I care numero II anno 2011

12
Il corbezzolo pianta del Risorgimento italiano Mille piante per mille garibaldini Anno 9, Secondo Numero Maggio 2011 Istituto don Lorenzo Milani Liceo Linguistico, Musicale, delle Scienze Umane e delle Scienze Umane con opzione economico-sociale Per l‟occasione delle celebrazioni dei 150 anni dell’Unità d’Italia, il comitato appositamente costituitosi, l‟ANFOR (Associazione Nazionale Forestali) e la regione Puglia hanno pro- mosso l‟iniziativa “Mille corbezzoli per mille Garibal- dini”. Obiettivo del proget- to la diffusione di questo alberello in giardini pubbli- ci e spazi verdi urbani as- sociando ad ogni pianta il nome di un Garibaldino dei Mille che partirono da Quarto, per liberare la nostra Italia Meridionale dalla tirannide. Undici i siti scelti in provincia di Bari e tra questi il giardino del Liceo Don Milani. La mani- festazione di piantumazio- ne, alla presenza del Sinda- co, del Dirigente scolasti- co e di altre autorità si è svolta mercoledì 20 aprile presso il sito scelto. Ma come mai la scelta è caduta proprio sul corbez- zolo. Questo alberello nel Risorgimen- to per i suoi tre colori portati con- temporaneamente – il verde delle fo- glie, il bianco dei fiori e il rosso dei frutti proprio come la bandiera del nascente Stato italiano – divenne il simbolo della lotta di indipendenza. In autunno i cespugli del sempreverde corbezzolo, carichi di bianchi fiori e di frutti rossi, spiccano nei boschi del cen- tro-sud. Gli antichi lo associarono alla dea Carna, protettrice del benessere fisico: con un rametto di corbezzolo tra le mani, la dea scacciava gli spiriti mali- gni. Un corbezzolo compare anche nello stemma della città di Madrid. I romani consigliavano moderazione nel consumo delle corbezzole. Non a caso il nome latino della pianta è Arbutus unedo, da unum edo, ne mangio uno. Le corbezzo- le, che ricordano un po' una fragola ma sono tondeggianti, sono piccole, con la buccia rugosa e la polpa morbida e giallognola, ricca di semini. Si raccolgo- no quando sono belle rosse e morbide al tatto. Hanno allora sapore dolce e acidulo e si prestano alla preparazione di marmellate e bevande, oltre che alla conservazione sotto spirito. Sotto il profilo botanico il Corbezzolo è un un picco- lo albero appartenente alla famiglia delle Ericaceae, diffu- so nei paesi del Mediterra- neo occidentale. Il poeta Giovanni Pascoli dedicò al corbezzolo una poesia. In essa si fa riferimento al pas- so dell'Eneide in cui Pallante, ucciso da Turno, era stato adagiato su rami di corbez- zolo; il poeta vide nei colori di questa pianta una prefigu- razione della bandiera nazio- nale e considerò Pallante il primo martire della causa nazionale. Recita l'ode di Pascoli: O verde albero italico, il tuo maggio è nella bruma: s‟anche tutto muora, tu il giovanile gonfalon selvaggio spieghi alla bora. E allora, corbezzoli! Buon corbezzolo a tutti noi. Prof. Nicola Tedesco Cerimonia “Mille corbezzoli per mille garibaldini”: il Sindaco di Acquaviva delle Fonti con gli studenti del “Don Milani” mette a dimora alcuni piante di corbezzolo. 20 aprile 2011

Transcript of I care numero II anno 2011

Page 1: I care numero II anno 2011

Il corbezzolo pianta del Risorgimento italiano Mille piante per mille garibaldini

Anno 9, Secondo Numero Maggio 2011

Ist i tuto don Lorenzo Milani Liceo Linguistico, Musicale, delle Scienze Umane e delle Scienze Umane con opzione economico-sociale

Per l‟occasione delle celebrazioni dei

150 anni dell’Unità d’Italia, il comitato

appositamente costituitosi, l‟ANFOR

(Associazione Nazionale Forestali) e la

regione Puglia hanno pro-

mosso l‟iniziativa “Mille

corbezzoli per mille Garibal-

dini”. Obiettivo del proget-

to la diffusione di questo

alberello in giardini pubbli-

ci e spazi verdi urbani as-

sociando ad ogni pianta il

nome di un Garibaldino

dei Mille che partirono da

Quarto, per liberare la

nostra Italia Meridionale

dalla tirannide. Undici i siti

scelti in provincia di Bari e

tra questi il giardino del

Liceo Don Milani. La mani-

festazione di piantumazio-

ne, alla presenza del Sinda-

co, del Dirigente scolasti-

co e di altre autorità si è

svolta mercoledì 20 aprile

presso il sito scelto.

Ma come mai la scelta è

caduta proprio sul corbez-

zolo. Questo alberello nel Risorgimen-

to per i suoi tre colori portati con-

temporaneamente – il verde delle fo-

glie, il bianco dei fiori e il rosso dei

frutti proprio come la bandiera del

nascente Stato italiano – divenne il

simbolo della lotta di indipendenza.

In autunno i cespugli del sempreverde

corbezzolo, carichi di bianchi fiori e di

frutti rossi, spiccano nei boschi del cen-

tro-sud. Gli antichi lo associarono alla

dea Carna, protettrice del benessere

fisico: con un rametto di corbezzolo tra

le mani, la dea scacciava gli spiriti mali-

gni. Un corbezzolo compare anche nello

stemma della città di Madrid. I romani

consigliavano moderazione nel consumo

delle corbezzole. Non a caso il nome

latino della pianta è Arbutus unedo, da

unum edo, ne mangio uno. Le corbezzo-

le, che ricordano un po' una fragola ma

sono tondeggianti, sono piccole, con la

buccia rugosa e la polpa morbida e

giallognola, ricca di semini. Si raccolgo-

no quando sono belle rosse e morbide

al tatto. Hanno allora sapore dolce e

acidulo e si prestano alla

preparazione di marmellate

e bevande, oltre che alla

conservazione sotto spirito.

Sotto il profilo botanico il

Corbezzolo è un un picco-

lo albero appartenente alla

famiglia delle Ericaceae, diffu-

so nei paesi del Mediterra-

neo occidentale. Il poeta

Giovanni Pascoli dedicò al

corbezzolo una poesia. In

essa si fa riferimento al pas-

so dell'Eneide in cui Pallante,

ucciso da Turno, era stato

adagiato su rami di corbez-

zolo; il poeta vide nei colori

di questa pianta una prefigu-

razione della bandiera nazio-

nale e considerò Pallante il

primo martire della causa

nazionale.

Recita l'ode di Pascoli:

O verde albero italico, il tuo maggio

è nella bruma: s‟anche tutto muora,

tu il giovanile gonfalon selvaggio

spieghi alla bora.

E allora, corbezzoli! Buon corbezzolo

a tutti noi.

Prof. Nicola Tedesco

Cerimonia “Mille corbezzoli per mille garibaldini”: il Sindaco di Acquaviva

delle Fonti con gli studenti del “Don Milani” mette a dimora alcuni piante

di corbezzolo. 20 aprile 2011

Page 2: I care numero II anno 2011

PAGINA 2 ANNO 9 , SECONDO NUME RO

Il corbezzolo 1

Risorgimento rosa 2

Lettera ad una professoressa 3

Giornata della memoria 4

Io leggo perché ... 5

Beati noi che studiamo il latino 6

Lettera a Maria Stella Gelmini 7

Io non ci sto agli stereotipi 8

Facebook: buono, brutto o cattivo 9

Quando i muri parlano 9

La vera storia di Don Clemente 10

Scomparse 11

Ti consiglio di non sprecare l‟acqua 11

Lettera di commiato alla vita da liceale

12

Fumetti in lingua 6-7-8

Sommar io:

La Redazione A.s. 2010/2011

Docenti: Fabio Caruso, Adriana Cassone,

Mariella Nardulli

Studenti: Pamela Palmirotta, Alessia

Gurabardhi, Greta Ciccarone, Paola

Nerilli, Giovanni Palattella, Marino

Caporusso, Lucia Lomuscio, Selene

Alberto, Giovanni D‟Elia, Alessio Giorgio,

Annalisa Petrera, Ester Pappalardo, Paola

Valentino, Maria Teresa D‟Ippolito,

Giovanna Franco, Gianluca Ferrulli, Rosita

Giove, Lucia Valentino, Nadia Andriola,

Maria Laura Giove, Dalila Tigri, Antonella

Lamanna, classi 4° AP, 1°A Scienze Umane

Inoltre hanno collaborato:

prof.ssa Giuditta Occhiogrosso, prof.ssa

Annamaria Dimaggio, prof.ssa Laura Nitti,

prof.ssa Annamaria Impemba, prof.

Nicola Tedesco.

Risorgimento rosa Siamo stati abituati a pen-

sare alle rivoluzioni come

a qualcosa di prettamente

appartenente alla dimen-

sione maschile. E in un‟e-

poca di conflitti qual è

stata quella del Risorgi-

mento, la donna era rele-

gata nel focolare domesti-

co, senza prender parte

alle rivolte in atto in que-

gli anni. Unico diversivo

per alcune, era quello di

cucire le famose “camicie

rosse” dei garibaldini. E

se è vero che, come ha

affermato Virginia Woolf

che “dietro un grande

uomo c‟è sempre una

grande donna”, non pos-

siamo dimenticare Anita,

l‟emblema per eccellenza

della donna del tempo, e

compagna dell‟”eroe dei

due mondi” Giuseppe

Garibaldi, che con corag-

gio e determinazione l‟ha

sempre seguito e sostenu-

to durante le eroiche

gesta.

Purtroppo le testimonian-

ze storiche non hanno

messo in luce molte altre

donne patriote; con orgo-

glio meridionale, possiamo

annoverare, invece, due

figure di straordinario rilie-

vo per la realizzazione del

progetto che mirava ad

un‟Italia unita e indipen-

dente.

La prima, Laura Battista, di

origini lucane, fin dalla più

tenera età si era fatta nota-

re per il suo animo liberale

e la sua raffinata prepara-

zione culturale, tanto da

fregiarsi dell‟appellativo di

“Leopardi in gonnella” per

la qualità delle composizio-

ni liriche e del fortunato

dramma storico ispirato

alle vicende di un giacobino

di Minervino Murge, fauto-

re della rivolta che scoppiò

a Napoli nel 1794.

Oltre la poetessa, ricordia-

mo le vicissitudini della

gentildonna pugliese Anto-

nietta De Pace, d‟estrazio-

ne sociale medio - alta, che

sin da giovanissima si schie-

rò contro il totalitarismo

dei Borbone. Prodezza e

audacia certamente non le

mancavano sicché, trave-

stita da uomo, prese par-

te ai moti del 1848. Colla-

borò con il comitato na-

poletano della “Giovine

Italia” ed istituì un circolo

femminile. Dovette sop-

portare la vergogna di un

processo e della galera

per le sue idee rivoluzio-

narie ma, non appena

ebbe riacquistato la liber-

tà, abbracciò la causa della

battaglia politica tanto che

nel settembre del 1860

entrò vittoriosa con Gari-

baldi a Napoli, avvolta nei

colori della bandiera na-

zionale. Per i suoi meriti

le furono affidati la gestio-

ne dell‟Ospedale del Gesù

ed un vitalizio “per i danni

e le sofferenze subite per

causa della libertà”.

Lucia Lomuscio 3^ D L

Sommario

Page 3: I care numero II anno 2011

Cara Professoressa,

forse non terrà conto di queste parole,

frasi abbozzate da alunne che hanno solo

voglia di far sentire la loro voce, dopo aver

riflettuto con molta attenzione su quanto

scritto da alcuni ragazzi della scuola di Bar-

biana, esperienza educativa avviata negli

anni „50 dal priore don Lorenzo Milani.

Il loro libro Lettera ad una professoressa

sembra quasi un canto di fede nella scuola,

nonostante le umiliazioni e le sconfitte

subite da questi stessi ragazzi.

E‟ in questa ottica che noi abbiamo letto il

libro ed ora ci accingiamo a scriverle questa

lettera.

Barbiana era una scuola particolare: studio

duro 10 ore al giorno per tutti i giorni,

compreso la domenica, le feste e l‟estate.

Non vi erano voti, né pagelle, né rischio di

bocciare o ripetere.

Era una scuola esigente, dai vasti interessi

dove si indicava un obiettivo alto: studiare

per uscire insieme dai problemi.

Uno dei ragazzi di questa scuola scriveva

nel libro “Ma se si perde loro, la scuola non

è più scuola. E‟ un ospedale che cura i sani

e respinge i malati”.

Oggi, a distanza di anni, la scuola è vera-

mente cambiata?

Continua ad essere un “ospedale che cura i

sani e respinge i malati” o un ospedale che

cura i malati e rende più forti i sani? Non

sembra spesso un parcheggio utile per per-

dere del tempo, un obbligo che bisogna

adempiere, perché imposto dallo Stato?

In realtà noi alunni siamo disorientati tra

ciò che apprendiamo nella scuola e ciò che

apprendiamo attraverso i mass-media.

Forse sarebbe necessario avvicinarsi mag-

giormente al nostro mondo degli alunni, un

mondo che risulta ogni giorno sempre più

tecnologico.

Le lezioni dovrebbero essere coinvolgenti

ed i ragazzi esserne il centro propulsore.

Non si può chiedere a noi alunni di essere

insegnanti, siamo semplicemente studenti,

ognuno diverso dall‟altro. Noi abbiamo

bisogno di parole di incoraggiamento e non

di uno sguardo pietrificante come quello

di Medusa.

Si dovrebbe andare a scuola per la voglia di

apprendere e per sete di conoscenza, pro-

prio ciò che spingeva Ulisse a continui ed

interminabili viaggi.

Quanti alunni, invece, studiano solo per

ottenere un buon voto, senza capire fino in

fondo le materie che studiano?

A cosa serve avere la sufficienza e poi non

saper niente?

Si pensa semplicemente al voto, ai debiti e

alla pagella di fine anno.

Si è chiesta perché? La risposta è semplice:

ci sentiamo in ogni momento giudicati.

Sarebbe divertente per noi mettere i voti

anche a lei, professoressa, e magari bocciar-

la come ha fatto con i suoi alunni: il sogno

di una vita.

I voti sembrano solo una punizione da subi-

re, numeri che spesso fanno soffrire.

Si è terrorizzati dal giudizio finale. Per molti

è appagante essere promossi a pieni voti e

mostrare la tanta sospirata pagella ai com-

pagni che hanno avuto qualche ”misera

sufficienza”, quella sufficienza, per cui un

alunno bocciato venderebbe l‟anima. I boc-

ciati si possono dividere in due categorie:

nella prima ci sono quelli che, demoralizza-

ti, studiano, ottenendo nient‟altro che la

disapprovazione di tutti, poi ci sono quelli,

a cui un‟ulteriore bocciatura provoca aper-

ta ribellione ed l‟assurda convinzione che

studiare sia inutile e che sia ormai troppo

tardi per recuperare.

Bisogna, invece, essere tenaci e scegliere di

frequentare una scuola, consapevoli delle

materie che si studiano e non perché non si

sappia dove andare o per seguire scelte dei

propri genitori. Bisogna prefiggersi degli

obiettivi e affrontare le difficoltà con buona

volontà.

La scuola deve essere formativa, non selet-

tiva e, qualora esistano disuguaglianze cultu-

rali tra ragazzi di provenienze sociali diver-

se, tocca alla scuola sanarle e non scacciare

per la strada, prima del tempo, i ragazzi in

difficoltà.

Una delle difficoltà più frequentemente

incontrate è quella di imbattersi in metodi

diversi, non solo passando da una disciplina

all‟altra, ma da un docente ad un altro della

stessa disciplina. Un buon metodo di studio

aiuta ad affrontare i vari argomenti con

semplicità.

Alcune materie possono essere anche inte-

ressanti, ma forse lo stesso insegnante può

renderle “antipatiche”. Molti non riescono

a capire ciò che studiano e finiscono per

non studiare affatto.

In realtà, professoressa, lei dovrebbe amare

il suo mestiere, provare piacere nello stare

con i loro ragazzi ed esserne la guida per

una crescita sana corretta, senza alcun tipo

di distinzione.

Si può affermare che oggi non esiste più

nessuna forma di discriminazione verso

alunni poveri e ricchi, ma per quanto ri-

guarda le cosiddette “preferenze” la situa-

zione forse non è molto cambiata. Lei, co-

me molti altri professori, forse preferisce i

ragazzi che la riempiono di moine, di com-

plimenti e di sorriseti falsi. Certo gli alunni

cercano sempre qualche scorciatoia, ma si

dovrebbero impedire questi imbrogli e

insegnare loro a difendere la propria digni-

tà .

Il motto da scrivere dovrebbero essere:

“Diventa uomo di valore, non di successo”:

è per questo che gli insegnanti meritano di

essere pagati, non per insegnare ciò che è

inutile.

La cultura è l‟unica arma che noi giovani

abbiamo per non essere ingannati dal siste-

ma, per essere in grado di dire “no” alle

ingiustizie e difendere la democrazia attra-

verso forti ideali. Senza la cultura di molti, il

potere andrebbe nelle mani di pochi.

I continui tagli alla scuola pubblica portano

inevitabilmente ad un calo di qualità, per

non parlare delle classi formate da trenta

alunni.

Alla scuola viene dato poco spazio e vengo-

no tolte tante cose, fra cui soldi per miglio-

rarla e renderla competitiva rispetto ad

altre enti o istituzioni.

Cosa dovremmo apprendere con la ridu-

zione di ore scolastiche?

Nessuno più ha tempo. Le ore si riducono,

i programmi si ampliano e tutto procede

frettolosamente. Così gli argomenti, dopo

l‟interrogazione, vengono completamente

dimenticati o rimossi.

Sarebbe preferibile fare il tempo prolunga-

to, andare a scuola anche il pomeriggio, per

arricchire il proprio percorso di studi e

poter svolgere meno compiti a casa, anche

se questi sono utili per verificare la cono-

scenza degli argomenti.

Odiabile ci sembra l‟idea che si possa otte-

nere di parlar corretto solo da un libro di

grammatica: si dovrebbe imparare prima

l‟arte dello scrivere e dopo applicarvi le

regole.

Inoltre sarebbe meglio sostituire l‟ora di

religione con lezioni di educazione civica o

sessuale oppure arricchire il sapere con la

conoscenza delle varie e diverse religioni

presenti nel mondo. Insegnare la sola reli-

gione cattolica è inutile, perché già studiata

durante il percorso di catechesi.

Si dovrebbero dedicare poi almeno due

ore settimanali alla discussione politica a

alla lettura di argomenti di attualità. Come

sostenevano i ragazzi di Barbiana, dai 12 ai

15 anni si deve apprendere la parola, mentre

dai 15 ai 21 è il momento di usarla nei partiti

e nei sindacati ed ora come non mai la no-

stra società ha bisogno di rinnovamento.

La prego di riflettere su quanto scritto,

altrimenti sarà stato tutto inutile e questa

rimarrà soltanto…una lettera ad una pro-

fessoressa.

Ora siamo qui ad aspettare una risposta.

Abbiamo fiducia che arriverà.

classe I A Scienze Umane

Lettera ad una professoressa

PAGINA 3 ANNO 9 , SECONDO NUME RO

Page 4: I care numero II anno 2011

1° giorno: Uffa, la prof.ssa di italiano ci

costringe a partecipare, chissà che

noia: bisognerà imparare a memoria il

copione! Quanto tempo perso! E poi

perché continuiamo a parlare di questa

Shoah?!

1° settimana: Le parti ci sono state

consegnate; Sono lunghe e piene di

parole difficili, ci sembrano veramente

troppo lontane dalle nostre capacità.

La prof ci appare un po‟ scoraggiata.

2° settimana: La prof.ssa ci ha chiamati

fuori dalla classe durante l‟ora di psico-

logia, che fortuna, dovevamo essere

interrogati!

Dopo esserci riuniti fuori, abbiamo

provato la parte ma siamo ancora lon-

tani da un risultato accettabile. Povera

prof!

3° settimana, giorno prima della rap-

presentazione: dopo varie prove, tutte

molto faticose, ci accorgiamo che man-

ca solo un giorno alla „‟nostra fine‟‟.

Siamo un po‟ nel panico. La prof lo è

più di noi!!

26 Gennaio, giorno del debutto: Ci

sono moltissime persone; Noi „‟attori‟‟

facciamo chiasso, siamo molto nervosi!

È arrivata l‟ora , siamo pronti, il sipario

si apre …

Iniziamo la rappresentazione, ci trema-

no le mani! Ma miracolosamente tutto

sembra andare a posto.

Incredibile! Soprattutto le nostre parti,

le leggiamo con le giuste inflessioni …

Non riusciamo a crederci ( ci sembra

che anche la professoressa sia sbalordi-

ta, era più spaventata di noi!).

Terminata la rappresentazione, ci ap-

plaudono, siamo davvero soddisfatti!

Domani sarà più facile davanti ai com-

pagni … o più difficile?

Giovedì: Anche questa volta è andata

bene. Abbiamo imparato a lavorare

insieme, ma anche a riflettere su cose

che tutti noi non conosciamo.

Gianluca Ferrulli, 1^ AS

26 gennaio 2011: Giornata della memoria

Diario di sette partecipanti “volontari‟‟

PAGINA 4 ANNO 9 , SECONDO NUME RO

Drammatizzazione in occasione della

giornata della memoria. Auditorium “Don

Milani”. 27 gennaio 2011

Concerto orchestra di chitarre. Auditorium “Don Milani”. 3 marzo 2011

Page 5: I care numero II anno 2011

Girovagando per le classi, ad ogni pro-

fessore, abbiamo dato un foglio con

scritte due semplici domande :

IO LEGGO PERCHE‟ e IO NON LEG-

GO PERCHE‟ .

Ci sono state delle risposte abbastanza

semplici, ad esempio „‟ io leggo perché

mi piace‟‟ , „‟ io leggo perché in questo

modo sono sempre informata sull‟attualità

„‟ , „‟ io leggo perché è necessario un ag-

giornamento sulle tematiche oggetto di

insegnamento „‟ oppure „‟ io leggo perché

mi distraggo „‟ , „‟ io leggo perché mi piace

essere informata su tutto, ma anche per-

ché la lettura rappresenta il mio hobby e

la mia passione ‟‟ .

Altre, invece, ci hanno colpiti di più.

Eccole qui riportate :

IO LEGGO PERCHE’ ..

È importante essere informati e

consapevoli. Il momento politico

del paese è troppo tragico per

permettere alla “casta” di farla

franca anche grazie alla nostra

disinformazione e ignoranza .

È utile allenare la mente a rifugiarsi

in contesti astratti o reali, ma dif-

ferenti dal quotidiano.

È la cosa più bella al mondo, per-

ché apre la mente e fa viaggiare.

Grazie alla lettura continuo a „‟

viaggiare „‟ pur rimanendo ferma.

Ogni libro è un viaggio dove in-contro persone e conosco luoghi.

Scopro mondi meravigliosi in cui

proiettarmi e perché la mia mente

si dispone scegliendo le mie

preoccupazioni in situazioni di-

stensive.

Arricchisco la mia mente, scopro

nuove cose, ho modo di confron-

tarmi.

Ho sempre amato la lettura come

ulteriore strumento culturale ed

etico, rinnegando totalmente gli

stupidi strumenti elettronici oggi

molto diseducativi.

La lettura mi fa viaggiare con la

fantasia. Vivo mille altre vite.

Leggere significa scoprire sempre

un‟altra parte di se stessi.

Leggendo „‟ si cresce „‟ .

Voglio capire me stessa, gli altri, il

mondo .

Amo identificarmi nella vita dei

protagonisti e vivere le loro emo-

zioni e sentimenti.

È interessante conoscere e sapere

quello che succede all‟interno

dell‟Istituto e poi è bello vedere i

ragazzi che si cimentano nello scri-

vere articoli di diversi argomenti.

.. IO NON LEGGO PERCHE’

E‟ impossibile !

Ho sempre meno tempo !

Alle volte sono stanca .

Giovanna Franco 1^AS

Io leggo perché...

PAGINA 5 ANNO 9 , SECONDO NUME RO

Presentazione del romanzo “Che giorno sarà”: Enrico Ruggeri incontra gli studenti del “Don Milani”.

Page 6: I care numero II anno 2011

Il nostro è un articolo di risposta per

coloro che, nella precedente edizione

del giornalino scolastico, hanno

sostenuto di essere fortunati ad aver

abolito il latino dalle loro discipline di

studio. Noi, alunne del Don Milani,

appartenenti al corso delle scienze

umane, studiamo, invece, 3 ore di

latino a settimana.

Le nostre lezioni non sono mai noiose

e le consideriamo altamente formative.

Adesso vi spieghiamo il perché:

Studiare una “lingua morta” o meglio

“storicamente definita” (non più

soggetta a trasformazioni), libera dalla

pressione psicologica di un approccio

solo “comunicativo” ai fattori linguistici

e consente un‟analisi più consapevole e

metodologicamente approfondita.

Favorisce, inoltre, l‟acquisizione di una

forma mentis scientifica. << Tradurre è

interpretare; interpretare è risolvere

problemi attraverso ipotesi e

confutazioni. L‟attività di traduzione è

un autentico lavoro scientifico>>.

Per tradurre , infatt i , occorre

considerare molte variabili, operare

confronti, formulare e verificare

ipotesi, scegliere le soluzioni più

ragionevoli, risolvere problemi, come

nel problem-solving che rimane la vera

didattica di qualunque disciplina.

Quale vantaggio per le nostre menti,

più abituate ad “assorbire” che a

ragionare!

Riflettere sul latino ci apre, poi, un

universo linguistico a noi sconosciuto:

circa il 50% di tutti i vocaboli italiani e

ben il 98% delle 60.000 parole del

nostro lessico-base sono esiti italiani o

hanno etimologia latina.

Che emozione scoprire che molti dei

v o c a b o l i c h e u t i l i z z i a m o

quotidianamente hanno origine latina:

“alba”=“bianco”, “agenda”=“le cose da

f are” , “a l i a s”=“det to anche” ,

“curriculum vitae”=“carriera della

vita” , “def icit”=“mancanza di

qualcosa”, “excursus”=“digressione

(parentesi storica)”, “idem”=“la

medesima cosa”, ”in itinere”=“durante

il percorso”, “rebus”=“rompicapo”,

“salve”=“sta bene (formula di saluto)”,

etc.

Dalla conoscenza del latino deriva un

incredibile arricchimento del lessico,

sempre più impoverito dalla frettolosa

comunicazione tramite SMS e

dall‟italiano “televisivo”.

Le poche parole in nostro possesso,

sono un limite per la comunicazione e

per la comprensione dei testi.

Studiare e tradurre il latino permette,

inoltre, un indispensabile confronto

cont rast ivo con l e st ru tture

morfosintattiche della nostra lingua

materna neolatina.

Quante volte l‟insegnante d‟italiano ci

ha ripreso per uno scorretto uso dei

costrutti subordinati o dell‟uso dei

congiuntivi? Lo studio del latino ci aiuta

a recuperare l a corre t tezza

morfosintattica.

Conoscere il latino e saper tradurre

non sono, comunque, il fine del nostro

studio ma solo un mezzo per poter

leggere in originale pagine di grandi

classici come Catullo, Orazio, Tacito,

Virgilio, Seneca, Agostino …

Quale fonte di humanitas nelle pagine

dei nostri “padri”!

Quanti conoscono l‟ “homo sum” di

Terenzio, quanti i messaggi di Seneca

sulla “perfettibilità” dell‟uomo o

sull‟uso efficace del tempo, in un‟epoca

di “frettoloso agire”ma di scarsa

riflessione su “cosa è giusto fare”?

Ci sorge un dubbio: hanno ridotto o

eliminato lo studio del latino perché le

nostre menti si “addormentino” e

“masse informi” possano essere

facilmente manipolate?

Non lo sappiamo, ma siamo orgogliosi

di appartenere alla STIRPE DEI

LATINISTI!

Valete!

4^ AP e 1^ AS

Beati noi che studiamo il latino!

PAGINA 6 ANNO 9 , SECONDO NUME RO

Page 7: I care numero II anno 2011

PAGINA 7 ANNO 9 , SECONDO NUME RO

A Maria Stella Gelmini

Ministro della Pubblica Istruzione

Roma

La sottoscritta, studentessa del Liceo

Statale “Don L. Milani” di Acquaviva

delle Fonti, Le scrive questa lettera per

riflettere e discutere su alcuni punti

della sua Riforma.

Si cominciò a parlare di Riforma dell‟U-

niversità ben due anni fa. L‟idea, alla

quale tutti sembravano d‟accordo, ave-

va come valori l‟autonomia, la respon-

sabilità, la valutazione ed il merito.

In realtà la Sua Riforma, approvata il 23

dicembre 2010, appare lesiva dell‟auto-

nomia degli Atenei, nonostante questo

principio sia stato espresso nella nostra

Costituzione (Art. 33, comma 6): “Le

Istituzioni di alta cultura, Università ed

Accademie hanno il diritto di darsi

ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti

dalle leggi dello Statuto”.

Per non parlare poi del taglio di 8 mi-

liardi e mezzo di euro alla scuola pub-

blica, di 1 miliardo e mezzo all‟Univer-

sità pubblica e dei 232 enti culturali e

di ricerca “definanziati”. A questi tagli

si aggiunge “ovviamente” il finanzia-

mento alle scuole private.

In tal modo come si può garantire la

formazione delle future generazioni?

Qui Le si pone la prima domanda, a cui

forse potrà dare quella risposta difficile

da trovare.

Si dovrebbe porre, inoltre, l‟attenzione

sulle numerosissime mobilitazioni stu-

dentesche, che lei ha ritenuto poco

valide, in quanto “hanno riproposto

vecchi slogan di chi vuole mantenere lo

status quo, essendo aprioristicamente

contro qualsiasi cambiamento”

In tal modo non ha preso minimamen-

te in considerazione gli ideali di migliaia

e migliaia di studenti che si sono river-

sati nelle piazze italiane per protestare

e tentare di farsi ascoltare. Oltre ad

urlare il loro NO alla sua Riforma, gli

studenti hanno parlato di una proposta

di rinnovamento, di “Altra Riforma”

per ottimizzare l‟apprendimento e ren-

dere gli studenti attivi protagonisti di

una società in continua evoluzione,

credendo e lottando per la realizzazio-

ne di valori quali l‟uguaglianza e la giu-

stizia sociale. Nella manifestazione il

principale slogan è stato” Giù le mani

dalla scuola pubblica e dal diritto allo

studio” .

La Sua Riforma ,in effetti, non è altro

che l‟ennesimo attacco alla Scuola pub-

blica, attraverso dei tagli che riducono

notevolmente l‟accesso alla conoscen-

za.

Come si può dar torto a quei ragazzi

che hanno urlato: ”Ci vogliono igno-

ranti, ci avranno ribelli”?

La sua risposta è stata una non risposta

agli studenti o ,forse, noi tutti dovrem-

mo trovarla in quell‟inno nazionale che

150 anni di storia non hanno cancella-

to, un vero e proprio invito a svegliar-

ci, un incitamento alla lotta per essere

ascoltati, consultati e coinvolti, in mo-

do da realizzare percorsi formativi che

permettano l‟effettivo esercizio dei

propri diritti.

Le si chiede, pertanto, di tenere in

maggior conto le esigenze specifiche

della scuola italiana, mettendo a dispo-

sizione le necessarie risorse umane e

finanziarie.

Confidando in un Suo cortese riscon-

tro in merito, Le porgo distinti saluti.

Rosita Giove I^ AS

Lettera a Maria Stella Gelmini

Page 8: I care numero II anno 2011

PAGINA 8 ANNO 9 , SECONDO NUME RO

Io non ci sto agli stereotipi Siamo vittime di una dittatura mediatica

Vi siete mai chiesti qual é l‟immagine

delle donne che propone la televisione

italiana? Da trent‟anni siamo ingabbiate

in un modello unico di donna che non

ci appartiene, che intende il corpo

femminile come un fenomeno da circo,

trasmettendo un‟idea di donna

contraffatta che non rispecchia affatto

quella che è la realtà.

Il target di bellezza sempre più

ristretto prevede corpi gonfiati a

dismisura, volti cancellati e privati di

ogni espressione grazie all‟intervento di

lifting e botulino. Le nostre facce

rappresentano la nostra storia, il

nostro vissuto. Oggi abbiamo bisogno

di facce che raccontino delle storie, di

volti che non si nascondano dietro una

finta e perenne giovinezza. In un paese

realmente democratico la tv pubblica,

ma anche quella privata, dovrebbe

offrire ai ragazzi tutti gli elementi

necessari per crescere ed avere delle

alternative, ma questo non sarà

possibile finché avremo una televisione

che propone un modello unico di

donna, corpo-oggetto. Siamo vittime di

una dittatura mediatica in cui il corpo

della donna è stato fatto passare come

una merce di scambio e di questo

nell‟ormai lontano 1972, un grande

intellettuale italiano come Pierpaolo

Pasolini, se n‟era già accorto. In una

celebre intervista affermò: “Qui la

donna è considerata a tutti gli effetti un

essere inferiore, viene delegata a

incarichi di importanza minima come

per esempio informare dei programmi

della giornata”.

È ora di dire basta a questo uso

perverso del corpo femminile usato

come cornice di una televisione

sessista e maschilista. Questi corpi

televisivi non si muovono verso una

reale emancipazione e lasciano passare

un messaggio gravissimo: se non

appaiamo non esistiamo. Non solo la

tv, ma anche la pubblicità degrada

l‟immagine delle donne attraverso un

uso dei corpi utilizzati per promuovere

automobili, divani e tanti altri oggetti di

uso comune, un voyeurismo sottile che

ci colpisce tutte quante. Il corpo

femminile non va, però, demonizzato,

non basta “coprire” le donne. Il corpo

delle donne, anche scoperto non è

qualcosa di cui vergognarsi o da

censurare, semmai lo è la sua

mercificazione. Una comunicazione che

sta dalla parte delle donne dovrebbe

proporre modelli estetici che non

siano finti e irraggiungibili, ma che

tengano conto di ciò che noi siamo

veramente.

Un altro genere di comunicazione in

Italia oggi è possibile, grazie al lavoro

prezioso di donne a cui va riconosciuto

di aver risvegliato le coscienze da

tempo addormentate . Non va

dimenticato il costante impegno di

molte giovani blogger italiane, che da

un anno a questa parte hanno portato

avanti una protesta civile di denuncia

verso le aziende che non rispettano i

nostri corpi, ottenendo molto spesso il

ritiro di campagne pubblicitarie

offensive e lesive. Le battaglie, se

portate avanti da soli non servono,

perciò è importante essere sempre di

p i ù a c o m b a t t e r e p e r u n a

rappresentazione pluralista della donna

da parte dei media. A questo proposito

voglio segnalarvi alcuni dei blog che si

occupano di queste tematiche: Vita da

Streghe, Il Corpo delle Donne, un altro

genere d i comun i ca z ione , e

l‟associazione Pari o Dispare.

Chiedo a tutte voi un piccolo

contributo, segnalando allo IAP

( I s t i t u t o de l l ’ a u t o d i sc i p l i n a

pubblicitaria) le immagini delle

pubblicità che vi sembrino offendere la

vostra dignità di ragazze, donne e

madri, per un mondo e una televisione

finalmente libera dagli stereotipi.

Giove Maria Laura 5^ AS

Page 9: I care numero II anno 2011

PAGINA 9 ANNO 9 , SECONDO NUME RO

: buono, brutto o cattivo?

Qualche giorno fa ho avuto una

discussione con mio padre perché

stavo curiosando sui profili dei miei

amici su Facebook. Lui ha sempre

sostenuto che l‟iscrizione a questo

social network fosse sbagliata,

addirittura pericolosa, in quanto al

centro delle polemiche mondiali vi è

proprio la questione: FACEBOOK

“miracolo della globalizzazione o

strumento di catalogazione della

popolazione mondiale?” Io, invece,

sono stata sempre a favore di questo

potente mezzo di comunicazione. Al

che, mio padre ha detto: ma cosa può

avere di così positivo questo social

network, tanto da aver influenzato

p r a t i c a m e n t e l a s t r a g r a n d e

maggioranza dei sistemi pubblicitari,

aziendali e delle relazioni pubbliche?

Abbiamo così, tentato di stilare

insieme una lista di aspetti positivi che

potrebbero – forse – controbilanciare

gli innumerevoli aspetti negativi che

tutti si affannano a cercare.

Facebook è un importante mezzo di

comunicazione e l‟hanno dimostrato

quei libici, tunisini ed egiziani che,

stanchi di essere sottomessi ad un

dittatore, si sono ribellati in massa: ha

permesso una straordinaria e precisa

organizzazione senza che il governo si

accorgesse di niente. Dopotutto, cosa

avrebbe potuto scatenare uno stupido

giocattolo per ragazzini adolescenti?

Ma in effetti, è così che è nato. Dalla

mente di un ragazzo universitario che

voleva guardare le foto delle ragazze

matricole ed eleggere la più carina. Ma

tanto ha avuto riscontro, anche tra i

più colti e pomposi professori di

Harvard, che l‟idea è passata sotto l‟ala

protettiva di un‟azienda di informatica,

pe r po i d i v e n t a r e un l o go

internazionale indipendente.

Qualche volta ho sentito dire che FB –

acronimo con cui è conosciuto – in

realtà è una specie di Grande Fratello

di orwelliana memoria, ovvero un

sistema mondiale di controllo e

catalogazione di tutti gli abitanti del

p ianeta. Ma qualcuno obietta

giustamente: ma come è possibile?

Mica tutta la popolazione mondiale è

iscritta. Certo! basta eliminare il “terzo

mondo”, coloro che non possono

nemmeno permettersi una fetta di

pane al giorno, ma anche gli

irremovibili nemici della tecnologia, i

bambini troppo piccoli e coloro che

ancora non credono nelle sue

potenzialità. Tutto il resto, ovvero la

maggior parte, ha un bel profilo

firmato Facebook sulla rete.

Che sia un male o un bene, nulla vieta

l‟apprezzamento obiettivo delle qualità

del social network. Ritrovare vecchi

amici perduti da tempo, comunicare

con persone lontane, scambiare idee,

opinioni , cultura, imparare una nuova

lingua tramite scambi interculturali

online. Si pensi al fenomeno

dell‟occidentalizzazione dei giovani

musulmani,che ormai iniziano a

prendere le distanze dalle idee troppo

integraliste dei loro genitori. Non sono

più accecati dalle loro credenze

religiose e radicali, molte volte

distruttive; questo perché si lasciano

ormai sempre di più influenzare dai

loro coetanei europei ed americani,

loro amici su Facebook.

Il fenomeno è troppo radicato nel

nostre vite per poterlo sradicare.

Evitare i pericoli comunque reali della

rete è compito nostro in quanto

dobbiamo essere coscienti di ciò che

vogliamo che sia o non sia. Fino a

prova contraria, è ancora l‟uomo a

comandare la macchina!

Nadia Andriola 5^ BL

Quando i muri parlano Prof.: “I cavalli si

distinguono per la loro cavallinità”.

Prof.: (riferito alla

alunna Buttiglione) “ Big bottle stai attenta!”.

Prof.: “Toglietevi

tutto!” Alunno: “Prof. , forse voleva dire togliete

tutto dal banco!”.

Prof.: “Lindo, non

dare corda. Se la vuoi dare per farli impiccare si”.

Prof.: “Sorvoliamo

un velo pietoso”.

Prof.: “Per fare la

neve a teatro usava-no i cattanfiocchi”.

Prof.: “I punti neri

hanno il diritto di esistere. Non sia-mo razzisti!”.

Prof.: “I Sofisti vende-

vano fumo” Alunno: “E a quanto lo vendevano che lo vado

a comprare”.

Prof.: “Platone conte-

sta la Retorica, cioè l’arte del parlare” Alunno: “Perché era

sordomuto?”

Prof.: “R., vieni all’in-

terrogazione?” Alunno: “Rifiuto l’of-ferta e vado avanti”.

Prof.: “Chi era

Mosè?” Alunno: “Quello…dell’acqua”

Prof: “Sé…. l’ idraulico!”

Prof.: “Chi era Tutanka-

mon?” Alunno: “Era un ragaz-zo….”

Prof.: “……Che come me, amava i Beatles e i Roooolling Stones”

Alunno: “Professore ma

da dove la prendiamo la concentrazione di ac-qua?”

Prof.: “E do rubinet l’ ama pigghiè!”

Alessia Gurabardhi

Pamela Palmirotta, 3^ BL

Page 10: I care numero II anno 2011

Chi conosce la vera storia della Gio-

conda? Immagino pochi di voi, quindi

mi permetto di dare una mia versione

della vicenda.

Molto tempo addietro (non specificato

l‟anno) il 15 aprile nacque il maestro

Leonardo Da Vinci da tutti conosciuto

come Clemente poiché il suo nome

originale corrispondeva a quello di un

suo cugino e ahimè, quando qualcuno

pronunciava quel nome, poverini, si

voltavano entrambi; ma tornando a

noi, Leonardo, detto Clemente, era

figlio illegittimo dello stimato Piero Da

Vinci e di una giovane contadina di

nome Caterina. Piero Da Vinci non era

ricco ma apparteneva al ceto dei mer-

canti; Caterina era una contadina a dir

poco analfabeta, una di quelle che “non

riusciva a fare la O col bicchiere”. No-

nostante il suo analfabetismo smodato

era molto brava nel disegnare (ecco da

chi Leonardo, detto Clemente ereditò

la passione per l‟arte). Un bel giorno

Piero e Caterina si incontrano in un

campo mentre la donna coglieva dei

fiori e l‟uomo passeggiava alla ricerca di

un po‟ di aria fresca: fu subito amore e

la stessa notte Caterina rimase incinta.

Non essendo sposati non poterono

partecipare a Battesimo, Comunione e

Cresima del loro pargolo. Nel 1462 i

quattro (compreso il nonno) si trasfe-

rirono a Firenze. Nel 1464 Leonardo,

andò a vivere presso la sua matrigna

con suo nonno e suo padre Piero che,

dopo aver constatato che il ragazzo

era figlio di Caterina, la lasciò poiché

non voleva far sapere in giro che era

stato amante di una contadina analfabe-

ta. Da sottolineare che lo stimato Pie-

ro era uno di quei signori che amavano

le donne in tutti i sensi e a causa di

questa “sventura” Leonardo, si ritrovò ad avere 12 bambini (fra fratelli e so-

relle) da crescere e accudire con i qua-

li, una volta morto Piero, ebbe proble-

mi per l‟eredità. Per fortuna la sua di-

savventura come bambinaia ebbe fine

quando compì 10 anni e decise di anda-

re a studiare come apprendista nella

bottega di un certo Andrea del Ver-

rocchio: un anziano artigiano che molti

conoscevano come lo Scienziato a cau-

sa della sua voglia matta di sottoporre

la sua bottega a esperimenti di ogni

genere. In tale “laboratorio” (come

veniva denominato) che era un‟officina

di nuovi talenti, si studiava l‟arte della

scultura, del disegno, dell‟architettura e

si apprendeva quella della carpenteria,

della meccanica e dell‟ingegneria. Il

nostro protagonista si diplomò con

una media molto bassa perché, come

pochi possono immaginare, il suo più

grande problema era quello della di-

scontinuità nello studio e perciò fu

mandato a casa per poter essere edu-

cato alla continuità. A guidarlo affinché

apprendesse un buon metodo furono il

nonno e lo zio grazie ai quali imparò a

scrivere con la sinistra e al rovescio.

Dopo il diploma Leonardo, detto Cle-

mente cominciò a darsi da fare per

trovare un lavoro degno della sua sa-

pienza e del suo intelletto. Girò per

tutta Italia per anni e diventò molto

famoso per la sua bravura ma, per un

bel po‟ di tempo non riuscì a trovare

un ingaggio. Una sera, mentre si trova-

va a Napoli incontrò un uomo che gli

promise un lavoro all‟altezza delle sue

capacità e Leonardo, detto Clemente,

dopo aver preso l‟indirizzo dello sco-

nosciuto, accettò senza sapere che

grazie a quell‟impiego avrebbe incon-

trato l‟amore della sua vita, la sua musa

ispiratrice, la sua donna-angelo. L‟indo-

mani, il giovane maestro si recò dove

l‟uomo gli aveva indicato e poco dopo

il suo arrivo gli si accostò una donna

sulla trentina, bellissima che gli chiese:”

E‟ lei che mio marito ha ingaggiato per

il ritratto?” Leonardo abbagliato da

tanta bellezza non seppe rispondere,

allora la donna ripeté la domanda e il

giovane annuì senza emettere suoni. Costei lo invitò ad entrare e gli chiese

come preferisse lavorare: a porte aper-

te al pubblico o intimamente; Clemen-

te optò per la seconda proposta per-

ché gli sembrava la più idonea: l‟uomo

aveva fatto precisare dalla moglie che

avrebbe voluto vedere il dipinto già

terminato. Durante i primi incontri,

che servivano al pittore per progettare

l‟opera d‟arte, la donna parlò molto di

sé anche se Leonardo non le aveva

mostrato interesse per la cosa; raccon-

tò la sua vita:” Non mi conosce ancora.

Sono Annalisa Monna Lisa Gherardini

conosciuta più come Elisabetta Gio-

conda, sono cresciuta in un convento

non molto lontano da qui e non appe-

na ho raggiunto la maggiore età sono

stata promessa moglie a quest‟uomo di

cui porto il cognome: Francesco Barto-

lomeo del Giocondo ma, in tutta confi-

denza, l‟ho sposato solo perché è un

ricco possidente; non lo amo come lui

crede. Sono la sua terza moglie; le pri-

me due hanno racimolato un po‟ di

denaro e se la sono svignata lasciando

a questa innocente donzella tutta la

fortuna […]”. Il giovane Clemente

mentre era preso dalla progettazione

del quadro ascoltava le parole della

donna e apprese che in realtà anche lei

di lì a poco sarebbe scappata con un

po‟ di denaro del marito in tasca e si

sarebbe rifatta una vita. Così disse:”

Signorina lei non mi lascia scelta, devo

assolutamente proporle la mia idea!

Una volta terminato il ritratto, suo

marito mi pagherà profumatamente

perché è roba di gran valore la mia, nel

frattempo lei rubi più soldi che può e

quando sarò tornato partiremo insie-

me!” e la giovane donna rispose: ”Ma

lei non sarà mica matto? Mi sta dicen-

do chiaramente che si è invaghito di

me!” Senza rispondere il giovane si

avvicinò al viso della donna e la baciò.

Ci volle giusto il tempo di terminare il

quadro perché i due condividessero a

pieno il loro amore e l‟idea di scappare

insieme. Nessuno ha mai saputo come

sia andata a finire davvero: alcuni cre-

dono che i due siano vissuti insieme

nella residenza francese di Leonardo, altri sostengono che per paura di una

condanna Annalisa Monna Lisa non

abbia mai lasciato suo marito e altri

ancora, quelli come me, credono che

comunque sia andata, del loro amore

non si è mai saputo nulla.

Questa è la mia versione dei fatti. E la

vostra? Qual è?

Selene Alberto 3^ DL

La vera storia di Don Clemente Seducente (Leonardo

Da Vinci) e Annalisa Monna Lisa

PAGINA 10 ANNO 9 , SECONDO NUME RO

Page 11: I care numero II anno 2011

PAGINA 11 ANNO 9 , SECONDO NUME RO

Ti consiglio… di non sprecare l’acqua

Un gruppo di cinque amici durante

un‟estate decide di andare ad esplorare

un‟isola deserta. Recuperata una barca,

i cinque amici, tutti tra i 23 e i 26 anni,

si dirigono verso l‟isola, ma già al loro

arrivo uno di loro perde lo zaino con i

viveri.

Dopo un lungo viaggio tra i boschi du-

rato tutto il giorno i ragazzi arrivano

ad un punto dove notano qualcosa di

strano!

Da lontano sembrava una casa, ma

avvicinandosi ancora scoprirono che

era un castello abbandonato. I ragazzi,

non sapendo dove dormire, si rifugiano

nel castello. Il castello era disabitato,

ma in sottofondo si sentiva un‟eco;

alcuni dei ragazzi erano spaventati,

mentre altri non temevano niente e

nessuno. Ogni ragazzo si faceva avanti

con la propria torcia, ma arrivati in una

grande stanza con una minuscola fine-

stra ad uno dei ragazzi cade la torcia e

nonostante le ricerche non lo trovano

più. I ragazzi arrivati al secondo piano

si fermano in una stanza per poter

passare la notte lì; dopo aver mangiato

qualcosa, si mettono a dormire. Uno di

loro non prendendo sonno si alza ed

esce dalla stanza e va in giro alla sco-

perta del castello.

Al mattino, accecati dal sole i ragazzi si

svegliano e notano l‟assenza del loro

amico. Pensando che l‟amico sia andato

via volontariamente, si dirigono verso

la spiaggia dove, la barca ormai non

c‟era più, adesso sono ancora più con-

vinti che lui per paura sia ritornato a

casa. Continuando la loro esplorazione

dell‟isola sentono una voce che gli

chiede aiuto e, preoccupati ritornano a

rifugiarsi nel castello. Essendo tardi i

ragazzi si addormentano con, in sotto-

fondo, la voce che gli chiede aiuto. Al

risveglio c‟erano solo tre ragazzi, quin-

di durante la notte era scomparso un

altro ragazzo. I tre rimasti, ormai spa-

ventati, riconducono quella voce al

loro amico, e sono intenzionati a sco-

prire che fine hanno fatto i due amici e

la barca; infatti controllano tutto il ca-

stello e arrivati in biblioteca mettendo

la mano su una macchia di sangue si

apriva un passaggio tra i libri. I ragazzi

anche se spaventati seguono quel per-

corso che li porta in una camera vuota

dove si trovavano le ombre dei loro

amici con delle catene alle mani, ai

piedi e al collo. Per poter liberare i

loro due amici, loro devono uccidere

lo spirito di un fantasma che improvvi-

samente li compare davanti. I tre com-

battono con il fantasma che viene ucci-

so e il suo spirito può andare nell‟aldilà

mentre quello dei due ragazzi ritorna. I

cinque amici, dopo la terribile avventu-

ra, riprendono la barca, ricomparsa

sulla spiaggia insieme alla torcia, e ri-

tornano a casa.

Brina Marco, Vincenzo Falchi, Claudia

Lamaddalena, Geralda Tosku, 2^AL

Scomparse

Nel mondo, lo

spreco di acqua

è molto frequen-

te perché pochi

purtroppo sanno

che, pur essendo

una risorsa natu-

rale rinnovabile,

con il passare degli anni, l‟acqua è di-

ventata una risorsa esauribile, del tutto

assente in molte zone del mondo, non-

ché un bene universale ed economico

sempre più caro. Inoltre quella dolce

costituisce solo il 3% dell‟acqua pre-

sente sul nostro pianeta ed in più i 2/3

di essa sono intrappolati nel sottosuolo

o influenzati dal problema dell‟inquina-

mento.

Non a caso, alcune associazioni inter-

nazionali, come l‟ONU, si impegnano

da anni, a garantirne anche in futuro

l‟indispensabile uso, riducendone gli

sprechi. L‟ONU,appunto, ha dichiarato

il 2003 “anno internazionale dell‟acqua”

e il 22 marzo “giornata mondiale

dell‟acqua”. Sempre secondo l‟ONU

nel 2032 il 60% della popolazione mon-

diale potrebbe non avere abbastanza

risorse idriche per soddisfare i propri

bisogni. Imparare a risparmiare l‟acqua

è, quindi, sia un gesto di civiltà che di

convenienza economica.

COME NON SPRECARE QUESTO

BENE PREZIOSO?

Noi della I^B linguistico, dopo aver

affrontato in classe questo problema,

abbiamo qualche consiglio da suggerire:

È consigliabile, quando ci si lava i

denti o le mani, tenere il rubinet-

to aperto, solo se necessario.

Quando ci si fa la doccia si può

ridurre la quantità d‟acqua da uti-

lizzare oppure si possono adottare

docce a risparmio energetico, in

modo da ridurre il consumo di

oltre il 70%.

Quando si lava l‟auto è meglio

utilizzare un secchio pieno d‟ac-

qua, piuttosto che la pompa, per-

ché con essa si possono consuma-

re anche 150 litri d‟acqua.

Si può risparmiare acqua anche

chiudendo il rubinetto mentre ci si

massaggia la cute durante lo sham-

poo e durante il tempo che serve

per il balsamo (uno o due minuti).

Sono parecchi litri d‟acqua se si

pensa alla pressione del rubinetto

della vasca e non cambia assoluta-

mente nulla.

Nonostante il famoso divertimen-

to con i cosiddetti “gavettoni”,

sarebbe meglio evitarli il più possi-

bile data l‟elevata quantità d‟acqua

sprecata.

Questi sono solo dei piccoli consigli

riguardo agli sprechi che per noi ragaz-

zi sono inconsapevolmente diventati

abituali, ma che con un po‟ di respon-

sabilità e attenzione si possono elimi-

nare. Dalila Tigri

Antonella Lamanna

1^ BL

Page 12: I care numero II anno 2011

Via Roma, 193 70021 - Acquaviva delle Fonti (BA)

IS TITUTO DON MILANI

L IC EO LINGUIS TICO, MUS IC ALE, DELLE SC IE NZE UMANE E

DELLE SC IENZE UMANE C ON OPZIONE EC ONOMIC O-S OC IALE

Tel.: 080 759347 Fax: 080 761021

E-mail: [email protected]

[email protected]

Non esiste un vascello veloce come un

libro per portarci in terre lontane

Sì, così pare, i cinque temuti anni di liceo sono “en train de finir”. Ciò che è suc-

cesso rimarrà uno sbiadito ricordo quan-do tutto ciò sarà alla spalle. E nel mo-mento in cui scrivo, la speranza che tutto ciò termini al più presto è tanta, immen-sa. Così come la nostalgia che proverò quando davvero tutto sarà finito, quando mi ritroverò a leggere il voto dell'esame, a fare quiz d'ingresso, a cercare lavoro... Saranno stati gli anni più belli? Non so, forse dicono tutti così perché semplice-mente gli anni successivi sono solo peg-giori. Niente più voglia di cambiare il

mondo, forse col passare del tempo a malapena si riesce a cambiare se stessi. Sono questi gli anni che decidono ciò che ognuno di noi sarà. Avvocati, psicologi, dottori, interpreti, cassa integrati, disoc-cupati, sposati, divorziati, conviventi. Quanto più profondamente avremo vis-suto questi anni, più saremo sicuri di ciò cui siamo destinati e soprattutto, voglia-mo essere. Non mi va di pensare di avere un ruolo già assegnato, non mi va di pen-sare che già qualcuno abbia deciso al

posto mio ciò che io vorrò essere. Se non è chiedere troppo, vorrei decidere della mia vita. Così come ognuno di noi, che ogni mattina entra in quell'aula con-trassegnata da un numero oltre il quale non v'è nulla, se non le speranze e le ambizioni per il futuro. Lascio tante cose, probabilmente tante quante ne ho apprese e imparate. E non parlo di libri, interrogazioni o compiti in classe. Quelle sono ca…te. Parlo di per-sone, di sguardi, volti, forse incontrati più

volte, forse soltanto una. Parlo di profes-sori che fanno ogni anno richiesta di tra-sferimento per essere più vicini a casa. Parlo di alunni che insultano tra i denti il professore “proprio quel giorno che non avevo studiato”. Si, proprio quei giorni. Parlo di chi ho conosciuto, di chi è appe-na arrivato, di chi se n'è andato da qual-che tempo, di chi ho odiato e di chi mi ha odiato, di quelli a cui mi sono affezionato e di chi ogni tanto si ricorderà di me, di noi, che quest'anno siamo lì, nell'ultima

aula in fondo a destra. E' vero, un articolo dovrebbe essere il più oggettivo possibile, dovrebbe sempli-cemente ritrarre un evento, un episodio. Non siamo solo liceali, siamo la storia di ognuno di noi che in fondo ogni anno si

ripete in ogni quinta, ma sempre in un modo particolare, vorrei pensare unico.

Non saremo la nostra cronaca, saremo ciò che abbiamo provato e vissuto, tra litigi, risse sfiorate, abbracci, discorsi alle spalle e pareri schietti, amicizie o rappor-ti più profondi. Saremo chi avremo in-contrato, le esperienze che avremo fatto, le delusioni che abbiamo avuto, i sogni che continueremo a fare.

Vanni Palattella 5^ BL

Esther Pappalardo e Paola Valentino, 3 ^ AL

Lettera di “commiato” alla vita da liceale Saremo chi avremo incontrato

Visita il sito dell’Istituto Don Milani

www.donmilaniacquaviva.it

La redazione