I femminielli napoletani: (id)entità e corpi sociali

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  AURORA CUOMO, S ERENA FERRARA,  V INCENZO R OMANO, N ICOLA SISCI, P  AOLO V  ALERIO I femmini elli napoletani: (id)entità e corp o social e Premessa Il presente contributo, che si configura come un’articolazione di ta- glio socio-storico-culturale di un lavoro del gr uppo di ricerca 1 sull’identi- tà di genere attivo presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Università degli Studi di Napoli “Federico II” 2 , è teso ad approfondire la riflessione sul rapporto che la città di Napoli ha da sempre intrattenuto con la “di-  versità”. Nello specifico si è tentato di rintracciare, storicamente e cultu- ralmen te, la presenz a di un personagg io della Napol i popolare , espres- sione di una particolare declinazione dell’omosessualità meridionale: il femminiello napoletano. Da un punto di vista metodologico sono state vagliate le fonti lette- rarie e iconografiche reperite negli archivi storici napoletani e le testimo- nianze dirette di alcuni degli ultimi “femminielli” viventi. È analizzato il modo in cui le suddette fonti testimoniavano della rappresentazione so- ciale che si andava producendo, di epoca in epoca, attorno a questo fe- nomeno, con il proposito di indagare le trame storico-culturali della pre- senza e della progressiva scomparsa di questo peculiare character della Napoli popolare. 251 1 Gruppo di ricerca-intervento “Progetto Orlando”. Dipartimento di Neuroscien- ze, Università degli Studi di Napoli “Federico II”. 2 Lo scritto affianca la realizzazione di due documentari prodotti dall’Università degli Studi di Napoli “Federico II” (La candelora a Montevergine: nuove tradizioni, antichi diritti , di Nicola Sisci; Cerasella: ovvero estinzione della femminella , di Massi- mo Andrei) tesi a far luce sui rapporti esistenti tra genere, cultura e tradizione, all’in- terno della cultura arcaica mediterranea, nel caso specifico di quella napoletana.

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 AURORA CUOMO, SERENA FERRARA, V INCENZO R OMANO, NICOLA SISCI, P AOLO V  ALERIO

I femminielli napoletani: (id)entità e corpo sociale 

Premessa 

Il presente contributo, che si configura come un’articolazione di ta-glio socio-storico-culturale di un lavoro del gruppo di ricerca1 sull’identi-tà di genere attivo presso il Dipartimento di Neuroscienze dell’Universitàdegli Studi di Napoli “Federico II”2, è teso ad approfondire la riflessionesul rapporto che la città di Napoli ha da sempre intrattenuto con la “di-

 versità”. Nello specifico si è tentato di rintracciare, storicamente e cultu-ralmente, la presenza di un personaggio della Napoli popolare, espres-sione di una particolare declinazione dell’omosessualità meridionale: ilfemminiello napoletano.

Da un punto di vista metodologico sono state vagliate le fonti lette-rarie e iconografiche reperite negli archivi storici napoletani e le testimo-nianze dirette di alcuni degli ultimi “femminielli” viventi. È analizzato ilmodo in cui le suddette fonti testimoniavano della rappresentazione so-ciale che si andava producendo, di epoca in epoca, attorno a questo fe-

nomeno, con il proposito di indagare le trame storico-culturali della pre-senza e della progressiva scomparsa di questo peculiare character dellaNapoli popolare.

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1 Gruppo di ricerca-intervento “Progetto Orlando”. Dipartimento di Neuroscien-ze, Università degli Studi di Napoli “Federico II”.

2 Lo scritto affianca la realizzazione di due documentari prodotti dall’Università

degli Studi di Napoli “Federico II” (La candelora a Montevergine: nuove tradizioni,antichi diritti , di Nicola Sisci; Cerasella: ovvero estinzione della femminella , di Massi-mo Andrei) tesi a far luce sui rapporti esistenti tra genere, cultura e tradizione, all’in-terno della cultura arcaica mediterranea, nel caso specifico di quella napoletana.

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1. Elementi di struttura 

Per cominciare, ci proponiamo di esplorare trasversalmente più fe-nomeni che hanno contribuito alla produzione sociale di rappresentazio-ni dicotomiche del genere. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, cisembra di scorgere nello stereotipo dell’immagine virile, che ha giustifi-cato un modello di Stato improntato all’espansionismo e alla conquistamilitare – durante il Ventennio fascista – un passaggio importante che haavuto probabilmente forti risonanze anche sulla rappresentazione dell’o-mosessualità. Lo stereotipo di virilità (fondato sull’autocontrollo e la for-za di volontà) in epoca moderna e contemporanea, trovò il suo acme inItalia, nell’epoca fascista, come concetto formativo dei ceti popolari re-

clutati alla difesa della patria. Di riflesso, anche l’intolleranza verso gliomosessuali, in questo preciso periodo storico, fondava la propria forzasu un’immagine stereotipata dell’omosessualità ancorata al dato fisico:l’atto sessuale tra uomini.

Crediamo che questo atteggiamento desoggettivante non sia stato ri- volto solo agli omosessuali, quanto piuttosto ad ogni uomo e donna; essoha come oggetto da colpire proprio il soggetto della passione e del desi-derio, desiderio che, di qualunque natura e tendenza sia, deve rimaneresopito e far risaltare il legame matrimoniale eterosessuale legittimato, isti-tuzionalizzato, confinato al talamo nuziale e finalizzato alla riproduzione.

Osserviamo che la rilevanza dell’immagine e dei suoi risvolti identitarie sociali è quella che poi ritroviamo anche come tratto distintivo degli omo-sessuali passivi effeminati che, nelle diverse culture, si é incarnata in formee ruoli sociali differenti; la destinazione sociale attribuita loro rappresenta laspecificità che taglia trasversalmente culture, luoghi e tempi: ci riferiamonon solo al femminiello napoletano, ma anche agli Hijras 3, ai Berdache 4; i

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3 Gli Hijras abbandonano la famiglia di nascita, rinunciano alla sessualità maschi-le, assumono nome, abbigliamento e identità femminili diventando “sacerdotesse”della dea Buchara Mata. Godono di una posizione particolare all’interno della societàindiana. Non si tratta di un rango prestigioso, perché vengono associati alle prostitutee ai marginali; sono, però, considerati detentori di un potere sovversivo, per il qualeincutono un certo timore reverenziale.

4 I Berdache indiani rappresentavano, tra i popoli nativi americani, la categoriadel “terzo sesso”, quella ermafrodita o Nadle ; mutavano genere senza mutare sesso.Godevano di uno status particolare, avevano compiti specifici e un abbigliamento pe-culiare (dotate di uno status quasi Sacro: diventavano spesso guaritori, consiglieri, te-

rapisti, grandi sacerdoti, sciamani). Il termine deriva dal persiano “bardaj”, che origina-riamente indicava partner omosessuali passivi, in genere graziosi, o ragazzi effeminati.I Berdache indiani erano molto differenti dalla visione europea dei “berdaj” come “ere-tici sodomiti”, così come scritto dai crociati quando invasero la Persia nel Medioevo.

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Kwolu-aatmwol 5, i Bayot 6, i Waria e i Mahu 7. Queste figure tanto diver-se per la loro appartenenza a differenti contesti evocano suggestive so-miglianze. Esse sono soggettività che si oggettivizzano a partire da un

ruolo sociale che si gioca sul potere di una rappresentazione condivisada chi appartiene a quel contesto, contro la caducità del corporeo e delconcreto; figure a metà che “incarnano l’astratto”, esercitando una sugge-stione e una fascinazione che non passa sul piano cosciente e che si av- vicina a quella mistico-religiosa. Ricordiamo che rispetto alla sessualitàoccidente e oriente hanno prodotto rappresentazioni culturali e socialimolto differenti (forse dovute alla diversità della morale che in occidenteaffonda le radici nel cattolicesimo sessuofobico). La filosofia spiritualeindiana non solo accettava l’idea di un terzo sesso che stravolgeva la lo-

gica binaria tipicamente occidentale, ma ne incoraggiava anche l’affer-mazione e l’espres sione.

La contrapposizione tra il reale del corpo e l’immaginario desideriodi occupare una posizione sempre altra, trova in queste figure così sug-gestive una sintesi che evoca la nostalgia per il momento primigenio del-l’Uno  indifferenziato e sepolto nella memoria di ogni corpo. “Memoria”comune che colloca queste soggettività in una terra di nessuno e al tem-po stesso di tutti: lontane per un verso, vicine per un altro, guardate con

simpatia e benevola accettazione in un momento, in quello successivoderise e rimosse.

2. Elementi di storia 

Ritroviamo la prima testimonianza di accettazione popolare degli ef-feminati nel V secolo d.C. nel testo di Salviano di Marsiglia8, un sacerdo-te esperto in lettere umane e divine. L’accusa è mossa dall’autore non so-

lo contro le «turpitudini dei pochi», ma anche, in modo forse ancora piùincisivo, contro l’accondiscendenza e il plauso dei molti:

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5 I Kwolu-aatmwol o “esseri femminili che si trasformano in maschili” dal puntodi vista medico hanno una rara forma di ermafroditismo, chiamata “deficienza di alfa-5 reduttasi”. In alcuni casi questi individui venivano uccisi alla nascita; la maggioranzaera, invece, allevata secondo un modello mascolino (diventavano spesso sciamani ocapi guerrieri), pur conservando nella loro identità alcuni elementi femminili.

6 I Bayot appartengono alla società Cebuan delle Filippine.7 I Waria e i Mahu sono rispettivamente indonesiani e tahitiani.8 S. di Marsiglia, De Gubernatione Dei, Patrologia Latina , vol. 53, 450 d.C., trad.

it. di S. Cola, Il Governo di Dio , Città Nuova, Roma 1994.

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quando i maschi si vestivano da donne e camminavano ondeggiando peggiodelle donne, quando si legavano addosso certi pendenti raffiguranti mo-struose oscenità e si coprivano la testa con veli e fermagli femminili, quandotutto ciò avveniva pubblicamente in una città romana, la più grande e famo-

sa di quelle province, ebbene, non era forse una vergogna per tutto il restodell’impero romano il fatto che nel seno stesso dello stato si permettevaapertamente uno scandalo così esecrando?9

Nel Governo di Dio l’autore si sofferma a lungo a dibattere sulla pre-senza, nelle province dell’Impero romano, di uomini effeminati che si ve-stivano e si comportavano come donne. L’autore paragona questa “im-moralità” della sfera sessuale ad altre corruzioni morali responsabili delladecadenza dell’Impero Romano. Pur tuttavia, il frammento riportato sem-

brerebbe attestare l’ipotesi di una felice coesistenza e amalgamazione diquesti fenomeni non solo nella popolazione, ma anche agli occhi di co-loro che avrebbero dovuto giudicare e punire:

e così quasi non fosse stato abbastanza abominevole che solo gli autori diquelle oscenità fossero deturpati da quel vizio, facendone essi una profes-sione pubblica, lo trasformavano in un crimine collettivo. Tutti gli abitanti cel’avevano sotto gli occhi e non si ribellavano. I giudici ne erano al correntema chiudevano gli occhi. Il popolo osservava e applaudiva. Si diffuse per-

tanto in tutta la città questa vergognosa associazione a delinquere e le loroazioni benché non fossero compiute da tutta la popolazione, diventavanocolpa comune, complice l’assenso generale10.

Le fonti letterarie in nostro possesso attestano la presenza di figuredalle sembianze simili a quelle che oggi ci permettono di identificare ilfemminiello napoletano come omosessuale passivo effeminato che pre-dilige la compagnia femminile e desidera come partner il maschio atti- vo, cosiddetto “eterosessuale”. La prima risale al 1500 ed è una descri-

zione di un effeminato a Napoli presente nel De Humana Physiogno- monia di Giovan Battista Della Porta11. Come testimonianze iconografi-che abbiamo rinvenuto un acquerello di Anonimo del XVIII secolo, cheritrae una scena campestre in cui due contadinelli effeminati ballano latammurriata, attorniati da figure popolane in festa (Fig. 1). L’acquerellodarebbe la misura di quanto un fenomeno come quello dell’omosessua-lità, attraverso la mediazione della tradizione, trovasse un posto per esi-

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9 Ibidem .10 Ibidem .11 G.B. Della Porta, De humana physiognomonia , rist. anast. della I ed., 1586,

Istituto Suor Orsola Benincasa, Napoli 1986.

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stere fino a diventare iconograficamente rappresentativo di una culturae di un popolo. In Usi e costumi dei camorristi 12 troviamo, invece,un’ampia categorizzazione delle forme dell’omosessualità nelle sue va-rie declinazioni, che risente molto dell’impostazione lombrosiana. La di-stinzione dicotomica tra ruolo attivo e passivo deciderebbe in questocaso la differenza tra un maschile simbolicamente dominante e un fem-minile dominato, venendo ad assurgere a rito simbolico di affermazionedi una certa logica di potere. Con un salto di quasi un secolo rinvenia-mo la stessa figura ne La pelle 13 in cui è descritta ’a figliata d’e femminiel - 

li , un rituale mutuato dall’antico rito della fertilità e praticato per secolinella città di Napoli. Il medesimo rituale è descritto inoltre nella Napoli 

esoterica di Buonoconto14.

3. I femminielli e il corpo sociale 

Se questa preliminare disamina ha permesso di fornire un orientativoquadro di insieme del fenomeno, che desse il senso della presenza diquesto personaggio attraverso i secoli e le diverse culture, ora si cerche-rà di entrare nel vivo della questione, approfondendo l’analisi delle fontie prospettando alcune ipotesi interpretative.

Il tentativo di avanzare un’analisi lessicale del suddetto termine,per rintracciare la rappresentazione che esso contribuisce a veicolare,non ha pretesa di esaustività. Siamo consapevoli, inoltre, che avanzareun’ipotesi che si muove sul piano linguistico e lessicale equivale, giocoforza, ad avanzare un’ipotesi interpretativa su un fenomeno antropolo-gico-relazionale. Il termine femminiello è costituito dalla radice  fem- 

min- , dall’alterazione -ell- e dalla desinenza -o. La radice  femmin-  ri-manderebbe ad un posizionamento/attribuzione riguardo al genere

femminile, che si connoterebbe in un senso maggiormente identitario(sentirsi femmina) o più semplicemente di ruolo (comportarsi comeuna femmina). L’orientamento verso il ruolo di genere che sembra es-sere giustificato dalla rappresentazione socialmente condivisa del fem-miniello sarebbe desumibile dall’alterazione e dalla desinenza. L’altera-zione -ell - è un diminutivo con un aggiunto valore di vezzeggiativo: il valore diminutivo andrebbe a sottolineare sia una dimensione “ridutti- va” dell’essere (e, quindi, del non essere) femmina, sia un atteggiamen-

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12 A. Di Blasio, Usi e costumi dei camorristi , Pierro, Napoli 1897.13 C. Malaparte, La pelle: storia e racconto , Aria d’Italia, Roma 1949.14 M. Buonoconto, Napoli esoterica , Newton, Milano 1999.

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to di “benevola subordinazione e copertura” sotteso ad una percezionedi “piccolo e incompiuto”. Il valore vezzeggiativo aggiuntivo, da un la-to esprimerebbe un’istanza di consenso (con quanto di sentimentale,tenero e bonario è insito nella costellazione affettiva della rappresenta-zione sociale), dall’altro posizionerebbe il soggetto, che ne è destinata-rio, in una dimensione di beffa e di scherno leggero che rimanderebbe,probabilmente, ad una necessità di distanziamento da ciò che, essendocosì diverso, suscita turbamento. In sintesi è nell’alterazione -ell- che verrebbe incarnata tutta l’ambiguità insita nella rappresentazione socia-le del femminiello. La desinenza -o , che nella lingua italiana esprime ilgenere maschile, fungerebbe da contraltare alla questione posta dallaradice  femmin- , andando a mitigare la forza di contenuto che essa

esprime, riportando, così, in tale denominazione, l’idea di un agganciocon il principio di realtà. Spingendoci oltre potremmo supporre che laradice femmin- è come se rimandasse al “voler essere”, la desinenza -o 

all’“essere reale”, mentre l’-ell- a tutto ciò che “potrebbe essere” (le infi-nite coloriture affettive intermedie legate alla rappresentazione di que-sto character ).

Il femminiello ha come unica possibilità, per esistere e avere un po-sto nel sistema di quartiere, quella di essere ciò che il nome indica e nul-la che possa divergere da questo. Ciò per dire che la “denominazione”assegna, nello stesso momento, un duplice statuto al “nominato”: lo col-loca in una posizione che ne rende possibile l’esistenza per l’altro (per ilsociale) e al tempo stesso lo condanna a confermare “passivamente”un’unica possibilità di esistere; per dirla in modo differente, lo consacraalla vita alienandolo nel “nome sostantivato”. Questo è ciò che poi, nelcaso specifico dell’effeminato passivo si traspone anche sul piano dellosguardo: il femminiello può esistere “socialmente” solo in funzione diuno sguardo che lo vivifica e lo alimenta costantemente. La teatralità e

l’esibizionismo sono di fatto parte pregnante della socialità del femmi-niello. Questa rappresentazione double-face  del femminiello, scissa trafascinazione da un lato e distanziamento/isolamento dall’altro, sembra ri-confermarsi anche nella contestualizzazione socio-geografica di tale cha- 

racter , all’interno dei quartieri poveri popolari. A nostro avviso il femmi-niello potrebbe rappresentare per gli altri uomini una deroga al divieto,la possibilità, rinvenuta nel simile, di essere altro da ciò che i codici sim-bolici prescrivono con la loro trascendenza sul piano del reale; mad’altra parte potremmo, sempre per ipotesi, pensare che alla fascina zio-ne/attrazione fa da controparte la spinta a segregare, a tenere serrato inuna delimitazione spaziale circoscritta, il ventre di Napoli, ciò che di piùperturbante esista: l’incontro con la realizzazione di un desiderio origi-

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nario15. Ed è questo ventre, tessuto sociale omogeneo e pur tuttavia con-densato di eterogeneità, che diviene l’unico possibile ricettacolo della co-esistenza di sacro e profano. Queste “unioni” o fusioni di elementi diver-

si, trovano una radice comune anche nell’esoterismo che a Napoli è fattorisalire al Medioevo, a “Virgilio Mago”, ma che di fatto comincia moltoprima con i Misteri Isiaci, legati alla cultura degli alessandrini che a Napo-li costituirono una rilevante colonia. La figura del Dio Nilo16 che troneg-gia nell’omonima piazzetta è l’evidente simbolo di questa commistione diculture e riti. La compresenza di sacro e profano è fusa con la napoleta-neità, intesa, qui, come manifestazione tradizionale e artistica della città.Basti pensare all’inserimento nel presepe napoletano di una figura cosìdissacratoria e profana, come quella del femminiello, accanto alle figure

della sacralità, oppure alla ormai quasi estinta usanza per cui i femminiel-li dei quartieri spagnoli organizzavano gruppi di pellegrini per la iuta 17.

Prendendo in prestito il costrutto teorico delle rappresentazioni socia-li18, ipotizziamo che la rappresentazione sociale del femminiello a Napoli

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15 Ci riferiamo qui alla questione del desiderio così come affrontato dalle princi-pali teorie ad orientamento psicoanalitico: si intende con ciò una modalità di funzio-namento molto precoce della psiche umana che rappresenta se stessa in rapporto al-

l’alterità (alla realtà) secondo schemi rappresentazionali improntati alla fusione e al-l’indifferenziazione. In questa accezione l’identità al confine tra maschile e femminileche caratterizza i femminielli mantiene assieme elementi che sul piano simbolico sonotenuti separati, realizzando un esempio di fusionalità che, probabilmente, muove, sulpiano dell’inconscio collettivo, all’attrazione da un lato, alla minaccia della castrazionedall’altro. In questo senso possiamo affermare che il desiderio di essere un tutto indif-ferenziato (dunque anche un maschile e un femminile allo stesso tempo) è un deside-rio che resta incistato nei livelli protomentali e presimbolici dell’esistenza psichica.

16 Tutta la zona che si estende dalla Cappella di Sansevero a Palazzo Corigliano,costeggiando piazza San Domenico e inoltrandosi in piazzetta Nilo è dominata daqueste forze misteriose che si aggirano sui luoghi ove sorgeva il tempio di Iside, al disotto del quale si dice che scorra ancora un fiume sotterraneo che influenza tutta lazona con la sua “forza buona”.

17 Modo popolare di descrivere l’ascesa dei pellegrini al santuario di Montevergi-ne (Avellino) in occasione della festa della Candelora, che si tiene il 2 febbraio diogni anno.

18 Una rappresentazione sociale è un sistema di valori, nozioni e pratiche che per-mettono agli individui di orientarsi nel loro ambiente sociale e materiale e di dominar-lo. Essa costituisce un sistema di riferimento che consente di attribuire un senso all’inat-teso, ma è anche una categoria che serve a classificare le circostanze, gli avvenimenti egli individui con i quali interagiamo, inoltre, una teoria che ci consente di deliberare su

di essi. Come sottolinea Jodelet [D. Jodelet (a cura di), Le rappresentazioni sociali , Li-guori, Napoli 1992] rappresentare è “fare da”, “essere al posto di”, ma è anche “ri-pre-sentare”, rendere presente allo spirito, alla coscienza. In questo senso è lecito afferma-re che la rappresentazione sociale possiede aspetti significanti, creativi ed autonomi.

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sia probabilmente, da un punto di vista formale, una rappresentazionesociale agonale o critica19. Il femminiello (femmenella in un’accezione lie- vemente negativa) nella cultura napoletana è una figura atipica che come vedremo struttura la propria relazionalità in un contesto preciso:

O femminiello nasce nei vicoli, con famiglia numerosa e con molte sorelle efratelli a carico. Per questa sua diversità, finché è adolescente viene delegatoai servizi di casa diventando così lo “schiavuttiello” della famiglia; poi, cre-scendo, trova un ruolo preciso all’interno dell’economia del vicolo, fatto tut-to di servizi e di favori compensati con laute mance; col passare degli anni,infine, stanco del suo ruolo di “donna di casa” e del quartiere, cerca la pro-pria identità facendo diventare produttività la sua diversità, diventando“donna (!) da marciapiede”, aiutando così, con i soldi guadagnati, il bilancio

familiare. Il suo essere diverso dentro la famiglia e il gruppo sociale non glicrea eccessivi problemi, la sua diversità è accettata dal suo mondo popolare,essendo Napoli città tollerante “cattolicamente-pagana” dove tutte le avversi-tà della vita vengono lette in chiave biblica.

Il femminiello trova un’isola privilegiata (come affermato da Della Ra-gione20) nei “quartieri” napoletani dove rientra di buon diritto nell’eco-nomia del vicolo e in alcuni casi (come in quello della “figliata”) assumequasi un ruolo mistico ed esoterico, al pari dell’antico ermafrodito.

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19 Secondo Moscovici è possibile distinguere tre differenti classi di rappresenta-zioni: le rappresentazioni sociali chiuse , i cui elementi si trovano in maniera uniformee simile in tutta una popolazione; le rappresentazioni sociali agonali o critiche , i cuielementi sono pressappoco gli stessi in tutta la popolazione, ma il cui significato è de-terminato da valori differenti e persino opposti; le rappresentazioni sociali aperte , icui elementi sono distribuiti tra le diverse categorie della popolazione in modo taleche, per ritrovare la loro coerenza, è necessario combinarli. Una rappresentazione so-ciale può essere analizzata secondo tre dimensioni. L’informazione , cioè la quantità

delle conoscenze possedute su di un oggetto. Il campo della rappresentazione , cioèl’organizzazione del contenuto, che presuppone un minimo di informazione, all’inter-no del quale vengono poi organizzate le altre informazioni. L’atteggiamento , cioè l’o-rientamento positivo o negativo verso l’oggetto della rappresentazione, che ne rap-presenta la parte più arcaica. Esso esiste anche quando l’informazione è limitata ed ilcampo della rappresentazione poco organizzato (C. Herzlich, La représentation socia- 

le , in S. Moscovici, Introduction à la psychologie sociale , vol. 1, Larousse, Paris 1972).È molto difficile individuare una metodologia specifica per lo studio delle rappresen-tazioni sociali, sia per l’estrema complessità del costrutto, sia per l’ambiguità concet-tuale che, all’interno del dibattito sulla ricerca nelle scienze sociali, contraddistingue il

termine metodo. È possibile individuare tre accezioni del termine metodo: un primorelativo al processo di raccolta dei dati, un secondo significato relativo alle fonti deidati e un terzo relativo alle tecniche di analisi dei dati.

20 A. Della Ragione, Le Ragioni di della Ragione , Biocontrol Press, Napoli 2005.

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Il femminiello gode quindi di una “bonaria” tolleranza in tutti i quartieri poveridella città, dove collabora attivamente all’arcaica economia del vicolo e dove,per la cultura popolare, non è mai un deviato, ma al massimo uno stravagante,che ama travestirsi ed imbellettarsi come una donna, assumere movenze e to-

nalità vocali caricaturali, amplificate da una gestualità quanto mai espressiva21.

 A Napoli i principali elementi discriminanti la figura del femminiellosono verosimilmente condivisi e costituiscono specifiche modalità di or-ganizzare in termini di contenuti e di spiegazioni familiari ciò che, alcontrario, è ritenuto difficilmente spiegabile. Tuttavia riteniamo che ledifferenze relative allo status sociale ed economico, nonché le differenzeideologiche, di pensiero politico e religioso in seno alle differenti classisociali, abbiano implicato significazioni differenti e talvolta opposte delfenomeno. L’atmosfera accogliente, segnata dal consenso e dal buonu-more, espressione di una rappresentazione sociale specifica, ha caratte-rizzato soprattutto i quartieri popolari; al di fuori di questo contesto larappresentazione sociale del femminiello e la conseguente modalità dirapportarsi ad esso probabilmente non saranno state le medesime.

 Abbiamo finora cercato la presenza di questo personaggio tradizio-nale all’interno della vasta produzione letteraria napoletana, passando al vaglio le opere di giovani intellettuali della seconda metà del XVIII seco-

lo che hanno lasciato resoconti dei loro viaggi napoletani22

. Sono state vagliate le cronache del periodo fascista durante il quale questi perso-naggi furono esiliati con il risultato (atteso) di non rivenire alcun riferi-mento nelle produzioni artistiche del periodo.

Come già detto, la prima fonte utile rintracciata ci riconduce a Gio- vanni Battista Della Porta, che in De Humana Physiognomonia scrive:

nell’isola di Sicilia son molti effeminati, et io ne viddi uno in Napoli di pochipeli in barba o quasi niuno; di piccola bocca,di ciglia delicate e dritte, di oc-chio vergognoso, come donna; la voce debole, sottile, non poteva soffrirmolta fatica; di collo non fermo, di color bianco, che si mordeva le labra; etinsomma con corpo e gesti di femina. Volentieri stava in casa e sempre conuna faldiglia come donna attendeva alla cucina et alla conocchia; fuggiva gliomini, e conversava con le femine volentieri, e giacendo con loro, era piùfemina che li stesse femine; ragionava come femina, e si dava l’articolo fem-mineo sempre: “trista me, amara me”23.

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21 Ibidem .22 G. Galasso, Napoli capitale: identità politica e identità cittadina , Electa, Napoli

1998.23 G.B. Della Porta, De humana physiognomonia , cit.

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In questo frammento è rilevabile, forse, la prima descrizione di unfemminiello napoletano. Finora non siamo riusciti a rintracciare alcun al-tro testo che fornisse elementi cosi dettagliati (anche se esigui) sul pianofenomenologico. L’autore si sofferma sia sugli aspetti morfologici, sia suquelli comportamentali; è su questi ultimi che intendiamo investire lanostra attenzione. Il personaggio descritto si comporta come se fosseuna donna e ragiona come una donna; infatti «attendeva alla cucina et al-la conocchia», attività di squisita competenza femminile; «fuggiva gli omi-ni, e conversava con le femine volentieri», assumendo così la modalitàrelazionale tipica delle donne del tempo. Nell’opera non emergono de-scrizioni di accadimenti discriminatori: ciò che descrive l’autore è ciò cheè presente lì, in quella strada di Napoli, che così fortemente cattura la sua

attenzione e che, quindi, probabilmente rientra nell’“ecologia” di quellospecifico contesto. Questo potrebbe riflettere la tolleranza di cui, già inquegli anni, il femminiello godeva.

Nel 1867 Abele De Blasio, nella sua opera Usi e costumi dei camorri- 

sti 24, descrive la cerimonia, definita “’o spusarizio masculino”, con la qua-le i femminielli celebravano il loro “sodalizio” con i camorristi. L’autorescrive:

Giunti che sono i ricchioni alla prima alba della pubertà, sentono il bisogno

di essere... goduti; e, trovato che hanno l’ommo ’e mmerda (pederasta atti- vo), l’amano, come ben si espresse il Mantegazza25, con una passione vera,ardente, che ha tutte le esigenze, tutte le gelosie di un amor vero. Il vasetto,tutto contento dell’acquisto fatto, colma di carezze l’amante e poi cerca rag-gruzzolare quel tanto che è indispensabile per preparare l’ara dove sponta-neamente va ad offrirsi in... olocausto. Il luogo del sacrifizio è quasi semprequalche lurida locanda, dove in giorno ed in ora stabilita si fa trovare l’a-mante, qualche sonatore di organetto e chitarra ed una schiera di ricchioni,che fan corona alla timida... fanciulla. Dopo un balletto erotico, il più pro- vetto della... materia augura alla felice coppia la buona notte; ma la sposina,prima di lasciar partire gl’invitati, distribuisce loro i tradizionali tarallucci e vino. Il giorno dopo, ’o ricchione anziano, accompagnato da un caffettiereambulante, porta agli sposi due tazze piccole di latte e caffè e poi fa nel tala-mo un’accurata rivista per accertarsi se il sacrifizio fu compiuto in tutta rego-la. Dopo la luna di miele, che non dura oltre le 24 ore, e verso sera il sacrifi-cato principia a serpeggiare pei quartieri più alti della città per procurarsi,come fanno le prostitute, qualche soggetto che conducono nella locanda diD. Luigi Caprinolo, detto ’o capo tammurro, o, se la persona è pulita (signo-re), nella casa particolare di donna Benedetta ’a turrese. Intanto mentre

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24 A. De Blasio, Usi e costumi , cit., pp. 153-158.25 P. Mantegazza, L’amore degli uomini , Mantegazza, Milano 1886.

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l’attivo guazza in quel “loco d’ogni luce muto”, un altro mascalzone, che giàse ne stava nascosto sotto il letto, gl’invola dagli abiti il portafogli o qualchealtro valore… Le nostre femminelle di giorno si occupano di faccende dome-stiche, appunto come fanno le donne, e poi in ora stabilita si fanno alla fine-

stra ed aspettano i loro amanti. Parecchi vasetti, per rendersi ai soggetti piùattraenti, si truccano gli occhi, altri si fanno tatuare sul viso qualche neo dibellezza e molti, mediante ovatta, cercano rendersi più formose le parti po-steriori e più sporgente il petto. Qualcuno si femminizza anche nel nome. Ilprezzo che ricavano dal loro ignobile mestiere lo versano ai loro mantenuti

Lungi dal considerare il frammento come un’autentica testimonianzadi quanto precisamente poteva accadere in quei tempi, l’opera in que-stione riflette, proprio come in quella precedentemente citata, il campo

della rappresentazione sociale del femminiello napoletano. Nella primaparte del frammento emerge la chiara distinzione tra l’omosessuale attivoe l’omosessuale passivo, quest’ultimo riferito, appunto, al femminiello.Secondo questa concettualizzazione, come affermato da Giovanni Dal-l’Orto:

  viene posta una netta separazione fra colui che viene individuato comel’“omosessuale” in senso stretto, (cioè l’individuo che assume il ruolo “passi- vo” nel rapporto sessuale) e l’individuo che assume il ruolo “attivo”. Per indi-care il “passivo” esistono parole specifiche: in Italia arruso o recchione/ric - chione , per indicare l’omosessuale passivo che non si traveste, e  femminiel- lo/femmenella per segnalare l’omosessuale passivo che si traveste, in Spagnaloca , in Brasile bicha , in Nord Africa zamel . Al contrario l’“attivo” non si diffe-renzia, né concettualmente né con un nome a sé, dal maschio/macho etero-sessuale. Le conseguenze di queste differenziazioni sono importanti e salta-no subito all’occhio. In primo luogo solo il femminiello, cioè l’omosessualepassivo (riconoscibile esteriormente da un comportamento effeminato, chenel caso del femmenella arriva al travestitismo vero e proprio), sente il biso-gno di costruire una sottocultura, di creare un gergo, di favorire la socializza-

zione coi suoi “simili”. In secondo luogo i membri della sottocultura ritengo-no generalmente inconcepibile avere rapporti sessuali l’uno con l’altro. Ilrapporto sessuale fra due ricchioni è indicato dal gergo con espressioni iro-niche, come “lesbismo” o “fare l’uncinetto” (implicando che questo tipo dirapporto non sia altro che un coito fra due “donne”, a cui manca l’apportodel “vero maschio”)26.

Nell’ottica di questa sottocultura hanno significato solo i rapporti ses-suali fra un femminiello ed un “maschio”. I rapporti fra due “maschi” o

due “femminielli” sono privi di senso, se non inconcepibili, come ci con-ferma la testimonianza di “a Russulella”, protagonista del documentario

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26 G. Dall’Orto, www.giovannidallorto.com/cultura/medit/medit.html#3.

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di Andrei. Un altro aspetto degno di attenzione riguarda questa sorta disodalizio che il femminiello, secondo De Blasio, costruiva con la camor-ra. Piegandosi alle leggi della camorra napoletana di quegli anni, il fem-miniello rientrava nell’economia del suo quartiere favorendone il funzio-namento. Questo ci conduce alla questione del contributo che il femmi-niello dava direttamente o indirettamente al suo ambiente. La questionenon riguardava però soltanto un vantaggio in termini di guadagno o rien-tro economico, ma assumeva significati altri se estesa ad aree simboliche.

Nella rappresentazione sociale del femminiello intervengono aspettiche possiamo collocare su un doppio registro: un piano su cui sono rin-tracciabili fattori che riguardano l’insieme di idee, rappresentazioni men-tali, pensieri collocabili su un versante più strettamente “cognitivo”. È da

questo piano che emerge la rappresentazione di un femminiello relativaalla logica dicotomica maschile femminile e quindi una logica di tipoeterosessuale, all’interno della quale il femminiello trova la sua “sistema-zione” sul versante femminile, nella sua espressione di ruoli. Su un altropiano che, per via espositiva, potremmo definire “intrapsichico”, la rap-presentazione del femminiello sollecita l’entrata in campo di altri fattori;pensiamo alla bisessualità27, secondo la teoria psicoanalitica, costitutivadi ogni individuo e che trova la sua massima espressione in un particola-re momento evolutivo, e di quanto, e soprattutto di come, essa possa in-terferire nel complesso sistema rappresentazionale del fenomeno in que-stione: in sintesi potremmo ipotizzare che sul piano dell’immaginariocollettivo il femminiello rimandi all’illusione originaria per cui maschile efemminile possono coesistere nell’uno platonico, entità immaginaria in-differenziata che dalle origini della civiltà ha affascinato popoli e culture.Dunque la funzione antropologica del femminiello risiederebbe proprionella possibilità di appagare a livello sociale quella spinta al ritorno adun momento mitico in cui l’essere, scevro da ogni mancanza, non ha an-

cora dovuto fare i conti col lutto delle parti di sé come movimento ne-cessario ai fini dell’assunzione di una identità differenziata.

4. I femminielli e la post-modernità: estinzione o trasformazione? 

La scomparsa a cui ci sembra che il femminiello stia andando incon-tro, potrebbe essere pensata anche come conseguenza delle profonde tra-sformazioni a livello urbanistico, architettonico, culturale che Napoli ha at-traversato nel suo passaggio alla contemporaneità (segno di rottura con il

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27 D. Christian, La bisessualità psichica. Saggi psicoanalitici , Borla, Roma 1996.

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passato e la tradizione) rispetto a progetti di pianificazione urbana su scalametropolitana. La metropoli contemporanea, inscindibile espressione delmodo di produzione capitalistico, nasce all’insegna del superamento di ciòche precedentemente vincolava e limitava gli organismi urbani, compresiquei fattori che potevano portare a drastici ridimensionamenti, quandonon alla morte della città. La metropoli è un organismo più resistente per-ché si alimenta delle differenze producendone di nuove, a cominciare dal-le diversificate opportunità di investimento e di valorizzazione del capita-le. Il ruolo e la funzione sociale di cui il femminiello è stato rappresentantesembrerebbe vincolato all’idea di una chiusura “anticapitalistica” dell’eco-nomia del vicolo, ad una sorta di autogestione che con lo sfilacciamentodel tessuto urbano e l’incalzante pressione dell’esterno (sotto forma di

spinta globalizzante) ha lasciato analogamente sfilacciare le tradizioni, in-tese come “conservazione e trasmissione di una cultura”, di un modo di“attrezzarsi alla vita”, fortemente connotative dell’appartenenza a questacittà. Pensiamo ai mestieri di strada che sono rimasti ormai iconografienelle fonti degli archivi storici. Tuttavia, pur non volendo ridurre l’analisi alsolo contesto urbano, possiamo affermare che anche i pochi femminiellirintracciabili nelle campagne delle zone vesuviane e nelle campagne avel-linesi si muovono in un contesto assai ristretto e sono inseriti in una sotto-cultura di tipo contadino che pare anch’essa in via d’estinzione. Questoavanzare della globalizzazione ha prodotto nuove forme sociali in cui in-castonare la “diversità”. Ci riferiamo a queste come a forme sociali poichéci domandiamo se le istanze personali di coloro i quali fanno richiesta dicambiamento di sesso, ad esempio non rispondano, in modo speculare,ad un’offerta proveniente dal sociale che va in questa direzione. L’inter-rogativo che ci poniamo è il seguente: sono coloro che oggi si sottopon-gono alla pratica chirurgica per la riattribuzione di sesso, coloro i quali nelpassato “contrattavano” nel sociale la loro presenza come “diversi” o sono

piuttosto da considerarsi delle soggettività altre, mosse da istanze differen-ti? A questo proposito ci sembra interessante quanto afferma Cosimo Schi-naia riprendendo il pensiero psicanalitico di alcuni autori lacaniani:

si è passati da una cultura fondata sulla rappresentazione, che si basava sul-l’evocazione dell’oggetto desiderato, ad una cultura della presentazione, checonsiste nell’appropriarsi automaticamente e immediatamente, senza media-zioni, dell’oggetto stesso28.

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28 C. Schinaia, Sexual Theorie e pensiero postmoderno. Aspetti del transfert e del controtransfert nella relazione analitica con il transessuale , in A. Nunziante Cesaro,P. Valerio (a cura di), Dilemmi dell’identità: chi sono? Saggi psicoanaltici sui generi e 

dintorni , FrancoAngeli, Milano 2006.

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Secondo quest’ottica il femminiello sarebbe rientrato nella modalitàrappresentativa in cui l’essere femminile e il sentire femminile venivamediato dalle pratiche di travestimento, dalla vitalità giocosa, dal ruolo. Al contrario il transessualismo suggerirebbe un passaggio ad un deside-rio reificato che si “presenta” sottoforma di “trasformazione” corporea ir-reversibile. Tutto ciò darebbe anche la misura di un processo molto piùsolipsistico in cui l’identità di genere non sembra più essere una ricercadi sé in rapporto all’altro sociale, ma un processo repentino che si dà nelmomento stesso in cui si concretizza l’atto «prima diagnostico-giuridico epoi chirurgico».

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Fig. 1. Anonimo del XVIII secolo, Ballo ditto Tarantella dell’affeminati di Napoli ,acquerello.