Hill IR- · un a scuola psicologica fondata a Nancy, in Francia, che ricorreva all'i pnosi. È una...

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38© PROFILO re, coltivare la propria «malattia» co- me quel che «ha di meglio». ;'• La lettera del 1927 a Jahier Questo, in sintesi, è-.quanto Svevo scrive nel 1927 in una lettera sulla psicanalisi. La lettera, che porta l'in- testazione «Villa Veneziani, Trieste, 27 dicembre 1927», è indirizzata a Valerio Jahier, un letterato italiano residente a Parigi, grande ammira- tore di Svevo. Jahier ha intenzione di sottoporsi a una cura psicanalitica; rispondendogli, Svevo si mostra scettico sulla psicanalisi freudiana come terapia.medica e lo" invita a cercare altre soluzioni: Non vorrei poi averle dato un con- siglio che potrebbe attenuare la speranza ch'Ella ripone nella cura che vuole imprèndere 3 . Dio me ne guardi. Certo è ch'io non posso mentire e debbo confermarle che in un caso trattato dal Freud in per- sona non si ebbe alcun risultato . Per esattezza debbo aggiungere che il Freud stesso, dopo anni di cure implicanti gravi spese, con- gedò il paziente dichiarandolo in- guaribile. Anzi"' io ammiro il Freud, ina. quel verdetto dopo tanta vita perduta^ mTteeiò un'impressione 3. nella ... imprendere: Valerio Jahier vuole iniziare la cura psica- nalitica. 4. in.un ... risultato: Svevo allude a., DUO cognato, Bruno Veneziani, che si era sottoposto alla cura di Freud, uscendone «distrutto». 5. Anzi: eppure. 6. tanta ... perduta: i lunghi anni in cui il cognato di Svevo rimase in cura da Freud. 7. disgustosa: di disillusione. 8. Non voglio ... responsabilità: non voglio assumermi la responsa- bilità di farla rinunciare a i ma cura. 9. non so ... senz'assumerne: non so lasciarla senz'assumermi una qualche responsabilità. Scri- vendo a Valerio Jahier, Svevo oscil- la tra il desiderio di non assumersi alcuna responsabilità e quello di rendersi utile all'amico. Questa oscillazione tra opposti desideri è tipica anche dei suoi personaggi, in particolare di Zeno. 10. dell'autosuggestione ... Nan- cy: Svevo propone all'amico una cura in alternativa alla psicanalisi freudiana. Si tratta del metodo di una scuola psicologica fondata a Nancy, in Francia, che ricorreva all'i- pnosi. È una teoria che Freud aveva disgustosa7. Non voglio però assu- mere una responsabilità 8 (cono- scendo stesso che somiglia a me Ella nonne sarà sorpreso) ma però non so abbandonarla senz'assu- merne 9 (per le stesse ragioni Ella non ne sarà sorpreso): perché non prova la cura dell'autosuggestione con qualche dottore della scuola di Nancy10? Ella probabilmente l'avrà conosciuta per ridere 11 . Io non ne rido. E provarla non costerebbe che la perdita di pochi giorni. Let- terariamente12 Freud è certo più interessante. Magari avessi fatto io una cura con lui. Il mio romanzo sarebbe risultato più intero 13 . E perché voler curare la nostra malattia? Davvero dobbiamo toglie- re all'umanità quello ch'essa ha di meglio? Io credo sicuramente14 che il vero successo che mi ha dato la pace 13 è consistito in questa con- vinzione. Noi siamo una vivente protesta contro la ridicola conce- zione del superuomo come ci è sta- ta gabellata16 (soprattutto a noi ita- liani) 17 . Io rileggo la Sua lettera co- me lessi molte volte le precedenti. Ma rispondendo alle precedenti credevo davvero di parlare lettera- tura18. Invece da questa Sua ulti- ma 19 risulta proprio un'ansiosa spe- ranza di guarigione. E questa deve esserci; è parte della nostra vita. Ed anche la speranza di ottenerla deve esserci. Solo la meta è oscura20. Ma intanto - conqualche dolo- re - spesso ci avviene di ridere dei sani. Il primo che seppe di noi 21 è anteriore al Nietzsche: Scho- penhauer 22 , considerò il contem- platore come un prodotto della natura, finito quanto il lottatore. Non c'è curaxhe valga. Se c'è dif- ferenza 23 allora la cosa è differen- te: ma se questa 24 può scomparire per un successo (p. e. la scoperta d'essere l'uomo più umano che sia stato creato) allora si tratta proprio di quel cigno della novella di An- dersen che si credeva un'anitra male riuscita perché era stato co- vato da un'anitra. Che guarigione quando arrivò fra i cigni 25 ! Mi perdoni questa sfuriata i n atteggiamento da superuomo. Ho paura di essere veramente guasta- to (guarito?) dal successo26. Ma provi l'autosuggestione. Non bisogna riderne perché è tan- to semplice. Semplice è anche la guarigione cui Ella ha da arrivare. Non Le cambieranno l'intimo Suo «io». E non disperi perciò 27 . Io di- spererei se vi riuscissero28. c'era alcuna ragione di invidiare le «anitre». Così il «malato», scopren- do di «essere l'uomo più umano che sia stato creato», capirebbe che non c'era motivo di invidiare i «sani»: «guarirebbe», accettando la sua «malattia» come fatto natura- le, come quel che l'umanità «ha di meglio». 26. Mi perdoni ... successo: il successo letterario ha cambiato Svevo; ha fatto sì che egli non sen- ta più la propria nevrosi come una colpa, come un difetto. Dal punto di vista dei «sani» egli si è «guasta- to», perché non ha più il desiderio di liberarsi dalla «malattia». Dai suo punto di vista invece è «guarito». péi:cìié;n"en-ha~più l'ansia di volersi cambiàrèrdi"snaturarsi: ha scoper- tò~ctreia«m7alàft;è un fatto natu- rale e non vi vuole rinunciare. ÌTTNoff Le carriBierahno ... per- ciò: la cura non la cambierà fino in fondo, non cambierà la sua natura. Non disperi per questo, non perda speranza nella sua riuscita. 28. lo ... riuscissero: Svevo, al contrario del destinatario della let- tera, si dispererebbe se la terapia medica riuscisse a curarlo e a cam- biarlo. esplicitamente rifiutato. 11. l'avrà ... ridere: l'avrà ritenuta una cosa da ridere. 12. Letterariamente: per l'uso che se ne può fare in letteratura. 13. più intero: più completo, più corrispondente alla verità. 14. sicuramente: fermamente. 15. pace: la fine della Prima guer- ra mondiale, nel 19!8. 16. gabellata: spacciata per vera. 17. ridicola ... italiani:allude, pole- micamente, alla versione dannun- ziana del mito del superuomo che banalizzava lafilosofiadi Nietzsche. L'inetto di Svevo è l'opposto del su- peruomo dannunziano. 18. parlare letteratura: parlare in termini di letteratura, in termini let- terari. 19. ultima: ultima lettera. 20. la meta è oscura: Svevo si chiede se la «meta», cioè la «guari- gione» sia veramente da desidera- re, se serva davvero a qualcosa. Ha scritto poche righe sopra: «perché voler curare la nostra malattia? Davvero dobbiamo togliere all'u- manità quello ch'essa ha di me- glio?». 21. che seppe di noi: che ci co- nobbe bene. Con questo «noi» Svevo iotende i «malati», i «nevro- tici». 22. Schopenhauer: il .filosofo tede- sco..Arthur Schopenhauer (1_788- 1860);"Nietzsche stesso lo rico- nosceva come maestro. Scho- penhauer distingue nell'umanità due tipi: il «lottatore», attivo _e_ combattivo, e il «contemp[atore», che Svevo identifica con il «mala- to», colui che si sente incapace di partecipare alla lotta per la vita. Entrambi, per Schopenhauer, sono «un prodotto delia natura», un'pro- dotto «finitoci "dùnque," ne" ricava Svevo, è inutile cercare di cambiarli, «non c'è cura che valga». 23. Se cdifferenza: se c'è diffe- renza tra chi si sente «malato» e gli altri, i «sani». 24. questa: questa differenza. 25. di quel ... cigni: è la favola del «brutto anatroccolo». Il «mala- to» fra i «sani» è come il «brutto anatroccolo» fra le «anitre»: si sen- te diverso, «male riuscito». Quan- do il brutto anatroccolo arriva fra i cigni scopre però di non essere «male riuscito», ma semplicemen- te di appartenere a un'altra razza, anch'essa creata dalla natura, e più bella. Capisce allora che non ••Hill IR-

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• 38© PROFILO

re, coltivare la propria «malattia» co­me quel che «ha di meglio».

;'• La lettera del 1927 a Jahier Questo, in sintesi, è-.quanto Svevo scrive nel 1927 in una lettera sulla psicanalisi. La lettera, che porta l'in­testazione «Villa Veneziani, Trieste, 27 dicembre 1927», è indirizzata a Valerio Jahier, un letterato italiano residente a Parigi, grande ammira­tore di Svevo. Jahier ha intenzione di sottoporsi a una cura psicanalitica; rispondendogli, Svevo si mostra scettico sulla psicanalisi freudiana come terapia.medica e lo" invita a cercare altre soluzioni:

Non vorrei poi averle dato un con­siglio che potrebbe attenuare la speranza ch'Ella ripone nella cura che vuole imprèndere 3 . Dio me ne guardi. Certo è ch'io non posso mentire e debbo confermarle che in un caso trattato dal Freud in per­sona non si ebbe alcun risultato . Per esattezza debbo aggiungere che il Freud stesso, dopo anni di cure implicanti gravi spese, con­gedò il paziente dichiarandolo in­guaribile. Anzi"' io ammiro il Freud, ina. quel verdetto dopo tanta vita perduta^ mTtee iò un'impressione

3. nella ... imprendere: Valerio Jahier vuole iniziare la cura psica­nalitica. 4. in.un ... risultato: Svevo allude a., DUO cognato, Bruno Veneziani, che si era sottoposto alla cura di Freud, uscendone «distrutto». 5. Anzi: eppure. 6. tanta ... perduta: i lunghi anni in cui il cognato di Svevo rimase in cura da Freud. 7. disgustosa: di disillusione. 8. Non voglio ... responsabilità: non voglio assumermi la responsa­bilità di farla rinunciare a i ma cura. 9. non so ... senz'assumerne: non so lasciarla senz'assumermi una qualche responsabilità. Scri­vendo a Valerio Jahier, Svevo oscil­la tra il desiderio di non assumersi alcuna responsabilità e quello di rendersi utile all'amico. Questa oscillazione tra opposti desideri è tipica anche dei suoi personaggi, in particolare di Zeno. 10. dell'autosuggestione ... Nan­cy: Svevo propone all'amico una cura in alternativa alla psicanalisi freudiana. Si tratta del metodo di una scuola psicologica fondata a Nancy, in Francia, che ricorreva all'i­pnosi. È una teoria che Freud aveva

disgustosa7. Non voglio però assu­mere una responsabilità 8 (cono­scendo sé stesso che somiglia a me Ella nonne sarà sorpreso) ma però non so abbandonarla senz'assu­merne 9 (per le stesse ragioni Ella non ne sarà sorpreso): perché non prova la cura dell'autosuggestione con qualche dottore della scuola di Nancy10? Ella probabilmente l'avrà conosciuta per ridere 1 1. Io non ne rido. E provarla non costerebbe che la perdita di pochi giorni. Let­terariamente12 Freud è certo più interessante. Magari avessi fatto io una cura con lui . I l mio romanzo sarebbe risultato più intero 1 3.

E perché voler curare la nostra malattia? Davvero dobbiamo toglie­re all'umanità quello ch'essa ha di meglio? Io credo sicuramente14 che i l vero successo che mi ha dato la pace 1 3 è consistito in questa con­vinzione. Noi siamo una vivente protesta contro la ridicola conce­zione del superuomo come ci è sta­ta gabellata16 (soprattutto a noi ita­liani) 1 7 . Io rileggo la Sua lettera co­me lessi molte volte le precedenti. Ma rispondendo alle precedenti credevo davvero di parlare lettera-tura18. Invece da questa Sua ulti­ma 1 9 risulta proprio un'ansiosa spe­

ranza di guarigione. E questa deve esserci; è parte della nostra vita. Ed anche la speranza di ottenerla deve esserci. Solo la meta è oscura20.

Ma intanto - conqualche dolo­re - spesso ci avviene di ridere dei sani. I l primo che seppe di no i 2 1 è anteriore al Nietzsche: Scho­penhauer 2 2, considerò i l contem­platore come un prodotto della natura, finito quanto i l lottatore. Non c'è curaxhe valga. Se c'è dif­ferenza 2 3 allora la cosa è differen­te: ma se questa2 4 può scomparire per un successo (p. e. la scoperta d'essere l'uomo più umano che sia stato creato) allora si tratta proprio di quel cigno della novella di An­dersen che si credeva un'anitra male riuscita perché era stato co­vato da un'anitra. Che guarigione quando arrivò fra i cigni 2 5!

Mi perdoni questa sfuriata in atteggiamento da superuomo. Ho paura di essere veramente guasta­to (guarito?) dal successo26.

Ma provi l'autosuggestione. Non bisogna riderne perché è tan­to semplice. Semplice è anche la guarigione cui Ella ha da arrivare. Non Le cambieranno l'intimo Suo «io». E non disperi perc iò 2 7 . Io di­spererei se vi riuscissero28.

c'era alcuna ragione di invidiare le «anitre». Così il «malato», scopren­do di «essere l'uomo più umano che sia stato creato», capirebbe che non c'era motivo di invidiare i «sani»: «guarirebbe», accettando la sua «malattia» come fatto natura­le, come quel che l'umanità «ha di meglio». 26. Mi perdoni ... successo: il successo letterario ha cambiato Svevo; ha fatto sì che egli non sen­ta più la propria nevrosi come una colpa, come un difetto. Dal punto di vista dei «sani» egli si è «guasta­to», perché non ha più il desiderio di liberarsi dalla «malattia». Dai suo punto di vista invece è «guarito». péi:cìié;n"en-ha~più l'ansia di volersi cambiàrèrdi"snaturarsi: ha scoper-tò~ctreia«m7alàft;3» è un fatto natu­rale e non vi vuole rinunciare. ÌTTNoff Le carriBierahno ... per­ciò: la cura non la cambierà fino in fondo, non cambierà la sua natura. Non disperi per questo, non perda speranza nella sua riuscita. 28. lo ... riuscissero: Svevo, al contrario del destinatario della let­tera, si dispererebbe se la terapia medica riuscisse a curarlo e a cam­biarlo.

esplicitamente rifiutato. 11. l'avrà ... ridere: l'avrà ritenuta una cosa da ridere. 12. Letterariamente: per l'uso che se ne può fare in letteratura. 13. più intero: più completo, più corrispondente alla verità. 14. sicuramente: fermamente. 15. pace: la fine della Prima guer­ra mondiale, nel 19!8. 16. gabellata: spacciata per vera. 17. ridicola ... italiani:allude, pole­micamente, alla versione dannun­ziana del mito del superuomo che banalizzava la filosofia di Nietzsche. L'inetto di Svevo è l'opposto del su­peruomo dannunziano. 18. parlare letteratura: parlare in termini di letteratura, in termini let­terari. 19. ultima: ultima lettera. 20. la meta è oscura: Svevo si chiede se la «meta», cioè la «guari­gione» sia veramente da desidera­re, se serva davvero a qualcosa. Ha scritto poche righe sopra: «perché voler curare la nostra malattia? Davvero dobbiamo togliere all'u­manità quello ch'essa ha di me­glio?». 21. che seppe di noi: che ci co­nobbe bene. Con questo «noi»

Svevo iotende i «malati», i «nevro­tici». 22. Schopenhauer: il .filosofo tede-sco..Arthur Schopenhauer (1_788-1860);"Nietzsche stesso lo rico­nosceva come maestro. Scho­penhauer distingue nell'umanità due tipi: il «lottatore», attivo _e_ combattivo, e il «contemp[atore», che Svevo identifica con il «mala­to», colui che si sente incapace di partecipare alla lotta per la vita. Entrambi, per Schopenhauer, sono «un prodotto delia natura», un'pro-dotto «finitoci "dùnque," ne" ricava Svevo, è inutile cercare di cambiarli, «non c'è cura che valga». 23. Se c'è differenza: se c'è diffe­renza tra chi si sente «malato» e gli altri, i «sani». 24. questa: questa differenza. 25. di quel ... cigni: è la favola del «brutto anatroccolo». Il «mala­to» fra i «sani» è come il «brutto anatroccolo» fra le «anitre»: si sen­te diverso, «male riuscito». Quan­do il brutto anatroccolo arriva fra i cigni scopre però di non essere «male riuscito», ma semplicemen­te di appartenere a un'altra razza, anch'essa creata dalla natura, e più bella. Capisce allora che non

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