architetti napoletani 11 - aprile 2009

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I martedi verdi 2009

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architettinapoletanirivista bimestrale dell’ordine degli architetti, pianificatori,paesaggisti e conservatori di napoli e provincia

numero speciale - aprile 2009

Paolo Pisciotta presidente

Gennaro Polichetti segretario

Gerardo Maria Cennamo tesoriere

Vincenzo Corvino vice presidentiPio CrispinoGiancarlo GrazianiBeatrice MelisLuca ModestinoGennaro NapolitanoAntonio Zehender

Francesco Cassano consiglieriErmelinda Di PorzioAntonella PalmieriVincenzo PerroneFulvio Ricci

direttore responsabilePaolo Pisciotta

redazione del numero specialePio CrispinoGiulia de Angelis

direzione e redazioneOrdine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggistie Conservatori di Napoli e provinciaPiazzetta Matilde Serao, 7tel. 081.4238259 - 081.4238279fax 081.2512142http://www.na.archiworld.ite-mail: [email protected]

editorePaparo Edizioni s.r.l.

graficaIvano Iannelli

Registrazione del Trib. di Napoli n. 5129 del 28/04/2000

distribuzione gratuita agli architetti iscritti all’albodi Napoli e provincia, ai Consigli degli Ordini Provincialidegli Architetti e degli Ingegneri d’Italia,ai Consigli Nazionali degli Architetti e degli Ingegneri,agli Enti e Amministrazioni interessate

spedizione in abb. Postale45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96-fi liale Napoli

Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autoree non impegnano il Consiglio dell’Ordine né laredazione della Rivista.

in questo numero

contributiPaolo Pisciotta

Pio Crispino

Giulia de Angelis

argomenti

Lo stato dell’arte del restaurodei giardini e parchi storicidelle residenze sabaude

Mirella Macera

Progettare nuovi siti conservandoil patrimonio culturale

Vlasta Oreb

Ultimi progettiJoão Ferreira Nuñes

Urban TransformationsTilman Latz

Terre perdute: nuove centralità urbaneJacqueline Osty

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Venaria Reale, Torino

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Parco urbano, Duisburg, Latz

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Paesaggio, tema ineludibile

Le questioni legate al paesaggio sono ormai un tema ineludibile, in primo piano nel dibattitomondiale e strettamente connesse alla professione di architetto.

È del 2000 la Convenzione europea del paesaggio che definisce quest’ultimo, nel senso più esten-sivo, come quella “parte del territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere de-riva dall’azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni”. Definizione ripresa pressochéalla lettera dalla terza parte del nostro Codice dei beni culturali e del paesaggio, che identifica ilpaesaggio come territorio “espressivo di identità”. Paesaggio inteso non più, dunque, nell’acce-zione romantica di un tempo, ma come complessa stratificazione di elementi naturali e fattori an-tropici, così come è giunta fino a noi.Oggi è dunque più che mai urgente occuparsi del paesaggio, tutelarlo, progettarlo, immaginarnele possibili modificazioni compatibili con i suoi valori, in una prospettiva di sviluppo sostenibile.In quest’ottica si inquadra l’interesse che l’Ordine degli Architetti P.P.C. di Napoli e Provincia ha mo-strato negli ultimi anni per questo tema, organizzando quei fortunati cicli di conferenze che sonoandati sotto il nome di “Martedì verdi”, giunti alla terza edizione.Lo scopo di questi cicli di conferenze, organizzati dall’Ordine insieme all’Associazione Italiana diArchitettura del Paesaggio, è quello di parlare di paesaggio direttamente con i paesaggisti, invi-tati a relazionare sui loro ultimi progetti, mettendo in luce anche i diversi approcci da nazione a na-zione. Divulgare, dunque, la conoscenza dell’architettura del paesaggio grazie all’intervento dichi, sullo scenario mondiale, si occupa di questo settore ai livelli più alti.Nei precedenti cicli si è registrata la presenza di paesaggisti di fama internazionale quali Jordi Bel-lmunt, Bet Figueras, Franco Zagari, Stefan Tischer, Mirella Macera, Vlasta Oreb, Joao FerreiraNunes, Tilman Latz, Jacqueline Osty, con un notevole riscontro di interesse da parte di tutti gli scritti.E quest’anno, a partire dal 28Aprile e fino a Giugno, sarà la volta del siciliano Benedetto La Macchia,dello svizzero Paolo Burgi, di Gabriele Kiefer ed Henri Bava, del francese Philippe Coignet.Ancora una volta, la “casa degli architetti” è il luogo di confronto e di crescita per tutti coloro checredono che fare architettura oggi implichi necessariamente un allargamento degli orizzonti di-sciplinari e un aggiornamento costante sul dibattito internazionale.

Paolo Pisciottapresidente Ordine degli Architetti, Pianificatori,

Paesaggisti e Conservatori di Napoli e provincia

Parco urbano, Duisburg, Latz

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Venaria Reale, Torino

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Paesaggio, urbanistica e sostenibilità

Il paesaggio italiano è conosciuto universalmente per le sue bellezze naturali e per lo straordi-nario patrimonio storico e culturale, che rendono ancora riconoscibili le tracce di un lungo pro-cesso di modellamento e di adeguamento dei territori alle società.Tuttavia, il lungo silenzio legislativo sulle questioni del paesaggio per quasi cinquanta anni ha por-tato alla distruzione delle risorse naturali ed alla crescita incontrollata delle città. Un silenzio, que-sto, che ha denunciato l’inadeguatezza dell’urbanistica e delle politiche territoriali a saper guardaree interpretare i fenomeni di un mondo e di una cultura che cambiavano, senza capacità di com-prenderne le profonde implicazioni sulla maniera di “produrre” il territorio prima ancora di saperloorientare verso il futuro.Ne sono stati conseguenza i deludenti risultati della pianificazione paesistica, irrigiditi tra il domi-nio della tutela e quello dei valori estetici, incapaci di trovare argomenti e risposte alle questioniin gioco, oltre che insensibili a tracciare una nuova “missione” del paesaggio italiano.Con la Convenzione europea sul paesaggio - sottoscritta nel 2000 e ratificata dall’Italia nel 2006- non solo si è data una definizione di paesaggio, ma si sono introdotti anche gli “obiettivi di qua-lità paesaggistica” e si sono indicati i tipi di “azione” che si applicheranno a tutto il territorio degliStati partecipanti alla Convenzione. Con il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, notoanche come Codice Urbani, invece, viene definito il paesaggio, disciplinandone la tutela e la va-lorizzazione.Il paesaggio, insomma, è diventato un concetto importante e giuridicamente rilevante nel nostro si-stema legislativo. Con questa “nuova” definizione e concezione del paesaggio si individuano spe-cifiche competenze professionali di chi progetta il recupero del paesaggio e dell’ambiente“costruito”.Il progetto del paesaggio si confronta con rimpianti di un passato irripetibile, dalla rievocazione diprocessi di produzione di paesaggi oggi irriproducibili all’ incapacità delle politiche territoriali di an-corarlo ai processi di trasformazione a diverse scale del territorio.Oggi l’ urbanistica può ricollocarsi disciplinarmente e culturalmente competendo con le sfide chelancia la nuova emergenza ecologica sul futuro delle nostre risorse, tra cui quella dell’urbanisticasostenibile.Una definizione convincente dell’urbanistica sostenibile è, senza dubbio, quella che la definiscecome una strategia che lega lo sviluppo territoriale, sociale e economico alla conservazione dellerisorse ambientali non riproducibili e alla rigenerazione di quelle riproducibili. Si tratta, ovviamente,di una semplificazione, ma l’efficacia di questa definizione è dovuta all’ affinità con quella più nota(anche se non la prima) di sviluppo sostenibile contenuta nel Rapporto Bruntland del 1987, valea dire “la capacità di assicurare il soddisfacimento dei bisogni del presente senza comprometterela capacità delle generazioni future di soddisfare i loro bisogni”; una definizione, quest’ultima, checontiene un evidente riferimento alla quantità e alla qualità delle risorse ambientali.L’aspetto più interessante delle sperimentazioni di pianificazione sostenibile fino ad ora conosciuteriguarda la concreta applicazione dei principi della sostenibilità urbanistica, o, se si vuole, l’ “in-corporazione” nel piano delle strategie e delle misure che la rendono possibile.In Campania, con la nuova legge urbanistica di dicembre 2004, si è riaperta la sfida del governodel territorio con le regole che individuano nello sviluppo e nella sostenibilità ambientale gli obiet-tivi strategici dell’ organizzazione del territorio.

Parco Dora Spina, Torino, Latz

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Le conferenze di pianificazione, previste dalla legge urbanistica regionale, attraverso il processodi partecipazione pubblica, forniscono al pianificatore un quadro effettivamente completo delle te-matiche da affrontare e si prestano meno alla tentazione di effettuare modifiche arbitrarie, in quantole norme concordate portano con sé la forza della condivisione e del consenso, unitamente a re-gole più adeguate alle attuali dinamiche di crescita economica.Si potrà, quindi, determinare lo sviluppo attraverso le norme, che, interpretando le potenzialità delterritorio, potranno convincere gli investitori ad attivare l´enorme serbatoio delle risorse private.La nuova pianificazione regionale si spinge fino all´aspetto del territorio, con la Convenzione eu-ropea del paesaggio, della quale la Campania risulta capofila. La cura dei nuovi paesaggi e lasalvaguardia di quelli esistenti rappresentano una fondamentale risorsa per una regione dove ilturismo rappresenta o potrebbe rappresentare una voce non trascurabile dello sviluppo econo-mico. Tutta l´attività regionale in materia di urbanistica è intesa a delegare alle Province e ai Co-muni la regolamentazione dei loro territori, assegnando ad essi gli obiettivi strategici dello sviluppoe della sostenibilità ambientale. Una partita, questa, che vede la Regione assumere sempre piùil ruolo di legislatore per lasciare alle realtà locali l´interpretazione delle vocazioni territoriali.

Pio Crispinovicepresidente Ordine degli Architetti, Pianificatori,Paesaggisti e Conservatori di Napoli e provincia

Venaria Reale, Torino

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Il successo riscosso dal primo ciclo dei “Martedì verdi” ci ha dato innegabile prova della sete diconoscenza nei riguardi del paesaggio. Abbiamo quindi organizzato un secondo ciclo di confe-renze ancora più ricco, non solo di incontri, ma anche di contenuti. Sono stati invitati professioni-sti che si occupano di paesaggio nelle sue molteplici sfaccettature. Si è discusso del progetto delrestauro dei giardini della Reggia della Venaria Reale con l’Arch. Mirella Macera, dei processi dicostruzione del paesaggio operati dal paesaggista portoghese Joao Ferreira Nunes nella proget-tazione dell’area dell’Expo del ‘98 a Lisbona o del waterfront della città di Anversa, della riqualifi-cazione di aree industriali dismesse come quelle nel parco di Duisburg e del progetto per il parcoDora a Torino o della discarica Hirija a Tel Aviv, curati dal paesaggista tedesco Tilam Latz, e dellaprogettazione di parchi urbani e spazi pubblici realizzati dalla paesaggista francese JacquelineOsty e dalla croata Vlasta Oreb.In questo momento è importante “trattare di paesaggio” e capire come esso nelle diverse zone delglobo sia un’entità viva e mutevole nel tempo, che l’uomo, dal suo esistere, ha sempre trasformatosia per poterne meglio godere, quando creava i giardini per il proprio piacere, sia per sfruttarne almeglio le risorse.E’ il paesaggio che ci chiede ora di aiutarlo a non perdere la propria identità.Un esempio, in questo senso, viene proprio dal territorio dal quale provengo: la Penisola Sorren-tina. Nel passato sono stati realizzati sapienti terrazzamenti dei terreni acclivi per la coltivazionedegli olivi o sono stati costruiti dei pergolati per poter meglio coltivare gli agrumi.Tali pergolati, che caratterizzavano il paesaggio della Penisola Sorrentina, erano realizzati con palidi castagno e ricoperti con le così dette “pagliarelle”, cioè dei pannelli realizzati in paglia la cuistruttura era intessuta con fascette di castagno. Nel periodo estivo, in cui l’agrume non necessi-tava di una copertura, le “pagliarelle” venivano raccolte al di sopra del pergolato in caratteristichecasette; i pannelli venivano sovrapposti l’uno all’altro finché gli ultimi due venivano posizionati,sulla pila di “pagliarelle” a falde, così da preservarli dagli agenti atmosferici. Questo tipo di usoagricolo “privato” del territorio connotava fortemente il paesaggio della penisola nella piana Sor-rentina. Anche le coltivazioni collinari erano influenzate paesaggisticamente dall’uso del territorioa valle. La vegetazione autoctona in collina era stata sostituta con la coltivazione del castagnoceduo che forniva i pali per la realizzazione dei pergolati. Tutto ciò, ora, sta scomparendo perchéi costi per la realizzazione dei pergolati sono troppo elevati, la vendita degli agrumi non rende piùcome una volta, i costi per il raccolto sono sproporzionati. In questo modo si sta perdendo un si-stema di verde privato che costituiva un elemento caratterizzante la bellezza pubblica della Pe-nisola Sorrentina.Racconto tutto ciò perché, far vivere questi pergolati significa non cancellare l’identità di un luogocome la penisola Sorrentina che è conosciuta, in tutto il mondo, proprio per il suo caratteristico pae-saggio che costituisce anche una risorsa che non deve essere trascurata perché contribuisce almantenimento di condizioni ambientali ed estetiche che vanno a vantaggio di tutti. Far funzionarequesto grande mosaico, costituito da frammenti di paesaggio, come i piccoli giardini privati con per-golati, significa creare un sistema che lo rafforzi: in questo caso il giardino non esaurisce la pro-pria funzione nel recinto domestico ma ha un ruolo di luogo-ponte tra l’intimità dello spazio privatoe il paesaggio esterno nel suo complesso.Ci sono, talvolta, giardini o parchi che non funzionano, che non hanno nessun utilizzo o ne hanno

2imartedìverdi

European City, Kirchberg,Luxemburg, Latz

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in misura minore di quanto potrebbero averne e, talvolta, sono addirittura dannosi per quello checonsumano, per lo spreco di risorse, per il degrado del paesaggio, per il cattivo esempio che for-niscono. Un giardino o un parco in meno significa meno verde, meno ossigeno, meno frescura,meno bellezza. Per questo anche uno spazio modesto può essere un tassello importante della sto-ria e della cultura. Realizzare un bel/buon giardino o parco e farlo funzionare significa lavorare peril bene collettivo. Ogni elemento, per diventare parte integrante del sistema, deve scoprire il pro-prio ruolo. Il fine del progetto di paesaggio è diventare un punto di equilibrio fra natura, tecnolo-gia, cultura, storia, resa economica, valore fondiario, produzioni e consumi di energie, funzionalità,qualità prospettiche.Tutto è paesaggio. Scoprire le potenzialità dei luoghi e riuscire a farle esprimere significa far fun-zionare il paesaggio stesso migliorando la qualità di vita della collettività.

Giulia de Angelispresidente della Sezione Magna Grecia dell’Aiapp

European City, Kirchberg,Luxemburg, Latz

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L’inserimento di Mirella Macera nel programma dei Martedì Verdi del 2008 è stato per me motivo di soddi-sfazione in quanto ha messo in risalto il tema, spesso trascurato, del restauro dei parchi storici. L’architettoMacera è una brillante funzionaria della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio del Pie-monte, direttrice del Castello di Racconigi, autrice di numerosi restauri monumentali ma è soprattutto la pro-tagonista di uno dei più importanti restauri di parchi storici degli ultimi anni, quello annesso alla Reggia diVenaria Reale, esempio di giardino barocco voluto dai Savoia a partire dalla metà del Seicento. Questo in-tervento è di particolare interesse per gli ineccepibili contenuti scientifici e metodologici, che rispettano laCarta del Restauro dei Giardini Storici e nello stesso tempo coniugano l’antico e il nuovo grazie all’inserimentodi opere d’arte moderna nei giardini. Per noi paesaggisti che operiamo in Campania – territorio che accoglieun esteso ma poco valorizzato patrimonio di residenze reali borboniche – è da considerarsi inoltre un mo-dello di efficiente macchina organizzativa, capace di restaurare ottanta ettari di parco storico in otto anni.

Maria Luisa Margiottasocio Aiapp

presidente Associazione per lo Studio e la Tutela del Giardino Storico

Mirella Macera*

lo stato dell’arte del restauro dei giardinie parchi storici delle residenze sabaude

Introduzione

Venaria Reale, Torino

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Nella città di Venaria erano in vendita, an-cora lo scorso anno, vecchie cartoline che

rappresentavano la reggia circondata dalla bo-scaglia e da strutture che erano a state a servi-zio dei militari nel lungo periodo durante il qualel’antica residenza sabauda era stata utilizzatacome caserma.Questa la situazione con la quale dovette con-frontarsi il gruppo di lavoro che, nel 1998, af-frontò lo studio delle linee guida per il recuperodei giardini.Eravamo tutti consapevoli di quanto fosse indi-spensabile restituire alla reggia il suo storicocontesto per dare completezza a quella straor-dinaria testimonianza di arte e di cultura.Difficile tuttavia definire il percorso metodolo-gico dell’intervento che ci si accingeva a rea-lizzare.Nessuna traccia degli antichi giardini era rin-tracciabile in superficie, né sotto forma di testi-monianze materiali di viali, di arredi o di apparatidecorativi né, tanto meno, di elementi vegetali:troppo invasive ed importanti erano state le tra-sformazioni d’uso del sito che, in quanto giar-dino, avrebbe invece richiesto assiduità di curee di manutenzioni.Ricca tuttavia la documentazione cartacea delleantiche composizioni: per il Seicento piante edisegni, pubblicati nelle coeve opere di Amedeodi Castellamonte; per il Settecento prevalente-mente piante e documenti d’archivio relativi aicantieri di costruzione e di manutenzione. Erapossibile dunque ricostruire, come molti studiosiavevano esaurientemente fatto, le vicende di

formazione dei giardini e il contesto storico e cri-tico in cui era maturata la loro realizzazione.Il “giardino all’italiana” di Amedeo di Castella-monte, tutto incentrato su un asse rettore cheattraversando il borgo e la reggia di Diana so-steneva , in successione, la composizione delleaiuole del giardino a fiori, la fontana dedicata almito di Ercole, la grande allea chiudendosi nellaspettacolare composizione del tempio di Diana.A nord della reggia il giardino dei ninfei, con fon-tane e aiuole ornate di complicati disegni; ad unlivello più basso la grandiosa peschiera.Appena qualche decennio dopo la concezionedel giardino e del paesaggio affermata daAndreLe Notre a Versailles investe con una dilaganteproposta anche la Venaria: il nuovo progettonon solo amplia considerevolmente a sud e aovest lo spazio dedicato ai giardini, che se-guono gli ampliamenti delle architetture adopera di Michelangelo Garove e Filippo Juvarra,ma imposta la composizione su una serie diviali longitudinali e trasversali che proiettano al-l’esterno e all’infinito le grandi visuali determi-nate dalla enfilade delle sale e degliappartamenti. Negli ambiti definiti dalla magliadei viali giardini, boschetti, teatri di ver-zura...secondo le ormai consolidate soluzionidel giardino classico “alla francese”.Che fare allora?Riprendere il disegno documentato dalle mappee ricorrere alla trattatistica per risolvere gli alzatioppure cercare una soluzione diversa, espres-sione del momento storico in cui i giardini sareb-bero stati recuperati?

Venaria Reale, Torino

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Una foto aerea ci venne in aiuto: testimoniava,sotto lo strato superficiale di humus, la perma-nenza del disegno del giardino documentato dairilievi settecenteschi e perfino delle fondamentadel seicentesco tempio di Diana.La testimonianza confermava dunque la possi-bilità di recuperare, nel parco basso, il disegnoseicentesco del giardino di Castellamonte, inquello alto la composizione settecentesca digusto francese fondando il recupero sui docu-menti a disposizione e sui riferimenti che sa-rebbero via via emersi nelle fasi preliminari delcantiere. Per gli alzati prevalse la proposta di ri-solvere i vari ambiti operando in sintonia con leantiche composizioni, ma utilizzando anche ma-teriali e forme della modernità.Attraverso gara ad evidenza pubblica il progettovenne quindi affidato al gruppo capeggiato daitorinesi Libidarch.Impegnativo il lavoro condotto negli anni suc-cessivi dai progettisti che conclusero, nel 2004,il loro impegno sui primi 20 ettari degli ottantache complessivamente misurano i giardini.Importante il risultato raggiunto: la reggia avevarecuperato il suo contesto con la maglia di vialiche ne riproponevano lo storico ruolo di centroordinatore lo stato di un monarca assoluto.Da quel momento è stata avviata una pazienteopera che va restituendo progressivamente aigiardini, con programmate opere di manuten-zione, il restauro dei reperti seicenteschi, lamessa a dimora di piante ed arbusti, l’inseri-mento di opere di arte contemporanea quellacomplessità di elementi e di rapporti capaci di

evocarne i valore cardine in parte riletti secondola moderna sensibilità nei confronti della naturae del paesaggio.Tre dunque, a mio parere, i risultati del restaurodei giardini della Venaria.Il primo sta nell’aver avuto il coraggio di affron-tare il tema, in un paese ancora largamentesordo verso le necessità di tutela dei giardinistorici e del paesaggio.Il secondo sta nell’aver saputo distinguere duefasi d’intervento: la prima che, potendo contaresu finanziamenti consistenti, ha potuto recupe-rare la trama del giardino fondandosi sulla do-cumentazione storica e i reperti via via emersinel corso dei lavori.La seconda che, basandosi su finanziamenti piùmodesti, completa anno dopo anno la compo-sizione lavorando sulle masse, sulla composi-zione in alzato del giardino, sui rapporti tra levarie parti.Del resto Monique Mosser, grande conserva-trice di Versailles, ha scritto “ Fra l’eternità, siapur relativa della pietra e la fugacità del fiore, iltempo del giardino richiede ambizione e mode-stia, pazienza e passione”.

*architetto Soprintendenza ai B.A.A. del Piemonte

Venaria Reale, Torino

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Vlasta Oreb*

Progettare nuovi siti conservando ilpatrimonio culturale

Sulla costa croata si differenziano due tipi dipaesaggio: piazze e giardini nelle cittadine

e il paesaggio mediterraneo dell‘agricoltura.Saranno presentati progetti sui siti che sonopatrimonio culturale pero’ non protetti dallalegge.Negli anni 60 del secolo scorso, a causa delturismo di massa, si formano spazi verdi moltovasti con semplici creazioni e un‘ intensoimboschimento. L’espansione del turismosignifica l’abbandono dell’agricoltura e degli ortitradizionali dove si coltivavano viti, ulivi e ortaggi.

ProgettiFilosofia della creazione:- ritornare il genius loci- usare tutti gli elementi esistenti (riccavegetazione da inventariare e valorizzare, muria secco, muretti, ecc.)- usare tutti gli vantaggi economici- non cambiare lo spirito del sito conl‘inserzione di nuovi elementi in nome dellacreazione propria- con la nuova dinamica agrotecnica nontrasgredendo l’esistente equilibrio biologico

Parco Dražica, Croazia,Vlasta Oreb

Vlasta Oreb, laureata presso la Facolta’ di Agraria – sezione Paesaggistica dell’Universita’ di Za-gabria. Dal 1997 al 1999 è responsabile della ditta Parchi di Fiume progettazione di aree verdi eparchi. Dal 1999 è presso “Studio perivoj s.r.l.” (perivoj = parco) con Dobrila Kraljic, il primo stu-dio in Croazia che si occupa di architettura del paesaggio. È componente attiva della rete euro-pea dell’architettura del paesaggio (ELAN) nata nel 1995, per portare avanti lo spirito dellacooperazione sperimentato nel mondo professionale. L’aspirazione è quella di riunire gli architettipaesaggisti europei più vicini, riportando l’esperienza personale. Nel 2005 organizza un workshopsull’isola di Hvar con la presenza di dieci paesi europei che si confrontavano sul tema del pae-saggio. Ogni anno lo studio ospita giovani professionisti provenienti da varie città d’Europa, perstage formativi sull’architettura del paesaggio. Nella sua relazione ci evidenzierà certi aspetti delpaesaggio che sono presenti in Croazia, più precisamente nella zona litorale dell’Adriatico ed ilruolo degli architetti paesaggisti.

Pio Crispinovicepresidente Ordine degli Architetti, Pianificatori,Paesaggisti e Conservatori di Napoli e provincia

Introduzione

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PARCO KAMPLINDescrizione:Il parco e’ stato allestito nel 1864 sul posto doveuna volta c‘era il monastero della St. Clarissa.Oggi e’ un sito urbano nel centro vecchio dellacitta‘ con ammmirevole vista mare. Si trova sull‘omonima Piazza vicino alla torre medievale,muraglie, diocesi, cattedrale romanica e chiesaSt. Kirin (monumenti del patrimonio culturale diprima categoria).

Problema:Il parco e’ trascurato. Grandi chiome. Senzavisitatori. Non ha nulla.Pur esistendo fotografie dell’epoca di quando ilparco e’ stato costruito, non esistono traccemateriali alle quali ci potevamo riferire.

Idea:La torre medievale e’ dominante e come taleimpone una creazione di vegetazione bassa emedia per la riparazione dalla bora e salinita’.L’ambiente e’ arricchito dal viale alberato l’unicocolorito nel parco (Lagerstroemia indica). Ilbordo e’ con bosso (Buxus sempervirens) ilquale con altri tipi arcaici (Acanthus, Aspidistra,Bergenia, particolarmente Ruscushypoglossum) abbellisce il parco econtemporaneamente non lo rende troppoornato.Alberi esistenti sono preservati. Il terreno e’ricoperto di ghiaia con panchine e cestini didesign antico.

Conclusione:Il restaurato parco Kamplin e’ riuscito ad inserirsinell’ambiente che lo circonda e lo distingue.Rappresenta un punto d’incontro, di sosta, dimeditazione sacrale. Importante e’ accennare albelvedere che si può ammirare dalle muraglieverso il mare aperto.

PARCO BOSCO DRAŽICADescrizione:Parco bosco Dražica 2 ettari. E’ stato allestitopiu’ di 80 anni fa’. Oggi rappresenta ilpatrimonio paesaggistico e culturale sorto agliinizi dello sviluppo del turismo. Inizialmente,lontano dalla citta‘ di Veglia, oggi e’ uncomplesso unico.

Problema:Anche se e’ vicino ai due alberghi e allaspiaggia balneare della citta’, nessunamanutenzione e innaccesibilita’ al parco boscoDražica, lo hanno reso per decenni ambienteisolato e non visitato da cittadini e turisti.

Scopo di intervento:sanare l’esistente vegetazione e per tantorigenerarla per un lungo periodo futuro;assicurare meno afflusso alle spiagge edall’albergo;tramite sentieri e luoghi di sosta facilitarel’accesso in qualsiasi punto del parco;costruire una nuova struttura del parco:attraente giardino per passeggiate e giochi,soggiorno nella piacevole ombra del verdeoppure nei nuovi impianti turistici.

Idea:La ricostruzione dei sentieri esistenti e lanecessita’ dell’accesso in qualsiasi punto delparco ha fatto nascere l’idea che ricorda lastella e la chiocciola marina.Il sentiero concentrico e’ in blocchi in cementosovraposti al terreno esistente (muretti di valore,muretti a secco, microzone con piante rare ecc.),

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Parco Dražica, Croazia,Vlasta Oreb

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fa si’ che lo stesso sentiero sembri in sospeso.Per addobbare il parco abbiamo inserito formegeometriche moderne in rosso fuoco che comecolore e’ complementare al verde. Nonostantel’accentuato colore e design nuovo, noninterferiscono con il carattere dell’ambiente.Cambiamenti intrapresi al parco dovevanorigorosamente rispettare l’ambiente ecologico epertanto la conservazione della vegetazionedecennale e’ stata al primo posto. Vogliamoaccennare alla conservazione del terriccio, allecorrenti d’acqua e a come ostacolare l’erosione.Neppure e’ permessa alcuna devastazionedelle roccie esistenti, particolarmente deimuretti a secco. Nuove piante piantate nell’arboreto sono presenti con uno o massimoalcuni esemplari rappresentando cosi’ campionie vastita’ nella diversita’ dei tipi di vegetazionesenza possibilita’ di cambiare l’aspetto e labiogenesi dell’ ambiente.

Conclusione:La ricostruzione dei sentieri in ghiaia, punti diriposo e di belvedere sono terminati mentre lacostruzione del sentiero concentrico e’ in corso.Gli impianti turistici, la zona dello svago edivertimento con zone gioco bambini sonoancora da realizzare. Sono terminati i lavorisulla vegetazione esistente e sullapiantumazione del nuovo verde.Gli abitanti hanno accolto le novita’ con veroentusiasmo cosicche’ il parco bosco Dražica e’visitatissimo.

IL PARCO DAVANTI ALL’ ALBERGO PARCODescrizione:Il sito si trova nel centro della cittadina vicinolungo mare. E’ stato imboschito 50 anni fa.Problema:1. tantissima gente durante l’estate (turismo) sullungo mare2. la vicinanza dell’ albergo Parco3. non c’e’ nulla tranne alberi con grandi chiometrascurate

Idea:Punat è conosciuto per le regate di barche avela. Il motivo essenziale della creazione deisentieri con nuove entrate al parco e luoghi diriposo e’ una vela tesa al vento. Il verde e’praticamente minimo con pochi focus cheattraggono l’attenzione e rappresenta laseconda attrazione turistica: ulivi e laproduzione dell‘ olio.Tutti gli alberi sono preservati e interpolati neisentieri.

Conclusione:Il traffico sul lungomare non e’ piu tanto intensoe i pedoni hanno trovato un luogo accoglienteper riposare e soggiornare.Gli ospiti dell’albergo usano il parco comesalotto dove sedendo sulle panche ad arcopossono bere una bibita o l’aperitivo dal bardell’albergo.

*ing. agr. paesaggista Studio Perivoj, Croazia

Parco Kamplin, Veglia, Croazia, Vlasta Oreb

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João Ferreira Nuñes*

Ultimi progetti

introduzioniHo accolto con grande piacere l’invito da parte dell’Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia di introdurrela conferenza di João Ferreira Nuñes, paesaggista portoghese, che ho avuto il piacere di conoscere da moltianni.João Ferreira Nuñes si laurea quale architetto paesaggista negli anni ’80 presso l’Istituto Superiore di Agro-nomia dell’Università Tecnica di Lisbona. Poi consegue il Master in Architettura del Paesaggio presso laScuola Tecnica di Architettura di Barcellona dell’Università Politecnica della Catalunya. Attualmente è do-cente presso l’ISA di Lisbona, presso l’Università di Architettura di Alghero e l’IUAV di Venezia.Dal 1989 è fondatore dello Studio PROAP che svolge attività di ricerca e di progettazione nell’ambito delPaesaggio a livello internazionale. Ma soprattutto João Ferreira Nuñes è un maestro. Egli appartiene a co-loro che promuovono l’Università come comunità educativa, riscoprendo la dimensione della magistralità deldocente universitario.Dopo un lungo percorso, purtroppo, il maestro di un tempo è diventato il professore di oggi, come l’intellet-tuale di un tempo è diventato un indistinto esperto tecnico. Viene, quindi, da chiedersi: quale dovrà essereoggi il peso culturale dell’Università sulla società europea? Credo che in tutta l’Europa l’Università è chiamataa compiere un salto culturale di qualità. Lo potrà fare riacquistando le antiche radici della cultura europea,senza rinunziare agli apporti della contemporaneità. Una cultura basata sulla fiducia nell’intelligenza del-l’uomo e nella sua capacità di determinare il cambiamento della società.C’è un filo conduttore ricorrente negli interventi progettuali di João Ferreira Nuñes che costituiscono l’aspettofondamentale di un progetto: un luogo, un programma e un progettista. Nei suoi progetti c’è sempre una in-terpretazione dei processi paesaggistici naturali quali quelli dovuti ai venti, al mare, alla crescita della vege-tazione che diventano temi progettuali.Egli scrive che “il paesaggio è un testo, un insieme di segni che raccontano il senso delle azioni che lo hannoprodotto. Il paesaggista legge, decodifica, interpreta, interviene, entra nei processi con nuovi elementi, combinagli elementi secondo nuove formule, innesca nuovi meccanismi, dà avvio a nuovi processi intervenendo sul fun-zionamento di un luogo, ne trasforma l’immagine, l’insieme di segni che lo compongono”.Il concetto di Paesaggio, associato ai segni, alle tracce, alle impronte di ogni generazione, di ogni cultura so-vrapposta nello stesso sito, si relaziona a quello di trasformazione.Paesaggio è sul pianeta qualcosa che si trasforma continuamente, per cui è logico affermare che “infra-struttura è paesaggio” e che quanto è stato realizzato dall’uomo nella sua storia dai tempi più antichi fino adoggi sia paesaggio.Purtroppo questo assunto è intuitivamente accettabile quando il riferimento è al passato e non alle infra-strutture contemporanee. Ciò non perché esse hanno un impatto diverso, ma soltanto perché sconvolgonoil nostro presente.E dunque, le strade, le reti ferroviarie ed elettriche, le dighe, i porti e gli aeroporti saranno paesaggio quantolo furono le città, i villaggi, i campi agricoli, le emergenze architettoniche e funzionali di un tempo che ap-partengono alle capacità che hanno le comunità umane di trasformarsi continuamente.Questo in sintesi è quanto teorizza e dimostra Nuñes con i suoi progetti.Stefania Brancaccio, che mi accompagna, è professore a contratto da molti anni presso il nostro Ateneo Fe-dericiano. Ella ha da tempo analizzato gli interventi progettuali di Nuñes e quindi ci darà un breve spaccatointerpretativo dell’attività professionale del maestro.

Luigi Piconeprofessore, architetto

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Il paesaggista si trova, oggi, a dover affrontare questioni assai più complesse che in passato, essendosi note-volmente ampliato il campo di intervento dell’architettura del paesaggio che appare sconfinato verso qualsiasitipo di intervento che possa dare nuova forma alla città e al territorio: progettazione di parchi, giardini, piazze,strade, cimiteri, riqualificazione di aree dismesse, lotti abbandonati, aree interstiziali, integrazioni infrastrutturali,sistemazioni di argini fluviali, fronti marini, sistemazioni paesistiche a scala territoriale\ Tutti questi, credo conl’eccezione dei cimiteri, sono interventi che hanno interessato finora il campo di applicazione dello studioPROAP, fondato da João Ferreira Nunes, con una preferenza ad intervenire su contesti “difficili” caratterizzatida situazioni di abbandono, degrado o compromissione ambientale.L’approccio iniziale, che accomuna tutti gli interventi, muove dalla consapevolezza che il paesaggio è unqualcosa di dinamico, sia per i naturali processi evolutivi, dovuti al trascorrere del tempo e all’interferenza deifenomeni naturali, sia per i processi antropici che determinano, su di esso, la sovrapposizione di segni ri-spondenti alle esigenze e necessità collettive, diversificate tra loro e mutevoli nel corso del tempo.Entrambi i processi possono determinare, sul paesaggio, effetti negativi, delle “ferite”, ma allo stesso modoin cui il paesaggio può contare sulla sua naturale capacità rigeneratrice per rinnovarsi dopo un evento ne-gativo, così il paesaggista, chiamato ad intervenire su un ambito compromesso, deve riuscire con sensibi-lità a ridare un senso ai segni inferti senza cancellare i resti e la memoria dei luoghi.Esempio di questa ideologia può essere considerato un piccolo giardino realizzato da Nunes nel 2004 nel-l’ambito dell’evento “Ortus Artis”, svoltosi a Padula nella Certosa di San Lorenzo.L’intervento di Nunes per la cella n. 16, dal titolo “L’amore trionfa”, propone appunto uno spazio “ferito”. Il giar-dino della cella è infatti presentato come se fosse stato oggetto di un incendio (non importa se accidentaleo intenzionale). Tutto appare come bruciato: gli alberi preesistenti e il suolo, composto da paglia bruciata. Maè solo una finzione, un layer che si sovrappone alla preesistenza, mascherandola: gli alberi sono semplice-mente ricoperti di fuliggine e la paglia nasconde un sottofondo vegetale che ricopre le aiuole preesistenti. Nelsottofondo sono sparsi semi e interrati bulbi in modo che la paglia bruciata possa rapidamente ricoprirsi diverde per dimostrare ai visitatori la forza con cui la vita si riappropria dei suoi spazi quando questi le vengonotolti. Anche il muro di confine esterno partecipa a questa rappresentazione: è infatti ricoperto con un telo ilcui colore sfuma dal nero del fumo al blu del cielo in una ricongiunzione simbolica tra il giardino arso, e poirinato, e il paesaggio circostante.A questa che è l’ideologia iniziale fa seguito una modalità di intervento che parte da un’attenta osservazionedel luogo e da una lettura di tutti i segni presenti, sia naturali che artificiali, e prosegue con una rielaborazionee una ricontestualizzazione di questi segni attraverso un processo che tiene conto degli aspetti ambientali, sim-bolici, formali e funzionali di un progetto. La sensibile attenzione per il paesaggio non impedisce al progetti-sta di intervenire con segni forti e incisivi attraverso una ricerca formale che non è fine a se stessa, ma èfinalizzata a risolvere tutte le problematiche insite nel luogo (morfologiche, geologiche, climatiche, infrastrut-turali, sociali, culturali\) e, soprattutto, a rispondere ai diversi bisogni, desideri e abitudini dei futuri fruitori at-traverso la definizione di molteplici fruibilità e l’individuazione di differenti modalità di osservazione dello spazio.Il fine è arrivare ad una soluzione che leghi indissolubilmente progetto, paesaggio, città e persone.

Stefania Brancaccioprofessore a contratto presso la

Facoltà di Architettura dell’Università Federico II di Napoli

Parco "do Tejo e Trancao",Lisbona, Nuñes

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Mi piacerebbe presentare due lavori, sceltiin base ad un criterio: cercare di mostrare

una serie di processi, soprattutto processi di co-struzione del paesaggio. I Temi in sé (ad esempioi cimiteri) nonmi interessanomolto, perché dietroal tema si può nascondere qualcosa di molto piùinteressante; la cosa veramente importante amioparere é l’adozione, di fronte a qualsiasi tema, diun certo atteggiamento nell’affrontare il lavoro: c’èuna comunità che ha un problema e noi cer-chiamo di risolvere questo problema. A questadomanda si risponde quando una comunità lan-cia una richiesta di aiuto al mondo e arrivano ri-sposte, arrivano soluzioni, proposte. Sicuramentequesto è il rapporto che permette di giustificare laprofessione stessa.L’identità metodologica, disciplinare dell’architet-tura del paesaggio si vede dal fatto che le rispo-ste che riusciamo a produrre alle domande dellacomunità sono risposte specifiche, che prendonoin considerazione sia il problema sia il luogo,equindi l’identità metodologica dell’architettura delpaesaggio ha a che vedere innanzitutto con laassoluta assenza di un approccio progettualealla soluzione dei problemi; quindi la prima ca-ratteristica che appare evidente in tutti questi pro-getti è che l’approccio guarda al problema e alluogo trattandoli come un sistema.Cerchiamo quindi di capire il funzionamento delluogo, il meccanismo che lo mette in moto, unsistema in atto nel quale noi cerchiamo di inne-starci per riuscire a risolvere i problemi della co-munità. È necessario peró capire questeenergie, capire questi funzionamenti, appunto

per non prendere direzioni opposte ai vettoriche governano i luoghi, ma per approfittaredelle energie già presenti e per riuscire a sfrut-tarle per raggiungere i nostri obiettivi.Il primo progetto illustra bene il concetto che hoesposto. Questo progetto è iniziato nel 96, è unprogetto realizzato a Lisbona per l’Expo del 98.L’area destinata all’Expo è centrata su una vec-chia darsena per idrovolanti, vicino alla foce diun fiume che segna uno dei limiti della città diLisbona, il fiume Trancão. La delimitazione del-l’area destinata al parco é di per sé una lezionedi paesaggio. Bisogna considerare che, primadi essere un’operazione di recupero ambientale,l’Expo è una operazione speculativa, immobi-liare, che dovrebbe riuscire a generare profittosufficiente per garantire l’esistenza dell’Expostessa e di tutto il sistema di infrastrutture chedeve essere costruito per servirla, quindi que-sto limite fisico è stato determinato da questa lo-gica. Il limite tra l’edificato e il parco è forse unodei limiti più stabili che possiamo riscontrarenella nostra morfologia urbana contemporanea,un limite che non può essere superato, intac-cato, per lo meno nei prossimi 50-60 anni; dun-que possiamo dire che da un’imposizioneesclusivamente circostanziale, che risulta chia-ramente da un approccio tecnico ma anche le-gato alle leggi di mercato, nasce un limite chediventa molto visibile, fisso, tangibile, nella vitadelle persone che si insedieranno nell’area.É cosí che si costruisce il paesaggio: il paesag-gio è costruito da questi segni, che corrispon-dono in forma molto diretta all’impronta che

Parco verde "do Mondego",Coimbra, Nuñes

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deriva dalle nostre esigenze, dalle nostre ne-cessità e dalle soluzioni ai nostri problemi.Quindi quando parliamo di paesaggio, stiamoparlando di qualcosa che riflette la comunitàche l’ha generato in una forma abbastanzachiara, a volte così chiara da funzionare comeuna sorta di ritratto di Dorian Gray; a volte chie-diamo ad una comunità se si riconosce nel pae-saggio che ha costruito, nel paesaggio di cui èresponsabile, e la comunità dice “no, non mi ri-conosco nel paesaggio che ho generato”. Forsese parliamo della periferia di Napoli e io chiedoa voi che siete la comunità locale se vi ricono-scete in questo paesaggio, può essere che mirispondiate di no, e questo può avvenire perdue ragioni: o la risposta è ipocrita, perché difatto voi dite di no, ma continuate con gli stessiprocessi e modi di vita che contribuiscono allaformulazione fisica, alla materializzazione diquesto paesaggio; oppure c’è un problema dirappresentazione, nel senso che le soluzioniadottate per rispondere ai problemi, alle neces-sità, ai sogni della comunità non sono in ac-cordo con i veri sogni, con i veri desideri dellapopolazione locale. Secondo me nel caso spe-cifico si hanno entrambi i problemi: c’è un pó diipocrisia e c’è un po di discordanza di rappre-sentazione tra il sogno e il potere che gli dáforma.Almeno in Portogallo abbiamo un misto di en-trambe le cose.Il progetto si inserisce in un’area che non èmolto ben definibile, è acqua e terra insieme, illimite si configura nelle maree che hanno una

portata molto ampia e la linea che definisce il li-mite tra terra e acqua è qualcosa di costante-mente variabile e di estremamente poco chiaro.E di fatto anche matericamente si ha qualcosache non è né terra né acqua, una specie di ma-teriale “limite” che costituisce la giunzione tra lealtre due condizioni.Il nodo centrale di questo progetto è in realtà uninsieme di problemi complicati, che ci ha por-tato ad una particolare soluzione; il primo è unproblema di condizione topografica: si tratta diun’area abbastanza piatta, un’area che, anchese abbastanza grande, era sminuita dalla suaorizzontalità, dal momento che quando si arri-vava si vedeva completamente tutto e dunqueera necessario cercare di creare una articola-zione più complessa, soprattutto per quanto ri-guarda il rapporto tra la terra e il fiume, che inquesta zona conta circa 16 km di larghezza equindi è una presenza che “schiaccia” qualsiasielemento che si rapporti a lui. Era quindi ne-cessario trovare una forma per gestire l’ap-proccio all’acqua in modo da avere da lontanouna visione “a canyon” dell’acqua, e man manoche ci si avvicina una visione panoramica. Dun-que partendo da questi presupposti si é arrivatiad una organizzazione morfologica, topogra-fica, alla costruzione di una topografia artificialeche riuscisse a produrre una gestione del rap-porto percettivo con questo luogo.Inoltre, considerando i venti fortissimi a cui que-sta zona é soggetta, questi stessi elementi mor-fologici vengono modificati per creare dellecondizioni di riparo. Queste considerazioni im-mediatamente ci conducono a una particolarecondizione: queste forme hanno una sezionetriangolare che funziona con un versante incli-nato rivolto a nord ed uno rivolto a sud. In ter-mini esclusivamente ambientali ed ecologici,significa che abbiamo il maggior contrasto pos-sibile, e cioè che sul versante a nord abbiamomolto vento e di conseguenza particolari condi-zioni di vita per la vegetazione, mentre nel ver-sante a sud abbiamo la massima radiazionesolare al riparo dal vento. Questa condizione ciporta alla possibilità di generare un segno che

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Parco verde "do Mondego",Coimbra, Nuñes

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ancora una volta non deriva dall’impronta ge-stuale lasciata da noi e che dovrebbe essereconsolidata dalla manutenzione, ma si arriva adun segno che risulta da un processo che noi ab-biamo soltanto avviato. Se è vero che questamorfologia definisce due situazioni assoluta-mente contrastanti di vegetazione, allora anchein assenza assoluta di manutenzione le es-senze che possono vivere su questi terrapienisono diverse, quindi stiamo producendo unalinea di contrasto, una linea di cambiamento. Ilprogetto è stato solamente quello di far diven-tare ancora più radicali, ancora più contrastantiqueste differenze: sul versante nord abbiamoportato la pendenza fino al suo limite massimodi stabilità fisica, abbiamo ridotto la quantità diacqua e abbiamo piantumato alberi con un si-stema di alberature collegato al sistema degliarbusti. Il versante sud è stato portato ad unapendenza che massimizza la quantità di radia-zione solare ricevuta dal suolo, abbiamo gene-rosamente attribuito l’irrigazione ad aspersionee abbiamo utilizzato un rivestimento a prato.Le geometrie delle dune sono geometrie evi-dentemente artificiali, anche nella loro ripetiti-vità, perchè hanno tutte gli stessi criterigeometrici, le pendenze sono sempre le stesse,e i raggi di curvatura sono sempre gli stessi. Laduna diventa cosí un segno referenziale, moltochiaramente prodotto dall’uomo. Un momentoimportante si ha quando il percorso, molto ur-bano, si stacca dal suolo che lo sostiene e di-venta un percorso sopraelevato, che lasciafunzionare le maree sottostanti, e, parlando ditransizione tra terra e acqua, qui il limite diventanon proprio naturale, perché è stato assoluta-mente costruito, però è un limite morbido.Questi sono esempi di un paesaggio che è statocostruito come una sorta di grande edificio, conle sue infrastrutture, con le sue gallerie, con unsuo progetto, con l’appalto per scegliere il co-struttore, con le preoccupazioni legate ad unedificio chiaramente instabile, che non è mai lostesso, che cambia ogni giorno, che cambialungo la sua vita, ma comunque una costru-

zione prodotta da un processo in cui la trasfor-mazione viene sintetizzata in un elemento di co-municazione tra chi l’ha ideata e chi la realizza,uno strumento di comunicazione chiamato pro-getto che è sempre astratto, in cui non abbiamopiù la possibilità di produrre, di costruire pae-saggio in forma diretta, in forma direttamente at-tiva. Abbiamo per forza la necessità dicoinvolgere in questo processo un filtro tra noi ela materializzazione delle nostre idee, un filtroche astrattizza le idee, l’approccio, persino nellalettura del processo stesso, perché si dá una let-tura cartografica del problema, e non fisica.Un’altro esempio di processo di costruzione delpaesaggio è il concorso che abbiamo vinto nel2007 per il waterfront della città di Anversa, suun’area di 100 metri per 7 chilometri, lungo ilfiume Schelda, davanti al centro storico di An-versa, corrispondente all’area dell’ex-porto diAnversa. Esiste un sistema complessissimo didarsene che è ora il vero porto, delimitato da unmuro che praticamente funziona come un ar-gine, un contenitore protettivo della città e dellebanchine stesse, che arrivano a quota 7 e d ilmuro solleva la quota di protezione dalla quota7 alla quota 8.20. Il problema è che questa città,stanca di veder superato il livello di protezionegarantito da questo muro, ha voluto sollevare laquota di protezione, e ha cercato di arrivare allostesso livello di protezione dell’Olanda; bisognadire che il livello di pericolosità dell’acqua non èdovuto ad eventi straordinari come piene o si-mili, ma è dovuto al cambiamento del livello delmare stesso, a seconda della sovrapposizionedi eventi come interposizioni planetarie, venti,pressioni atmosferiche che causano mareestraordinarie provocando esondazioni. InOlanda il periodo di ritorno utilizzato per la pro-tezione è di 350 anni, e la quota di 8.20 metri diprotezione corrisponde ad un periodo di ritornodi 15 anni: evidentemente 15 anni non bastanoper lasciare tranquilla la città. Era necessario in-nalzare la quota di protezione fino a 9.30 metri.La municipalitá, consapevole del fatto che que-sto innalzamento di quota rappresenta un vero

Riqualificazione urbana,Alagoa (Carcavelos), Nuñes

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problema, perché verrebbe a tagliare tutti i rap-porti tra la città e il fiume, ha promosso questoconcorso. Si trattava di un concorso internazio-nale, in un sistema di concorsi internazionaliaperti, che prevede di far diventare temi per laprogettazione i problemi sentiti e raccolti da tuttii cittadini. Questo concorso prevedeva un ap-proccio di masterplan e successivamente lo svi-luppo di differenti progetti. Il tema di questoconcorso era principalmente un’infrastruttura.Come tutti sappiamo un’infrastruttura è soprat-tutto un’opportunità di costruire paesaggi, e inquesta situazione rappresentava la possibilitàdi costruire un waterfront. L’unica soluzione eraquella di non rispondere con una proposta in-frastrutturale, ma rispondere con una propostadi costruzione del paesaggio, evidentemente, ecercare prima di tutto di far vedere una cosa: unmuro è un taglio brutale tra città e fiume, pro-prio perché impermeabile visivamente e fisica-mente, mentre una deformazione topografica èsí un limite dal punto di vista visivo, ma non loè in termini di passaggio, e dunque possiamoproporre come punto di partenza per questoproblema un approccio in cui si riconfigura lamorfologia attraverso un sistema di cambia-menti topografici.La questione che si poneva era come potermantenere in questa area tutte le caratteristichedi spazi straordinari della città, spazi di attesa,di assenza di compromessi, di generosità, cheabbiamo paragonato a delle pagine biancheche non devono ricevere nessuna scrittura,nessun segno definitivo, devono essere spazi

di respiro della città, degli spazi dove le futuregenerazioni possano avere il loro spazio di af-fermazione e spazi dove tutte le attività tempo-ranee possano avere luogo (infatti fiere,manifestazioni, le attività legate per esempio alcirco avvengono qui).Il problema è stato quello di trovare il modo dipoter rispondere in termini tecnici alla soluzionedi questo problema della comunità senza l’ar-roganza di disegnare un paesaggio alternativo.Non volevamo imporre un disegno che fissassetutto ció che fino ad ora era dinamico,mobile,flessibile, tollerante , in attesa di un soffio di vo-lontà e di desiderio che lo animasse per un paiodi giorni. Era importante mantenere il carattereflessibile dell’area.Quello che abbiamo cercato di fare è stato primadi tutto analizzare molto profondamente questoluogo, in termini morfologici, in termini di rap-porto con le attività che riguardano il porto, contutta la dinamica dei passaggi, con i rapportispazi aperti-spazi costruiti, con il fatto che la cittànon è sempre la stessa lungo il waterfront e chequeste pagine bianche sono comunque coloratedalle diverse atmosfere e ambienti che questacittà riesce a creare, e considerando che nellacronologia verticale queste pagine bianche sonoricchissime perché nascondono segni lasciatinei diversi momenti della città di Anversa.Quest’idea era il primo embrione della sintassi:la volontá di non imporre un sistema chiuso, unpiano nel senso classico del termine, perché ipiani non riescono ad avere la capacità di es-sere dinamici com’è il contesto, com’è il mondoal cui devono essere riferiti.Abbiamo presentato un approccio nel quale si écercato di realizzare e di esaurire tutte le possibi-lità di affrontare il problema. L’intenzione eraprima di tutto trasformare un sistema assoluta-mente violento nell’articolazione tra città e que-sto spazio di risulta “non-città”, caratterizzatodalla sua eventuale inondabilità e per questo do-tato di infrastrutture particolari, non propriamenteurbane, e proporre un’infrastruttura che non sol-tanto creasse la possibilità di divisione tra città efiume (un fiume diciamo astratto), ma che defi-nisse anche la separazione tra città e non-città,questa striscia di terra che non appartiene com-pletamente alla città ma che è solo in grado di ac-cogliere occasionalmente questo stato particolaredi programma. In questo momento questa transi-zioni, perché abbiamo delle transizioni verticalitra le diverse quote: la banchina ha un limite ver-ticale e quindi periodicamente le maree si spo-stano raggiungendo un limite verticale, finchè adun certo punto inondano tutta l’area della ban-china; e se la marea continua a salire il limite del

Parco urbano "de sao romao",Leiria, Nuñes

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muro (cioè la quota 8metri) viene superato e l’ac-qua inonda tutta la città.Abbiamo cercato innanzitutto di trovare delleposizioni che riescano a far diventare piùchiaro, più dinamico e più cosciente questo rap-porto tra terra e acqua.Inoltre abbiamo cercato di esaurire tutte le pos-sibilità di costruzione della deformazione topo-grafica cercando di riuscire a sostituire questomuro in quanto barriera.Abbiamo costruito un in-sieme di sezioni tipologiche che impostano la po-sizione di questo limite più vicina alla città, e cheoffrono un’area di non-città più generosa, che sipuò configurare come un piano sensibilmente in-clinato (stiamo parlando di un piano inclinato chenella aree dove la fascia di lavoro é più estesaarriva a pendenze del 5%, quindi qualcosa che siavvicina molto, in termini percettivi, ad una situa-zione piatta); oppure si puó utilizzare il sottosuolodi quest’area protetta per sviluppare i parcheggio per riuscire a raggiungere le quote archeologi-che sotto; o ancora la deformazione raggiunge laconfigurazione di argine oppure è abbinata aduna posizione di scavo in cui viene mantenutasempre la situazione attuale, perché in alcunipunti la banchina sottolinea lo skyline della città,e dunque sembrava assolutamente sbagliato in-terromperla.Un altro insieme di soluzioni tipologiche riguardale piattaforme mobili; si tratta di sistemi già utiliz-zati spesso in Olanda con un galleggiante a rota-zione o a pistone, ed abbiamo inoltre inventatouna sorta di pontile mobile che ci permette di as-sicurare non soltanto la continuità assoluta dellasezione fino al limite della banchina, ma anche diassicurare il contatto con l’acqua.Il terzo insieme di soluzioni tipologiche, simme-trico alle prime due, riguarda il massimo avvici-namento della posizione del limite all’acqua; ilposizionamento é quello più radicale nel contattotra verde e acqua, nel senso che questo margineprende l’andamento più simile al margine origi-nale, naturale del fiume, sempre però mante-nendo la posizione referenziale di protezione.Poi si é cercato di analizzare queste varianti neitermini delle possibilità programmatiche che of-frono, cercando di far capire che ciascuna dellesoluzioni proposte può rispondere ad un in-sieme di funzioni. Questi sono elementi di con-nessione che chiaramente possono servire amantenere la continuità tra due sezioni/posi-zioni molto diverse nella loro conformazione to-pografica. Noi abbiamo proposto un insieme disezioni tipologiche possibili, per ciascuna dellearee di intervento: in alcune di queste areesiamo convinti di una possibilità, in altre ab-biamo presentato due, tre, quattro soluzioni

possibili, e quello che noi proponiamo è che losviluppo della definizione finale del waterfrontnon corrisponda ad una decisione presa in unaricerca di design, ma che questa analisi possapermettere il coinvolgimento di tutti gli attoricoinvolti nel problemi e tutti gli strumenti di co-struzione del paesaggio perché il risultato siauna costruzione complessa data dall’articola-zione di queste tipologie possibili; ma si trattadi un lavoro concertato, perché devono esserecoinvolte le autorità portuali, le autorità di navi-gazione del fiume, il comune, tutti gli agenti at-tivi che operano sul fiume. Abbiamo cercatopiuttosto di coinvolgere i vari attori nella costru-zione di un modello piú che di un disegno: unostrumento che ci permetta di dire che ci sonoaree che hanno evidentemente una dimensionefissa mentre la sezione tipologica è un’astra-zione, che serve soltanto ad articolare la possi-bilità di modellare idiversi approcci e dá lapossibilità di stimolare i costi .Vorrei cercare di presentare questo masterplansoprattutto come una piattaforma di dialogo,come qualcosa che in certi versi è molto apertoe in certi versi è molto chiuso: nelle aree doveabbiamo avuto la possibilità di trovare una ri-sposta, la diamo con tutta la nostra convinzione,altrimenti proponiamo soprattutto avvicinamentipossibili da discutere e da valutare in un in-sieme più complesso.

*arch. paesaggista, Portogallo

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Crystal Palace Park,Londra, Latz

Parco urbano,Duisburg, Latz

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da discarica a Parco Urbano,Hiriya,Israele, Latz

Tilman LATZ, nato nel 1966, ha iniziato i suoi studi sulla pianificazione e l’architettura del paesaggio a Vienna.Nel 1993, si è laureato in architettura del paesaggio all’università di Cassel.Durante i suoi studi ha concentrato molta parte della sua attività su “idee-guida di riferimento per i concorsisullo sviluppo sostenibile del territorio.

Dal 1997 fino al 2001 Tilman ha lavorato presso lo studio “Jourda Architectes”, di Parigi, con progetti in Fran-cia ed in Germania. Ha inoltre lavorato come responsabile del progetto dell’ IBA-Emscher-Parco, in particolaresul sito della ex miniera di carbone di Mont Cenis, da considerare come un prototipo per la costruzione ed usosostenibile di energia solare. Ha diretto inoltre progetti a Lione (la Hall del nuovo mercato in Piazza otto Mag-gio) ed a Bordeaux (serre, centro congressi, costruzioni per la ricerca e una biblioteca per il nuovo orto bota-nico).

Nel gennaio 2001, Tilman si è riunito allo studio fondato dai suoi genitori, come socio e progettista capo. Tra inumerosi progetti degli anni successivi ricordiamo: l’ open space per lo Shell Research Centre in Thornton (incollaborazione); parte del Landscape del Duisburg Nord Park (riqualificazione e riuso di una fornace); parte delrecupero urbano e del paesaggio in Lussemburgo; il “Jardin Public Aval” (un giardino pubblico nella Cité Inter-nationale di Lione); il recupero del porto di Bremerhaven in un nuovo quartiere della città con spazi pubblici al-l’aperto lungo il waterfront; il recupero di Port Rambaud a Lione; vari studi di fattibilità sul recupero urbano in

Tilman Latz*

Urban Transformations

introduzione

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Francia; spazi all’aperto e impianti sportivi per le scuole e le università tecniche in Germania e nel Regno Unito.Dal 2001 al 2002, Tilman ha insegnato presso la Graduate School of Design, University of Pennsylvania, Phi-ladelphia . Ha relazionato in varie università ed ha fatto conferenze a livello internazionale.Nel suo lavoro Tilman Latz si occupa soprattutto di progetti di recupero, con una attenzione che fonde ele-menti di architettura e di ingegneria con quelli del paesaggio, in una sintesi di materia e memoria, con l’uti-lizzo di strategie combinate di tipo ecologiche, sociali e politiche a servizio dell’architettura e del paesaggionegli spazi urbani.Tra le opere più significative di Tilman Latz possiamo ricordare la partecipazione al grande progetto di ri-qualificazione per Duisburg Nord all’interno dell’Emscher Park in Germania, opera iniziato dallo studio Latz& Partners, dei suoi genitori.Il parco occupa i terreni delle antiche fabbriche siderurgiche Meiderich della società Tyssen e si estende sudi un territorio di circa 230 ettari.L’atteggiamento progettuale che la Latz & Partner adottò per il disegno del parco, non fu quello di tentare unafusione degli elementi presenti combinandoli in un unico assetto paesaggistico omogeneo e uniforme; il teamdi Latz & Partners, cosciente della forte frammentazione e discontinuità spaziale che caratterizzava il sito, ri-cercò, nuove interpretazioni delle strutture esistenti, mutando la loro funzione ed il contesto, attraverso la so-vrapposizione e la coesistenza di una serie di livelli caratterizzati da differenti conformazioni spaziali e funzionali.Le tracce non vennero nascoste, ma esaltate.L’interesse del progetto realizzato deriva dal fatto di non voler “imbellettare” la memoria industriale, né “edul-corarla”, ma di dimostrare come l’artificio possa essere ri-trasformato in natura attraverso i nuovi significatiche a queste grandi strutture sono attribuiti dalle scelte progettuali.Gli antichi reperti di archeologia industriale, oggetti isolati ed inquietanti, vengono “messi in scena” attra-verso vari espedienti, con un procedimento “paratattico”, di confronto non mimetico, come grandiosi interventidi Land Art, e ci inducono ad esplorarli ed a scoprirli. Le grandi spianate destinate ad accogliere i mineralidel ciclo di trasformazione, si rivelano adatte ad ospitare eventi contemporanei, mentre assumono l’aspettodi grandi mosaici di opere d’arte moderna.Ma l’interesse per lo sviluppo sostenibile di Tilman Latz trova una grande occasione nel recupero di una dellepiù grandi discariche contemporanee, e nella sua trasformazione in Parco.Si tratta del parco dedicato a Sharon. a Hiriya, vicino all’aeroporto Ben-Gurion di Tel Aviv .La riconversione della collina di rifiuti di Hiriya fa parte del più vasto Ayalon Park Plan, promosso nel 2004:un sistema di nuovi spazi pubblici e ricreativi che verranno insediati nei prossimi anni nella valle del fiumeAyalon, al centro dell’area metropolitana di Tel Aviv. Il parco di Hiriya è stato pensato come una sorta digrande parco a tema sul riciclaggio dei rifiuti.Il sito di Hiriya è un’area di circa 70 ettari, per decenni discarica di rifiuti indifferenziati urbani di 17 munici-palità tra Gerusalemme e Tel Haviv, che hanno formato una collina alta quasi un centinaio di metri. La di-scarica è stata chiusa nel 1998 e raccoglie, stratificati in varie fasi corrispondenti a varie normative eprovenienze, rifiuti domestici non differenziati. L’area, oltre ad essere molto vicina ai centri urbani, è situataal crocevia tra le due autostrade, è fortemente visibile nel paesaggio piatto del luogo. Amministratori e citta-dini si sono impegnati per decenni al fine di realizzare questo progetto di trasformazione della discarica inuno dei più interessanti parchi contemporanei, definito anche “Recycling Park”.Lo smaltimento pianificato è iniziato nel 2000, e oggi Hiriya riceve 2700 tonnellate di rifiuti indifferenziati algiorno da 800 camion, che ne fanno una delle più grandi stazioni di transito al mondo, oltre che il più vastoe avanzato centro ambientale di Israele.Qui si separa e si ricicla tutto: plastica, legno, metalli, umido.. Dopo aver eliminato le sostanze inorganiche, restail materiale per il trattamento biologico, da cui si ricavano acqua, compost e metano, usato per produrre elet-tricità con una turbina da 1,5 megawatt. Un impianto pilota di gassificazione produce syngas a ciclo chiuso. E’in fase di pianificazione una struttura per il trattamento di pneumatici. E’ in funzione poi un impianto per le areeumide – cinque vasche in cui affondano le radici diverse specie di fiori, con il compito di purificare i rifiuti – e unimpianto di trattamento per le acque reflue del processo di smaltimento. Infine, con 63 pozzi sparsi per tuttal’area viene raccolto il biogas prodotto dai materiali interrati, producendo 4 megawatt di potenza che vanno adalimentare un’azienda tessile a qualche chilometro di distanza (Confronta Le scienze, febbraio 2008).Ayalon Park è un immenso cantiere, ma già dalla primavera 2004 sono stati aperti al pubblico dieci chilometridi piste ciclabili, che collegano Hiriya al Begin Park di Tel Aviv, mentre nel 2010 sarà inaugurato il settore orien-

Parco urbano, Hiriya,Israele, Latz

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Our studio is located in an idyllic rural placewhat implies working on romantic gardens

and parks in an intact landscape. Why do ourprojects look so different?

It is a basic problem of public open spaces thatwe tend to turn “nature” and “ecology” into aes-thetic dogmas and consequently regulate theiruse with bans and rules: Don’t climb on trees,don’t rock a branch, the “poor” tree could bedamaged. One should rather enjoy the sceneryquietly – what makes it impossible to deal withthese places in a natural way. The behaviouralpatterns requested are rather those of the 19thcentury and mean in fact a deviation from nature.We consider it important to accept the reality ofour present-day urban landscape, to learn tounderstand it with all its breaks and apparentconflicts and to transform it for our actual multi-faceted demands.

Our project Crystal Palace Park in Londonseems to be a classical park reclamation con-cept. Looking more closely it becomes evidentthat the revitalization of this once famous pleas-ure park today needs another approach. Regi-mentation of users is not realistic any more. Wemust carry on with another discussion and inte-grate the public into the process.Participation is getting European law. It will bepossible for citizens in the near future, to en-force their claims by legal action. Consequently,we have to check our ability of carrying on a di-alogue and to extend our methods of presenta-tion and education in order to make our publicopen spaces a real success.Urbanization of natural landscapes does notnecessarily mean devastation only, but also anemerging richness or rather biodiversity. Weshould accept this fact not only for the historicurban landscape with its parks, but also for our

Piazza metallica,Duisburg, Latz

tale del parco, il cui progetto, dopo una gara d’appalto internazionale, è stato affidato alla Latz & partners.Già oggi, per illustrare questo gioiello della gestione ambientale, il vicesindaco di Tel Aviv organizza ban-chetti in cima alla montagna di rifiuti che orgogliosamente mostra ai suoi ospiti.I paesaggisti tedeschi Peter e Tilman Latz, così descrivono il nuovo parco: “da lontano Hiriya sembra quasiuna ‘montagna mistica’ nel mezzo della piana del fiume Ayalon. Abbiamo voluto preservare il più possibilequesta immagine, creando comunque un nuovo paesaggio, che reinterpreta i caratteri del mondo mediter-raneo, insieme a un piccolo lago. Tutto questo sarà invisibile dall’esterno in modo da ottenere un effetto sor-presa al termine della lenta ascesa verso la sommità della collina”.Davvero un bell’esempio da importare nelle nostre martoriate regioni di come, perfino dai rifiuti, si possa ri-cavare ottima architettura del paesaggio.

Vito Cappielloprofessore ordinario di Architettura del Paesaggio

Facoltà di Architettura di Napoli

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production landscapes. Even extensive “land-scape damages” caused by agriculture, indus-try or mining can be understood as a chance tostage the fascinating aspects of specific placeswhere both cultural and ecological approacheswould find together.

They needn’t be destroyed again. We can pre-serve, develop and convert. In the LandscapePark Duisburg Nord, the complexity of the for-mer industrial site has enabled an incredibly richpark. In a way, it represents the modern adap-tation of a historical model: We must grab whatfrightens us, tame the wild beast and make apart of the park from it, thus conveying a newmeaning.Structures already built are transformed andused in a new way – they become usable partsof a new landscape. A landscape of steel existsside by side with the green one, both of themcapable of a harmonizing dialogue.

The usability of the existing elements is pre-condition for their preservation. Thus the formerore bunkers turn into climbing gardens, the gas-ometer becomes a submarine world, and arather minor location amidst the blast furnacesturns into an artwork and a symbol of change.In this way we might succeed in saving not onlythe castles of the ruling class, but also the mon-uments of work and industrial history.

With a similar approach, we worked on the fu-ture Parco Dora in Torino. We tried to trans-late the rational logic underlying the formerindustrial plant, into analogous structures: Thehistoric architectural grids become grids oftrees, the gigantic constructions of former pro-duction halls turn into a steel jungle, a coolingtower becomes a fountain.Staging the still existing industrial remains al-lows by comparatively simple means to presentparks or landscapes in a much more spectacu-lar way than a new park on a “Tabula Rasa”.Moreover, their constructions are more robustand durable than new ones.

After the design phase the project had to behanded over to a general contractor. We hopethat he will be in the position and willing to real-ize the park in this spirit.

Even a space made of stone can be used inplace of a park if connected consistently withthe city and not denying besides its function thenarrative aspects of its traditional structures.For the redevelopment of the New/Old Har-bour Bremerhaven we dealt intensively withthe materiality of the old harbour site and triedto transform it in an expressive way for up todate use. It is absolutely possible to wrest anambitious design from the rugged and hard ma-terials of a harbour. They must be applied quitedeliberately so that they can still tell their storyand at the same time can be used in an excel-lent way. In such a context, nonlocal materialsmight lead quite quickly to a loss of narrativedensity.

We cannot afford to blind out hostile and unus-able spaces of our everyday environment again

New/Old Harbour,Bremerhaven, Latz

Parco Dora Spina,Torino, Latz

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L’urbanizzazione dei paesaggi naturali non deve necessariamente significare mera devastazionedegli stessi, ma anche e soprattutto deve mettere in luce la capacità del paesaggista di contem-perare e far coesistere approcci diversi al luogo ed al progetto, che siano insieme “eco-logici” e“culturali”.Questa è la filosofia che contraddistingue l’attività e le opere di Tilman Latz.Le criticità e le problematiche che definiscono alcune allocazioni devono essere trasformate nellepeculiarità di un progetto, divenendo così attrazioni speciali per visitatori e per utenti; per otteneretutto ciò è essenziale che il progettista si concentri sul “genius loci”, trovando in tal modo il lin-guaggio progettuale sviluppato esclusivamente per “quel” luogo.Si può e si deve preservare, sviluppare e convertire: strutture già costruite ed esistenti sono tra-sformate ed utilizzate in modo nuovo, divenendo parti “utilizzabili” di un “nuovo” paesaggio.L’utilizzazione degli elementi già esistenti è condizione necessaria e sufficiente alla loro preser-vazione e conservazione.In questo modo potranno essere salvati non soltanto i “monumenti” della classe dirigente, maanche quelli che hanno caratterizzato la storia operaia ed industriale.

Trasformazioni urbaneabstract

Parco urbano, Hiriya,Israele, Latz

and again. This makes our world smaller andsmaller. We cannot afford to leave all the po-tentials unused which are inherent even inhighly problematic locations. Even a mountainof garbage out of operation can turn into a spec-tacular public space without denying its originalfunction.As a matter of course the conditions are per-manent control and consistent securing of pol-lution. We must drain off leachate and methane,stabilize the slopes and seal the surface. Thebiggest task is that the garbage “works”, themountain will shrink and move for decades.

Working on the Hiriya landfill rehabilitation inTel Aviv, we have accepted these conditions

and developed flexible building principles, hav-ing always in mind to preserve the impressiveappearance of this manmade “Table Mountain”.The steep slopes get stabilized by a continuousfoot terrace made of recycled demolition waste.Dry stone walls – also constructed with recycleddebris – support “swinging” terraces betweenthe plateau and the central depression. Thenecessary extensive sealing and a specific re-tention system offer the chance to collect suffi-cient water for an evergreen oasis.

It is one of our office’s basic guidelines to trans-form problematic locations into the characteris-tics of a project and special attractions forvisitors and users. In doing so it is essential toconcentrate on the genius loci and to find a lan-guage developed exclusively for this place.

*arch. paesaggista, Germania

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Parco "Saint Piere",Amiens, Osty

Parco "Clichy-Batignolles,Parigi, Osty

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Jacqueline Osty*

Terre perdute: nuove centralità urbane

introduzioneSiamo giunti al penultimo incontro dei Martedì Verdi organizzati dall’Ordine degli Architetti di Napoli e provinciae dall’AIAPP Sezione Magna Grecia.Come Responsabile della Sezione Magna Grecia dell’Aiapp, mi preme ringraziare il Garden Club PenisolaSorrentina che, anche quest’anno, ha sponsorizzato l’iniziativa.Oggi abbiamo con noi la paesaggista Jacqueline Osty che ha fondato il suo studio a Parigi nel 1983.Si è laureata in architettura del paesaggio alla Scuola Nazionale Superiore del paesaggio di Versailles.Ha insegnato architettura del paesaggio nella Scuola di Versailles e alla Harvard University. Dal 2004 inse-gna alla scuola di Blois.Ha progettato e realizzato il parco Saint Pierre a Amiens e per questo parco ha vinto il premio Urban Plan-ning Parks and Gardens nel 1994 e il premio Landscape nel 2005. Ha ricevuto, inoltre, la medaglia d’argentodall’Architecture Academy Foundation nel giugno del 2004. E’ conosciuta per la sua abilità di plasmare il pae-saggio come una struttura con una forte sensibilità architettonica. I suoi progetti sono legati al contesto in cuiopera e alle sensazioni che il luogo le da’ sia in piccola che in grande scala. E’ attenta a creare dei link cheancorano il progetto al sito ed ogni progetto si configura come un piccolo pezzo di una tessitura più ampia.Nel suo modo di progettare il paesaggio Jacqueline Osty mostra chiarezza e semplicità che si coniugano conla ricchezza della struttura e dei materiali.Ha lavorato in molti progetti urbani per molte città francesi.I suoi progetti vanno dai grandi parchi pubblici, alle piazze e al recupero urbano.Voglio ricordare il già citato progetto per il parco Saint Pierre aAmiens del 1994 all’interno del quale l’elementoacqua nella sua naturalezza, caratterizza il progetto, il parco Grammont a Rouen, il giardino Robinson aPlessis – Robinson, il parco Teodore Monod a Le Mans nel quale si legge un’impostazione minimalista, ilparco Clichy Batignolles a Parigi, in cui gli assi della città penetrano definendone la struttura principale chesi interseca con la geometria del progetto. Per passare ai progetti degli spazi pubblici urbani e delle prome-nade di Piazza Bellecour a Parigi, Piazza Bachut, Piazza Francoforte a Lione, Piazza Charles de Gaulle aPoitier. E infine a Parigi la promenade Richard Lenoir e il lungo fiume della Senna di fronte alla Biblioteca Na-zionale.

Giulia de Angelispresidente della Sezione Magna Grecia dell’Aiapp

Biography Jacqueline Osty

Jacqueline OSTY is a landscape architectworking in Paris. A graduate of the nationallandscape architecture school of Versailles, shefounded her own office in 1983. She also taughtat the national landscape architecture school ofVersailles and at the Harvard University. She’steaching at the landscape architecture schoolof Blois since 2004.She has designed and constructed theSaint-PierrePark in Amiens and has won the Prize for UrbanPlanning (Parks and Gardens) in 1994 and thePrice of Landscape in 2005 for this park. She hasalso received the Silver Medal from the Architec-tureAcademy Foundation the 22th of June 2004.

Know for her ability to translate landscape asstructure with a strong architectural feeling,Jacqueline has worked on many urban designprojects for most of France’s major cities. Shehas developed a very contextual and sensitiveapproach to the site, working back and forthfrom a large territorial scale to the scale of smalldetails. She pays close attention to how to cre-ate links to anchor the project in the site. Eachproject is like a fine piece of weaving. In herlandscape design, Jacqueline sets out clear andsimple lives in contrast with a richness of tex-tures and materials.

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Her works covers a variety of landscape typesfrom large public parks, public places to urbanrestructuring. Her park work includes the ParkSaint-Pierre in Amiens, the Grammont Park inRouen, the Robinson garden in the city ofPlessis-Robinson, the Park Theodore Monodfor the city of Le Mans and the Clichy-Batig-

nolles Park in Paris. The public place projectsand urban promenades work include the Belle-cour Place, the Bachut Square and the Franc-fort Place in Lyon, Charles de Gaulle Place inPoitiers, and, in Paris, the Richard-Lenoir prom-enade and the Seine River bank in front the newNational Library.

Parco "Saint Piere",Amiens, Osty

abstract

Le città stanno ampliandosi al di fuori dei loro confini attuali, sono zone enormi con terreni incoltidiventati vittime di economia hupheaval. Stiamo arrivando ad un periodo nel quale si voglionoguadagnare queste zone abbandonate. Sappiamo che cosa è in gioco per il nostro futuro? Que-sta può essere un’occasione per inventare il nuovo disegno urbano.In questo contesto inoltre significa che gli abitanti della città hanno una consapevolezza che con-tinua ad aumentare verso l’ecologia e la sete per la natura. Ecco perché sempre più la gente stainvitando gli architetti paesaggisti per intervenire a riparare le nostre città.Per lavorare a questa scala, il progettista di paesaggio deve occuparsi delle domande che fino adoggi erano principalmente alla portata della progettazione urbana. Tali domande sono: come iscri-vere un progetto nel più grande contesto possibile, nella visione possibile più larga di una città,considerare la relativa storia, la morfologia e una gamma completa dei bisogni, con l’obiettivo diuno sviluppo sostenibile. Non ci può essere il progetto reale di paesaggio senza una vista e unastrategia generali necessarie per generare i collegamenti fra tutte le parte di una città.Ciò fa parte di nuova filosofia contemporanea dell’architettura del paesaggio. Il relativo obiettivoè l’idea di un beneficio comune e per questo obiettivo è necessario rivelare il potenziale dei luo-ghi, i sogni di fondo, relazionarli con gli sviluppi finanziari ed economici possibili.La realizzazione del parco del San-Pierre in Amiens (1994) e del parco di Clichy-Batignolles a Pa-rigi (2008-2009) si è sviluppata su luoghi di terre residue, del luogo del brownfield e delle ferrovie,una politica di riconquista urbana delle terre residue e di nuova creazione di centralità. Il parco delSan-Pierre, è naturalmente urbano mentre il parco di Clichy-Batignolles, è artificialmente naturale.

*arch. paesaggista, Francia

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Venaria Reale, Torino

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28 APRILE ore 16.30 saluti Paolo Pisciottapresidente Ordine Architetti di Napoli e Provincia

Giulia de Angelispresidente della Sezione Magna Grecia dell’Aiapp

Bruno Mancusosindaco Comune di Sant’Agata di Militello (Me)

interviene Gabriella Cundariassessore all’Urbanistica Regione Campania

presentazione Giuseppe Contigugliadirettore piano strategico Nebrodi città aperta

conferenza Benedetto La Macchiacoordinatore piano strategico Nebrodi città aperta

12 MAGGIO ore 16.30 conferenza Henri Bava«Territorio – dal paesaggio alla città»introduce Alessandra Forino

26 MAGGIO ore 16.30 conferenza Gabriele Kiefer«Ricombinazioni»introduce Maria Luisa Margiotta

9 GIUGNO ore 16.30 conferenza Philippe Coignet«Morfologie»introduce Vincenzo Corvino

16 GIUGNO ore 16.30 conferenza Paolo Burgi«Il progetto di paesaggio tra riscoperta e sperimentazione»introduce Tindara Crisafulli

conclude Pio Crispinovicepresidente Ordine Architetti di Napoli e Provincia

Coordinamento scientifico:arch. Pio Crispino vicepresidente Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia

arch. Giulia de Angelis presidente della Sezione Magna Grecia dell’AIAPP

Segreteria organizzativa:

Dott.ssa Ester Burani Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia

imartedìverdiCICLO DI CINQUE CONFERENZE SUL PAESAGGIOsede dell’Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia

ORDINE DEGLIARCHITETTIPIANIFICATORIPAESAGGISTI

E CONSERVATORIDI NAPOLI

E PROVINCIA

Sezione Magna Grecia

Associazione Italianadi Architettura del Paesaggio

www.aiapp.net322000099

Sala delle ConferenzePiazzetta Matilde Serao 7

80133 Napoli

Tel 081 4238259081 4238279

Fax 081 2512142

Foto Giulia de Angelis