiuta LeNozze (1832) e quindi LeFate (1834) -, ma il teatroin questione era alla ban-carotta e Wagner si ritro-vò alla disperazione. Anulla servì l'audizione

presso il sovrintendentead interim dell'Opéra,Eduard Monnais: solo pa-role di circostanza. D'al-tra parte per la verità Wa-gner non aveva intenzio-ne di accettare alternati-ve, come collaborazioni a

lavori minori di altri. Neisuoi progetti di perfettosconosciuto in terra stra-niera, c'era per lo menol'allestimento di un'operapropria, magari comeapertura di una serata diballetto. Ma la situazionepeggiorò ed in autunno ilcompositore fu rinchiusoin prigione per debiti.

la partitura del Rienziconclusa in carcere

Ecco che, durante la re-clusione, la partitura delRienzi - come detto sopra- venne completata: «Que-sto Rienzi, coi suoi grandipensieri nella testa e nel cuo-re, circondato da volgarità ebarbarie, mi faceva sì vibraretutti i nervi per calda e com-mossa simpatia; ma il miodisegno maturò in operad'arte solo mediante l'intui-zione del puro elemento liri-co nell'atmosfera del-l'eroe...L'argomento s'impo-se a me spontaneamente; maio, alla mia volta, non losvolsi, se non nelle forme

della grande opera, che al-lora sognavo». Tale è ilRienzi: Grande opera tra-gica in 5 atti, sul modellodei grandi affreschi fran-cesi, alla maniera di Me-yerbeer e Spontini, ornatada balletti, cori, cortei e

fanfare. Un immensodramma morale inqua-drato in un contesto epicodi dimensioni grandiose.Un grand opera, appunto.La partitura fu inviata al-l'Opera di Dresda subitodopo la scarcerazione,che fu, pare, dopo pochesettimane. Wagner continuava asbarcare il lunario scri-vendo articoli per la Ga-zette Musicale dell'editoreebreo tedesco MorirzSchlesinger diretta permolti anni da Berlioz e la-vorando ad adattamentidella Favorita di Donizet-ti. Ma l'esperienza parigi-na stava per concludersi.Dopo un obbligato "esi-lio" in un villaggio fuoriParigi - non c'erano piùsoldi per l'affitto in città -Wagner cominciò a lavo-rare all'Olandese volante.Ormai però il sogno deiteatri francesi era svanitoe quando, con l'appoggiodi Meyerbeer, l'Olandesefu accettato dall'Opera diBerlino, Wagner abban-

donò definitivamente lesue ambizioni parigine etornò in Germania, spo-standosi temporanea-mente a Teplitz, in Boe-mia, località termale dovesi concesse un lungo pe-riodo di riposo a contattocon la natura, riposo pro-pedeutico al Rienzi.

verso la “Prima”

Le prove a Dresda inizia-rono nel mese di agostodel 1842 e continuaronoper tutto settembre. Tagli,cuciture, adattamenti eun pizzico di rassegna-zione: il tenore era bravis-simo ma pigro, mai a po-sto con la memoria; lei,la Schroeder-Devrient,artista eccezionale, pienadi fuoco, ma un po' ap-pesantita dagli anni nelfisico e nella voce. Diret-tore, Reissiger, anche luialquanto pigro ed un’or-chestra di media portata,non certo equiparabilealla media artistica pari-gina. Ma l'entusiasmo siimpadronì presto del-l’intero palcoscenico, dicantanti, attori, figurantied i risultati, fin dal de-butto del 20 ottobre, fu-rono quelli, inattesi egrandiosi. Sulla scia deltrionfo, gli introiti au-mentarono e d'un trattoil compositore si ritrovòad essere la personalitàdel momento, anche sepienamente consapevoledel fatto che Dresda - do-ve nel 1843 andò in scenaanche la prima dell'Olan-dese volante, ceduta daBerlino - non avesse ilprestigio di Parigi. Ma il Rienzi aveva apertole porte. Opera ma noncertamente innovativaper linguaggio composi-tivo, anzi assai tradizio-nale e decisamente lon-tana dagli esempi delteatro maturo wagneria-no – che proprio da lìavrebbe cominciato pianpiano ad acquisire la suafisionomia drammatica emus cale - non entrò mainel repertorio e rimanetutt’oggi un’opera assaipoco eseguita.

barbara Catellani

Rienzi in preghiera (inizio del 5° atto)

La Storia dell’opera

Rienzi, prima tappa di Wagner verso il successo

7Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

Analisi Musicale

Un Wagner acerbo, tra i primi esperimenti e la maturazione drammaturgica

«Che Lei abbia fattola conoscenzadel mio Rienzi,

mi dispiace molto. Io nonamo questo mostro». Scrive-va così alla sua ammiratri-ce berlinese Alwine From-mann il 27 ottobre 1845 il32enne Richard Wagnerparlando della sua operadi apprendistato andata inscena per la prima volta aDresda il 20 ottobre di treanni prima.Rienzi, ispirata al romanzodi Bulwer-Lytton e incen-trata sulla figura storica diCola di Rienzo, tribunoromano della tarda etàmedioevale, è lavoro assaipoco “wagneriano”.Non ci si trova, ancora, ilmusicista ribelle, rivolu-zionario, arditamente pro-teso verso una nuova con-cezione drammaturgica,quella concezione cheavrebbe portato ai capola-vori assoluti, dal Tristano eIsotta al Parsifal, passandoattraverso I Maestri Canto-ri di Norimberga e L’anellodel Nibelungo.E’, al contrario, un Wa-gner tradizionalista cheusa un linguaggio edun’architettura ampia-mente collaudati per farbreccia nel gusto del pub-blico e degli impresari.Questo aspetto è fonda-mentale per poter valuta-re serenamente un’operacome Rienzi. Sarebbe unerrore ascoltarla cercando-vi il Wagner futuro. Va in-vece ascoltata nell’otticadegli anni Quaranta del-l’Ottocento, come il pro-dotto di un compositoreche aveva alle spalle treopere teatrali assai acerbe- una incompiuta Le Noz-ze (composta nel 1832) equindi Le Fate (1834, main scena nel 1888) ed Il di-vieto d’amare o La novizia diPalermo (1836) - ed un lun-go cammino di matura-zione davanti.

la forma delGrand’opéra

La scelta del grand-opéra- genere operistico che ha dominato la scena

francese fra gli anni Ven-ti e gli anni Ottanta del-l’Ottocento - come solu-zione formale è indicati-va: il compositore cerca-va allora una collocazio-ne nel teatro del suo tem-po e doveva in qualchemodo stare alle regole. Ilgrand-opera era il generein voga, lanciato da Me-yerbeer, ma anticipato daSpontini (Fernando Cor-tez), da Auber (La muta diPortici) ed anche da Ros-sini (Guillaume Tell).Il genere, francese, - maimmediatamente espor-tato a livello europeo - si-gnificava un lavoro alta-mente spettacolare incinque atti, con grandio-se scene d’insieme, riccovirtuosismo, balli a pro-fusione. E, sul pianodrammaturgico, argo-mento storico particolar-mente propenso a rac-contare intrighi, com-plotti, guerre, senza di-menticare l’immancabileelemento amoroso.Wagner che poi avrebbequasi del tutto accanto-nato l’elemento storico afavore del mito (unica

eccezione I Maestri Can-tori di Norimberga), si at-tiene scrupolosamentealle caratteristiche delgenere.

opera in cinque atti

L’Ouverture (Molto so-stenuto e maestoso) è in-trodotta da una nota lun-ga affidata alla tromba,attaccata piano, con uncrescendo e decrescendodi volume. Dopo unsommesso commentodegli archi cupi, ancorala tromba ripropone lasua nota altre due voltealternata ad interventidelle diverse sezioni finoa che dagli archi parte untema lirico che costitui-sce l’ossatura del brano.L’organico ampio, il re-spiro dilatato delle frasiassicurano all’Ouvertureun impatto espressivomolto forte e Wagnermostra, pur agli inizidella sua carriera, un so-lido mestiere nel tratta-mento dello strumentale.Il primo atto si articola inquattro sezioni: Introdu-zione, Terzetto (Rienzi,

Adriano, Irene), Duetto(Adriano, Irene) e Finale.Wagner alterna momentipiù lirici a lunghi recita-tivi che appaiono a trattialquanto artificiosi e po-co funzionali alla defini-zione dei caratteri deiprotagonisti. Interessan-te, comunque, nel finaledel primo atto, il coro acappella trattato dalcompositore con bellesoluzioni espressive. Un altro incisivo coro(quello dei Messaggeridi pace) lo si ritrova inapertura del secondo at-to, dopo una introduzio-ne orchestrale. Anchequi Wagner ottiene esitiestremamente interes-santi. I momenti migliorisono quelli in cui la ten-sione politica incide suuna timbrica scura ed or-chestra e voci acquisisco-no toni fortementedrammatici. Emerge an-che la figura di Rienzicui Wagner affida incisicantabili, anche se so-vente estremizzati versol’acuto. Dove invece dif-ficilmente si potrebbetrovare la mano di Wa-gner è nel grande episo-dio ballabile, tanto ecla-tante, quanto persinobandistico.Nel terzo atto, spicca lalunga “scena e aria” (no-tare la dicitura tradizio-nale) di Adriano (“Gere-chter Gott”). Si può tral’altro ricordare che in-terprete del ruolo fu Wil-helmine Schroder-De-vrient, un’artista cheWagner amava partico-larmente e che in seguitosarebbe stata la primaSenta in L’olandese volan-te e la prima Venerein Tannhäuser.Eccessivamente pompo-so il Finale con un dilata-to Inno di guerra.

il punto dei “quattro soldi”

Ma a proposito del Fina-le va riportato un passodalle memorie di Wa-gner: «Ad ogni prova icantanti salutavano con ac-

clamazioni certi passi pre-feriti ed un concertato delfinale terzo che purtroppopiù tardi dovette essere eli-minato da tutte le esecuzio-ni per l’eccessiva lunghez-za, divenne per me addirit-tura una fonte di guada-gno. Infatti, sosteneva Ti-chatschek (l’interprete diRienzi, n.d.r.), quel “siminore” era tanto bello cheper sentirlo bisognava pa-gare: ed ogni volta tiravafuori una monetina d’ar-gento, invitando gli altriattori a fare altrettanto.Tutti lo imitavano allegra-mente ed era diventataun’abitudine di dire adogni prova: “Adesso arri-va il punto dei quattrosoldi”. E la Schoder-De-vrient, costretta anche lei ametter mano alla borsa, di-chiarava che queste provel’avrebbero ridotta in mise-ria. Ogni volta incassavocoscienziosamente questisingolari diritti d’autore enessuno supponeva chespesso questo scherzosoonorario arrivava come unaprovvidenza per me e miamoglie a risolverci il proble-ma del pranzo quotidiano».La pagina più bella del-l’opera, oltre alla citataOuverture che offrespunti di notevole inte-resse è l’apertura delquinto atto con l’accora-ta preghiera di Rienzi(“Allmächt’ger Vater”)cui segue un duetto(Rienzi, Irene) di splen-dido effetto. Rienzi insomma può es-sere interpretata comeun esempio omogeneo,coerente di grand-opéra,come la prova di uncompositore giovaneche, in attesa di tempimigliori per poter im-porre la propria visionedel mondo, si collaudòin un settore lontanissi-mo dalla sua sensibilità enonostante questo, gra-zie a un mestiere già so-lido, seppe offrire unprodotto globalmentegodibile ben accolto dalpubblico del tempo.

Roberto iovino

Richard Wagner

L’avventura di Coladi Rienzo (1313-1354) è appassio-

nante. Anche se oggi – senon per la trafficata viadel quartiere Prati di Ro-ma - non lo conosce qua-si più nessuno, il perso-naggio fu famoso nel Tre-cento e compì azioni tal-

mente eccezionali da de-stare lo stupore dei con-temporanei. Cosa fece ditanto clamoroso? La ri-sposta è semplice e gran-de: di umilissime origini(era figlio di una lavan-daia e di un taverniere),conquistò il potere a Ro-ma e ambì alla coronaimperale. Sono gli anni in cui Romaè senza il papa, che viveda alcuni decenni ad Avi-gnone. Spelonca di ladro-ni, immiserita dall’assen-za della curia e preda del-le lotte di fazione, l’Urbeattende il suo salvatore. Oalmeno, di questo è certoCola di Rienzo, che tale siconsidera. La sua fortunaha inizio quando trenten-

ne – è il 1343 – viene in-viato presso il papa a par-lare insieme con altri am-basciatori. Il papa Cle-mente VI viene conqui-stato dal fascino di questogiovane alto e dai capellirossi, oratore intelligenteche ama le antiche glorie,e lo nomina notaio. Tor-

nato a Roma, Cola inizia apreparare il terreno per lasua ascesa al potere,usando tra l’altro tecnichedi comunicazione che celo rendono molto vicino:oltre a parlare in pubbli-co, usa dei manifesti pit-torici in cui illustra visiva-mente la situazione disa-strosa della città.

l’ascesa del“tribuno augusto”

Il 20 maggio 1347, giornodi Pentecoste, ecco com-piersi il colpo di stato.Cola approfitta dell’as-senza dell’esercito comu-nale e s’installa in Cam-pidoglio senza colpo feri-re. Con il pieno sostegno

del Papa e del popolo, dàsubito inizio a una vigo-rosa azione politica con-tro la grande nobiltà ed afavore del popolo e delceto medio. I suoi atti so-no efficaci: la giustiziaviene amministrata condurezza, Roma riconqui-sta il contado e alcuniprepotenti baroni si sot-tomettono. Ma il perso-naggio è inquieto; il suoprogetto politico perdenitidezza e prende a so-migliare sempre più adun sogno evanescente.Ridare l’Impero a Roma,ritornare ai fasti degli an-tichi: è una follia, un mi-raggio. Le città italiane,che avevano guardatocon favore la sua ascesa,diventano timorose e nonlo sostengono più; il Papasi rende conto che quel-l’individuo stravagantenon agisce per il benedella Chiesa e che non èpossibile controllarlo.Cola assume il titolo ma-gniloquente di “Tribunoaugusto” e compie gestiarroganti, grotteschi esempre più bizzarri. Or-ganizza cerimonie trion-fali, si fa incoronare consei corone, vuole farsieleggere imperatore, siimmerge nel battistero la-teranense per diventare“Cavaliere dello SpiritoSanto”, mette in prigionei baroni romani ma poi ligrazia quasi sotto le for-che, suscitando in tal mo-do il loro odio eterno. Epoi, dopo avere sconfittoi nemici a porta Tiburti-na, crea cavaliere un pro-prio figlio bagnandolocon il sangue di un ragaz-zo morto in battaglia, ungiovane di casa Colonna.La gente ha paura di lui,il favore popolare lo ab-bandona. E allora, senzauna ragione reale che nonsia il terrore che ha den-tro, dopo soli sette mesidi governo, Cola, lunati-co e ombroso, lascia il po-tere e fugge di nascosto.Gli anni che seguono so-no difficili da ricostruire.Cola vive una dimensio-ne esistenziale complica-ta. Si rifugia in solitudinesui monti della Maiella.Conosce i frati di povera

vita, che rappresentano lefrange più estreme ederetiche del francescane-simo, i quali sono certidell’imminenza della finedei tempi, lottano controla Chiesa carnale edaspettano che arrivi unpapa Francesco a salvareil mondo. Cola legge li-bri arcani e si convincedi essere lui stesso unprofeta. Allora parte allavolta della Boemia, perincontrare nientedimenoche Carlo IV, l’imperato-re designato del sacroRomano Impero. Prova

a convincerlo ad andarea Roma ed a mandarloin avanscoperta comesuo messaggero. Gliscrive alcune magnifichelettere, lo incontra dipersona, cerca persinodi convincerlo che lui èun figlio bastardo del-l’imperatore Enrico VII,cioè suo zio. Alla fine,l’unico risultato che ot-tiene è di essere speditosulle rive del gelido fiu-me Elba, dove rimaneper più anni, fino aquando Carlo di Boemianon lo cede al papa, og-

8 Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

La vera storia di Cola di Rienzo

Il notaio di umili origini che voleva fa

Il Campidoglio e la chiesa dell’Ara Coæli in epoca più tarda (fine XVII sec.), con i

La cosiddetta “Casa di Cola di Rienzo” a Roma in una stampa del ‘700

9Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

La costruzione del mito

Le proprie lettere autobiografiche e l’amicizia con Petrarca ne hanno creato la fama

Il corpo di Cola scomparve e le sueceneri finirono nel Tevere. Rimase,però, la sua storia. La amarono so-

prattutto gli spiriti inquieti del ro-manticismo che in lui – ritenuto un li-bertario e un rivoluzionario – vede-vano un’anticipazione di se stessi. Inquesto senso, il Rienzi di Wagner co-stituisce un esempio luminoso. Il fat-to è che “L’Ultimo dei tribuni” (comefu chiamato da Byron) è sempre statosentito come un personaggio al di so-pra delle righe, esagerato. Questo èaccaduto anche perché la memoria diCola di Rienzo è già in origine conno-tata in modo letterario. Dietro ognieroe vi è un poeta che lo canta: senzail poeta, manca anche l’eroe, e senzagli agiografi non ci son santi. Dietro alnostro Cola di Rienzo vi sono ben treautori suoi contemporanei, tutti e tredi altissima statura. Il primo è l’Anonimo romano autoredi una Cronica del secolo XIV. Nonsappiamo chi fosse, ma le scene dellesue narrazioni sono vivide, compostecon ritmo pressante e sature di tali etanti particolari, da far ritenere conbuona plausibilità che questo scritto-re sia stato testimone diretto di alme-no una parte degli accadimenti dellavita di Cola di Rienzo. Per esempiodella scena della morte, che è una del-le più alte di tutta la letteratura italia-na. Il secondo mitografo di Cola diRienzo fu nientedimeno che France-sco Petrarca, che nei primi tempi glifu amico, condivise i suoi ideali e gliscrisse diverse lettere, tra le quali lacelebre “Hortatoria” (Esortatoria). Sen-za questo grande amico, il personag-

gio non avrebbe raggiunto la famaleggendaria che ebbe e che gli permi-se di ritagliarsi un posto d’onore nelmito di Roma eterna. Ma il terzo autore del mito di Cola diRienzo fu lui stesso. Cola creò il pro-prio personaggio. Lo fece con gli ap-parati simbolici, con le azioni, i gestigravi, i bei discorsi. E lo fece con lascrittura. Autore raffinato, Cola com-pose numerose lettere con forte con-tenuto autobiografico, dai toni spessoprofetici e allucinati. Le sue epistole,che contribuirono alla diffusione del-l’umanesimo nei paesi germanici, fu-rono conservate e sono giunte fino anoi proprio per la loro straordinariaeleganza stilistica. Cola di Rienzo fudunque un uomo capace di fare ac-corta propaganda di se stesso. Uomodi lettere, parlò di sé essendo al con-tempo l’autore ed il personaggioprincipale della propria opera. Anchese poi finì molto, ma molto male.Insomma, questo incredibile perso-naggio fu un politico, un governante,un rivoluzionario, un restauratore,un eretico, un profondo spirito reli-gioso, un tiranno, un attore, un auto-re, un fanfarone, un folle, un sognato-re, un umanista, un uomo del Me-dioevo ma anche del Rinascimento, emille altre cose ancora. Il ricordo dilui ci raggiunge come le rifrangenzecolorate di un prisma: ogni fonte chelo racconta conferisce un colore di-verso alla sua voce e una diversa for-ma al viso, cosicché il risultato è unpersonaggio spezzato e dalle prospet-tive cangianti, difficile da decifrarecome un ritratto di Picasso. E anchein questo risiede il profondo fascinoche emana.

t. di C. F.

getto di scambio nel ne-goziato per la corona im-periale. Cola viene por-tato ad Avignone, doverischia il rogo come ere-tico. Lo salva soltanto lamorte del papa. Siamonel dicembre 1352. Infat-ti, il nuovo pontefice In-nocenzo IV (anche luicome il predecessore ori-ginario del Limosino, nelcuore della Francia) loapprezza e decide di ser-virsi di lui, rispedendoloa Roma.

Per la seconda volta al potere

Nell’estate del 1354, Colaè al seguito del cardinaleAlbornoz che sta ricon-quistando mezza Italiaper la Chiesa. Prende ilpotere a Roma come se-natore, ma subito si met-te a fare cose pericolose einsensate. Attacca i Co-lonna a Palestrina, fa uc-cidere i suoi vecchi allea-ti, prende prigionieri ric-chi cittadini per richiede-re il riscatto. È un enor-me tiranno, gonfio di vi-no e di umori oscuri, cheguarda la gente con occhirossi e feroci e scoppia a

ridere all’improvvisosenza ragione. Ai suoinemici non è difficile farsollevare una parte dellapopolazione, che la mat-tina del 7 ottobre prended’assalto il Campidoglio.Cola sale sul balcone: sache se riuscirà a parlare,convincerà la gente e cal-merà gli animi, poiché lesue parole hanno infusauna magia di persuasio-ne. Ma il popolaccio nonascolta e gli lancia freccee pietre. Il palazzo capi-tolino è messo a ferro efuoco. Cola tenta la fugatravestito da pastore cio-ciaro, ma viene ricono-sciuto e linciato. Il suocorpo straziato e senzatesta viene trascinato perle strade ed infine appe-so a San Marcello, chiesaposta ora alla fine di viadel Corso, dove resteràtre giorni prima di finirearso. Il rogo cancellòogni cosa. Di Cola, comescrisse l’Anonimo autoreche ne raccontò la morte,«…non ne remase cica».

tommaso di CarpegnaFalconieri

Docente di Storia medievale, Membro del Gruppo dei Romanisti

Cola di Rienzo

arsi Imperatore

l gioco dell’albero della cuccagna

Il monumento a Cola di Rienzo sul Campidoglio

10 Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

E’, quella di Cola di Rien-zo, una personalità cheporta a valutazioni ma-

nichee senza equilibrio, sempreoltranziste: o appassionati soste-nitori o incalliti detrattori. Qual-cuno lo incensa ricordando cheha sacrificato tutta la vita a Romae all’Italia, che ha difeso un’ideadi equa giustizia e di “buono Sta-to”, che è andato ramingo, eremi-ta e prigioniero fino in Boemia ead Avignone per poi essere ucci-so dal popolo che egli tanto ama-va. Altri, viceversa, sottolineanoche Cola, nella seconda parte del-la sua vita, al suo ritorno romano,sotto le vesti paludate di Senato-re al servizio del Papa, tradì gliideali laici di un tempo e si avviòverso la più crapulosa e strava-gante tirannia. Di contro, ritrattimaledetti e dissacratori: Cola inpreda a crisi epilettiche, insonnia,cupe tristezze, esplosioni d’ira,discorsi infuocati e urlati, infarci-ti da sogni di grandezza. Dicecon tanta efficacia l’Anonimodella Cronica: «Hora lacrimava,hora sgavazzava», mentre France-sco Petrarca, lirico e sognatore,propugnatore con Cola di Rienzodi fantasiosi e innovatori disegnipolitici, in chiusa alla canzoneSpirto gentil così sembra alluderea lui: «Sopra il Monte Tarpeo, can-zon, vedrai / Un cavalier ch’Italiatutta onora, / pensoso più d’altrui chedi se stesso...». Giornalisticamenteincisivi Montanelli e Gervaso nel-la Storia d’Italia: «Era un miscugliodi Mussolini e di La Pira: un tipicoarruffapopolo italiano che parlando siubriaca delle proprie parole e finisceper crederci smarrendovi il senso del-la realtà e della misura».Tutto questo materiale è comun-que servito di base per la costru-zione di un mito, il quale però ri-sulta improprio e limitato. Addi-rittura Righetto, il ragazzino del-la Repubblica Romana, probabil-mente mai esistito, ha lasciato an-cor oggi una piccola impronta diminuta mitologia.

Celebrato dopo il 1870

Con queste premesse cos’è il mi-to di Cola di Rienzo? Nel 1871 glivenne dedicato un busto al Pin-cio, opera dello scultore Gerola-mo Masini (nato a Firenze nel1840), che si aggiunse ai 62 busti(letterati, artisti e uomini illustridella Roma antica) già esistentidal 1865, al tempo di Pio IX.

Nel 1872 si vuole nuovamenterendere onore a Cola di Rienzocon una lapide in via di S. Barto-lomeo de’ Vaccinari, la strada chetuttora unisce la lunga piazzadelle cinque Scole a via Arenula,all’altezza del Ministero di Gra-zia e Giustizia. La lapide è tutto-ra esistente, anche se è un pezzodi marmo tutto “zozzo” dove silegge con fatica il testo: «Qui pres-

so/ nacque l’ultimo dei Tribuni / Co-la Di Rienzo/ S.P.Q.R. /1872». Dopo busti e lapidi, ecco i monu-menti, allora tanto di moda. Coladi Rienzo è ricordato con una sta-tuetta anche piuttosto bruttarella,imitazione striminzita di Dona-tello. L’unico pregio, forse, è cheé a fianco della cordonata delCampidoglio, dove Cola fu ucci-so, evitando di dare troppo fasti-dio al meraviglioso insieme.L’opera commemorativa vennecommissionata dal Comune alloscultore Gerolamo Masini, lostesso autore del busto al Pincio.La statua fu pronta nel 1882 el’architetto Francesco Azzurri necurò la base costruita con resti diantiche epigrafi, amore maniaca-le di Cola. A questo punto arriva-rono i guai: nel 1883 Masini morìed il monumentino, che ancoradoveva essere pagato, vennemesso in qualche ripostiglio del-l’Amministrazione con soddisfa-zione della Giunta di parte cleri-cale. Braccio di ferro, per alcunianni, fra il Governo nazionaleche premeva per una permanen-te collocazione della statua e laGiunta che viceversa la continuaa volerla nei magazzini. La pole-mica durò cinque anni, fino al

1887, quando il Sindaco, il ducaLeopoldo Torlonia, dovette cede-re, pagando il compenso alla ve-dova Masini e, costretto, decidedi scoprire la statua il 20 settem-bre di quell’anno. Fu, però,un’inaugurazione quasi clande-stina. Il giorno dopo, Il Messagge-ro era inviperito: sulla prima pa-gina del giornale - laico e demo-cratico – un articolo di fuoco sul

silenzio riguardante la cerimo-nia. La figura di Cola di Rienzo èstata invece appassionatamentesostenuta dalla Massoneria, chene fece una delle sue bandiere emolte logge sono intitolate al tri-buno.

via Cola di Rienzo

Roma a fine Ottocento si espan-de, vengono trasformati interiquartieri, ne nascono nuovi. Al dilà del Tevere c’è un’immensa di-stesa di verde sulla quale imperaCastel Sant’Angelo. Le primeistantanee del conte GiuseppePrimoli, ne davano una visioneagreste con pecore e capre. E’proprio in questa zona, sullasponda destra del Tevere, si deci-de di edificare con un approssi-mativo piano di ampliamentodella città. Siamo nel 1873, tre an-ni dopo la Breccia di Porta Pia.Nell’aprile-maggio 1885: è ilgrande momento di dare nomi avie e piazze. Nel quartiere c’è ditutto: imperatori e poeti, accantoa musicisti, oratori, giuristi, sen-za un logico criterio di colloca-zione. Cola di Rienzo è trattatobenissimo: gli s’intitola l’arteriaprincipale, che termina in Piazza

Risorgimento. Manlio Barberito,precisa: «...a Cola è stata intitolatala grande strada a dimostrazione del-l’idea fissa che la storiografia risorgi-mentale aveva sull’operato di Cola,considerato, soprattutto in forza del-le sue idee antipapali, un araldo di li-bertà e un profeta del Risorgimen-to». Considerazione di sapore ri-sorgimental-unitaria-antipapaleè data anche dal fatto che nelladirezione delle principali stradedel quartiere sia stata del tuttotrascurata la visuale della cupoladi San Pietro.

la ricerca di antiche stirpi

A Cola di Rienzo andava un po’stretto il fatto di essere nato inuna taverna figlio di un oste, Lo-renzo, e di una lavandaia, Mad-dalena. La fierezza di essere unplebeo la sbandierava solo quan-do gli faceva comodo. In altre oc-casioni, fece girare la voce cheproprio un anno prima della suanascita l’imperatore Arrigo VIIdel Lussemburgo, giunto a Romaper farsi incoronare, preso inmezzo alle furiose lotte tra guelfie ghibellini, dovette travestirsi daviandante e rifugiarsi nella taver-na di Lorenzo, ove rimase alcunigiorni mentre l’oste era assente,conoscendo la graziosa locandie-ra Maddalena e da quell’incontrosarebbe nato Nicola figlio di Lo-renzo. Da questa leggenda (ve-ra?) si valse a un certo punto iltribuno per farsi credere figliodell’Imperatore. La sua alta sta-tura, il colore bianco latteo dellacarnagione, i capelli rossicci (tut-ti “segni” poco romani) rafforza-vano un’origine nord-europeadando corpo al mito.

il pino dei Colonna

Si può piantare un albero per lanascita di un figlio, la data più fe-lice da ricordare. Ma si può an-che piantarne uno perché è mor-to il tuo maggior nemico. E que-sto, si dice, fecero i Colonna nelloro giardino. Bisogna dire che lanatura non guarda in faccia nes-suno, se è vero che la pianta creb-be benissimo e prosperò per bencinque secoli, fino a che nel 1846un fulmine pareggiò i conti ab-battendola per sempre.

luigi CeccarelliScrittore e membro del Gruppo dei Romanisti

Curiosità storiche

Il mito popolare di Cola di Rienzotra sostenitori e detrattori

Particolare del monumento a Cola di Rienzo sul Campidoglio

Alla base dei sei viaggicompiuti da Wagner inItalia vi è certo l’esigen-

za di seguire il mito borghesedel Grand Tour, visitando unPaese che già alla fine del Seco-lo precedente rappresentavauna meta obbligata per la for-mazione di chiunque coltivasseambizioni di carattere estetico.Eppure non sempre la vista del-le grandi opere d’arte del passa-to sembra colpirlo nel profondo.Dove risiedono dunque le ra-gioni di tali frequenti pellegri-naggi? Certamente Wagner èconvinto dell’effetto beneficodel clima italiano sulla sua salu-te, e questa motivazione saràprevalente negli ultimi anni del-la sua vita. Ma forse c’è un altrolivello di lettura, che vede Wa-gner costantemente in fuga dal-le difficoltà, dalle proprie idio-sincrasie, un uomo che di tantoin tanto sente l’esigenza di riti-rarsi completamente in un luo-go lontano, sfuggendo il piùpossibile i contatti con la quoti-dianità. Nell’immaginario wa-gneriano l’Italia si collega ad in-tuizioni magiche ed improvvi-se, come quella che gli detta ilpreludio de L’Oro del Reno du-rante il soggiorno a La Speziadel 1853, o quella che gli fa ma-turare l’idea dei Maestri cantoridi fronte all’Assunta di Tiziano.

Per la prima volta nel 1852

Il compositore tedesco giunseper la prima volta nella penisolanel 1852, data significativa per-ché coincide con la conclusionedella stesura poetica dell’Anellodel Nibelungo. Vi tornerà l’annosuccessivo visitando, oltre la giàcitata La Spezia, Torino e Geno-va. Particolarmente burrascosoe denso di eventi fu il viaggiodel 1876, durante il quale ilmaestro soggiornò anche a Ro-ma. A metà settembre il compo-sitore lasciò la Germania conl’intenzione di ritemprare il fisi-co, fiaccato dalle preoccupazio-ni e dagli sforzi eccessivi. Dopoaver visitato Verona, Venezia,Bologna, Napoli, Sorrento (dovesi consumò la definitiva rotturacon Nietzsche), Roma e Firenze,fu costretto al rientro a Bay-reuth, sulle cui utopie incombe-va lo spettro della bancarotta.In età avanzata le difficili condi-zioni di salute porteranno spes-so Wagner in Italia. Per sfuggire

ai tormenti dell’inverno germa-nico, il 31 dicembre del 1879 ilmaestro partì per Napoli, perpoi recarsi a Posillipo (dove sifermò sette mesi) e Ravello (il cui parco esotico gli ispirò il

giardino incantato di Klingsor),per spostarsi poi nella campa-gna toscana, dove soggiornònella sontuosa villa Torre Fio-rentina a Siena, ed infine a Ve-nezia.

Nel 1881 è ancora l’Italia ad of-frire rifugio al compositore,fiaccato dall’impegno profusonell’orchestrazione del secondoatto del Parsifal. Si fermò a Pa-lermo e ad Acireale, dove vennecolpito da un attacco di anginapectoris. Visitò Catania, Giarre,Taormina e Messina, per poi ri-prendere la via di casa. Nel frat-tempo la partitura del Parsifalera conclusa. Le sue rappresen-tazioni a Bayreuth riscosserogrande successo, ma Wagner,quasi presago della fine, sentì dinuovo il richiamo dell’Italia.Nel settembre del 1882 arrivò aVenezia, dove il 13 febbraio del1883 morì fra le braccia dellamoglie Cosima. Non poteva dar-si scenografia più adatta allascomparsa di un tale musicista.La “lugubre gondola” trasportò ilferetro da Palazzo Vendraminalla stazione. Verdi, il rivale disempre, scrisse a Ricordi della«potente impronta» che Wagneravrebbe lasciato nella storia del-l’arte; poi ci ripensò: l’aggettivogli parve inadeguato, cancellò«potente» e scrisse «potentissima».

Riccardo Cenci

11il GGiornale dei GGrandi eeventi

Rienzi, l’ultimo dei tribuni

Wagner e l’Italia

Sei viaggi, quasi un pellegrinaggio laico

Nel settembre del 1876 lafamiglia Wagner partì per

l’Italia. In novembre ilcompositore si fermò a Roma, dasoli sei anni capitale del Regnod’Italia, trovando alloggio nelmodesto Albergo America, al n.79 di via del Babuino a Roma.Grazie alla segnalazione di Lisztconobbe Giovanni Sgambati,compositore del quale tesse lelodi in una lettera indirizzata aldott. Strecker, direttore dellacasa editrice Schott Söhne diMagonza: «adesso trovo la gioiavivissima di segnalare finalmenteun talento davvero grande eoriginale, che io vorrei far conoscereal gran mondo musicale». Il consiglio del maestrovenne subito raccolto. I due quintetti, che Wagnerebbe modo di ascoltare in occasione di unricevimento offerto dall’ambasciatore di Germania aPalazzo Caffarelli, vennero pubblicati dalla casaeditrice tedesca. Altra personalità conosciuta inoccasione del soggiorno romano è quella di PietroCossa, drammaturgo autore di vari lavori diargomento storico (il più noto è il Nerone), oggispariti dal repertorio. Wagner, colpito dallepersonalità del Cossa e dello Sgambati, suggerì unaloro collaborazione attorno ad un soggetto

medievale, progetto interrottodalla morte prematura delloscrittore. In previsionedell’imminente partenza delmaestro l’Associazione ArtisticaInternazionale decise di offrireun ricevimento in suo onore. Il Presidente e scultore EttoreFerrari si mise al lavoro su unbusto del compositore, riuscendoa far posare il suo illustre modelloper alcuni minuti. Riferisce MarioPanizzardi, critico musicale edardente ammiratore di Wagner,che questi, accortosi dellapresenza di un suo ritratto pernulla somigliante, abbiaesclamato in francese: «Que ce que

c’est ça… Mendelssohn Bartholdy?» mostrandoesplicitamente tutta la propria antipatia neiconfronti del collega musicista, prorompendo infinein una sonora risata. Sembra invece che il bustorisultò gradito all’artista. La cronaca della seratavede Sgambati eseguire al pianoforte la Marcia delTannhäuser ed il Coro delle filatrici dall’Olandesevolante nelle trascrizioni di Liszt. Per l’occasioneWagner venne nominato socio onorario del Circolo.Il 3 dicembre la famiglia Wagner partì per Firenze,mentre il 7 dello stesso mese fece ritorno a Bayreuth.

Ri. Ce.

Wagner a Roma

Curiosità riguardo al soggiorno del 1876

Richard Wagner nel busto eseguito da Ettore Ferrari dal vero a Roma nel 1876

Richard Wagner a Venezia

12 Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

Il Rienzi di Richard Wagner,messo in scena per la primavolta il 20 ottobre del 1842 a

Dresda, è un’opera con unalunga storia ‘italiana’ alle spal-le. Si nutre del mito dell’Italianella letteratura tedesca e con-tribuisce alla sua diffusione nelcorso dei decenni successivi.Wagner lesse il romanzo di Ed-ward George Bulwer-LyttonRienzi, l’ultimo dei tribuni in tra-duzione tedesca nell’estate del1837. Rimastone affascinato,trasformò il tribuno del popolo«nell’eroe di una grande operatragica». Abbozzò già nell’au-tunno del 1838 la prima stesuradell’opera. Nel 1840 composela parte musicale, il 20 ottobre1842 ci fu la prima messa inscena a Dresda. A differenza dell’Italia, dovenon si registrò alcun particola-re interesse creativo per il tri-buno romano dopo l’uscita delromanzo di Bulwer-Lytton, cifurono in quegli anni altri treautori tedeschi che si cimenta-rono con Cola di Rienzo, scri-vendone per il teatro: JuliusMosen (1837) Friedrich Engels(1840), e Carl Gaillard (1846). Non c’erano soggetti tedeschiche si prestavano alla bisogna?C’erano senz’altro, ma appari-vano meno promettenti diquelli italiani. Di rivoluzionariitaliani il teatro tedesco ne ave-va già conosciuti altri. Il piùnoto era stato Masaniello, la cuirivoluzione antispagnola a Na-poli nel 1647, aveva affascinatonon soltanto i puritani inglesi,ma anche Spinoza, che si era

fatto l’autoritratto nelle ve-sti del ribelle napoletano.In Germania i drammi suMasaniello si contano a de-cine. Vanno ricordati quianche un dramma di Niko-laus Lanau su Savonarola(1837) e quello di GeorgBüchner La morte di Danton(1835), per completare ildiscorso su questa inces-sante riflessione dei tede-schi sul sogno della libertàattraverso la rivoluzione.I numerosi Rienzi (e Masa-nielli) tedeschi, pubblicatitra il Congresso di Viennae il Quarantotto, mettonoin scena il sogno della li-bertà, ponendo una seriedi questioni di grande at-tualità all’attenzione delpubblico: a) come si coin-volge il popolo nella rivol-ta contro il tiranno; b) co-me si ottiene la vittoriadella rivoluzione; c) comesi evita che la rivoluzionediventi repressione; d) co-me si costruisce uno statopiù giusto dopo la rivoluzione.

il Rienzi di mosen

Il primo Rienzi della letteraturatedesca è quello di Julius Mosen(1803-1867), un poeta già affer-mato, residente a Dresda, chepubblicò la sua tragedia su ColaRienzi, l’ultimo tribuno del popoloromano nella rivista Jahrbücherfür Drama, Dramaturgie undTheater, nel 1837. La tesi di Mo-sen, svolta con sicuro talentodrammatico, era che il progetto

politico di Cola, in-centrato su libertà egiustizia, fosse fallitoa causa della determi-nazione degli aristo-cratici e dell’ignoran-za del popolo. Il suoCola di Rienzo è per-sonaggio che subisceuna trasformazionealla luce degli avveni-menti politici nei qua-li viene coinvolto esconfitto dopo il rag-giungimento del po-tere.

Friedrich engels

Il dramma di Mosenfu letto certamente daun giovane poeta dalbrillante avvenire dinome Friedrich En-

gels (1820-1895), il quale scrissealla fine del 1840 una serie discene del dramma Cola di Rienzi,che aveva promesso al composi-tore Gustav Heuser. Il fram-mento drammatico di FriedrichEngels su Cola di Rienzo è sco-perta recente, datata 1974. Essoè composto di otto scene in ver-si divise in tre atti, ovvero trescene nei primi due atti e duenel terzo. La mancanza di unaterza scena nell’ultimo atto el’assenza di una scena nellaquale muore Rienzi, suggerisco-no l’ipotesi che la concezioneoriginaria del dramma preve-desse ancora una scena. Il ritro-vamento di questo manoscrit-to, tra l’altro tra le carte diamici letterati, ha riconferma-to la vivacità culturale e la po-liedricità del giovane Engels,prima del suo passaggio defi-nitivo allo studio della storiasociale e della teoria politica.Da un confronto generale traquesto frammento e l’ampiatematica medievale come po-polarizzata dal romanzo diBulwer-Lytton, mancherebbe-ro quindi al Rienzi di Engelstanto le scene della lotta tra iColonna e gli Orsini, quanto lescene nelle quali, direttamenteo indirettamente, è presente ilpotere della Chiesa e del Papa.Per quali motivi questo testonon sia andato oltre l’abbozzo

– se per incapacità di svi-luppo del progetto o perabbandono dovuto ad altriinteressi – in assenza di al-tri riscontri, è riflessionedestinata a rimanere nellecongetture. Personalmentepropendo per l’ipotesi cheEngels sapesse come con-cludere il dramma, ma chenon lo abbia fatto in quelmomento certo che allaprima occasione propiziaavrebbe facilmente ripresoe subito concluso quel la-voro.

Karl Gaillard:teologia politica

di stampo protestante

La tragedia in cinque attidi Karl Gaillard, pubblica-ta a Lipsia nel 1846, è inve-ce opera di grande respiro,con lo svolgimento dei sin-goli atti secondo la tradi-zione classica, le peripezieal punto giusto, i colpi discena di grande efficacia,

con non poche soluzionidrammaturgiche ben riuscite equalche contraddizione logicache viene, alla fine, in partenascosta dalla dispersionementale e morale del perso-naggio principale. Mentre ilRienzi di Mosen sognava eparlava continuamente di giu-stizia, quello di Gaillard invo-ca e promette continuamentela libertà, sicuramente il con-cetto più frequente nella trage-dia, seguito dalla fede e, solodopo di questa, da giustizia elegge. Nella sua costruzionedel discorso drammatico,Gaillard ricorre a un metafori-smo biblico, tratto per lo piùdall’Antico Testamento, con po-che, ma significative conces-sioni al Nuovo Testamento,dal quale cita in particolarel’Apocalisse di Giovanni con ipassi che annunciano guerra evendetta. Il suo discorso poli-tico s’ammanta perciò il piùspesso di teologia.

il Rienzi di wagner

Nell’autobiografia Wagner ri-corda la prima del suo Rienzi aDresda e le incomprensionicon Mosen. Nell’estate del1842 Wagner andò a Dresda,per la messa in scena del suodramma. Arrivato in città, sirecò a far visita a Julius Mo-

La figura di Cola di Rie

Il Rienzi: sogno rivoluzionario nella

Julius Mosen (1803 - 1867)

Friedrich Engels (1820 - 1895)

13Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

sen, la cui casa era punto d’in-contro d’artisti e poeti. Wa-gner scrive nell’autobiografia,di aver cercato Mosen, «perchédi lui apprezzava molto il talentopoetico». Nel 1842 Wagner era un gio-vane musicista di belle spe-ranze, ancora alla ricerca di unsuccesso che gli aprisse le por-te nella vita artistica in Germa-nia. Era inoltre più giovane diJulius Mosen che, talento poe-tico precoce, aveva ormai rag-giunto, a 39 anni, una solidaposizione nel mondo delle let-tere tedesche. Ignorando ildramma che Mosen avevascritto su Cola di Rienzo, Wa-gner sorprese Mosen, che nul-la sapeva della prima del Rien-zi. Mosen allora gli mostrò ilvolume con i suoi drammi,uscito quello stesso anno pres-so l’editore Cotta, nel qualeera stato ristampato il suo Co-la Rienzi.Wagner dichiara nell’autobio-grafia di non aver letto la tra-gedia di Mosen prima del1842. Il tema, così come lo ave-va elaborato Mosen, sembrò aWagner, «a prima vista in partenuovo e trattato in maniera toc-cante». Secondo quanto riferi-sce Wagner, Mosen aspettò laprima del Renzi alquanto con-trariato, perché, gli confessòcon amarezza, non era ancorariuscito a far mettere in scenala propria tragedia sullo stessotema. Wagner, che ebbe a Dre-sda il suo primo vero succes-so, incontrò il giorno dopo laprima, in casa di sua sorellaLuise, lo stesso Julius Mosen,il quale, irritato dalla fortuna

incontrata dal Rienziwagneriano, ebbeverso di lui parole discherno. A prescindere dal di-verbio con Mosen,raccontato peraltroda Wagner con relati-vo distacco, è interes-sante la motivazioneche egli adduce, perspiegare la disponibi-lità del teatro di Dre-sda, a mettere in sce-na la sua opera inmusica su Cola diRienzo, ignorandoinvece la tragedia delfamoso poeta, resi-dente in città. Wa-gner riporta le consi-derazioni di Mosenin proposito, il qualegli aveva detto, chealla sua tragedia ave-va nuociuto probabil-mente «la dimensione un po’troppo politica del testo». Que-sta, invece, in un testo accom-pagnato dalla musica, passe-rebbe inosservata, perché glispettatori «non fanno troppa at-tenzione alle parole».A sostegno dell’indubbio ta-lento letterario di Wagner sirinvia alla scena finale delRienzi. Nella scelta delle pietreper la lapidazione e del fuocoper annientare la vita e la me-moria di dell’ultimo dei Romani,degno di questo nome, Wa-gner si dimostra cosciente deisuoi mezzi letterari. Non ci sa-rà processo pubblico per Rien-zi, non si leggeranno le suecolpe dinanzi ad un tribunalee non sarà presentato in catene

al popolo; non gli si permette-rà di difendersi e di contestarele accuse, non gli si concederàdiritto di parola. Nella sua pri-mitiva violenza la lapidazionesoddisfa gli istinti più bassidel popolo, aizzato al linciag-gio dalla nobiltà che sa comesi conserva il potere, dando inpasto alla plebe la vittima de-signata. Anche il fuoco purificatore, alquale erano destinati eretici estreghe, ha un significato benpreciso. Esso esprime il domi-nio di una casta sacerdotale,disposta a custodire la Verità afavore della nobiltà.All’inizio degli anni Quarantadell’Ottocento il discorso poli-tico di Wagner sembra affine aquello che si faceva nella sini-

stra hegeliana, daFeuerbach fino a Ba-kunin. Davanti alpopolo-massa, inca-pace di riconoscere ipropri interessi,Rienzi dovette soc-combere. Agli occhidi Wagner, il tribunoromano non fu neltorto: perse nella vi-ta, ma vinse nellaStoria. Intorno alla figura diCola di Rienzo scrit-tori tedeschi diver-sissimi esercitaronoil proprio talento,per riflettere su li-bertà e giustizia, surivoluzione e lotta di classe.

Con Schiller essi ritennero cheil teatro fosse l’istituzione, nel-la quale si dovessero dibatterele grandi questioni della vitapubblica. Celebrando il tribu-no romano del Trecento, essidimostrarono che la letteratu-ra è la rappresentazione dellastoria dell’umanità rivisitatacontinuamente nel mito, ilquale, per dirla con Elias Ca-netti, «è una storia che diventapiù fresca con la ripetizione».

italo michele battafaranoOrdinario di Germanistica

Università di Trento

nzo alla vigilia del 1848

a letteratura tedesca dell’Ottocento”

Richard Wagner al tavolo di lavoro

La morte di Cola di Rienzo in una stampa ottocentesca

Jules Montjauze come Rienzi nel 1869

Irapporti di Giuseppe Verdi e Ri-chard Wagner con Roma sononoti. Diverso è invece il caso di

come Roma sia entrata, dal puntodi vista ambientale e scenografico,nella trama di alcune opere dei duecompositori. Da questo punto di vi-sta Wagner batte ai punti Verdi,mettendo in musica due opere, ilRienzi e il Tannhauser di cui la pri-ma si svolge a Roma,mentre la se-conda evoca indirettamente la CittàEterna. Il soggetto scelto da Wa-gner per la sua opera di argomentoromano trae spunto, come noto, dalromanzo Rienzi, the last of the RomanTribunes pubblicato nel 1835 da SirEdward Bulwer Lytton: l’opera, cheebbe un grande, immediato succes-so in Europa, non era sfuggita allastesso Verdi. Nell’estate del 1843 ilmusicista italiano era stato scrittu-rato dal Teatro La Fenice, al qualenel corso dei preliminari contattiaveva proposto un Cola di Rienzi. Inuna lettera al sovrintendente Moce-nigo scrive, infatti, di avere in ser-bo, in luogo della Caterina Howard,altri due soggetti «che sarebbero digran lunga superiori». Uno tratto dalromanzo del Bulwer, era appunto ilCola, che – scrive Verdi – «è magnifi-co, ma…». Proprio quel “ma” espri-meva tutte le riserve del musicistasulle prevedibili obiezioni della

censura. Di lì a poco egli stesso ri-nuncia a quel soggetto, perché«trattato come si deve, non si permette-rà (dalla polizia)». Lo stesso argo-mento ritorna alla mente di Verdiqualche anno più tardi. Siamo neigiorni infuocati del Quarantotto,che il musicista vive con appassio-nata partecipazione, e proprio inquel clima gli si riaffaccia l’idea dicomporre un Rienzi tutto frementedi patriottica passione; ne parla alBarezzi, suo suocero; lo comunicaal suo segretario Muzio che, in unalettera scrive: « …è pure scritturatoper dare un’opera a Parigi nel giugno1849; per quella di Napoli tratterà l’ar-gomento Cola di Rienzi; attesa la costi-tuzione di Napoli adesso si può scriverequalunque argomento». Ma era desti-no che le gesta dell’ultimo tribunodi Roma non dovessero essere rive-stite dalla musica verdiana: a scon-sigliargli di intonare quel soggettofu il librettista napoletano SalvatoreCammarano incaricato di scrivere iltesto dell’opera per il San Carlo, ilquale fece notare a Verdi che eranopresenti nella trama del romanzodel Butler due elementi che avreb-bero sicuramente compromesso ilbuon esito del melodramma. Anzi-tutto la misera fine del protagoni-sta, il tribuno, già portato alle stelledal popolo e poi massacrato, un esi-

to non proprio esemplare per unpersonaggio che doveva incarnaresimbolicamente il prototipo del-l’eroe risorgimentale. L’altro puntodi debolezza era lo scarso, episodi-co, passivo rilievo delle donne neldramma, nel quale effettivamente ilruolo femminile, ricoperto da Irene,sorella del Tribuno, risulta del tuttomarginale. Quel soggetto uscì per-tanto definitivamente dal panora-

ma mentale verdiano, mentre giànel 1842 – ma questo Verdi all’epo-ca lo ignorava – c’era stata la rap-presentazione del Rienzi di Wagnera Dresda. L’opera wagneriana sa-rebbe arrivata in Italia nel 1874 aVenezia, nel 1876 a Bologna e solonell’autunno 1880 a Roma ove,messa in scena al Politeama Roma-no, fu replicata per ben dodici sere.

Fr. on.

14 Rienzi, l’ultimo dei tribuniil GGiornale dei GGrandi eeventi

Adriano medita di come vendicarsi di Rienzi, ma quando lo vedegiungere con la sorella Irene, vacilla. Il Tribuno si rende conto dell’im-barazzo dei congiurati e con fermezza ricorda loro il trionfo consegui-to e li esorta ad essergli fedeli. Così questi si pentono ed acclamanoRienzi. Ma quando il corteo sta per varcare la soglia della Basilica, dal-l’interno si ode un cupo canto «Vae, vae tibi maledicto!» e sulla porta ap-pare il Cardinal Raimondo. Il popolo abbandona Rienzi al suo desti-no, mentre il canto si fa più cupo. La porta della Basilica si chiude confragore e su uno dei battenti appare inchiodata la scomunica. Adrianotenta di convincere Irene a fuggire, ma questa si getta tra le braccia delfratello. Adriano si allontana maledicendoli, mentre sempre più tenuerisuona il canto di maledizione.

Atto v – Rienzi prega in solitudine in una sala del Campidoglio. So-praggiunge Irene che gli esprime il proprio dolore. Rienzi la invita adunirsi ad Adriano e salvarsi. Irene rifiuta, dicendosi pronta a morirecon lui. Entra Adriano, il quale insiste ancora perché l’amata fugga conlui. Irene lo respinge con dolcezza. Il Campidoglio è assediato dal po-polo inferocito. Rienzi è colpito da scomunica e questo basta alla viltàdel volgo perché colui che un tempo era osannato ora venga ucciso.Rienzi si affaccia al balcone del Campidoglio per tentare di spiegare lasua innocenza. Ma Baroncelli e Cecco incitano il popolo a bruciare ilCampidoglio. Irene e Rienzi si rifugiano in una loggia, mentre la follaesulta e le fiamme salgono. Giungono i nobili rientrati a Roma giustoin tempo per vedere la caduta del loro nemico. Alla testa c’è Adriano,il quale però si getta nelle fiamme per unirsi ad Irene e Rienzi. Il pa-lazzo capitolino crolla e seppellisce i tre, mentre per i nobili è il mo-mento della vendetta e così si gettano sul popolo.

Segue “Trama” da Pag. 3

Una curiosità nel Bicentenario di Verdi e Wagner

Il Rienzi mancatodi Verdi

Rienzi fa voto di vendetta per la morte del fratello, in un quadro del 1848 di William Hol-man Hunt (1827 - 1910).

Cola di Rienzo è senza dubbio il cittadino romano più famoso del Me-dioevo; anzi, si può dire che, fatta eccezione per alcune grandi figure di

santi, artisti e papi, egli sia anche uno degli italiani più noti del tardo Me-dioevo. Al tempo stesso, però, la sua fisionomia risulta per molti aspettinon definita, e tuttora poco chiaro il ruolo da lui svolto sulla “scena politi-ca” italiana ed europea del medio Trecento. Ancora oggi, molti hanno diCola una visione convenzionale, corrispondente a quella forgiata nel corsodell’Ottocento, e lo giudicano un romantico capopopolo precursore del-l’Unità d’Italia. Gli studi più recenti ne offrono invece un’immagine ben di-versa, che si vale anche di una migliore e più approfondita conoscenza del-la realtà storico-sociale della Roma trecentesca. Egli fu in realtà uomo di no-tevole cultura e rètore di rara efficacia: anzi, come chiarisce Girolamo Ar-naldi nella sua Presentazione, un “comunicatore”, che utilizzava la parolacome strumento di seduzione e di convinzione. Fu in rapporto diretto conil papa e con l’imperatore; seppe sollevarsi da uno status che oggi si direb-be “piccolo borghese” al rango di capo del popolo romano, assumendo iltitolo di tribuno; sognò di riportare l’Urbe agli antichi fasti, non più ancel-la ma donna del mondo a lui contemporaneo. Di quest’uomo ambizioso,contraddittorio, tuttora per molti versi misterioso e sfuggente, l’Autore ri-costruisce l’intera parabola, dal primo affacciarsi nel complesso mondo po-litico dell’epoca, fino al tragico epilogo, consumato a Roma l’8 ottobre 1354,nel corso di una violenta sommossa popolare; mentre nel capitolo finale netratteggia il mito lungo i secoli. Dopo oltre settant’anni dall’ultimo profiloscientifico della vita di Cola, questa nuova biografia illumina di nuova lu-ce un personaggio che si guadagnò la riguardosa attenzione dei potenti(persino Ludovico il Bavaro lo pregò di appoggiarlo nel suo tentativo di ri-conciliazione con la Chiesa), piegò i baroni romani, intrecciò relazioni di-plomatiche con comuni, signorie, reami, coltivando da cultore della me-moria dantesca qual era, l’idea di un rinnovato Impero romano e cristianoil cui effettivo depositario fosse il popolo d’Italia.Cola di Rienzo – di tommaso di Carpegna Falconieri –- Profili - Salernoeditrice - XXXi, pp. 335, con 8 tav. f.t. - € 25,00 Altro volume interessanteda segnalare, anche se più complicato da reperire, è quello realizzato nel2009 dal centro Studi Giuseppe Gioachino Belli, per i tipi de Il Cubo Edi-tore, come atto di un convegno sulla figura di Cola di Rienzo. “Cola diRienzo. Dalla storia al mito” in 341 pagine raccoglie 16 lunghi saggi sullafigura del Tribuno romano. Un vero caleidoscopio di approfondimenti chespaziano dal personaggio storico, alla sua memoria, ai sonetti del Belli fi-no alla sua fortuna iconografica.Cola di Rienzo, dalla storia al mito – a cura di Gabriele Scalessa – il cu-bo editore – Pag. 341, con 16 tav. f.t.

lo. di die.

Per approfondire il personaggio storicoSaggi importanti su Cola di Rienzo

Esistono poche istituzioni in Europa in gra-do di offrire una programmazione tantoeterogenea e cronologicamente estesa co-

me accade nella Casa da Música di Porto e nes-suna può vantare ben quattro formazioni in re-sidenza stabile. Già basterebbero le peculiarità di un’architettu-ra unica per individuare l’alterità di questo pro-getto nel panorama attuale. L’edificio, operadell’olandese Rem Koolhaas, non solo ospitadue sale da concerto, ma rende anche possibilela fruizione degli eventi più diversi grazie aduna concezione spaziale avveniristica. L’idea ri-sale al 2001, quando Porto fu capitale europeadella cultura e l’inaugurazione si tenne nel 2005,mentre l’anno successivo fu creata la FundaçãoCasa da Música. Sette anni di attività, sette sta-gioni dedicate ogni volta ad un paese diverso. Per il 2013 è il turno dell’Italia. Dinamica, ampiae variegata, per una programmazione che nonteme di accostare nella medesima serata la mu-sica sinfonica e quella da camera, l’antico con ilcontemporaneo. A tale proposito grande spazio

viene riservato alle prime esecuzioni assolute edalle nuove commissioni, presenti alcuni fra icompositori italiani di maggior rilievo qualiFrancesconi, Sciarrino e Battistelli. L’aprile ap-pena concluso ha visto fra l’altro il ciclo “Músi-ca e Revolução”, dedicato a coloro che sono sta-ti protagonisti di rivoluzioni estetiche tali dacondizionare l’intero corso della storia dellamusica. Il pubblico ha avuto modo di incontra-re la vocalità affilata e nervosa di Carlo Gesual-do, figura enigmatica, introversa e pregna diuna acutissima sensibilità psicologica, del quale

ricorrono i quattrocento anni dalla morte, ac-canto alla produzione multiforme di LucianoBerio in occasione del decennale della scompar-sa: due anniversari in Italia colpevolmente eclis-sati da celebrazioni verdiane neppure tanto inci-sive. Il mese di maggio si presenta poi come illuogo della rinascita e delle contaminazioni. Im-mancabile La sagra della primavera di Stravinskijin occasione del Centenario della prima esecu-zione, insieme a proposte del tutto diverse comela serie di appuntamenti dedicati alle nuove vo-ci dal Brasile ed al jazz. In sostanza una programmazione in grado di

incontrare i gusti più disparati, dai puristi dellaclassica a coloro i quali immaginano la musicacome un luogo d’incontro fra esperienze diffe-renti. «La mia anima è una misteriosa orchestra»,scrive un artista simbolo del Portogallo comeFernando Pessoa. La Casa da Música ha l’ambi-zione di promuovere l’arte musicale nel sensopiù ampio del termine, indagando l’enigma del-la creatività nelle sue multiformi incarnazioni.

Riccardo Cenci

15dal mondo della musicail GGiornale dei GGrandi eeventi

In Portogallo a Porto

Casa da Música dedica il 2013 all’Italia

Oltreché nei teatri, il doppio bicentena-rio delle nascite di Giuseppe Verdi eRichard Wagner trova il giusto spazio

nei francobolli. La prossima emissione, il 22maggio, sarà quella di un’elegante serie delPrincipato di Monaco dedicata ai due bicente-nari e, con un terzo valorecommemorativo, al cente-nario della prima rappre-sentazione de La Sagra dellaPrimavera, il balletto di IgorStravinsky e coreografia diNijinsky, ideato originaria-mente per i Balletti Russi diSerge Diaghilev, il cui de-butto al Théâtre desChamps-Elysées nel 1913scandalizzando per la suacoreografia provocatoria, lamusica violenta e gli stranicostumi. I francobolli, tiratiin 54.000 esemplari, avran-no valori di 1,55 euro perGiuseppe Verdi il cui boz-zetto oltre al ritratto delmusicista evoca La Traviata;1,85 per Richard Wagner, alprofilo del quale è affian-cato un anello – quello deiNibelunghi - che riporta al-la Tetralogiaed un perso-naggio evocativo della mi-tologia tedesco-scandina-va; 2,55 per La Sagra dellaPrimaveradi Stravinsky ri-portando una scena del bal-letto. Nei francobolli italia-ni, con un po’ di stupore,questo doppio anniversarionon sarà celebrato. Un pec-

cato che la Consulta filatelica non se ne sia ri-cordata, quando in Italia si emettono franco-bolli spesso con soggetti improbabili. Lo stes-so Verdi, già nel Centenario della morte, il 27gennaio 2001, fu ricordato solamente con un“dentello” inserito nel foglietto dedicato a Il

Melodramma ed il teatro liricoitaliano, insieme a Bellini,Cimarosa e Spontini. ForseVerdi in quell’occasione co-me oggi avrebbe meritatoqualcosa di più essendo unsimbolo dell’Italia nel mon-do.Comunque in campo musi-cale Poste Italiane emette-ranno il 14 maggio prossimoun francobollo ordinario da€ 0,70 appartenente alla te-matica “Il patrimonio artisticoe culturale italiano” dedicatoal Teatro Comunale di Bolo-gna nel 250° anniversariodell’inaugurazione. Come iprecedenti francobolli dellaserie, si tratta di un esem-plare di grande formato(mm. 48x70) con una tiratu-ra di 2 milioni e cinquecen-tomila esemplari stampatiin fogli di 25. La vignetta,nell’eleganza del bianco enero calcografico, rappre-senta l’interno del Teatrobolognese, ora guidato dal-l’ex sovrintendente del-l’Opera di Roma FrancescoErnani, con la sua ampiaplatea ed i sontuosi palchi.

tina Alfieri

Filatelia MusicaleVerdi e Wagner nei dentelli di Monaco,

ma anche il Comunale di Bologna per l’Italia

Per i compositoridell’Ottocento te-desco essere anche

“esecutori” era quasi unobbligo. Brahms dedica-va una parte dell’anno aconcerti finalizzati a pre-sentare i propri lavori eBeethoven, quando la sordità gli impedì di esi-birsi in pubblico, temeva un calo di popolarità.Per questo la scarsa dimestichezza con la ta-stiera da parte di Wagner era guardata con so-spetto dai colleghi. Pochi, probabilmente, san-no, però, che il grande autore del Tristano halasciato una serie di pagine pianistiche, al-quanto interessanti nella loro varietà formale econtenutistica. L’occasione di parlare di questerare opere è la recente pubblicazione da partedella genovese Dynamic di un doppio CD de-dicato, appunto, all’integrale pianistico di Ri-chard Wagner. Interprete il pianista Dario Bo-nuccelli. Nei due CD si ritrova un Wagnerinimmaginabile se si pensa al suo rigoroso, au-stero teatro. Basta pensare alla Polka WWV 84o allo Zuricher Vielliebchen-Walzer WWV 88,brani che appartengono al tipico mondo salot-tiero ottocentesco: un pianismo scorrevole,fluido leggero. Ma non c’è solo il Wagner mon-dano. Nella splendida Sonata per Matilde vonWesendonck (la donna amata nel periodo dicreazione del “Tristano”) s’insinuano richiamial Coro dei Pellegrini del Tannhauser, ma anchepremonizioni della morte di Isotta. Pianista dieccellente preparazione tecnica e profondasensibilità musicale, Bonuccelli vanta anche undiploma in composizione e una laurea in storiadella musica che gli permettono una serie diesecuzioni impeccabili per eleganza del fraseg-gio e duttilità del suono. R.i

Novità in CDWagner pianistico di Dario Bonuccelli