I - IL POPOLAMENTO MEDIEVALE ATTRAVERSO …

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I - IL POPOLAMENTO MEDIEVALE ATTRAVERSO UN’INDAGINE DI SUPERFICIE 1 1. INTRODUZIONE Preliminarmente all’intervento archeologico sul castello di Montemassi, sono state con dotte delle ricognizioni di superficie sull’at- tuale territorio del Comune di Roccastrada (GR). Durante le quattro campagne di rico gnizione sono stati indagati sistematicamente circa 60 kmq di territorio, con una copertu ra di circa il 30% della superficie totale. L’area indagata si presenta come un comples so geografico e geomorfologico piuttosto variegato, entro il quale un solo elemento si è rivelato costante nei vari momenti storici: la sua perifericità rispetto ad aree economi camente centrali (centri urbani e grandi vie di comunicazione 2 ); ci troviamo infatti in un’area interna di media e alta collina, con alture che sfiorano gli 800 metri s.l.m., un’area da sempre prevalentemente boschiva e tuttavia ricca di materie prime, soprattutto minerarie 3 ; un’area quindi che, proprio per queste caratteristiche, ha sempre rappresenta to un entroterra aspro e non facilmente col tivabile, ma tuttavia produttivo e conteso so prattutto, per l’approvvigionamento dei me talli, del legname e per l’allevamento. È stato condotto, in questo territorio uno studio di archeologia del paesaggio 4 , fina 1. La presente relazione costituisce parte del contri- buto presentato a suo tempo, in collaborazione con il dott. C. Citter, al Convegno di Studi: “Da Roselle a Grosseto, strutture laiche ed ecclesiastiche nella Ma remma grossetana fra XI e XII secolo”, (Grosseto, 8/ 9 settembre 1989). Vengono qui presentati, in una versione solo parzialmente aggiornata, i dati relativi alla parte del territorio rosellano da me indagata, cor rispondente all’attuale territorio del Comune di Roc castrada. 2. I poli urbani costieri di Roselle e Vetulonia, intor no ai quali gravitava il territorio studiato, distano da questo circa una quindicina di km in linea d’aria. 3. Cfr. BENVENUTI, GUIDERI, MASCARO 1991. 4. Le ricognizioni di superficie sono state coordinate lizzato alla redazione di una carta archeolo gica ed alla ricostruzione dei paesaggi anti chi e delle loro trasformazioni nel tempo 5 . La ricerca si inserisce nell’ambito di una se rie di iniziative che, attraverso indagini ar cheologiche, integrate da ricerche di carat tere storico-documentario, si propongono di indagare alcune specifiche tematiche della storia del popolamento 6 . Ai fini della com prensione globale delle vicende storiche di un territorio si è infatti rivelata estremamente utile l’integrazione fra i due autonomi cam pi di ricerca: uno fondato sullo studio delle fonti materiali, l’altro sullo studio delle fon ti scritte 7 . In questa sede verranno presentati alcuni dati relativi all’insediamento medievale, con par ticolare riguardo agli aspetti collegati alla nascita del ‘paesaggio incastellato’. 2. L’INCASTELLAMENTO 2.1. L’insediamento altomedievale e la formazione dei futuri castelli Per comprendere il processo di trasforma zione del modello insediativo che si defini sce comunemente “incastellamento” in un dato territorio è necessario conoscere tipi e da chi scrive, nell’ambito dei progetti del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena (direttore della ricerca: prof. R. Francovich), con il contributo del comune di Roccastrada. 5. Sul concetto di archeologia dei paesaggi si veda il vol CAMBI, TERRENATO 1994, ed in particolare le pp. 101-107. 6. FRANCOVICH 1985 (a cura di), tutto il volume; FRAN- COVICH, PARENTI 1987 (a cura di); CUCINI 1985; FRAN- COVICH, MILANESE (a cura di) 1990. 7. FRANCOVICH 1985, 8 ss. L’autonomia di tali ‘disci pline’, in questo senso favorisce la ricostruzione sto rica, piuttosto che nuocergli, cfr. DELOGU 1986, p. 502. 11

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I - IL POPOLAMENTO MEDIEVALE ATTRAVERSO UN’INDAGINE DI SUPERFICIE1

1. INTRODUZIONE

Preliminarmente all’intervento archeologico sul castello di Montemassi, sono state con­dotte delle ricognizioni di superficie sull’at-tuale territorio del Comune di Roccastrada (GR). Durante le quattro campagne di rico­gnizione sono stati indagati sistematicamente circa 60 kmq di territorio, con una copertu­ra di circa il 30% della superficie totale. L’area indagata si presenta come un comples­so geografico e geomorfologico piuttosto variegato, entro il quale un solo elemento si è rivelato costante nei vari momenti storici: la sua perifericità rispetto ad aree economi­camente centrali (centri urbani e grandi vie di comunicazione 2); ci troviamo infatti in un’area interna di media e alta collina, con alture che sfiorano gli 800 metri s.l.m., un’area da sempre prevalentemente boschiva e tuttavia ricca di materie prime, soprattutto minerarie 3; un’area quindi che, proprio per queste caratteristiche, ha sempre rappresenta­to un entroterra aspro e non facilmente col­tivabile, ma tuttavia produttivo e conteso so­prattutto, per l’approvvigionamento dei me­talli, del legname e per l’allevamento. È stato condotto, in questo territorio uno studio di archeologia del paesaggio 4, fina­

1. La presente relazione costituisce parte del contri-buto presentato a suo tempo, in collaborazione con il dott. C. Citter, al Convegno di Studi: “Da Roselle a Grosseto, strutture laiche ed ecclesiastiche nella Ma­remma grossetana fra XI e XII secolo”, (Grosseto, 8/ 9 settembre 1989). Vengono qui presentati, in una versione solo parzialmente aggiornata, i dati relativi alla parte del territorio rosellano da me indagata, cor­rispondente all’attuale territorio del Comune di Roc­castrada. 2. I poli urbani costieri di Roselle e Vetulonia, intor­no ai quali gravitava il territorio studiato, distano da questo circa una quindicina di km in linea d’aria. 3. Cfr. BENVENUTI, GUIDERI, MASCARO 1991. 4. Le ricognizioni di superficie sono state coordinate

lizzato alla redazione di una carta archeolo­gica ed alla ricostruzione dei paesaggi anti­chi e delle loro trasformazioni nel tempo 5. La ricerca si inserisce nell’ambito di una se­rie di iniziative che, attraverso indagini ar­cheologiche, integrate da ricerche di carat­tere storico-documentario, si propongono di indagare alcune specifiche tematiche della storia del popolamento 6. Ai fini della com­prensione globale delle vicende storiche di un territorio si è infatti rivelata estremamente utile l’integrazione fra i due autonomi cam­pi di ricerca: uno fondato sullo studio delle fonti materiali, l’altro sullo studio delle fon­ti scritte 7. In questa sede verranno presentati alcuni dati relativi all’insediamento medievale, con par­ticolare riguardo agli aspetti collegati alla nascita del ‘paesaggio incastellato’.

2. L’INCASTELLAMENTO

2.1. L’insediamento altomedievale e la formazione dei futuri castelli

Per comprendere il processo di trasforma­zione del modello insediativo che si defini­sce comunemente “incastellamento” in un dato territorio è necessario conoscere tipi e

da chi scrive, nell’ambito dei progetti del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena (direttore della ricerca: prof. R. Francovich), con il contributo del comune di Roccastrada. 5. Sul concetto di archeologia dei paesaggi si veda ilvol CAMBI, TERRENATO 1994, ed in particolare le pp. 101-107. 6. FRANCOVICH 1985 (a cura di), tutto il volume; FRAN-COVICH, PARENTI 1987 (a cura di); CUCINI 1985; FRAN-COVICH, MILANESE (a cura di) 1990. 7. FRANCOVICH 1985, 8 ss. L’autonomia di tali ‘disci­pline’, in questo senso favorisce la ricostruzione sto­rica, piuttosto che nuocergli, cfr. DELOGU 1986, p. 502.

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modi di insediamento caratteristici dei se­coli precedenti, per poter cogliere tanto gli aspetti di originalità delle nuove forme inse­diative, quanto gli aspetti derivati da forme preesistenti. Nei secoli compresi fra l’abbandono degli insediamenti romani e la nascita dei primi castelli, il modello insediativo si trasforma infatti, in maniera radicale ed i dati che stan­no emergendo dalle ricerche di superficie evidenziano sempre più chiaramente che l’in-castellamento rappresenta la fase finale di un lento processo che ha avuto inizio pro­prio a partire dalla crisi del sistema politico ed economico dell’impero romano 8. Questa fase, purtroppo, emerge con difficol­tà dalla ricerca estensiva soprattutto per la attuale carenza di strumenti di datazione si­curi (fossili guida); l’indagine intensiva, os­sia lo scavo stratigrafico, risulta in questo senso fondamentale 9 per poter trovare dei punti fermi nella sequenza cronologica. In questo periodo, infatti, la cultura materiale presenta un aspetto di generale ripiegamen­to dovuto alla contrazione dei traffici com­merciali ed alla conseguente regionalizzazio­ne dei centri di produzione e dei mercati 10. L’impoverimento tecnologico 11, che in que­sto momento caratterizza le produzioni ce­ramiche, ha, come conseguenza, una assen­za di forme o produzioni distintive e crono­logicamente caratterizzanti. A partire dal VI-VII secolo d.C., nelle aree in­terne della Toscana e più in generale dell’Ita-lia centro-settentrionale, risulta attestata una pressocché totale dipendenza del mercato dalle produzioni locali di ceramica 12. Con­seguentemente, negli insediamenti rurali tro­viamo soprattutto ceramica acroma, carat­terizzata da morfologie semplificate e per­tanto difficili da attribuire con sicurezza. A questo proposito nel territorio esaminato si è individuato un tipo di ceramica che pre­

8. Cfr. CAMBI et al. 1994. 9. Sull’interazione fra archeologia estensiva (dei pae-saggi) e metodologia intensiva (stratigrafia) si veda ancora CAMBI, TERRENATO 1994, pp. 106-107. 10. Cfr. HODGES, WHITEHOUSE 1983; BROGIOLO, GELI-CHI 1986. 11. FRANCOVICH 1989, p. 170 12. Si veda, a questo proposito WICKHAM 1994.

te

senta un particolare impasto (color cuoio in superficie e grigio azzurro in frattura, con inclusi micacei e quarzosi ben distribuiti e con diversi gradi di depurazione), apparen­temente di origine locale. Questo tipo di impasto è attestato in maniera predominan­te in alcuni siti interpretati come fornaci 13

per l’associazione con numerosi frammenti malcotti e bruciati e con noduli di argilla, ma lo si ritrova anche in siti con funzioni abitative. Si tratta di contesti ceramici omo­genei ed uniformi 14, caratterizzati da una alta percentuale di forme aperte (testelli, testi, catini, ciotole e piatti coperchi 15), da olle monoansate, tipologicamente indifferenzia­

16, da boccali di varie dimensioni e da an­foracei con fondi convessi ed anse a nastro (v. Tavv. I, II, III, IV, V). Queste due ultime forme, insieme alla serie di piatti coperchi, trovano frequenti confronti con reperti al­tomedievali 17. La ceramica, sebbene costan­temente acroma, attesta un livello piuttosto alto nella qualità della manifattura. Si tratta sempre di prodotti in argilla selezionata, re­alizzati al tornio veloce e generalmente ben cotti. Tali caratteristiche, assommate, han­no permesso una attribuzione cronologica preliminare ad un arco di tempo che va dal VI al VII secolo d.C. circa. La tradizione tec­

13. L’omogeneità delle forme e degli impasti, la quan-tità di materiale rinvenuto e l’assenza di tracce d’uso (esposizione al fuoco) in tali materiali confermano l’ipotesi che si tratti di un sito destinato alla produ­zione. 14. Le fornaci e gli altri siti con tale ceramica si tro-vano topograficamente molto vicini fra di loro (v. carta di distribuzione). 15. Quest’ultima forma (v. tav. 17, dis. 627, tav. 18, dis. 623, 626) sembra imitare le tipologie delle ulti­me produzioni di sigillata africana. Cfr. HAYES 1972, tav. CV, dis. 2. Piatti in sigillata africana di questa stessa forma provengono dalle necropoli di Nocera Umbra e Castel Trosino, cfr. BALDASSARRE 1967. 16. I frammenti, tutti molto simili fra di loro, potreb-bero rappresentare le varianti morfologiche di uno stesso tipo. Olle monoansate di questo tipo sono do­cumentate fra i materiali di epoca barbarica prove­nienti da Matelica, cfr. MERCANDO 1970, fig. 12. 17. Cfr. MERCANDO 1970; MAETZKE 1973; BROGIOLO, LUSUARDI SIENA 1980; PATTERSON 1985; LAGANARA FA-BIANO 1985, fig. 4, tipi 1-3; WHITEHOUSE 1967; VA-LENTI 1995. Si vedano in modo particolare le analo­gie con il territorio di Atri, STAFFA 1986 e 1989. Vedi anche le forme dei boccali nelle tombe longobarde di Ponte Nepesino, BALDASSARRE 1967. Si veda inoltre CAMBI, FENTRESS 1989.

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13Tav. I – Acroma Selezionata: vari esemplari tipologicamente indifferenziati di olle monoansate (sito 106, v. Fig. 1).

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Tav. II – Acroma Depurata: anforacei con anse a nastro (sito 106, v. Fig. 1).

Tav III – Acroma Selezionata: orli di catino (1, 2); Acroma Selezionata: orli di piatto-coperchio (3, 4, 5, 6) (Sito 102, V. Fig. 1).

nologica di epoca classica sembra infatti an­cora ben presente in questa produzione. Si tratta in sostanza di un contesto che si carat­terizza da un lato per i legami con le produ­zioni tardo romane, dall’altro per la presen­za di elementi tipologici conservatisi anche in produzioni successive. Sulla base della cronologia suggerita da que­sti ritrovamenti, sono stati interpretati altri siti la cui ceramica presentava analoghe ca­ratteristiche morfologiche e di impasto. In tal modo, gli insediamenti attribuibili al sud­detto periodo risultano 12. Si tratta di inse­

diamenti piccoli che si presentano in super­ficie come concentrazioni di poche pietre e poco materiale ceramico, interpretati come case o capanne, che si trovano in gran parte concentrati sul versante occidentale della valle dell’Ombrone (Fig. 1). Tali insediamenti risultano del tutto spostati verso i rilievi collinari, mentre la pianura ri­sulta adesso del tutto spopolata (in direzio­ne del fiume Bruna e dell’Aurelia non si è raccolto nessun dato riconducibile, anche soltanto in via di ipotesi, all’altomedioevo). Fra VI e VII secolo si osservano quindi, in

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Tav IV – Acroma Selezionata: orli di catino (1, 2, 3); Acroma Selezionata: orlo di piatto-coperchio (4); Acroma Grezza: orlo di testello (5) (Sito 102, v. Fig. 1).

quest’area, due fenomeni collegati fra di loro. Il primo è caratterizzato dalla perdita di im­portanza economica delle ville romane e dal sostanziale abbandono delle aree di pianu­ra, il secondo fenomeno è rappresentato dalla contemporanea comparsa, nei territo­ri dell’entroterra, di alcune nuove fondazio­ni situate sulle prime pendici collinari. Questi ultimi insediamenti vanno ad occu­

pare le aree, precedentemente occupate solo in maniera sporadica, dove in seguito si svi­lupperanno il popolamento altomedievale e le prime forme di incastellamento. Dal punto di vista della distribuzione degli insediamenti, si è potuto osservare, già a par­tire da questo periodo, una certa tendenza verso l’accentramento dell’abitato. Si tratta di una tendenza costante per questo territo­

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17Tav. V – Acroma Selezionata: orli di catino con decorazione incisa a stecca (1, 2, 4, 5, 9);. Acroma Depurata: fuseruole (3, 6, 7, 8) (Sito 102, v. Fig. 1); Acroma Selezionata: orli e fondi di olla (10, 12, 15, 17, 19); Acroma

Selezionata: orli di boccale (11, 13, 14, 15, 16) (Sito 88, v. Fig. 1).

Fig. 1 – Carta di distribuzione degli insediamenti nel periodo altomedievale (secoli fine VI, VIII).

rio, che non appare mai caratterizzato da un denza della piccola proprietà e con una pre­abitato sparso di tipo classico 18. dominanza di forme di gestione del territo-Se, per quanto riguarda l’età imperiale, il rio basate sul latifondo di tipo pastorale ed modello insediativo misto, caratterizzato in misura minore cerealicolo 19, il ripetersi dalla compresenza di ville e villaggi, può es- del fenomeno nei secoli successivi, può es­sere messo in relazione con una scarsa inci- sere messo in relazione anche al tipo di eco­

18. GUIDERI 1993. 19. CAMBI et al. 1994.

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Fig. 2 – Sito 88-1, Il Chiesino: muro longitudinale della piccola chiesa preromanica.

nomia, quella mineraria, qui predominante. Nel territorio sottoposto ad esame, che com­prende le propaggini meridionali del com­prensorio delle Colline Metallifere (Rocca­tederighi, Poggio Mozzeta – Fig. 2), sono presenti infatti importanti mineralizzazioni polimetalliche a Cu, Pb (Ag). Tali mineraliz­zazioni, attualmente di nessun interesse eco­nomico, hanno rappresentato una significa­tiva risorsa economica in epoca antica e so­prattutto medievale, certamente da mettere in relazione alla distribuzione ed alla storia economica dell’insediamento. L’economia mineraria legata alla produzio­ne dei metalli monetabili non poteva soprav­vivere infatti basandosi su iniziative a picco­la scala, ma necessitava piuttosto una con­centrazione delle varie fasi del ciclo produt­tivo nelle mani di un potere centrale, per ragioni di controllo e commercializzazione del prodotto 20. Gli intenti espansionistici di alcuni centri della Tuscia longobarda verso

20. Sulla definizione di risorsa mineraria e sulle pro-blematiche dell’insediamento a questa collegate si veda FRANCOVICH, FARINELLI 1994.

la fascia costiera maremmana sembra deb­bano essere letti proprio in questo senso come la indiretta attestazione dell’importan-za che tali territori avevano acquisito a cau­sa del loro potenziale strategico, rappresen­tato dalle risorse metallifere 21. Fra VII ed VIII secolo si assiste dunque ad una sorta di aggregazione degli insediamen­ti in nuclei più consistenti. La presenza di ceramica altomedievale all’interno di alcuni castelli (Fornoli, S. Disdagio e Litiano) e l’esi-stenza, nei pressi di alcuni di questi (Fornoli, Litiano, Torri, Rosciano, S. Disdagio) di in­sediamenti tardoromani che cessano di esi­stere fra VI e VII secolo, lascia supporre che la popolazione in questo momento sia con­fluita nei siti soprastanti. Tre esempi si presentano molto interessanti da questo punto di vista.

a) Nel sito dove sorgerà più tardi la pieve medievale del castello di Fornoli, si è loca­lizzata un’area di frgmm. fittili romani e tar­

21. Su questa problematica si veda FRANCOVICH, FARI-NELLI 1994 e FRANCOVICH, WIKCHAM 1995.

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Fig. 3 – Il Chiesino: pianta dell’edificio e prospetto della muratura settentrionale.

do antichi (sigillata africana) frammisti ad abbondanti ossa umane 22 (toponimo attuale La Pieve, Fig. 1). Dovendo escludere l’ipo-tesi che si trattasse del cimitero relativo alla più tarda pieve, si è ipotizzata l’esistenza di un insediamento precedente, sorto in età romana e vissuto fino al VI-VII secolo d.C. È quindi verosimile che nel sito del castello di Fornoli, confluiscano gradualmente gli abitanti di questo insediamento. Un proces­so del tutto analogo è attestato del resto an­che nell’area scarlinese, sia per il castello di Scarlino, sia per altri castelli della zona 23. Il sito della Pieve verrà nuovamente interessa­

22. Il proprietario ci ha raccontato che, quando unacinquantina di anni fa fecero lo scasso per l’impianto della vigna, vennero fuori interi scheletri e molta ce­ramica. 23. FRANCOVICH 1985, 12; CUCINi 1985, p. 301.

to, a distanza di pochi secoli, dall’impianto plebano di età medievale.

b) È possibile supporre uno sviluppo di que­sto stesso tipo anche per quel che riguarda il castello di Torri. A circa un chilometro da questo insediamento, in un’area molto iso­lata, abbiamo infatti individuato un mode­sto villaggio composto da 6 piccole aree di frgm. fittili localizzate nei pressi di una chiesa medievale abbandonata (sito 88-1 Il Chiesino, Figg. 1, 2 e 3). I pochi materiali riconoscibili qui rinvenuti sembrano condur­re ad un’orizzonte di VII-VIII 24 (Tav. V, nn. 11-16). È quindi molto probabile che, an­che in questo caso, gli abitanti abbiano pre­ferito ad un certo punto trasferirsi nel più

24. Devo alla dott.ssa L. Paroli (Museo dell’alto me-dioevo di Roma) molti suggerimenti.

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alto sito del castello di Torri, salvo forse con­tinuare ad utilizzare la piccola chiesa rurale. Nella stessa zona si è poi individuata una struttura ricavata nella roccia, da noi inter­pretata come pestarola o palmento 25. Tale struttura, seppure indatabile, risulta un do­cumento importante perché, oltre a confer­mare la presenza di una qualche forma di insediamento precedente o coevo alla chie­sa, attesta anche una locale produzione vi­naria in un’area oggi quasi interamente bo­schiva ed abbandonata.

c) L’esempio di Rosciano risulta, infine, an­cor più significativo, poiché, se si accetta l’identificazione proposta da Cardarelli 26 del sito citato come ‘fundo Rosciani’ nel 715 27

e menzionato nel 1074 in un Privilegio di Gregorio VII 28, con la tenuta la Castellaccia (Fig. 1), l’antico castello, insisterebbe sui ru­deri di una villa romana 29.

Accanto ai siti individuati con la ricognizio­ne di superficie è noto il ritrovamento di una necropoli di età longobarda alla Pescaia pres­so Sticciano Scalo 30, oggi non più visibile sul terreno (Fig. 1). Anche questa necropoli occupa del resto un’area immediatamente sottostante il castello di Sticciano, già noto dalle fonti nel X secolo 31. Tutti i dati vengono quindi a confermare che la distribuzione e la tipologia degli insedia­menti di VI e VII secolo rappresenta una fase intermedia di passaggio verso l’insediamen-to fortificato di altura, più comune nei seco­li centrali del medioevo. Ad uno spostamen­to geografico degli insediamenti in età tar­do antica fa seguito pertanto un primo ac­centramento di questi nei siti che più tardi verranno incastellati.

25. Strutture analoghe, ma realizzate in materiale di-verso, sono state rinvenute nell’area dei tufi: a Vitoz­za (Tesi di laurea di Enrica Boldrini, anno accademi­co 1986-1987); a Castel Porciano, cfr. MALLET

WHITEHOUSE, 1967, 113-146 e nel territorio di Abba­dia S. Salvatore, cfr. CAMBI, DE TOMMASO 1988. 26. CARDARELLI 1932. 27. BATTISTI 1961-62, pp. 461-99. 28. CAMMAROSANO, PASSERI 1976, p. 320. 29. CURRI 1978, pp. 66-67. 30. REISCH 1931; HESSEN Von 1971-72; CAPPELLI 1934. 31. V. infra.

È molto verosimile supporre quindi che al­cuni dei siti, poi fortificati, esistessero già come villaggi, ma soltanto l’indagine strati­grafica sistematica può darcene conferma 32. Più difficile è capire invece se questi “proto­castelli” nascano spontaneamente o se fac­ciano parte di una riorganizzazione del ter­ritorio legata a nuove forme di potere. Nel territorio rosellano una prima forma di riorganizzazione dell’insediamento, sia per iniziativa delle popolazioni locali, sia per iniziativa dei ceti egemoni (autorità eccle­siastica e laica), è infatti attestata dalle fonti già a partire dall’VIII secolo 33. Parallelamente alla risalita, che appare dunque un fatto com­piuto nell’VIII secolo, la presenza di azien­de curtensi attesta anche un riassetto della proprietà fondiaria e dello sfruttamento del territorio che, con l’età carolingia e fra al­terne vicende, vede la famiglia lucchese de­gli Aldobrandeschi come protagonisti.

2.2. Il paesaggio dei castelli

Dopo aver individuato le fasi che conduco­no al formarsi di questi nuclei di popolamen­to resta da capire quando e per quali motivi questi nuclei vengono fortificati 34. Il più grosso ostacolo alla risoluzione di questo quesito è in gran parte rappresentato dalla cosiddetta fase romanica. Fra la fine dell’XI ed il XII secolo, infatti, la stragrande mag­gioranza dei siti già incastellati subì una sor­ta di pianificazione urbanistica che determi­nò sostanziali modifiche dell’aspetto archi­tettonico, obliterando molto spesso le labili tracce precedenti. Questi cambiamenti, ol­tre ad attestare un evidente balzo in avanti della prosperità materiale, significarono an­che un cambiamento nel modo in cui si inte­se rappresentare l’immagine dei singoli ca­stelli. Tale momento va inteso come il con­

32. Un fenomeno di questo tipo risulta attestato neisiti incastellati di Scarlino e Montarrenti, cfr. FRAN-COVICH 1985, 14-15 (Scarlino: fasi V e VI); FRANCOVI-CH, MILANESE (a cura di) 1990. 33. CAMBI et al. 1994. 34. Per il problema delle origini e dello sviluppo deicastelli in Italia centrale si vedano FRANCOVICH 1985, pp. 10 ss.; Id 1989; FRANCOVICH, CUCINI, PARENTI 1990; ANDREWS 1984, pp.123-136; WICKHAM 1984.

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solidamento di un potere economico, giuri­dico ed istituzionale all’interno di forme di popolamento preesistenti e rappresenta per noi, adesso, l’aspetto senz’altro più eviden­te dell’incastellamento nel territorio (Fig. 4­6). Per la conclusione di questo processo appare dunque determinante il ruolo svolto dai signori, la cui affermazione risulta ne­cessariamente connessa alla definizione del­la proprietà ed allo sfruttamento delle risor­se del territorio. Per quanto riguarda gli insediamenti fortifi­cati, non citati fino ad ora (Roccastrada, Montemassi, Sassoforte, Roccatederighi, Torniella, Belagaio, Bagnolo e Terzinate – Fig. 6) non è stato possibile individuare, at­traverso la sola ricognizione di superficie, nessun indizio di insediamento precedente le prime citazioni documentarie, che, per quanto riguarda la definizione castrense sono riferibili quasi tutte al periodo compreso fra XI e XIII secolo 35. Va sottolineato tuttavia ancora una volta che l’analisi della documentazione scritta non consente necessariamente di associare la comparsa del termine castrum alla prima fase di fortificazione del centro poiché, come in più casi hanno dimostrato le indagini archeo­logiche 36, le fonti scritte compaiono più spes­so contestualmente alla fase romanica dei castelli e solo raramente documentano le fasi precedenti. Infatti, per fare solo alcuni esempi, fra i ca­stelli citati finora come esempi di risalita ed accentramento precoci, Fornoli verrà citato come castello solo nel 1202 37. È probabile quindi, che la fortificazione del sito sia av­venuta piuttosto tardi ad opera della fami­glia degli Ardengheschi. Non si può tuttavia neppure escludere una prima fortificazione spontanea del sito, caratterizzata dall’impie-go di materiali “poveri”, di cui non abbia­mo traccia nelle fonti scritte.

35. LISINI 1908; SCHNEIDER 1911, 1907; ASS, Caleffo Vecchio. Soltanto per quanto riguarda Roccatederi­ghi vi è l’ipotesi che sia da identificare con una Rocca di Nossina posta in territorio rosellano e già citata come luogo abitato nel 953, cfr. in ultimo CAMMARO-SANO, PASSERI 1976, 48.9. 36. FRANCOVICH 1989, pp. 169-170. 37. «Roccham de Fornori cum curte» (SCHNEIDER 1911, 159); ASS, C.V., 78.

Figg. 4-5 – Roccatederighi, tratti di muratura romanica ancora conservatisi negli attuali edifici del centro

storico.

Il castello di Torri (Fig. 6) viene citato per la prima volta dai documenti nel 1140 38. Litiano (Fig. 6) è citato dalle fonti come «vil­la» fino al 1140 39, mentre nel 1202 viene

38. ASS, Arch. Rif., a. 1140. 39. LISINI 1908. Non è escluso che fra le ville citate in un documento del 991, dove è citato anche un luogo

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Fig. 6 – Carta di distribuzione degli insediamenti nei secoli centrali del medioevo (secoli X-XIII).

ta»

elencato fra i castelli degli Ardengheschi 40. Tornerà a perdere questo suo «ruolo» dopo il 1342, quando verrà dichiarato «terra aper­

41.

detto “Fornoli”, il toponimo “Lipitiano” si riferisca a Litiano; BARSOCCHIN, BERTINI 1837, doc. MDCLXV. 40. ASS, C.V., 79. 41. LISINI 1895, 197. A partire da questo momento lo

S. Disdagio, (Fig. 6) elencato nel 1202 fra le proprietà degli Ardengheschi, verrà citato come castrum solo nel 1326 42.

troveremo citato come «tenuta», cfr. PECCI 1766, pp. 496-497; GINATEMPO 1988. 42. PECCI 1766, p. 154; ASS, Cons. Gen., 20 Dicem­bre 1326.

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Fig. 7 – Roccastrada: tratto della cinta muraria di età romanica inglobata nelle abitazioni.

Sticciano, (Fig. 6) è attestato invece nell’an-no 969 43 come insediamento dotato di una sede pubblica e verrà citato come castello solo alla fine dell’XI secolo 44. L’unico castello attestato come tale già nel X secolo è Lattaia 45. (Fig. 6) La planimetria delle strutture che occupano attualmente il sito del castello di Lattaia ricalca quella del primitivo insediamento e rappresenta uno dei più semplici e più arcaici esempi di ar­chitettura fortificata 46 (Fig. 8). La disposi­zione planimetrica degli edifici vede infatti al centro la traccia quadrangolare dell’anti-ca torre (Fig. 9), circondata da una cinta pres­soché circolare, gran parte della quale, più o meno abbassata, si conserva tutt’oggi 47.

43. LISINI 1908 riporta l’anno 966, come CAMMARO-SANO, PASSERI 1976; SCHNEIDER, 6-7, n. 17 data invece il documento all’anno 969. 44. CAMMAROSANO, PASSERI 1976, p. 157. 45. Nell’anno 973 viene stipulato un atto di vendita«actum loco Lactera, intus in ipsa turre». KURZE 1982, Band II, n. 204, pp. 14-15; LISINI 1908, p. 34. 46. Ibidem, 133. 47. CAMMAROSANO, PASSERI 1976, p. 155.

La presenza della torre, elemento costante a partire dall’XI secolo 48, generalmente carat­terizza il “castrum”. In questo caso è molto probabile tuttavia che si tratti di un palazzot­to signorile fortificato o casa-torre 49. L’aspet-to interessante di questo castello è rappre­sentato dalla sua ubicazione. Esso si trova infatti al centro della pianura a quota 25 m s.l.m. in posizione del tutto isolata, indifesa e diversificata da quella dei rimanenti inse­diamenti fortificati che sorgeranno tutti nella fascia di media e alta collina circostante la pianura, secondo un modello che vede i ca­stelli collocati «a metà strada fra l’incolto sopra e il colto sotto» 50 (Fig. 6). È stata for­se proprio la posizione di questo insediamen­to a determinarne la precoce fortificazione. Gli insediamenti castrensi del territorio ri­sultano infatti disposti, per la maggior par­te, lungo i due spartiacque che dividono ri­

48. ANDREWS 1984, p. 131. 49. ANDREWS 1984, p. 131. 50. WICKHAM 1984, p. 89. Si veda il caso di Scarlino, FRANCOVICH 1985, 10 e del suo territorio, CUCINI 1985, p. 302.

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Fig. 8 – Veduta generale del castello di Lattaia nel suo attuale stato di conservazione.

Fig. 9 – Castello di Lattaia: breve tratto della muratura dell’antica torre attualmente inglobato in un muretto all’interno del cortile.

spettivamente le valli del t. Farma e del f. Ombrone dalla pianura solcata dal f. Bruna formando una sorta di catena che cinge a nord e ad ovest la pianura (v. carta). In alcu­ni di questi castelli l’insediamento si è pro­tratto senza soluzione di continuità fino ad oggi. I centri attuali del territorio sono in­fatti per lo più costituiti dai borghi di origi­ne medievale. Molti altri insediamenti castrensi sono inve­ce stati abbandonati durante i secoli basso­medievali e si presentano oggi come ruderi in condizioni di totale rovina ed abbando­no. Durante la ricognizione di superficie si sono condotte delle indagini mirate nei siti

di questi ultimi castelli ed in nessuna delle fortificazioni del territorio è stato possibile individuare, per le ragioni già citate, strut­ture murarie precedenti alla fase romanica51. I materiali raccolti in superficie sono costi­tuiti in prevalenza da frammenti di cerami­ca acroma (testi, olle, boccali) e da una limi­tata quantità di frammenti di maiolica arcai­ca di produzione senese, riferibili spesso alla fase immediatamente precedente l’abbando-no di tali insediamenti. È da notare che la presenza di questa classe ceramica nell’area

51. Si veda anche il territorio di Scarlino, cfr. CUCINI

1985.

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indagata è pressoché esclusiva degli insedia­menti incastellati. Riassumendo, se, nell’area presa in esame, il fenomeno dell’incastellamento si presenta in molti casi come il consolidamento struttu­rale ed istituzionale di preesistenti forme insediative, anche fortificate, di altura, non si può escludere tuttavia, accanto a queste, la nascita di nuove fondazioni su sommità strategiche, legate alle esigenze produttive del potere signorile. La diversità fra insediamento inizialmente ‘spontaneo’ ed insediamento nato per speci­fica volontà signorile potrebbe essere riscon­trata, topograficamente, fra i castelli di me­dia collina, geograficamente e tipologica­mente più prossimi alle forme insediative preesistenti (Litiano, Fornoli, Lattaia, Stic­ciano, Rosciano, Montemassi?, S. Disdagio) ed i castelli più arroccati e più imponenti, situati spesso in alture impervie e più lonta­ne dalle zone coltivabili, ma talora prossimi alle aree di importanza strategica per le atti­vità minerarie e/o metallurgiche (Roccate­derighi, Sassoforte, Roccastrada, Torniella). Per questi ultimi si ipotizza dunque una ge­nesi signorile più tarda e contemporanea alla definizione istituzionale e giuridica degli al­tri. Si tratta tuttavia di una semplice ipotesi che non può assolutamente prescindere dal-l’indagine stratigrafica per avere conferma.

3. L’INSEDIAMENTO SPARSO

La ricognizione di superficie ha permesso di individuare, nell’area indagata, un «insedia­mento sparso» 52 di una certa consistenza per i secoli centrali del medioevo. Si tratta com­plessivamente di trenta aree di frammenti fittili interpretabili come abitazioni rurali (Fig. 3). La pressoché totale assenza di ma­iolica arcaica in questi insediamenti consen­te due ipotesi: può infatti essere considerata l’espressione di una limitata circolazione delle merci, riscontrata anche per altri peri­odi, ipotesi meno probabile, oppure come il

52. Per insediamento sparso si intende, in questo con-testo, insediamento non incastellato; si tratta infatti di forme abitative non propriamente definibili come case sparse, ma piuttosto come abitati.

sintomo di una crisi del popolamento spar­so alle soglie del XIV secolo. È molto pro­babile infatti che molti di questi piccoli in­sediamenti siano precedenti o coevi ai gran­di castelli e che la popolazione del contado venga assorbita da questi durante le fasi del­la conquista senese. Un importante punto di riferimento per l’or-ganizzazione dell’insediamento sparso nel territorio sono le sedi ecclesiastiche ed in modo particolare, le pievi rurali ed i mona­steri. Il territorio, facente capo nel nostro caso, alla diocesi di Roselle prima e di Grosseto poi 53, risulta infatti frazionato in una serie di pievi attorno alle quali si raccoglie il po­polamento rurale 54. Nel territorio considerato è attestata la pre­senza di 5 pievi rurali e 6 chiese, sottoposte alla giurisdizione vescovile di Grosseto 55. Si è potuto quasi sempre rintracciare l’ubica-zione delle pievi sparse, ma non sempre è stato possibile documentarne le strutture, talvolta completamente obliterate da succes­sivi interventi edilizi (Pieve di S. Sicudera, v. Fig. 6). Alcune di queste tuttavia hanno la­sciato tracce abbastanza evidenti. Alcuni importanti centri ecclesiastici intor­no ai quali si è potuta attestare la presenza di un certo insediamento sparso sono la pie­ve del castello di Fornoli (pl. S. Marie), l’in-sediamento di Caminino (pl. S. Ferioli), la chiesa di S. Giusto a Lavaiano 56 ed il mona­stero di Giugnano (Fig. 6).

a) La pieve di Fornoli (attuale podere La Pie­ve – Fig. 6), nota dal 1188 57, faceva capo ad

53. Cfr. CARDARELLI 1932, p. 230; LISINI 1908, 1138, Aprile, A. 9 di Papa Innocenzo II, R. Augusto Cerretani. 54. Si consideri che per i secoli altomedievali fino atutto l’XI secolo, la documentazione esistente si rife­risce quasi esclusivamente a questioni economiche ri­guardanti il patrimonio ecclesiastico. Cfr. BARSOCCHI-NI, BERTINI 1837, per quanto riguarda l’episcopato lucense e KURZE 1982, per il Monastero di S. Salvato­re al Monte Amiata. 55. La sede della Diocesi vescovile viene spostata nel1138 da Roselle a Grosseto. Cfr. CARDARELLI 1932, p. 230; LISINI 1908, 1138, Aprile, A. 9 di Papa Innocen­zo II, R. Augusto Cerretani. Per l’elenco delle pievi, si veda GIUSTI, GUIDI 1942. 56. CARDARELLI 1932, p. 187. 57. Privilegio papale di Clemente III. CARDARELLI 1932, p. 188.

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un ampio territorio 58. Sporadiche sono le tracce dell’antica struttura plebana ancora leggibili nelle murature moderne. La rico­gnizione di superficie ha individuato, nel-l’area circostante il podere, 3 piccole con­centrazioni di materiale edilizio e ceramico medievale, interpretate come case.

lo

b) La pieve di Caminino (Fig. 6) appare oggi inglobata in una casa colonica del XIX se­colo; sono tuttavia ancora riconoscibili nu­merose tracce dell’antico edificio. Un primo documento che attesta l’esistenza di questa chiesa risale all’anno 1075 59. Si tratta di una donazione fatta da un certo Ranierus che cede a questa canonica una serie di «casis et casinis, et casalinis et sortis, adque terris et vineis» poste nei dintorni della chiesa stes­sa60. Abbiamo inoltre individuato con la ri­cognizione di superficie un’area di frammenti fittili piuttosto estesa con materiali di epoca medievale non posteriori al XIII secolo (Fig. 6s). Emerge quindi da fonti e territorio l’esi-stenza di un popolamento sparso collegato alla chiesa nei secoli precedenti al XIV seco­

61. Per il XIV secolo possediamo poi una importantissima fonte che è la “Tavola delle possessioni” 62. Nel 1320 troviamo la pieve di S. Feriolo a capo di un territorio dove estremamente più rare risultano le abitazio­ni rurali sparse 63. Da questo documento si evidenzia infatti che il popolamento si è con­centrato intorno al castello di Roccatederi­ghi 64 ed intorno ad un insediamento aperto non distante dal castello (villa Lavaiani ) 65. La vallata sottostante Roccatederighi, dove

58. Fornoli aveva per filiali le chiese di Roccastrada edi Torri. Cfr. CARDARELLI 1932, p. 189. 59. ASS, Riformagioni, a. 1075, Luglio, 23-Copia del 1182. V. anche LISINI 1908. 60. Ho potuto rintracciare il toponimo «Cirtoia», oggiCintoia, che dista circa 4 chilometri da Caminino ed «il guado de Rigo maiore», che si trova a meno di un chilometro dall’attuale podere. V. IGM, 128, Monte­massi, III S.E. 61. Nel XIII secolo la troviamo citata come pieve,con diversa intitolazione. CARDARELLI 1932, p. 187. 62. ASS, Estimo, V. cap. IV, A, 2. 63. ASS, Estimo, 54, c. 378. 64. Le abitazioni citate da questa fonte si trovanoadesso per la maggior parte «in districtu dicti casse­ri». ASS, Estimo, 54, f.CXVIIII v. e r. 65. ASS, Estimo, 54, f. XLII v., XLIIII v.

si trova S. Feriolo, risulta quindi in quegli anni (1320) priva di insediamenti rurali. Vi abbondano invece fornaci per la lavorazio­ne dei metalli; verrà denominata infatti «valle fabrorum» 66.

c) La chiesa di S. Giusto a Lavaiano (Fig. 6), i cui resti, inglobati in un podere, si trovano a circa tre chilometri da Roccatederighi, vie­ne citata una prima volta nel 1277 67. La ri­troviamo nel 1294 all’interno della «villa di Lavaiano» 68. La villa di Lavaiano, che in quella occasione viene venduta al comune di Siena insieme ad altri territori, si configu­ra, nello spazio di pochi decenni, come un vero e proprio villaggio 69.

d) Il sito dove sorgerà il monastero di S. Sal­vatore di Giugnano (Fig. 6) è citato per la prima volta dai documenti nell’867 come «casale» 70. La documentazione scritta atte­sta poi, nell’XI secolo, l’esistenza di un po­polamento sparso di una certa consistenza, raccolto intorno ad una chiesa di S. Stefano posta «in loco et finibus Iungano» 71. Nell’XI secolo, inoltre, viene qui fondato un mona­stero benedettino 72. A quell’epoca risale pro­babilmente l’affermazione del toponimo “S.

66. ASS, Estimo, 54, f. LXXXXVIII. Vedi infra pagi­na 33. 67. CARDARELLI 1932, pp. 187-188. 68. ASS, C.V., 989, 1294, Aprile, 14-15. Si tratta del­la stessa villa di Lavaiano citata dall’Estimo, v. sopra. 69. Al suo interno troviamo infatti numerosi casalinie casali (ASS, Estimo, 54, f. XXX r., XLII v., XLIIII, CI), un forno (ibidem, f. CVIII) e la chiesa di S. Giu­sto (ibidem, f. CCCVI). 70. Un cittadino di Chiusi cede, in quell’occasione, aWinighisi, conte della città di Siena i suoi beni posti nel casale di Giugnano; KURZE 1982, vol. I, 315-317, 149, Vicario, 867 (Settembre), 868 (Marzo) Roselle; LISINI 1908. 71. Nel 1012 si parla per la prima volta di una chiesadi S. Stefano, a cui appartengono considerevoli pos­sedimenti: «duodecim inter casis et sortis et casalinis cum ecclesia illa», cfr. KURZE 1982, 234, Cartula donationis, 1012. Nel 1027 e poi nel 1036 l’imperato-re Corrado II dona all’abate del monastero di S. Salva­tore del M. Amiata anche la «ecclesiam Sancti Stephani in Iuniano»; KURZE 1982, Band. I, 263, Praeceptum 1027, 1036; Monumenta Germaniae Historica, Diplo­mata regum et imperatorum Germaniae, t. IV (DDK), n. 79.72. Nel 1076 infatti il luogo viene citato come sededi un monastero: «per via pubblica decurrit usque ad terram Monasterii de Gugnano»; SCHNEIDER 1911, n. 91; LISINI 1908.

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Figg. 10-11 – Cripta protoromanica del monastero di S. Salvatore di Giugnano: 10. Pianta; 11. Prospetto della parete sud-occidentale.

Salvatore”. Nel giro di pochi anni tale mo- perficie si presentano tutt’oggi come emer­nastero assume una notevole importanza genze architettoniche di notevole entità economica 73. Le strutture rintracciabili in su- (Figg. 10 e 11), in uno stato di conservazio­

ne purtroppo assai precario (Fig. 12). Si può 73. Nel 1140 infatti si parlerà esplicitamente di un ipotizzare che la struttura protoromanica monastero di S. Salvatore di Giugnano, che possiede della cripta sia relativa all’impianto del mo­beni molto consistenti nei territori di Roselle Grosse- nastero, mentre le imponenti emergenze so­to, Lattaia, Roccastrada, Litiano, Torri etc.. LISINI

1908. prastanti sono probabilmente da attribuire

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Fig. 12 – Cripta del monastero di S. Salvatore di Giugnano.

alla piena età romanica e pertanto alla fase cistercense del monastero. Non si sono in­vece potuti individuare resti pertinenti alle fasi precedenti (chiesa di S. Stefano).

È molto interessante notare la vicinanza di questo complesso monastico, che nel XIII secolo diverrà grangia dei cistercensi di S. Galgano 74, ad una serie di strutture produt­tive, databili molto probabilmente ad epoca medievale 75. Si tratta di tre mulini, di una ferriera e di un area di lavorazione dei locali solfuri misti (Cu-Pb) (Fig. 13), tutti situati lungo il corso del torrente Bai 76 (Fig. 6). La ricognizione non ha permesso purtroppo di raccogliere materiali datanti in questo tipo di siti. Da alcuni documenti relativi alla re­

74. Nel 1209 il monastero viene concesso da papaInnocenzo ai cistercensi di S. Galgano (nell’episcopa-to volterrano); SCHNEIDER 1911, 196, n. 457; COTTINEAU 1939, col. 1288; P.F. KEHR, Regesta Pontificum Romanorum, vol III, 264; CAMMAROSANO, PASSERI 1976, vol. II, 366. 75. Si veda, per una descrizione delle emergenze FA-RINELLI 1992. 76. Molte di queste emergenze non sono oggi più leg-gibili a causa della persistente attività di cava che ha radicalmente modificato il paesaggio distruggendo Fig. 13 – Area di scorie di lavorazione dei locali solfuri tutte le tracce degli insediamenti produttivi medieva- misti nei pressi di un piccolo canale artificiale in li. prossimità del torrente Bai.

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golamentazione del taglio dei boschi intor­no alle ferriere del Farma, appare evidente che, durante tutto il ’300, i monaci cister­censi dell’abbazia di S. Galgano, ebbero in­teressi e proprietà fra le numerose ferriere situate sul F. Merse ed a Monticiano 77. Non è da escludere pertanto che le strutture sud­dette abbiano fatto inizialmente parte della rete produttiva cistercense 78. Divenuto tuttavia nel XIV secolo eremo ago­stiniano 79, Giugnano andò perdendo molta della sua importanza 80. La fitta maglia di insediamenti che intorno a questa abbazia si era creata si allenta e nei secoli seguenti le uniche forme di attività in quella zona risul­tano connesse alla ferriera ed al mulino. La ricognizione ha individuato 7 piccole con­centrazioni di ceramica medievale nei din­torni del complesso di Giugnano, topogra­ficamente situate nel punto di raccordo fra l’altura e la pianura alluvionale (Fig. 6). I materiali pertinenti a tali insediamenti, con­sistenti anche in frammenti di Maiolica Ar­caica, sembrano confermare un abbandono dell’area proprio al XIV secolo. Nel complesso quindi, la fase di massima densità insediativa nel nostro territorio ri­sulta collocabile fra la fine dell’XI secolo ed i primi del XIII. In questo periodo il paesag­gio si presenta infatti popolato da una serie di castelli o residenze signorili e da una ma­glia insediativa connessa alla suddivisione territoriale delle varie circoscrizioni ecclesia­stiche (Fig. 6), secondo un modello attesta­to anche in aree limitrofe 81. La chiesa rappre­senta infatti, molto spesso, a causa della de­centralizzazione dell’autorità, l’unico punto

77. ASS, Archivio Venturi Gallerani, t. XLIV, fasc. 6. 78. Cfr. FARINELLI 1992, p. 45, nota 31. 79. COTTINEAU 1939, col. 1288; KEHR, Regesta Pontificum Romanorum, vol. III, p. 264. 80. Non se ne trova più alcuna traccia nella docu-mentazione e nel XVII secolo parlando di Giugnano si farà riferimento solo alla ferriera ed al mulino; Sta­tuto di Roccastrada, 1612. Cardarelli sostiene che nel XIV secolo all’abbazia si sostituì un comunello, CAR-DARELLI 1932, 198. Tuttavia ricerche più recenti sul contado senese del XV secolo non hanno verificato l’esistenza di tale comunità: GINATEMPO 1988. 81. Questo quadro del paesaggio, nei secoli centralidel medio evo, presenta notevoli affinità con l’area scarlinese: CUCINI 1985, p. 311.

di riferimento per gli abitanti del contado 82. La nascita del comune di Siena ed il suo espandersi nel territorio comporteranno una progressiva perdita del potere temporale ed economico delle antiche organizzazioni ec­clesiastiche 83. Tale processo si riflette in maniera abbastanza evidente nello sposta­mento della popolazione all’interno dei bor­ghi fortificati, attestato anche dalla diminu­zione dei ritrovamenti databili al XIV seco­lo (Fig. 14).

4. LA CONQUISTA SENESE

A partire dal XIII secolo, con il declino del­la famiglia degli Aldobrandeschi 84, le varie dinastie locali dei castelli del territorio, fan­no atto di sottomissione al comune di Siena. Siena, in tal modo, da’ inizio ad un amplia­mento dei confini del suo contado in dire­zione meridionale proprio laddove minore era la resistenza. Mentre a nord-nordest della città, cioè in direzione di Firenze ed Arezzo, i confini erano bloccati, a sud poterono espandersi fino alla Tuscia romana 85. Si data al XIII secolo, prima fase di inter­vento senese, il sostanziale abbandono di al­meno due castelli del territorio (Fornoli e Torri) 86. La ricognizione di superficie sem­

82. Cfr. anche CAMBI et al. 1994. 83. Si veda anche CHERUBINI 1981. 84. L’imperatore Federico II dichiara, nel 1243, gli Aldobrandeschi rei di fellonia ed infeuda gran parte della Maremma al comune di Siena. Cfr. MARRARA

1961, p. 50. 85. Si osservi che la stessa struttura urbanistica dellacittà di Siena riflette questo processo: infatti mentre la via di Camollia, in direzione di Firenze, è circon­data da una cinta muraria che forma uno stretto cor­ridoio, a sud, l’abitato e la sua cinta si aprono a ven­taglio verso i possessi maremmani. 86. Fornoli, nonostante la sottomissione del 1202(SCHNEIDER, R.S. n. 402, 506, 510; ASS, C.V., 78, 79, 141, 836, 837), fu assediato e distrutto da Siena e Firenze nel 1272 perché rifugio di fuoriusciti ghibel­lini (PECCI 1766, p. 152; CAMMAROSANO, PASSERI 1976, II, p. 366). Si propose poi di rifortificare il sito, ma nessun documento attesta l’avvenuta fortificazione (ASS, Cons. Gen., 12 Aprile 1365, c. 40; PECCI 1766, p. 154). Anche il castello di Torri, divenuto rifugio di fuoriusciti ghibellini dopo la sottomissione a Siena nel 1205 (ASS, C.V., 83, 84), fu espugnato e demolito dalla Repubblica senese (PECCi 1766, 399; CAMMARO-SANO, PASSERI 1976, II, p. 158).

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Fig. 14 – Carta di distribuzione degli insediamenti nel periodo bassomedievale (secoli XIV-XV).

bra confermare, in questo caso, le notizie do- Sassoforte, la cui popolazione viene trasfe­cumentarie; non si è infatti rinvenuto, all’in- rita dopo la distruzione senese del 1330 88, terno di questi due insediamenti alcun re- risulta invece abbandonato in maniera defi­perto attribuibile ad epoca posteriore al XIII secolo 87.

Montepozzali e Castel d’Alma), attestato anche dai dati di superficie, CUCINI 1985, p. 304.

87. Si veda l’analogo precoce abbandono di alcuni 88. ASS, C.V., 868, 869, 870. CAMMAROSANO, PASSERI

castelli del territorio di Scarlino (Castellina, Tricasi, 1976; II, 157.

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nitiva solo più tardi. Nonostante la distru­zione sembra infatti che questo sito abbia continuato ad essere abitato stabilmente al­meno per tutto il XIV secolo 89. L’abbando-no deve essere avvenuto qui in maniera più graduale rispetto ai due casi precedenti 90. A questo stesso periodo si datano gli assedi di Siena al castello di Montemassi 91. L’abbandono degli insediamenti fortificati del territorio prosegue anche in epoca po­steriore (Litiano e Lattaia) 92. Si assiste in questi casi ad un processo graduale di scom­parsa o di trasformazione degli insediamen­ti. Tale processo, iniziato probabilmente con la crisi demografica del XIV secolo, prose­gue con la politica di sfruttamento senese e si conclude durante la guerra fra Siena e Fi­renze 93. Alle soglie del XIV secolo quindi il territo­rio si presenta già diverso da quello di un secolo prima. L’elemento caratterizzante del paesaggio è adesso costituito da una larga maglia di castelli, intesi come grossi borghi fortificati, cui fa capo tutto un territorio ru­rale 94 (Fig. 14). Nell’arco del XIII secolo questa parte della Maremma viene assumendo caratteristiche sempre più diversificate dal resto della To­

89. Abbiamo infatti rinvenuto, all’interno di tale in-sediamento numerosi frammenti di maiolica arcaica di produzione senese, databili anche alla seconda metà del XIV secolo (FRANCOVICH 1982). Tali frammenti sono in parte conservati presso i locali del Gruppo Archeologico di Roccastrada. Si veda anche FRANCO-VICH, GELICHI 1980, tav. 1. 90. In una petizione degli abitanti di Roccastrada silegge infatti che tale comunità chiede al Comune di Siena il permesso di poter pascolare il bestiame nella corte di Sassoforte essendosi gli abitanti di quel ca­stello trasferiti in gran parte a Roccastrada. ASS, Con­cistoro, 2133, c. 43, anno 1461. 91. Per l’assedio del 1328, si veda il contributo di R.Parenti in questo volume. 92. Il governo senese delibererà la distruzione del«casserum sive fortilitium» di Lattaia solo nel 1404 perché il suo mantenimento rappresentava per il co­mune una spesa troppo alta (ASS, Cons. Gen., 201, c. 140 r., 155, 156. A. Pecci sostiene che la repubblica senese aveva ordinato di fabbricare un nuovo inse­diamento in luogo «più atto a difendersi», ma il do­cumento citato non fa riferimento a tale ricostruzio­ne. Tuttavia l’insediamento continuò probabilmente ad essere abitato anche in seguito. Vedi anche i casi di “decastellamento” citati da SETTIA 1984, pp. 289 ss. 93. BONENNI COLONNA 1980, p. 225. 94. REDON 1982, p. 25.

Fig. 15 – Poggio di Mozzeta, ingresso di una galleria medievale per l’estrazione di minerali di rame e

piombo argentifero.

scana che vive, proprio in questo momento, la sua fase di massima fioritura economica95. La lontananza dalla città di Siena e dai mag­giori traffici commerciali ad essa connessi e la stessa morfologia del territorio, caratte­rizzato da un aspetto montuoso, con punte che in alcuni casi superano i 700 metri s.l.m. (Sassoforte 787 m e M. Alto), comportano qui una eccezionale persistenza degli istituti feudali ed un conseguente attardamento eco­nomico. Siena impiegherà infatti più di un secolo per sottomettere in maniera definiti­va quest’area ed otterrà il suo scopo molto spesso con la forza. L’insediamento sparso che caratterizzava in maniera piuttosto evidente determinate zone nei secoli precedenti, subisce una prima con­

95. CHERUBINI, FRANCOVICH 1973, pp. 877 ss.; PINTO

1982, p. 62.

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Fig. 16 – Pianura sotto Litiano, un pascolo dei giorni nostri.

trazione e gli insediamenti rurali si avvicina­no ai castelli. Ancor prima della crisi del XIV secolo, le fonti a nostra disposizione permet­tono di delineare un paesaggio nel quale la scarsità del popolamento sparso a poderi (dati ricognizione: Fig. 14), attesta una scar­sa diffusione della conduzione mezzadrile dei terreni 96, che altrove aveva già iniziato ad affermarsi 97. Essendo la diffusione del rap­porto mezzadrile direttamente connessa al-l’investimento di capitali cittadini per un certo tipo di sfruttamento agricolo del terri­torio, appare evidente che ci troviamo di fronte ad un’area, la cui peculiarità produt­tiva, basata su cerealicoltura, allevamento e soprattutto sullo sfruttamento delle risorse minerarie, aveva in qualche modo influen­zato le forme insediative, limitando l’esigen-za di un abitato a distribuzione capillare, più funzionale a certi tipi di sfruttamento agri­colo. Il paesaggio agrario risulta pertanto qui ca­ratterizzato da ampie coltivazioni a cereali nella pianura 98, da pascoli e boschi 99 e dalla

96. Si veda l’analogia con il territorio di Scarlino,CUCINI 1985, p. 313. 97. CHERUBINI, FRANCOVICH 1973, p. 885 ss. CHERUBI-NI 1981. Si veda inoltre PINTO, PIRILLO 1987. 98. ASS, Estimo, 231. 99. Vedi l’importanza del castagno per Torniella, ASS, Estimo, 67; statuto di Torniella. V.

presenza di coltivazioni intensive nelle zone più prossime ai castelli 100. In questo conte­sto possono agevolmente inserirsi tutte le attività connesse alla estrazione e lavorazio­ne dei metalli (Figg. 13 e 15), che sembrano subire un incremento a partire dall’inizio del XIV secolo, parallelamente al progressivo passaggio di questo territorio sotto il domi­nio del comune di Siena 101. È da sottolineare che, in questo periodo, i terreni lasciati incolti sono una minima per­centuale. Il popolamento, pertanto, sebbe­ne concentrato, non sembra subire sensibili flessioni. La radicale trasformazione di que­sto paesaggio avverrà più tardi, dopo la di­minuzione demografica del XIV secolo ed a seguito di decenni di politica di sfruttamen­to da parte della Repubblica di Siena. La ricognizione di superficie non ha potuto evidenziare le tracce di questa crisi nel terri­torio esaminato, poiché il popolamento si era già in gran parte raccolto attorno ai ca­stelli. Tuttavia una testimonianza importan­te, per le condizioni del contado nel perio­do immediatamente seguente, è offerta, come in parte abbiamo già visto, dalla docu­mentazione scritta 102. I documenti delinea­

100. ASS, Estimo, 54, 231, 232, 238.101. Cfr. FARINELLI 1992.102. ASS, Concistoro.

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no un paesaggio ancora diverso da quello di base della radicale trasformazione economi­un secolo prima. In questo senso uno degli ca e “paesaggistica” che caratterizzerà la Ma­elementi più significativi è rappresentato dal- remma come terra inospitale e meta esclusi­lo sviluppo dell’allevamento a detrimento va della transumanza. della coltura cerealicola, che predominava La repubblica di Siena stessa si avvia, nel XV nei secoli precedenti 103 e quindi da una esten- secolo, verso una progressiva ruralizzazione sione di pascoli e prati a scapito dei semina- a coronamento di una politica che non si era tivi (Fig. 16). mai voluta emancipare dal prestigio della Impaludamento e malaria, che già erano pre- proprietà terriera. Ciò la porterà ad assu­senti fra i problemi delle comunità, comin- mere una funzione subalterna nei confronti ciano probabilmente ad aggravarsi proprio di Firenze, prima solamente da un punto di con l’estensione dei pascoli e con l’abban- vista economico, poi anche da quello politi­dono delle coltivazioni. co, con la conquista fiorentina del 1555 105. Il processo di spopolamento, che nel XVI La conquista medicea non comporta tutta­secolo si accentuerà ulteriormente 104, sta alla via uno smembramento dello Stato Senese

che entra a far parte della nuova realtà poli­tica come entità autonoma 106.

103. ASS, Estimo. S. G.104. SERENI 1976, 241-246. Si veda anche il quadro,

molto evidente, presentato da M. Ginatempo, per quanto riguarda il lento processo di spopolamento delle comunità della Maremma GINATEMPO 1988, Ap- 105. PINTO 1982, p. 89. pendice 2. 106. MARRARA 1961, pp. 142-143.

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