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Richard Wagner ritratto da PierreAuguste Renoir

Sabato 22 Agosto 2015 17:55 di Marina Valensise Articolo letto 1.944 volte

GRAND HOTEL ET DES PALMES

Palermo e la sua era incantata con Wagner e Roussel

Così l'immaginazione vaga fra i saloni di questo palazzo liberty, nel cuore diPalermo, e insegue le ombre del passato che s’affollano fra gli stucchi e ledorature, dietro le statue di marmo nell’atrio. (Dal Foglio)

Certo, a Palermo, per apprezzare in pieno il fascino del Grand Hotel et des Palmes, bisognaricorrere prima al photoshop mentale: emendare il turista russo con occhi assonnati e calzoncinozumpafosso, ritoccare i contorni abbondanti delle norvegesi solitarie che di prima mattina si ingolfanodi cannoli e uova al bacon, cancellare il pannicolo adiposo esondante borsello del gitante dalWyoming in canottiera. Una volta completato il photoshop, l’immaginazione sarà libera di vagare fra isaloni di questo palazzo liberty nel cuore di Palermo, e inseguire le ombre del passato che s’affollanofra gli stucchi e le dorature, dietro le statue di marmo nell’atrio monumentale e nella galleria che untempo s’apriva sul giardino tropicale.

Qui, alle Palme, la memoria dei luoghi gronda infatti di ospiti illustri, figure mitiche nell’arte,nella musica, nella letteratura, geni romantici e surrealisti depressi, Wagner, Maupassant, RaymondRoussel, che proprio qui, la mattina del 14 luglio del 1933 venne trovato cadavere, disteso su unmaterasso poggiato sul pavimento della stanza 224… E se ciò non bastasse a spiegare il fascino dellostorico albergo siciliano, ci sarebbe per i palati più ruvidi anche l’ombra del boss Lucky Luciano,giunto qui con la sua amante Virginia Massa nella primavera del 1946, per non parlare del comandodell’Amgot (Allied military government of occupied territory), che confiscò l’albergo durante la guerraper farne il suo quartier generale e la centrale dell’intelligence alleata, col colonnello Poletti, futurosindaco di Palermo, e il generale Patton. Nel Dopoguerra, poi, vennero gli anni del milazzismo e delgoverno indipendentista, idea che nacque fra queste mura subito dopo la concessione dell’autonomiaregionale, e più tardi, fu quest’albergo la prigionia dorata del barone Giuseppe Di Stefano di

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Castelvetrano, che visse per mezzo secolo in una suite al secondo piano, per sfuggire alla minaccia dimorte decretata dalla mafia in seguito a un misterioso sgarro.

“La storia di questo albergo, notava Leonardo Sciascia nel 1971, è da scrivere come un capitolo displendore e miseria della Sicilia dai Savoia alla repubblica”. Se ancora nessuno l’ha scritta, è anchevero che l’albergo di via Roma continua a ispirare la fantasia di tanti artisti contemporanei come LucaTrevisani, ultimo in termini di tempo. Artista residente all’Istituto italiano di cultura, selezionato daLaura Barreca per il programma “Le promesse dell’arte”, Trevisani ne ha fatto il filo conduttore di unasua ricerca sui confini mobili tra l’arte e la natura, intitolata appunto “Grand Hotel et des Palmes”. Ilprogetto, elaborato a Parigi e esposto ora in Sicilia al Museo civico di Castelbuono, scardina leabitudini della nostra percezione, ripristina le incerte frontiere che separano il regno vegetale e ilregno minerale, per restituire una prospettiva critica e perplessa nei confronti del reale. Trevisani siserve di antichi erbari, riproducendoli su guanti e calze, trasforma foglie di piante tropicali, ricomponefoto di moda e crea strane concrezioni minerali. L’idea è quella di capire il mondo e ricostruirloriducendolo a immagine, prendendo spunto dalla libertà espressiva di Raymond Roussel e dalleinvenzioni paradossali di questo scrittore nevrastenico, autore di “Locus Solus”, delle “Impressionsd’Afrique”, antesignano del surrealismo e del nouveau roman, un genio solitario che Macchiaconsiderava l’anti Proust, e che confuse la realtà col suo desiderio, sino a pagare con la vita il lussodel suo delirio letterario.

Oggi però non è lui, ma è Richard Wagner a dare il benvenuto nella hall dell’albergo di Palermo,dal busto in bronzo che lo raffigura al culmine della sua energia. Wagner arrivò a Palermo in cerca dicaldo, di sole e di quiete mediterranea, e su consiglio del pianista Joseph Rubinstein scese alle Palmeche all’epoca era nuovo di zecca. Era stato inaugurato nel 1877, dopo una prima ristrutturazione delpalazzo costruito nel 1856 come dimora di Benjamin Ingham, ricco industriale inglese, la cui famigliaaveva fatto fortuna col Marsala, e rivenduto per 20 mila scudi nel 1874 a Enrico Ragusa, entomologoe figlio del proprietario dell’Albergo Trinacria in via Butera. Il maestro sbarcò a Palermo dal Simeto il5 novembre 1881, con moglie e figli al seguito. La moglie era Cosima Liszt, la figlia di Franz Liszt eMarie d’Agoult, sposata in seconde nozze dodici anni prima, dopo averne avuto già tre figli, e dopo ildivorzio di lei da Hans von Bülow, allievo di Wagner e suo direttore d’orchestra. Della comitivapanormita facevano parte i tre figli della coppia Siegfried, Isolde e Eva, e le due figlie di primo letto diCosima, Daniela e Blandine von Bülow, la quale, diciannovenne, farà innamorare di lei unaristocratico catanese, Biagio Gravina di Rammacca, con cui poi convolerà a nozze a Bayreuth nelluglio 1882. Fra il seguito dei Wagner, oltre al precettore di Siegried e a due cameriere, c’era anchePaul de Joukowski, il pittore russo conosciuto attraverso Henri James, responsabile delle scenografiedel “Parsifal”, ancora in corso d’opera.

Richard Wagner aveva 68 anni, era considerato un mostro sacro all’apice della gloria, quantunquerissoso, ribelle, con alle spalle un’avventurosa vita da esule. Autore di tante opere popolari, avevarivisitato i grandi temi della tradizione germanica attraverso la saga dei Nibelunghi, ma era un tipoburbero, stanco, depresso, malato. Afflitto da dolori addominali e continui spasmi polmonari, sentivaforse di essere alla fine della sua vita. E infatti sarebbe morto due anni dopo a Venezia, a PalazzoVendraminCalergi per un attacco di cuore. Alle prese con l’orchestrazione del terzo atto del“Parsifal”, che avrebbe completato proprio a Palermo, nelle stanze dell’Hotel de Palmes, e in balìad’ispirazione divina e tirannica, viveva circondato dalle cure della moglie, che ogni giorno registravanel suo diario l’umore e il cambiamento d’umore del marito genio, al quale aveva consacrato la suagiovinezza, con grave scandalo e riprovazione paterna. Il soggiorno palermitano dei Wagner obbedivaa un’agenda implacabile: “La mattina si lavora, a mezzogiorno si passeggia, all’una si desina, alle tresi ripasseggia, alle cinque si lavora, alle sette si pranza e dopo si va a letto”, annotava Cosima neldiario, citando l’intermezzo di letture, Kant, Goethe, ma anche Shakespeare, e in particolare l’“EnricoVI”, che il marito adorava. La composizione del “Parsifal” d’altra parte si alternava con frequentiescursioni in città e nei dintorni, per visitare il duomo di Monreale, meta preferita di Wagner, latomba di Federico II, la Cappella Palatina, ma anche i Giardini inglesi, la Zisa, la Favorita. L’arrivo diWagner era stato salutato con grandi civilizie dal jet set palermitano. I Lanza, i Tasca, i Gangi, iFlorio, i Mazzarino misero a disposizione le loro dimore, aprirono le porte dei loro palazzi ai concertidel maestro, mentre le loro carrozze sostavano per ora davanti alle Palme, perché loro potesserorendere omaggio al genio.

Fra gli habitué delle Palme c’era una giovane soprano, Tina Scalia, nata esule a Londra emusicista dilettante di rango. Figlia del generale garibaldino Alfonso Scalia, di stanza a Palermo, dueanni dopo costei avrebbe rinunciato alla lirica per sposare il nipote degli Ingham, erede della lorofortuna, Joseph Whitaker, detto Pip, l’ornitologo e archeologo che sarà lo scopritore della coloniafenicia sull’isola di Mozia. Colta, ambiziosa, melomane e intellettuale, Tina Whitaker sarà una grandeorganizzatrice di concerti e serate musicali, oltreché autrice di libri di memorie e saggi storici. Cantòper Wagner e con Wagner, e stando alla ricostruzione di Raleigh Trevelyan pare sia stata anche laprimissima interprete di Kundry, la selvaggia incantatrice simbolo del peccato, la schiava di Klingsorche corrompe Amfortas ma viene redenta da Parsifal, nel secondo e nel terzo atto del dramma allorain gestazione. Pur avendo avuto questo privilegio, Tina Whitaker lascerà del maestro un ricordoimpietoso, ricordando il fastidio dei suoi applausi fuori tempo, prima che lei finisse di cantare, e lescarse doti umane: “E’ arrogante e imperioso e la sua totale mancanza di sensibilità verso isentimenti altrui mi parve particolarmente fastidiosa”. I rapporti tra loro erano resi ancora più difficilidal culto della personalità incoraggiato da Cosima. “Ricordo un giorno – continua donna Withakernelle sue memorie – quando l’andammo a trovare in albergo, il maestro smise improvvisamente diparlare, come se fosse in trance. Donna Cosima subito ci sussurrò in francese nelle orecchie, ‘Pensoche il maestro stia per avere un momento di ispirazione, perciò adesso dovremmo porre termine al

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nostro incontro’. Ci affrettammo a uscire in punta di piedi, senza nemmeno salutarci. RacheleVarvaro, che vive nel palazzo di fronte all’albergo, spiegò poi cosa succedeva quando venival’ispirazione. A seconda del tipo di ispirazione, venivano lanciati sulla testa del maestro veli di diversicolori, in modo che le sue visioni potessero essere colorate da queste sfumature”.

Wagner aveva preso alloggio in una grande suite al secondo piano, che oggi, in seguito allaristrutturazione di Ernesto Basile del 1909, pare non esista più. Il 13 gennaio 1882 finì di scriverel’orchestrazione del “Parsifal”. L’indomani accettò di incontrare PierreAuguste Renoir sbarcatoappositamente due settimane prima da Napoli, dove aveva lasciato la musa amante e futura moglieAline Charigot. Renoir voleva fare un ritratto al musicista più celebre e controverso dell’epoca. AParigi, città che Wagner detestava, la prima del “Tannahäuser” si era risolta in un fiasco, se sieccettua il plauso di rari geni come Baudelaire. Al centro delle polemiche e del conflitto francoprussiano, Wagner era circondato dall’aura dell’artista rivoluzionario, dal genio divino: Renoir,appassionato di musica, ne era un grande ammiratore. Dopo varie insistenze, e grazieall’intercessione del russo Joukovski, venne finalmente ricevuto. Di quell’incontro resta una famosalettera di Renoir. Wagner comparve vestito quasi in abiti talari, con una lunga palandrana di vellutonero e grandi maniche foderate di raso. “Il maestro… E’ bellissimo e amabilissimo, mi porge la mano,m’invita a sedermi e inizia una conversazione pazzesca, frammista di hi, oh, metà in francese, metàin tedesco, Son ben contento, Ah Oh…”. Alla fine, accetta di posare. Renoir si ripresenta l’indomanicon tela e pennelli per realizzare il ritratto che oggi si trova al Museo d’Orsay. “Wagner è stato moltoallegro, ma nervosissimo e io rimpiangevo di non essere Ingres. Per farla breve, ho sfruttato bene ilmio tempo, credo 35 minuti, non sono molti, ma se mi fossi fermato prima, il ritratto venivabellissimo perché il mio modello alla fine perdeva un po' di allegria e diventava rigido. Ho seguitotroppo questi cambiamenti. (…) Alla fine Wagner ha chiesto di vedere e ha detto: ‘Ah! Ah! Somiglio aun pastore protestante’, il che è vero”. Lievemente diverso, invece, il giudizio registrato nel diario diCosima. “Di questo singolarissimo risultato R. pensa si direbbe un embrione di angelo, bevuto da unepicureo, come un’ostrica”.

La suite di Wagner alle Palme sarà la meta di un pellegrinaggio di un altro genio della letteratura.Erano passati tre anni. L’albergo aveva ancora il giardino d’inverno, con le piante tropicali, chevent’anni dopo sarebbe stato sacrificato da Basile, che ampliò la hall, e fece intarsiare il soffitto delsalone del caminetto come quello di Palazzo Montecitorio, sempre opera sua. Quando GuyMaupassant venne a sapere per caso, parlando su una panchina con un turista, del soggiorno diWagner a Palermo l’ultimo inverno della sua vita, e scoprì che aveva abitato proprio lì, nel suo stessoalbergo e che lì aveva finito di scrivere il “Parsifal”, grande fu la sua curiosità: “Volli vederel’appartamento occupato da quel musicista geniale, poiché mi sembrava che avesse dovuto metterviqualcosa di suo, e che avrei ritrovato un oggetto amato, una sedia preferita, il tavolo dove lavorava,un qualsiasi segno indicante il suo passaggio, la traccia di una mania oppure il segno di un’abitudine”.Maupassant era uno scrittore di successo, uno scrittore naturalista attento però al realismo magico,alla poesia delle cose minute, banali, dimesse. Non poteva sbagliare. “Sulle prime, non vidi altro cheun bell’appartamento d’albergo. Mi indicarono i cambiamenti che egli vi aveva apportato, mimostrarono, proprio in mezzo alla stanza, il posto sul divano dove ammucchiava sgargianti tappettiricamati d’oro. Poi aprii la porta dell’armadio con lo specchio. Ne uscì fuori un profumo delizioso epenetrante, come la carezza di una brezza che fosse passata in un roseto. Il padrone dell’albergo,che mi guidava mi disse: ‘Qui dentro, egli rinchiudeva la biancheria dopo averla spruzzata conessenza di rose. Ormai, quest’odore non andrà più via’. Respiravo la fragranza dei fiori, rinchiusa nelmobile, dimenticata lì, prigioniera; e mi sembrava di ritrovarvi, infatti, qualcosa di Wagner in questaprofumo che amava, qualcosa di lui, del suo desiderio, della sua anima, in quel nonnulla di abitudinisegrete e care che costituiscono la vita intima di un uomo”.

Del povero Roussel, invece, alle Palme restò poco o nulla. La mattina del 14 luglio 1933, entrandonella stanza 224, su via Mariano Stabile, il facchino ritrovò il corpo senza vita del cinquantennescrittore che aveva orrore dei capelli bianchi e aveva inventato un sistema infallibile per fare scaccomatto. In camicia da notte, mutande bianche, calze nere, maglietta di filolana color champagne,Roussel era supino su un materasso adagiato per terra, davanti alla porta della stanza comunicante,con due cuscini al centro. Strano. Quell’uomo era debolissimo, non si reggeva in piedi, come avràfatto a spostare il materasso da solo? Come un bambino che avesse avuto paura di cadere dal letto,si era sistemato lì per dormire tranquillo, osserva Leonardo Sciascia, che non ha mai creduto alla tesidel suicidio e trent’anni dopo, negli “Atti relativi alla morte di Raymond Roussel”, ha stilato un lista diincongruenze sospette. Roussel stava per ripartire, voleva farsi ricoverare in una clinica, e quella serasi era imbottito di due tubetti di sonnifero. La stanza era in ordine, ma il cassetto del comodinorigurgitava di barbiturici dai nomi fantastici: 16 flaconi di Somnothyril, 15 di Sonéryl, 10 di Hypalène,11 di Rutonal, 8 di Phanodorme, una scatola di Declonal, una boccetta di Hyrpholène e un tubetto diSomnothyril, e nell’armadio, in una grande scatola di cartone, c’erano 10 flaconi di Neurinase e 12 diVeriane. E sull’armadio bottiglie semivuote di Veriane, Verodinin, Neurisnase e Neosedan. Inoltre suun foglietto di carta azzurrina erano stati annotati i barbiturici presi da Roussel tra il 25 giugno e il 13luglio, con dosi, ore, reazioni. Il foglietto era stato scritto da Charlotte Fredez, in arte Dufrène, ladonna che da 23 anni viveva con Roussel, in amicizia platonica, e che quella sera, dormendo nellastanza accanto, non si accorse di nulla.

Strano. Roussel abusava di barbiturici, dirà la donna alla polizia, ma era impossibile imporgli unlimite, perché diventava irascibile. Giorni prima, aveva già tentato il suicidio tagliandosi le vene eferendosi col rasoio Gillette. Il medico dell’albergo, Michele Lombardo, non ne aveva fatto parola. Lelesioni, spiegò, erano appena superficiali. Il cameriere Tommaso Orlando, da Salerno, intervistato daSciascia, raccontò che una sera si vide proporre una mancia di 20 lire per aiutarlo a tagliarsi le vene,

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ma rifiutò sdegnato, “ No, no Monsieur”. Lo stesso Orlando ricordava con ripugnanza che Rousselquella notte aveva avuto una eiaculazione, un particolare che gli era rimasto impresso, e di cui nonc’era traccia nei referti giudiziari.

Anche Roussel era venuto a Palermo attratto dal clima mite, dalla luce mediterranea, masoprattutto dal porto franco che la città offriva al commercio di medicinali. Era un nevrastenicodrogato, omosessuale e depresso, “un pauvre petit malade”, dirà lo psichiatria Pierre Janet che loebbe in cura. Figlio di un ricchissimo agente di cambio, era un viaggiatore indefesso, a bordodell’elegantissima roulotte nera che si era fatto costruire ad hoc e dalla quale non usciva mai, perchéla luce del sole gli dava fastidio, e perché più che la realtà esterna gli interessava inseguire un mondotutto suo, l’universo dei deliri che portava in se stesso. “Chez moi l’imagination est tout”, dicevainfatti, lavorando sull’inconscio e la scrittura automatica, formando miti a partire da combinazioniinsulse delle parole, e sognando di creare un organismo indipendente e autosufficiente, libero dallasua debolezza. La realtà vera era un’altra. Amareggiato dal fallimento di La Doublure edall’insuccesso delle altre sue opere, voleva catturare la gloria, almeno nell’estasi della creazione odelle droghe, e per questo aveva scelto di condurre vita ritirata, ermetica, solitaria, in balia della suaimmaginazione, e accanto a una donna schermo, una demimondaine che serviva a salvare leapparenze. Da quaranta giorni, alloggiava all’Hotel et des Palmes abusando di calmanti, sonniferi eansiolitici per placare la sua nevrastenia, passando dall’euforia alla depressione.

Ogni sera il misterioso autista reclutato a Parigi lo portava in giro per la città. Diquest’autista non si seppe più nulla. Scomparve come un fantasma senza figurare nemmeno negliatti, salvo poi riapparire per ricattare il nipote, duca di Echlingen, figlio della sorella e unico erededello scrittore. Strano. E ancor più strana, sottolinea Sciascia, quell’inchiesta speditiva della poliziafascista, su quella morte che venne subito archiviata come suicidio, di uno scrittore in un albergosiciliano la notte del festino di Santa Rosalia, e nel giorno in cui si concludeva la trasvolata atlantica diItalo Balbo. Fatto stranissimo, quasi irreale, tant’è che serve a spiegare come mai per trent’anni ilGrand Hotel et des Palmes continuò a fungere da destinatario di moltissime lettere e missiveindirizzate a Raymond Roussel, come se la sua morte non fosse stata altro che fatto letterario,un’invenzione immaginaria, un ultimo capitolo, inedito, di “Locus Solus”.© RIPRODUZIONE RISERVATA

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