architetti napoletani 6 - marzo 2002

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architetti napoletani rivista bimestrale dell’ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori di napoli e provincia 6 marzo 2002 spedizione in abb. postale 45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96 - filiale di Napoli

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architettinapoletanirivista bimestrale dell’ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori

di napoli e provincia

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dalla redazione

Progetto per la sistemazione del litorale di Castefusano di Adalberto Libera, 1933 - 1934.

Il nuovo “appellativo” di Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori, introdotto con ilD.P.R. 328/01 da alcuni mesi, induce a importanti riflessioni su cosa significherà nel prossimo futuroessere architetti. Un approfondimento a cui le Scuole di Architettura e gli Ordini professionali non potrannoesimersi, nella consapevolezza che appare ormai ineludibile recuperare e rifondare un rapporto dialetticotra didattica e professione.Ci soffermiamo in questo numero su alcune considerazioni sul ruolo e la formazione dell’architettopaesaggista con un lavoro editoriale che fonda sulla necessità per il progetto di una partecipazionemultidisciplinare.Il paesaggio, infatti, è sempre stato parte integrante del bagaglio di un architetto, a partire da considerazionisul sito in cui va ad operare consapevole dell’apporto di figure professionali diverse.Dopo una serie di colti contributi raccolti con passione e competenza dai curatori, la ricerca editoriale sicompleta con una rassegna delle scuole e dei corsi di formazione dedicati all’architettura del paesaggio.

Gli ordini professionali si avviano a rivestire un ruolo fondante nella formazione pre e post-universitaria enelle pagine della rivista confidiamo di avviare il luogo del confronto.

Cordialità

Vincenzo Corvino

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numero 6 · marzo 2002

editoreConsiglio dell’Ordine degli Architetti di Napoli e Provincia

Paolo Pisciotta presidente

Ermelinda Di Porzio vice presidentiAntonella PalmieriGennaro Polichetti segretarioGerardo Cennamo tesoriereFrancesco Bocchino consiglieriFrancesco CassanoVincenzo CorvinoPio CrispinoGiancarlo GrazianiBeatrice MelisGennaro NapolitanoFulvio RicciOnorato VisoneAntonio Zehender

direttore responsabilePaolo Pisciotta

direttore editorialeVincenzo Corvino

responsabile di redazioneGiancarlo Graziani

comitato editorialeMassimo CalendaPasquale De MasiErmelinda Di PorzioFabrizio Mangoni di S. StefanoAntonella Palmieri

redazioneAntonio Acierno, Giuseppe Albanese, Antonio Ariano,Clotilde Bavaro, Enzo Capone, Alba Cappellieri,Raffaella Celone, Giovanna di Dio Cerchia, Claudio Correale,Marco De Angelis, Carmen Del Grosso,Giovanni Francesco Frascino, Salvatore Gatti, Luca Lanini,Antonello Marotta, Aldo Micillo, Giulia Morrica,Mariarosaria Pireneo, Marcello Pisani, Adelaide Pugliese,Francesco Scardaccione, Roberto Vanacore

direzione e redazioneOrdine degli Architetti di Napoli e Provinciavia Medina, 63tel. 081.552.45.50 · 552.46.09fax 081.551.94.86http://www.na.archiworld.ite-mail: [email protected]

servizio editoriale e pubblicitàEidos s.a.s.via Napoli, 201 Castellammare di Stabia Napolitel./fax 081.8721910e mail: [email protected]

stampaGrafica MetellianaCava de’ Tirreni Salerno

progetto graficoMichele EspositoAnna Della Monica

Registrazione Trib. di Napoli n°5129 del 28/04/2000

distribuzione gratuita agli architetti iscritti all’albodi Napoli e Provincia, ai Consigli degli Ordini Provincialidegli Architetti e degli Ingegneri d’Italia,ai Consigli Nazionali degli Architetti e degli Ingegneri,agli Enti e Amministrazioni interessate

spedizione in abb. postale45% - art. 2 comma 20/b legge 662/96-filiale di Napoli

Gli articoli pubblicati esprimono solo l’opinione dell’autoree non impegnano il Consiglio dell’Ordine né laredazione della Rivista.Di questo numero sono state stampate n° 8.000 copie

Chiuso in tipografia l’1/03/2002

le traduzioni sono a cura di Fulvio Carpino

rivista bimestrale dell’ordine degli architetti, pianificatori, paesaggistie conservatori di napoli e provincia

architettinapoletani

in questo numero:

consapevolezza del “processo naturale” 4giovanni francesco frascino, enzo capone

editorialeil paesaggio, perché 6

mirko zardini

argomentielementi di economia del paesaggio 8

paolo leon

l’agronomo paesaggista 10alessandro chiusoli

la lettura geologica del territorio 13riccardo caniparoli

il ruolo del clima nelle attività umane 16giuseppe fattorusso

paesaggi e progetti 18massimo pica ciamarra

l’arte nel paesaggio 20enzo capone

intervista a George Hargreaves 22giovanni francesco frascino

intervista a Gabriele G. Kiefer 29alessandra forino

nuovi paesaggi, tra contaminazione esconfinamenti nell’opera di Fuksas 35

antonello marotta

interventi moderni e tutela paesaggistica 39giovanni villani

la legislazione paesaggistica in Italia:una norma apparente 42

roberto patscot

obiettivi della formazione e settori operativi della professione 44

francesca mazzino

scuole e corsi di specializzazione 47silvia barbone

in copertinaprogetto per la Baia di Homebush a Sidney

di Hargreaves Associates

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Nel curare questo numero della rivista dedica-to, per la seconda volta e non a caso, al paesag-gio, abbiamo cercato di fondare le argomen-tazioni in modo semplice e razionale su tre puntiper noi saldi:- la presenza del progetto,- il paesaggio come disciplina scientifica,- la multidisciplinarietà.Il paesaggio è un grande organismo vivente ecome tale si trasforma grazie alle molteplici com-ponenti naturali (azioni naturali) e culturali (azionidell’uomo).La presenza di un progetto, teso al migliora-mento o mantenimento degli equilibri ambien-tali ed alla coesistenza tra attività umane e l’am-biente, diventa vitale per la gestione dinamica eil controllo del territorio, superando la visionedei cosiddetti “protezionisti” legati ad un’imma-gine del paesaggio e ad una tradizione ancoradominata dal “dogmatismo pittoresco” (appro-priata definizione coniata da Rossana Vac-carino) che porta ad un atteggiamento di totaleimmobilismo; quest’ultima considerazione trovale sue radici nella tradizione pittorica seicen-tesca della natura che la vede affrancata dalruolo di fondale di allegorie religiose o raccontimitici per lasciare posto alla rappresentazionedi sè stessa. Questa identità conquistata deri-va, grazie a Spinoza, dalla grande filosofia del-l’epoca che, supportata dalle nascenti rivoluzioniastronomiche ed ottiche, vede la natura come illuogo predestinato da Dio nel quale far manife-stare la legge; da questa associazione al divi-no, all’infallibilità ed intoccabilità della natura,in contrasto con la meccanicistica e pragmaticavisione di Francesco Bacone (Novum Organum,1620) di Cartesio e di Isaac Newton poi, si com-prende quella cultura del paesaggio che in Ita-lia predilige e contrappone il “bello” all’“utile”,trascurando le matrici scientifiche, naturali-stiche ed antropologiche del paesaggio e cheha dato origine alla legge del 1939, prima leg-ge sul paesaggio.Lo stato del paesaggio italiano risulta compromes-so, nonostante il tentativo, che dura da quasi 70anni, di alcuni architetti italiani di influire sul pro-cesso di trasformazione del paesaggio. In partico-lare, i tentativi di modificazione del paesaggio ven-gono espressi in tre diversi modi; progetti comequello per la sistemazione del litorale di Castel-fusano,1933-34 di A. Libera, o il piano per LignanoPineta, 1953-56 di M. D’Olivo, sono espressionedell’intenzione di fondare l’“idea del paesaggio”,mentre progetti come quello per la sistemazionedelle cave di Montericco,1973 di E. Puglielli o ilprogetto per l’Esposizione Nazionale di Palermo,1988 di R. Collovà esprimono la volontà di “dialo-go” con il paesaggio, attraverso un lavoro di lettu-ra, di analisi e di osservazione del sito, ed infine, i

parchi archeologici sono l’emblema del “restau-ro” del paesaggio, tra gli esempi autorevoli il pro-getto per Pompei, 1987 di R. Piano, il progettourbanistico del parco ambientale di Cuma,1987di S. Bisogni, l’accesso al tempio di Segesta, 1980di F. Venezia.Il notevole archivio di progetti paesaggistici, inparte sopraccitati, sono il chiaro sintomo del vuotolegislativo di quegli anni che si è, poi, riempito,negli anni successivi, sulla falsa riga della cultu-ra della conservazione.Negli ultimi decenni l’Architettura del Paesaggiosi è profondamente evoluta per far fronte a tuttauna serie di esigenze diverse che vanno da quelledella committenza-utenza a quelle del sito, finoa quelle della tradizione.La moderna scuola di Architettura del Paesaggiosi rifà ai principi della “pianificazione ecologica”della quale lo scozzese Ian McHarg è sicuramen-te uno dei padri fondatori, a lui va,infatti, il meritodi aver elevato l’analisi del paesaggio a discipli-na scientifica (Design with nature, 1969). Il pae-saggista in quest’ottica dovrebbe possedere no-zioni basilari di tipo biologico (botanica, scienzadei suoli, arboricoltura,) e conoscere, attraversoindagini analitiche svolte da uno staff multidi-sciplinare di esperti e specialisti (geologi, pedo-logi, climatologi, agronomi, geografi, entomologi,esperti in sistemazioni idrauliche), le caratteristi-che del sito per mezzo delle quali individuare, poi,vocazioni e repulsioni del paesaggio, consideran-do il territorio come un enorme valore economi-co; in virtù di tale ultima considerazione dovran-no essere conseguentemente valutati i beneficieconomici e sociali di ogni intervento, tenendopresente che progettare contro i ritmi biologicigenera costi di manutenzione con il tempo addi-rittura insostenibili.Il paesaggista deve, in particolare, conoscere gliaspetti culturali della stratificazione antropica sulterritorio, infatti, in tal senso si è espressa anchel’UE con la Direttiva n. 384/85 che stabilisce, co-me requisiti minimi dei soggetti abilitati allaprogettazione di qualunque trasformazione am-bientale, la partecipazione ad un corso di studiuniversitari quinquennale, una specifica prepa-razione con corsi biennali in storia dell’architet-tura, in composizione architettonica ed, infine, inurbanistica.Il paesaggista, così configurato, cosciente del fat-to che qualsiasi intervento provoca (intuendolodai principi entropici) legittimamente sempre unaripercussione, risulta essere un progettista dota-to di conoscenze diverse, che vanno da quelle ditipo biologico a quelle storiche fino a quelle tec-nico-costruttive; come un regista coordina, ge-stisce e indirizza il lavoro dei diversi specialistiverso una visione da inseguire, consapevole deiprocessi naturali e interessato al contesto più che

consapevolezza del processo naturaleGiovanni Francesco Frascino, Enzo Capone

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allo stile realizza opere non come oggetti passivima come organismi di reazione ecologica.Nel seguito cercheremo di capire quale valore eco-nomico-sociale può rappresentare il paesag-gio,saranno descritti i contributi che le diverse di-scipline possono dare al paesaggista, dagli stessispecialisti del settore, indagheremo sulle possibiliespressioni dell’arte nel paesaggio, presenteremola metodologia e il lavoro, attraverso delle intervi-ste, a due noti paesaggisti, uno americano, G. Har-greaves e l’altro europeo G. Kiefer, un’ intervista aMassimiliano Fuksas ci aprirà verso “nuovi pae-saggi”, sarà fatto il punto dello stato della legisla-zione, parleremo della disciplina professionale delpaesaggista, e per finire verrà presentata una ras-segna sulla formazione professionale.

Bibliografia

- I.MC HARG, Design with Nature, Doubleday & Co., NewYork, 1969.

- FRANCA GIANNINI, PAESAGGIO teoria,analisi, disegno,progetto, Edizioni del disegno, Genova, 1997.

- CASABELLA N° 575-576, Il disegno del paesaggioitaliano, 1991.

- BENEDETTO SPINOZA, Principi della filosofia car-tesiana, SE, Milano, 1990.

- LOTUS INTERNATIONAL N° 87, Electa, Milano, 1995.- A.CHIUSOLI,La scienza del paesaggio, CLUEB, Bologna,

1999- BRUNO ZEVI,Il nuovo manuale dell’architetto, sez.

Urbanistica, Mancosu editore, Roma, 1996.- VICTOR OLGYAY, progettare con il clima, Franco Muzzio

Editore, Padova, 1990.- JEREMY RIFKIN, Entropy, 1980.

il sole si alza

cade la rugiada

evapora in minuscole nuvole rotonde

le nuvole si accumulano

si caricano di potenze d’urto diverse:fulmine, tuoni e pioggia

il sole tramonta in un cielo limpido

Le CorbusierPiccola meditazione sullo svolgersi di una giornata(schizzo tratto da un taccuino).

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Il paesaggio, perchéMirko Zardini

Per ritrovare una sua capacità effettuale l’architet-tura deve oggi utilizzare come materiali gli “scarti”della città contemporanea e gli spazi lasciati aper-ti dalle altre discipline. Essa deve inventare nuovestrategie di intervento, sempre meno legate allaproduzione di oggetti, e sempre più alla produzio-ne di “effetti architettonici”. Gli strumenti con cuioperare sono i resti, i frammenti, le rovine dellaproduzione intellettuale dell’architettura moderna,ma anche concetti e strategie elaborati in altre di-scipline. Si tratta di una “architettura di spoglio”.Campi di intervento non sono più la città tradizio-nale, la città storica, la metropoli moderna, o laperiferia, ma la 100 Mile City, la città territorio, lacittà regione, la città diffusa, la megalopoli, lamegistopoli, le città globali, al cui interno le vec-chie definizioni di città, periferia e campagnaassumuno un nuovo significato. Queste parole in-fatti si dissolvono, sovrapponendosi lentamente traloro. Molte di queste letture e interpretazioni delterritorio ripropongono ancora una volta l’idea diuna città contemporanea caotica, creata attraver-so la giustapposizioni di frammenti isolati e indif-ferenti l’uno all’altro. Tale lettura comporta unaconferma dello stato di fatto, e una rinuncia a qual-siasi intervento critico.Sarebbe invece più interessante, utile e produtti-vo sottolineare il sistema delle relazioni più che lequalità di ogni singolo frammento. In questo modonon sarebbe più il singolo elemento, isola urbanao edificio che sia, a attirare la nostra attenzione,ma piuttosto il sistema di relazioni tra i diversi ele-menti. Il sistema di relazioni, e quello delle stra-tificazioni, non possono però essere ancora pen-sati come un sistema unitario. Si tratta invece diriconoscere i diversi sistemi che si accavallano,che provocano interferenze e sovrapposizioni, eche cancellano la precisione delle relazioni a fa-vore della distorsione e dell’ambiguità. Non la pre-cisione, ma l’approssimazione, non la nitidezzama la sfumatura, non la messa a fuoco, ma il fuo-ri fuoco sono le qualità e i caratteri di questo nuo-vo paesaggio.Il concetto stesso di spazio diventa inadeguato. Iltermine spazio infatti suggerisce qualità del tuttoastratte, molto diverse dalle connotazioni realisti-che immediatamente connesse con il termine dipaesaggio, che meglio esprime un sistema artico-lato di relazioni, la compresenza di insiemi diversie sovrapposti, che sottolinea l’idea di mescolan-za, e meglio comprende il carattere ibrido che con-trassegna la metropoli contemporanea. Sostituireil concetto di spazio con quello di paesaggio noncomporta quindi un cambiamento dimensionalenella lettura dei fenomeni, ma qualitativo: essosottolinea la presenza di specifiche e concrete ca-ratteristiche. La dimensione fisica, la scala degliinterventi non costituisce più il fattore determinan-te: gli interventi sono da valutare in base agli effet-ti prodotti, e non esiste più un rapporto diretto tra

dimensione ed effetto. Il concetto di intensità sosti-tuisce quello di dimensione. Invece della grandescala dobbiamo considerare la grande intensità,che si può ottenere attraverso il gioco dei contrasti(di scala o di carattere).Questo processo segna anche un indebolimen-to del valore e del ruolo dell’edificio. In questogioco di relazioni l’edificio acquista infatti un va-lore relativo; esso non costituisce più l’elementopredominante, ma entra a far parte di un giocopiù complesso, in cui elementi finora consideratisecondari acquistano una presenza sempremaggiore. Questo processo mette in crisi l’unitàstessa dell’edificio, che perde la sua integrità evede alcune sue parti, o elementi, come la faccia-ta, o meglio l’involucro, acquistare ruoli e signifi-cati del tutto indipendenti. La pelle, l’involucro,partecipano quindi ad un nuovo sistema di rela-zioni tra interno ed esterno, superando la tradi-zionale distinzione opaco e trasparente. Essiappartengono non più all’edificio soltanto, ma almondo degli interstizi, esterni od interni.Lo spazio tra gli edifici non è infatti uno spazio vuo-to. La parola “vuoto” ha, come il termine spazio, unvalore assoluto: essa sottolinea l’elemento in sé,isolandolo dal fitto sistema di relazioni in cui è inse-rito, e ne cancella le caratteristiche e le specificità.E’ opportuno quindi quindi sostituire la parola “vuo-to” con la parola “interstizio”; con tale concetto nonindichiamo più il vuoto, ma il vuoto “tra le cose”, odentro le cose. Un interstizio è uno spazio non iso-labile in se stesso: esso acquista significato pro-prio per il suo essere un intervallo tra elementi di-versi, da cui deriva le sue qualità. Uno spazio vuo-to è in realtà un interstizio tra due edifici. E un edi-ficio, a sua volta, un interstizio, tra due vuoti. Il ter-mine interstizio non fa riferimento alla scala. Essoindica un nuovo sistema di relazioni tra gli edifici.Propone inoltre un diverso rapporto tra spazio ester-no e spazio interno, un rapporto in cui il confine, ladistinzione tra i due si è indebolita. E’ il concetto di“interstizio” che oggi esprime, più che quello diedificio o di spazio aperto, le relazioni, i significatie le tensioni della città contemporanea. Il contenu-to di un intervento deve essere quindi individuatonon tanto nel singolo edificio o nel “vuoto”, ma nelconcetto di “intervallo”, che sostituisce entrambi.La città contemporanea presenta anche dei nuovicaratteri. Prima di tutto, anche se densa, essa ciappare come una città naturale, di una naturalitànuova, fatta di spazi aperti grandi e piccoli, di restidi territorio agricolo, di depuratori, di biotopi, di areeecologiche protette, di colline, parchi, centri sporti-vi, giardini. Questa naturalità penetra a tutte le sca-le. Il piccolo giardino, l’orto, lo spartitraffico, l’aiuo-la, il campo giochi contribuiscono a creare quell’at-mosfera di naturalità urbana che non ha bisognodel disegno formale dei grandi parchi urbani dell’ot-tocento e dei giardini dei nuovi complessi per ufficiper essere compresa e riconosciuta. Non è più un

Mirko Zardini(Verona 1955). Architetto,Milano. Si è occupato attra-verso ricerche, scritti e pro-getti del rapporto tra archi-tettura e città contempora-nea, e delle trasformazionidelle infrastrutture e del pa-esaggio. E’ stato redattoredella rivista Casabella dal1983 al 1988 e della rivistaLotus international dal 1988al 1999, dove oggi è mem-bro del Comitato di direzio-ne. Lavora come architettocon studio a Milano.Ha insegnato in diverse uni-versità italiane e stranierecome Visiting Professor (Ge-nova, Venezia, Ferrara, Mi-lano, Syracuse University,SCI ARC, University of Mia-mi, Politecnico Federale diZurigo, Graduate School ofDesign della Harvard Uni-versity, Politecnico Federa-le di Losanna). Attualmenteinsegna presso l’Università diFerrara e l’Università dellaSvizzera italiana a Lugano.Tra i suoi libri Multiplicity (Zu-rigo 1995), Paesaggi ibridi(Skira 1996 e 2000), TheDense-city (Milano 1999),Back from the Burbs (Losan-na 2000), Annähernd Per-fekte Peripherie, (Basel, Bo-ston, Berlin, 2001). Saggi earticoli sono stati pubblicatisu numerose riviste, tra cuiLotus International, Casa-bella, Abitare, Phalaris, Spa-zio e Società, Ottagono,Werk-Bauen-Wohnen, Rivi-sta Tecnica, Archi, Megalo-pole, Faces, Documentos deArquitectura, Architectural Mo-nograph, A+U, GA Architect,Plus, ANY, Archis, El Croquis.

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territorio, non è più una periferia. Essa rappresen-ta una nuova ecologia. E’, finalmente, un nuovopaesaggio, un paesaggio ibrido e eterogeneo.Attraverso la modificazione, la trasformazione, l’in-tensificazione, la correzione dei diversi elementiche costituiscono questi nuovi paesaggi urbani èpossibile avviare un processo tutto interno alla cit-tà contemporanea di “manipolazione genetica”.Questo processo investe non solo gli edifici, scom-posti nei loro elementi costitutivi, ma anche gli spa-zi aperti, le strade e i parcheggi, i prati e le albera-ture, i materiali e l’illuminazione. Intensificando lespecifiche caratteristiche dei diversi elementi e mo-dificando il sistema di relazioni si ottiene un pae-saggio dove prevale l’idea del contrasto, dell’acco-stamento incongruo, del non-finito, dell’irregola-re, della varietà, dell’insolito. Un nuovo “pittore-sco urbano” che riflette il prevalere, nella nostrasocietà e nelle nostre città, del carattere individualesu quello collettivo.Il concetto di “pittoresco” corrisponde di nuovo oggialla nostra sensibilità e ci permette di comprende-re e manipolare il paesaggio prodotto dalla cittàcontemporanea. Il pittoresco, che indicava inizial-mente ciò che era proprio della pittura, definisceoggi, nel linguaggio comune, “qualcosa di vivacee colorito, piacevolmente disordinato e irregolare”che suscita emozioni estetiche; si basa non sullaragione ma sul sentimento, sull’emozione, sullapercezione. La dissimmetria e la varietà, l’irregola-rità, l’insolito, l’intrico, la materia grezza, i valoritattili, diventano qualità estetiche del pittoresco. Ilpittoresco è inclusivo, incorpora cioé allo sguardoil paesaggio circostante; accetta l’espressione in-dividuale; cancella la tradizionale distinzione tranaturale e artificiale.Si tratta di ripetere oggi quel capovolgimento diattitudine che il pensiero pittoresco ha già prodot-to una volta. Come osserva Raffaele Milani “ciò

che prima, nel regime classico, era considerato im-proprio, non adeguato, brutto, difforme” viene conil pittoresco considerato una qualità. Anche oggiciò che fino ad ora abbiamo considerato come ele-menti negativi della città contemporanea, l’eteroge-neità, la varietà eccessiva, il disordine, la disarmo-nia, l’accostamento incongruo di pezzi diversi costi-tuiscono ora una risorsa, una qualità per la defini-zione di un nuovo paesaggio.E’ quindi utile accettare l’idea della molteplicità,dell’eteogeneità e del contrasto, che sembrano ca-ratterizzare la città contemporanea, accettarel’espressione della città attraverso le sue individua-lità. Ciò non deve portare a leggere la città con-temporanea come un semplice accostamento dielementi inconscibili ed estranei, ma deve costrin-gerci a definire una strategia in grado di utilizzare,trasformare, trarre vantaggio da questa eteroge-neità. Questa strategia è quella del pittoresco.Ma accettare l’eterogeneità della città contempo-ranea, non è un fatto semplicemente estetico, mapolitico, sociale, etnico. Non si tratta di maschera-re od esorcizzare, attraverso una fittizia varietà,una realtà concepita come sempre più uniforme,omogenea e controllata o nascondere sotto un di-sordine apparente e una anarchia visuale un ordi-ne “nascosto” sempre più forte e pervasivo. Si trattainvece di riconoscere, accettare e dar voce allediverse “individualità” presenti nella società e nel-la città contemporanea, facendo sì che la loro com-presenza costituisca un paesaggio politico, socia-le, fisico, più ricco ed articolato, basato sul confron-to e non sulla reciproca esclusione, riconferendocosì una nuova consistenza alla città di inizio mil-lennio. Per fare questo dobbiamo tornare al con-cetto di paesaggio, e ai concetti, alle strategie, alletecniche messe in atto dalla disciplina paesaggi-stica. E soprattutto, dobbiamo guardare la realtàcon occhi diversi.

Mirko Zardini e Lukas Meyer - Urban Bus n. 2.

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elementi di economia del paesaggioPaolo Leon*

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Non intendo riassumere una ormai vasta lettera-tura sui parchi, le aree protette, i beni culturali eambientali, come si è venuta delineando sulla scor-ta degli economisti utilitaristi di origine anglosas-sone. Ogni sforzo è stato utilizzato per ricondurreil paesaggio, e gli altri beni culturali, al mainstreamdell’analisi economica. Nel modello standard, il va-lore del paesaggio è dato dall’utilità che ne trag-gono i fruitori. Non vi è realismo, in questa ipotesi,che nasce dalla necessità di rendere indipendentile curve di domanda e offerta, e perciò giustificarelo scambio senza compromettere la sovranità delconsumatore, che è un postulato, o una premes-sa, ideologica, di una parte della scienza econo-mica. Ma non è nemmeno razionale rappresenta-re il valore di un bene come il paesaggio comesomma di considerazioni soggettive degli indivi-dui, visto che gli individui possono volere esclude-re il godimento del paesaggio agli altri, distruggen-dolo, alterandolo, o comunque non riconoscerglivalore in quanto paesaggio. Per ovviare a questidifetti concettuali, la letteratura anglosassone1 si èdilettata nell’espandere il concetto di utilità, aggiun-gendovi un diritto di opzione all’uso futuro o po-tenziale, un diritto delle generazioni future (non èchiaro rappresentate da chi), un diritto di esisten-za (che se è riferito ai singoli fruitori, non è diversoda un giudizio di utilità), e altre singolari zeppe chein realtà servono ad eludere il problema della na-tura del bene paesaggio.Il paesaggio è un tipico bene di merito_, oltre adessere un bene pubblico (nel senso economico:ovvero un bene che non presenta rivalità trai fruitorie dalla cui fruizione non è escludibile alcuno) etalvolta un privato (quando, ad esempio, l’escludi-bilità è indotta dal diritto di proprietà). Ora, un benedi merito è quel bene la cui domanda (insufficien-te o eccessiva) da parte dei singoli individui puòprodurre dei danni alla collettività. Questa possi-bilità nasce dal fatto che i singoli individui hannosempre una funzione telescopica difettosa, nel sen-so che non sono in grado di rappresentarsi perfet-tamente il futuro, né le retroazioni della società alleloro azioni, né gli effetti diretti e indiretti delle lorodecisioni. Quando questo difetto telescopico – deltutto naturale e strutturale in una società di indivi-dui liberi – genera un danno per la società di cui faparte l’individuo, deve intervenire lo Stato.Nel caso del paesaggio, la natura di merito è lam-pante: basta osservare quanti paesaggi perdutiderivano dall’azione dei singoli, anche in spre-gio all’intervento pubblico – piani paesistici, piani

urbanistici e territoriali, norme, diritti di proprietà,ecc. Non è dunque discutibile la necessità dell’in-tervento dello Stato, per poter dare al paesaggio lasua natura di bene di merito.Una volta che è chiara questa specificazione, nonne segue tuttavia che il paesaggio non sia ancheun bene che soddisfa una utilità individuale: ciò cherileva è che la soddisfazione di questa utilità nondetermini la perdità, totale o parziale, del paesag-gio. Da questo incrocio, tra bene di merito e beneprivato/pubblico, nasce la necessità di progettarel’uso di un paesaggio, ed anche di determinare for-me di valorizzazione finanziaria: sarà necessariol’intervento dello Stato, per preservare la natura dimerito del bene, ma sarà possibile far pagare aifruitori un prezzo corrispondente alla utilità indivi-duale che ne traggono.Si vede subito come, nel progettare, sia indispen-sabile individuare chi sia il proprietario del pae-saggio, e come sia possibile far pagare il soddisfa-cimento dell’utilità individuale ai fruitori. Il proble-ma nasce dal fatto che il paesaggio è la composi-zione di una varietà di proprietari, pubblici e priva-ti, e come si tratti spesso di un bene che non èescludibile (un panorama ad esempio). Nello scor-rere storico del diritto, non possediamo strumentigiuridici che non siano vincolativi; tutti gli strumen-ti non vincolanti, ma che aprono opportunità di ge-stione anche finanziariamente attiva, sono volon-tari (agenzie ed enti pubblici, società commercialiconsorzi, associazioni). Questo implica che, nelprogettare i vincoli, è necessario progettare la ge-stione del paesaggio, compresa la definizione diquelle istituzioni che costituiscono la struttura giu-ridica del bene paesaggio.So bene che, nel pianificare il territorio, questoaspetto è considerato del tutto secondario, e lascia-to al di fuori dei piani; ma considero un errore che,nel pianificare il paesaggio, non se ne identifichiimmediatamente anche il soggetto giuridico gesto-re, Si rischia, come in tante altre norme di tutela,di affidare alla semplice sanzione il rispetto dellaregola – che è un modo per condannare a mortelo stesso vincolo.Tra i tanti aspetti da considerare nella progettazio-ne del paesaggio, c’è anche la necessità di com-pensare gli interessi che la conservazione del pae-saggio rischia di offendere, E’ il caso degli agricol-tori che non possono alterare le colture o che pos-sono usare tecnologie più produttive; è il caso deiproprietari terrieri che non possono vendere suolia scopo edilizio in aree di pregio paesistico.

1 D. Pearce c K Turner, Economia delle risorse naturali, Il Mulino, 19912 R.A. Musgrave, Public Finance in Theory and practice, McGraw hill, 1982. Da quando Musgrave ha definito questa categoria dibeni, il mainstream economico ha fatto ogni sforzo per eliminarla dall’analisi. Un tentativo estremo è quello di J.Stiglitz, Economiadel Settore pubblico, Hoepli, 1989 che definisce i beni pubblici quelli per i quali l’esclusione non è desiderabile, identificando cosìbeni pubblici (per i quali l’escludibilità è una caratteristica fisica o giuridica) e beni meritori.

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In questi, ed in altri casi di conflitto sociale deter-minato dalle necessità di definire, proteggere e ge-stire un paesaggio, è forse necessario creare unafonte alternativa di reddito atteso, rispetto a quellache forniva il paesaggio.Ogni forma di compensa-zione ne crea forse di più.So bene che molti architetti, paesaggisti, sceno-grafi, costruttori di giardini e di parchi, desiderosidi dare espressione alla loro cultura, alla propriacreatività, a alla parte di espressione artistica checaratterizza il loro mestiere, considerano che un pae-saggio è certamente modificabile, migliorabile, an-che alterandone il significato originario. Del resto, èsempre così, anche senza chiamare in causa l’ar-chitetto o l’artista. Il contesto economico e sociale siincarica di alterare il paesaggio con continuità, co-sicché la pretesa di conservarlo intatto, contiene inse stessa una contraddizione. Insomma: perché con-servare qualcosa che è il frutto di una alterazione?

Temo che il problema sia mal posto.Il punto nonè quello del rapporto tra conservazione e alte-razione. Quando si progetta un paesaggio nonne segue affatto che lo si debba mantenere nelsuo stato presente: è infatti possibile che lo sta-to del paesaggio sia compromesso, e che il pa-esaggio sia degradato, incoerente, brutto. Ciòche si deve avitare è la superbia del creatore, ildiritto assoluto alla creatività, la difesa corpora-tiva di una professione. Insieme alla difesa pura-mente passiva, attraverso il vincolo di ciò chedeve essere tutelato, è necessario costruire unadifesa attiva: ed è dal conflitto aperto e procedu-ralizzato tra i due modi di valorizzare una risorsache può scaturire una soluzione soddisfacente.

* Prof. Ordinario di Economia Pubblica presso laIII Università Facoltà Economia e Commercio di Roma

Il Gran Canale Sceaux, Francia - 1680 circa

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l’agronomo paesaggistaAlessandro Chiusoli*

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La formazione professionale del Dottore Agro-nomo e del Dottore Forestale era ed è volta al-l’adattamento e alla modifica di potenzialità natu-rali allo scopo di soddisfare le esigenze umane disopravvivenza.La produzione di prodotti agricoli per l’alimenta-zione e di materie prime è stata per molti anni ilfine primario per la ricerca applicata nei campi dellescienze agrarie e forestali.In passato scopo precipuo del tecnico era aumen-tare la produzione: di prodotti alimentari per sfa-mare, di fibre tessili di origine animale o vegetaleper vestire, di legname per dare riparo o riscalda-re la popolazione; la ricerca applicata era inoltreorientata, in parte, al miglioramento della qualitàdei prodotti e al perfezionamento di tecniche e tec-nologie atte a ridurre i costi di produzione.La tendenza attuale è sempre quella di produr-re, ma oggi le esigenze di una società che mutarichiedono anche di produrre qualcosa di diver-so: il tecnico, agronomo o forestale, dovrà sa-per indicare anche le linee per produrre il mi-glioramento ambientale.Oggi l’uomo, soddisfatte le esigenze primarie, chie-de al mondo della natura e delle piante qualcosadi nuovo, ma nello stesso tempo di antichissimo,della cui importanza si è accorto solo quando ècominciato a scarseggiare: il verde. Ecco alloracome si siano aperti nuovi settori primari di ricer-ca e di formazione professionale, settori, da sem-pre, presenti nelle nostre Facoltà anche se pococonsiderati, nella complessità delle strutture di Fa-coltà in cui la specializzazione incontra ostacolifortissimi nella pluridisciplinarietà tradizionale delleFacoltà di Agraria, nate, ricordiamolo, agli alboridel secolo XX.Settori volti a chiarire aspetti disparati del mon-do produttivo, inteso in chiave globale, cioè diproduzione di miglioramento ambientale e nonsoltanto di beni primari.Il laureato nelle Facoltà di agraria ha la possibilitàdi conoscere e valutare a fondo le differenti situa-zioni e di poter intervenire, in modo scientifico, nel

miglioramento e nella modifica di situazioni di-pendenti solo in parte dalla gestione delle azien-de agricole.In questi anni si è sviluppata la ricerca ambientaleper un nuovo e diverso assetto di aree ex agricoleo che in breve lo saranno; ricerche verso sistemi diproduzione naturali, studi sulle tecniche di lotta bio-logica o integrata, ecc.È nata quindi l’esigenza di una diversa visione del-l’agronomo tradizionale: l’agronomo paesaggista.Il Paesaggista, progettista del paesaggio, di parchie giardini, tecnico del verde, esercita una attivitàprivilegiata e delicatissima: il paesaggista, agro-nomo o forestale, infatti, è colui che progetta e co-struisce nella natura e con la natura. Questi appli-ca le conoscenze generali di chimica, fisica, agro-nomia, pedologia, economia, ecc. ad un’altra par-te del mondo vegetale, ma sempre con lo scopo diottenere da esso il meglio in ogni situazione.In questi ultimi anni si stanno sempre più svilup-pando ricerche tematiche riguardanti l’ambientee la Paesaggistica, per una riqualificazione delnostro territorio.Anche se con ritardo di parecchie decine di annirispetto ad altri Paesi civili, vengono oggi condottericerche volte all’individuazione ed al collaudo dispecie vegetali resistenti all’inquinamento urbano,costiero, industriale o prodotto dal traffico; ricerchesu tecniche di restauro e conservazione di giardinie parchi da considerarsi alla stregua di tutti gli altrimonumenti; ecc. Oltre a questi vengono anchecondotti studi legati ad aspetti spiccatamente pro-duttivi, come le ricerche genetiche volte alla sele-zione di varietà di piante più belle, più colorate e,soprattutto, dotate di resistenza specifica sia aiparassiti, sia agli ambienti sempre meno vivibili chela nostra civiltà produce.Solo in questi ultimi anni infatti ci si è resi contoche il verde, oltre a essere puro ornamento, diven-ta anche depuratore dell’atmosfera, barriera antiru-more, quinta atta a nascondere, a separare, ecc.:tutte funzioni estremamente importanti per il miglio-ramento della qualità della vita.In alcune Facoltà di Agraria italiane, circa dal 1983,tra cui quelle di Bologna, Ancona e Bari, la materia“Paesaggistica, parchi e giardini” è stata insegna-ta ai futuri laureati in Scienze Agrarie. La preistoriadi questo insegnamento risale all’anno 1968, quan-do a Bologna venne attivata la materia Floricolturae giardinaggio, nel cui ambito il titolare dell’incari-co, che oggi vi scrive, diede pari dignità e spaziosia alla Floricoltura sia alle ricerche ed all’insegna-mento nei settori delle aree aperte, del paesaggio,del recupero dei giardini storici, della creazione egestione di aree verdi pubbliche e private in rela-zione soprattutto ai gravi problemi ambientali chein quegli anni stavano emergendo.

Roberto Burle Marx - Vedute del giardino Odette MonteiroCorreias, Petropolis, Stato di Rio de Janeiro, 1948.

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Negli anni ‘90 la Fa-coltà di Agraria di Mi-lano avviò un corso diper fez ionamentopost-laurea in “Pro-gettazione del verdenegli spazi urbani”,corso che è stato an-che attivato, qualchetempo dopo, dallaFacoltà di Agraria diTorino. A Torino, edanche a Padova, so-no poi state istituiteScuole di Specializ-zazione per laureati.In altre sedi sono sta-te attivate, con diffe-renti titoli, anche lau-ree brevi nelle mate-rie del paesaggio edell’ambiente. Inoltre,da diversi anni, l’Uni-versità di Bari, consedi consociate Bo-logna e Torino, è se-de di un corso di Dot-

torato di ricerca in Scienza e tecnica del paesaggio.Il laureato in Scienze è, insieme al laureato inScienze forestali, uno dei più grandi attori dellemodifiche del paesaggio agrario o forestale (ilche, in Italia, significa per quasi il 90% del terri-torio non urbanizzato), cioè del paesaggio nonurbano “tout court”.Negli ultimi cinquanta anni i paesaggi italiani, e, inparticolare, quelli agrari, hanno subito radicali mo-difiche, queste, al di là di fattori emotivi ed estetici,li hanno, a giudizio di molti esperti, resi simili asteppe o a deserti biologici. Il laureato nelle facol-tà di agraria ha la possibilità di conoscere e valu-tare a fondo le differenti situazioni e di poter inter-venire, in modo scientifico, nel miglioramento e nel-la modifica di situazioni dipendenti solo in parte dallagestione delle aziende agricole.“Aspetto prevalente del paesaggio agrario”: conquesta definizione, usata spesso dai paesaggisti,si intende l’insieme degli elementi salienti caratte-rizzanti le differenti forme di passaggio. Quegli ele-menti sono legati alla vegetazione naturale e col-turale, all’uso del suolo, alle tecniche colturali eagli edifici propri della attività agricola.Nelle grandi pianure in tutto il mondo (ma il fenome-no si evidenzia maggiormente nel nostro Paese,in cui buona parte della maglia poderale delle ter-re vecchie è ancora in parte quella derivata dallacenturiazione romana), l’avvento delle grandi mac-chine per le lavorazioni e la raccolta, e dei moder-ni sistemi di drenaggio, ha determinato il riaccor-pamento e l’allargamento degli appezzamenti conevidenti conseguenze sull’aspetto del paesaggio

agrario. Ciò comportaed ha comportato lascomparsa di tutti glialberi in filare, dellepiantate, di tutte legrandi piante isolate:piante che in genere,appartenevano aigrandi esemplari tipi-ci della vegetazionespontanea: querce(farnie e roveri in pre-valenza), olmi, acericampestri, ciliegi,bagolari, salici, ecc.In parallelo, pur su unpiano meno evidentedal punto di vista visi-vo, sono scomparse lesiepi, un tempo usateper recinzione dellecorti e degli interi po-deri. Questo fenome-no ha desertificato ul-teriormente le zonecoltivate. Sono in que-sto modo scomparsi

efficienti habitat per la fauna (luoghi di nidificazionedi uccelli e piccoli mammiferi), sia per insetti utili inun quadro di equilibrio biologico.E’ nelle zone agricole che si notano i maggiori gua-sti al paesaggio, non dovuti all’esercizio agricolo,e che modificano totalmente un determinato pae-saggio, come cave, sbancamenti, discariche, spia-namenti; o, anche, i manufatti che, insediandosi inun paesaggio lo modificano in maniera permanen-te: strade, autostrade, ponti, elettrodotti, insedia-menti residenziali o industriali senza che le operedi attenuazione, spesso non eseguite o, più spes-so, eseguite in modi non corretti, risultino di unaqualche efficacia, almeno nel nostro Paese.La conoscenza della Paesaggistica, della Scienzadel paesaggio, sta alla base del lavoro di ogni tecni-co progettista, o di un tecnico manutentore delverde, così come la conoscenza degli elementi dipedologia è fondamento del lavoro di ogni agro-nomo o arboricultore o forestale.La Scienza del paesaggio, come alcuni tecnici lachiamano, è una materia composita e complessa,parte dalla conoscenza e dallo studio in chiavenaturalistica e storica di alcuni frequenti tipi di pa-esaggi, allo studio delle differenti modalità di inter-vento e ricostruzione in paesaggi legati alla vege-tazione (paesaggi agrari, paesaggi silvo - pastora-li, paesaggi naturali, paesaggi tecnici, ecc.), lororipristino e attenuazione dei danni che si origina-no, ad esempio, dalla distruzione di ecosistemi na-turali, dalla trasformazione dei territori naturali inzone agricole e dalle successive trasformazioni odegrado delle zone agricole.

Foresta di essenze miste

Savana a erba alta

Foresta di aceri

Prateria

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La conservazione, la distruzione, il restauro ola ricostruzione del paesaggio vegetale dipen-dono, in massima parte, da come vengono af-frontati e risolti problemi tecnici di base, ma,anche, dalla conoscenza, da parte del proget-tista, sia dei valori fondamentali di un determina-to paesaggio, sia dei presupposti: fenomeni na-turali e interventi antropici, su cui si basa l’esi-stenza del paesaggio stesso.Il concetto di paesaggio e, quindi, la definizionedel termine, ha subito, come si è accennato, neltempo successive precisazioni dovute sia alla dif-ferente formazione di chi si è occupato di questiproblemi, sia alla diversa angolazione ed al diffe-rente grado di approfondimento che lo studio delpaesaggio ha comportato. Partendo dalla Legge431 del 1939 (Legge sulle bellezze naturali) ove ilpaesaggio è concepito totalmente dal punto di vi-sta estetico, si è passati, via via, da una conce-zione visiva e percettiva, alla concezione ecologi-ca del paesaggio: secondo questa concezione ilpaesaggio è il risultato, la conseguenza, la mani-festazione, di nuovi equilibri ecologici, a loro vol-ta, molto spesso, o quasi sempre, spinti da fattorieconomici e sociali.La paesaggistica è un compendio di molte disci-pline. Quella del paesaggista è un’attività che moltiignorano o ritengono che debba limitarsi alla di-sposizione delle piante: gradevolmente accosta-te, in armonia o in contrasto, a seconda dell’altez-za, colore delle foglie, della forma della chioma,dell’epoca di fioritura, ecc.; ma occorre spiegareche comunque e dovunque si vogliano disporre lepiante occorre sapere che queste hanno partico-lari e ben definite esigenze per poter vivere. Ognipianta non differisce da un’altra solo per il porta-mento o il colore delle foglie o l’architettura dei rami,ma soprattutto per quelle che si chiamano esigen-ze pedoclimatiche e specifiche. Tutti gli esseri vi-venti si contraddistinguono per specifiche esigen-ze biologiche, termiche, trofiche, idriche, di luce edi riposo. Nel mondo vegetale tutto ciò è accen-tuato per due motivi. Innanzi tutto per il cospicuonumero di generi e specie che lo compongono,poi perché si tratta di esseri viventi che non sonoin grado di spostarsi da un luogo all’altro, alla ri-cerca delle condizioni più adatte alla loro vita.Da questa premessa appare evidente come siaindispensabile, anche nelle migliori condizioni am-bientali, saper scegliere la pianta adatta per que-sta o quella situazione, conoscendone appunto leesigenze pedoclimatiche e le dimensioni definiti-ve di accrescimento.Se le condizioni ambientali non risulterannoadatte alla specie scelta, questa ne soffrirà, ri-portando danni alla chioma o ai sistemi radicalie compromettendo lo sviluppo generale con peg-gioramento dell’effetto estetico, ma anche pre-giudicando la sua stessa stabilità, con conse-guente pericolosità per l’uomo.

Bibliografia

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Agraria italiane, Convegno “Rinnovamento Professionaledell’Ortoflorofrutticoltura e contributo formativo dell’Universi-tà”, 37° Assemblea annuale SOI, Pisa, 12 aprile 1991.

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- Chiusoli A. (1999) - La scienza del paesaggio. Clueb.- Ferrari C., Manes F., Biondi E., (a cura di) (1994) - Alterazioni

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saggio, Inf. Bot. Vol. 7, n. 1.

Nell’ambito dei nuovi indirizzi di studio nelle Facol-tà di Agraria che sono attualmente oggetto di di-scussione, è importante sottolineare come la ca-tegoria dei tecnici che le Facoltà di Agraria forma-no e formeranno, dovrà occuparsi non soltanto deitradizionali settori produttivi (latte, carne, cereali,ortaggi, frutta, legname e derivati) ma anche dellaproduzione, come si è accennato, di ambienti vi-vibili. L’insegnamento applicato delle disciplineambientali tra cui emergono la selvicoltura, lapaesaggistica, le coltivazioni di piante arboree,arbustive ed erbacee impiegabili nei ripristinivegetazionali, dovranno essere sempre più svi-luppate per la formazione specifica di tecnici am-bientali, agronomi paesaggisti.

* Prof. Ordinario di Parchi e Giardinidell’Università degli Studi di Bologna

Giardino all’interno del Centro per le Scienze e Tecnologie avanzate Harima, Giappone 1991-1993 di Peter Walker.

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Gli studi dei fenomeni naturali stimolano la setedel sapere e rappresentano “l’immagine stessadella conoscenza”. Solo affinando l’osservazionesi riesce a leggere nell’apparente immenso disor-dine in cui si mostra ogni paesaggio, dove ciascu-na cosa sembra regolata dal caso e da eventi ac-cidentali e non dall’armonia della natura.L’evoluzione della ricerca e delle conoscenze han-no fornito all’uomo moderno gli strumenti per rico-struire in ogni tempo il senso che precede, ordina-re e teorizzare le evoluzioni future delle forme conle quali si presenta il paesaggio, con sempre piùprecisione, secondo la maggior raffinatezza dellacapacità di lettura tra le righe del libro della naturalogica. Oggi il geologo ha gli strumenti scientificiche lo rendono capace di ricostruire il passato, teo-rizzare l’evoluzione di un territorio ed ipotizzare fu-turi scenari. In geologia ci si trova, infatti, dinanzia fenomeni grandiosi, in apparenza impenetrabili,ma, con la sensibilità, l’intuito ed il gusto, è possi-bile individuare gli elementi essenziali in una situa-zione complessa, e pervenire all’identificazione, inun insieme a prima vista disordinato ed incoerente,di un ordine né contingente, né arbitrario.La lettura del paesaggio non può prescindere dal-la conoscenza della struttura e di come questastruttura si è formata e si andrà a trasformare. Os-servare un territorio solo con l’occhio del progetti-sta equivale a vedere le cose solo da un unicopunto di vista e non coglierne la visione globale.La storia del geologo, a differenza di quella deglistorici, cerca di proiettare nel tempo le proprietàfondamentali dell’universo, allo scopo di cogliernele reali strutture storiche, predeterminarne le veri-tà fuori del tempo, rendendo possibile l’individua-zione di un ordine né contingente né arbitrario. Lageologia si può concepire, quindi, sia come unascienza naturale sia come una disciplina storica,per questo risulta essere l’anello di congiunzionetra le scienze naturali e quelle storico-sociali.La memoria storica, infatti, se analizzata per de-terminare le verità fuori del tempo, sarà proiettataalla ricerca dei fenomeni che regolano gli equilibrinaturali, al fine d’individuare gli sviluppi futuri neldivenire delle cose.

I fenomeni naturali sono mutabili nel tempo enello spazio e perciò gli equilibri naturali sonodinamici nel tempo e nello spazio. In parole sem-plici, in natura nulla è statico ed immutabile, matutto si trasforma a diverse velocità, perciò, an-che forme o equilibri all’apparenza statici, sono,in realtà, oggetto di trasformazioni anche impo-nenti, ma con una scala di misura temporale di-versa da quella umana e quindi non percepibiledai nostri sensi.Il paesaggio, come tutto in natura, è inserito in que-sta struttura mutabile e quindi il progettista pae-saggista dovrà inserire nel progetto questa varia-bile “spazio – tempo” per la validità dell’opera nel“tempo” e nello “spazio”.Qualsiasi evento e forma in natura sono proiettativerso l’instaurazione di nuovi equilibri in funzionedella variazione dei parametri che regolano i pro-cessi evolutivi ed involutivi.Un equilibrio dinamico si può distinguere in:• Equilibrio evolutivo (di sviluppo o di crescita)• Equilibrio involutivo (di rigetto o di degrado).Un qualsiasi intervento antropico, inserito in que-sto apparente disordine della natura, altera uno opiù parametri degli equilibri naturali; ma se questointervento si inserisce nel processo evolutivo e in-dirizza i fattori che regolano gli equilibri verso l’ordi-ne, si ottiene, come risultato primo, l’assimilazionee l’armonizzazione dell’opera nell’ambiente natu-rale. Al contrario, se l’opera si pone in contrap-posizione con l’evoluzione degli equilibri naturali,l’ecosistema naturale genera delle forze tali da spo-stare l’equilibrio verso un disordine reale che inne-sca dei fenomeni di rigetto e di conseguenza sioriginano le condizioni favorevoli all’evento cala-mitoso. Seguendo questa logica s’individua il disa-stro quale effetto indesiderato ed imprevisto del-l’intervento antropico.Un qualsiasi elemento naturale, nel suo diveni-re, non è un fenomeno naturale sconosciuto, im-previsto ed imprevedibile e se avvengono certidisastri non si può incolpare la “Natura matri-gna”, ma l’arroganza e la presunzione di quella

la lettura geologica del territorioRiccardo Caniparoli*

Parco cittadino e giardino delle Scienze, Harima, Giappone, 1991-93

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scuola di pensiero affetta da deliri di onnipotenzache considera il territorio trasformabile all’infinito,dove qualsiasi intervento si può realizzare e nes-suna opera è impossibile, ma, se certe opere nonsi realizzano, è solo perché non vi sono le risorseeconomiche adeguate.Questa logica ha portato i territori ad elevataantropizzazione ad essere, nel contempo, i piùsensibili e delicati e prossimi al collasso, lì dovegli equilibri naturali sono resi precari e instabili,così compromessi e fragili che basta un eventoo l’introduzione di un qualsiasi elemento pertur-batore a metterne in crisi l’ecosistema. La natu-ra non ragiona con i numeri ma in termini di cau-se ed effetti, perciò bisogna rimuovere le causeper non far ripetere gli effetti.Per una corretta gestione di un territorio è neces-sario, quindi, ricercare i fattori e gli elementi strut-turali naturali, geologici, morfologici, idrogeologici,climatici, di flora, di fauna, ed i loro equilibri armo-nici i quali ne regolano l’evoluzione e ne caratte-rizzano il territorio. Qualsiasi intervento antropico

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deve rispettare questi elementi strutturali caratte-rizzanti i quali conferiscono all’ambiente una spe-cifica “personalità” e solo quel progetto, che esaltaproprio quelle componenti specifiche, rende speci-fico e riconoscibile il luogo e lo valorizza.Pensare di proporre copie di configurazioni di pae-saggi nati in realtà diverse e su un territorio conelementi caratterizzanti diversi, rispetto alla “per-sonalità dei luoghi”, vuol dire rendere anonimo l’in-tero comprensorio oltre a predisporre le condizionifavorevoli agli eventi calamitosi.I progettisti del paesaggio, consapevoli di tutto ciò,dovrebbero sviluppare “l’idea progetto” valorizzan-do in modo adeguato la specificità del territorio. Essihanno l’obbligo quindi di operare con interventi com-patibili con l’evoluzione degli equilibri naturali, ca-paci di esaltare l’unicum e di trasferire alle genera-zioni future un paesaggio che acquisisca, in modooggettivo, un valore sempre più elevato nel tempoe nello spazio.

* Geologo docente di valutazione di impatto ambientale

Giardino all’interno del Centro per le Scienze e Tecnologie avanzate Harima, Giappone 1991-1993 di Peter Walker.

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FOA, Kpmb, Peter Walker - Downsview Park, Toronto

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Il clima della Terra cambia. Oggi è enormemente differente da quello di 100 milioni di anni fa, quando idinosauri dominavano il pianeta, e anche da quello di 18.000 anni fa, quando i ghiacciai ricoprivano granparte dell’emisfero boreale. Sono tempi lunghissimi che il genere umano non ha conosciuto, soprattuttoperché le condizioni ambientali non erano favorevoli alla vita dell’uomo. Anche negli ultimi secoli si sonoverificate variazioni climatiche significative, che hanno influenzato molto la vita dell’uomo sulla Terra e,forse, queste ultime variazioni sono state parzialmente determinate anche dall’attività umana.Il clima è definito come quell’insieme di fattori meteorologici che, in una determinata zona della superfi-cie terrestre, identifica lo stato medio dell’atmosfera per un lungo periodo. I fattori meteorologici chedeterminano il clima di una zona sono: la temperatura, l’umidità, il regime dei venti, la quantità di precipi-tazioni, la durata dell’insolazione ecc. Il tempo ed il clima si differenziano tra loro soprattutto per la duratadel periodo preso in considerazione. Il tempo, ad esempio, può essere molto freddo a Napoli in alcunigiorni di un inverno particolarmente rigido, ma il tempo di Napoli è caratterizzato da inverni miti in quanto,considerando un periodo di trenta o cinquant’anni, vi si riscontra una prevalenza di inverni miti.Tra i vari sistemi adottati per classificate i climi prevale quello che li divide in quattro gruppi principali:zonali, regionali, locali e microclimi. I climi zonali sono riferiti a parti molto estese della superficie terrestre:una torrida o equatoriale, compresa tra i due Tropici, due zone temperate, comprese tra i tropici ed i CircoliPolari, due zone polari tra i Circoli Polari ed i Poli. I climi regionali si riferiscono a superfici più o meno vastedi un continente e sono determinati dalle differenze geografiche esistenti all’interno di una stessa regione. Iclimi locali rappresentano varianti ridotte del clima regionale; ognuno di loro è determinato da un fattoregeografico locale, come ad esempio una vallata, una pianura, un litorale o una città. I microclimi, infine, sonodeterminati da fattori che influenzano settori molto limitati, quali una piccola cittadina o un quartiere.In passato i climatologi studiavano il clima basandosi su un insieme di valori medi relativi alle condizioniatmosferiche, terrestri e marine, dipendenti da un certo numero di fattori di ordine fisico (pressione,temperatura, umidità, venti, soleggiamento), chimico (composizione dell’aria, dell’acqua e del suolo),biologico (foreste, coltivazioni, humus). Tale metodo presentava un inconveniente, in quanto non tenevaconto della durata dei diversi tipi di tempo, ovvero del ritmo che regola loro successione. Oggi, laclimatologia dinamica si propone di completare la climatologia tradizionale, descrivendo le variazioni delclima nel tempo. Si cerca, in pratica, di descrivere il clima, preparando statistiche di frequenza dei diversitipi di tempo, dando un’idea più completa ed esatta delle reali condizioni climatiche.Negli ultimi anni si è verificato un notevole incremento della richiesta di dati meteorologici, soprattutto inrelazione agli effetti che le condizioni del tempo esercitano sull’uomo e sulle sue attività. I Servizi Mete-orologici mettono a disposizione dell’industria, dell’agricoltura, del turismo e dei lavori pubblici una moledi dati sempre più ampia e precisa sul clima e sulle sue variazioni negli ultimi decenni. Rappresentantiqualificati di numerosi settori economici hanno fatto presente, in varie occasioni, della necessità di poterdisporre di un sistema sempre più dettagliato di dati climatologici, affinché i tecnici preposti all’ambientesiano in grado di conoscere la situazione sulla maggior parte delle località di loro competenza, anche inassenza di previsioni a lungo termine con elevato grado di attendibilità. L’agricoltura, ad esempio, neces-sita, per la raccolta e la semina, di conoscere i periodi più propizi per effettuare tali operazioni. Per lacostruzione di sistemi idrici, è necessario conoscere i regimi pluviometrici di periodi che variano da 10 a100 anni. Per le esigenze di approvvigionamento di acqua dolce e per lo sfruttamento delle risorseidroelettriche, possono bastare anche dati relativi agli ultimi 6 o 12 mesi.

il ruolo del clima nelle attività umaneGiuseppe Fattorusso*

FIG.1 ZONA FREDDA FIG.2 ZONA TEMPERATA

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Un settore dove le statistiche meteorologiche sono sempre più richieste negli ultimi anni è quello dell’edi-lizia. Le imprese di costruzione hanno imparato a distribuire i loro lavori anche in funzione dei periodipiovosi, del regime di venti e dell’andamento delle temperature.Grande sviluppo può avere il rapporto diretto architetto climatologo.

* climatologo

Note a margineMolti filosofi e studiosi, fin dal passato hanno studiato gli effetti determinanti del clima sulla fisiologia, sultemperamento e sulle condizioni umane.Questo, non può non farci soffermare sull’incidenza del clima sulle civiltà tutte e sulla necessità e l’utilitàdi lavorare “con” e non contro di esso, per creare migliori condizioni di vita.

Per la pianificazione del futuro, saranno necessarie altre arti e scienze, e più che una o due […] ilcompito di costruire molte cose che costituiscono un ambiente umano […] non può essere svoltobene senza ricorrere alle conoscenze scientifiche attualmente disponibili […]. Una sistematica indagi-ne biologica, ben correlata con i metodi organizzati di progettazione, darà frutti molto proficui per unapiù ampia comunità umana di consumatori. (Richard Neutra)

I principi fondamentali del processo di progettazione bioclimatica per l’architettura, scoperti dai fratelliOlgyay, nascono dalla necessità di creare condizioni di comfort ambientale negli edifici, avvalendosi delcontributo di più discipline; essi, infatti, dopo aver individuato (grazie alla biologia) i requisiti per il comfort,passano in rassegna le condizioni climatiche esistenti (grazie alla scienza della meteorologia), ed infine,per ottenere una soluzione razionale, si avvalgono della fisica tecnica.Intuitivamente, i principi sono applicabili anche alla progettazione paesaggistica, infatti, questo pro-cesso razionale per controllare la dimensione ambientale, quindi climatica ed energetica degli edi-fici, propone anche delle tipologie per edifici e delle forme di tessuto urbano per sistemi insediativinelle varie aree climatiche.Suddividendo il mondo per semplicità in 4 zone climatiche principali vediamo come queste possonodeterminare la configurazione del tessuto urbano/paesaggistico, nella morfologia, nel carattere tipologico,nella compattezza, e nella densità.Nella zona fredda (fig. 1), la planimetria, avrà un tracciato che consente una densità elevata per fornireun riparo contro i venti. Gli edifici sono alti, in modo da captare il calore solare e posizionati strettamenteper evitare dispersione di calore.Nella zona temperata (fig. 2), la planimetria avrà una disposizione libera. Le piante sono aperte e le casesi fondono con la natura.Nella zona caldo-secca (fig. 3), la planimetria reagisce al caldo con una struttura densa e ombreggiata. Lecase sono disposte intorno a corti chiuse simili a pozzi di raffrescamento e si proteggono grazie al volume.Nella zona caldo-umida (fig. 4), la planimetria è libera, dispersa e articolata,così come gli edifici allungati, Lecase sono separate tra di loro per sfruttare le brezze; gli alberi ombriferi diventano elementi importanti.E’ chiaro che il paesaggista, valuterà positive o negative le caratteristiche climatiche del luogo, in relazio-ne alle diverse destinazione d’uso, infatti, il clima dovrebbe essere uno dei principali indicatori per lascelta della destinazione d’uso, tenendo sempre presente, però, che un sito meno favorevole rispetto adun certo uso, può essere migliorato adottando una serie di accorgimenti che possano indurre una reazio-ne vantaggiosa agli effetti della temperatura e della radiazione.

a cura di Giovanni Francesco Frascino

FIG.3 ZONA CALDO SECCA FIG.4 ZONA CALDO UMIDA

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Non ha più senso distinguere paesaggi naturali edartificiali. Ci muoviamo in spazi nei quali questivalori coesistono simultanei, anche se con diver-se prevalenze. Dando risposte alle costanti esi-genze di trasformazione, alteriamo continuamen-te quanto preesiste: innovare è obiettivo inconfu-tabile. Proprio perché figli di una cultura antichis-sima, siamo consapevoli che il vero insegnamen-to della storia non è conservare, ripiegarsi nellacontemplazione del passato. Il senso profondodella tradizione è nell’innovazione e nella trasfor-mazione, nella continua introduzione di qualità ine-dite nell’ambiente preesistente.L’immagine del nostro territorio è stata a lungo le-gata alla qualità dei suoi centri urbani e dei suoipaesaggi, risultato di forti interrelazioni tra formee funzioni, tra valori simbolici e sistemi produttivi,tra architetture e infrastrutture. Questo equilibrio èora spezzato. Le infrastrutture non svolgono la lorofunzione di interconnessione tra le parti urbane edi vari contesti territoriali, non costruiscono più il pae-saggio. Oggi la settorializzazione prevale sull’in-tegrazione. Interventi progettati e realizzati in modoseparato producono effetti negativi sui contrastiurbani e paesaggistici. Decenni di trasformazioniimproprie - prodotte dal degenerarsi della culturarazionalista che ha portato al predominio di logi-che settoriali in apparenza convincenti - hanno dif-fuso nei nostri contesti insoddisfazione per il nuo-vo che, unita dalle lentezze nei processi di trasfor-mazione, ha fatto si che nel buon senso comuneprevalga - fenomeno più nostrano che globale -l’anelito verso la conservazione, il recupero, le stasirassicuranti. Si è cioè generata sfiducia, rinuncia,incapacità di visione del futuro. Altrove il rifiuto delnuovo è patologia da tempo superata. Risale alprimo ‘900 l’aforisma di Karl Kraus: “devo comuni-care agli esteti qualcosa di rovinoso: un tempo lavecchia Vienna era nuova !”.Nel XX secolo la cultura della separazione ha dif-fuso la sindrome dell’oggetto edilizio, isolamenti,autonomie. Ha fatto concepire lo spazio come luo-go nel quale possano galleggiare oggetti al limiteperfetti, ma incapaci di formare la complessastratificazione di fenomeni indispensabile per vi-vere e abitare. Quindi ha fatto prevalere le regoleinterne del costruire sulle regole di immersione:l’immagine dall’alto delle urbanizzazioni contem-poranee - con cellule/unità prive dell’informazioneche le renda parte dell’insieme - è stata assimigliatada Konrad Lorenz al panorama disperante dellecellule neoplastiche nei tessuti con i caratteri pa-tologici fra i più gravi della nostra epoca.Il XX secolo - pur se imbevuto della cultura dellaseparazione, dominato da funzionalismo e raziona-lismo e dall’approfondirsi delle specificità discipli-nari - però al tempo stesso è segnato dalla teoriadella relatività, da nuova visione del rapporto spa-zio-tempo, da visuali aperte su complessità e in-tegrazione, da logiche reticolari, tecnologie

spaziali, informatica, rivoluzione di abitudini e com-portamenti. Oggi disponiamo dell’attrezzatura cul-turale e degli strumenti operativi adatti ad affrontarela complessità, avvalerci delle diversità, sostanziarcidelle contaminazioni. Siamo coscienti che il monu-mentalismo sterile, l’astrazione perfezionista, soffo-cano la vitalità dei processi. Di contro, l’apologia del-l’ibrido, dell’imperfetto, delle commistioni sostienela logica del frammento; il progetto non riguarda piùinterventi come elementi autonomi. La costruzionecioè si apre al contesto, alle culture regionali e loca-li. L’appartenenza diventa valore sostanziale, prin-cipio-guida nella valutazione dei progetti.Oggi è essenziale gestire nuove libertà. Si lavorasul non costruito, sugli spazi liberi, sostanziali perpervenire a nuove focalità urbane. Si opera affron-tando la complessità: l’integrazione è scavalcatadalle interazioni. Multimedialità e tecnologie porta-no a credere sempre più nelle partnership, neglisconfinamenti disciplinari, nella positività delle me-scolanze: come sempre, è possibile - imperativo -introdurre qualità inedite recuperando il preesistente.Oggi meno che mai la qualità architettonica non ri-guarda soltanto i singoli interventi, ma investe nelprofondo il paesaggio delle città e del territorio. Archi-tettura non significa solo qualità stilistica e formaledegli edifici: struttura, funzione e forma. Architettu-ra è l’espressione formale dell’ambiente artificiale,avendo però chiaro che l’espressione formale nonè che il segnale visibile di realtà invisibili, complesse,ampie e profonde. Oggi il termine “architettura” sinte-tizza ed include: urbanistica, paesaggio, ambiente,edificato e non edificato, strutture ed infrastrutture.Bruno Zevi - che per ricongiungere urbanistica earchitettura nel 1977 introdusse la Carta del MachuPicchu, venti anno dopo a Modena, aprendo il Con-vegno Paesaggistica e linguaggio grado zero del-l’architettura sospinge l’urba-tettura verso “il trapassodi scala alla paesaggistica, all’impegno creativo sulterritorio”. Nella sua splendida introduzione coglie,simultanei, visione del futuro e lettura dei diversi pas-sati tutti contemporanei, sincronici e al tempo stes-so forti della loro diacronicità: sostiene segni e lin-guaggi fra loro diversi, ma accomunati nel privile-giare l’espressione morfologica dei luoghi, diversitàdelle culture, il dialogo fra interventi che si susse-guono, paesaggi urbani prima che lessico locale.Resta impresso il sintomatico splendido parallelo“urbanistica = Mondrian / paesaggistica = Pollok.I principi del costruire ritrovano quindi nella scalapaesaggistica e nell’espressionismo organico nuo-vi ed antichi assunti. L’interesse si sposta verso con-taminazioni, dialoghi, predominio delle relazioni im-materiali. Rifiuto dell’assoluto. In questo senso qual-siasi intervento, qualsiasi progetto di trasformazio-ne, non può non essere colto, pensato e valutato,se non come parte di un tutto, vale a dire come fram-mento di sistemi più ampi di cui indaga significati evalori. L’interesse primo del progetto si sposta dallearticolazioni delle materie che lo costituiscono, alle

paesaggi e progettiMassimo Pica Ciamarra*

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relazioni che si vengono a stabilire con quello chec’è e quello che ci sarà. Ai monologhi figurativi su-bentra l’attenzione per i dialoghi fra le forme e fragli edifici. Ogni trasformazione impone oggi valu-tazioni prioritarie a scala paesaggistica ed ambien-tale, e nello stesso tempo si sostanzia di positivecontraddizioni ed arricchimenti a scala ravvicinata. La condizione è cioè mutata: la cultura dell’inter-azione ricerca forme di co-azione capaci di indiriz-zare simulazioni, scegliere fra contrapposizioni. Letrasformazioni - che coinvolgano territori vasti o mi-nuti, o che riguardino un solo edificio - sono sem-pre più complesse, soprattutto nella definizione de-gli obiettivi e nella comprensione dei contesti. Perchi progetta, azione prioritaria è l’individuazione deltema: comprenderne il senso, dargli senso e signi-ficati, articolare quanto è capace di spiegare l’insie-me dando risposta a singole motivazioni, interpre-tare ogni cosa come frammento di un tutto. La ge-stione del progetto - tra specificazioni e verifiche -deve poi evitarne la corrosione, arricchirlo, far sìche ogni scelta si collochi all’interno di un sistema,comprenda le scale superiori ed al tempo stessooffra spazi a quelle inferiori.Gli strumenti oggi a disposizione di chi progettaconsentono il recupero simultaneo di sogni ance-strali, del rapporto con il clima, il vento, gli odori, isuoni (*). L’informatica rende possibili non solo si-mulazioni virtuali credibili, ma rivoluziona il mododi pensare allo spazio, alle trasformazioni, alle va-riabilità della luce. Il lungo tempo del banalizzante,del semplicismo, del dominio dell’economia è fini-to. Si diffonde l’aspirazione a vivere in spazi felici,stimolanti, di alta qualità ambientale. Sono gli albori

di una nuova rinascenza: l’architettura, la formaartificiale, torna ad esprimere significati e valori.La complessità cioè non è un ostacolo. La dimen-sione non rappresenta più un fattore ostativo. Inte-grare, interagire, tessere insieme - etimo della com-plessità intesa come valore - presuppongono velo-cità, informazione, comunicazione. Collaborazioneè cooperazione, chiarezza dei ruoli, simultaneitàdi decisioni, interattività esperte in termini di inten-zionalità congiunte, orientamenti alternativi dei si-stemi organizzativi. Vale a dire al limite in grado dicomprendere quando abbandonare procedure diqualità, se necessario per pervenire a risultati diqualità. Come non lo sappiamo, dobbiamo forseancora cercarlo di volta in volta: rientra fra quelleche Heinz von Foerster ha definito “domande legit-time”, domande cioè di cui non si conosce già larisposta, le uniche che valga la pena di porsi.Oggi - immersi in complessità elevatissime, formi-dabile presupposto per evitare visioni schematicheo semplicistiche - l’obiettivo non è raggiungere colli-mazioni perfette e quindi una stasi ideale. L’obietti-vo è saldare, favorire simbiosi. Oggi il problema ècome assicurare continuità fra le diverse scale deiprocessi di trasformazione, come superare le dico-tomie fra urbanistica e architettura, fra strutture einfrastrutture, fra costruito e non costruito. Nellostesso tempo il problema è anche - soprattutto -come manifestare appartenenza ai luoghi, agliambienti umani e naturali; cioè come concretizza-re la coscienza paesaggistica, ambientale e cultu-rale della nostra epoca.

* Professore di progettazione Architettonicapresso l’Università degli Studi di Napoli Federico II

(*) progetto per una piazza sul porto di Genova, Pica Ciamarra Associati - 2000

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l’arte nel paesaggioEnzo Capone

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L’arte come l’architettura segue percorsi anali-tici ben precisi.Opere d’arte come la “Guernica” (1937), “Fuci-lazione” (1808), “The Twenty Marylins (1962), nonsarebbero tali se Pablo Picasso, Francisco Goya,Andy Warhol non avessero raccontato il contestogiusto nel momento giusto. Contestualizzare si-gnifica essere sensibili a valori legati al sito, altempo, all’ambiente, alla comunicazione. L’arte di-venta opera quando comunica con il suo tempo, esolo il contesto può giustificare e spiegare il signi-ficato più o meno ermetico di un artista. L’artistaper essere tale, dunque non può essere estrapo-lato dal concetto temporale, non può essere decon-testualizzato, ogni opera va quindi studiata e com-presa tenendo conto del periodo storico in cui èstata prodotta, concepita, da quell’opera si devo-no poter leggere i costumi, i problemi sociali, divita, il modo di pensare di quel tempo, le aspetta-tive, così da rimanere per sempre attuale.Dove l’arte arriva letteralmente a fondersi col con-testo è nella “Land Art”. Il rapporto tra uomo e con-testo, uomo e natura è sempre stato alla base diogni concetto umano; ma il modo di porsi nei con-fronti di tali argomentazioni rappresenta la testi-monianza dell’evolversi dei pensieri. Lo stessoJohn Ruskin suddividendo l’intero periodo dell’Ar-te d’occidente (dell’era cristiana) in due grandi fasi:quella simbolica e quella imitativa, evidenzia cheil segno del trapasso dalla prima alla seconda fase

(tardo medioevo) in nulla può essere efficacementerintracciato come nella “rappresentazione del pae-saggio”. Un esempio chiaro ci è dato dall’uso deglisfondi; il cielo viene “simbolicamente” raffigurato sinoalla fine del quattordicesimo secolo attraverso tratticonvenzionali di colore oro o screziato. Ma a quelpunto del percorso storico-artistico si fa strada il ten-tativo di mostrare un cielo nel proprio dettaglio natu-ralistico-atmosferico. Ecco che quindi l’imitativo èsubentrato al simbolico; da quel momento in poi, econ crescente gradualità si radica l’imitazione comefine, sino a sfociare nel paesaggio “turneriano”.Quello che Kenneth Clark (secondo dopoguerra)nella sua monografia “Landscape Into Art” defini-sce “Paesaggio Artistico”, è detto aver raggiuntoil proprio vertice nel corso dell’ottocento, con arti-sti quali Constable, Corot, Courbet, Monet e lascuola di Barbizon.Senonchè, si pone in tal caso il problema: che ne èdell’arte del paesaggio, una volta che l’ideale imi-tativo è stato raggiunto con una tale perfezione? Ilnovecento sicuramente è, al confronto, un periododi malinconica decadenza, e non si riescono a ve-dere prospettive di rinnovamento dell’ispirazione. Maproprio mentre K.Clark dava alle stampe “LandscapeInto Art”, l’arte del paesaggio andava in realtà, sog-getta ad un significativo rinnovamento, i cui esiti sonoben visibili ai giorni nostri. E’ “l’arte della fotografia”,tallone d’Achille della teoria imitativa, a indicare lavia che consente di uscire dal dilemma.

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Bibliografia

- RENATO DE FUSCO, storia dell’arte contemporanea, EditoriLaterza, Bari, 1993.

- GIULIO CARLO ARGAN, l’arte moderna, sansoni per la scuola,Firenze, 1996.

- LOTUS INTERNATIONAL N° 52, Electa, Milano, 1987.- LOTUS INTERNATIONAL N° 82, Electa, Milano, 1994.

La pittura, naturalmente non abdica a favoredella nuova arte della fotografia, alla propria pre-rogativa di raffigurare i prodigi della natura. Maintorno al 1870 questo ruolo culturale è sogget-to in larga misura a essere usurpato dall’attivitàdel reporter fotografico.Il pittore che si ponesse, o meno, innanzi al pae-saggio naturale per comporre il suo schizzo, eraed è pur sempre destinato a produrre in studio ilsuo capolavoro. Al contrario, il reporter presentanella sua foto stampata l’incontrovertibile prova di“esserci stato”. La sua opera potrà essere oggetti-vamente inferiore alla realizzazione del pittore, maessa possiede una dimensione esistenziale chela distingue in assoluto. E’ una “traccia” dell’esplo-razione che l’artista ha intrapreso.Si stabilisce così una relazione tra la ricerca del-l’artista e l’ambiente, che diventa lo strumentoper realizzare l’opera. Strumento che non è piùil colore, il pennello, la tela; ma i muri, gli spazi,la luce, le aperture verso l’esterno come nellecostruzioni di un architetto.Nasce quindi a New York (1964) “l’Arte Minimal”concludendosi poi in Arizona e New Messico conla “Land Art”. Da sempre prova della qualità è sta-ta la capacità di esprimere molti significati con lamassima semplicità dell’immagine. E’ questa la ca-ratteristica fondamentale del minimalismo: diremolto con poco, la capacità di sintesi. L’artista,dunque, non è più un artigiano, ma un architetto

che crea un proget-to, la sua esecuzio-ne e quindi la suaesistenza fisica è af-fidata ad altri, chesono solo esecutori– la progettazione èil momento creativo,l’esecuzione è affi-data a terzi.La creazione uma-na si fonde conquella della natura,l’intelletto umanopuò contemplarechi l’ha creato. Que-ste sono state leesperienze che hanno permesso ad artisti comeRichard Long, Walter De Maria, Jim Turrel, Mag-dalena Jetelovà di realizzare opere che dialoganocon la natura e con l’ambiente.

In alto: PROGETTO ISLANDA - Confine geologico tra America ed Eurasia, Islanda - 1992 Magdalena Jetelová

In basso: LIGHTINING FIELD - Quemado, New Messico, 1971-77 Walter De Maria

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Intervista a George HargreavesGiovanni Francesco Frascino

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G. F. Frascino: Why has George Hargreaves become alandscapist?G. Hargreaves: First of all we call it landscape architectureand not landscapist.Why I became it is probably because, even as a small childI was interested in plants and some of my earliestmemories were dogwood blossoms. Also, as a child I spenta lot of time in sandboxes, designing things, practicing onwoodcarvings. So, I think there always was a sort ofinterest in the outdoors and manipulation of dirt,manipulation of territory.As I got older I was in Colorado – the Rocky Mountains -and hiked and got up above the tree line. A place calledFlat Top Mountains very much a space place. And I wentback home and my uncle (who was Dean of Forestry) andI was talking to him about it – Well you know maybe I shouldlook into forestry and he said No – not ever heard oflandscape architecture. Well, what we are describing islandscape architecture so I went down to school and hehad someone show me around and from that point on Isaid yeah and started taking classes. I was a duck in water– I just found a home. Something that I really enjoyedand I still do.G.F.F.: What are your past and actual culturereference marks?G.H.: Well, a lot of landscapists have influenced me. I’mjust going to talk about a little bit in chronology. Actually thefirst landscapists that really influenced me were environmentartists, like Robert Smithson, Robert Erwin, Richard Sara. Ifelt that they were engaging a landscape in a very creativeand conceptual way, more so than at least at that point intime the sort of landscapes that have built history by otherlandscape architects. Then I was in Hawaii at a conferenceand a hurricane came and changed the entire beach –flooded the hotel I was staying in. It essentially moved thebeach 30 – 40 yards and it was then I realized that there isthis process of nature that you tend to think of as one slowthing and indeed it’s not.G.F.F.: Usually this events influence people in a negativeway – in this case was’nt it?G.H.: What I realized is that nature occurs in jumps. It’s avery active agent and to me it just has a fascinating power– I just watched it and the power was incredible and thiswas at juncture where I had been interested in a lot of theoryabout landscapes. I was practicing for a big firm and soonthere after I went on my own and started doing experimentalworks and a lot of these experimental works drew on theenvironmental artist that I was admiring. But also this notionof natural processes as design, as part of a landscape. Soa lot of the early projects began to figure ways to use thingslike tides and water, light, shadow to make part of the projectjust like trees or pathways, just another element in themaking of a landscape. And I started building a couple ofthose and writing about them or other people were writingabout them, then I started. Then I was back to Europe forthe first time since my early 20’s and started looking at thelarge scale parks done in Europe. And this was also thetime that I was trying to build projects and I started to

G. Hargreaves nel 1983costituisce lo studio Har-greaves Associates, dal1991 è professore di Prac-tice of Landscape Archi-tecture alla Harvard Univer-sity di Cambridge (Mass) dicui è anche direttore di di-partimento dal 1996.Tra i progetti più noti ricor-diamo:Throughout his mostlyknown projects are to bementioned:

- Dayton Residence and Gar-den, Minneapolis, Minnesota.

- Byxbee Park, Palo Alto, Ca-lifornia.

- Guadalupe River Park e Pla-za Park,San José, California.

- Sigma Amph., Library Squa-re, Aronoff Center for Design,Art Arch. and Planning, Uni-versity Commons,Univ. ofCincinnati, Ohio.

- Waterfront Master Plan,Louisville, Kentucky.

- Central Open Space for theOlympics 2000, Sidney.

- Crissy Fiels Waterfront, SanFrancisco.

In 1983 G. Hargreavesset up the HargreavesAssociates studio, since1991 he has taught thePractice of LandscapeArchitecture at HarvardUniversity in Cambridge(Mass), where he has al-so been head of depart-ment since 1996.

G. F. Frascino: Perché G. Hargreaves è diventato paesaggista?G. Hargreaves: Anzitutto io parlerei di architetto del paesaggio e nonpaesaggista.Lo sono diventato probabilmente perché fin da quando ero bambinoero interessato alle piante ed alcuni dei miei primi ricordi risalgono aifiori della sanguinella (ndt: Cornus sanguinea). Inoltre, da bambinoamavo trascorrere un sacco di tempo nelle buche di sabbia (ndt: inAmerica grosse vasche piene di sabbia nei parchi giochi per bambi-ni), disegnando oggetti, facendo pratica nell’intagliare il legno. Quin-di, credo di avere sempre avuto in qualche modo interesse negli spaziesterni e nella manipolazione del terriccio, manipolazione del territorio.In età più adulta mi trovavo nel Colorado – le Rocky Mountains – econtinuando la mia escursione salii oltre la linea degli alberi. Un po-sto chiamato Flat Top Mountains (ndt: montagne dalla cima piatta) unluogo con tanto spazio intorno. Ritornai a casa e lì c’era mio zio cheera decano di selvicoltura, e parlai con lui del posto – sai, forse dovreiimparare qualcosa dalla selvicoltura – e lui disse – no, hai mai sentitoparlare dell’architettura del paesaggio? Risposi di no. Bene, quelloche sto descrivendo é proprio l’architettura del paesaggio, quindi tor-nai a scuola e lì c’era qualcuno che mi poteva introdurre alla discipli-na e da quel punto in avanti dissi – ok – e cominciai a seguire le lezioni.Mi dedicai alla materia con grande naturalezza, mi sentivo come a casa.Qualcosa che davvero mi ha regalato piacere e lo fa tuttora.G.F.F.: Quali sono i tuoi riferimenti culturali del passato e di oggi?G.H.: Beh, molti paesaggisti mi hanno influenzato. Ne parlo andandoun po’ indietro cronologicamente. In realtà i primi paesaggisti che mihanno influenzato sono stati artisti dell’ambiente, quali Robert Smi-thson, Robert Erwin, Richard Sara. Credo che essi trattavano il pae-saggio in maniera assolutamente creativa e concettuale, molto di piùrispetto a quel genere di paesaggi che all’epoca avevano creato lastoria grazie ad altri architetti del settore. Poi mi ritrovai alle Hawaiiper una conferenza ed arrivò un uragano. Questo mutò l’intera spiag-gia – sommerse l’hotel in cui alloggiavo – ma essenzialmente tra-sportò la spiaggia di 30 – 40 yarde, e fu proprio in quel momento chemi accorsi che esiste un processo della natura che si tende a pensarecome un lento movimento, ma in realtà non lo è.G.F.F.: Di solito questi eventi incidono sulle persone negativa-mente – in questo caso lo fece in modo positivo…?G.H.: Quello di cui mi resi conto è che la natura arriva saltando. E’ unagente molto attivo e per me questo ha proprio un potere affascinan-te – semplicemente la guardavo ed il suo potere era incredibile equesto era proprio ciò che più mi interessava di tanta teoria sul pae-saggio. Stavo facendo pratica all’epoca per una grande ditta e daquel momento mi ritirai in proprio, cominciai ad eseguire lavori speri-mentali attingendo dagli stessi artisti dell’ambiente che ammiravo.Ma c’è anche questo concetto dei processi naturali sotto forma didesign, quali parte di un paesaggio. Quindi molti dei miei primi pro-getti cominciavano a considerare l’uso di elementi quali le maree el’acqua, la luce, l’ombra che diventano parte del progetto proprio comegli alberi o i sentieri, semplicemente altri elementi nella creazione di

Luce, vento, nebbia, acqua, vegetazione, questi gli elementi utilizzati da George Hargreaves pertrasformare il paesaggio. Così, i fenomeni naturali che già esistono in un luogo, diventano gli attoriprincipali del progetto,un approccio di tipo ecologico alla progettazione che nasce dalla necessità diristabilire il legame tra la cultura e l’ambiente tra la terra e la gente.L’intervista di seguito riportata, realizzata direttamente alla Harvard University di Cambridge (Mass.)nella sede della Scuola di Arte e Design, svela le ragioni per l’interesse del paesaggista ai processinaturali, considerati come i principali strumenti per disegnare il sito.

Light, wind, fog, water, vegetation, those are elements George Hargreaves uses to make over the landscape. Therefore,natural phenomena being part of a place, become the main figures involved in the project, a sort of ecological approach tothe plan coming out from our need to redefine the link between culture and surrounding, land and people.The following interview, just executed at the Harvard University in Cambridge (Mass.) on February 04, at the school of art& design, reveals the reasons to the interest the landscapist have with natural processes, considered as the main tools toplan the site.

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appreciate what it took to build, like in the case of Amsterdambought something like 2,000 acres, or in the case of theone outside of Paris, where the designer harvested the watermoving across the side and he made formal parterrers withit, but he was really using gravity and water and I forget torealize how people before me where doing these largeprojects. So I started studying more than just the history ofthese landscapes and found myself in full circle to placeslike Central Park in New York, where the design of this isnot something that I particularly like. More interested butthe fact that 30% to 40% of that project is basically a madelandscape where they just let it go wild – it’s about doinggrading taking the attitude towards plant materials, puttingin a lot of plants that compete with each other, certain onesthat will thrive and certain ones wouldn’t. You realize that30% to 40% of Central Park is made not for people but forthese wild plants and it was a made landscape. And so atthat point, this is where I am now and I realize that in manyof these environments there is a part of it that is very activeand people oriented. This is America, people love to playbaseball, football, soccer, and they are always doing thesethings and yet people also want the parks and want to seebirds and they want trees. So we started conceptualize someof our works as how do you take places and make themplaces of process of water and plant materials, so that birdscan come in, and then yet take other places and make themvery active, better for people. Sometimes, you put right nextto eachother. Then I did a couple of projects where theyhave very active sort of flat grassy area that people canuse to play football, make music concerts on it, and rightnext to it or sloping away from it, build an earthworks thenmake plant area where a lot of plant material will come infrom rivers and wetlands: it’s a changing landscape. Theprogress as my real interest began as a garden artist andthen seeing the power of nature and natural processes.Trying to put those ideas together and then finally beginning,as I got older in my 30’s beginning to understand the historyof public parks and how their part is an active place and

un paesaggio. Cominciai a costruire alcune cose ed a scrivere, oaltre persone ne scrivevano, quindi cominciai. Poi ritornai in Europa,per la prima volta dai miei primi vent’anni, e cominciai a guardare aiparchi in grande scala fatti in Europa. Questa era anche l’epoca in cuicominciavo a progettare, e quindi iniziai a comprendere l’importanzadi ciò che era necessario per costruire, come nel caso di Amsterdamin cui furono impiegati qualcosa come 2000 acri, o il caso dei progettiall’esterno di Parigi, dove il designer raccolse l’acqua in movimentolungo la sponda e con essa creò dei parterre formali, ma stava usan-do la gravità e l’acqua ed io non mi accorgevo di quanti prima di mestavano realizzando questi grandi progetti. Quindi cominciai a studia-re molto più della semplice storia di questi paesaggi e mi ritrovai inposti come Central Park a New York, il cui design non è qualcosa chemi piace in maniera particolare. Più interessante, invece, il fatto che il30 - 40 % di quel progetto è principalmente costituito da un paesag-gio fatto in cui tutto viene lasciato andare allo stato incolto – è più omeno come classificare mantenendo l’attitudine di ciascuna pianta omateriale, inserendo tante piante che competono l’una con l’altra,determinate specie fioriranno, altre no. Ciò vuol dire che il 30 – 40 %di Central Park non è fatto per la gente, ma per queste specie dipiante selvatiche ed era già un paesaggio costituito. Ed è dove ora mitrovo ed ho capito che in molti di questi spazi circostanti c’è una partedi essi che è molto attiva ed orientata verso la gente. Questa è l’Ame-rica, la gente ama giocare a baseball, a football, a calcio e fare sem-pre queste cose, ma la gente vuole anche i parchi e vuole vedere gliuccelli e vuole gli alberi. Così abbiamo cominciato a concettualizzarealcuni dei nostri lavori come ad esempio trovare dei posti e renderliadatti al processo dell’acqua e dei materiali vegetali, così che gli uc-celli possano entrarvi, poi ancora trovare altri posti e renderli moltoattivi, migliori per la gente. A volte puoi metterli l’uno di fronte all’altro.Poi mi sono occupato di una serie di progetti dove c’era un tipo dizona molto attiva ricca di verde spianato, area che la gente potevautilizzare per giocare a football, organizzare concerti musicali, e poco

Homebush Bay, Sidney, 1996-2000

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then the other part is a very sort of not-natural – but madeto be natural. In other words, these are man-madelandscapes – that distinction is very important. Yes, all theseother projects that I get are of rivers that have been pollutedand now a river this big is this big, or the top of the riverbankhas been a parking lot, or an old army base right next to thebay – so it’s not nature, it’s not natural anymore but then aswe transform it we take the asphalt off, remove thepollutants, we are not trying to imitate nature – but we areactually trying to let the forces of nature come back in.G.F.F.: What is the planning methodology you use?G.H.: There is some variance from project to project dealingwith what type of project and the structure of the client.Some of our client are very desimplelized – there will be 4or 5 groups that are part of the client but yet some are moresimplelized where there is 1 or 2 people and themethodology you know varies.(process of his projects)The typical methodology from one of these projects couldbe that as a firm we begin an investigation of the site as it istoday and as it was in history – what it was 500 years andwhat it was 200 years ago – when it was 15 years ago. Wealso look and analyze the current urban dynamics aroundit, and also try to project the future, what the urban dynamicswe have would be. This includes things like economics,sociology. Paralleled with all of that we would typically meetwith 4 or 5 groups of people that live around it, or peoplethat own property around it, or that are going to use it, orwho run park and rec (ndt: recreational) so this is sometimeswhat we call stakeholders (ndt: people who are going to beaffected by the change) and those are the people who aregoing to be involved in the project and get a sense fromthem of what some of their goals are. Sometimes we workvery hard to realize and sometimes we try to re-direct theirgoals. And then there is a process of designing and it’s aninner process. We do a lot of models and the models are 3-D, they start to develop a language of the place and herewe will begin to get into some of the issues of exactly wherethe activities go, and what type of activities they are, howthey might be linked back into the city. We will also look atissues of the water of the site or the water next to the site,this might become a part of the project. Also, as we get intorealizing the planting, also in areas that would be fairlyprescribed planting areas other areas would be wilder,perhaps a water divide or improvise planting areas. So weget this pamphlet of the site of various active people, places,structured landscapes and these might need to right nextto or fluvial kind of changing landscapes that we put inmotion. We design the structure but that structure has these

distante da questa o separata da un declivio, costruire un’opera na-turale e creare un’area vegetale dove portarvi molto materiale vege-tativo preso dai fiumi e dai terreni umidi: è un paesaggio che muta.Il progresso come mio interesse reale è iniziato prima come artistadel giardino e poi osservando il potere della natura e i processi natu-rali. Provando a mettere insieme tutte queste idee, alla fine cominciai- intorno ai 30 anni - a comprendere la storia dei parchi pubblici equanto una loro parte non è un posto attivo ed un’altra parte è ungenere di luogo non-naturale ma fatto per essere naturale. In altreparole, questi sono paesaggi creati dall’uomo – questa distinzione èmolto importante. Si, altri progetti che ho sono di fiumi che un tempoerano inquinati ed ora un fiume di date dimensioni cambia da così acosì, oppure la parte superiore del greto di un fiume diventa un lottodi parcheggio oppure una vecchia base militare sta proprio di frontealla baia, etc. Quindi è la natura, ma non ha più nulla di naturale se lotrasformiamo togliendo via l’asfalto, rimuovendo gli agenti inquinanti,non stiamo provando ad imitare la natura - stiamo semplicementeprovando a far sì che le forze della natura vi entrino.G.F.F.: Qual’è la tua metodologia progettualeG.H.: Esistono delle varianti da progetto a progetto in rapporto con iltipo di compito e la struttura del cliente. Alcuni dei nostri clienti hannouna composizione complessa – sono gruppi costituiti da quattro ocinque persone che sono parte del cliente ma altre volte abbiamouna struttura più semplice in cui ci sono una o due persone e lametodologia, come sa, varia.La metodologia che di norma utilizziamo per uno di questi progettipuò essere che in qualità di impresa cominciamo con un’investiga-zione del sito come è oggi e come era nella storia – come si presen-tava 500 anni e 200 anni fa – e 15 anni fa. Inoltre guardiamo edanalizziamo le dinamiche urbane correnti intorno ad esso, poi provia-mo anche a progettare il futuro, ciò che vorremmo che le dinamicheurbane rappresentino. Questo comprende fattori quali economia,sociologia. Parallelamente a tutto ciò noi di solito incontriamo quattroo cinque gruppi di persone che vivono intorno ad esso, o che hannoproprietà nei pressi del sito, o che lo utilizzeranno, che avranno par-cheggi ed aree ricreazionali – queste sono le persone che siamo so-liti chiamare stakeholders e quelle sono le persone che saranno im-plicate nel progetto per ottenere il senso di quelli che sono alcuni deiloro obiettivi. A volte si lavora molto per realizzarli ed a volte proviamoa ri-direzionare i loro obiettivi. E poi avviene un processo di design edè un processo interno. Prepariamo un sacco di modelli - sono tridi-mensionali – e questi cominciano a sviluppare un linguaggio del

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processes that totally wash over it and change all things.So we develop a language based on that place, and theideas we’ve generated will have variations on that language.We don’t do radically developlike here it is blue, here it is red, here it is green – we mightsay here it is in a sort of more activities or a different way ofpatterning the activities or we might say here it is with morewetlands and less activities but it is a fairly similar language.What we don’t say is “here is one over there and there isone over here” – they are together as a family.G.F.F.: What are the professional figures involved inyour planning process?G.H.: They are not always the same. It varies from projectto project. If there was a typical group we will involve ateam of engineers, very often civil engineers, then we havepeople called hydraulic engineer, they are pretty specialized.So the water engineer, the land engineer are a team thatwork with an architect involved. Because we have smallbuildings in our projects, we prefer to have an architect dothem rather than us. We could do them but I’d rather havean architect because they do a better job than I would. It’sgood to have a colleague. We do not use climate engineers,we could do a lot of it ourselves. Sometimes when we gotinvolved in project with big buildings, we use climateengineers but on the large parks we do that ourselves.Sometimes we use either an ecologist or a plant specialistso we can get more specialized plant material. We work allover the world, we are known in the United States plus wehave done some work in Europe, done some work in Asiaso we will work with scientists that are landscape ecologistsor arborists for some larger projects. So they change withinthe local area. When a project is really big we will involvean economist and a traffic engineer. We typically don’t usean urbanist - some projects we are using urban design. Butthat is on a really big one, because we can do that ourselvesas well. What we tend to use is an urban designer for is ifwe are doing a public park but they also want to envision acertain amount of development.G.F.F.: After the interiorization of the site, what is thecriteria you follow to set the different peculiarities ?G.H. : What I found is that when you get half way throughthis analysis of the features and the program and the peopleand place things begin to come to you, they tend to be thethings that are unique or special. In a size specific, if it is alonger riverfront we will really try to emphasize the river aspart of the place. If it is along the wetlands or mangrove,we will try to emphasize that relationship. If it has particularlyvibrant history, that you can feel and see, we will try to bringthat up. So it’s really in combination of active design, howyou combine active design or the issues that you have there,the program, those types of thing, with the uniquepeculiarities of the site. These things make the place it is.So if it is special and not generic, we tend to emphasizethose special qualities.G.F.F.: Do you limit the power of this characteristics?G.H.: To answer that question, I have to be specific because Ithink we specifically work with the characteristics, so let me geta couple of specifics in.Flooding, if you walk along a river and rivers come up anddown, and we actually, will try and devise certain areasthat will show you the flood, will show you the fact that itfloods. We will take other areas where, because we aretrying to get near the water, it will flood but we will do enoughengineer so that the flood doesn’t take it all away. So in thatexample, what we do is magnify that special characteristicon one hand, and fortify it on the other hand. And that way,in this case, a natural process is very much part of the sitein one area, but yet in another area we are protecting itfrom that process, so that people can use it and come downby the river. I would like to add something to that. In thiscountry, a lot of the inner city sites, that we are going backinto, are old industrial sites. There are a lot of things in oldsteel plants and there is a tendency to keep a lot of the oldsteel plant there. And actually in most opinions after you doone or two of those in a valuable made steel, that’s enough,you don’t need 20 of them, you don’t need 50 of them. Andso in some of these projects I think we go overboard in thiscountry to keep our old industry artifacts as a public amenity.G.F.F.: We usually talk about landscape in connection

posto ed è così che iniziamo ad entrare in alcune delle evidenze incui sfociano le attività, di quale tipo di attività trattiamo, in che modoesse potranno essere collegate di nuovo alla città. Terremo ancheconto dello scorrimento delle acque del sito o delle acque ad essovicine, questa potrebbe diventare una parte del progetto. Inoltre, ap-pena arriviamo alla realizzazione della pianta, anche in zone in cuiesistono aree verdi equamente distribuite, altre aree saranno più sel-vatiche, forse creando una divisione con l’acqua o improvvisando areeda piantare. Così otteniamo questo pamphlet del sito con le variepersone attive, luoghi, paesaggi strutturati e potrebbe essere neces-sario accostarlo al genere fluido di paesaggio mutevole che mettia-mo in movimento. Noi progettiamo la struttura, ma la struttura ha questiprocessi che la rigenerano totalmente e cambiano tutte le cose. Quindisviluppiamo un linguaggio basato su quel luogo, e le idee che abbia-mo generato varieranno seguendo quello stesso linguaggio. Noi nonlo sviluppiamo radicalmente come, ad esempio, qui ci metto il blu, quiil rosso, qui il verde – potremmo presentarlo con un range di attività inpiù o con un modo diverso di schematizzare tali attività, o potremmodire che si presenta ora con dei terreni umidi in più e delle attività inmeno, ma rispetta fondamentalmente lo stesso linguaggio. Quelloche in assoluto non diciamo è “eccone uno laggiù - ce n’è un altroqui” questi fattori restano tutti uniti come in una famiglia.G.F.F.: Quali sono le figure professionali coinvolte nel tuo pro-cesso progettuale?G.H.: Non sono sempre le stesse. Variano da progetto a progetto. Sedovessi parlare di un gruppo di lavoro di base, includerei un team diingegneri, molto spesso ingegneri civili, poi abbiamo anche ingegneriidraulici, che sono particolarmente specializzati. Gli ingegneri civilisono un intero team che lavora con un architetto coinvolto nel proget-to - poiché sono presenti anche piccoli edifici nei nostri progetti prefe-riamo avere un architetto che se ne occupi al posto nostro. Potrem-mo farlo noi ma preferisco che ci sia un architetto perché svolge unlavoro migliore di ciò che io stesso farei. E’ utile avere un collega nelteam. Non utilizziamo ingegneri climatici, possiamo svolgere tale la-voro per conto nostro. Soltanto alcune volte quando ci si presenta unprogetto con grandi edifici, usiamo ingegneri climatici, ma per quantoriguarda vasti parchi operiamo noi stessi. A volte usiamo anche unecologista o un agronomo delle piante in modo da avere materialevegetale più specializzato. Lavoriamo un po’ in tutto il mondo, siamoconosciuti negli Stati Uniti in più abbiamo fatto dei lavori in Europa,altri ancora in Asia quindi abbiamo operato con scienziati che sonoecologisti del paesaggio o arboricoltori per alcuni progetti più grandi.In definitiva le figure cambiano all’interno dell’area locale. Quando unprogetto è davvero vasto coinvolgiamo anche un economista ed uningegnere del traffico. Di norma non usiamo un urbanista – in alcuniprogetti stiamo usando designer urbani. Ma deve trattarsi davvero diqualcosa di grande, perché possiamo altrettanto occuparcene noi.Quello che tendiamo ad utilizzare è un designer urbano se ci stiamooccupando di un parco pubblico, ma si deve anche operare su unadeterminata quantità di sviluppo urbano.G.F.F.: Dopo aver interiorizzato il sito, secondo quale criterio de-cidi di regolarne le caratteristiche?G.H.: Ciò che credo è che quando arrivi a metà strada attraversol’analisi delle caratteristiche, del programma e del luogo, le cose co-minciano a venire verso di te, sono quelle cose che hanno un caratte-re unico o speciale. Nello specifico se abbiamo un lungofiume piùesteso del solito, noi proveremo ad enfatizzare il fiume come partedel luogo. Se esso si trova lungo territori umidi o vi sono dellemangrovie (ndt: piante tropicali) proveremo ad enfatizzare quella re-lazione. Se il sito ha una storia particolarmente vibrante, che puoivedere e sentire, proveremo ad evidenziarla. Quindi è tutto in combi-nazione con il design attivo, il modo in cui riesci a combinare il designattivo o le realtà che hai a disposizione, il programma, quel genere dielementi con le peculiarità uniche del sito. Queste cose costruisconoil luogo. Perciò se tutto è speciale e non generico, noi tendiamo adenfatizzare quelle qualità speciali.G.F.F.: Tu limiti il potere di queste caratteristiche?G.H.: Per rispondere a questa domanda, devo essere specifico per-ché credo che in maniera diretta noi lavoriamo con le caratteristiche,

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with conservation and preservation – what’s, in youropinion, the correct meaning?G.H.: For us, it’s certainly broader. Landscape architecturehere and abroad in a lot of other countries will begin to dosomething as small as courtyards that you have in buildingsand those in large provinces are safe. And within that scale,in the larger scale it’s about conservation. It is aboutpreservation to develop management as well and to managethe landscape. A lot of the conservationists are not managingthe landscape and then as your next 10 to 20 thousandacres. Then as you come down to 1 to 2 thousand acres, itbecomes a blend of conservation, ecological practice,ecological management, and management of habitat flowof species, animals, birds, but you also have the introductionof people, and they bring with them cars, parking lots, trains,buses and their activities, things that they do. Sometimesis light on the land, sometimes they are heavier more active.They might involve sporting facilities, cultural facilities,museums and the landscape starts becoming thiscombination of a design/program on one hand, on the otherhand something that you manage or that you preserve orreserve and you make in between. There is this landscapethat you made natural (not that you are making it) but it’snatural characteristics to it. Then as you come down thescale you are not on conservation anymore but your doingactive design, and some of aspect of natural process eitherletting water coming inside to clean it, wetlands, tides, riverflows, floods, those type of things and as you come evenmore down in scale it becomes an active design. Where itis a cultural landscape, something that you made and it’sabout expressing our culture as human beings and someof our most noble works are the gardens and the way wethink about the garden. There is an interesting theory thatgoes something like – there is the 1st state of nature: is thewilderness – the 2nd state of nature is the agriculturallandscape, where it’s a made landscape for productivepurposes – the 3rd state of nature is when you are makinga landscape for the purposes of the mind. When you getdown to that scale, design, drawing and building it,something you go into and see is that first stage. I think it isimportant in a lot of ways, particularly, the older your cultureis, the less landscaping you have left. Here wilderness isimportant to us because wilderness, we came here and itwas mostly wilderness and we still have some of it left.Wilderness is like the desert, Yellowstone Park, like theimages you see of the American west: the mountains andthe waterfalls and it’s really places where man has had verylittle or no impact. But what we’ve learned in trying to keepthose wilderness areas is that we have to manage them,because the whole country is not a wilderness anymore.We have these pockets, some of them are big pockets, butthey are pockets nonetheless, and things like fires aregenerated for us because they clear them out and letsunlight back in. New species – it’s a generation process.So what happens with National Parks Services becausethey didn’t light fires so they put them out because theywere trying to protect the landscape, and the landscapestarted dying. And so they realized that they had to activelymanage the wilderness and when lightening struck andcreated a fire, they let it burn so the forest can re-generateitself. With conservation it could be a landscape thatsomebody made, could be a landscape like in your countrythat was produced over hundreds of years of agricultural

quindi mi permetta di proporre degli esempi. In una alluvione, se pas-seggi lungo un fiume e i fiumi salgono e scendono, se noi proviamo acongegnare determinate aree che ti mostreranno l’alluvione, ti mo-streranno il fatto che tutto è inondato. Prenderemo altre zone dove,poiché stiamo tentando di avvicinarci all’acqua, si inonderà ma noiopereremo con lavori d’ingegneria in modo da non far spazzare tuttovia dalla piena. In questo esempio ciò che facciamo è magnificarequella caratteristica speciale da un lato, e fortificare l’area dall’altro.In questo caso, quindi, un processo naturale è parte sostanziale delsito in un’area, ma inevitabilmente in un’altra area stiamo proteggen-do il sito da quel processo naturale per far sì che la gente possausarlo e scendere giù verso il fiume.Vorrei aggiungere altro.In questo paese molti dei posti delle città interne in cui stiamo ritor-nando sono vetusti siti industriali. Lì esistono molte cose in vecchistabilimenti di acciaio e c’è una tendenza a voler mantenere intattemolte di queste fabbriche di acciaio laggiù. E nella maggioranza delleopinioni dopo aver trasformato una o due di queste in acciaio prezio-so, è sufficiente, non hai bisogno di trasformarne venti, non hai biso-gno di trasformarne cinquanta e così in questo paese alcuni di questiprogetti credo vadano gettati all’aria per mantenere gli artefatti dellenostre vecchie industrie come una pubblica amenità.G.F.F.: Al termine paesaggio di solito si associa conservazione epreservazione. Qual è, per te, il significato corretto?G.H.: Per noi, il concetto è sicuramente più vasto. L’architettura delpaesaggio qui e all’estero, in molti altri paesi, comincerà a fare qual-cosa, per quanto piccoli i cortili dei palazzi e quelli delle grandi pro-vince saranno sicuri. Nell’ambito di questa scala di valori si può parlaredi conservazione. Ma vuol dire preservazione sviluppare anche ca-pacità di gestione, e gestire appunto il paesaggio. Tanti conserva-zionisti non sanno come gestire il paesaggio e quando sei prossimoa scale di valori di 10 o 20 mila acri, tutto diventa un mix di conservazio-ne, pratica ecologica, gestione ecologica, e gestione del flusso del-l’habitat delle specie, animali, uccelli – ma bisogna anche considera-re l’insediamento dei popoli che portano parallelamente auto, aree diparcheggio, treni, autobus e le loro attività, cose che per la terra avolte sono leggere ed altre volte influiscono in maniera molto incisi-va. Queste possono comprendere strutture sportive, strutture cultu-rali, musei ed il paesaggio comincia ad essere questa combinazionedi un disegno/programma da un lato, e dall’altro lato qualcosa chepuoi gestire o preservare o conservare e puoi farlo al contempo.C’è questo paesaggio che tu hai reso naturale, ma sono caratteristi-che naturali per esso. Poi quando continui a scendere nella scala divalori, non puoi più parlare di conservazione ma stai facendo designattivo, e bisogna tener presente anche alcuni aspetti del processonaturale quali lasciare che l’acqua vi entri per ripulirlo, i terreni umidi,le maree, i fiumi che scorrono, le alluvioni, insomma quel genere diattività e quando ti avvicini scendendo nella scala tutto diventa designattivo. Ovunque ci sia un paesaggio culturale, qualcosa che hai co-struito e rappresenta l’espressione della nostra cultura come esseriumani e la summa dei più nobili lavori, questi sono i giardini ed ilmodo che abbiamo di pensare ad essi.Esiste un’interessante teoria che dice più o meno – c’è il primo statodella natura: è il deserto – il secondo stato della natura è il paesaggio

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agricolo, dove abbiamo un paesaggio creato per scopi produttivi – ilterzo stato della natura è quando stai creando un paesaggio per gliscopi della mente. Quando scendi oltre questa scala, il progetto, ildisegno e la costruzione, in qualche modo ti rendi conto che questo èil primo stadio. Credo sia importante, per molti versi, in particolare piùantica è la tua cultura meno paesaggio hai lasciato. Qui il deserto èimportante per noi (ndt: negli Usa) perché deserto. Siamo venuti quie perlopiù era tutto deserto, e ce n’è ancora tanto. La desolazione ècome il deserto, Yellowstone Park, come le immagini che vedi del-l’ovest americano: le montagne e le cascate e sono davvero posti sucui l’uomo ha avuto un impatto minimo o non ne ha avuto alcuno. Maquello che abbiamo imparato nel tentativo di mantenere quelle areedesertiche è che dobbiamo gestirle, perché l’intero paese non è piùun deserto. Abbiamo queste sacche, alcune di queste sono grandisacche, ma sono sacche nondimeno e cose come il fuoco sono statecreate per noi perché esse rigenerano tutto e lasciano entrare la lucedel sole. Nuove specie – è un processo di generazione. Ciò che èavvenuto con il servizio forestale dei parchi nazionali è che non han-no acceso fuochi, o li hanno spenti, e così facendo volevano proteg-gere il paesaggio, ed il paesaggio ha cominciato a morire. Quindi sisono resi conto che dovevano attivamente gestire il deserto e quan-do un fulmine colpiva e creava un incendio, lo lasciavano bruciare inmodo da far auto-rigenerare la foresta. Con il discorso della conser-vazione potrebbe esserci un paesaggio che qualcuno ha creato, unpaesaggio come quello creato nel vostro paese in cui c’è stato l’in-flusso di centinaia di anni di agricoltura, sempre che sia gestito inmaniera corretta. In definitiva, credo che esista una cosa importanteche è cambiata: è che per rispettare le leggi della natura devi diven-tare parte della natura, parte di quel processo.G.F.F.: I termini giardino e giardinaggio sono portatori di valorilegati al rito, alla cura, alla crescita, al mantenimento e al tempo,possono essere considerati un riferimento oggi?G.H.: Io lo faccio, poco fa parlavo dei tre differenti stati della naturacon il giardino che rappresenta le più alte ispirazioni focali quali lapittura, il balletto, la scultura. Il giardino soddisfa quel ruolo che nonvuol avere necessariamente una funzione o provare a trarne qualco-sa, oppure provare a preservarlo. E’ semplicemente un’espressionedi quello che siamo e la nostra relazione con la madre terra.G.F.F.: Quale è la ragione per la quale gli architetti negli StatiUniti e nel Nord Europa prediligono la terra incolta, cioè glispazi residuali, abbandonati o desertici?G.H.: Qui e in Europa ci sono più spazi residuali di quanto la genteimmagina. Quando si considerano aree che crediamo molto indistin-te, ci si rende conto che sono gli stessi luoghi che nel diciannovesimoe nei primi anni del ventesimo secolo abbiamo usato ed abbandona-to. Ma si trovano al centro delle nostre città. Hanno servizi di suppor-to, hanno trasporti che le attraversano, se noi possiamo quindi tra-sformarle e renderle parte di una città, credo sia molto più salutareper tutti noi, anziché spostarci di 50 miglia oltre e costruire nuovecase. Tutto ciò va anche di pari passo con questo concetto di conser-vazione, perché se proviamo a mantenere le aree delle zone agricolee le aree dei boschi, dei laghi, delle foreste e dei ruscelli – vale a direprovare a mantenerle così come sono o meglio conservarle – avre-mo più gente nelle città e saranno molto più felici perché avrannospazio verde, parchi, posti in cui andare e fiumi da poter vivere. Quin-di dal nostro punto di vista, potremmo realizzare due cose in una: ri-creare la città in maniera più salutare e al contempo salvare le areeagricole e quelle naturali all’esterno della città.G.F.F.: La tematica del “riciclaggio” può rappresentare una solu-zione efficace allo sfruttamento illimitato delle risorse naturali?G.H.: Decisamente credo di si. Il riciclaggio della terra, il riciclaggiodelle cose che usiamo, concentrano le nostre risorse in posti chesono importanti. Nell’aspetto della terra mediante il riciclaggio di essa,convertendola dall’uso industriale all’uso pubblico o abitativo o istitu-zionale, noi ricicliamo la terra. Lo chiamerei “resurrezione” dei luoghimorti: prendere un luogo morto e riutilizzarlo per farne una nuovacittà e riciclare nel termine classico, questo vuol dire che io sto tra-sportando i nostri rifiuti – cosa in cui miglioriamo giorno dopo giorno –cioè bottiglie e plastica e le sto riciclando; così non funziona – in

and to keep it like that you have, to manage it as well. So,I think that one thing has changed is that to respect thelaws of nature you have to become part of nature, part ofthat process.G.F.F.: Have the terms garden and gardening, whichbring values connected with the rite, the cure,growing, maintenance and time to be considered areference today?G.H.: I do, awhile ago I was talking about the 3 states ofnature with the garden being the highest focal inspirationslike painting, like ballet, like sculpture, the garden fulfillsthat role that is not necessarily for a function or if I am tryingto make something out of it, or trying to preserve it. It is anexpression of who we are, and our relationship to the earth.G.F.F.: Why do the architects in the United States andNorth Europe prefer uncultivated land, that is to sayleftover spaces, abandoned or deserted?G.H.: Here and in Europe there is more leftover spacesthan people realize. When you start looking at areas wethink are very dim, you realize that they are their places inthe 19th and early 20th century that we used andabandoned. But they are in the center of our cities. Theygot utilities, they’ve got transportation going through them,if we can transform those and make them part of the city, Ithink it’s much healthier for all us because of instead ofgoing 50 miles out that way and building new houses. Italso goes along with this notion of conservation, because ifwe are trying to keep the areas of the farmlands and theareas of the woods and the lakes and the forests and thestreams – we are trying to keep those as they are – conservethem if you will – then the more people we have in the cityand the happier they are because they have green spaceand parks and places to go and riverfronts to go to. So Ithink from our viewpoint, we are doing two things at once:we are re-creating the city in a healthier way and we aresaving the farmlands and the natural areas outside the city.G.F.F.: Should the re-cycling theme represent aneffective solution to the unlimited exploitation of naturalresources?G.H.: I definitely think so. The re-cycling of land, the re-cycling of things that we use, concentrate our sources inplaces that are important. In the aspect of land by re-cycling

plastico del Guadalupe River Park, San José, California

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questo modo noi evitiamo di espandere verso l’esterno le risorse na-turali ed usando tutte le energie per dare a quei materiali una formadiversa, semplicemente ricicliamo immondizia. Entrambi questi aspettidel tema del riciclaggio sono credibilmente importanti per quanto noicome persone faremo per la nostra terra per lungo tempo fidu-ciosamente.G.F.F.: Stiamo anche parlando degli stessi materiali che elimi-niamo dal posto che stiamo trasformando ?G.H.: Si, ma non riciclandoli obbligatoriamente in quello stesso posto.G.F.F.: Pone particolare attenzione a questo tema, cioè a questogenere di operazione?G.H.: Abbiamo cominciato, e sta andando avanti. Non 10 anni fa, madi recente molto del nostro lavoro lo dedichiamo alla separazione e alriutilizzo dei materiali. Eravamo soliti dire – sbarazziamocene, nonc’interessa – ma al momento li stiamo polverizzando sul posto e liusiamo, a volte come materiale di base per sentieri, manto stradale.Li usiamo persino disotto (ndt: nei laboratori universitari) per creareforme terrestri. Stiamo cominciando ad usarli sempre di più. Tutto ciòche facciamo implica l’utilizzo dell’acqua. Il vecchio modo di fare pre-vedeva che l’acqua proveniva da un lato, ci si assicurava di racco-glierla e di gettarla nella fognatura ed in qualche modo poi verso ilfiume. Ora nei nostri progetti, quello per le Olimpiadi ne è un esem-pio, abbiamo preso l’acqua, e portata sulla piazza e sui tetti degliedifici ed infine, raccolta, l’abbiamo veicolata attraverso un depuratorea membrana, prima di convogliarla verso il fiume.G.F.F.: Nella progettazione paesaggistica in cui le gerarchie e lepriorità rispetto alla progettazione architettonica inevitabilmen-te cambiano a causa del cambio di scala, gli edifici acquistanoun ruolo relativo e secondario. Questo inevitabile processo puòmettere in crisi il ruolo dell’edificio?G.H.: Per quanto mi riguarda è un’opportunità. Gli architetti stannoprovando con molte difficoltà oggi a fare di ogni edificio un pezzo discultura. Questo oggetto è un pezzo di scultura, e va bene in alcunicasi; ma penso anche a quando gli edifici sono considerati parte diun contesto più vasto, subordinato a idee più grandi che hanno a chefare con il paesaggio e lo spazio pubblico. Poi diventano una colle-zione, diventano una serie di edifici, diventano una città, un quartie-re. Nei tempi antichi le cattedrali saltavano agli occhi, quindi credoche il concetto che ogni edificio possa essere un eroico pezzo discultura non sia un’idea tanto sbagliata.

the land, by taking it from industrial use to a public use orhousing or institutional use we re-cycle the land. I wouldlike call it recessitating (ndt: to bring alive) dead sites: takea dead site and plug back into making a new city. Re-cyclingin the classic term, I’m taking our waste which we are gettingbetter and better at, bottles and plastics and re-cycling those;so we don’t – so we stop pulling natural sources out andusing all the energies to make those into these things wejust re-cycle the garbage. Both those aspects of re-cyclingare creditability important to how all of us as people aregoing to do for our land for hopefully a longtime.G.F.F.: Are you talking about the same materials wethrow away from the place we are trying to re-new?G.H.: Yes, but not necessarily in that exact same place.G.F.F.: Do you particularly put attention to this thing,this kind of operation (ndt: re-use of all materials we throwaway from the renewing place)?G.H.: We started to, more and more. Initially 10 years ago,no, but recently we put a lot of our work involves tearingapart the materials. We used to say get rid of it, we don’tcare. Now we’re actually pulverizing it on site and using it,sometimes they are arrogates for pathways, roadways. Weeven use it underneath for making earth forms. We arestarting to use them more and more. Everything we doinvolves water. The old way of doing it was that the watercomes on the side, and you make sure it got to the drainand get out to the storm sewer, and that somehow then tothe river. Now in our projects (the Olympic project is anexample) we took all the water then came on the plaza, andon the roofs of the buildings and collected it and took througha web cleaner before it went out to the river.G.F.F.: Into the landscape planning in which hierarchiesand priorities in comparison with the architecturalplanning incessantly change due to the scale variation,buildings acquire a relative and secondary role. Can thisinevitable process cause a crisis in the buildings role?G.H.: To me it’s an opportunity. Architects are trying so hard,these days, to make every building a piece of sculpture.This object is a piece of sculpture, and that’s fine for somecases; but I think when buildings are considered part of alarger context subordinate to larger ideas that have to dowith landscape and public space. Then they become acollection, they become a series of buildings, they becomea city, a neighborhood. In older times the cathedrals wouldstick out, and I think moving back a little bit from whereevery building is a heroic piece of sculpture is not such abad idea.

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Intervista a Gabriele G. KieferAlessandra Forino

A.Forino: Partiamo dal concetto di “riduzione”, principio-guidadel tuo lavoro. Potresti spiegare perché questo non deve essereconfuso con il termine di “minimalismo”, col quale oggi si eti-chetta una certa architettura?G.G.Kiefer: In ‘Bilderstatus’ (Stato dell’immagine), il filosofo dei me-dia e delle comunicazioni Villem Flusser descrive i risultati del so-vraccarico di immagini nella nostra cultura ed enfatizza il concettodella nostra impotenza nei confronti del fluire delle buone vecchieimmagini… Egli scrive: dato che non riusciamo a produrre più levecchie immagini, ne dobbiamo produrre altre con un nuovo tono,

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Ormai è da più di un ventennio che Berlino rinnova senza sosta il suo volto di metropoli cosmopolita.Prima il ridisegno del suo skyline con le innumerevoli architetture firmate dai grandi del panorama ar-chitettonico internazionale; poi la trasformazione dei suoi vuoti, con i tanti “progetti di suolo”, ideati daun’emergente generazione di architetti paesaggisti tedeschi e generalmente di provenienza europea.Tradizionalmente Berlino è in assoluto la città tedesca, dove lo spazio pubblico viene più “ossessivamenteutilizzato” – per citare una recente espressione di Hans Stimmann – ed è la città che già nel 1840 PeterJoseph Lenné immaginava di riorganizzare attraverso un articolato sistema di parchi, giardini, boulevardse canali d’acqua, in un’idea di completa integrazione fra Città e Natura.Dopo la parentesi della città funzionalista, che ha segnato senza dubbio il declino del progetto del landscapecome topos d’arte e d’architettura, le piazze, i parchi e i giardini urbani ritornano a essere non solo lacomponente fondamentale della trasformazione della Berlino odierna, ma anche e soprattutto i luoghi incui si riaccende il dibattito sulla forma dello spazio pubblico, sulle valenze ecologiche ed estetico-cultu-rali del verde urbano.Testimonianza di questa rinnovata ricerca, tesa a sperimentare nuove forme e contenuti del landscapedesign, è il lavoro condotto da Gabriele G. Kiefer, giovane architetto paesaggista che, poco più di dieci annifa, fonda il suo studio professionale (Buero Kiefer) nel cuore di Berlino, nel quartiere multietnico di Kreuzberg.Lo studio, che con successo ha partecipato a numerosi concorsi di architettura del paesaggio nazionalied internazionali, realizzando progetti a Berlino, Potsdam, Dessau, Stoccarda e Vienna, è impegnato neldisegno del paesaggio alle diverse scale: dalle piccole corti residenziali ai giardini di uffici ed istitutibancari, dai parchi urbani alla trasformazione e riabilitazione di ex aree industriali e militari.I progetti e le realizzazioni del Buero Kiefer, diffusamente pubblicate su testi e riviste di architettura,riflettono un approccio al landscape design essenzialmente architettonico: il lavoro si focalizza più sullequalità spaziali di un luogo e sulla sua relazione con le architetture che lo circoscrivono, piuttosto che suicaratteri vegetazionali. Cifra connotativa dell’opera della Kiefer è l’essenzialità e la chiarezza del dise-gno, che si esprime attraverso l’uso di pochi materiali e cromatismi, l’iterazione di segni dalla semplicegeometria, il gusto per un dettaglio sempre misurato. Parole-chiave, con le quali la stessa Kiefer amadefinire il suo lavoro, sono “riduzione”, “ordine spaziale”, “chiarezza”.In questa intervista la Kiefer precisa concetti e significati del suo “fare” e la sua idea di progetto dipaesaggio nella città contemporanea.

It’s more than twenty years by now that Berlin is ceaselessly updating its face of a cosmopolitan metropolis. First redesigningits skyline by means of the countless architectures signed by big names from the international architecture panorama; thentransforming its voids, with several “soil projects”, planned by an out coming generation of landscapist architects fromGermany and generally from Europe.Traditionally Berlin is the German city, in which public spaces are most “obsessively utilized”- as said in a recent quotation by HansStimmann – and it’s the city Peter Joseph Lennè in 1840 already presumed to reorganize through an articulated system of parks,gardens, boulevards and water canals, in a concept of complete integration between City and Nature.After the functionalistic city pause, which definitely marked the decline of the landscape project as topos of art and architecture,urban squares, parks and gardens turn out to be not only the main component of the transformation of today’s Berlin again, butmost of all those are places in which the discussion about the shape of the public space, the ecological and aesthetic-culturalvalues of the urban green brighten again. Confirmation of this updated research, trending to test new shapes and contents oflandscape design, is the work conducted by Gabriele G. Kiefer, young landscapist architect who, not much more than ten yearsago, established her professional study (Buero Kiefer) into the heart of Berlin, at the Kreuzberg multi-ethnical quarter.The study, which successfully took part to several national and international landscape architecture competitions, realizing projects inBerlin, Potsdam, Dessau, Stuttgart and Vienna, is concerned with the landscape planning in a wide range: from the small residentialcourtyards to banks and offices gardens, from city parks to the conversion and restoration of industrial and military ex-areas.Buero Kiefer projects and issues, widely known by way of architecture books and reviews, reflect an approach to a landscapedesign basically architectural: its labour mostly focuses on the space properties and its relation between the surrounding architectures,rather than on the vegetation characters. Distinguishing sign of Kiefer’s work is the essentiality and clearness of her design,expressed through the use of a small amount of material and chromatics, the iteration of simple geometry signs, her taste for theever-measured details. Key words used by Kiefer herself to define her own work are “reduction”, ”space order”, ”clearness”.In the following interview Kiefer states more exactly concepts and meaning of her “making” and her idea of the landscape projectin the present-day city.

A.Forino: Let’s start from the concept of “reduction”,leading principle of your work. Could you explain whyit is not be confused with the term of “minimalism”,used today to label a brand of architecture?G.G.Kiefer: In ‘Bilderstatus’ (Status of the Image), the com-munications and media philosopher Villem Flusser de-scribes the results of the image overload in our cultureand emphasizes, that we are powerless against the-floodof the good old images….He writes: Since we cannot pro-duce the old images anymore, we must produce eithernew toned, moving images that in essence rinse us, or we

Gabriel G. KieferNasce nel 1960 a Frankenthal,Pfalz; si laurea in architetturadel paesaggio alla UniversitàTecnica di Berlino.Fonda il suo ufficio a Berlinonel 1989.Membro dei giurati e lettori in-ternazionali dal 1991.I suoi progetti e lavori vengonopubblicati su riviste internazio-nali di Architettura (Casabella,Garten + Landschaft, Topos -Rivista europea del paesag-gio, 2G- Rivista internaziona-le d’architettura).

Born in 1960 in Frankenthal,Pfalz; graduated in landscapearchitecture at the TechnischeUniversität Berlin. Foundedown office in Berlin in 1989.Member of international juriesand lecturer since 1991.Her projects and works are pu-blished on international archi-tecture magazine (Casabella;Garten + Landschaft; Topos-European Landscape Maga-zine, 2G-International Archi-tecture Review.

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immagini in movimento che in essenza ci risciacquino, o dobbiamoprodurre immagini ‘placide’ che sorpassino il flusso delle immagini.Noi vogliamo stabilire immagini semplici, forti con i nostri disegni.Grazie all’uso della varietà dall’inizio, siamo alla ricerca del-l’essenziale attraverso il principio della riduzione; un processoaccurato di scelta e concentrazione. Nel migliore dei casi, il risultatoè un artefatto in cui diviene impossibile sottrarre alcun elemento.Il minimalismo, nell’arte così come nella musica, difende sé stessocon mezzi semplici contro il decadimento del mondo delle immagini.La fondazione è limitata a pochi elementi, spesso sin dall’inizio. Ilprocesso della attenta vagliatura, che noi dobbiamo eseguire inqualità di responsabili designer del paesaggio, non è forzato ovincolante.E il risultato della riduzione non dovrà essere necessariamentesemplice.A.F.: Quali sono i tuoi riferimenti culturali nel campo dell’ar-chitettura e dell’arte? Quali gli architetti paesaggisti antichi,moderni e contemporanei che hanno contribuito alla tuaformazione?G.G.K.: Una delle mie più grandi fonti di ispirazione è MichaelNyman, diventato popolare grazie alle musiche che ha scrittoper i film “The Draughtman’s Contract” di Peter Greenaway e“Lezioni di piano” di Jane Campion. Prima del suo successo in-ternazionale, Nyman si era fatto un nome come critico e teoricomusicale. Egli seguii lo sviluppo della musica post-contempora-nea, oltre l’avant-garde seriale, e scrisse il libro “Musica Speri-mentale – Prigione ed oltre”, che da subito divenne un punto diriferimento. Dedicò l’ultimo capitolo alla “musica minimalista”, emolto probabilmente ne coniò il nome.Nei suoi primi lavori, Nyman spesso sceglieva citazioni moltoconcise, esatte dei classici, e le sottoponeva alla ripetizioneminimalista. L’orientamento del tono restava intatto, sebbenel’avanzamento armonico veniva variato. Il lifting della tensionedel tono e gli effetti non saltavano fuori come il risultato dellarepressione della continuità armonica, bensì come risultato dellarappresentazione intenzionale. La musica di Michael Nymanparla del desiderio di edificare la storia Europea.Questa attitudine di non voler negare il passato, ma di creare inveceun dialogo con il suo potenziale, io la trovo molto congeniale.In riferimento ai ruoli-modello professionali, è tutt’uno con unarchitetto-paesaggista di Berlino molto vicino a Peter Joseph Lennè,che è già diventato un ‘patriarca’ in quel senso, e dal quale sigenerano confronti con l’epoca attuale.A mio parere, l’intero spettro dell’architettura del paesaggio è concen-trato su quest’unico uomo; dai novellini del giardino di corte agliideatori della città del Re. Il suo progetto per il “gioiello e confine”caratteristici di Berlino è reso prominente: una elaborazione dellacittà anticipata con strade adattate, schemi di sviluppo e pause diriposo – un’intelligente strategia con speciali chiare definizioni edelementi di design costruttivo.Anche il lavoro dell’americano Dan Kiley ha avuto un forte impatto.Persino quando ad Harvard, lui ed i suoi colleghi Eckbo e Rosemisero in dubbio apertamente il corso di studi, e pubblicarono alcunianni dopo un saggio-manifesto, che prendeva una posizione

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must produce ‘quiet’ images that surpass the flood ofimages.We want to establish strong, simple images withour designs. Using variety to begin, we search for the es-sential through the principle of reduction; a careful proc-ess of sorting out and concentration. At best, the result isan artefact, where it isn’t possible to subtract anythingelse.Minimalism, in art as in music, defends itself with sim-ple means against the decay of the world of images. Thefoundation is limited to few elements, often from the begin-ning. The sifting process, which we as responsible landsca-pe designers must execute, is not forced or mandatory.Andthe result of reduction needn’t be forcibly simple.A.F.: What are your cultural references in the ar-chitecture and art fields? What are the ancient, mod-ern and actual landscapist architects who gave con-tribution to your training?G.G.K.: One of my biggest sources of inspiration is MichaelNyman, who became popular through his music for PeterGreenaway’s “The Draughtman’s Contract” and JaneCampion’s “The Piano”. Previous to his international suc-cess, Nyman made himself a name as a music theoristand critic. He followed the development of then-contem-porary music, beyond the serial avant-garde, and wrotethe book “Experimental Music – Cage and beyond”, whichsoon became a standard. He dedicated the last chapter to‘minimalist music’, whose name he most probably coined.In his earlier work, Nyman often chose very brief, ex-act quotes from the classics, and subdued them byminimalistic repetition. The tonal orientation remainedintact, although the harmonic advancement waschanged. The lifting of tonal tension and effects didn’toccur as a result of repressing harmonic continuity, butas a result of intentional staging.Michael Nyman’s music speaks of a longing to build onEuropean history. This attitude of not wanting to negatethe past, but to instead to enter into a dialog with its’ po-tential, I find very congenial.In reference to professional role-models, is one as a Ber-lin landscape-architect very connected to Peter JosephLenné, whom has become almost a ‘patriarch’ in that sense,and from whom one is still compared to today.For me, the entire spectrum of landscape architectureis concentrated on this one man; from court garden ap-prentices to the King’s city planners. His plan for the“jewel and border” characteristics of Berlin” is renderedprominent: an anticipated city planning with arrangedstreets, development schemes and rest stops - an in-telligent strategy with clear special definitions and con-structive design elements.The work of the american Dan Kiley also has made a strongimpact. Even while at Harvard, he and his colleagues Eckboand Rose openly questioned the curriculum, and publisheda few years later a manifesto-like essay, which took a po-sition against the archaic structure of the established land-scape-architecture scene. In his work, Kiley was able to‘marry’ Mies with Le Nôtre so to speak, and to merge Ba-roque and the international style: In the Miller garden, geo-metrical and right-angle garden spaces surround the pa-vilion-like residence of Saarinnen. A quotation of baroquegarden design: alleys, bands of bushes, a vegetable gar-den in the style of Le Nôtre potagers, create a precisescaffold-structure as an analog to the residences.

Parco della Biosfera, Postdam, Germania - Buga 2000

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contraria alla struttura arcaica della consolidata scena architettura-paesaggio. Nella sua opera, Kiley è stato in grado di ‘sposare’ Miescon Le Notre per così dire, e di far emergere il Barocco e lo stileinternazionale: nel giardino di Miller, gli spazi verdi con angologeometrico e retto circondano la residenza dalla forma di unpadiglione di Saarinnen. Una citazione di design del giardino baroc-co: viali, cespugli a coste, un giardino vegetale nello stile dei potagers(ndt: giardinieri) di Le Notre, creano una precisa struttura a volta comequella analoga alle residenze.Gli sviluppi residenziali armonizzano nella loro presentazione lasobrietà formale del design classico moderno, con la lussuria coloratadella piantagione barocca, ed ottengono una sintesi di grande sotti-gliezza ed intrusione.Inoltre sono stata molto fortunata nel riuscire a conoscere DieterKienst personalmente. E’ stato sempre un collega molto combattivo,che ha lottato in maniera molto passionale contro l’insignificanzadella cultura del giardino, e conseguentemente ha difeso sé stessodal grave deficit di teoria nell’architettura del paesaggio. Le sueopere poetiche rappresentano una sintesi vera di semplicità edestetica, ed appartengono alla più emozionante architettura delpaesaggio contemporanea.I tre autori citati sono tutti implicati nel contesto; compatibilità ecoerenza con l’architettura e la progettazione della città.In ognuno dei loro progetti-linguaggio, coesistono chiarezza e rico-noscibilità, che hanno il carattere del ruolo-modello.A.F.: In riferimento alla tua metodologia progettuale, parlispesso di approccio analitico e di una filosofia di interventotesa a realizzare all’interno di uno spazio aperto un “mondoche contrasti con una realtà fatta di globalizzazione e di velocediffusione planetaria delle informazioni”. Potresti brevementechiarire questi assunti?G.G.K.: Quando vago per la città, incontro un’esplosione di immagini,materiale e colori. Segni universali si sono diffusi, indipendentementedalla cultura e dalla location, agenti globali determinano l’economiamondiale e guardano al nostro sviluppo: l’ideologia del “ taglia eincolla” dei programmi informatici favorisce il fiorire del neo-romanticismo e dei pezzi di ricambio.Copiare, eliminare, incollare: Oppio per le masse. La mobilitàdei fast-food e la miscela dei diversi stili. Tutto progredisce,finchè il nulla non funziona più…Le interpretazioni di Mark Augès della nostra società mondialetendono alla diagnosi, che a causa della modernità incombente,la gente sta perdendo il suo ‘posto’, che noi tutti siamo dei sen-zatetto in un mondo tecnico – che riconosce soltanto vie dipassaggio, ma non case.Il mondo in-scrutabile, la sradicazione e la somiglianza dei luoghici portano verso un’eliminazione della dimora dell’individuo, chesi nasconde dietro l’immaginazione energica ed il sovraccaricodi conoscenze.

The residential environs combine in their presentation theformal sobriety of modern classical design, with the coloredluxuriousness of baroque planting, and achieves a syn-thesis of great subtleness and intrusion.I also was very lucky to get to know Dieter Kienst person-ally. He was always a pugnacious colleague, who very pas-sionately fought against the meaninglessness of the gar-den culture, and subsequently defended himself againstthe grave theory-deficit in landscape architecture. His po-etic work are a real synthesis of simplicity and esthetic,and belong to the most impressive of contemporary land-scape architecture.All three are involved with context; a compatibility and co-herence with architecture and city planning.In each of their design-language, is a clarity and recogniz-ability, which has the character of a role-model.A.F.: Referring to your planning methodology, you of-ten talk about the analytic approach and an operationphilosophy tending to realize within an open space a“world opposed to a reality made of globalisation andfast worldwide spread of the information”. Could youbriefly explain these arguments?G.G.K.: As I wander throught the city, I encounter an ex-plosion of images, material, and color. Universal signs havespread themselves out, independent of of location and cul-ture, global players determine the world economy and lookof our environment: The “cut and paste” ideology of com-puter programs allows neo-romanticism and replacementparts to bloom.Copying, cutting-out, pasteing: Opium for the masses. Fast-food mobility and the mixing of styles.Anything goes, until nothing functions anymore…Mark Augés explanations of our world society leads to thediagnosis, that because of the overwhelming modernity,people are losing their ’place’, that we are all homeless ina technical world – which only recognizes passageways,but not home.The un-surveyable world, the uprooting and sameness ofplaces leads to a homelessness of the individuum, whohides behind powerful imagery and experience-overload.If I follow these observations, it means that the confusionand over-filling of the exterior leads to a lack of the interior.In order to oppositely effect this universal multi-imagina-tion, one must invent opposite worlds or parallel universes.In our loud, complicated world, as Villem Flusser also wrote,it means ultimately we must create even louder images,or very, very quiet ones. We prefer the quieter images.A.F.: In your projects the use of vegetable compo-nents is reduced to a minimum, or however utilizedto satisfy linear rules: both artificial elements andnatural ones contribute to determine a precise Car-tesian spatiality. A concept of garden very far fromthe German landscapist tradition comes out, whichis instead basically referring to a wooded natureshaped according to naturalistic principles. Is yourown work, like the one by other German colleagues,therefore going to state an explicit position of di-versity and distance from this tradition?G.G.K.: I don’t follow the estimation that landscape ar-chitecture in Germany is traditionally determinedthrough the forest.In our designs, as well as those of our colleagues, it isn’tan intentional goal to break with tradition; it is simply toreact to what is there, to the given. And in the given space,the contrast of city and country doesn’t exist any more.One finds more often the “pseudo-longing-for-the-naturalculture” permeated landscapes and de-urbanized cityspaces. Pure nature and its’ original landscape forms ex-ists only specifically and seldom.A.F.: Today the ecological idiom, rid of procedures ex-clusively conservationist and restorative of the natu-ral ecosystem, becomes again an imperative in thelandscape project, but re-updated thanks to the paint-ing art contribution and the new arguments from bio-logical sciences. In relation to this subject how do yourprojects have to be considered ecological?G.G.K.: We understand nature as a material and concep-tual foundation in which man is integrated with his needs,and that it is this preservation that is in his own interest. An

Parco della Biosfera, Postdam, Germania - Buga 2000

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example of this attitude is found again in an accordancewith the genius loci; the use of local plants, the reductionof ground-sealing, the consideration of climatic factors, andin resource protection, through the application of materi-als of longevity, and the recycling of rainwater. We alsowant to make the ecological necessity, or functional ex-pectations and demands visible in the design. By that Imean not decaying of a pseudo-ecological, landscapeform-language, but the conceptual principal, making a for-mal reference to the context.A.F.: Once again referring to the ecological theory, Iwould like to talk about your recent intervention forthe ex civilian airport area of Johannisthal-Adlershofin Berlin. The new park, located on the previous take-off runway, sets in its middle a huge renaturing area,surrounded by the system of equipped gardens serv-ing the technological pole that in a little while will risethere. What’s the esthetical and functional worth ofthis biotope, sited in the heart of a deeply urbanizedand developed area?G.G.K.: The middle of the park won’t be artificially rena-tured, because a unique Biotope-stucture already existsthere. Its’ worth lies in the prairie-like vegetation, the con-necting flora of dry-sand grass, which has developed onthe unused airfield since the end of the second world war.As a charachteristic landscape element and nature re-source, it permeates the atmosphere of the landscape andrelaxation park of Adlershof.The esthetic of the ‘nature park’ lies in its’ expanse. Simul-taneously, the notion of ‘two-in-one’ makes the area’s his-tory the central theme. The expanse makes special sur-veyance possible; it allows for the sky’s ever-changing pres-entation to become the park’s focal point, and creates acontrasting impression to the density of the development’sframework. The gradual decaying of the tarmac brings forth,in its’ process of decay, esthetically graphic, constantlychanging structures. In order to be fair to the special needsof the various research institutions, the city-planning joints,the ‘landscape parks’ will be composed of trees, which meetthe ‘active parks’ at the city’s edges in their layered topog-raphy of the playgrounds, sport areas, and city gardens.For us, the conceptual interest was in the fact that in themiddle of a technological location – as Adlershof is, amongother things, the world-leader in crystal-cultivation – a na-ture reserve exists, by which the sheep provide mainte-nance for the dry grass. We assume that this close-to-nature area provides a contrast to the bordering technoidworking environment, and perhaps thereby can recontex-tualize the work done in research.A.F.: In the last few decades Berlin and most of otherEuropean metropolis are regenerating their urbanparks and gardens. What is the idea for a public space

Se seguo queste osservazioni, significa che la confusione e l’arricchi-mento dell’esteriore ci conducono ad una pochezza dell’interiore. Peressere in grado di determinare in maniera contraria questa multi-im-maginazione universale, si devono ideare mondi opposti o universiparalleli. Nel nostro forte, complicato mondo, come pure Villem Flusserscriveva, significa in definitiva che dobbiamo creare immagini più fortiancora, oppure altre molto, molto distese. Noi preferiamo quelle più pacate.A.F.: Nei tuoi progetti l’uso dell’elemento vegetale è ridottoal minimo, o comunque utilizzato ad assecondare direttricilineari: sia gli elementi artificiali sia quelli naturali con-corrono a definire una precisa spazialità cartesiana. Emergeun’idea di giardino molto lontana dalla tradizione paesag-gistica tedesca, che fa invece essenzialmente riferimentoad una natura boschiva e modellata secondo criteri di tiponaturalistico. Il tuo lavoro, come quello di altri tuoi colleghitedeschi, vuole dunque esprimere una esplicita posizionedi diversità e distanza da tale tradizione?G.G.K.: Io non seguo l’assunto che l’architettura del paesaggio inGermania è tradizionalmente determinata attraverso l’uso della foresta.Nei nostri progetti, come pure in quelli dei nostri colleghi, non vi ècome obiettivo intenzionale rompere con la tradizione; è unasemplice reazione a quello che preesiste, al dato. E nello spaziodato, il contrasto tra la città e la campagna non esiste più. Si trovanomolto più spesso i paesaggi permeati dalla “cultura pseudo-voglia-per il naturale”, e gli spazi della città de-urbanizzata. La natura pura ele sue forme del paesaggio originale esistono soltanto in manieraspecifica e più di rado.A.F.: Oggi l’idioma ecologico, liberatosi di procedure esclusi-vamente conservazioniste e restaurative degli ecosisteminaturali, ritorna ad essere un imperativo nel progetto delpaesaggio, ma riattualizzato dall’apporto delle arti figurative edei nuovi assunti della scienza biologica. Rispetto a tale temain quali termini i tuoi progetti possono ritenersi ecologici?G.G.K.: Noi concepiamo la natura come una fondazione materialee concettuale in cui l’uomo venga integrato con le sue necessità, eche questa preservazione abbia atto nel suo stesso interesse. Unesempio di questa attitudine si trova ancora in conformità con ilgenius loci (ndt:l’atmosfera del luogo); l’uso delle piante locali, lariduzione dell’impronta-suolo, la considerazione di fattori climatici,e nella protezione della risorsa, attraverso l’applicazione di materialidi longevità, e il riciclaggio delle acque piovane. Vogliamo inoltrerendere visibili le necessità ecologiche, o le aspettative e le richieste

Parco Johannisthal - Adlershof, Berlino-Treptow, 1996

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funzionali nel progetto. Con ciò intendo non il decadimento dellaforma-linguaggio pseudo-ecologica del paesaggio, bensì il principioconcettuale che restituisce una referenza formale al contesto.A.F.: E ancora con riferimento al paradigma ecologico, vorreiparlare del tuo recente intervento sull’area dell’ex aeroportocivile di Johannisthal-Adlershof a Berlino. Il nuovo parco,localizzato sulla vecchia pista di decollo, pone al suo centrouna vasta area di rinaturazione, circondata dal sistema digiardini attrezzati a servizio del polo tecnologico che lì abreve sorgerà. Qual è il valore estetico e funzionale di questobiotopo, posto nel cuore di un’area densamente urbanizzataed infrastrutturata?G.G.K.: Il centro del parco non sarà rinaturizzato in maniera artificiale,perché già esiste in quel luogo una struttura-Biotopo unica. Il suovalore risiede nella vegetazione simile ad una prateria, la flora diprato a sabbia-arida a questa congiunta, che si è sviluppata sullainutilizzata pista d’aviazione dalla fine della seconda guerra mon-diale. In qualità di elemento caratteristico del paesaggio e di risorsanaturale, essa permea l’atmosfera del paesaggio e del parco ri-creazionale di Adlershof.L’estetica del ‘parco della natura’ giace nel suo espanso. Simultanea-mente, il concetto di ‘due in uno’ fa sì che la storia dell’area sia iltema centrale. L’espanso rende possibile la sorveglianza speciale;esso consente alla sempre mutevole presentazione del cielo didiventare il punto focale del parco, e crea un’impressione con-trastante alla densità del profilo dello sviluppo. Il decadimentograduale della pista ci porta oltre, nel suo processo di deterioramento,esteticamente grafico, struttura in costante evoluzione.Per andare incontro alle particolari esigenze delle varie istituzioni diricerca, ai punti di collegamento della progettazione della città, i‘parchi del paesaggio’ saranno composti da alberi, che incontrano i‘parchi attivi’ agli angoli della città nella loro topografia prestabilitadei campi da gioco, aree sportive, e giardini della città.Per noi, l’interesse concettuale risiedeva nel fatto che al centro diuna location tecnologica – poichè Adlershof è, tra l’altro, il leadermondiale nella coltivazione del cristallo – esiste una riserva natu-rale, in cui le pecore badano al mantenimento del manto erbososecco. Noi crediamo che quest’area vicina alla natura oppone uncontrasto allo sviluppo dell’attività tecnoide tutto intorno, e forse puòin tal modo ricontestualizzare il lavoro svolto nella ricerca.A.F.: In questi ultimi decenni Berlino e gran parte delle metropolieuropee stanno rigenerando i propri parchi e giardini urbani.Qual è l’idea di spazio pubblico che emerge da queste recentirealizzazioni e quanto e come ritieni essa sia cambiata rispettoai nuovi comportamenti sociali dell’uomo metropolitano?G.G.K.: Nello sviluppo attuale delle città, incontriamo due fenomeniparalleli, che sono da un lato la perenne auto-abolizione dei limitidella città e poi c’è la tendenza verso un interiore autistico delconsumo nei centri metropolitani. In entrambi i casi, lo spaziopubblico è, nel senso classico del termine, non più comprensibile.In periferia, la progettazione di spazi aperti può condurre al compitodi mettere le ‘cellule’ disparate della città insieme, in modo daordinare la crescita e creare l’orientamento.Al centro della città, lo spazio pubblico porta un’immagineessenziale di una città, che frena l’incessante volo versol’esterno delle città, e come fattore attrattivo del luogo attirainvestitori e residenti.

coming out from these latest realizations and howmuch and in which way do you think it has been chang-ing compared to the new social behaviour of the met-ropolitan man?G.G.K.: In current city development, we encounter theparallel phenomena, which as perpetually self-abolish-ing city limits’ and the tendency towards an autistic inte-rior of consumption in the metropolitan centers. In bothcases, public space is, in the classical sense, no longerunderstandable.On the periphery, the planning of open space can take onthe task of connecting the disparate city ‘cells’ together, toorder growth and to create orientation.In the city center, public space carries an essential image of acity, which stops the increasing flight out of the cities, and as aattractive locational factor attracts investors and residents.In these media-permeated times, public space is beingdiscovered as a stage for public life, as an intentional neu-tral ‘user-area’, for our pluralistic and multi-cultural society– public space as an authentic space for encounters, learn-ing, thinking, and rest.A.F.: Adrian Geuze has unfalteringly asserted mod-ern society “needs no parks anymore” and the land-scapist task today is to create “anarchist, surreal-istic, provocative spaces injecting in the peoplestrong and contrasting emotions”. What is in youropinion the landscapist architect task and what req-uisitions for the public space into the actuality ofthe present-day metropolis?G.G.K.: Victor Hugo suggested in “The Hunchback of NotreDame”, that architecture began alphabetically. He recog-nized and associated the stone to a letter – and the build-ing became a word.When architecture formulates words, and the city is to tella story, the grammar which makes it comprehendable, ismissing. For me, this grammar is open space.An open space, which is understood to be a charachteristicelement of a city. What guides the already-existing - or theurban – completes and continues over the apparent differ-entiation of building-mass and surface, and describesunordered spacial examples and moods?The task of landscape architects is to know, and revisit thememory of the available design-repetoire; to establishesthetic examples, and to build on, consciously and withlittle means, and to choose the appropriate context.

Progetto per la piazza della Stazione ferroviaria centrale sulla Spree, Berlino - 2001 con M. Schwartz

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In quest’epoca permeata dai media, lo spazio pubblico è statoscoperto come un palco per la vita pubblica, come una ‘area-utenti’neutrale intenzionale, per la nostra società multi-culturale epluralistica – spazio pubblico in qualità di autentico spazio in cuiincontrarsi, imparare, riflettere e riposarsi.A.F.: Adrian Geuze ha perentoriamente affermato che la societàcontemporanea “non ha più bisogno di parchi” e che il compitodei paesaggisti sia oggi quello di creare “spazi anarchici, sur-realisti, provocatori, che iniettino nella gente emozioni forti econtrastanti”. Qual è secondo te il compito dell’architettopaesaggista e quali sono i requisiti di uno spazio pubblico nellarealtà della metropoli contemporanea?G.G.K.: Victor Hugo asserii ne “Il Gobbo di Notre Dame”, che l’ar-chitettura è cominciata alfabeticamente. Lui riconobbe ed associòla pietra ad una lettera – e l’edificio divenne una parola.Quando l’architettura formula parole, e la città è lì per raccontareuna storia, la grammatica che la rende comprensibile, viene smarrita.Per me, questa grammatica è spazio aperto.Uno spazio aperto, che viene concepito come un elemento caratte-ristico di una città. Che cosa guida il pre-esistente – o l’urbano – com-pleta e continua oltre l’apparente diversificazione della massa di edificie di superficie, e descrive esempi e tendenze di spazio senza ordine?Il compito degli architetti paesaggisti è sapere, e rivisitare la memo-ria del repertorio-design disponibile; impostare esempi estetici, ecostruire coscienziosamente e con piccoli mezzi, e scegliere ilcontesto appropriato.Stabilire un genere di identità unitaria, anche se forse una pro-babile eterogenia stilistica esiste, si offre per una spirituale unitàper l’insieme.Con la popolazione in flessione dei paesi industrializzati, e con lacreazione di spazi urbani, l’architettura giocherà un ruolo svalutatonel futuro, mentre il ruolo dell’architettura del paesaggio diventeràsempre più importante.A.F.: Il tuo studio professionale si avvale della collaborazionedi diverse professionalità. Attualmente stai lavorando conMartha Schwartz al progetto della piazza per la stazione centraledi Berlino (Zentralbahnhof) sulla Spree. Raccontaci brevementedi questa singolare esperienza nata dalla collaborazione conla nota artista del paesaggio americana, il cui backgroundculturale ed artistico sembra essere alquanto distante dal tuo.G.G.K.: Questa è una domanda che spesso mi pongono. Il concettosegue questa direzione: in che modo, nel contesto del loro lavoro,due donne fondamentalmente così diverse possono cooperare insie-me. Quello che trovo più eccitante a prescindere dalle evidenti diffe-renze, sono gli elementi che abbiamo in comune: rispetto reciproco,l’amore per le arti visive e l’architettura, sistemi di valutazione simili.Entrambe ragioniamo in termini di multi-materialità, ambedue siamoalla ricerca di location effettuali ed interessanti, e siamo vicine perquanto riguarda il nostro pensiero sostanziale. La questione dellalongevità o del discorso temporale è il campo in cui potremmo avereun orientamento diverso, così come per ciò che concerne la nostrapersonale comprensione professionale.Martha Schwartz si accorge di sé stessa, e delle funzioni, comeun’artista. Noi vediamo noi stessi come ‘registi’ dello spazio aperto,che in funzione del fatto che la storia sia raccontata, allo stessomodo dei protagonisti, amano riprendere la storia.A.F.: La scorsa primavera sei stata per la prima volta a Napoli,in occasione di un seminario di architettura. Con unosguardo allenato a cogliere qualità materiche e relazionalidegli spazi urbani, quali sono le tue prime impressioni esensazioni sulla città?G.G.K.: Le mie impressioni sulla città di Napoli: una città conregolarità ed irregolarità; immobilità e cambiamento, un perpetuoscontrarsi tra oggetti e situazioni; uno spazio in pietra per densefolle, traffici e movimenti – più rumore che tranquillità.Ogni città viene permeata dai suoi abitanti. I Napoletani: la loro aper-tura, la loro cordialità, la loro arte per la cucina (!), la loro vitalità.Una città che vive! Meraviglioso, semplicemente meraviglioso.

To establish a kind of corporate identity, even though a prob-able stylistic heterogeny exists, lends a spiritual unityto the whole.With the shrinking population of the industrialized coun-tries, and in the creation of urban spaces, architecture willplay a diminished role in the future, while the role of land-scape architecture will become more important.A.F.: Your professional study avails itself of severalmaster contributions. You are actually working withMartha Schwartz on planning the square of the cen-tral station in Berlin (Zentralbahnhof) on the Spree.Explain us in brief about this remarkable experienceproduced by the cooperation with the known Ameri-can landscapist artist, whose cultural and artistic back-ground seems to be quite different from your own.G.G.K.: This is a question that I’m often asked. It goes inthis direction: how, in the context of their work, two so fun-damentally different women could work together at all. Whatis more exciting than the obvious differences, are thecommonalities: mutual respect, the love for visual art andarchitecture, similar value systems. We both think in termsof multi-materiality; we both search for interesting and ef-fectual locations, and are close in terms of our conceptualthinking. The question of longevity or the temporal is wherewe each may have a different orientation, as well as ourpersonal professional understanding.Martha Schwartz perceives of herself, and functions, asan artist. We see ourselves as ‘directors’ of open space,who for the benefit of the story being told, as well as theprotagonists, like to take the story back.A.F.: On the last spring for the first time you’ve beenin Naples, on the occasion of an architecture seminar.Endowed with a glance used to catch substantial andrelational features of the urban spaces, what are yourprimary impressions and feelings about the city?G.G.K.: My impression of Napoli: a city with regularitiesand irregularities;stillness and change, a perpetual bumping together ofthings and situations; a stoney space for dense crowds,traffic, movement – more loud than quiet.Every city becomes permeated from its’ inhabitants. TheNeopolitans: their openness, their friendliness, their art ofcooking (!), their liveliness.A city that lives! Wonderful, simply wonderful.

Giardini residenziali nel quartiere A Zehlendolf, Berlino - 1998

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nuovi paesaggi, tra contaminazionee sconfinamenti nell’opera di FuksasAntonello Marotta

Da quando l’uomo ha iniziato a costruire lo spaziocome luogo della esistenza, ha sentito la necessi-tà di unirsi in un confronto con la dimensione in-definita della Natura.Il tema del luogo, del rapporto dell’architettura conil paesaggio, è stato affrontato, nel tempo comeelemento inscindibile, perchè l’architettura si legafisicamente e antropicamente al luogo. Massimilia-no Fuksas, in questa intervista, propone una let-tura complessa nel pensare al rapporto architettu-ra – paesaggio, per la natura metamorfica e poli-semica del luogo, in continua evoluzione.Affrontiamo il tema del luogo nel progetto dellaPalestra di Paliano, una delle opere del periodoitaliano del 1979-85, che raccontata dall’autorediventa uno straordinario viaggio, vivo e inten-so, in cui il luogo viene ri-significato, e in quellodell’ingresso alla grotta di Niaux del 1988-93,opera difficile che solo un artista poteva realiz-zare: una scultura d’acciaio, corrosa dalla rug-gine, dalla forma zoomorfa, simbolo apotropaicodella cultura rupestre, misteriosa come il luogoche l’accoglie. Nel 1979, con la Palestra di Pa-liano, Fuksas abbandona la Facoltà di Architet-tura di Roma, convinto che l’Accademia si fos-se chiusa in una autoreferenzialità, lontana dalpoter esprimere i cambiamenti in atto. Sostieneche l’architettura sia una dimensione estesa,simbolica, portatrice di comunicazioni e di infor-mazioni, “per uscire dalla specificità della discipli-na e conquistare altri universi”. Le sue argomen-tazioni leggere e veloci, complesse e materiche,colpiscono immediatamente: è un uomo in conti-

nua evoluzione, come le sue architetture, che pro-pongono azzeramenti stilistici e continui supera-menti delle posizioni raggiunte, perchè la storia simuove su percorsi sempre nuovi.Compito dell’architetto è comprendere la società eprodurre progetti che siano riconosciuti e vissutiperchè costantemente contemporanei. Lontanodallo stereotipo dell’architetto distaccato, Fuksas èun vulcano di idee, aperto, con uno sguardo sem-pre presente; chi ha conosciuto Picasso è rimastocolpito dal suo sguardo fermo, senza esitazioni.Fuksas emoziona quando parla di architettura, conuna grande capacità comunicativa e la voglia di rac-contare il suo universo semplice e complesso allostesso tempo.Alla fine della conversazione, tutto mi sembra piùchiaro. Le contraddizioni della contemporaneitàsono i nuovi territori che l’architetto deve indagare.Fuksas, congedandomi mi svela, come se fosse unsegreto, che “l’esercizio di progettare il futuro è moltopiù difficile dell’esercizio di guardare al passato,perchè è una realtà che non conosci: ciò che miaffascina è il mondo della mente e del mistero”.A.Marotta – Vorrei sapere quanto l’arte ha con-dizionato il suo fare architettura, data la suaesperienza giovanile nell’atelier di De Chirico.M.Fuksas – Ma io non mi sono mai consideratoun architetto, ecco perché molti architetti non mi con-siderano tale. Devo dire che onestamente hannopienamente ragione. Io mi considero molto vicino almondo dell’arte, però è un termine quasi improprio,non si sa bene che cosa vuol dire. Credo che l’archi-tettura è parte sicuramente del mondo dell’arte.

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La mia battaglia è stata per anni ed anni rivendica-re questa appartenenza, e l’ha talmente rivendica-ta che l’architettura degli ultimi anni è senza dub-bio molto più avanti dell’arte, per la prima volta nellastoria. E questo succede per un motivo: credo chenegli ultimi dieci o venti anni gli architetti abbiamo,almeno alcuni della mia generazione, credo an-ch’io, spero, incominciato a investigare i mondiesterni all’architettura; dall’applicazione del princi-pio che era quello degli anni ’70, che l’architetturafa parte di tutto il resto, a questa traversata in tuttigli universi differenti, che ha portato al fatto che cene siamo talmente appropriati che oggi ridiamoquello che abbiamo preso. Abbiamo fatto una gran-de rapina; la prima è avvenuta nei riguardi del ci-nema; credo che abbiamo capito dal cinema le pri-me cose: si passa dalle prime visioni abbastanzametodologiche e didattiche di alcuni che prende-vano un fotogramma e poi elaboravano dal fotogram-ma una serie di linee di tensione, forze discomposizioni, fino a quelli che invece prendevano,e la cosa che interessa di più è questa, dal cinema ilsistema di rappresentazione dell’architettura.Il fatto che una parte della mia generazione, haincominciato ad investigare e cercare di capiremondi che erano differenti, penso al cinema, almondo della pubblicità, importantissimo, al mondodei media e dei giornali, a quello dell’immagine edella politica, ha incominciato a capire il mondodell’arte, le installazioni, e quindi a superare asso-lutamente la pittura classica e passare al mondodel concettuale, del minimalismo. Un itinerario im-

portante è stata la scenografia, il teatro, quello diPeter Brook, la letteratura sul cinema come l’inter-vista di Hitchcock di Truffaut, e incominciare a ca-pire, a integrare elementi che l’architettura avevaperso. L’architettura dalla grande voglia delcambiamento, della rivoluzione, era diventata conl’International Style elemento formalista e comple-tamente riproducibile e quasi senza carattere; poiha avuto una voglia di rivalsa proprio dal passato,e alla fine era morta proprio nella sua autore-ferenzialità. Invece quest’architettura, quella chefaccio io, non è una architettura dell’immagine, que-sto è erroneo: produciamo immagini però voglia-mo dare informazioni. Allora l’architettura dalle in-formazioni ha acquisito una quantità di elementi chenon aveva più. E perciò è diventata interessante;oggi tutti parlano di architettura.A.M. – Sto pensando a quella sua opera straor-dinaria, la Palestra di Paliano, dove inclina lafacciata. Ci sono molte intuizioni, che lette adistanza, rivelano l’apertura di nuove ipotesi lin-guistiche.M.F. – Si l’ho progettata nel ’76. Sono stato il primodecostruttivista, ma non fo fatto nessuna fatica.A.M. – Alcuni critici parlano del valoremnemonico di questa facciata.M.F. – Ho fato quel progetto per due motivi chenon c’entrano niente ne col decostruttivismo, cheallora era di la a venire, ne tanto meno con la me-moria. Il mio problema era molto semplice: era il1976 ed era un momento politicamente difficilissi-mo. Gli anni ’70, tutti dicono sono stati un dramma,

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Palestra di Paliano

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è vero, però sono stati anni pieni di energia, perchi la sapeva cogliere. Da una parte c’era lo spiritomortuario, alimentato poi dall’accademia, da quelliche credevano ancora nell’astrazione del progettoe dall’altra parte c’era una grande vivacità ed unagrande forza. Io ritengo gli anni ’70 molto più inte-ressanti degli anni ’60. E’ una cosa che nessunodice oggi, perché tutti ritengono che gli anni ’70sono gli anni del terrorismo, gli anni del dramma,gli anni della crisi, dell’inflazione. Allora questo mioprogetto nasceva da un fatto preciso: era la vigiliadi Natale e il comune aveva dei soldi che gli eranorimasti nella cassa, e inoltre si poteva avere unmutuo e quindi avevano pensato un progetto daconsegnare in due giorni. La fortuna del progetto èstata l’accelerazione di tutto questo fenomeno chenon ha dato mai tempo a nessuno di capire, ne ame ne tanto meno agli altri, quello che stavamorealizzando. Infatti dopo due anni, quando la co-struzione era già iniziata, tutti si sono accorti diquello che stavamo facendo, ma comunque adopera realizzata. E questo perché è passato in con-siglio comunale dentro uno scatolone, è stata ap-provato, ed è finito così; poi eravamo tutti moltogiovani, dal sindaco a me, eravamo veramente unabanda di giovani.Questo è un fatto importante. Ma l’altra cosa im-portante è che io rappresentavo questa fine e que-sto mondo che stava scomparendo. Allo stessotempo vedevo un mondo nuovo che stava all’oriz-zonte, che era quello dietro, e provavo un grandedolore per una intera generazione che si sarebbepersa, era la generazione di quelli più giovani, chepoi sono stati quelli del ’77. Questo progetto è natonel 1976 praticamente la notte di Natale; è statofinito molti anni dopo, ma la struttura è stata com-pletata nel 1977. La cosa interessante è che la strut-tura poteva rimanere indipendentemente da tutto,era già forte, era quasi una dedica a questa ge-nerazione che non era la mia.Questo progetto nasce in questo modo, perciò dimemoria non c’è niente, è proprio contemporaneo,è un “instant book”, era un’annotazione quotidianadi quello che vedevo.A.M. – Questo progetto ha un rapporto specia-le con il luogo, mi può parlare del rapporto del-l’edificio con il paesaggio?M.F. – Io non ho mai avuto grande difficoltà con illuogo, non solo lo capivo, ma questo luogo era au-tentico, anche se non lo avevo mai visto, non eromai andato sopra il terreno, ci sono andato dopoche ho realizzato il progetto. Però lo vedevo sem-pre da lontano e avevo delle piante, mi sono im-maginato quel luogo ed effettivamente l’ho com-preso, perché non avevo tempo per fare i rilievi,avevo solo una pianta catastale ingrandita, imma-gina che follia; in qualche misura quest’invenzionel’ho capita al volo, un’intuizione: l’idea era questa:sopra c’era un parco, molto legato alla città, dovemolti giovani ci vanno e ci andavano, e sotto ad

una quota molto bassa, una strada che scendeva,in discesa.La mia idea era quella di legare il piano di sottocon il piano di sopra, cioè fare una grande terrazzache fosse un belvedere, con una vista meraviglio-sa, una delle cose più belle che ho visto, e colle-garla visivamente a delle case abusive, che nono-stante molti volessero abbattere, io non ho mai vo-luto; assolutamente perché queste case dannol’idea della scala. Infatti la foto più bella, una fotodell’edificio che cade, con queste casupole sotto,fatte, strafatte, con rappezzi, mostra proprio il rap-porto con la scala ed il paesaggio. Quindi era ilcollegamento di questi due piani. Infatti l’inclinatadella rampa è esattamente l’inclinata dell’edificioin rapporto con la pendenza del terreno. Avevo intesta la bellezza di Spiderman, quest’uomo che ri-mane attaccato alle pareti, in quanto non c’è pia-no, e allora vedere le persone che sono posiziona-te a differenti quote di altezza, le vedi che cammi-nano sulla facciata, in quanto non vedi i gradini, ecome vedere le persone che si sovrappongono alpaesaggio, in fondo come layers, perché oggi sichiamano lucidi, a quel tempo io li chiamavo pianidifferenti. Questo slittamento degli elementi è sta-ta la prima invenzione. Inoltre l’edificio è inca-strato nella roccia: la parte più bella dell’edificioè proprio quella; io progetto gli edifici costruen-doli: vedevo la roccia e dico bellissima, faccia-mola vedere. E a quel tempo era possibile per-ché non c’era la legge Merloni. Allora l’edificio, nella facciata a ridosso della la roc-cia a un certo punto decido di non fare più un muro,lo elimino mantenendo la roccia e realizzando unavetrata, questa si vede dietro la roccia; se visiti que-sto luogo vedi il riflesso dell’edificio che cade e vediil riflesso del paesaggio dietro; perciò è tutto vir-tuale, da qualunque parte vai c’è sempre un’ illu-sione di quello che sta succedendo, ma è tutto illu-sorio, niente è reale, perché tutto è filtrato.A.M. – Mentre parlava, mi è apparsa alla mentel’immagine dell’opera di Velazquez “Lasmeninas”, dove il pittore crea un gioco dispecchi e di rimandi all’infinito. Questo edifi-cio, nel rapporto con il luogo, è leggibile comeun insieme di filtri?M.F. – Si è filtrato l’esterno ed è filtrato perfino l’in-terno e questa realtà nasce da una grande fortuna:che l’edificio non l’ho finito subito. L’aver tenuto lastruttura per molto tempo ferma mi ha permesso divederla, di comprenderla; poi Doriana, mia moglie,fece una foto dell’intervento, ed io da quella imma-gine ho capito che non si doveva fare più nulla,perché l’edificio si doveva svuotare; ho capito chela struttura bastava e avanzava, e ho eliminato com-pletamente il concetto della tamponatura. Perciòho eliminato i pieni che c’erano all’origine del pro-getto, così a un certo punto scompaiono completa-mente e rimane solo la struttura, che una volta fini-ta, è stata disarmata; la vedo e dico eccola qua,

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basta e avanza. E da li nasce quello che puoi chia-mare trasparenza. E’ il primo edificio che possiedesia questa volontà di destrutturare un elementocomplesso, che diventare un elemento leggero etrasparente. Perciò l’uso delle trasparenze nascedal fatto che colgo l’illusione. La facciata è deter-minata da una maglia ordinata, formata da pilastridritti, e da una ruotata con una struttura inclinata:quindi c’è una deformazione delle cose, e infinequando si va in fondo c’è l’edificio completamenteminimalista che è contro la roccia, c’è solo unavetrata. Sembra che in questo progetto c’è lasomma di tutto quello che ho fatto dopo, sia delpassato e di quello che avrei fatto nel futuro. Si,alcune cose capitano per caso.A.M. – Tra il 1988–1993 realizza l’ingresso allagrotta di Niaux. E’ un’opera che non ha con-fronti per la natura del luogo che l’accoglie eper la scelta coraggiosa di recuperare valorisimbolici. Vorrei che me ne parlasse.M.F. – E’ una delle cose più incredibili che mi sianocapitate. E’ un concorso che ho vinto, e sono riu-scito a convincere la Sovrintendenza francese aimonumenti. E’ stata una cosa unica, però la Sovrin-tendenza era d’accordo, stava con noi, e ha difesoil progetto. Ed è un’idea molto semplice; no, non èsemplice per niente, perché il posto è veramenteirraggiungibile, dentro ci sono pitture straordinarie.

Il Presidente del consiglio dell’Ariège, che era unuomo molto illuminato, voleva creare un luogo perl’attesa di un altro luogo. In queste grotte si entrain sette, otto per volta, di più le rovinerebbero, lepitture rupestri sono molto fragili, chiedeva che cifosse un luogo di attesa e di preparazione. E alloraho pensato che non deve essere solo un luogo diattesa, ma deve essere anche un luogo di compres-sione nel momento in cui tu esci dalla grotta. Lacosa particolare è che l’itinerario ha un doppio sen-so di lettura. Muoviamoci dal senso opposto, tu vienidal buio ed arrivi in un luogo che è ancora roccia,poi si modifica, e vedi questa struttura arrugginitanel Corten. Sono stato il primo a riutilizzare l’accia-io Corten dopo trent’anni.L’idea è che tu passi attraverso una faglia moltostretta; molti miei progetti hanno un momento digrande compressione, e poi lo spazio si apre,passi oltre, c’è una grande scala, hai sopra 136metri di altezza, poi lo spazio si restringe fino aun metro e settanta e c’è una grande terrazzache guarda la vallata, pericolosissima. Quindi cisono i due itinerari: c’è l’itinerario dalla luce al-l’ombra e dall’ombra alla luce; è un doppio si-stema. Tu mi vuoi chiedere da dove nascono leidee: non lo so. Penso sempre che le idee sianofinite e poi nel prossimo progetto ce ne sono dinuove; è sempre così. Speri sempre di averne.

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Struttura d’accesso alla GRotta di Niaux, Francia

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interventi moderni etutela paesaggisticaGiovanni Villani*

L’argomento è particolarmente stimolante soprat-tutto perché sarà su questo campo che si svilup-perà il nostro impegno di architetti nel prossimofuturo, considerato che una delle aspettative delnostro Paese è il conseguimento dello svilupposostenibile del territorio anche attraverso la riqualifi-cazione e il restauro del paesaggio. E ciò soprat-tutto in considerazione del fatto che il territorio delBel Paese, proprio per la valenza del suo paesag-gio culturale, ben si presta all’individuazione di tra-gitti di sviluppo sostenibile che passano proprioattraverso il godimento delle bellezze paesaggi-stiche. Ciò però sarà possibile solo se il nostro pae-saggio sarà individuato non solo come il luogo dellebellezze naturalistiche, ma soprattutto come illuogo del qualificato e sapiente intervento antro-pico che ha contribuito a far sì che esso dive-nisse un grande patrimonio della nostra cultu-ra, una “Summa” cioè, di tutto ciò che la nostraComunità ha saputo produrre in termini cultura-li in Millenni di storia.Il tema che qui si affronta mi interessa per diversimotivi. In primo luogo per la mia funzione di Archi-tetto Coordinatore dell’Ufficio Tutela Paesaggisticadella Soprintendenza per i Beni Architettonici e peril Paesaggio e per il Patrimonio Storico Artistico eDemoetnoantropologico per le Province di Salernoe Avellino. Altro elemento di interesse è sicura-mente collegato alla personale volontà di trovaresoluzioni all’annoso dilemma dell’accostamentodell’architettura moderna al costruito pre-industria-le, problema particolarmente difficile ma non deltutto irrisolvibile nei nostri centri storici. Muoven-domi in questo panorama e riflettendo su questetematiche ritengo di essere stato particolarmentetoccato dal Convegno “Soleri: Architettura comeecologia umana” svoltosi a Palazzo Serra di Cas-sano presso l’Istituto Italiano di Studi Filosofici loscorso 29 ottobre in occasione della presentazio-ne di uno studio sull’opera del grande maestro acura della prof.ssa Iolanda A. Lima e che presentasicure attinenze con il tema qui trattato.Al Convegno, organizzato fra l’altro con la collabo-razione della Facoltà di Architettura della Secon-da Università degli Studi di Napoli, hanno parteci-pato fra gli altri anche Alfonso Gambardella, AldoLoris Rossi e Pasquale Belfiore. Ed è proprio a-scoltando le loro relazioni che mi sono tornate allamente alcune questioni fondamentali che in qual-che modo influenzano l’esercizio della professio-ne di architetto nel nostro Paese.Come è noto una importante opera di Paolo Soleriè la fabbrica di ceramiche “Solimena” situata aVietri sul Mare realizzata negli anni ‘50. Poi, cometestimoniato da Aldo Loris Rossi nella sua relazio-ne nella quale ha trovato spazio anche per ricor-dare il suo passato con Soleri, il grande architettofu costretto a trasferirsi negli Stati Uniti dove hapotuto svolgere con grande lena il proprio lavoro edove ha potuto liberamente materializzare le sue

idee fondando quel grande laboratorio di architettu-ra ecologica che è l’Arcosanti. La testimonianza diAldo Rossi mi ha toccato soprattutto per aver ricor-dato come, già ai suoi tempi, nessuna Autorità aves-se patrocinato il tema dell’architettura moderna e leproblematiche connesse al suo inserimento nel pa-esaggio (e questo anche in campo accademico).Dalle parole di Rossi sembrava trasparire un con-trasto evidente, all’epoca dei fatti, fra il mondo ac-cademico e la pratica corrente dell’architettura.Più volte ho cercato di analizzare i motivi per i qualinel nostro Paese si ha da sempre un certo timorenei confronti dell’innovazione architettonica e del suoaccostamento con il paesaggio culturale. Credo chei motivi di ciò siano collegabili a molteplici fattori.Non c’è dubbio che il “protezionismo” del paesag-gio legato ad una consolidata visione in termini di“dogmatismo pittoresco”, tanto per citare le paroledei colleghi Frascino e Capone che a loro volta ri-prendono un’affermazione di Rosanna Vaccarino,è a mio parere uno dei fattori più importanti. Altrofattore può essere il timore nei confronti del-l’architettura moderna che deriva dalla mancanzadi conoscenza, come afferma Pasquale Belfiorenella sua relazione nel corso del Convegno sull’ope-ra di Soleri; ma io aggiungerei che forse in Italia, laforte presenza dell’architettura storica e le forti ten-sioni esercitate dal paesaggio storico hanno finito(perdonatemi il termine) per “tagliare le gambe” al-l’architettura moderna. In ogni momento nel nostroPaese gli interventi moderni devono misurarsi conil retaggio del passato. Se a ciò aggiungiamo lacarenza di promozione dell’architettura moderna(dico al di fuori delle riviste specializzate di archi-tettura), cosa che invece è stato fatto per le altreforme di espressione culturale (scultura, pittura, fo-tografia, letteratura, ecc.) e si pensi alla promozio-ne della collezione “Terrae Motus” di Gianni Ameliodivenuta elemento di ulteriore attrattiva nei percor-si espositivi della Reggia di Caserta, il quadro diemarginazione entro il quale si muove oggi l’archi-tettura rispetto alle altre espressioni culturali è piut-tosto evidente.Ebbene la carenza di approfondimento dell’argo-mento a mio parere influisce negativamente pro-prio nello sviluppo dell’architettura moderna nei varicontesti. Ciò è particolarmente vero ed è materiadel discorrere giornaliero nelle Soprintendenze chetroppo spesso devono pronunciarsi sulla compatibi-lità dei nuovi interventi nel contesto paesaggisticoesaminando progetti (per la verità non sempre re-datti da architetti) nei quali l’Architettura è purtrop-po la grande assente e nei quali non viene effettua-to alcuno studio sulla compatibilità dell’inserimentodel nuovo intervento nel suo contesto. Tutto ciòpotrebbe aprire un dibattito molto più ampio e chetrasversalmente investirebbe anche il modo con ilquale sono stati “trattati” negli ultimi decenni i nostricentri storici e il nostro paesaggio – anche quelloconsacrato dal “dogmatismo pittoresco” di cui parla

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la Vaccarino – e che oggi a distanza di 70 anni dalsaggio “Vecchie città ed edilizia nuova” di GustavoGiovannoni sottolineano ancora di più come il temanon sia stato ancora affrontato specificatamente.Aldo Loris Rossi si chiedeva perché l’opera di unarchitetto come Soleri non era stata tenuta in debi-to conto dai suoi contemporanei quando i temi cheegli affrontava sono oggi più attuali degli anni ’50nei quali Soleri ha iniziato la sua opera. Certo èche per quanto mi riguarda mi sento di attribuirecolpe ben ripartite fra tutti coloro che hanno respon-sabilità in questo campo; agli architetti, ma ancheal Ministero per i Beni Culturali di cui faccio parte.Si pensi che solo nel 1999, ben 60 anni dopo l’ema-nazione della Legge 1497 sulla protezione dellebellezze panoramiche, fu indetta la 1a ConferenzaNazionale sul Paesaggio quando ormai il nostropaesaggio (e specialmente quello campano, si pen-si al paesaggio dell’area Flegrea o a quello del co-siddetto “Miglio d’oro”) era già abbondantementecompromesso.Con quanto detto però non vorrei alimentare unfacile pessimismo. Certo la professione di archi-tetto diventa sempre più difficile, ma ciò che staavvenendo negli ultimi tempi lascia ben sperareper il futuro.Il ritrovato interesse per il paesaggio evidentementeè iniziato all’indomani della costituzione del nuovoMinistero per i Beni e le Attività Culturali (che sosti-tuì il Ministero per i Beni Culturali e Ambientali conDecreto Legislativo n. 368/98). L’operato del nuo-vo Ministero, di cui una delle prime “attività cultura-

li” fu proprio quella di indire la Prima ConferenzaNazionale sul Paesaggio, svoltasi a Roma nel mesedi ottobre del 1999 e dove per la prima volta, alme-no da quando sono dipendente del Ministero, siparlò della necessità di promuovere l’architetturamoderna come importante “attività culturale”. Lapromessa fu subito mantenuta visto che il regola-mento costitutivo del nuovo Ministero di fatto istitu-isce la nuova Direzione Generale per l’Architetturae l’Arte Moderna, alla cui guida è stato prepostol’architetto Pio Baldi che fino all’anno scorso avevadiretto l’Ufficio Centrale per i Beni Ambientali ePaesaggistici, forse a voler sottolineare l’importanzadel rapporto fra paesaggio e architettura moderna.Altro fatto importante è sicuramente l’interessemostrato in campo finanziario per la riqualificazionedel paesaggio anche se tale interesse si era con-cretizzato già da qualche anno quando per la pri-ma volta il C.I.P.E finanziò uno studio di fattibilitàteso alla riqualificazione del paesaggio; nellafattispecie quello della Costa d’Amalfi in conseguen-za dell’abbattimento dell’ex Hotel Fuenti proprio aVietri sul Mare.Le prospettive si aprono anche per gli architetti delleSoprintendenze che avessero intenzione di propor-re un collegamento fra l’architettura e l’arte moder-na, considerato che i loro uffici sono stati da sem-pre impegnati quasi esclusivamente nella conser-vazione dei Beni Culturali aventi un’età (come re-cita l’art. 5 del Decreto Legislativo n. 490 del29.10.1999) superiore ai 50 anni o che siano ope-ra di un artista non più vivente.

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Il ritrovato interesse per la tutela del paesaggio edell’architettura e l’arte moderna, ambiti culturali cheritengo trainanti per l’accrescimento culturale delPaese, ha fatto sì che si avviassero molti interventiproiettati verso questo obiettivo. Anche la Soprin-tendenza B.A.P.P.S.A.D. di Salerno e Avellino dicui faccio parte è molto sensibile a quest’argomentoe proprio per tale motivo, di concerto con la nuovaDirezione Generale per l’Architettura e l’Arte Mo-derna, sta procedendo all’individuazione di idoneestrategie per la tutela della fabbrica di Soleri a Vietri.Inoltre, al fine di migliorare la qualità dell’offertaturistico-culturale di uno dei cinque grandi attrattorituristico.culturali individuati dal Piano OperativoRegionale della Campania quale la Certosa di SanLorenzo a Padula si è avviata un’iniziativa di promo-zione dell’arte moderna affidata al prof. Achille Boni-to Oliva denominata “Le opere e i giorni” e che sisvolgerà nel suggestivo scenario delle celle deimonaci certosini.I propositi dell’Amministrazione dei Beni Culturaliin qualche modo risollevano anche la posizione del-l’architetto, ma non bisogna abbassare la guardia.Occorre rifondare la figura dell’architetto soprattut-to quale artefice della costituzione del paesaggioantropizzato. Certo un punto di partenza è sicura-mente il ricorso allo strumento della Gara per Idee,già utilizzata da anni in altri paesi e solo negli ultimitempi adottato in modo più frequente in Italia. Maper una idonea promozione dell’architettura moder-na e del suo inserimento nel contesto paesaggisticoè necessario far sì che nelle aree sottoposte a

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Bibliografia

- GUSTAVO GIOVANNONI, Vecchie città ed edilizia nuova, To-rino, 1931.

- AA.VV., Terrae Motus, Naples. Tremblements de terre, Na-poli, 1987.

- RUGGERO MARTINES – GIOVANNI VILLANI, Catalogo delletipologie di intervento architettonico nelle aree paesaggistichedel Cilento, Viterbo, 1998.

- IOLANDA A. LIMA, Soleri: Architettura come ecologia uma-na, Roma, 2001.

Arcosanti Arizona

tutela paesaggistica siano soprattutto gli architetti,con particolare riguardo a quelli specializzati in ar-chitettura del paesaggio, a promuovere nuovi in-terventi che, accompagnati da idonei strumenti pro-grammatori, potranno dare buoni risultati soprat-tutto nella direzione del miglioramento della quali-tà della vita che si consegue anche attraverso ilrecupero delle tradizioni culturali e attraverso la re-stituzione della dignità agli abitanti delle nostrecontrade.

* Architetto direttore coordinatore della Sovrintendenzaper i Beni Architettonici e per il Paesaggio e per

il Patrimonio Storico Artistico e Demoetnoantropologicoper le provincie di Salerno ed Avellino

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la legislazione paesaggistica in Italia:una norma apparenteRoberto Patscot*

L’urbanistica è la materia che si occupa dell’ utiliz-zazione del territorio ai fini della localizzazione degliinsediamenti (residenziali, produttivi, turistici ecc.)e delle infrastrutture necessarie.Tra i vari strumenti di pianificazione urbanistica esi-stenti nel nostro ordinamento ve ne sono alcuni chedisciplinano il “paesaggio”. Ma la definizione giuridicadi paesaggio è estremamente incerta e mutevole.Per la risalente legge 29.6.1939 n.1497 il paesag-gio si identifica con l’aspetto della “bellezza pa-noramica” di un dato territorio e può (ma non deve)essere tutelato, in quanto “Delle vaste località in-cluse nell’elenco di cui ai nn. 3 e 4 dell’ art.1 dellapresente legge, Il Ministro per l’educazione nazio-nale ha la facoltà di disporre un piano territorialepaesistico al fine di impedire che le aree di quellelocalità siano utilizzate in modo pregiudizievole allabellezza panoramica”(art.5).La Costituzione si limita ad affermare che la Re-pubblica “tutela il paesaggio” (art.9 Cost.) senzaneanche accennare ad una definizione dell’ og-getto della tutela.Per la c.d. legge Galasso (n.431/1985) il paesag-gio va considerato come oggetto della valoriz-zazione ambientale ed è considerato un bene datutelare connesso al territorio; infatti, all’ art.1 bisdetta legge statuisce che “…le regioni sottopon-gono a normativa d’uso e di valorizzazione am-bientale il relativo territorio mediante redazione dipiani paesistici o di piani urbanistico territoriali conspecifica considerazione dei valori paesistici edambientali…”.Secondo quest’ultima prospettiva il paesaggio è,quindi, un valore connesso al contesto territorialee va, perciò, salvaguardato nell’ ambito della com-plessiva utilizzazione del territorio. In buona so-stanza, la gestione del territorio e la valorizzazionedell’ambiente devono concretarsi anche salvaguar-dando il paesaggio; ma, addirittura, la salvaguar-dia del paesaggio può divenire l’esclusivo scopodella utilizzazione del territorio. Difatti, se è data

la possibilità di scegliere tra valorizzazione ambien-tale attraverso o piani paesistici o piani urbanisticoterritoriali con specifica considerazione dei valoripaesistici ed ambientali, allora la scelta è tra utiliz-zazione del territorio attraverso la sola valoriz-zazione del paesaggio e gestione del territorio con-siderando adeguatamente paesaggio e ambiente.Stabilita, così, quale sia l’opzione fornita dal Legi-slatore alle Regioni, rimane ancora, però, incerta lanozione normativa di paesaggio. Non è chiara,invero, quale sia l’intima essenza del paesaggio delquale, allo stato risultano normativamente forniti soloi seguenti dati:- è una qualità del territorio,- è un valore che va massimizzato (rectius: valorizzato),- è una valore tutelato dalla Costituzione,- la valorizzazione del paesaggio implica valoriz-zazione ambientale,- è un bene distinto dal bene ambiente.Tale incertezza è l’effetto di un duplice ordine di cau-se, in primo luogo storico-politiche, la legge Galassofu, infatti, promulgata frettolosamente per contro-bilanciare l’aspramente criticata legge 47/1985 sulcondono edilizio, approvata solo pochi mesi prima,e non si ebbe, perciò, il tempo per alcun dibattitopolitico-scientifico idoneo a puntualizzare la nozio-ne di paesaggio. Né, d’altra parte, tale dibattito erastato tenuto in seno all’assemblea costituente chenel dopoguerra, in un momento di grande difficoltàeconomico-sociale dovuta alle vicende belliche, ela-borò la Carta costituzionale e affermò il genericoprincipio della tutela del paesaggio, forse confidan-do sulla correttezza della nozione puramente este-tica fornita legge 29.6.1939 n.1497.Un secondo ordine di cause va, poi, ravvisato nel-l’incertezza scientifica del concetto di paesaggio chedomina il panorama culturale internazionale.Perciò, le Regioni, nell’adottare gli strumenti urba-nistici con finalità paesaggistiche, sono state legitti-mate a seguire le strade più diverse, spesso com-binando le soluzioni scientifiche con le esigenze del

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contingente dando vita ai risultati che sono sottogli occhi di tutti.Sicché, nel quadro normativo delineato, appare le-gittima ogni interpretazione del paesaggio conconseguente sostanziale vuotezza, o meglio “ap-parenza”, della norma paesaggistica. Si ravvisa, insenso tecnico-giuridico, una sorta di delega in bian-co al buon senso politico degli organi regionali.Così, appare giuridicamente ammessa qualsiasiforma di valorizzazione del paesaggio e finché l’op-zione è tra Mc Harg, Fabos, Jackson, Lewis, sia-mo solo di fronte ad una feconda scelta di meto-do, ma quando il paesaggio fuoriesce dall’alveodella scienza e viene individuato e gestito secon-do criteri empirici e fattuali, allora lo strumento ditutela paesaggistica fornito dal Legislatore può per-seguire gli scopi più fantasiosi.In queste scelte è,quindi, la chiave di lettura di unsistema destinato ad essere efficace, per comeconcepito, solo se gestito da illuminati redattori delcontenuto della delega in bianco firmata dalla leg-ge Galasso alle Regioni.E non a caso sulla necessità di pregnanti conte-nuti del Piano paesistico si pronuncia la giurispru-denza del Consiglio di Stato quando afferma “UnPiano che abbia contenuti meramente descrittivi,cioè ricognitivi dello stato di fatto e di diritto, madifetti di contenuti precettivi, viene meno alla suafunzione ed è quanto meno illegittimo per difformi-tà rispetto al modello legislativo, quando non ad-dirittura inesistente in quanto tale (cioè in quantoeffettivo, e non solo nominale Piano paesistico)per assenza di realizzazione della funzione pre-scritta assegnatagli dalla legge come necessaria”(Consiglio di Stato sez. II del 20.5.98 n. 549).A volte si ha, però, l’impressione che si stenti, insede di indirizzo politico-amministrativo, a fissarei punti fermi della tutela territoriale paesaggisticaper il timore dell’impatto economico che i vincoli,conseguenti alle norme, potrebbero avere sul con-testo sociale prescelto per la tutela.Ma alcune esperienze straniere insegnano chepossono essere gestite, progammaticamente, areecon valenza paesaggistica anche utilizzando lostrumento convenzionale dell’accordo con i priva-ti. Lo strumento privatistico di gestione del territo-rio (il contratto, la convenzione, la delega ad as-sociazioni) potrebbe, infatti, garantire, nell’ambitodi un’ampia politica di riassetto territoriale, quellenotevoli risorse economiche che spesso difettanoper la realizzazione della completa tutela dei beniconnessi al paesaggio, con un ritorno anche in ter-mini di profitto-sociale.La gestione, attraverso compiute scelte giuridiche, delterritorio, di cui il paesaggio è senz’altro aspetto signifi-cativo, garantisce una corretta allocazione delle risor-se anche in termini patrimoniali, come insegna la dottri-na che analizza gli aspetti economici del diritto.Certo, allo strumento privatistico (associazioni,società, enti) non può essere demandata né la

suprema funzione statale di coordinamento dellerisorse, né l’attività decisoria di livello locale, maben può essere delegata la funzione di esecuzio-ne delle scelte degli organi politico-amministrativi.Non si prospetta certo la costituzione di una novel-la “Società per la conservazione delle antichità dellaNuova Inghilterra”; anzi, quest’ultimo monolitico or-ganismo, riconosciuto nel 1910 da una legge delMassachussett e proprietario negli Stati Uniti di im-mense località storiche, rappresenta un monito pro-prio a chi intendesse devolvere ogni funzione aiprivati. Ma ben altra è l’ attività di complemento dellagestione pubblica che può essere, di certo, deman-data, nell’ambito di costanti controlli, all’ente privato.I valori preesistono al diritto che li tutela solo allorchéla coscienza sociale li ritiene meritevoli di tutela.Così, indubbiamente, la nostra Costituzione “tute-la il paesaggio” (art. 9 Cost.) perché ne riconoscel’intima essenza di valore essenziale della colletti-vità. Tuttavia, il riconoscimento del rango costitu-zionale del “bene paesaggio” non implica neces-sariamente la compiuta consapevolezza dei confi-ni del bene tutelato.E’, d’altra parte, relativamente semplice per il legi-slatore regolamentare fattispecie consolidate datempo quali il contratto di compravendita, la licen-za edilizia e così via; altro è, invece, creare regoleda attagliare a vicende inedite ed alla repentinaevoluzione del dibattito scientifico.La norma che risolve il conflitto e orienta il benes-sere sociale deve essere guidata da un sostratoculturale definito e pregnante. La norma è, in real-tà, solo il veicolo della cultura di un popolo che de-cide di risolvere la contrapposizione di diversi inte-ressi della società operando delle scelte. La rego-la, consacrata in una precisa formula, presupponeed implica, perciò, il sacrificio, o quanto meno ilbilanciamento, di alcuni interessi in gioco. Non ba-sta enunciare un principio come “tutela del pae-saggio”, la regola va ulteriormente definita, altrimen-ti si traduce nella mera intuizione, con valenzademagogica, di un bisogno sociale del quale nonsi è in grado di definire i confini ed in relazione alquale non si vogliono operare delle scelte.Il Legislatore, in un ordinamento democratico, in-segue costantemente la coscienza sociale dallaquale cerca il consenso, cosicché in una societànella quale prevalgono istanze legate ad un econo-mia industriale prevalgono, fatalmente, orientamentilegislativi tesi alla tutela della produzione con sa-crificio degli interessi apparentemente contrappo-sti (ambiente, turismo,ecc.). Tuttavia, può giunger-si a bilanciare e contemperare i vari interessi garan-tendone la ragionevole ed equilibrata compresenza.Ciò avviene solo quando la società rivolge al legi-slatore nuove istanze e muta il quadro delle priori-tà della collettività. Ma, comunque, di tale ultimofenomeno la legge è sempre effetto, mai causa.

* Giudice civile e penale del tribunale di Enna

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Per una definizione europea di paesaggio.La definizione di paesaggio è stata elaborata e ri-conosciuta in ambito internazionale ormai da lun-go tempo, tuttavia, esistono, in Italia, ancora moltaconfusione e scarsa conoscenza su che cosa sia ilpaesaggio, sui metodi di analisi paesistica, sullemodalitá operative di indirizzo e di controllo dellesue trasformazioni.Gli spazi non costruiti, sia nei contesti urbani chein quelli extra-urbani, sono raramente oggetto diun’analisi e di una progettazione peculiare, gli edi-fici e le infrastrutture, d’altra parte, molto spessosono progettati senza alcuna relazione con il con-testo e senza considerare la forma del suolo, lecaratteristiche climatiche, vegetazionali, idrologichee tutti gli altri fattori biotici e abiotici.Nella Convenzione europea del Paesaggio recen-temente adottata dal Congresso delle Autoritá localie regionali d’Europa, (ottobre 2000) il paesaggio èstato definito come “una determinata parte del ter-ritorio, così come viene percepita dalle popolazio-ni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori natu-ralie/o umani e dalle loro interrelazioni”.Origini ed evoluzione della formazione educa-tiva dell’architettura del paesaggio.I fondamenti per la definizione di paesaggio trova-no la loro origine negli Stati Uniti: Frederick LawOlmsted, giá nel secolo scorso diede una definizio-ne moderna di paesaggio, inteso come patrimonioculturale ed elemento di identitá nazionale costitu-ito dalle risorse naturali considerate come beni

obiettivi della formazione esettori operativi della professioneFrancesca Mazzino*

esauribili e quindi da utilizzare con attenzione perpoterle trasmettere alle generazioni future.In questa concezione si prefigurava con straordi-nario anticipo il concetto di sviluppo sostenibile, cosìcome è stato definito dalla commissione Brund-tland, e cioé quello sviluppo che soddisfa i bisogniattuali senza compromettere la capacitá di soddi-sfare quelli delle future generazioni.A Olmsted si deve il termine landscape architect,adottato per indicare una professionalitá in gradodi analizzare il territorio nelle sue componenti fisi-che e biologiche, di elaborare progetti di parchi,giardini, spazi verdi attrezzati, piani paesistici e pianidi parchi naturali, consapevole della necessitá diintegrare le scienze naturali nel processo di pianifi-cazione e di progettazione e di migliore le qualitáestetiche del paesaggio.In Inghilterra tra la fine dell’Ottocento e i primi de-cenni del Novecento si sviluppó un acceso dibatti-to tra landscape gardeners, il cui piú significativoesponente era William Robinson, sostenitore delleconoscenze botaniche e agronomiche come basefondante per la progettazione dei parchi e giardini,e architetti come Inigo Triggs e Reginal Blomfieldche ritenevano, invece, che la progettazione doves-se derivare da sperimentate capacità compositivesimili a quelle dell’architetto.Gertrude Jekill, esperta botanica e giardiniera,e l’architetto Edwin Lutyens, attraverso una riu-scita collaborazione cercarono di conciliare ledue tendenze.

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La loro esperienza progettuale fu determinante nelformare un consistente gruppo di architetti, tra i qualiThomas Mawson, che fu il primo ad usare in In-ghilterra il termine landscape architect. Come pre-sidente dell’Institute of Landscape Architects e do-cente universitario affermò nei primi anni del nove-cento la necessitá di una figura professionale ingrado di operare una sintesi tra architettura, arte,scultura, forestazione, orticoltura, ingegneria. Gliarchitetti come Mawson, all’interno del movimentoArts and Crafts, maturarono la convinzione che ilprogetto degli spazi verdi ha una sua propria pe-culiaritá e che va considerato come un approccioglobale alla trasformazione dello spazio fisico esten-dendo il campo della progettazione dei giardini edei parchi al paesaggio.Negli anni Trenta nei paesi scandinavi l’afferma-zione del funzionalismo razionalista stimolò losviluppo della progettazione e della pianificazio-ne paesistica con la sperimentazione di svariatetipologie di spazi verdi, di vicinato, di quartiere,per le attivitá sportive, orti urbani, aree sportiveattrezzate, cimiteri ed estese l’attivitá progettualedai parchi e giardini ai piani territoriali, di difesadelle aree naturali; progettare gli spazi aperti si-gnifica riconoscere che tutti i cittadini hanno di-ritto al contatto con la natura, di vivere in cittá amisura d’uomo, di poter godere dei caratteri delpaesaggio agrario storico considerato elementodi forte identitá nazionale, anche se l’attuazionedi questi obiettivi comporta una limitazione degliinvestimenti edilizi privati.In Germania l’esigenza di studi specifici nel setto-re del paesaggio venne colmata con l’istituzioneall’inizio degli anni Trenta dell’insegnamento diarchitettura del paesaggio all’Universitá a Berlinoin cui l’approccio scientifico era affiancato da unaformazione tecnico-progettuale. L’impostazione

metodologica del geografo von Humboldt fu de-terminante nell’orientare gli studi sul paesaggioverso un’impostazione scientifica consapevoledella complessitá di relazioni tra comunitá biolo-giche e contesto fisico; architetti come Beherens,Wagner, Taut e Loos aderirono ai programmidella cittá-giardino e fondarono la pianificazioneurbanistica sullo sviluppo degli spazi aperti an-ziché su quelli costruiti.Il concetto di paesaggio in Italia è derivato da un’im-postazione estetica che ha condizionato gli stru-menti giuridico-amministrativi (leggi n.1497, n.1089del 1939) e che ha impedito l’affermazione di con-tenuti tecnico-scientifici adeguati per affrontare itemi del paesaggio (l’applicazione della legge 431del 1985 non ha sortito gli esiti sperati per i pianipaesistici). Il risultato è che la formazione universi-taria e superiore sino ad oggi non prevedeva figu-re professionali con competenze specifiche sul pae-saggio, in quanto agronomi e architetti non hannouna preparazione mirata e soltanto dopo la laureapossono conseguire un diploma di specializza-zione. Se gli architetti sono in generale poco con-sapevole che il loro operato interviene sui cicli bio-logici e che l’utilizzo di materiali vegetali richiedeconoscenze specifiche per la piantagione e la ma-nutenzione, d’altra parte i laureati in agraria e scien-ze forestali non possiedono adeguate capacitácompositive ed espressività creative in grado di pre-figurare l’opera da realizzare attraverso opportunemetodologie progettuali.La Riforma universitaria prevede l’istituzione diun corso di laurea in Architettura del paesaggio,articolato in tre anni per il conseguimento dellalaurea, più altri due anni per il raggiungimentodella laurea specialistica, che iniziano nell’annoaccademico in corso presso le Facoltà di Archi-tettura di Genova e di Roma.

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La formazione dell’architetto del paesaggioLe conoscenze indispensabili alla formazioneprofessionale, completa, dell’architetto del paesag-gio sono state definite dall’EFLA a Bruxelles nel-l’ottobre 1989 e sono contenute in 12 punti:

1. la storia e teorie del paesaggio, delle arti, del-le tecnologie, delle scienze umane e naturali,con le loro interrelazioni;

2. le teorie estetiche che influenzano il progettodel paesaggio;

3. l’ecologia e l’uso degli elementi naturali comebase per la conservazione, la pianificazione,la progettazione e la gestione del paesaggio;

4. i requisiti delle opere di architettura e di inge-gneria in rapporto ai caratteri del paesaggio;

5. le problematiche fisiche e tecnologiche che in-terferiscono con l’ambiente;

6. le relazioni tra uomo e ambiente;7. la tutela, la conservazione e il restauro dei pa-

esaggi storici;8. la rilevanza dell’architettura del paesaggio

nei processi di progettazione e di pianifica-zione a livello regionale, nazionale e inter-nazionale; nel 1998

9. i metodi di analisi preparatori alla progettazio-ne del paesaggio e delle relazioni ambientali;

10. i metodi e le tecniche di rappresentazione ecomunicazione;

11. i processi produttivi, normativi e gestionali fun-zionali all’attuazione dei piani e alla realizza-zione dei progetti;

12. la legislazione attinente all’esercizio della pro-fessione del progettista del paesaggio.

Nel 1992 il Comitato Formazione aveva pubblicatoun documento sulle politiche formative (EducationPolicy Document), - nel quale venivano presi i con-siderazione i settori di conoscenza dell’architettu-ra del paesaggio, e in cui venivano ancora più pre-cisamente definiti i 12 punti relativi alle conoscen-ze necessarie per la professione formulati nel 1989-, che venne ampliato e rivisto nel 1998 con l’ela-borazione di un altro documento (Policy Document).L’EFLA, pur ammettendo che è impossibile raggiun-gere l’uniformità nei programmi di studio nei varipaesi europei, e, pur rispettando i differenti percor-si formativi determinati dalla diversità dei conte-sti geografici, culturali e politici, ritiene che nelcurriculum degli studi debba esistere una basecomune, articolata intorno a un gruppo di areedisciplinari in grado di garantire le conoscenzefondamentali indispensabili all’architetto del pa-esaggio, di cui definisce il campo operativo cheriguarda “la pianificazione e la progettazione de-gli spazi aperti ai tutti livelli di scala, dal cortile alpaesaggio” e il cui principale obiettivo è la “cre-azione di ambienti adeguati sotto il profilo fun-zionale, visivamente piacevoli e ecologicamentesani”, senza trascurare la gestione del paesaggio,dei sistemi di parchi e dei singoli siti.

Gli studenti devono acquisire capacità progettuali“basate sulle capacità creative” e competenze fon-date su un ampio campo di conoscenze compren-dente l’arte, l’architettura, l’ingegneria la sociologia,e riguardanti la comprensione dei processi naturalie dei valori culturali che caratterizzano i vari paesag-gi e delle relazioni che li connotano, delle caratteri-stiche funzionali ed estetiche dei materiali utilizzatidall’architettura del paesaggio, dell’organizzazio-ne degli elementi del paesaggio e delle attività chevengono svolte negli spazi aperti.Nel documento si afferma che le scuole e facoltàdi architettura del paesaggio sono vivamente invi-tate ad organizzare il programma degli studi in baseagli indirizzi indicati dall’EFLA, che ha, inoltre, defi-nito i contenuti di una “struttura comune di corsoper le scuole europee” centrati su quattro obiettivi:- capacità di progettare e di pianificare- impostazione culturale basata su un vasto cam-

po di conoscenze relative ai rapporti tra attivitàumane e processi naturali

- conoscenze tecniche per comprendere le impli-cazioni e le conseguenze delle decisioni proget-tuali e degli indirizzi di pianificazione

- comprensione dei differenti ruoli dell’architetto delpaesaggio all’interno di gruppi interdisciplinari ecapacità di gestire i processi di pianificazione.

I campi operativi dell’architettura del paesaggioIl documento (Education Policy Document) elabora-to nel 1998 dalla Fondazione Europea per l’Architet-tura del paesaggio (European Foundation for Land-scape Architecture-EFLA) contiene l’elenco di 42tipi di elaborazioni progettuali - delle quali l’archi-tetto del paesaggio può essere incaricato comeresponsabile dell’intero processo progettuale e del-la realizzazione, della progettazione dell’impiantovegetale, come componente di un gruppo interdi-sciplinare operante nel settore della progettazio-ne/pianificazione o come consulente per qualcheparticolare aspetto della progettazione o della pia-nificazione (ad es. V.I.A.) - che si possono sintetiz-zare nel modo seguente:- progettazione di parchi e giardini pubblici e pri-

vati, giardini pensili, orti botanici, cimiteri, cam-pi da golf

- riqualificazione di parchi, giardini e paesaggistorici

- analisi, valutazione e pianificazione paesistica- studi di impatto ambientale- recupero, riqualificazione di cave e miniere- recupero, riqualificazione di aree dismesse- riqualificazione di corsi d’acqua.- inserimento paesistico di reti infrastrutturali ferro-

viarie, autostradali, di servizio

* Prof. Associato di Architettura del Paesaggiopresso la Facoltà di GenovaVicepresidente dell’A.I.A.P.P.

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scuole e corsi di specializzazioneSilvia Barbone*

Facoltà di Agraria, Università di Torino, Corsodi laurea di primo livello in “Florovivaismo, realiz-zazione e gestione delle aree verdi”.INDIRIZZO: Grugliasco (TO) - 10095, Via Leonar-do da Vinci, 44.Per informazioni: Segreteria studenti 011/6708671-72; Presidenza 011/6708500-02-03 -fax 011/6708506. Referenti: Prof. Pietro Pic-carolo D.E.I.A.F.A. – Meccanica Tel. 011/670-8593 – Fax 011/6708591, E-mail: [email protected]; Prof.ssa Elena Accati Dipar-timento di Agronomia, Selvicoltura e Gestione del

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Giardino all’interno del Centro per le Scienze e Tecnologie avanzate Harima, Giap-pone 1991-1993 di Peter Walker.

Il paesaggio è una delle ricchezze italiane più importanti in quanto contiene valori storici, culturali, natu-rali, sociali. È qualcosa di unico nel tempo e nello spazio che non si può “trasportare” perché perderebbela sua identità e, quindi, si svuoterebbe di ogni senso.Di qui la crescente attenzione verso la tutela e la valorizzazione del paesaggio da parte delle istituzioni,e la necessità di adeguare il mondo della formazione verso profili professionali che sappiano coniugareaspetti estetici e funzionali, competenze tecniche e gestionali.La formazione professionale nel settore dell’architettura del paesaggio è, in Italia, un campo giovane main espansione come emerge dallo sviluppo di corsi e attività. Le possibilità di accedere a questo tipo distudi sono di tre tipi: scuole private, diplomi universitari, scuole di specializzazione. Passiamo in rasse-gna alcuni dei percorsi formativi più significativi.

SCUOLE E CORSI DI SPECIALIZZAZIONE

Territorio Tel. 011/6708772 – Fax 011/6708798E-mail: [email protected] informazioni generali: www.agraria.unito.it.Facoltà di Agraria, Università di Torino, Corsodi perfezionamento in “Parchi, giardini e aree ver-di”, Dipartimento di Agronomia, Selvicoltura e Ge-stione del Territorio,INDIRIZZO: Grugliasco (To) -10095 Via Leonardoda Vinci, 44 tel. +39 011 670.87.72/68, fax +39 0116708798 E-mail [email protected] Benetton Studi Ricerche, organiz-za corsi sul “governo del paesaggio”. L’indirizzo

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scientifico, formativo e sperimentale al quale èorientato il lavoro nel campo del paesaggio e delgiardino è riassunto nella parola chiave “governo”.Non si tratta di occupare spazi professionali o sta-tuti universitari largamente praticati, ma di ripen-sare all’idea stessa di paesaggio e di giardino. Ilpensiero, che anima le attività svolte dalla Fonda-zione in tema di paesaggio, parte dalla convinzio-ne che bisogna imparare a “governare” le modifi-cazioni permanenti e inarrestabili dei luoghi, e ac-cettare il compito di indirizzarle verso nuove for-me, così da conservarne i caratteri fondativi. I cor-si, i seminari, le conferenze pubbliche, i laboratori,le pubblicazioni, il Premio Internazionale CarloScarpa per il Giardino, intendono contribuire a ele-vare e diffondere la cultura di “governo del pae-saggio”. “Nei luoghi della “città diffusa veneta”. Chefare?” è stato il titolo dell’ultima edizione del corsosul governo del paesaggio svoltosi presso la Fon-dazione. Il corso ha inteso affrontare interrogativiteorici e pratici cruciali, ragionando sui modi con iquali, di volta in volta, possa essere immaginatoun governo, in equilibrio tra conservazione e inno-vazione, capace di salvaguardare e di valorizzarenel tempo l’identità dei luoghi.INDIRIZZO: Treviso - I-31100, Piazza Crispi 8, tel.0422.579450 e 0422.579719, fax +39.0422.579483www.fbsr.it - [email protected] Prometeo-I.S.F.A.P. (istituto superioreformazione e aggiornamento professionale) rico-nosciuto a livello regionale Decr. Dir. Pres. G.R.Campania n° 225 del 18.05.2001 iscritto comeprovider di E.C.M. presso il Ministero della Saluten° 593/2001.INDIRIZZO: Napoli - 80128, via Orsi n° 4/b tel081-3721200 Fax 081-2207966 www.fonda-zioneprometeo.itL’Istituto per l’Arte e il Restauro “Palazzo Spi-nelli”, opera dal 1977 come centro per la forma-zione, la specializzazione e l’aggiornamento di fi-gure professionali attive sia nel campo del restau-ro dei beni artistici e storici sia nel settore della pro-duzione artistica e creativa, propone un Master inArchitettura del Paesaggio. Ogni edizione dura 30settimane - da febbraio a dicembre - per un totaledi 600 ore di attività dedicate a lezioni teoriche, le-zioni pratiche in laboratorio, visite a mostre e im-prese del settore, conferenze e interventi di esper-ti, seminari di studio, ricerca e documentazione,esercitazioni ed esperienze esterne, stage e tiro-cini in Italia o all’estero, verifiche ed esami, diffu-sione dei risultati.INDIRIZZO: Firenze - 50122, Borgo Santa Croce10, Tel. +39 055 246001 Fax +39 055 2460094 -240709, www.spinelli.it, [email protected]à di Architettura Università degli Studi Ge-nova, la prima in Italia a fondare un corso di studiuniversitari nel settore del paesaggio. Dal 1989 haistituito la Scuola di Specializzazione in Architettu-ra dei giardini, Progettazione del paesaggio con la

quale si è posta l’obiettivo di condurre ad una spe-cifica formazione professionale nell’architettura delpaesaggio, ampliando ed integrando le cono-scenze acquisite nei precedenti corsi universi-tari attraverso un approccio transdisciplinare. LaScuola si è costantemente prefissa il migliora-mento della sua struttura didattica e scientificae l’aggiornamento degli indirizzi di ricerca nel-l’ottica dei criteri formativi formulati dall’EFLA(European Foundation for Landscape Architec-ture) entrando così a far parte del gruppo dellescuole europee da essa riconosciute. Le finalitàdidattiche specifiche della Scuola di Specia-lizzazione sono mirate, secondo quanto enun-ciato nello Statuto, a “formare specialisti capacidi controllare metodi e tecniche operative per laprogettazione dei parchi e dei giardini, condurrea una specifica formazione critica professionaleintegrativa di quella fornita dai corsi di laurea esi-stenti e far conseguire una più vasta e diffusaconoscenza dei metodi e delle tecniche operati-ve per le sistemazioni paesistiche e per la pro-gettazione dei parchi e dei giardini”.INDIRIZZO: Genova - 16123, Stradone S.Agostino37, segreteria: Francesca Colella, tel./fax 010 2095865, e-mail: [email protected], www.unige.itPrima Facoltà d Architettura, Università La Sa-pienza, Scuola di specializzazione in Architetturadei Giardini e Progettazione del PaesaggioINDIRIZZO: Roma, Presidenza Via A. Gramsci, 53tel. 06/4991-9139/40/41/42/43/44, fax 06/4991-9138, Segreterie Città Universitaria P.le Aldo Moro,5 tel. 06/49911, Segreteria Didattica Via A. Gramsci,53 tel. 06/4991-9158/9160 -ISAD srl - Istituto Superiore di Architettura e Design,fondato nel 1980 per iniziativa di un gruppo di pro-fessionisti, che vuole offrire un percorso di forma-zione alternativo e complementare al consueto iti-nerario delle facoltà di architettura. In particolare, ilcorso in Architettura dei giardini si articola in dueanni di studi ed esercitazioni durante i quali vengo-no preparati operatori tecnici in grado di progettaree organizzare gli interventi di sistemazione per areedestinate a parchi e giardini privati, verde pubbli-co, verde ad usi speciali come: parcheggi, campigioco, campi sportivi, golf, giardini pensili, verded’interni. La preparazione acquisita consente inol-tre di intervenire nelle fasi di gestione e manuten-zione e nel restauro conservativo di giardini d’epo-ca. Situazioni reali sono studiate direttamente sulcampo dagli allievi.INDIRIZZO: Milano - 20139, Via Orobia 26, tel. +39/02/55210700, fax +39/02/5694494, email [email protected]

* Progettista di corsi di alta formazione e di coordinamentodel Master in Direzione di Impresa.

Collaboratrice de Il Denaro e della Rivista del Turismo(Touring Club Italiano).

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