WOM - ANNO II - NUMERO 2

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WWW.DOGONREVIEW.ORG The Caos Rules “La legge non detta l’ordine, istituzionalizza il disordine” Le eterne macchinazioni del Potere. ANNO II NUMERO 2 26 FEBBRAIO 2011 APERIODICO DI NOTIZIE IN DIFFUSIONE DAL 2010 O W W

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WOM - ANNO II - NUMERO 2 Aperiodico di notizie in diffusione dal 2010

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The Caos Rules“La legge non detta l’ordine, istituzionalizza il disordine”Le eterne macchinazioni del Potere.

ANNO II NUMERO 226 FEBBRAIO 2011

APERIODICO DI NOTIZIE IN DIFFUSIONE DAL 2010

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L E T T E R A V I ( s e c o n d a p a r t e ) - F E U I L L E T O N - L a S t r a g e d e l l e I l l u s i o n i

Alcuni ci avevano già avvisato del disgusto che si può provare a sfogliare un giornale, magari mentre si fa colazione mordicchiando una tartina imburrata con

marmellata ai frutti di bosco: Baudelaire ci lasciò infatti un epita� o:

“E’ impossibile scorrere una qualunque gazzetta, non importa di che giorno mese o anno, senza trovare ad ogni linea i segni della perversità umana la più riprovevole, e allo stesso tempo le vanterie più sorprendenti di probità, bontà, carità e le a� er-mazioni più sfrontate riguardo al progresso della civilizzazione.Ogni giornale, dalla prima linea all’ultima, non è che un tessuto di orrori. Guerre, crimini, furti, impudicizie, torture, crimini di principi, crimini di nazioni, crimini privati, un’ ebbrezza di atrocità universali.Ed è di questo disgustoso aperitivo che l’uomo civilizzato ac-compagna i suoi pasti ogni mattina. Tutto, in questo mondo, suda il crimine: il giornale, le mura e il viso dell’uomo.Io non concepisco che una mano pura possa toccare un giornale senza un convulsione di disgusto.”

e Proust e Wilde ci lasciarono il sogno di un giornale che fos-se sfogliabile anche a colazione, un giornale fatto per quelle menti distaccate che vedono la società da dietro un vetro e non la considerano che un evento tra gli altri, come lo sboc-ciare dei campi in primavera e il loro putrefare autunnale ecc. Tanto eccezionale l’uomo quanto la salamandra nella fanghi-glia o un’ esplosione di neutrini a miliardi di anni luce... un evento nel cosmo e una visione per la mente... Un giornale che non si limiti a elencare e� eratezze o impilare le lodi o i biasimi ad un governo, un giornale senza opinioni o prese di posizione, un giornale che dà le altre notizie. Oltre a quelle vere e a quelle false, pure le altre. Non della controinforma-zione che è sempre il presupposto d’una preoccupazione per il sociale. Ci si preoccupa di riformare l’uomo, la società, solo perché non avendo ancora visto in noi stessi non ci si è accor-ti di quanto irresponsabile e assurda sia tale pretesa. Render l’uomo buono, sarebbe come volere che le antilopi indossas-sero scarpe coi tacchi e danzassero in natura il tip-tap. Ossia assurdità passate per la testa alla congerie dei Riformatori. Dai � loso� che cominciano a congetturare di Repubbliche governate dal vero � loso� co, alle riforme del regno interiore di Cristo sugli altari anonimi, per giungere a quella schiera di utopisti dal volto da buon selvaggio che hanno speso le loro follie a voler dettare decaloghi capaci di fornire ad ognuno il dono della bontà. Belle pretese fuor di senno, ma che da secoli fanno ormai scoop su tutti i giornali. Le magni� che sorti e progressive non hanno smesso di generare le proprie manie e scoppi di gioia, nonostante l’evidenza, l’opinione pubblica non si arrende e continua a credere e propugnare che l’uomo è un essere morale e che può diventare buono e la società es-sere perfettamente all’unisono con l’ecologia della mente. Bei stendardi stampati su prime pagine dietro foto di sagome che

� ngono un governo, un potere legiferante, legislativo, un po-tere repressivo poliziesco, giudiziario, e un potere esecutivo, la massa anonima dei caduti per la patria, il lavoro, il progres-so, la società ecc. Se si inventa un treno ad altissima velocità che scivola su campi magnetici anziché scorrere su binari, ecco che tutte le prime pagine del mondo (che ormai hanno invaso ogni angolo della terra, � no a raggiungere popolazioni nomadi nel deserto – e viene da chiedersi, cosa può importare ad un tuareg del treno ad altissima velocità su campi magneti-ci? Così a noi, cosa deve importarcene dei giornali?, ecco che l’eccezionale invenzione, diventa il vessillo col quale la società dichiara la sua capacità di progredire! Treni sempre più velo-ci, tutto ciò che corre e si muove in uno stato di agitazione, anche se insensata, si muove all’unisono con la frenesia della società. Più veloci, più in alto, e prima degli altri. Così che quella gloriosa società si mostra per quel che è, una congerie di individui preda del loro proprio egoismo più meschino che cercando di defraudare il suo prossimo si inscena la mora-le che tenga in piedi la farsa. Ben nascosti dietro i paraventi della bontà e del progresso, la società in loro nome perpetra le più oscene nefandezze. Per bontà e progresso si intingono gli altari, per bontà e progresso si sganciano le bombe, per bontà e progresso i soprusi dei potenti sono tollerati, come due divinità bonarie dalla testa mozzata, bontà e progresso ricevono dagli uomini i loro sacri� ci, olocausti che non odo-rano più che di eguaglianza costituzionale: le razze vengono classi� cate in base allo statuto costituzionale in vigore: essere democratico sul modello della prima costituzione mai scritta al mondo in cui a governare è quella strana entità che si suole de� nire Il Corpo Elettorale - ossia la Costituzione degli Stati Uniti d’America (poi copiata per sommi capi da quella fran-cese durante la rivoluzione e dalle altre poi) – è considerato il segno di una razza superiore, che ha trovato la soluzione e sta muovendo tutti gli armamenti per dimostrare che lei aveva ragione, anche a costo di suicidarsi in una guerra atomica. Questa è la superiorità che la società odierna sbandiera. La barbarie istituzionalizzata sembra a loro una e� cace cura per l’uomo contro i mali del mondo. Se non sei democratico sei arretrato! Sono ormai tre secoli che i civilizzati viaggiano a democrazia e ci sono ancora quelli che sono in monarchie semi religiose, degne di menti non intinte nella formalina il-luminista. Bisogna mettersi in passo coi tempi! Bisogna che laddove si dice re, si dica presidente, così le cose saranno con-forme al Consiglio Superiore delle Nazioni.... Così, per esistere in quanto entità, le nazioni si narrano le proprie epopee, le proprie conquiste, si inventano una gene-alogia di uomini che hanno guidato la nazione, come si trat-tasse d’un carro merci, un passo avanti verso il futuro, ossia verso qualcosa che non esiste. Ma su quel vuoto, ponendoci una foto, una targa, una mausoleo, una scritta lo stato spaccia speranze di cose che non sono e gloria di memorie di cose che non furono.Non credere mai a ciò che si legge.

E D I T O R I A L E

NON CREDERE MAI A CIÒ CHE LEGGI

Mi è già capitato di mordere il prepuzio di qualcuno che tentava di prendersi troppe libertà nei miei confronti e non pensava che al suo di godere e per nulla anche al mio, credo che se non ha visto la morte in persona, almeno in � gura credo se la sia trovata di fronte. Ma ci son quelle volte in cui tra l’assalitore e te che devi giostra-re la sua furia si combina una concomitanza di amorosi sensi, e in quelle rare occasioni è possi-bile elevarsi � n dove il desiderio al colmo della sua espressione ha sollevato tutto l’essere verso una soglia in cui non sono io a godere e non è il mio partner a godere, ma entrambi, conchiusi in una amplesso sincrono, diamo vita ad un istante di bellezza pura. La carne e l’anima si sono così compenetrate l’una nell’altra, che il derma im-perlato di sudore, somiglia ad un mosaico nel quale appare, rifatta in ogni singola goccia, la dimensione sovraumana del Cielo e della Terra

confusi in una zona mediana, che è la soglia della sospensione. Arrivati a quel culmine, e io e il mio partner, emettendo un grido di goduria che stra-ripa direttamente dal fondo del pneuma, ci ritro-viamo di colpo catapultati nei nostri corpi, come fuoriuscendo da una bolla di pienezza, e a quel punto sentiamo ri� uire attraverso i nostri sospiri la fatica e la magni� cenza di questi nostri corpi, nei quali è sigillato il segreto intimo del cosmo intero. Io, poi non mi perdo d’animo, e ancora allettante e umida, in� iggo al mio partner una de� nitiva fellatio, che lo mette fuor di sé à jamais.Ma parlandoti di queste cose, che solo a te pos-so raccontare con tanto candore e senza il biso-gno di dover arrossire e vergognarsi del proprio piacere, non ti ho detto nulla di come è andata a � nire con Joseph. Ma te ne parlerò un’altra vol-ta, ora non ho proprio voglia di ripensare a CONT INUA fogl io 8 . . .

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« Con gli anni la questione sociale ha trovato soluzione in vasti territori del nostro pianeta. La società senza classi ne ha favorito lo svi-luppo a tal punto da farla diventare un aspet-to della politica estera. Naturalmente nono-stante quel che si era creduto sull’onda del primo entusiasmo, ciò non signi� ca che tutte le questioni siano scomparse – anzi, se ne presentano di nuove e ancora più scottanti. »

La nostra è una di queste. Quale domanda sollevare?

«  Il lettore saprà, per sua esperienza, che la natura dell’interrogazione è cambiata. Nell’e-poca in cui viviamo gli organi del potere ci interrogano senza posa, e certo non si può dire che siano animati esclusivamente da un’ideale brama di conoscenza. » Ridacchia, tossicchia, si china verso il tavolino, disfa le gambe incrociate e manda giù un colpo di bourbon e prosegue accendendosi una siga-retta: «  Quando ci interpellano con le loro domande, non cercano il nostro contributo alla verità oggettiva  » colpo di tosse, «  né, cauf cauf, tanto meno, alla soluzione di que-sto o quel problema particolare. Ciò’ che gli importa non è la nostra soluzione, bensì la nostra risposta. »

Cosa cambia?

«  La di� erenza è importante. Assimila l’in-terrogazione all’interrogatorio », e manda giù un pugno di arachidi. Visto lo sbigottimento che il mio sopraciglio lasciava arguire ha ag-giunto: «  Per esempio. Possiamo osservarla, la di� erenza, seguendo l’evoluzione che dalla scheda elettorale porta al questionario.Scopo della scheda elettorale è l’accertamen-to di semplici rapporti numerici e la loro uti-lizzazione. Essa deve trasmettere la volontà dell’elettore; e la macchina elettorale è orga-nizzata in modo tale da far emergere quella volontà, pura e scevra da intromissioni ester-na. Al voto si accompagna pertanto quella sensazione di sicurezza, o addirittura di po-tenza, che contraddistingue l’atto di volontà che viene liberamente espresso nella sfera del diritto »

Tutto ciò nel migliore dei mondi, ma nel nostro?

«  Il nostro contemporaneo, che si vede co-stretto a riempire un questionario, è ben lon-tano da quella sicurezza. Le sue risposte sono gravide di conseguenze; spesso decidono il suo destino »

Non sembra un po’ drastico?

« L’essere umano è ridotto al punto che da lui si pretendono le pezze d’appoggio destinate a mandarlo in rovina. E oggi bastano delle ine-zie a decidere la sua rovina »

Il destino sarà in fondo questione di un’inezia?

«  È evidente che questo mutamento nella natura dell’interrogazione preannuncia un ordine completamente diverso da quello co-nosciuto agli inizi del secolo »

A dirle il vero io non l’ho conosciuto a� atto, ne so solo per sentito dire, come del presente d’altronde, ma mi scusi le ho tolto la parola...

« L’antica sicurezza è scomparsa, e il pensiero deve tenerne conto »

Non saremmo entrati nell’epoca della coscienza in crisi?

« Piuttosto d’una crisi della coscienza. L’uomo si muove a tastoni nel reale senza discernere vero dal falso, quella sua ragione che pensava l’avrebbe condotto alle soglie del miracolo, l’ha condotto dalle campagne napoleoniche � no alla prima guerra mondiale e alla secon-da e allo stato di calamità di� usa che regna al giorno d’oggi. Le domande incalzano sempre più da vicino, si fanno sempre più assillanti, e sempre più importante diventa il modo in cui noi rispondiamo. Non dobbiamo dimen-ticare che anche il silenzio è una risposta. Ci chiedono perché abbiamo taciuto alla tal ora e nel tal luogo, e ci rilasciano una ricevuta per le nostre risposte. Sono i dedali del tempo a cui nessuno può’ sfuggire »

Anche la nostra conversazione fa parte dello stesso dedalo...

«  A tutt’oggi, per stare nel nostro esempio, ancora non è chiaro a tutti � no a che punto la scheda elettorale si è trasformata in que-stionario. »

Un nostro lettore le chiede via mail, se per caso non potesse speci� care meglio in che maniera si sia passati dalla sche-da elettorale al questionario...

« Eh che diamine! Chi non abbia la fortuna di vivere appartato e protetto in un parco naturale, se ne rende conto da solo nel mo-mento stesso in cui agisce. Conformiamo alla minaccia la nostra condotta assai più che le nostre teorie. »

Soltanto la meditazione potrebbe resti-tuire una nuova sicurezza...

« Si... in qualche modo... ma tornando a noi... Il nostro elettore, dunque, si avvierà alle urne mosso da sentimenti a� atto diversi da quelli di suo padre e di suo nonno. Senza dubbio egli avrebbe preferito stare lontano, ma pro-prio questo atto avrebbe rappresentato una risposta inequivocabile. »

Avrebbe dovuto seguire la voce dell’eterno: Vattene dal tuo paese, dalla tua patria, dalla tua casa e dal tuo padre...

« Ahaha si... ma ci riverremo in un modo o nell’altro sulla questione... ma dicevamo... neppure partecipare sembra esente da ri-schi, se teniamo nella debita considerazione la scienza delle impronte digitali e la malizia delle applicazioni statistiche. »

A che pro scegliere se la situazione non conosce la scelta?

« La risposta è questa: la scheda elettorale of-fre al nostro elettore l’occasione di prendere parte a un gesto di plauso. L’elettore, in gene-rale, sa quindi che cosa ci si aspetta da lui. »

Fin qui i termini della questione sono chiari. Le dittature, man mano che acquistano forza, fanno in modo che il plebiscito prenda il posto delle libere elezioni, se capisco bene...

« Ma il plebiscito va oltre il territorio normal-mente occupato dalle elezioni... »

Le elezioni si trasformano in realtà in una delle forme del plebiscito.

Esatto.

Grazie. Grazie a lei.

Le parole di Ernst Jünger sono estratte da: Il trattato del ribelle, Adelphi, Milano, 1990, p. 11-12

Intervista con Ernst Jünger« L’essere umano è ridotto al punto che da lui si pretendono

le pezze d’apoggio destinate a mandarlo in rovina »

di Diosiculo Siculorum

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Dieci giorni fa ho perso la pratica di un contribuente. L’a-vevo gettata in fondo al cassetto fra la polvere e le vec-chie cose.

Trattasi di un’abitudine comune nel mio u� cio dove l’importanza non ha importanza. Impilare, timbrare, schedare, archiviare, non un gesto o un pensiero che vada oltre.

Un foglio timbrato per la gente comune contiene una richiesta: di assistenza sociale, di un tetto, di un rimborso, di un esborso, di un annullamento, di una retti� ca, di una veri� ca. A noi colletti bianchi, invece, tutte le parole scritte vicino e attorno a un timbro sembrano semplici seccature. Lavorare stanca. Sarebbe meglio stare in giardino ad arrostire wurstel sul barbeque. O immerso nelle pantofole sprofondato nei riverberi d’un tubo catodico.

Il mio u� cio è un organo del corpo del nulla, la massima rappre-sentazione di questo Stato. Ogni volta che scendo i gradoni diretto all’archivio stringo forte le narici con le dita, voglio tappare l’odore di mu� a o mi entrerà nella trachea gra� ante e denso sino a coagularsi nei polmoni.Laggiù i faldoni sembrano ammassati da secoli.Sento la puzza bagnata di mu� a sulla pelle, alzo la testa a guardare i � li dei ragni, ci sono ragnatele ovunque. Anche il ragno è un colletto bianco, li ho scoperti talmente a� amati da stendere i loro � li su precipizi a dir poco ambiziosi. Un grosso ragno bianco era riuscito a tessere la sua trappola tenendo conto dell’ordine alfabe-tico, metodico e ambizioso, proprio come desidera il capo.Il vuoto noi lo produciamo in stanze quadrate come il mio u� cio, potremmo essere e loro ci danno il compito di cucire pezze su delle cartine strategiche, quelle dei piani alti, gli u� ci decisionali.Non che li abbia mai visti, ma tutti sanno che è così’. Io mi fermo sempre al quinto piano, sezione reclami, poi al di sopra ci sono quelli del settimo e ottavo che ci diramano gli ordini. Ma tutti sanno che sopra il settimo e l’ottavo ce ne sono altri. Con un col-

lega una volta avevamo scommesso il dispaccio d’una cedola ad indovinare quanti gradoni vi sono nella gerarchia. Ma non sap-piamo ancora chi abbia vinto. Conoscevo un tizio, giovane, colto ma un po’ antipatico, che s’im-pegnò sin dal primo momento di lavoro. Voleva portare a ter-mine le pratiche, aveva fretta ed entusiasmo. Occorsero due anni di porte sulla sua faccia, non uno di meno, per fargli cambiare forma mentis. Adesso si dice dei nostri, personalmente, non m’i-spira empatia.Io ho imparato a essere distaccato, metodico e deciso. La gente la tengo a bada, la faccio stancare nella � la davanti al mio sportello. Le persone s’annoiano nel tempo perso dell’attesa e quando arrivano dinnanzi ai miei timbri hanno talmente voglia di andarsene da farsi scivolare tutto addosso.In caso di segni d’aggressività il manuale del perfetto burocrate consiglia di riutilizzare la tattica del tempo: risolvere signi� ca far fare altre � le alla gente, ascoltare parole vaghe e arrabbiarsi. Buro-cratese è una lingua stomachevole.

Se perdessi il mio lavoro rimarrei ‘rigido’. Un palo mi attraversa, parte dalla base del mio corpo e risale l’intera spina dorsale sino a uscire in un punto immaginario al centro della calotta cranica, è per questo che fatico a inchinare il mio orgoglio, anche quando si dovrebbe.Sono un burocrate e metto timbri sulle carte che parlano di per-messi, permessi che danno o negano accesso ai soldi, soldi che fanno capo ai potenti, potenti che guardano bene a certi interessi.Dieci giorni fa ho perso la pratica di un pesce insigni� cante che chiedeva un aiutino a qualche potentato. Aiutare è assistere, per fare ciò ci vuole un permesso, un permesso dà accesso ai soldi, il denaro fa capo ai potenti e i potenti guardano certi interessi che non sono uguali a quelli dei pesci piccoli. Così la pratica l’ho in� lata nella cesta “in attesa” e magari si stanca, anche se so di persone che davanti ad una porta, aspettando che il loro nome

fosse chiamato, vi sono schiattate, senza aver risolto l’enigma della loro pratica.

Come farei senza questo lavoro?Francesco, dopo sessant’anni di carriera, prende ancora la cola-zione con noi. Siamo metodici, abitudinari, abbiamo poca fantasia e propensio-ne per il prossimo. Lo stipendio garantito ci tiene su una scrivania grigia. Siamo il nulla di uno Stato senza progresso, impegnato a mangiare il pesce piccolo e a far crescere la balena grossa, entrambi masticati dalle correnti e � ussi di titoli e denaro.Il mare della balena grossa cresce in continuazione, dove può straripa. Del resto i potenti hanno tempo, non fanno la � la agli sportelli. Il tempo fa venire le ambizioni e i pesci piccoli amano rimanere inchiodati a un’esca di illusioni.

Nessuno scopre le carte dei colletti bianchi, se tolgono il coper-chio alla nostra pentola saltano i politici. I politici mettono l’ac-qua nel mare delle balene grasse e hanno macchine belle, donne giovani prive di lingue taglienti, declamano miracoli elettorali in malafede, sono fonte di pettegolezzo e scherno e dicono tante cose, per lo più a vanvera e irragionevolmente, per creare il bor-bottio di opinioni che spacciano come informazione.Ma questa è la legge. Tribunali, parlamento e polizia, sotto la giu-risdizione d’una costituzione, Matrice di tutti gli altri codicilli ca-villi penali. E’ la legge, mettere i timbri sulle carte che parlano di permessi, permessi che danno o negano accesso ai soldi, soldi che fanno capo ai potenti, potenti che guardano bene a certi interessi.L’ho già detto, il burocratese è stomachevole…

È appena esplosa una camionetta ferendo e uccidendo uno svariato numero di persone. Pochi se ne preoc-cupano ormai, fa parte del paesaggio. Se ne vedono

saltare in aria almeno tre o quattro al giorno. L’idea della mor-te è l’abitudine alla vita? ad allontanarla. Si esce di casa con dei progetti per il futuro, come fossimo degli immortali, e magari uscendo di casa, boom!, un autobomba che esplode in faccia. Si vive insomma come su una lastra di giacchio al limite del suo fondersi, e a camminarci sopra c’è costantemente il rischio che la lastra si incrini e il freddo s’impossessi di noi. I nervi degli abitan-ti iracheni sono allo stremo. Mai si sono registrate tante tendiniti e emicranie da quando la guerra ha portato qui le sue bombe i suoi caccia i suoi fuochi e soldati. Non parliamo poi dei traumi infantili - che in occidente creano cosi tante ansie alle mamme e ai babbi che incanalano subito il proprio � glio verso psicopreti della coscienza – qui i bambini hanno imparato a nutrirsi di tanta violenza. Basta vedere i loro disegnini elementari. Non un babbo che guarda la tv e una mamma che gli massaggia i piedi, come in un qualsiasi disegno occidentale, ma aerei e fuochi dal cielo e spesso il babbo o la mamma o entrambi, o uno zio, un nonno, insomma un conoscente, che in primo piano ha la testa staccata dal corpo e il bambino ha colorato tutto con degli intensi rossi e violenti gialli. La cosa divertente è che l’occidente vorrebbe difen-dere il mondo intero, ma quel che stando qui viene da chiedersi è chi difenderà il mondo dall’occidente?Per ora è tutto, anche perché mi è appena arrivata una scheggia di lamiera esplosa sul polso e scrivere fa sanguinare.

B a g d a d

Sanguinare stancadalla nostra inviata Speranza Senzamani

D O S S I E R . “Se non timbri ti licenziano”

Le raccapriccianti confessioni d’un colletto bianco

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Notizie sempre nuove ripetono le eterne

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Al di là dello stile, la moda.

l’essenziale è il visibile alla mente

La sorpresa Guy Lecouturier

Sulle passerelle da diverse stagioni non si vedevano che le riproposizioni dei classici. Ma q u e s t ' a n n o sembra sia arrivato il momento per Guy Lecou-turier. La sua sfi lata ha convinto su- bito persino i più scettici. Le nuove combinazioni si basano sulla ricercatezza d'uno stile il più spoglio e vuoto possi-bile, in modo da far spazio a tutto il resto. Il deco-rativo diventa essenziale, perché è col decorativo che si tesse la trama principale. Come per esempio l'abito da sera della collezione primaverile, nella sua secchezza di linee e tratti, contene-

va una sfi lza infi nita di rimandi ad altri abiti possibili. Di fronte a Guy Lecouturier si può' solo dire che l'incompiuto è diventato il principio basico di ogni moda; il suo intento non sembra tanto quello di spacciare l'ultima trovata di stile, tipo degli occhialoni su una signora in tailleur neoclassico – come, haimé, se ne son viste sfi lare sulle passerel-le! - ma di far pensare la moda. Creando abiti che respirino come degli organismi viventi, più che somiglianti a delle stoffe intrecciate ad arte. Quindi, tutti pazzi per Guy Lecouturier.

“Se Saint-Exupery faceva dire a quella sil-houttes volante du Petit Prince: L’essenziale è invisibile agli occhi, io con la stessa volatilità confermo le parole d’Exupery, e con la mia arte rilancio dicendo che allora l’essenziale è ciò’ che è visibile alla mente” Cosi’ ci ha accolto nel suo atelier londinese Guy Lecouturier, un’aria a� abile fresca, sor-seggiando un dry martini preparato alla ma-niera di Bunuel: “Si, mi insegno’ lui personal-mente la ricetta. Ero di passaggio in Messico perché stavo approfondendo uno studio a proposito della vita rituale delle civiltà Inca e degli abiti da cerimonia, che avrebbe poi dato vita alla collezione estate-inverno di quell’an-no. E fummo presentati da un amico comu-ne, André Breton col quale ero in contatto epistolare perché sapevo che anche lui stava facendo delle ricerche sulle civiltà arcaiche e il surrealismo, da cui poi il suo L’Art Magique – sicuramente il suo miglior manifesto. Ebbe-ne, passammo la serata in un ristorantino di sua conoscenza - vi aveva girato alcune scene di Le fantôme de la liberté – e di ritorno a casa, con la sua gentilezza che mi ricordava quella � era timidezza degli anziani del sud del mediterraneo (comportamento che ho ritrovato identico nelle popolazioni magre-bine o in quelle della Sardegna) mi o� ri’ un dry martini e fu allora che con le movenze e la lucentezza negli occhi di un alchimista mi ha mimato la ricetta, lo rivedo e risento come se fosse adesso, fu quasi più strabiliante starlo a vedere prepararmi il suo dry martini,

che non il cane andaluso che scodinzolava nel giardino” Incuriositi gli abbiamo chiesto se si ricordas-se ancora la ricetta. Guy Lecouturier si è allo-ra sollevato dalla sua amaca sospesa al centro dell’atelier (“mi culla la mente”, ha sussurra-to) e portatosi verso alcuni cassettini al fondo della sala ha estratto un foglietto sgualcito sul quale aveva preso nota della ricetta: “Le tengo tutte in un cassettino le ricette, come faceva mia nonna, c’ho persino quella del Bunueloni che mi diede sempre lui e anche quella che mi diede DeQuincey per preparare il laudano, che credo poi abbia pure trascritto nelle sue confessioni... ma ecco quella del dry martini:“Come tutti i cocktails, il dry martini è pro-babilmente un’invenzione americana. Si compone essenzialmente di gin e di qualche goccia di vermouth, da preferire il Noilly-Prat. I veri amatori, che amano il loro dry martini molto secco, pretendono che biso-gnerebbe semplicemente lasciare che un rag-gio di luce traversasse una bottiglia di Noilly-Prat prima di andare a toccare il bicchiere di gin. Un buon dry-martini, si diceva una volta in America, deve somigliare alla concezione della Vergine Maria. Si sa infatti che secondo San Tommaso d’Aquino il potere generatore dello Spirito Santo attraversa l’imene della vergine “come un raggio di sole passa attra-verso un vetro, senza romperlo”. Cosi’ per il Noilly-Prat, si diceva. Un altra raccomanda-zione: bisogna che il ghiaccio usato sia molto

freddo, molto duro, in modo che non rilasci dell’acqua. Nulla è peggio d’un martini fradi-cio. Io metto tutto il necessario nel congelatore il giorno prima dell’arrivo dei miei invitati, i bicchieri, il gin, lo shaker. Ho un termometro che mi permette di veri� care che il ghiaccio sia ad una temperatura di circa venti gradi sotto lo zero. L’indomani, quando i miei in-vitati sono là, prendo tutto il necessario. Sul ghiaccio molto duro verso prima qualche goccia di Noilly-Prat e un mezzo cucchiaio a ca� è d’Angostura. Agito il tutto, poi svuo-to. Mantenendo solo il ghiaccio, che porta la leggera traccia dei due aromi, e sul ghiaccio verso allora il gin puro. Agito ancora un po’ e servo. E’ tutto, ma non c’è niente al di là.”Svuotammo quindi i nostri bicchieri e chie-demmo a Guy Lecouturier cosa stesse prepa-randoci per la nuova stagione. Guy ha solle-vato gli occhi al cielo - come chi scaccia una maledizione - e ci disse che forse sarebbe stato meglio continuare con i dry martini e ce ne passo’ un altro nella versione ‘eretica’ del direttore del Museo di Arte Moderna di New York. Apprezzammo anche questo nuo-vo bicchiere e nel bel mezzo della discussione Guy Lecouturier ci disse di seguirlo in sala montaggio. Invitandoci ad entrare in un ve-stibolo decorato e a� rescato con i suoi schizzi di moda, ci indico’ le tre fanciulle che atten-te con aghi forbici e fusi tessevano gli abiti. “Sono loro le mani che sanno. Io m’immagi-no solo dei decori con cui adornare una de-essa. Il metodo di lavoro non è dissimile da

quello del dry martini, bisogna sempre rag-giungere quella trasparenza che possa essere attraversata dalla luce, senza rompere il vetro. Per esempio: quando si tratta di immagina-re un abito primaverile, il retro pensiero che darà poi vita all’immagine dell’abito, cerca di evocare tutto ciò’ che risuona col primaverile. Come se ci si chiedesse, cosa veste il mondo in primavera? Il risveglio dal letargo, la sta-gione degli aromi di � ori che si ridestano dal torpore invernale, il ronzio degli insetti ecc in maniera analogica il mio pensiero comincia a cumulare castelli di visioni che pian piano si amalgamo nella ricerca di un’unità di toni, tessuti, intrecci, colori e quant’altro. Un unico � lo che tiene assieme le svariate perle di ve-tro. Poi lo schizzo cade di mano come la bava di bocca ad un isterico e quando mostro il mio travaglio a queste tre fanciulle - che fan-no per me i miracoli - vengono fuori gli abiti da cerimonia per i simulacri della mia deessa primavera, che sono le statue nei templi o le eleganti passeggiatrici per le strade. Ora pero’ le interviste tradiscono sempre il mistero che svela come qualcuno sia devoto alle divinità e i suoi simulacri, ma questo è cio’ che nessuna intervista, che nessuna pa-rola sarà capace di dire. Sarebbe come pre-tendere di dire quel silenzio da cui le parole attingono, e che svanisce appunto al loro ap-parire.”Spengnendo il registratore e sbaraccando microfoni e datilogra� ci ha congedato augu-randoci un buon proseguimento di giornata.

Intervista a Guy Lecouturier. Tra dry martini e tre fanciulle.

“Le interviste nascondono il silenzio del microfono”

AL POSTO DI LEGAVENUE MAGARI METTERE

SURRETIZZIAMENTE IL LOGO DI DOGONREVIEW

Al di là dello stile, la

l’essenziale è il visibile alla mente

La sorpresa Guy Lecouturier l’essenziale è il

La sorpresa Guy Lecouturier l’essenziale è il

Sulle passerelle da diverse stagioni non si vedevano che le riproposizioni dei classici. Ma q u e s t ' a n n o sembra sia arrivato il momento per Guy Lecou-turier. La sua sfi lata ha convinto su- bito persino i più scettici. Le nuove combinazioni si basano sulla ricercatezza d'uno stile il più spoglio e vuoto possi-bile, in modo da far spazio a tutto il resto. Il deco-rativo diventa essenziale, perché è col decorativo che si tesse la trama principale. Come per esempio l'abito da sera della collezione primaverile, nella sua secchezza di linee e tratti, contene-

va una sfi lza infi nita di rimandi ad altri abiti possibili. Di fronte a Guy Lecouturier si può' solo dire che l'incompiuto è diventato il principio basico di ogni moda; il suo intento non sembra tanto quello di spacciare l'ultima trovata di stile, tipo degli occhialoni su una signora in tailleur neoclassico – come, haimé, se ne son viste sfi lare sulle passerel-le! - ma di far pensare la moda. Creando abiti che respirino come degli organismi viventi, più che somiglianti a delle stoffe intrecciate ad arte. Quindi, tutti pazzi per Guy Lecouturier.

freddo, molto duro, in modo che non rilasci dell’acqua. Nulla è peggio d’un martini fradi-cio.

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LA COLLEZIONE Primavera-Estate 2011

di Guy Lecouturier

INSERIRE ABITI ModaWoM...

ritoccando magari queste

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Il Ritaglio... Come ogni anno arriva il noto “cambio stagionale del guardaroba”.Come la pelle al serpente, la moda all’uomo. E difatti in tutte le edicole, le patinate riviste di moda sottraggono spazio al resto, con l’inserto di moda “tendenze”.È lo sciabordio dell’essere, impazza dalle balere clandestine sino

ai vertici della piramide. Tutti, che lo si voglia o no, quando da inverno si passa a primavera, il clima impone la moda. In inverno pelle d’orso per tenersi al caldo, in primavera vestir-si di � ori.E partendo appunto dai vertici e scendendo sino al più ano-nimo capo comprato in un negozietto di periferia, la mac-china della moda sfreccia con i fari accesi sulle strade di tut-to il mondo. Investe chiunque, persino gli orsi entrano in letargo per moda. Tutto questo con soste per de� nire un codice tutto proprio: che: volens nolens: ci stenderà: investendoci.Sfogliando i vari ELLE, VOGUE e MARIE CLAIRE noto una vastità scon� nata di tendenze... Si può rimanerne pia-cevolmente sorpresi.. .Ce n’è per tutti i gusti,tutti i costi, tutti i corpi, gli umori e i caratteri... Ogni sardina ha la sua scato-letta. Ogni topolino la sua trappola. Così per ogni desiderio un gusto. Tanti desideri quanti sono i suoi piaceri e dispia-ceri.Diciamo che a grandi linee la moda di questa nuova stagio-ne accontenta tutte le categorie di donna che esistono nel pianeta. C’è la moda del burka per quelle donne devote alle botte dei maschi, ci sono gonnellini sbagasciatti per le vamp

woman in lattice e pure quell’eleganza trasognata d’un abito de-calcato sulle geometrie di un Mondrian: Qualunque fantasia ha il suo loculo, il suo habitus, sentito all’edicola.

Poi sfoglio una di queste riviste. Guardo gli scatti rubati alle pas-serelle. Un occhio comune potrà notare dapprincipio: il culo delle mo-delle, nomi accollati a facce familiari ai più, e quindi famosi, e altre curiosità che troverete nel rotocalco.L’occhio attento nota che quest’anno vanno i colori primari abbi-nati tra loro mantenendo netta la demarcazione cromatica, non sfumando nel grigio, tenendo pieno e vuoto in un solo ricamo.

DARE A QUESTA MARILYN DI GIOLI COME FOSSE LO SFONDO DELLA

PAGINA....

di Linforimoda

...

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COLLABORAZIONISTI: Ernst Jünger, Trattato del ribelle. Vassily Kandinsky, Trente, Luis Bunuel, Mon dernier soupir

quelle sue considerazioni sull’umanità. Sto sorseggiando una tisana che la mia piccola cuginetta Panacea ha raccolto oggi in giardino. È proprio una graziosissima bambina, ha negli occhi quella sorta di ot-tusa cecità e vigore che distingue il tempo della sua età. Corre e non smette di corre-re da tutte le parti, e chiedere cos’è questo e cos’è quello, e perché si e perché no, tre-pidante quando si prepara una passeggiata fuori città. E te la procurerò questa tisana, chiederò a Chaniwa, di metterne a seccare delle bustine, e te le mando per espresso. Il suo e� etto è veramente bene� co. Ti rilassa completamente la tensione intrascapolare,

poi ti distende tutti i muscoli trapezoidali dietro la nuca, e ti sommerge la sensazio-ne d’una sonnolenza, che però è attiva, che non dorme, ma sogna ad occhi aperti. Solo che non è come in sogno, non c’è l’inco-scienza del dormiente. Ma una coscienza risvegliata che contempla assorta il dive-nire degli accidenti, delle immagini che ti pensano. Ma basta, mi sembra d’annoiar-ti con questi dettagli. Avrei voluto anche parlarti di René, alla � ne Simone ha avu-to modo di presentarci, ma sarà per una prossima volta. Ora devo proprio lasciarti, sono quasi le cinque e io alle sette devo essere puntuale al corso di Mibu-kyogen. Spero di poterti scrivere già stanotte. Tan-to sarà un’altra delle mie notti di veglia.

A presto mia cara, e ricordati di ringraziare Cassandra da parte mia, per quelle parole cha ha aggiunto in calce alla lettera che ho ricevuto stamattina. Io non avrò modo di rincontrarla prima che lei riparta, quindi ringraziala sinceramente da parte mia e falle avere il cartoncino che allego a que-sta lettera. Niente da nasconderti, certa-mente, dentro il cartoncino ho scritto un souvenir, o come dire, una poesia, di cui lei è stata mia musa, perché m’ha permes-so di ricordarmi di quelle serate stupende che abbiamo passato come in esilio, con lei che più bella tra tutte le � glie del Duca de Priamo, mi sobillava - il lobo del mio

orecchio tre le sue due labbra strette - delle seducenti profezie. Ma so che moriresti comunque dalla vo-glia di leggere questo mio cartoncino, e che ti arrischieresti � no a staccarne il si-gillo in ceralacca, così, nella stessa lettera ti faccio avere un po’ della mia lacca rosa all’aroma di Papa Meilland, e la copia d’un mio vecchio sigillo cilindrico. Quindi dopo aver sbirciato il cartoncino, assicu-rati di sigillarlo come si deve. Ora devo proprio andare, vedo Claire e Solange che mi fanno dei gesti prepotenti e mi ricorda-no che il tempo passa, ed io devo proprio andare. Un bacione a te e al rosa.

FEUILLETON seguito... E poi i pizzi, tessuti leggeri, fan-tasie � oreali, quelle botaniche in

generale, il denim, il nero e il bianco, il color kaki, gli anni settanta, la salopette in tutte le sue forme e varianti, avviluppando gli abiti più femminili delle passerelle con visioni ispirate a orti botanici e giardini all’inglese, � no alle ve-trine delle boutique più amate da queste, predi-ligendo l’eleganza del nero.Ampie tuniche, colori e fantasie optical, le ri-ghe i pois e il beige, il tutto insieme alla blusa bianca, la gonna a tubo, aggiungendo qualche in� uenza jazz e lindy hop anni 30, diventando un segno inconfondibile.

Un occhio clinico si pone un dubbio: “Ho già visto cose del genere. Ma dove?”Molti set sono veri e propri omaggi all’arte pit-torica moderna e contemporanea.

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In un sol giro di parole... ART A PORTER.

LA POSTA DEL CUORE

Tutti continuano a ripetermi che non ci si deve concentrare sui pizzi e merlet-ti. Tutti ripetono che cosi’ non si fà e cosi’ neppure. Ma io vorrei sapere da Lei, caro Professore se sia sensato chie-dere alla gioia di porsi un freno?

Cara le� rice, non spenda del tempo a sentire quelle � auto-lenti voci di gente di mondo. Truccarsi è fondamentale, truc-carsi è meditare, suggeri’ qualcuno. Quando ti vedi guardarti allo specchio son delle immagini di te che ti sembra di vedere nella trasperenza del vetro e della mente. Fissare un vetro � no a riuscire a vederne la trasparenze. Segui quindi il famo-so de� o: “Chi vuol esser lieto sia, di doman non v’è certezza”