I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

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I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO Orsi G., Cuna L., De Astis G., de Vita S., Di Vito M.A., Isaia R., Nave R., Pappalardo L., Piochi M., Postiglione C., Sansivero F.

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I VULCANI NAPOLETANI:

PERICOLOSITÀ E RISCHIO

Orsi G., Cuna L., De Astis G., de Vita S., Di Vito M.A., Isaia R.,

Nave R., Pappalardo L., Piochi M., Postiglione C., Sansivero F.

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Realizzato con fondi assegnati a Giovanni Orsi dalla Protezione Civile e dal Gruppo

Nazionale per la Vulcanologia per attività di formazione e informazione nell’ambito di

un protocollo d’intesa fra Osservatorio Vesuviano, Provveditorato agli Studi e Prefettura

di Napoli.

Si ringraziano Massimo D’Antonio, Carla D’Onofrio e Arturo Martorelli per la lettura

critica di una prima versione del testo.

In copertina: affresco del vulcano Hassan Dag risalente a circa 8000 anni fa. Tempio di Çatal Hüyük, Turchia.

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SOMMARIO

NOTA INTRODUTTIVA.................................................................................................1

1 - È POSSIBILE PREVEDERE LE ERUZIONI VULCANICHE? ................................3 1.1 - LA PREVISIONE A LUNGO TERMINE TRA GEOLOGIA E STORIA .................................3 1.2 - LA PREVISIONE A BREVE TERMINE: L’ATTIVITÀ DI SORVEGLIANZA........................3

2 - PERICOLOSITÀ E RISCHIO VULCANICO.............................................................5

3 - LA PERICOLOSITÀ VULCANICA DELL’AREA PARTENOPEA.........................7 3.1 - STORIA, SORVEGLIANZA, PREVISIONI.....................................................................7 3.2 - IL SOMMA-VESUVIO ..............................................................................................7 3.3 - CAMPI FLEGREI....................................................................................................13 3.4 - ISCHIA..................................................................................................................20 3.5 - IL SISTEMA DI SORVEGLIANZA DELL’OSSERVATORIO VESUVIANO.......................24

4 - IL RISCHIO VULCANICO NELL’AREA PARTENOPEA ....................................27 4.1 - IL RISCHIO PUÒ ESSERE RIDOTTO..........................................................................27 4.2 - I PIANI DI EMERGENZA RELATIVI AL RISCHIO VULCANICO ...................................29 4.3 - PIANO DI EMERGENZA “VESUVIO”. ......................................................................30 4.4 - PIANO DI EMERGENZA “CAMPI FLEGREI”.............................................................35 4.5 - ISCHIA..................................................................................................................38

GLOSSARIO...................................................................................................................39

LETTURE CONSIGLIATE............................................................................................45

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NOTA INTRODUTTIVA

Questo testo si rivolge a un pubblico di lettori non specializzati, a cui intende offrire

un’informazione chiara e accurata (nei limiti di un’opera divulgativa) sulla storia, lo

stato attuale e le attività di sorveglianza dei vulcani dell’area partenopea. La struttura del

testo si articola intorno alla distinzione tra pericolosità e rischio vulcanico, che esprime

la chiave di fondo per interpretare in modo adeguato non solo le relazioni tra

vulcanologia e società, ma anche la particolare condizione di vivere… all’ombra di un

vulcano.

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1 - È POSSIBILE PREVEDERE LE ERUZIONI VULCANICHE?

La moderna ricerca vulcanologica ha fra i suoi obiettivi primari la previsione delle

eruzioni. Si distingue, a questo proposito, tra previsione a lungo e a breve termine: la

prima consiste nel definire le fenomenologie eruttive che si potranno verificare nel

futuro per un determinato vulcano e i loro potenziali effetti sul territorio, mentre la

seconda consiste nel prevedere il verificarsi di un’eruzione.

1.1 - La previsione a lungo termine tra geologia e storia

La previsione a lungo termine si basa sull’assunzione che le fenomenologie eruttive

già occorse in passato, si verificheranno in futuro con modalità simili interessando le

stesse aree (in assenza di eventi che abbiano modificato sostanzialmente la struttura e il

sistema di alimentazione del vulcano). Di conseguenza l’attendibilità delle previsioni a

lungo termine è strettamente proporzionale alla quantità e qualità dei dati disponibili sul

comportamento passato di un vulcano e al periodo della sua vita a cui si riferiscono. La

ricostruzione della storia di un vulcano e del suo sistema di alimentazione, svolta

attraverso ricerche geologiche e storico-documentarie, rappresenta quindi un elemento

indispensabile per effettuare una previsione a lungo termine. Se si è in grado di definire

la legge di comportamento che un vulcano ha seguito nel passato, allora si può formulare

un’ipotesi sul probabile comportamento futuro e sulle fenomenologie attese.

1.2 - La previsione a breve termine: l’attività di sorveglianza

L’evoluzione di un sistema vulcanico da uno stato di riposo fino al momento

dell’eruzione implica la risalita del magma da una certa profondità verso la superficie.

La risalita del magma causa la variazione di una serie di parametri fisico-chimici sia nel

magma che nelle rocce circostanti, i cui effetti possono essere registrati in superficie.

Queste variazioni costituiscono i fenomeni precursori di un’eruzione. La loro evoluzione

nel tempo, rilevata tramite i sistemi di sorveglianza, è alla base della previsione a breve

temine.

I fenomeni precursori più comunemente studiati sono:

• Sismicità vulcanica. Il movimento del magma o dei gas vulcanici all’interno della

crosta terrestre determina la progressiva deformazione delle rocce fino a produrne la

fatturazione con rilascio improvviso di energia che si trasmette attraverso la

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propagazione di onde sismiche. Prima delle eruzioni si osservano anche un tremore

quasi continuo, e oscillazioni a periodo più o meno costante (eventi a lungo periodo).

Questi fenomeni sono dovuti alle oscillazioni del magma in risalita nel condotto e

delle pareti del condotto.

• Variazioni nella forma degli edifici vulcanici. Deformazioni dell’edificio vulcanico

possono essere prodotte da spostamenti di masse magmatiche in profondità. Alcune

deformazioni possono inoltre essere conseguenti a variazioni di pressione dei fluidi

nel sistema geotermale connesso con il vulcano.

• Variazioni del campo gravitazionale, magnetico ed elettrico. Queste variazioni sono

prodotte dall’intrusione del magma o dalla circolazione di fluidi, entrambi

caratterizzati da alta temperatura e diversa densità, in rocce solide e relativamente più

fredde.

• Variazioni geochimiche. La risalita del magma attraverso la crosta terrestre provoca

una più intensa migrazione verso la superficie e una variazione della composizione

dei fluidi che alimentano le fumarole e i sistemi geotermici e idrotermali. Questi

fluidi possono essere rilasciati dal magma stesso (fluidi magmatici), dalle rocce

incassanti riscaldate o per ebollizione di sistemi acquiferi (fluidi idrotermali-

geotermici). Tutti i gas emessi sono caratterizzati dalla presenza di vapore acqueo

(H2O) e anidride carbonica (CO2) come specie principali; differenze importanti

riguardano il contenuto relativo in gas acidi – quali acido cloridrico (HCl), acido

fluoridrico (HF), acido solforico (H2SO4) – di cui sono relativamente ricchi i fluidi di

origine magmatica e poveri quelli di origine idrotermale-geotermica.

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2 - PERICOLOSITÀ E RISCHIO VULCANICO

Pericolosità e rischio sono spesso usati come sinonimi ma hanno significati molto

differenti. Il rischio vulcanico, infatti, è il prodotto di tre fattori: pericolosità vulcanica,

valore esposto e vulnerabilità (Fig. 1).

La pericolosità è la probabilità che una determinata area sia interessata da fenomeni

potenzialmente distruttivi in un determinato intervallo di tempo. Nel caso di vulcani

viene riferita a fenomeni quali colate di lava, flussi piroclastici, caduta di particelle ecc..

Il valore esposto è dato dall’insieme delle persone, delle costruzioni, delle

infrastrutture, della superficie di terreno agricolo, ecc., presenti nell’area potenzialmente

interessata dai fenomeni previsti.

La vulnerabilità è la percentuale del valore esposto che si stima verrà perduta per

effetto di un determinato fenomeno distruttivo.

L’uomo non può intervenire per diminuire la pericolosità vulcanica: essa dipende da

fenomeni naturali che sono fuori dalla nostra possibilità di controllo. Ma una corretta

gestione del territorio e adeguate misure di prevenzione possono evitare, o almeno

limitare l’aumento del valore esposto e della vulnerabilità. Ad esempio la costruzione di

edifici con solai resistenti al carico di particelle vulcaniche che si accumulano per caduta

durante un’eruzione, può ridurre drasticamente la vulnerabilità. Non si può impedire,

quindi, che avvengano fenomeni naturali pericolosi quali le eruzioni vulcaniche, si può,

però, mitigare fortemente il rischio ad essi collegato, modificando le variabili valore

esposto e vulnerabilità.

Il presupposto indispensabile per la definizione del rischio vulcanico è la zonazione

del territorio in funzione dei pericoli attesi da un vulcano, ovvero la delimitazione delle

aree che potrebbero essere esposte ai diversi pericoli. La zonazione, basata sulle

caratteristiche dell’evento vulcanico atteso e sulla morfologia del territorio, viene

rappresentata su carte di pericolosità. Se a queste carte si sovrappongono anche le

variabili dipendenti dalla presenza dell’uomo e dall’uso del territorio, si costruiscono

carte di rischio.

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Fig. 1 – Illustrazione delle definizione di rischio vulcanico.

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3 - LA PERICOLOSITÀ VULCANICA DELL’AREA PARTENOPEA

3.1 - Storia, sorveglianza, previsioni

La definizione dello stato di attività di un vulcano e del suo sistema magmatico di

alimentazione, delle probabili fenomenologie eruttive e dei tempi attesi per il loro

verificarsi, non può prescindere dalla conoscenza della sua storia passata e della sua

struttura attuale. Questa conoscenza rappresenta anche il quadro di riferimento per

l’interpretazione dei dati rilevati dal sistema di sorveglianza. Pertanto, la valutazione

della pericolosità di un vulcano si muove tra geologia, geofisica, geochimica, storia e

sorveglianza.

Questo capitolo è dedicato ai tre vulcani attivi della Campania: Somma-Vesuvio,

Campi Flegrei e Ischia (Fig. 2). Esso fornisce gli elementi essenziali per avviarsi a una

comprensione scientifica di sistemi molto complessi. Per ciascuno dei tre vulcani,

inoltre, si fornisce una valutazione di pericolosità e si formula un’ipotesi sul

comportamento futuro. L’ultimo paragrafo presenta il sistema di sorveglianza

dell’Osservatorio Vesuviano, che consente di controllare costantemente lo stato dei tre

vulcani.

3.2 - Il Somma-Vesuvio

Il Vesuvio, il più pericoloso tra i vulcani attivi italiani, è noto nel mondo soprattutto

per l'eruzione del 79 d.C., che interruppe un periodo di quiscenza durato sette secoli e

distrusse in due giorni le città di Pompei, Ercolano, Oplonti e Stabia, lasciando sgomenti

i contemporanei.

“Crederà la generazione ventura degli uomini, quando rinasceranno le

messi e rifioriranno questi deserti, che sotto i loro piedi sono città e

popolazioni e che le campagne degli avi si inabissarono?” (Publio Papinio

Stazio).

Il Somma-Vesuvio è uno strato vulcano di medie dimensioni che raggiunge

un'altezza massima di 1.281 m s.l.m.. E’ costituito dal più vecchio vulcano del Monte

Somma, la cui attività terminò con lo sprofondamento di una caldera sommitale, e dal

più recente vulcano del Vesuvio, cresciuto all'interno di quella caldera. La morfologia

del Monte Somma è caratterizzata da un versante meridionale molto ripido, e da uno

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settentrionale meno acclive e solcato da numerose e profonde incisioni vallive a

distribuzione radiale.

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Fig. 2 – Immagine da satellite dell’area campana.

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Il Vesuvio ha una tipica forma a cono con un cratere sommitale di circa 500 m di

diametro e profondo circa 300 m (Fig. 3). Il cratere del Vesuvio è situato a circa 15 km

dal centro della città di Napoli, verso E-SE.

Le rocce vulcaniche più antiche dell'area vesuviana sono state incontrate in un pozzo

perforato sul versante meridionale del vulcano, a una profondità di 1125 metri al di sotto

del livello del mare. Esse hanno un'età di circa 300.000 anni e segnano probabilmente

l'inizio dell'attività vulcanica nell'area.

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Fig. 3 – Vista del Vesuvio da sud. (Compagnia Generale Ripreseaeree).

Il vulcano del Monte Somma si è formato per accumulo di depositi di eruzioni

prevalentemente effusive e subordinatamente esplosive di bassa energia. Questo

accrescimento, iniziato successivamente alla messa in posto del deposito dell’eruzione

flegrea dell’Ignimbrite Campana, avvenuta circa 37.000 anni fa, è durato fino a circa

18.000 anni fa, quando in seguito a un’eruzione pliniana si formò una caldera che è stata

in seguito varie volte modificata da successiv1 collassi (Fig. 4).

Prima del 79 d.C. l’attività del Vesuvio fu caratterizzata da quattro eruzioni pliniane,

separate da periodi di riposo della durata di alcune migliaia di anni e da una serie di

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eruzioni subpliniane precedute da periodi di riposo lunghi centinaia di anni. Queste

eruzioni esplosive di elevata energia sono caratterizzate da emissione parossistica di

grandi volumi di magma frammentato, seguita dalla caduta di particele vulcaniche e

dallo scorrimento di flussi piroclastici, surges piroclastici e colate di fango (durante

l’eruzione del 79 d.C. furono emessi circa 0.75 km3 di magma). Nella caldera formatasi

durante l’eruzione del 79 d.C. è cresciuto il vulcano più giovane, il Vesuvio.

Fig. 4 – Cronogramma dell’attività del Somma-Vesuvio.

Per circa mille anni dopo il 79 d.C. il Vesuvio continuò, con frequenti eruzioni, a

riversare i suoi prodotti sulle aree circostanti. Seguì poi un periodo di quiescenza che

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durò circa cinque secoli, dal 1139 al 1631. Le generazioni che si avvicendarono ai piedi

del vulcano cominciarono a dimenticare la reale natura della montagna, che nel

frattempo si ricoprì di vegetazione, e assunse nuovamente quell'aspetto idilliaco che

aveva avuto prima dell'eruzione dell'anno 79 d.C.. Il nuovo terribile risveglio, in una

tragica notte del dicembre del 1631, seminò ancora distruzione e morte. A partire da

questa eruzione, ha avuto inizio un periodo di attività eruttiva durante il quale si sono

alternate fasi caratterizzate da prevalente attività stromboliana, brevi periodi di riposo

che non sono mai stati superiori a sette anni e violente eruzioni miste (effusive ed

esplosive) (Fig. 5).

Fig. 5 – Carta geologica schematica del Somma-Vesuvio.

L'attività del vulcano richiamò scienziati e intellettuali da tutta Europa, che hanno

lasciato nelle loro memorie di viaggio ricche e particolareggiate descrizioni del Vesuvio

e della sua varie fenomenologie eruttive. Questo periodo si concluse con l'ultima

eruzione, che iniziò il 18 marzo 1944 e terminò nei primi giorni di aprile dello stesso

anno (Fig. 6).

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Fig. 6 – a) Il Vesuvio durante l’eruzione del 1944. (Foto scattata da un aereo americano).

b) Distribuzione dei depositi dell’eruzione del 1944.

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Il comportamento del Vesuvio nel corso della sua storia è stato caratterizzato

dall’alternanza tra periodi di attività eruttiva, durante i quali il condotto del vulcano è

aperto, e periodi di quiescenza, in cui il condotto è ostruito. I periodi a condotto ostruito

sono caratterizzati da assenza di attività eruttiva e da accumulo, in una camera

magmatica, di magma proveniente dal profondo. Essi si concludono generalmente con

un’eruzione esplosiva che è tanto più violenta quanto più lungo è stato il periodo di

quiescenza che l’ha preceduta. A questi eventi esplosivi seguono periodi di attività

eruttiva a condotto aperto, con il magma che riempie il condotto e raggiunge

generalmente il fondo del cratere. Questi periodi sono caratterizzati dal succedersi a

brevi intervalli temporali di eruzioni effusive, esplosive di bassa energia e miste.

Alla luce del comportamento passato del Vesuvio si ritiene che l’eruzione del 1944

abbia segnato la fine di un periodo di attività eruttiva a condotto aperto (che durava fin

dalla grande eruzione del 1631) e l’inizio di un periodo di quiescenza a condotto

ostruito. Dal 1944 ad oggi il vulcano ha dato solamente modesti segni di vita quali

attività fumarolica, prevalentemente all’interno del cratere, e terremoti di bassa energia

con ipocentri fino a 6 km di profondità. Non ci sono state deformazioni del suolo né si è

registrata alcuna variazione di parametri fisici e chimici che possa indicare una

riattivazione della dinamica del sistema. I risultati di indagini geofisiche sulla struttura

profonda del vulcano indicano che non ci sono accumuli di significativi volumi di

magma nei primi 10 km di crosta.

Il comportamento passato e lo stato attuale del Vesuvio suggeriscono che il vulcano

può riprendere la sua attività eruttiva, e che se un’eruzione avverrà nelle prossime decine

di anni, potrà essere di tipo esplosivo. Pertanto il Vesuvio è un vulcano altamente

pericoloso.

3.3 - Campi Flegrei

Nella storia della cultura europea i Campi Flegrei rappresentano il mito di Roma,

celebrato nel libro VI dell’Eneide, quando Virgilio fa sbarcare proprio qui l’eroe

capostipite della famiglia dell’imperatore Augusto. Era il mito, non la storia che

cercavano sulle sponde flegree, i viaggiatori di ogni tempo come Francesco Petrarca, che

del suo viaggio nel territorio d’Averno, di Cuma e Miseno, nel 1343 scrive:

”..ho visto tutti i luoghi di Virgilio”

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Il nome Campi Flegrei cioè “Campi Ardenti“ (dal greco ϕλεγω “ardo”) fu dato a

questa mitica regione, dove Ercole sconfisse i Giganti, “..da un monte che un tempo

gettava fiamme” (Diodoro Siculo, I sec. a.C.). I Campi Flegrei sono una caldera

risorgente complessa formatasi attraverso due principali episodi di sprofondamento

avvenuti rispettivamente durante l’eruzione dell’Ignimbrite Campana, circa 37.000 anni

fa, e l’eruzione del Tufo Giallo Napoletano, circa 12.000 anni fa (Fig. 7).

Fig. 7 – Carta morfo-strutturale dell’area napoletano-flegrea.

L’età di inizio del vulcanismo nell’area flegrea non è nota. I prodotti vulcanici più

antichi in affioramento hanno 60.000 anni (Fig. 8). La maggior parte delle rocce più

vecchie dell’Ignimbrite Campania è stata prodotta da eruzioni esplosive e solamente

poche eruzioni effusive. Solo alcuni degli edifici vulcani che si formarono in questo

periodo più antico sono oggi esposti. Sulla base delle caratteristiche di alcuni depositi

diversi di alcuni si può ipotizzare che l’area vulcanica attiva doveva essere più ampia

dell’attuale caldera. Ad esempio Monte Grillo a Miliscola è il relitto di un cono

piroclastico, e centri di eruzioni effusive verosimilmente si trovavano nelle vicinanze dei

duomi lavici di Punta Marmolite e di Cuma.

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Fig. 8 – Cronogramma dell’attività dei Campi Flegrei.

L’eruzione che formò il tufo noto come Ignimbrite Campana è stata la più grossa

eruzione esplosiva avvenuta nell'area mediterranea negli ultimi 200.000 anni (Fig. 9).

Durante questa eruzione furono emessi 150 km3 di magma, formando il tufo che

ricoprì, con spessori significativi, un'area di circa 30.000 km2. L'eruzione iniziò con la

formazione di una colonna pliniana che raggiunse un’altezza di 45 km. Dalla parte più

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alta di questa colonna, caddero al suolo frammenti che formarono un deposito

piroclastico da caduta. Ceneri di quest’eruzione sono state ritrovate nei sedimenti sul

fondo del Mar Mediterraneo e nei ghiacci della Groenlandia. Successivamente iniziò il

collasso della caldera lungo faglie, attraverso le quali furono emessi flussi piroclastici.

Alcuni di questi erano talmente espansi e poco densi che superarono rilievi montuosi di

oltre 1.000 metri di altezza e, oltrepassando la baia di Napoli, superarono la Penisola

Sorrentina. Alla fine di questa eruzione, la depressione calderica interessava un’area di

circa 230 km2 e lo sprofondamento era dell’ordine di circa 700 m. L’Ignimbrite

Campana è stata largamente utilizzata come materiale da costruzione fin dai primi

insediamenti greci dell’VIII sec. a. C..

Fig. 9 – Carta geologica schematica dell’area napoletano-flegrea.

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Tra l’eruzione dell’Ignimbrite Campana e quella del Tufo Giallo Napoletano, il

vulcanismo della caldera è stato caratterizzato prevalentemente da eruzioni esplosive per

lo più freatomagmatiche, che hanno prodotto estese coltri di depositi piroclastici e coni

di tufo, e, in misura minore, da eruzioni effusive che hanno formato lave e duomi lavici.

L’eruzione che 12.000 anni fa produsse il deposito piroclastico noto, per il suo tipico

colore, come Tufo Giallo Napoletano, è la seconda per importanza nell’area napoletana.

Essa, caratterizzata dall’alternarsi di esplosioni magmatiche e da un collasso calderico,

emise circa 50 km3 di magma. Il Tufo Giallo Napoletano coprì un'a superficie di circa

1.000 km2 e si rinviene nell’area napoletano–flegrea, nella Piana Campana fino ai rilievi

dell’Appennino, e nel Golfo di Napoli. Il suo spessore massimo è di circa 100 m nelle

zone più vicine al centro eruttivo. Anche il Tufo Giallo Napoletano, come l’Ignimbrite

Campana, è stato molto utilizzato come materiale da costruzione. Dopo l’eruzione del

Tufo Giallo Napoletano e il relativo collasso calderico, gran parte dell’attuale settore

meridionale dei Campi Flegrei, a sud delle piane di Soccavo e Pianura, si trovò al di

sotto del livello del mare. Rimasero emerse solo le zone più rilevate, come il

promontorio di Cuma e il Monte di Procida che, in questa fase, dovevano essere delle

piccole isole. Questa ingressione del mare è testimoniata dalla presenza di sedimenti

marini intercalati ai depositi piroclastici. Il vulcanismo più recente dell’eruzione del

Tufo Giallo Napoletano è stato concentrato in tre epoche di intensa attività avvenuta tra

12.000 e 9.500; 8.600 e 8.200; 4.800 e 3.800 anni fa. Alle epoche di attività si sono

alternati periodi di quiescenza. Le eruzioni, prevalentemente esplosive di energia medio-

bassa, si sono succedute, in ciascuna epoca di attività, ad intervalli medi dell’ordine delle

decine di anni. Le uniche due grosse eruzioni si sono avute 10.300 anni fa (eruzione

delle Pomici Principali) e 4.100 anni fa (eruzione di Agnano-Monte Spina).

L'ultima eruzione nei Campi Flegrei è avvenuta nel settembre del 1538 d.C., dopo un

periodo di quiescenza durato circa 3.000 anni, e ha determinato la formazione del cono

del Monte Nuovo. Questa eruzione è una delle più piccole verificatesi nei Campi Flegrei,

ed è durata solo una settimana, con l’emissione di 0,025 km3 di magma. Essa produsse

essenzialmente surges e flussi piroclastici, distribuiti in un raggio di circa 1 km intorno

al centro di emissione. L'eruzione fu preceduta da deformazioni del suolo molto vistose e

da attività sismica avvertita fino a Napoli.

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Fig. 10 – Distribuzione dei centri eruttivi della caldera dei Campi Flegrei durante ciascuna delle epoche di

attività negli ultimi 12.000 anni.

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Il fondo della caldera del Tufo Giallo Napoletano è stato deformato negli ultimi

10.000 anni da un fenomeno di risorgenza, tuttora in corso, che ha condizionato la

distribuzione areale dei centri eruttivi (Fig. 10).

Il sollevamento complessivo della parte centrale della caldera, è stato di circa 90 m.

Esso ha determinato l’emersione del terrazzo marino de La Starza, che, a partire dal

collasso della caldera del Tufo Giallo Napoletano e fino a circa 4.500 anni fa aveva

costituito, tranne che per un breve periodo di emersione, il fondo del mare. Le ultime

manifestazioni di questo sollevamento sono i recenti eventi bradisismici del 1969-72,

1982-84, 1989, 1994, 1997 e 2000 (Fig. 11).

Fig. 11 – Ricostruzione del movimento del suolo al Serapeo, sulla base di dati geologici, documenti storici e,

dal 1905, dati di livellazioni di precisione.

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La posizione dei centri eruttivi e l’alternarsi di periodi di attività e di quiescenza sono

strettamente correlati al collasso della caldera del Tufo Giallo Napoletano e alla

dinamica della risorgenza della sua parte centrale. Oggi la caldera, oltre ad essere

interessata da deformazioni del suolo, è sede di un’intensa e continua attività fumarolica.

I risultati di studi effettuati usando diverse metodologie, suggeriscono che la camera

magmatica è complessa e probabilmente ubicata a bassa profondità e di notevoli

dimensioni.

Il comportamento passato e lo stato attuale della caldera dei Campi Flegrei indicano

che essa è un vulcano ancora attivo e potrà dare eruzioni in futuro. Se un’eruzione

avverrà nelle prossime decine di anni, potrà essere di tipo esplosivo. Pertanto la caldera

dei Campi Flegrei è altamente pericolosa.

3.4 - Ischia

L’isola di Ischia fu la prima colonia, nell’Italia meridionale, fondata dai Greci

intorno al 770 a.C. con il nome di Pithecusa. La sua origine vulcanica era ben nota fin

dall’antichità e Plinio il Vecchio, in riferimento ad isole sorte dal mare per eruzioni

vulcaniche, così scrive:

“riferisco che in tal modo sia sorta anche Pithecusa e che in seguito in

quest’isola il Monte Epomeo, mentre dal medesimo prorompeva fiamma, sia

stato ridotto in pianura, e che nella stessa isola una cittadina sia stata

inghiottita dalla profondità e che con un altro movimento della terra sia

emerso un lago e con un altro ancora, si sia formata l’isola di Procida”

(Plinio il Vecchio, Naturalis Historia, II, 203).

L’isola d’Ischia è un campo vulcanico che, probabilmente, nel passato era molto più

esteso (Fig. 12). Le rocce vulcaniche presenti sull’isola sono il prodotto tanto di eruzioni

effusive, che hanno formato colate e duomi di lava, quanto di eruzioni esplosive, che

hanno generato estese coltri depositi piroclastici. L’età di inizio dell’attività vulcanica

sull’isola non è nota con precione. Le rocce più antiche datate hanno un’età di 150.000

anni (Fig. 13) e appartengono a un antico complesso vulcanico, i cui resti di si

rinvengono nel settore sud-orientale dell'isola ricoperti dai prodotti di eruzioni più

recenti.. Tra 150.000 e 74.000 anni fa si formarono piccoli duomi lavici Campagnano,

Monte Vezzi, Monte Barano, Punta della Signora, Sant’Angelo, Punta Chiarito, Capo

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Negro, Punta Imperatore, Monte Vico e l’isolotto su cui è costruito il Castello

Aragonese, situati lungo le coste dell’attuale isola. A questo periodo di attività fece

seguito un periodo di quiescenza, che si interruppe circa 55.000 anni fa con l’eruzione

del Tufo Verde del Monte Epomeo. Questa eruzione fu accompagnata dal collasso

calderico della parte centrale dell’isola, oggi occupata dal Monte Epomeo, che fu

sommersa dal mare. Il tufo si depositò in mare sul fondo della caldera e ricoprì le zone

allora emerse che oggi formano gli alti morfologici dell’isola.

Fig. 12 – Cronogramma dell’attività di Ischia.

Dopo l’eruzione del Tufo Verde del Monte Epomeo, il vulcanismo è proseguito con

una serie di eruzioni esplosive fino a circa 33.000 anni fa. Le rocce prodotte da queste

eruzioni sono esposte lungo le scarpate tra Sant’Angelo e Punta Imperatore, a Citara e

Monte Vico.

L’eruzione di Grotta di Terra, avvenuta circa 28.000 anni fa lungo la costa sud-

orientale dell’isola, segnò la ripresa dell’attività eruttiva dopo una pausa durata alcune

migliaia di anni. Questa attività continuò sporadicamente fino a 18.000 anni fa, con

eruzioni effusive ed esplosive (magmatiche e idromagmatiche), che hanno prodotto

colate laviche, coni di tufo e depositi piroclastici. Le rocce di questo periodo sono ben

Page 26: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

22

esposte alla Grotta del Mavone, a Monte di Vezzi, nell’area di Sant’Anna e Carta

Romana, a Monte Cotto e tra Punta Imperatore e il promontorio di Sant’Angelo.

Fig. 13 – Carta geologica schematica dell’Isola di Ischia.

Dopo un periodo di quiescenza di circa 8.000 anni, l’attività vulcanica riprese 10.000

anni fa, producendo 46 diverse eruzioni, concentrate principalmente tra 2.900 anni fa e il

1302 d.C., anno dell’ultima eruzione. I centri eruttivi, localizzati prevalentemente nel

settore orientale dell’isola, generarono eruzioni effusive ed esplosive, che produssero

colate di lava e depositi piroclastici da caduta e da flusso. Gli edifici vulcanici sono

duomi lavici, coni di pomici, coni di scorie e coni di tufo.

L’ultima eruzione, detta eruzione dell’Arso, fu così descritta in una cronaca

dell’epoca:

Page 27: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

23

“Nel detto anno 1302 l’isola d’Ischia, la quale è presso Napoli, gittò

grandissimo fumo, per modo che gran parte dell’isola consumò [..]; e molti

per iscampare fuggirono all’isola di Procida e a quella di Capri, e a terra

ferma di Napoli, e a Baja, e a Pozzolo e in quelle contrade, e durò la detta

pestilenza più di due mesi” (Giovanni Villani, Nuova Cronica, VIII, 54).

La parte centrale dell’isola, dominata dal Monte Epomeo, risulta dal sollevamento

del fondo della caldera del Tufo Verde del Monte Epomeo, iniziato circa 33.000 anni fa.

Le modalità di sollevamento e deformazione del blocco del Monte Epomeo hanno

determinato la concentrazione dei centri eruttivi negli ultimi 10.000 anni quasi

esclusivamente nel settore orientale dell’isola margine orientale (Fig. 14).

Fig. 14 – Distribuzione dei centri eruttivi attivi negli ultimi 10.000 anni all’isola di Ischia

La storia geologica di Ischia evidenzia che l’attività eruttiva può riprendere dopo

periodi di quiescenza più o meno lunghi. Dall’ultima eruzione il sistema vulcanico ha

Page 28: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

24

continuato a manifestare il suo persistente stato di attività attraverso terremoti – il più

disastroso avvenne a Casamicciola nel 1882 – e una diffusa attività fumarolica e

idrotermale.

Il comportamento passato e lo stato attuale del sistema vulcanico di Ischia

suggeriscono che esso è ancora attivo e che può dare eruzioni in futuro e che, se

un’eruzione dovesse avvenire in tempi brevi o medi, potrebbe essere di tipo esplosivo.

Pertanto il vulcano deve considerarsi pericoloso.

3.5 - Il sistema di sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano

L'Osservatorio Vesuviano, fondato nel 1841, primo osservatorio vulcanologico del

mondo, gestisce il sistema di sorveglianza dei vulcani attivi dell’area napoletana. Tale

sistema si è andato nel tempo adeguando allo sviluppo delle conoscenze vulcanologiche

e tecnologiche, con l'obiettivo di permettere una previsione a breve termine sempre più

accurata e tempestiva. Attualmente il sistema di sorveglianza dell’Osservatorio

Vesuviano comprende reti geofisiche e geochimiche per il Vesuvio, i Campi Flegrei e

Ischia (Fig. 15).

Le reti geofisiche controllano l'attività sismica, le deformazioni del suolo e le

variazioni del campo gravimetrico, mentre le reti geochimiche controllano le variazioni

della composizione chimica dei gas emessi dalle fumarole e dal suolo, e di quelli

disciolti nelle acque di falda.

• Controllo dell'attività sismica. Il controllo dell'attività sismica viene effettuato

attraverso una rete di stazioni sismiche. La rete, costituita da un elevato numero di

stazioni sismiche fisse; in caso di aumento dell’attività, viene potenziata con l’aggiunta

di stazioni mobili.

In ciascuna stazione, opportuni sensori rilevano il moto del suolo e trasferiscono, in

tempo reale, i dati rilevati al Centro di Sorveglianza, dove vengono raccolti, analizzati e

interpretati. Le prime analisi che si effettuano sono finalizzate alla localizzazione

dell'epicentro e dell'ipocentro della scossa registrata, ed alla valutazione della sua

magnitudo, indice dell'energia liberata.

• Controllo delle deformazioni del suolo. Il controllo delle deformazioni del suolo

viene effettuato attraverso misure geodetiche periodiche o in continuo. A questo scopo

vengono utilizzate diverse tecniche – livellazioni di precisione, EDM (Electronic

Distance Measurement), GPS (Global Positioning System), SAR (Synthetic Aperture

Page 29: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

25

Radar) – per ciascuna delle quali è stata istituita un’apposita rete. Ciascuna rete è

configurata in modo da consentire una efficace caratterizzazione del campo di

deformazione in quella specifica area. Le reti sono finalizzate al controllo delle

deformazioni verticali ed orizzontali del suolo. Si misurano cioè, con cadenza

determinata, le variazioni della quota e della distanza tra punti fissi. Da alcuni anni si

utilizza prevalentemente il sistema GPS che, mediante l'impiego di satelliti artificiali e di

una rete di vertici tridimensionali. consente di controllare con continuità le deformazioni

del suolo. Inoltre al Vesuvio e ai Campi Flegrei si misurano in continuo variazioni sia

dell'inclinazione del suolo, attraverso una rete clinometrica, sia del livello del mare,

attraverso una rete mareografica. Quest’ultima permette di valutare, per confronto con il

livello del mare registrato in aree stabili lontane dai vulcani, eventuali variazioni del

livello del suolo.

• Controllo del campo gravimetrico. Le reti gravimetriche sono costituite da numerose

stazioni fisse di misura. Periodiche misure dell'accelerazione di gravità in ciascuna di

queste stazioni consentono di valutare con grande precisione eventuali variazioni del

campo gravitazionale.

• Controllo geochimico. Le reti geochimiche sono finalizzate al controllo del flusso e

della composizione dei gas delle fumarole, dei gas emanati dal suolo e delle acque di

falda. In particolare, oltre al flusso di anidride carbonica (CO2) e del vapore acqueo

(H2O), vengono rilevate le variazioni nel tempo di quelle specie chimiche che sono

essenzialmente liberate dal magma, quali alcuni gas acidi – acido cloridrico (HCl), acido

fluoridrico (HF), acido solforico (H2SO4) –. Tali variazioni possono essere indicative di

una ripresa dell'attività vulcanica. Al Vesuvio sono misurati in continuo, attraverso una

stazione automatica istallata all’interno del cratere, il flusso di CO2 dal suolo, la

pressione atmosferica e la temperatura del suolo e dell’aria. Sono inoltre periodicamente

analizzate le fumarole presenti lungo il bordo ed all’interno del cratere e quelle

sottomarine nei pressi del porto di Torre del Greco. Nei Campi Flegrei viene eseguito il

campionamento periodico delle fumarole della Solfatara e il monitoraggio, sia continuo

che periodico, del flusso di CO2 dal suolo, nell’area della Solfatara e in alcune aree

limitrofe. Tramite una stazione idrometrica digitale, inoltre si controlla il livello e la

temperatura della falda a quota -120 m nell’area vesuviana (Camaldoli della Torre).

Page 30: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

26

Fig. 15 – Sistema di sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano per i vulcani napoletani.

Page 31: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

27

4 - IL RISCHIO VULCANICO NELL’AREA PARTENOPEA

L'area vulcanica partenopea comprende, come abbiamo visto, tre vulcani attivi e

pericolosi: – Somma-Vesuvio, Campi Flegrei e Ischia – ed è abitata da circa tre milioni

di persone, con una elevata densità di popolazione.

La storia vulcanica e deformativi, e lo stato attuale di questi vulcani, consentono di

prevedere che essi possono dare ancora eruzioni e che queste potrebbero essere di tipo

esplosivo. La pericolosità dei tre vulcani, l’alto valore esposto (Fig. 16) e la sua elevata

vulnerabilità fanno dell’area napoletana una delle zone a più alto rischio vulcanico del

mondo.

Fig. 16 – Immagine da satellite dell’area napoletano-flegrea in cui è evidenziata l’urbanizzazione.

(Telespazio).

4.1 - Il rischio può essere ridotto

Dalla definizione di rischio (cfr. cap. 2) si evince con chiarezza che esso può essere

mitigato intervenendo sulla consistenza del valore esposto al pericolo e sulla sua

vulnerabilità. Ciò significa in primo luogo pianificare rigorosamente lo sviluppo del

territorio, in modo da contenere il valore esposto e favorire gli interventi per la

Page 32: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

28

mitigazione del rischio, come ad esempio l’evacuazione preventiva della popolazione nel

caso di eruzione imminente. Nell’area partenopea si è consentita, dal secondo

dopoguerra in poi, un’urbanizzazione tanto intensa da incrementare in maniera

drammatica il valore esposto: attualmente nella zona a più alto rischio vesuviana e

flegrea vivono circa 1.000.000 di persone. In questo contesto ancora più importanti

appaiono non solo la pianificazione delle azioni da realizzare in caso di emergenza, ma

anche la promozione di attività di prevenzione tra cui la formazione e l’informazione

della popolazione. Infatti persone formate e informate sulle problematiche inerenti la

pericolosità e il rischio vulcanico contribuiscono a un corretto uso del territorio e

partecipano con maggiore consapevolezza ed efficacia all’attuazione delle azioni

pianificate.

E’ evidente, pertanto, che discutere di rischio, e non solo di pericolo, apre la

questione a un ambito non tanto scientifico quanto etico e politico: quello della

responsabilità. Tutti i soggetti coinvolti, istituzionali e non, sono chiamati a una presa di

coscienza della propria responsabilità, affinché ciascuno svolga la propria parte nella

realizzazione degli interventi possibili. Ma qual è la parte di ciascuno?

La Comunità Scientifica ha il compito precipuo di definire la pericolosità di un

vulcano, di effettuare sia una previsione a lungo e breve termine, che una zonazione del

territorio in funzione degli eventi attesi.

Lo Stato, secondo quanto stabilito dalle vigenti leggi in materia di protezione civile,

ha il compito di formulare gli indirizzi per la predisposizione e l'attuazione dei

programmi di previsione e prevenzione in relazione alle varie ipotesi di rischio, e di

promuovere ricerche nei diversi ambiti disciplinari. Tali ricerche devono essere

finalizzate alla definizione dei pericoli, alla valutazione del loro impatto sul territorio,

alla stima e alla riduzione della vulnerabilità, allo sviluppo e alla gestione di sistemi di

sorveglianza utili per prevedere l'evento e far scattare gli allarmi. In ambito operativo è

compito dello Stato, d'intesa con le Regioni e gli Enti Locali interessati, occuparsi del

complesso di tutte le attività connesse agli eventi calamitosi che “per intensità ed

estensione debbono essere fronteggiati con mezzi e poteri straordinari”. Queste attività

consistono nell’approvare ed attuare i piani di emergenza, assicurare i primi soccorsi alle

popolazioni colpite, acquisire elementi tecnici sull’intensità ed estensione degli eventi

calamitosi per la proposta della dichiarazione dello stato di emergenza, rilevare i danni e

approvare i piani di intervento per il superamento dell'emergenza e la ripresa delle

Page 33: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

29

normali condizioni di vita. A questi compiti si aggiungono l'impegno a svolgere

periodiche esercitazioni relative ai piani nazionali di emergenza, a promuovere attività di

formazione e di informazione della popolazione, e a coordinare le organizzazioni di

volontariato per favorirne la partecipazione alle attività di protezione civile.

Le Regioni, sulla base delle direttive nazionali, devono predisporre i programmi di

previsione e prevenzione dei rischi e dettare gli indirizzi per l’elaborazione dei piani

provinciali di emergenza in caso di eventi calamitosi che “per loro natura ed estensione,

comportano l'intervento coordinato di più enti e amministrazioni competenti in via

ordinaria”. Inoltre esse devono sia provvedere all'attuazione degli interventi urgenti e di

tutte le operazioni necessarie per favorire il ritorno alle normali condizioni di vita, che

gestire l'organizzazione e l'utilizzo del volontariato.

Le Province hanno il compito di attuare le attività di previsione e gli interventi di

prevenzione dei rischi stabilite dai programmi e dai piani regionali, di predisporre i piani

provinciali di emergenza sulla base degli indirizzi regionali, e di provvedere

all’attivazione dei servizi urgenti per fronteggiare gli eventi che “per loro natura ed

estensione, comportano l'intervento coordinato di più enti e amministrazioni competenti

in via ordinaria”.

I Comuni devono attuare le attività di previsione e gli interventi di prevenzione dei

rischi stabiliti dai programmi e piani regionali, e predisporre e attuare i piani comunali e

intercomunali di emergenza. Il Sindaco, autorità comunale di protezione civile, al

verificarsi dell'emergenza nell'ambito del proprio territorio, assume la direzione e il

coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite e provvede

agli interventi necessari per fronteggiare l'evento, utilizzando anche il volontariato

locale.

Un compito trasversale a tutti i soggetti è quello di fornire un’informazione costante

e precisa e di operare, insieme alle agenzie informative e formative del territorio (scuola,

mezzi di comunicazione di massa, associazioni, ecc.), per favorire una cultura della

prevenzione.

4.2 - I Piani di emergenza relativi al rischio vulcanico

I piani di emergenza sono uno strumento indispensabile per la mitigazione del

rischio. Per il rischio vulcanico sono elaborati in funzione dello scenario eruttivo e dei

livelli di allerta definiti per uno specifico vulcano e per un determinato tempo, della

Page 34: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

30

popolazione e della sua distribuzione sul territorio, delle infrastrutture e della loro

vulnerabilità, e del comportamento più probabile delle persone. Ciascuno di questi

parametri può variare nel tempo sia per il progredire delle conoscenze scientifiche, sia

per variazioni del comportamento del vulcano, sia perché provvedimenti amministrativi

possono modificare l'assetto urbanistico del territorio, sia infine per l’effetto di

programmi di educazione e informazione. Pertanto un piano di emergenza non deve

essere considerato uno strumento statico e valido per un tempo indefinito. Al contrario,

esso deve essere inteso come uno strumento dinamico da sottoporre a periodico

aggiornamento in funzione del variare dei parametri su cui è stato elaborato.

4.3 - Piano di emergenza “Vesuvio”.

In base ai risultati degli studi vulcanologici condotti recentemente al Vesuvio, che

hanno consentito di ricostruirne la storia eruttiva, il comportamento del sistema

magmatico nel tempo e lo stato attuale di attività del vulcano, il Gruppo Nazionale per la

Vulcanologia ha definito la massima eruzione attesa nel caso di ripresa dell'attività

eruttiva a breve-medio termine (dell'ordine di decine di anni). Tale evento è

rappresentato da un’eruzione subpliniana del tipo di quella verificatasi nel 1631.

L'eruzione del 1631 è stata la più violenta e distruttiva della storia del Vesuvio

nell'ultimo millennio e si verificò dopo un periodo di quiescenza del vulcano durato

alcuni secoli. Essa causò la devastazione di un'area di circa 500 km2 e la morte di circa

quattromila persone.

In base allo scenario eruttivo della massima eruzione attesa è stato elaborato da una

Commissione istituita dal Ministro della Protezione Civile un piano di emergenza

nazionale dell'area Vesuviana. Il piano è attualmente in via di aggiornamento da parte

della “Commissione incaricata di provvedere all’aggiornamento dei piani di emergenza

dell’area flegrea e dell’area vesuviana”. E’ importante evidenziare che l’evento massimo

atteso non è necessariamente il più probabile: l’effettiva eruzione potrebbe essere più

modesta dell'evento considerato come riferimento per l’elaborazione del piano di

emergenza. Poiché è impossibile, con le attuali conoscenze, prevedere prima

dell'eruzione la sua dinamica eruttiva e la quantità di magma emesso, la decisione presa

dalla Protezione Civile è stata quella di considerare, come scenario di riferimento,

l'evento massimo atteso nel caso di ripresa dell'attività del Vesuvio a breve-medio

termine.

Page 35: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

31

Lo scenario di riferimento prevede che potranno verificarsi dapprima una serie di

esplosioni connesse alla riapertura del condotto, precedute da sismicità, deformazione

del suolo, incremento delle emissioni gassose, attivazione di nuove fumarole e apertura

di fratture. Si innalzerà poi dal vulcano una colonna eruttiva composta da vapore, gas,

frammenti di magma (pomici e ceneri) e frammenti di roccia (litici), che potrà

raggiungere un’altezza di decine di chilometri. La parte sommitale della colonna tenderà

a espandersi radialmente, ma spinta dai venti in quota, si muoverà verso Est, secondo la

direzione dei venti prevalenti in alta quota. Dispersa dal vento, la nube farà cadere una

pioggia di frammenti piroclastici in una zona sottovento, l’accumulo di queste particelle

al suolo potrà provocare il crollo di tetti, impedire il funzionamento di alcune reti di

servizi e indurre problemi respiratori. La parte della colonna eruttiva che non riesce a

sostenere il peso del materiale solido trasportato, collasserà al suolo generando flussi

piroclastici, che avanzeranno lungo i versanti del vulcano a grande velocità ed elevato

potere distruttivo. Probabili piogge indotte dalle perturbazioni delle condizioni

atmosferiche causate dall’eruzione potranno mobilizzare il materiale piroclastico

depositato al suolo, provocando colate di fango e alluvionamenti delle aree

morfologicamente depresse.

L'unica difesa per la popolazione da un'eruzione esplosiva del tipo di quella descritta

è l'allontanamento dall'area a maggior rischio, cioè quella che può essere invasa dai

flussi piroclastici, prima dell'inizio dell'eruzione.

Negli ultimi anni evacuazioni tempestive hanno salvato centinaia di migliaia di vite

umane; basti citare per tutte le recenti eruzioni di vulcani Pinatubo nelle Filippine, Usu

in Giappone, Tavurvur e Vulcan in Nuova Guinea e Popocatepelt in Messico. Al

contrario, decine di migliaia di morti si sono avute quando ai fenomeni precursori

manifestati dal vulcano non sono seguiti interventi di protezione civile, come al Nevado

del Ruiz in Colombia, nel 1986. La decisione di allontanare la popolazione dall’area a

maggior rischio sarà presa sulla base dell'analisi dei fenomeni precursori rilevati dal

sistema di sorveglianza dell’Osservatorio Vesuviano.

Le informazioni storiche relative agli ultimi secoli di attività del Vesuvio e i

fenomeni registrati prima delle ultime eruzioni indicano che, come per la maggior parte

dei vulcani, le eruzioni vesuviane hanno avuto fenomeni precursori, quali intensa attività

sismica, vistose deformazioni del suolo e intensificazione dell'attività fumarolica.

L'analisi delle fonti storiche sui fenomeni precursori dell'eruzione del 1631 ha permesso

Page 36: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

32

di stabilire che alcune settimane prima dell'eruzione si verificarono terremoti percepiti

anche a Napoli e vistose deformazioni del suolo, concentrate nella zona craterica e

pericraterica. Come precursore a breve-medio termine, fu osservato l'abbassamento del

livello e l’intorbidamento dell’acqua nei pozzi su una vasta area. Precursori a breve-

brevissimo termine furono un forte aumento dell'emissione di gas e vapori al cratere,

fenomeni acustici e sismici (tremore) legati agli ultimi stadi della risalita del magma

verso la superficie.

Nessuno considerò questi fenomeni un avvertimento della ripresa di attività del

Vesuvio, come scrive Giulio Cesare Braccini riferendosi all'intorbidamento delle acque

nei pozzi, nel suo resoconto sull’eruzione del 1631:

“Se fossero stati accorti avrebbero da questo solo, quando non da altro

potuto prevedere i terremoti che appresso ne seguirono, e salvarsi; sebbene

come disse colui: perituri non recipiunt consilia…”

Quindi, prima dell’eruzione del 1631 e nonostante la mancanza di qualsiasi

strumentazione, furono osservati vari fenomeni precursori. Oggi, con i sofisticati

strumenti scientifici a disposizione, è legittimo ritenere che tali fenomeni saranno

avvertiti con anticipo ancora maggiore, come indica anche l'esperienza maturata in varie

parti del mondo su vulcani simili al Vesuvio.

Le evidenze storiche dell'esistenza di fenomeni precursori e la conoscenza oggi

acquisita sulla struttura e storia del vulcano, hanno permesso di definire livelli di allerta,

in funzione dei quali il piano di emergenza si articola in varie fasi. Tali livelli

caratterizzano l'evoluzione del vulcano fino all'eruzione e sono definiti da variazioni

della sismicità, del campo gravimetrico e magnetico, della composizione chimica e della

temperatura delle fumarole, da progressive deformazioni del suolo, ecc. I livelli sono

stati definiti anche per analogia con l’andamento delle variazioni di parametri fisici e

chimici registrate su vulcani simili per struttura al Vesuvio. I dati raccolti sull'attività del

Vesuvio negli ultimi decenni hanno consentito di definire il livello base, caratteristico

del vulcano negli ultimi decenni. Tale livello è rappresentato da assenza di deformazione

del suolo, bassa sismicità, assenza di significative variazioni del campo gravimetrico,

valori costanti di composizione e valori decrescenti della temperatura dei gas fumarolici.

I livelli di allerta successivi al livello base sono legati a progressive variazioni dei

parametri misurati (Fig. 17).

Page 37: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

33

Fig. 17 – Modulo operativo del piano emergenza “Vesuvio”.

Il piano individua le azioni da compiersi in funzione del livello di allerta e tre

specifiche aree di intervento, denominate Zona Rossa, Zona Gialla e Zona Blu, sulla

base del tipo e dell’entità dei pericoli da cui potrebbero essere interessate (Fig. 18).La

Zona Rossa è stata individuata sia utilizzando i dati relativi alla distribuzione dei prodotti

delle eruzioni pliniane e subpliniane, sia simulando al calcolatore le diverse fasi

dell'eruzione massima attesa. Vaste porzioni di questa zona potrebbero essere invase da

flussi piroclastici e colate di fango, e coperte da spessi accumuli di prodotti da caduta.

Essa ha un’estensione di circa 200 Km2 e comprende 18 Comuni, tutti della provincia di

Napoli, in cui vive una popolazione di circa 600.000 abitanti. Durante l'eruzione del

1631, quasi il 20% di questa zona fu distrutto da flussi piroclastici. La parete del Monte

Somma che negli ultimi secoli ha protetto i centri abitati, ubicati a Nord, dalle colate

laviche, potrebbe non essere alta abbastanza da impedire il suo scavalcamento da parte

dei flussi piroclastici. Per questo motivo la Zona Rossa ha geometria circolare. Per la

Page 38: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

34

velocità e l'elevato potere distruttivo dei flussi piroclastici, le popolazioni dovranno

allontanarsi da questa zona prima dell'inizio dell'eruzione.

Fig. 18 – Carta del rischio vulcanico dal piano di emergenza “Vesuvio”.

La Zona Gialla è quell’area che potrebbe essere interessata da caduta di particelle con

carico maggiore di 300 Kg/m2, che provocherebbe il collasso dei tetti delle costruzioni in

cemento. Essa ha un’estensione di 1.100 Km2 e comprende alcune decine di Comuni

delle province di Napoli, Salerno, Avellino, Caserta e Benevento. Solamente un settore

di questa zona sarà interessato dalla caduta di grandi quantità di ceneri, pomici e

frammenti di roccia, che potranno provocare crollo di tetti, oscurità, disturbi alla

respirazione, blocco dei motori, difficoltà di circolazione dei veicoli ed interruzione del

normale funzionamento delle reti di servizi. Il settore della zona gialla che sarà

interessato dalla caduta di particelle non può essere individuato in anticipo perché esso

sarà definito dall'altezza che la colonna eruttiva raggiungerà e dalla direzione e velocità

Page 39: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

35

dei venti in quota al momento dell’eruzione. Pertanto, solo una parte degli abitanti della

zona gialla dovrà allontanarsi durante l'eruzione. Nel 1631 circa il 10 % di quest'area fu

gravemente danneggiata.

La Zona Blu è quell’area che, oltre ad essere esposta a caduta di particelle con carico

superiore a 300 Kg/m2, potrebbe essere invasa da colate di fango ed essere interessata da

inondazioni e alluvionamenti. Essa ha un’estensione di circa 100 Km2 e corrisponde alla

conca di Nola.

4.4 - Piano di emergenza “Campi Flegrei”

Il comportamento passato e lo stato attuale della caldera dei Campi Flegrei indicano

che essa è un vulcano ancora attivo e che potrà dare in futuro nuove eruzioni. Se

un’eruzione dovesse avvenire nelle prossime decine di anni, potrà essere di tipo

esplosivo. Pertanto la caldera è un vulcano altamente pericoloso. Oltre 300.000 persone

vivono all’interno della parte oggi attiva dell’intera struttura, corrispondente alla caldera

del Tufo Giallo Napoletano, mentre quelle che vivono nelle sue immediate vicinanze

sono più di un milione. Per l’alta pericolosità della caldera e per l’intensa urbanizzazione

sia al suo interno che nelle aree limitrofe, il rischio vulcanico è estremamente alto.

Allo scopo di ridurre questo alto rischio, la Protezione Civile ha istituito una

Commissione Nazionale incaricata di provvedere all’aggiornamento del piano di

emergenza già esistente da mettere in atto in caso di ripresa dell’attività eruttiva. Il

lavoro della Commissione è ancora in corso.

La storia vulcanologica della caldera dei Campi Flegrei negli ultimi 10.000 anni

descritta nel capitolo precedente pone dei vincoli alla definizione dello scenario eruttivo

in caso di ripresa dell’attività in tempi medio-brevi.

L’eruzione del Tufo Giallo Napoletano ed il relativo collasso calderico hanno

significativamente modificato le condizioni del vulcano. Inoltre, la relazione tra

dinamica della caldera del Tufo Giallo Napoletano e localizzazione dei centri eruttivi nel

tempo, mostra che durante il secondo periodo di quiescenza (8.200 – 4.800 anni fa), e, in

particolare, prima dell’inizio della terza epoca, c’è stata una modificazione nel campo di

sforzo all’interno della caldera. Questo campo non ha più subito modificazioni come

dimostrano la geometria delle deformazioni del suolo e la sismicità durante i recenti

eventi bradisismici. Pertanto, ai fini della valutazione della pericolosità della caldera, è

significativo prendere in considerazione gli ultimi 5.000 anni di attività e il suo stato

Page 40: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

36

attuale. Non essendo possibile, come per il Vesuvio, individuare un’eruzione di

riferimento, lo scenario è stato costruito in base alle fenomenologie eruttive (tipo di

eruzione, volume di magma emesso) che più frequentemente si sono manifestate. Queste

sono fondamentalmente caratterizzate da alternanze di esplosioni magmatiche e

freatomagmatiche. Le esplosioni magmatiche determineranno la formazione di una

colonna sostenuta, con un comportamento simile a quello descritto per lo scenario

eruttivo del piano di emergenza “Vesuvio”, e conseguente caduta di particelle al suolo.

Le esplosioni freatomagmatiche genereranno correnti piroclastiche (prevalentemente

surges), che fluiranno al suolo ad alta velocità. In relazione allo scenario eruttivo

ipotizzato dalla comunità scientifica, e alle carte di pericolosità da questa prodotte per le

fenomenologie eruttive, la Protezione Civile ha definito l’area a più alto rischio.

Quest’ultima comprende l’area esposta al pericolo di scorrimento di correnti

piroclastiche, ed individuata come Zona Rossa, attualmente abitata da circa 350.000

persone (Fig. 19).

Fig. 19 – Carta di rischio vulcanico per scorrimento di flussi piroclastici nella caldera flegrea. (Agenzia di

Protezione Civile).

In essa ricadono i comuni di Monte di Procida e Bacoli e parte di quelli di Pozzuoli e

Napoli. In considerazione delle prevedibili variazioni dei parametri fisici e chimici del

Page 41: I VULCANI NAPOLETANI: PERICOLOSITÀ E RISCHIO

37

sistema vulcanico che saranno registrate dal sistema di sorveglianza dell’Osservatorio

Vesuviano, sono stati definiti quattro livelli di allerta (Fig. 20). Questi vanno dal livello

di base, che caratterizza lo stato attuale della caldera, al livello di allarme, caratterizzato

da un’alta probabilità di eruzione. In quest’ultimo caso la Protezione Civile ha previsto

l’allontanamento della popolazione dalla zona rossa, e il suo trasferimento in altre

regioni italiane.

Fig. 20 – Livelli di allerta e relative azioni da parte della comunità scientifica per la caldera dei Campi

Flegrei.

In considerazione degli eventi bradisismici che più volte si sono manifestati negli

ultimi trent’anni, per la porzione di zona rossa che potrebbe esserne interessata, è in

elaborazione un Piano Stralcio per l’emergenza bradisismica, con interventi che

prevedono anche il trasferimento della popolazione coinvolta in strutture della

Campania. Attualmente in elaborazione è anche una dettagliata zonazione dell’ area

napoletano-flegrea esposta al pericolo di caduta di materiale piroclastico, e la

definizione della strategia di intervento in quest’area, denominata Zona Gialla.

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4.5 - Ischia

Il comportamento passato e lo stato attuale del sistema vulcanico di Ischia

suggeriscono che esso è attivo e che potrà dare ancora eruzioni. Inoltre se un’eruzione

dovesse avvenire in tempi brevi o medi, essa potrebbe essere di tipo esplosivo. Pertanto

il sistema vulcanico di Ischia deve considerarsi pericoloso. La popolazione permanente

sull’isola è di circa 50.000 persone, concentrate in sei comuni, e aumenta moltissimo nel

periodo estivo. La pericolosità vulcanica e il valore esposto fanno sì che il rischio

vulcanico sia alto. Sono al momento in corso studi finalizzati alla definizione del

comportamento del vulcano nel passato per poterne prevedere quello futuro a lungo

termine.

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GLOSSARIO

Bomba. Piroclasto di dimensioni superiori a 64 mm, espulso prevalentemente o

completamente fuso durante un’eruzione esplosiva.

Bradisismo. Dal greco βραδιυς = lento e σεισµος = movimento, lento

abbassamento o sollevamento del suolo.

Caldera. Ampia depressione della superficie terrestre formatasi per lo

sprofondamento delle rocce sovrastanti una camera magmatica superficiale, svuotata a

seguito di un’eruzione.

Caldera risorgente. Caldera la cui parte sprofondata è successivamente sollevata per

intrusione di magma.

Camera magmatica. Porzione della crosta terrestre dove il magma ristagna per

periodi più o meno lunghi, prima di raggiungere eventualmente la superficie terrestre e

dar luogo a un’eruzione vulcanica. Ha dimensioni e profondità molto variabili e può

essere in connessione con la superficie attraverso un condotto vulcanico.

Campo vulcanico. Area di estensione variabile in cui sono presenti numerosi centri

eruttivi.

Cenere vulcanica. Piroclasti di dimensioni minori di 2 mm, prodotti durante

un’eruzione esplosiva.

Colata di fango. Colata costituita da frammenti di dimensioni variabili e acqua della

consistenza del cemento appena preparato, che scorre ad alta velocità lungo i fianchi di

un rilievo montuoso. Essa può essere generata direttamente da un’eruzione vulcanica o

per saturazione da parte di acqua di depositi sciolti. Le colate di fango tendono ad

incanalarsi lungo le valli e a fermarsi ai piedi dei versanti.

Colonna eruttiva. Miscela di piroclasti, gas e vapore, emessa durante un’eruzione

esplosiva. Si innalza a grande velocità nell’atmosfera e può raggiungere altezze variabili

in funzione dell’energia dell’eruzione e della forma e dimensione del condotto.

Condotto. Struttura attraverso la quale il magma risale alla superficie. La forma può

variare da quella di un cilindro a quella di una frattura.

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Cono e anello di tufo. Edifici vulcanici formati da un’eruzione freatomagmatica.

Sono costituiti prevalentemente da depositi da surges piroclastici e, subordinatamente, da

depositi da caduta. I coni si differenziano dagli anelli per la maggiore altezza e per il più

alto rapporto fra il diametro della base dell’edificio e quello del cratere.

Cono di scorie. Edificio vulcanico a pianta subcircolare che si forma nel corso di

eruzioni stromboliane. Questi edifici si accrescono per caduta, seguendo traiettorie

balistiche, e accumulo di scorie intorno alla bocca eruttiva.

Cratere vulcanico. Depressione ad andamento subcircolare al di sopra del condotto,

attraverso la quale viene emesso il materiale vulcanico.

Duomo lavico. Edificio vulcanico di forma tozza generato dalla emissione di lava

viscosa.

Deposito piroclastico da caduta. Roccia formatasi per accumulo al suolo di

frammenti piroclastici, lanciati nell’atmosfera durante un’eruzione esplosiva.

Deposito piroclastico da flusso. Roccia costituita da frammenti piroclastici depositati

da un flusso piroclastico. In funzione delle caratteristiche del flusso si possono

distinguere essenzialmente due tipi di depositi. I depositi piroclastici da flusso sono

massivi, mentre quelli da surge sono finemente stratificati e costituiti prevalentemente da

particelle fini.

EDM (electronic distance measurement). L’EDM è una tecnica che utilizza uno

strumento elettronico (distanziometro) che invia un segnale elettromagnetico, il quale

viene riflesso da un opportuno specchio posto alla distanza desiderata, e ritorna allo

strumento stesso. La misura della differenza di fase tra il segnale in andata e quello di

ritorno o del tempo impiegato dall'impulso elettromagnetico a percorrere il tragitto di

andata e ritorno permette il calcolo della distanza tra lo strumento e il riflettore.

Energia delle eruzioni. La somma di energia termica e meccanica liberata durante

un’eruzione. Il rapporto tra l’energia meccanica e l’energia termica determina

l’esplosività di un’eruzione.

Eruzione freatomagmatica. Eruzione vulcanica prodotta dall’interazione del magma

con acqua. Le eruzioni di questo tipo generano una colonna eruttiva che si innalza per

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alcuni chilometri e dalla cui base si espande ad alta velocità una nube di vapore, gas e

particelle a forma di anello, simile al “base surge” delle esplosioni nucleari.

Eruzione pliniana. Da Plinio il Giovane che descrisse l’eruzione vesuviana del 79

d.C., è un’eruzione caratterizzata da esplosioni che producono colonne eruttive che si

innalzano per decine di chilometri. Dalla parte alta della colonna, meno densa e spinta

dai venti in quota, cadono particelle che si depositano su non meno di 500 km2. La parte

più densa della colonna può collassare, generando flussi piroclastici.

Eruzione stromboliana. Dal vulcano Stromboli, è un’eruzione caratterizzata da

esplosioni di bassa energia che si susseguono ad intervalli variabili da secondi a ore. I

brandelli di magma, lanciati fino ad alcune centinaia di metri di altezza, cadendo al

suolo, formano un cono di scorie.

Eruzione subpliniana. Eruzione esplosiva con fenomenologie simili a quelle

dell’eruzione pliniana, ma di energia inferiore e conseguente ridotta distribuzione areale

dei prodotti eruttati.

Eruzione vulcanica. Fuoriuscita di magma, piroclasti o gas, o di tutti

contemporaneamente, dal sottosuolo, attraverso una bocca eruttiva, nell’atmosfera.

L’eruzione può essere effusiva o esplosiva a seconda che il magma fuoriesca senza aver

subito sostanziali modificazioni o si sia trasformato per frammentazione.

Essoluzione. Processo per cui una soluzione inizialmente omogenea si separa in due

o più fasi distinte senza aggiunta o sottrazione di materia.

Flusso piroclastico. Nube più densa dell’aria, costituita da frammenti piroclastici e

gas, e caratterizzata da elevata temperatura e velocità. Molte sono generate dal collasso

di una colonna eruttiva. I flussi piroclastici tendono a scorrere al suolo muovendosi per

effetto della gravità e la loro distribuzione areale è condizionata dalla morfologia. Infatti

essi si incanalano in valli e colmano depressioni, benché alcuni abbiano energia

sufficiente per superare barriere morfologiche. Quando la concentrazione dei frammenti

piroclastici nella miscela solido/gas è bassa, il flusso viene chiamato surge piroclastico.

Fontane di lava. Getti di magma e gas che possono raggiungere altezze di alcune

migliaia di metri nel corso di eruzioni esplosive a bassa energia.

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Frammentazione. Disgregazione di un magma in risalita che può avvenire per

essoluzione di gas, quando la frazione in volume di questi ultimi raggiunge il 75 %

(Frammentazione magmatica) o per improvvisa espansione di un massa d’acqua che

viene attraversata dal magma. La frammentazione determina la trasformazione del

magma da un continuo liquido, con gas e particelle (cristalli, litici), in un continuo

gassoso, con brandelli di magma e particelle solide

Fumarola. Emissione naturale di una miscela di gas e vapore. La rapida variazione di

pressione e temperatura che essa subisce all’atto della fuoriuscita determina la

precipitazione e la cristallizzazione di sostanze minerali.

GPS (Global Positioning System). Sistema di rilevamento satellitare in grado di

determinare la posizione di un punto sulla superficie terrestre sia immobile che in

movimento. Esso utilizza una costellazione di satelliti, circa 24 che orbitano intorno alla

terra a circa 20.000 m di quota, che trasmettono un segnale captato da ricevitori, dotati di

antenna, posti sul punto da localizzare. Questa localizzazione avviene attraverso il

calcolo del tempo di percorrenza del segnale, e permette la determinazione delle

coordinate del punto con elevata precisione.

Ingressione. Sommersione da parte del mare di tratti di terraferma.

Lapillo. Piroclasto di dimensioni da 2 a 64 mm.

Lava. Magma eruttato parzialmente o totalmente degassato che scorre formando una

colata la cui velocità e forma dipendono dalla viscosità del magma, dall’inclinazione del

pendio e della portata alla bocca eruttiva. Il termine viene utilizzato anche per indicare la

roccia che si forma dopo il suo raffreddamento e la solidificazione della colata.

Litico. Piroclasto costituito di roccia formatasi precedentemente ed espulso nel corso

di un’eruzione esplosiva.

Magma. Materiale naturale allo stato fuso, di composizione generalmente silicatica,

in cui sono presenti anche una fase gassosa ed una fase solida, costituita da cristalli.

Piroclasto. Frammento di dimensioni variabili emesso durante un’eruzione esplosiva.

Pomice. Piroclasto altamente vescicolato, generalmente di colore chiaro, poco denso,

capace di galleggiare in acqua.

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Precursori (di un’eruzione vulcanica). L’insieme dei fenomeni connessi alle

variazioni fisico-chimiche di un sistema vulcanico che precedono un’eruzione. La

misura nel tempo dei parametri relativi a queste variazioni consente di effettuare una

previsione a breve termine delle eruzioni vulcaniche.

Quiescenza. Periodo di stasi nell’attività eruttiva di un vulcano.

Roccia piroclastica o piroclastite. Roccia costituita da piroclasti emessi durante

un’eruzione esplosiva.

SAR (Synthetic Aperture Radar). Il radar ad apertura sintetica (SAR) é uno strumento

costituito da un radar di tipo convenzionale montato su una piattaforma mobile (un

aeroplano o un satellite). Il SAR fornisce immagini elettromagnetiche della superficie

terrestre con risoluzione spaziale di qualche metro. Dalla combinazione di due o più

immagini SAR della stessa area (interferometria) si ricavano dettagliati modelli digitali

di elevazione del terreno, e si possono ottenere immagini che evidenziano movimenti del

suolo con elevata precisione.

Scoria. Piroclasto vetroso, vescicolato, di colore scuro, che, a differenza di una

pomice, non galleggia in acqua.

Sistema di sorveglianza vulcanico. Insieme di strumenti di misura, dislocati sul

territorio e generalmente collegati ad una centrale di raccolta dati, che rilevano i

parametri geofisici e geochimici relativi a un sistema vulcanico.

Strato-vulcano. Edificio vulcanico di forma generalmente tronco-conica accresciutosi

per l’accumulo, attorno alla bocca eruttiva, di prodotti di eruzioni effusive ed esplosive.

Surge piroclastico. Nube più densa dell’aria, costituita da frammenti piroclastici e

gas, e caratterizzata da elevata velocità e temperatura variabile, anche se generalmente

elevata. Essa si propaga per moto turbolento. I surges piroclastici sono generalmente

associati a eruzioni freatomagmatiche, scorrono al suolo con elevata mobilità e possono

superare, in funzione delle loro caratteristiche fisiche, anche elevate barriere

morfologiche.

Terrazzo marino. Struttura morfologica pianeggiante originatasi per l’azione del

moto ondoso sul fondo del mare in prossimità della costa durante un’ingressione, e

successivamente emersa.

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Terremoto. Rapido movimento della superficie terrestre dovuto al passaggio di onde

elastiche generate dalla rottura di rocce costituenti la parte più rigida dell’interno della

terra, la litosfera. Il punto in cui avviene la rottura si chiama ipocentro. Il punto della

superficie terrestre posto sulla verticale dell’ipocentro è detto epicentro.

Tufo. Roccia formatasi per il consolidamento di un deposito piroclastico, costituito

prevalentemente da cenere vulcanica.

Vescicolazione. Formazione di vescicole (bolle) in un magma che si avvicina alla

superficie terrestre, per effetto dell’essoluzione di gas indotta dalla diminuzione di

pressione.

Vulcano. Luogo della superficie terrestre in corrispondenza del quale si ha la

fuoriuscita di lave, gas, e prodotti piroclastici che accumulandosi formano un edificio

vulcanico.

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LETTURE CONSIGLIATE

I Vulcani - Quaderni de “Le Scienze”. Gasparini P. (a cura di) (1983).

L’attività vulcanica - Quaderni de “Le Scienze”. Gasparini P. (a cura di) (1987).

Un viaggio al Vesuvio - Gasparini P., Musella S. (1991) - Liguori. Napoli.

Vesuvio 1944: L'ultima eruzione - Pesce A. e Rolandi G. (1994) - S. Sebastiano al

Vesuvio (NA).

Eruzioni vulcaniche - Quaderni de “Le Scienze”. Barberi F. (a cura di) (1996).

Il Vesuvio - Storia eruttiva e teorie vulcanologiche - Nazzaro A. (1996). Liguori.

Napoli.

Storia geologica e deformativa della caldera dei Campi Flegrei - In: Archeologia e

Vulcanologia in Campania. (1998), 17-28. Orsi G., de Vita S., Di Vito M., Isaia R..

Arte Tipografica, Napoli.

Sito WEB dell’Osservatorio Vesuviano: www.ov.ingv.it