Gli Italiani della settimana 28 novembre 4 dicembre 2010

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Manifestazione Cgil e studenti. La paura del complotto. Il governo che traballa e tante altre storie all'ombra dell'albero di Natale, per chi ce l'ha.

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sommario28 novembre 4 dicembre 2010

STARTPag 4 - Dal Transatlantico, la settimana politica. Di paradosso in paradosso l'iper attivismo del governo di Aldo Garzia

Pag 5 - Non è ancora un Sessantotto. Per ora di Piietro Orsatti

COPERTINAPag 6 - Un paese civile di Paolo Andruccioli

Pag 7 - Proteste studenti. Camusso e Hack: “andate avanti”

Pag 9 - Giorni di conflitto sociale. A Bologna di Marco Barone

Pag 10 - Studenti, la protesta fin dentro al cuore dello Stato. A decine entrano nel Senato di Giuliano Rosciarelli

Pag 10 - Il complotto immaginario. La faccia eversiva del berlusconismo di P. O.

Pag 12 - This Land is your Land Fotoreportage di Sebastiano Gulisano

Pag 16 - Quello che la Gelmini non capisce. Lo “strano effetto” si chiama famiglia di Sebastiano Gulisano

INCHIESTEPag 16 - Giochi di potere all’ombra del Vesuvio di Roberta Lemma

Pag 20 - La lobby di Dio per soli eletti di Emilio Grimaldi

Pag 23 - Caso Fastweb Telecom- Su Mokbel e Di Girolamo Cola vuota il sacco di Vincenzo Mulé

MONDOPag 24 - Cina. Una giornata come tante. Contro la violenza di genere di Tania Di Muzio

Pag 27 - Albania, la TV e uno spazio pan-albanese di Marjola Rukaj

CITIZENda pagina 30

Circa 300 persone sono scese in piazza oggi a Partinico per sostenere Pino Maniaci e Telejato. Molte le Associazioni presenti, oltre a quelle facenti parte il comitato promotore, fra cui Libera, Addiopizzo, i Centri di documentazione Pio Latorre e Peppino Impastato.  Alle 10.30 si e' tenuta la conferenza stampa per spiegare i motivi di questa manifestazione di solidarietà e per illustrare quali saranno i prossimi passi da compiere al fine di aiutare, anche economicamente, l'emittente .Erano presenti le istituzioni, il sindaco Lo Biundo , le forze dell'ordine rappresentate dal segretario provinciale del SIAP, Salvatore Como, e l'ordine dei giornalisti con il Presidente Regionale Vittorio Corradino. L'editore trqpanese Salvatore Coppola, uno dei promotori dellʼiniziativa, ha spiegato i motivi per cui era importante manifestare proprio a Partinico e senza bandiere di alcun partito politico.

Denise Fasanelli

Sulla notizia

Solidarietà a TeleJato

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Dal Transatlantico, la settimana politicaDi paradosso in paradosso l'iper attivismo del governoDi Aldo Garzia

Siamo al paradosso dei paradossi. Il governo ha il fiato corto, va sotto in più occasioni alla Camera su vari emendamenti mentre si discute il disegno di legge che vuole riformare l’università, ma il Consiglio dei ministri che si tiene settimanalmente licenzia provvedimenti su provvedimenti come non ha fatto nei due anni di legislatura precedenti. Venerdì scorso ha approvato misure urgenti per il Mezzogiorno, venerdì prossimo dovrebbe licenziare addirittura la riforma della giustizia.

E ad aggiungere benzina sul fuoco ci pensano le dichiarazioni di Franco Frattini, ministro degli Esteri, imbeccato da Berlusconi, su complotti e campagne mediatiche contro l’Italia che si starebbero imbastendo all’estero. Come se ognuno di noi non sapesse cosa si dice e si pensa dell’Italia e della sua politica ogni volta che varchiamo una frontiera.

Martedì vedremo intanto cosa accadrà a Montecitorio, quando il ministro Mariastella Gelmini chiederà il voto finale sulla riforma dell’università. Ha già annunciato che se saranno approvati altri emendamenti il provvedimento potrebbe essere ritirato. Che poi è quello

che chiedono l’opposizione e il movimento degli studenti e dei ricercatori che si è sviluppato negli ultimi giorni. Questo esito è nelle mani di Futuro e libertà. La scelta dei deputati Granata e Perina di salire sul tetto della Facoltà di Architettura di Roma p o t r e b b e e s s e r e i l p r e l u d i o all’affossamento della riforma. Vedremo. Meglio non sbilanciarsi in previsioni.

Quello che sembra del tutto in crisi è la strategia di Berlusconi. Mentre si avvicina il giorno del giudizio del 14 dicembre, quando le Camere voteranno la fiducia sulle sue comunicazioni, invece di prendere atto che l’unica via di uscita per lui sarebbe un “Berlusconi bis” con contrattazione del programma con i finiani e i centristi dell’Udc ha messo in atto la linea del ricatto. O fiducia o elezioni. Il tutto condito con la campagna acquisiti di deputati e senatori che dovrebbero puntellare il suo governo. Il che provoca l’irrigidimento di Fini e Casini. Ammesso pure che il governo riesca ad avere un manciata di voti di maggioranza, come farebbe a governare senza contrattare ogni passo con i finiani?

Se non avesse neppure questa manciata di voti, Berlusconi non avrebbe altra scelta che dimettersi. E a quel punto le chance di formare un altro governo crescerebbero esponenzialmente. Con il vento di crisi che soffia in Europa, in pochi giorni prenderebbe corpo una inedita maggioranza capitanata o da Mario Draghi, governatore di Bankitalia, o da dall’economista Mario Monti (per

fare solo due nomi). In ogni caso, ci attendono lacrime e sangue in campo economico perché le regole le detta la Banca centrale europea e i nostri conti – a iniziare dal debito pubblico – non sono certo in regola.

Dietro le quinte, anche per la settimana prossima, sono in programma altri incontri informali tra leader, partiti e poli in informazione. Bersani e Veltroni riusciranno a convincere Casini a diventare il loro candidato premier in caso di elezioni anticipate? Il nodo resta la legge elettorale. Riuscirà il blitz a cui lavorano Pd, Udc e Fli? L’ipotesi è semplice: correggere la legge elettorale in vigore per la Camera con una clausola che preveda lo scat to de l premio di maggioranza solo per la coalizione che raggiunge il 45%. Se il blitz riuscisse, il Pd potrebbe presentarsi da solo come farebbe anche Fli. Verrebbe meno infatti la costrizione all’alleanza in un polo. Il Pd ha il terrore di una alleanza con Vendola. Tutti i sondaggi su possibili primarie tra Bersani Vendola, danno vincitore il secondo.

I traditori

“Il 14 dicembre non ci accontenteremo di una fiducia occasionale, basata su fragili margini numerici.Necessitiamo di una fiducia convinta e continuativa. Questa è l'unica condizione per evitare il ritorno al voto”

“Sanno che votando la sfiducia al governo porterebbero un danno al Paese macchiandosi del reato di tradimento e di slealtà”

Silvio Berlusconi

Complotto si, complotto no

“Il ministro Frattini ha riferito su vicende delicate che rappresentano il sintomo di strategie dirette a colpire l’immagine dell’Italia sulla scena internazionale (...) L'attacco a Finmeccanica, la diffusione ripetuta di immagini sui rifiuti di Napoli o sui crolli di Pompei, l'annunciata pubblicazione di rapporti riservati concernenti la politica degli Stati Uniti...”

Nota di Palazzo Chigi

“Non c’è un complotto contro l'Italia ma elementi molto preoccupanti che sono una combinazione di informazioni inesatte e di enfatizzazione mediatica di fattori negativi per l'Italia”

Franco Frattini

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13/20 novembre 2010 5

Non è ancoraun SessantottoPer oraDi Pietro Orsatti

Non è l’Onda. Non è neanche un nuovo Sessantotto. Almeno per ora. Ma non è neppure un movimento piccolo e marginalizzabile. Soprattutto non è un  episodio. La protesta degli studenti Italiani contro la riforma Gelmini (se anche solo lontanamente è definibile così) non è più occultabile. Perché non è una protesta dei solo studenti, ma anche dei ricercatori, degli insegnanti, di chi produce e usufruisce di cultura in questo Paese. È una rivolta, quella a cui stiamo assistendo, di “sistema”. Un sistema, quello dell’istruzione, formazione e ricerca, che aveva certamente molte pecche, che doveva essere rivisto, ripensato e riformato. Ma non liquidato. Attraverso tagli e smembramenti, privatizzazioni di settori strategici per consentire nuove formule di clientelismo spacciate per esigenze di efficienza. Non è un episodio. Ripetiamolo. Qui

ci troviamo davanti a una protesta diffusa che è montata nel corso di due anni quasi clandestinamente. Che si è strutturata per canali incomprensibili sia ai media che soprattutto alla politica, che si era in parte materializzata sui tetti degli istituti di ricerca in liquidazione negli scorsi mesi e che oggi, invece, si trasferisce (moltiplicando obiettivi e bisogni) sui monumenti di mezza Italia. Cerchiamo di capirci. Il governo è andato sotto proprio sulla riforma Gelmini. Il ministro, intanto, non sembra aver capito quello che sta succedendo in tutto il Paese e continua a sciorinare battute in automatico su strumentalizzazioni e su ipotetici quattro gatti. Quattro gatti che votano, e la politica (e non la Gelmini che il giorno che spiegavano “politica” a scuola era assente) lo sa benissimo. E quindi questo saccheggio al patrimonio culturale e al futuro del Paese chiamato “riforma” alla Camera viene bloccato da “fuoco amico”. Perché quei voti un po’ arrabbiati di questi giovani che tutti davano a un futuro di solitudini e disimpegno invece ci sono. E questa generazione che si voleva suddivisa di nuovo in categorie determinate dal censo (chi ha i soldi per andare a studiare all’estero e chi no) è tornata in piazza a chiedere politica e scelte, cultura e impegno. E allora il governo va sotto. E continuerà ad andarci.

Ora si cerca, anche attraverso autorevole pubblicistica (vedi il sempre

più terzista Corsera) di dare una versione più rassicurante di questa riforma. Aprendo a modifiche e a un dibattito che non c’è stato e non si è volutamente cercato. Non convince, il Corsera e chi lo ha spinto a disegnare scenari rassicuranti che rassicuranti non sono.

Una nota poi va fatta, dopo aver visionato decine e decine di video di quello che sta succedendo in tutto il Paese in questi giorni. Lo spropositato uso della forza da parte di uomini in divisa. Non si tratta di qualche episodio isolato. Ormai avviene ovunque. Oggi sugli studenti. Nelle settimane scorse su manifestanti in Campania e perfino pastori sardi. L’uso della forza innesca una catena di reazioni. Innesca esasperazione. E apre spazi ad altro. L’uso della forza è profondamente politico. E Maroni lo sa benissimo. Che si senta davvero responsabile d quello che sta avvenendo e che avverrà. Perché è impossibile nascondere la reale natura di così tanti episodi di uso sproporzionato di metodi repressivo delle proteste. Troppi telefonini, troppe telecamere, troppi blog e troppi filmati su Youtube. E qui si apre anche un’altra repressione. Quale è il livello di formazione e di verifica sui comportamenti e la professionalità di chi si manda in strada a garantire l’ordine pubblico? Alcune delle scene a cui stiamo assistendo su questo aspetto non marginale ci costringono a riflettere. E a tenere gli occhi aperti.

No, non è ancora un Sessantotto. Per ora.

Taci il nemico ti ascolta

“Frattini, con l'irresponsabile tesi del complotto internazionale ai danni dell'Italia, ha fatto ridere tutte le cancellerie della comunità mondiale”

Leoluca Orlando

“Penso abbiano ragione. C’è un complotto contro l'Italia e gli autori del complotto siedono a Palazzo Chigi”

Nichi Vendola

ContrordineNessuno ha parlato di complotto

“Non mi risulta che (il premier ndr) abbia parlato di una strategia, di un complotto”

“Sicuramente ci sono in questo momento una serie di fatti che vengono fin troppo sottolineati, per esempio dall'opposizione, che certamente non giovano all'immagine dell'Italia e che il più delle volte non corrispondono neanche al vero”

“Qualsiasi cosa venga fuori, non sarà certo un documento di Wikileaks ad interrompere o anche solo a peggiorare il consolidato rapporto con gli Stati Uniti”

Ignazio La Russa

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Lotta alla precarietà del lavoro, battaglie concrete per le difesa di chi viene licenziato con le norme introdotte dal governo, unità tra giovani e anziani, rispetto delle regole e della democrazia, cittadinanza per gli immigrati, rispetto delle donne, tre priorità per affrontare l’emergenza Sud. E inoltre un attacco durissimo alla ministra Gelmini alla quale si chiede di ritirare la sua riforma dell’università. Sono stati questi i temi forti usati dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, al suo esordio dal palco di San Giovani.

“Il futuro è dei giovani e del lavoro. E’ questo il nostro faro, il modo per stare meglio. Qui oggi c’è il paese vero e da qui voglio partire con un impegno: ognuno di noi deve dire ai precari che noi non vogliamo che essi diventino le vittime di una legge ingiusta come il collegato lavoro. Da oggi sono 57 i giorni in cui decidere di chiedere giustizia per i licenziamenti”. Con queste parole Susanna Camusso ha cominciato a parlare sul palco di San Giovanni poco prima delle 13.

L’attacco immediato è stato dedicato al collegato al lavoro del governo accompagnato da un invito a tutta la Cgil a non abbandonare nessuno. “Siamo in grado di contrastare questa iniziativa”. E poi un appello a tutti quelli che stanno cercando lavoro a non firmare la clausola compromissoria per l’arbitrato. “Siamo con loro, li accompagneremo. Non lasciamo solo nessuno. Il futuro si costruisce così. Il futuro non può essere sentirci un paese condannato al degrado”.

Molto forte il discorso del segretario della Cgil sulla scuola e il sapere. Forse con i libri non si mangia, ma si diventa persone informate. “Noi nelle caverne non ci vogliamo tornare”, ha detto. Basta scaricare tutti i costi della crisi sui lavoratori. Il vero obiettivo è ridurre la disuguaglianza per evitare proprio che si crei sui giovani un grande debito. Anche sull’obbligo a 15 anni e sulla riduzione del tempo scuola è uno dei tanti esempi del regresso in corso.

“Quando si nega la scuola, si nega il futuro anche ai figli dei migranti. Qui sono nati e qui dovranno decidere della loro vita. La Cgil vuole “una scuola pubblica, nazionale e laica. Una scuola che unifichi il paese”. La ministra non è autorizzata a finanziare la scuola

Un paese civileIl segretario generale, al suo esordio, chiude la manifestazione di San Giovanni del 27 novembre. La Cgil vuole "una scuola pubblica, nazionale e laica. Una scuola che unifichi il paese". L'Italia non merita questo governo e questo degradoDi Paolo Andruccioli

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privata. E’ la ministra che sta con i baroni, non gli studenti che protestano. Non faccia appelli su you tube: ritiri il disegno di legge e vada in parlamento per aprire un confronto vero. Bisogna rispettare il luogo fisico della scuola: rifinanzi gli appalti di pulizia.

Per quanto riguarda i rapporti con il governo Susanna Camusso ha detto che sull’incontro a palazzo Chigi, la Cgil è ormai troppo abituata alle promesse. Tre sono invece le priorità: collegare il sud alle infrastrutture del nord, subito incentivi per assumere i giovani del sud (basta con la migrazione dei giovani). Ma soprattutto ci vuole legalità. Non usare l’esercito facendo finta di controllare il territorio. E’ necessario prima di tutto controllare gli appalti. Legalità è cominciare a sconfiggere la corruzione. Ma soprattutto è necessario combattere il caporalato e lo schiavismo che è tornato.

La legalità è un punto da cui ripartire insieme al Piano per il lavoro. Il governo deve decidersi e trovare una politica industriale. La Fiat, per esempio, ha spiegato Susanna Camusso, non ha spiegato il suo piano industriale: “Noi vogliamo saperlo perché temiamo che la testa dell’azienda si stia trasferendo negli Usa. Ora vogliamo sapere le produzioni di tutti gli stabilimenti, non solo di Mirafiori”.

Rimettere al centro il lavoro significa poi riparlare di Welfare. Un paese civile non può tagliare i fondi per la non autosufficienza. “Noi siamo in grado anche di fare proposte, con la contrattazione sociale. Saremo noi a impedire di mettere gli uni contro gli altri. Difenderemo i più deboli.. Abbiamo già fatto la nostra parte rinnovando i contratti. “Ma no alle deroghe, perché il contratto è un diritto universale. I contratti devono accogliere e rappresentare tutti. Le deroghe sono un danno ai lavoratori, ma anche alle imprese. Sono concorrenza sleale”.

Altro tema centrale, quello della democrazia. “Per noi democrazia – ha detto il segretario generale – è coinvolgere le persone. Siamo pronti a certificare i nostri iscritti, a farli contare uno per uno. Noi non abbiamo paura, non ci nascondiamo. E’ diritto dei lavoratori pubblici votare i loro rappresentanti. Solo dalla democrazia si risana il danno grave di rompere i

sindacati durante la più grande crisi economica.

Si deve ripartire da qui. Si devono esigere risposte politiche anche se il governo comincerà a dire che non ci sono le risorse. “Ma ci dicano che cosa stanno discutendo in Europa, dopo undici provvedimenti di finanza pubblica che hanno solo tagliato. L’unica ansia che hanno è risolvere i problemi di qualcuno”. Ma è ormai molto chiara la crisi politica di questo governo. “E’ vero che non va bene l’incertezza – ha detto Susanna Camusso – ma se la politica resta la stessa, i danni sono maggiori. Ci vorrebbe un sussulto epico, non la compravendita dei voti.

“Qual è l’agenda politica del governo”, si è chiesto infine il segretario. “Il paese non merita questo degrado e le esibizioni di machismo. Vogliamo un paese civile in cui si misuri il suo grado di civiltà valutando la

condizione della donna e dei migranti. Vogliamo un paese che non bruci la speranza. Un paese della tenacia, della pazienza del cambiamento. Un paese che non rinuncia al futuro. Viva il futuro, viva il lavoro, viva la Cgil”.

Rassegna.it

Proteste studenti Camusso e Hack: “andate avanti”

Se qualcuno pensava che il movimento degli studenti che è esploso in questi giorni fosse isolato, marginale, senza seguito si dovrà ricredere. Perché cominciano a essere sempre più dirette le dichiarazioni di sostegno dopo le prime timidezze dopo il blitz al Senato messo in atto nei primi giorni della mobilitazione.

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Che la maggioranza di governo proprio non riesca a percepire la complessità di quello che sta avvenendo nelle piazze di tutto il Paese lo testimoniano anche le dichiarazioni, esilaranti, di alcuni autorevoli esponenti del centro destra. “Francamente, non ho capito cosa vogliono gli studenti che stanno protestando e cosa stanno difendendo” ha dichiarato alla stampa oggi il Presidente della Regione Piemonte, Roberto Cota. «Mi sembra – ha aggiunto Cota parlando a Novara, dove partecipa alla presentazione del bilancio sociale di Finpiemonte Partecipazioni – che vogliano difendere l’università dei baroni, quel sistema che non dà loro alcuna prospettiva. C’è davvero qualcosa che non mi torna. E poi devo dire che non riconosco gli studenti piemontesi in quei ragazzi che sfondano le porte. Non li rappresentano». O non li rappresenta lui?

.Di tutt’altro tono invece le prese di posizione di due donne, autorevoli rappresentanti del mondo del lavoro e della cultura. Cominciamo dalla Cgil, in piazza domani a Roma. Rispondendo alle domande degli

ascoltatori di RadioArticolo1, il segretario generale della Cgil Susanna Camusso ha confermato che il sindacato è al fianco degli studenti nelle loro proteste contro il ddl Gelmini. E proprio su una battuta del ministro dell’Istruzione, secondo la quale gli studenti stanno difendendo “i baroni” universitari, il segretario della Cgil ha replicato: “A Gelmini vorrei dire che chi sta facendo accordi con i baroni è lei”, quando “distrugge le speranze dei ricercatori, mentre si dovrebbe fare il contrario”. “Si possono raccontare favole, ma gli studenti acculturati non ci credono”, ha aggiunto Camusso ricordando che si dovrebbe “decidere quanto Pil dedicare alla ricerca”. Secondo Camusso, il governo ha tagliato l’istruzione e la ricerca e ora cerca di affossare l’Università, e per questo “mi hanno inorridito le dichiarazioni del ministro Gelmini”.

«Finalmente si fanno sentire». Così invece ai microfoni di Cnrmedia l’astrofisica Margherita Hack davanti commentando  proteste studentesche contro la riforma Gelmini. «Una rivolta di tutto il mondo studentesco, dei docenti, dei ricercatori, era necessaria si

sta distruggendo un bene fondamentale per il futuro del paese. Solo un governo di ignoranti può pretendere di agire in questo modo. Gli studenti non manifestano a favore dei baroni, come dice la Gelmini, ma a favore di se stessi, dell’università». E aggiunge: «L’università non è un covo di gente messa in cattedra per favoritismi. Certo, ci sono episodi di questo tipo, ma sono episodi. In cattedra c’è molta gente valida. E lo prova il fatto che quando i nostri giovani emigrano, all’estero fanno fortuna e si trovano bene. Il che dimostra che la preparazione delle nostre università è buona». «Di questa riforma – continua la Hack – mi preoccupa enormemente il fatto che si voglia fare dei ricercatori dei precari a vita. Già son pagati male, se poi gli tolgono il contratto indeterminato è la fine. Grave poi il fatto di voler burocratizzare i ricercatori, di mettere i privati nei consigli di amministrazione. L’università si deve occupare di ricerca pura. Non si deve trattare come un’azienda. Come diceva Calamandrei, è un ente costituzionale e come tale va trattato. Agli studenti voglio dire: andate avanti».

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Giorni di conflitto socialeA Bolognadi  Marco Barone

Bologna, città commissariata, città ove la ‘ndrangheta spadroneggia, città ove interessi politici ed affari si intrecciano per consolidare il potere di quel sistema cooperativistico che è il vero centro sistemico decisionale della vita economica bolognese; città ove da anni è in corso uno svuotamento sia a livello culturale che anche demografico, basta pensare al solo calo enorme di  studenti iscritti all’università rilevato negli ultimi tempi; città ove alle nove di sera le strade iniziano a desertificare, città che vuole essere metropolitana, ma nello stesso tempo paese provinciale.

Città dalle mille eterogenee contraddizioni, città ancora assopita nel sogno rivoluzionario del 1977.Ma,ecco che in questi giorni, per motivi vari, siano essi liberi e spontanei siano essi non molto spontanei, nascere  varie iniziative di conflitto poste in essere da varie realtà ma non solo studentesche.

Mentre la Gelmini oggi dichiara che “Mi auguro che non accada che vengano votati emendamenti di un contenuto pesante e che possano stravolgere il provvedimento, perché se così fosse, come Governo mi troverei nelle condizioni di dover richiedere il ritiro della legge”; mentre qualcuno invoca il morto, mentre tutti noi ci interroghiamo su come Berlusconi e la sua loggia massonica quale la P3, difenderà il suo potere, stragi? bombe? omicidi? colpi di stato?o semplice fuga in Libia? , e mentre i giornali titolavano del cazzotto preso in faccia da Emilio Fede, che alla prima lettura sembrava quasi essere aggressione maturata per fini politici, ma poi leggendo l’articolo emergono storie di gossip e gelosia; a Bologna forse qualcosina si è risvegliata.

Gli studenti delle superiori di Bologna, in piazza da stamattina contro la riforma gelmini, sono stati caricati dalla polizia nel tentativo di invadere la stazione, erano in centinaia.Come si possono caricare ragazzini?Come?Intanto è successo e succederà ancora.

Nella giornata di ieri (24 novembre, ndr), si legge in un comunicato degli antifascisti , spontaneamente, studenti e studentesse antifascisti/e

autorganizzandosi si sono diretti verso la facoltà di Giurisprudenza, in cui Azione Universitaria e Giovane Italia volevano festeggiare, proprio nel giorno di discussione alla camera dell’infame DDL Gelmini, contro cui università licei e rettorati sono occupati, i vent’anni di agibilità politica in università. I festeggiamenti sono stati interrotti dal grido “Fuori i fascisti dall’università, resistenza in tutte le città”.La rete di protezione fascista si è attivata con avvocati, volanti della polizia e Digos che sono entrati in facoltà, ma sono stati prontamente cacciati.L’azione antifascista è continuata con un’assemblea, nella facoltà di lettere e filosofia occupata, da cui è emersa la necessità di coordinazione sul fronte dell’antifascismo così come in ogni ambito di lotta. Sull’antifascismo non si devono porre bandiere; questa giornata ha dimostrato che l’antifascismo si pratica ed è una pratica di libertà”.

E sempre nella giornata di ieri sera, sembrerebbe che un gruppo di anarchici abbiano contestato l’iniziativa organizzata in serata dalla lega nord “contro il degrado” al pub Lab16 in via Zamboni 16 (ex Transilvania).Gli interventi al megafono (in cui si ricordavano le responsabilità della lega e la repressione con l’idrante avvenuta nel Cie domenica) hanno attirato non pochi indignati.

Qualche spintone tanti insulti  ma  alla fine l’arrivo delle forze dell’ordine convince i più ad andarsene.

Mentre nella giornata del 17 novembre sono stati incendiati cassonetti in più punti della città, in solidarietà con i migranti di Brescia,Milano.

Nello stesso tempo si tende ad invocare la generalizzazione del conflitto sociale, che non sia limitata solo alla questione università o scuola, ma anche welfare, difesa beni comuni, reddito e cittadinanza, immigrazione, carceri.

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Capiremo quanto sia vero e genuino questo conflitto dopo le date del 27 novembre e del 11 dicembre, date importanti per una fetta della politica istituzionale di opposizione italiana nonchè sindacale concertativa.

Se oltre quelle date il conflitto continuerà, se sarà ancora vivo, se allargherà la sua estensione e radicalizzazione nei territori, allora vuol dire che veramente qualcosa forse in Italia è in fase di cambiamento.

L’indipendenza del movimento è l’unica forza che può rendere un conflitto sociale libero ed incondizionato, ovvero meramente conflittuale.

Studenti, la protesta fin dentro al cuore dello StatoA decine entrano nel Senatodi  Giuliano Rosciarelli

Sui tetti delle mense a Bologna, di quelli delle università a Torino, sui ponti a Pisa, sui binari a Firenze. Fino dentro il cuore dello Stato a Roma.

Quanto sta accadendo in questa giornata di protesta degli studenti contro la riforma Gelmini (in discussione alla Camera) ha colto di sorpresa tutti: forze dell’ordine, organizzatori, politici.

La rabbia esplosa improvvisa sta creando il caos in tutto il paese e a Roma è arrivata fin dentro le mura del palazzo con l’irruzione di un gruppo di giovani dentro il Senato. In ritardo la risposta delle forze dell’ordine, che insieme ai commessi sono comunque riusciti a chiudere il portone di vetro, poi bersagliato da un lancio di uova. Nel parapiglia si e’ sentito male un funzionario di polizia.

La vicepresidente del Senato, Rosi Mauro, e’ immediatamente giunta sul posto. Successivamente sono intervenuti forze dell’ordine in tenuta antisommossa e gli studenti si sono allontanati raggiungendo di nuovo il resto del corteo che stava presidiando Montecitorio.

Poco prima, momenti di tensioni si erano registrati quando gli studenti sono arrivati a piazza Venezia cercando di raggiungere Montecitorio cercando di eludere i cordoni di Polizia. la presidente del gruppo Pd al Senato, Anna Finocchiaro rende noto che la

delegazione di studenti, ricevuta al Senato, ha condannato fermamente “gli episodi di violenza, compiuti da un gruppetto isolato. Unanime la condanna del mondo politico, il bilancio provvisorio degli scontri è di tre carabinieri feriti due dei quali appartengono all’VIII Reggimento Lazio e il terzo al comando dei Carabinieri del Senato della Repubblica.

Tensione anche a Pisa dove i cinque ponti che collegano il centro storico con il resto della città sono stati occupati dagli studenti di sette facoltà occupate mandando il tilt la città, così come a Siena dove centinaia di studenti ha bloccato la stazione centrale paralizzando il traffico ferroviario. A Bologna invece si sono tenute lezioni in piazza con la partecipazione dei professori e ovunque occupazioni nelle facoltà.

Tanti i visi, diverse le storie ma solo una parola d’ordine che unisce le tante critiche al ddl Gelmini : “ Ritiro” perché “tanti studenti e ricercatori – dice il comunicato degli studenti a bilancio della giornata – non ci stanno ad essere trascinati nelle macerie di questo governo che non vuole sentire la voce, eppure forte, di quanti stanno protestando in questi giorni; così come non ha voluto ascoltare le proteste che in questo autunno sono nate non solo dagli studenti ma anche dai lavoratori, dai migranti”.

Il complotto immaginarioLa faccia eversivadel berlusconismodi  Pietro Orsatti

Complotti. Misteriosi e internazionali. Della stampa indegna, della magistratura eversiva, della Rai comunista, dell’opposizione irresponsabile, degli ex alleati traditori. Silvio Berlusconi pensa davvero che qualcuno creda a questo scenario apocalittico? L’uomo più ricco, potente, con un impero mediatico e imprenditoriale che sembrano essere quasi uno Stato nello Stato, dice di essere una vittima. Di un complotto. E affida all’ex maestro di sci Frattini il compito di disegnarne i presunti confini.

Salito al governo con una maggioranza parlamentare numericamente mai raggiunta (anche se con il trucco di una legge elettorale oscena) in questo Paese ma incapace di affrontare se non con spot e proclami tarocchi la pur minima questione che non lo interessi direttamene.

Il suo governo del fare si è dimostrato in questi due anni e mezzo il governo del “farmi gli affari miei”. Atteggiamento che a quanto pare ha contagiato molti dei suoi. Che fra affari, conflitti di interessi, nepotismi, sbeffaggiamento sistematico di ogni regola minima hanno mandato in malora economia, rapporti sociali, libertà di mercato, lavoro, risparmio, ambiene, relazioni e credibilità

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internazionale, legalità, trasparenza, cultura, libertà civili, diritti. Avevamo criticato duramente i due precedenti governi guidati da Berlusconi. Ma sono stati una passeggiata se confrontati a questo. Il Paese, quel poco che è sppravisuto a questa sbronza collettiva, ora si prende una minima e difficile rivincita. Quella di ritrovarsi in piazza, nelle strade del Paese, sui tetti di fabbriche e istituti e università.

Tornare, almeno, visibili. Con la CGIL e gli studenti, con i movimenti sopravvissuti all’invadenza imbarazzante (e alla ancor più imbarazzante incapacità di capire cosa stava accadendo al Paese) delle forze politiche di opposizione. Fuori anche dagli schemi pelosi e populistici di Savonarola improvvisati come Grillo e i suoi imitatori. Di quegli imitatori da sottobosco in cerca di un briciolo di visibilità e possibilmente di un posto da funzionario o di una candidatura.

Berlusconi è solo la conseguenza di quello che è il ceto politico in Italia. Lui approfitta dell’approssimazione, incapacità, incompetenza e svuotamento etico del ceto politico tutto. Sembriamo ormai rappresentati in gran parte da soci di un club di uomini senza qualità. Quei pochi che ancora sanno quanta qualità invece serva per fare politica ormai sembrano degli alieni. E spesso sono costretti ad accettare il gioco di sembrare, anche loro, parte del club.

Oggi la politica ha faccia di un ragazzo che studia per un esame durante un sit in davanti alla Camera, dell’operaio che ogni giorno, anche se a casa in cassa integrazione, va a controllare se la sua fabbrica ci sia ancora, dei migranti che chiedono giustizia su una gru, del precario che passa la notte sul tetto dell’università dove lavora, da precario, da vent’anni. Oggi la politica ha la faccia di un cronista che, minacciato dalla criminalità, continua a scrivere anche a rischio di perdere il lavoro e la vita, le rughe di preoccupazione di un impiegato statale alla vigilia della terza settimana, l’attesa in banca di un piccolo imprenditore per un prestito di una manciata di euro. La politica ha il grido delle donne di Terzigno, il gesto di uno striscione calato dalla Torre di Pisa e lo sguardo di un coppia di ragazzi davanti a un’orario di un treno che li porti fuori da questo Paese. La politica ha la concretezza di chi ha

smesso di aspettare miracoli a L’Aquila, di chi ha ancora le scarpe sporche dal fango del Veneto. La politica ha le parole di un musicista senza orchestra, di un archeologo senza scavi, di un attore senza teatro, di uno scienziato senza laboratorio.

Questa è la politica oggi. Questa e non la rappresentazione che ogni giorno, purtroppo anche noi, siamo costretti a mettere in pagina, o in video.

Se Berlusconi ora si lascia andare a proclami su un presunto complotto non possiamo che essere in allarme. Non a causa del complotto che non c’è. Ma perché queste dichiarazioni dimostrano, ancora una volta, la volontà del premier di non mollare, di non accettare la sconfitta del suo governo e della sua maggioranza. Dimostra questa teoria del complotto la natura ormai eversiva del potere berlusconiano. Eversivo. Perché rifiuta le regole e la logica di una

democrazia. La nostra democrazia. Anche la tempistica di questa assurda pantomima da parte del premier è inquietante. Mentre in tutto il Paese si accende la protesta verso le sue non politiche. Dalla scuola e università a Napoli, dal Veneto a L’Aquila. E alla vigilia della manifestazione nazionale di oggi della CGIL. È inquietante perché rende evidente la contraddizione di un’opposizione che è nelle strade e non nei palazzi delle istituzioni. Perché la sconfitta di Berlusconi nasce nella società e non nel parlamento. E perché quando si

lanciano allarmismi strumentali come stanno facendo il premier e i suoi dipendenti si agitano ancora, dopo decenni, i fantasmi di un passato che non vogliamo rivivere sulla nostra pelle.

Capiremo quanto sia vero e genuino questo conflitto dopo le date del 27 novembre e del 11 dicembre, date importanti per una fetta della politica istituzionale di opposizione italiana nonchè sindacale concertativa.Se oltre quelle date il conflitto continuerà, se sarà ancora vivo, se allargherà la sua estensione e radicalizzazione nei territori, allora vuol dire che veramente qualcosa forse in Italia è in fase di cambiamento. L’indipendenza del movimento è l’unica forza che può rendere un conflitto sociale libero ed incondizionato, ovvero meramente conflittuale.

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This Land is your LandFotoreportage di Sebastiano Gulisano

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«Francamente vedere gli studenti, i giovani manifestare a fianco dei pensionati mi fa uno strano effetto». Lo ha detto il ministro dell’Istruzione, Mariastella Gelmini, commentando la manifestazione della Cgil del 27 novembre a Roma.

La capisco, la Gelmini, comprendo il suo stupore, ché l’idea di vedere insieme il passato – cioè l’esperienza, la memoria – e il futuro – gli studenti che protestano contro la sua controriforma di scuola, università e ricerca – non rientra nella logica di chi la memoria intende cancellarla fin dai banchi di scuola; non rientra nella logica di chi s’è intestata una “riforma” classista e miope ché dà un taglio al futuro dei giovani e del Paese tutto.

La capisco, la Gelmini, persino quando aggiunge che quello «strano effetto» lo prova anche «quando vedo studenti, professori e baroni manifestare tutti dalla stessa parte», dichiarazione che fa il paio con quella di qualche giorno prima, in cui accusava gli studenti di essere «strumentalizzati dai

centri sociali e dai baroni», ché, notoriamente, i baroni sono assidui frequentatori di centri sociali.

La capisco, la signora ministro, e penso che il suo stupore nel vedere insieme, oggi, l’Italia di ieri con quella di domani, sia autentico, ché quegli anziani manifestanti non hanno potere e, dunque, non è comprensibile che giovani donne e giovani uomini possano accompagnarsi a loro: non è così che si fa carriera, nell’Italia del bunga bunga, a Porcilandia. A Porcilandia i «meriti» forse si maturano in altro modo, se poi ci si ritrova con la stessa Gelmini che dà della «cagna» alla collega del Turismo, Michela Vittoria Brambilla, o con la deputata Alessandra Mussolini che apostrofa la compagna di partito e ministro delle Pari opportunità, Mara Carfagna, con uno sprezzante termine napoletano: «vajassa». Non siamo più di fronte alle provocazioni di Beppe, Grillo che va in Senato e le definisce «zoccole»; non è uno show di Sabina Guzzanti in cui si citano inconfessabili

rapporti orali: no, ormai se le cantano fra loro, senza ritegno.

E, al di là delle facili ironie, comprendo anche perché Mariastella Gelmini accosti gli studenti a baroni e centri sociali: strategia mediatica. Pura e semplice strategia mediatica. I centri sociali sono additati da questo governo – ma non solo – come covi di sovversivi e potenziali terroristi; i baroni universitari, nell’immaginario collettivo, sono l’emblema della conservazione e della perpetuazione del potere negli atenei per via familiare o per cooptazione. Peccato che la cosiddetta riforma Gelmini non intacchi minimamente questo stato di cose. Gli studenti lo sanno. I baroni anche – loro protestano perché i tagli ai finanziamenti sono stati così poderosi che non riescono manco a chiudere i bilanci di facoltà o di ateneo – e la Gelmini, ovviamente, pure.

Fino a pochi mesi fa, delle modifiche normative che hanno stravolto la scuola italiana e l’università, sapevo quanto qualsiasi italiano

Quello che la Gelmini non capisceLo “strano effetto” si chiama famigliaDi Sebastiano Gulisano

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010mediamente informato. Forse meno.

Ché, non avendo figli, poco so della quotidianità di studenti e insegnanti. Da due anni li vedo protestare, partecipo alle loro manifestazioni, leggo i loro volantini, ascolto i loro slogan, vedo le loro facce. Ma un conto è solidarizzare, altro è calarsi nei problemi di scuola e università, cioè calarsi nei problemi di chi manifesta e guardarli – i problemi – coi loro occhi privi di orizzonti, privati del futuro.

So che vuol dire non avere futuro. Sono siciliano. Noi siciliani il futuro non lo abbiamo manco nel linguaggio, nel dialetto o lingua che sia (fate voi) i verbi non si declinano al futuro. Il futuro, semplicemente, non esiste. Il governo Berlusconi sta sicilianizzando l’Italia.

Alla fine dell’estate mi è stato proposto di scrivere un libro «sulla riforma Gelmini», cioè sulle ricadute reali, concrete che tagli finanziari (nove miliardi e mezzo di euro in tre anni, fra scuola, università e ricerca) e nuove norme – incluse quelle in itinere –, hanno avuto, hanno e avranno sul sistema italiano dell’istruzione. Ho letto leggi, decreti, regolamenti, relazioni, dibattiti parlamentari, interviste e cronache quotidiane. Ho parlato con docenti, genitori, lavoratori precari, dirigenti scolastici, sindacalisti e studenti. Ho rovistato nei siti internet di scuole, università, movimenti studenteschi, sindacati e di svariati soggetti collettivi che la scuola la vivono, da operatori o da utenti. Insomma: mi sono documentato come, da giornalista, ho imparato a fare. E l’ho toccata con mano, la scuola della Gelmini. Una scuola destinata ad accrescere il divario Nord-Sud, una scuola che non fa i conti con le specificità dei territori (si pensi alla trasformazione degli istituti d’arte in licei artistici, con conseguente taglio dei laboratori), una scuola che non fa i conti con i bisogni degli alunni svantaggiati, una scuola che ignora il merito (si pensi ai tagli, del novanta per cento in due anni, delle borse di studio agli universitari). La scuola pubblica, ché è della scuola pubblica che stiamo parlando: per quella privata i fondi si trovano, sottraendoli dal cinque per mille delle tasse che i cittadini versano appositamente per le associazioni di volontariato.

Al di là dell’illegittimità della sporca operazione tremontiana, questa

storia delle tasse mi ricorda una dichiarazione di Silvio Berlusconi durante un faccia a faccia televisivo con Prodi, nel 2006: «Continuano a essere convinti (loro, i “comunisti”, ndr) che il fine del governo sia ridistribuire il reddito con le tasse, rendendo uguali il figlio del professionista e il figlio dell’operaio», con buona pace degli articoli 3 e 34 della Costituzione. A me, quella dichiarazione del premier sembra alla base dell’intero operato del governo e mi pare anche la filosofia di fondo della cosiddetta riforma Gemini: mettere fine «all’egualitarismo del ’68», ripete da quando s’è insediata a viale Trastevere, la Gelmini. Lo stesso «egualitarismo» che intendeva rimuovere la loggia massonica P2. Tutto torna.

E non mi meraviglio se a distanza di oltre quarant’anni i Modena City Ramblers incidono un classico di quella generazione studentesca, quel Contessa di Paolo Pietrangeli in cui si ironizza: «Del resto mia cara di che si stupisce / anche l’operaio vuole il figlio dottore / e pensi che ambiente che può venir fuori / non c’è più morale, contessa»,

diventato uno degli inni dell’Onda, dopo esserlo stati dei sessantottini.

Ho parlato con tantissimi universitari, in questi mesi, incontrati ai cortei, ai sit in, nelle facoltà occupate, e tutti, nessuno escluso, mi hanno detto che faticano a immaginare il proprio futuro. A immaginarlo in Italia. «Emigrazione» è la parola che torna regolarmente, a ogni colloquio. È la conseguenza obbligata della riforma Gelmini. È ciò che lei non capisce o finge di non capire. È il futuro che il governo Berlusconi vuole per l’Italia: un futuro in cui il sapere è di pochi, la precarietà di molti e i diritti compressi. Anche a manganellate, se occorre. Come ha esortato a fare, dallo studio del Tg4, Emilio Fede, confermando così le accuse che anni fa gli muoveva Nanni Moretti: «È uno squadrista mediatico».

È a questo futuro che i giovani non intendono rassegnarsi ed è per tale motivo che scendono in piazza coi propri padri, le proprie madri e i propri nonni, perché, cara signora ministro, ciò che a lei fa «uno strano effetto» si chiama famiglia: sono le famiglie italiane a scendere in piazza contro i tagli al futuro.

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“Siete prepotenti e mistificatori” “E’ una tecnica che con me non funziona”;

Queste le frasi del Presidente del Consiglio, Berlusconi, urlate al telefono controFloris durante Ballarò. Quando un uomo, con il peso e il potere di Berlusconi, perde l’aplomb, significa che lo stesso uomo sente tremare la terra sotto i piedi. A provocare il sisma soprattutto Terzigno: sempre l’annosa questione rifiuti aveva fatto scappare a gambe levate La Russa ospite dalla Berlinguer la sera prima. Per sbugiardare le gravi affermazioni del premier non occorre pagare un costosissimo investigatore, basta venire a Napoli.

Basterebbe una passeggiata di cinque minuti nelle vie del centro per restare tramortiti dalla presenza di tonnellate di rifiuti che ricoprono ogni marciapiede, ogni strada.

Alle bugie il premier sembra averci fatto l’abbonamento, tanto che lo stesso presidente della Repubblica Napolitano lo sbugiarda, pubblicamente, dichiarando che sul suo tavolo nessuna proposta di legge è mai arrivata. Se invece andiamo sul sito del governo e andiamo a leggerci le riunioni svolte dalla presidenza del consiglio, n. 114 del 18/11/2010, leggiamo: – Il Consiglio ha approvato,

su proposta del Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, un decreto legge inteso ad assicurare il superamento della criticità rifiuti in Campania. Il decreto contiene la cancellazione delle discariche di Terzigno-Cava Vitiello, Andretta, Serre-Valle della Masseria. Sono introdotte misure volte ad accelerare la realizzazione di termovalorizzatori, con l’attribuzione al Presidente della Regione di poteri commissariali. Verranno inoltre stanziati fondi a valere

sul FAS per la copertura degli oneri per l’impiantistica e le misure di compensazione ambientale. Ha partecipato alla discussione il Presidente della Regione, Stefano Caldoro. -

Inoltre una rimappatura dei poteri degli enti pubblici chiamati a risolvere, una volta per tutte, l’emergenza rifiuti in Campania. Peccato che la proposta di legge risulta fantasma; dovrebbe aggirarsi tra gli uffici della Protezione Civile, diventato a tutti gli effetti organo istituzionale privato ai comandi del premier, tanto da fare anche i bandi per gli appalti, e tra quelli del ministro della Difesa La Russa. Tale proposta di legge, scomparsa, è diventata motivo di scontro e di dichiarazioni al vetriolo tra la Carfagna, Cosentino e il sindaco di Salerno, De Luca; per questo è stata fatta sparire la proposta di legge? Per consentire di capire quanto reali siano le minacce della Carfagna e del sindaco De Luca? Uno scontro tra gruppi di potere, dove la Carfagna dice no e minaccia le dimissioni, dove De Luca minaccia di denunciare ”certe losche manovre” e dove Cosentino urla come un indemoniato pretendendo l’assoluto potere sulla gestione degli appalti. Ecco come risponde De Luca intervistato da un giornalista di Repubblica:

Sindaco, che partita si sta giocando

«L´unica cosa certa in quel decreto è che le Province ora sono escluse dalle scelte. Ma non basta. Con tutto il rispetto per Caldoro, che è una persona perbene, occorrono posizioni nette perché sullo sfondo di tutto rimane la tutela politica del coordinatore regionale Pdl Nicola Cosentino».

Giochi di potereall’ombra del VesuvioDi Roberta Lemma

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sui rifiuti?«Una partita da un miliardo di euro. C´è una forte pressione e dimostreremo nei prossimi giorni quanto sia motivata e vera la presenza affaristica».A cosa si riferisce?«Al bando della Provincia per il termovalorizzatore di Salerno, denunceremo presto tutto. L´inceneritore si farà solo alle nostre condizioni e non alle condizioni di quel bando. Bisogna evitare assolutamente che la vicenda diventi un´occasione di penetrazione nell´area di Salerno per la camorra e per forze ad essa collegate».Anche Mara Carfagna è contro quel bando. Lei è solidale con il ministro per le accuse arrivate dall´interno del Pdl?

«Tutta la mia solidarietà alla Carfagna per l´attacco a cui è stata sottoposta. C´è uno scontro nel Pdl tra gruppi di potere affaristici e un ministro che si muove in quel partito tentando di affermare la dignità della politica».

Qual è il nodo?«Qui bisogna riportare la

Campania ad essere una regione normale senza un groviglio di competenze che moltiplica i costi e le aree di inefficienza del servizio per lo smaltimento dei rifiuti. Un groviglio di competenze che porta a separarci da una condizione di democrazia normale in cui la gestione del ciclo dovrebbe spettare ai Comuni singoli o associati».

In questo groviglio lei è d´accordo con la scelta del governo di affidare al presidente della Regione Stefano Caldoro l´incarico di commissario per

la realizzazione degli inceneritori di Salerno e Napoli orientale?

«L´unica cosa certa in quel decreto è che le Province ora sono escluse dalle scelte. Ma non basta. Con tutto il rispetto per Caldoro, che è una persona perbene, occorrono posizioni nette perché sullo sfondo di tutto rimane la tutela politica del coordinatore regionale Pdl Nicola Cosentino».

Cioè?«Mi fermo qui, credo di essere

stato chiaro. Aggiungo solo una considerazione personale. Poiché Salerno è il primo comune d´Italia per la raccolta differenziata, avendo realizzato un vero e proprio miracolo vorrei che almeno non ci dessero fastidio». Inutile girarci intorno, appare chiaro a cosa si riferisca De Luca, a quale potere occulto; a quello dei Casalesi che detengono, da sempre, il controllo assoluto su tutta la gestione dei rifiuti in Campania, dalla raccolta allo smaltimento illegale in discariche mai messe in sicurezza, al traffico illecito di rifiuti industriali.

Un passo indietro, piccolissimo. Alle elezioni provinciali il rais del Pdl Cosentino, ( a piede libero perché la Camera negò l’uso delle intercettazioni a suo carico e indagato in concorso esterno alla camorra ) ha piazzato a capo delle province uomini fidati. A Napoli, Luigi Cesaro, ( più volte indagato per appartenenza mafiosa ).

A Salerno ha sistemato il deputato Pdl Edmondo Cirielli. Nicola Cosentino, l’uomo di Casal di Principe, soprannominato “Nik l’americano”, non vuol proprio rinunciare a comandare sulle gare di appalto relative ai nuovi impianti previsti in Campania per mettere la parola fine all’emergenza rifiuti, ma se a comandare e pilotare gli appalti saranno sempre loro, quando finirà l’emergenza rifiuti in Campania?

In questo senso va letta la dichiarazione di Mara Carfagna: «Non posso permettere che una guerra di potere faccia saltare un’operazione di vitale importanza per la Campania con la conseguenza che, dopo Napoli, anche Salerno possa essere sommersa dai rifiuti». Per questo ad un certo punto, l’audizione svolta dalla commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite sui rifiuti del 5 ottobre 2010, ( pag 19 ), viene segretata su richiesta del procuratore di Nola, Paolo Mancuso?

Dichiarazioni del procuratore di Nola durante l’audizione: ” Io spero che di tutto questo non venga a diffondersi notizia nella cittadinanza. In realtà noi viviamo, come sistema di controlli, ( come organo investigativo ), una condizione di particolare fragilità: manca quel rispettoso timore reverenziale ( nei confronti della magistratura italiana ) perchè molto più forte dall’altra parte, ( da parte dei gruppi occulti di potere politici e imprenditoriali ), la consapevolezza della nostra debolezza. Abbiamo difficoltà ad individuare problemi e responsabilità.

Le omissioni da parte delle ditte che hanno la gestione dei rifiuti sono molte e significative. In qualche maniera, queste omissioni, hanno il compito di non consentirci di capire se il problema esiste oppure no, se esiste un pericolo reale per ambiente e salute pubblica oppure no. Le verifiche su cava Sari hanno fatto riscontrare una serie gravi di inadempienze per quanto riguarda il pericolo di infiltrazione nel terreno di reflui, di percolati, e così via. ( come dimostrato dalle ultime analisi effettuate sulla falda acquifera di Terzigno e non tenute in considerazione ) Su Acerra sappiamo del superamento del tetto stabilito dalla legge sulle emissioni di fumi inquinanti, mentre mancano totalmente rilevamenti importanti come quelli su piombo e mercurio. ”

Durante l’audizione l’onorevole Giuseppina Castiello, Pdl, dichiara: ”…la stessa ASIA, ( azienda addetta alla raccolta dei rifiuti e che lavora su deroga, senza nessun contratto dal 1999, con il comune di Napoli ) sta gestendo la discarica di Terzigno e noi tutti sappiamo in quale modo, vergognoso.

Dobbiamo chiederci chi si può attivare così da evitare danni ambientali e conseguenti danni alla salute pubblica. A questo punto c’è veramente da chiedersi se anche le istituzioni non debbano intervenire, per evitare che avvenga quello che noi tutti sappiamo. Sappiamo infatti cosa succede e in che modo vengano gestite certe cose…”

Dice bene la deputata, noi tutti sappiamo, ma nessuno interviene, anzi, si continua ad agire impunemente con mano criminale, mentre, il ministro Maroni, perde tempo a polemizzare, stupidamente, con Saviano.

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“Dio non è un’entità metafisica ma si è incarnato nella storia, come insegna il cristianesimo. Questo significa che oggi è presente sulla terra tramite il papa e il collegio dei vescovi. In Comunione e liberazione, per rispondere a Cristo, si deve obbedire a chi ti è prossimo nella gerarchia. Nel caso dei Memores, per processo analogico, l’autorità è il capo casa. Nella logica di Cl, non puoi avere un rapporto soggettivistico con Cristo, perché se segui il fascino mistico di ciò che ti interessa, come le letture di alcuni santi o le emozioni di fronte a un brano del Vangelo, vivi solo delle proiezioni di ciò a cui tieni personalmente. Insomma, non segui Dio che è alterità, ovvero incarnazione, per cui per Cl e solo l’obbedienza che garantisce il rapporto con il divino. Tutto il resto sono proiezioni”. Un passo del libro inchiesta: “La Lobby di

Dio” (Chiarelettere, in uscita domani) di Ferruccio Pinotti. La testimonianza è quella di Bruno Vergani, ex Memeros Domini, i “monaci guerrieri” del movimento religioso. Comunione e Liberazione. Più avanti, alla domanda: Qual è il fascino di una simile obbedienza? risponde: “Un fascino teorico ma potente: la possibilità di emanciparsi da se stessi. Un sé detronizzato che abbraccia l’Assoluto diventato carne, per potersi percepire definitivamente libero dalla finitudine attraverso la fusione in questa alterità. Poi, di fatto, l’obbedienza era di uomini ad altri uomini che, a loro dire, rappresentavano l’Assoluto stesso. Un bell’equivoco. In sostanza, la discrepanza fra teoria e realtà del movimento risiede nell’obbedienza”. Una riflessione “sottile” e una testimonianza di “grande qualità intellettuale”, annota Pinotti. Più

metaforica e più ironica, ma ugualmente efficace, la visione di Mino Martinazzoli, ex segretario della Dc: “Gli aderenti di Cl fanno ogni minuto la volontà di Dio, che Dio lo voglia o no. E questo spiega perché abbiano capacità redentive; puoi essere un corruttore, un tangentista, un terrorista, ma se vai da loro e scopri l’incontro con Gesù potrai tranquillamente entrare nell’orbita di Cl”.L’orizzonte è quello creato da don Luigi Giussani. Comunione e liberazione. “Meno Stato e più società”, questo lo slogan spianato sulla Trascendenza. Molta più società. Il braccio operativo di Cl, la Compagnia delle opere, conta oggi: 41 sedi in Italia e in altri 17 paesi, 34.000 imprese e 1000 associazioni non-profit. Il fatturato complessivo è stato stimato in almeno 70 miliardi di euro. Una lobby. La lobby di Dio. Ne ha fatto di strada il vino

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La lobby di Dioper soli elettiUno sguardo verso il futuro. L’obiettivo di Comunione e liberazione? Il prossimo papa e il prossimo premier rischio. NelDi Emilio Grimaldi

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dell’imprenditore siciliano Sebastiano Benenati che non riusciva a vendere. Del 1986 il “big bang” dell’universo di Cdo.L’inchiesta di Ferruccio Pinotti in Chiarelettere parte dal basso, dai documenti, dai dati, dai fatti. Dialoga con le testimonianze degli aderenti, ed ex, a Cl, a Cdo e ai Memores Domini. Si confronta con le diverse indagini giudiziarie che hanno coinvolto uomini e mezzi della galassia di Comunione e Liberazione. Inquadra la polis del movimento, non solo quella strettamente politica. È un’enciclopedia. Abbraccia l’intero scibile prodotto dalla primigenia Gioventù studentesca degli anni ’50 del secolo scorso. Che raccoglie e sublima gli ideali sessantottini in una visione più trascendente ma anche più terra terra. Una rivoluzione vera e propria dei principi equidistanti dei valori laici e religiosi. In un Grande fratello dove la parola divisione non esiste. Non esiste più la contesa delle idee. Dei pensieri. Ne esiste solo una, quella del leader. E dell’obbedienza verso di esso. Si tratta di un “processo analogico”, rifletteva Vergani. Che in lontananza richiama quello verso don Giussani, che ora non c’è più. Ma c’è sempre Gesù. Lui è l’Incarnato. Che si rivela sempre. Anche oggi. Anche adesso.

Ovvio che solo il capo ha le capacità e il carisma di saperlo interpretare.

L’analisi documentale di Pinotti rimanda, per profondità, quella di Max Weber in “L’etica protestante e lo spirito del cristianesimo”. A differenza del grande sociologo tedesco il giornalista padovano non trae nessuna conclusione di natura filosofica, e quantomeno teologica. Nessuna sintesi teorica sul trasformismo dei principi politico-economici della società italiana compiuti dall’“amicizia operativa” del modello ciellino. Solo “un’esperienza complessa, che suggerisce diverse riflessioni”, si concede alla fine del libro.

Uno sguardo verso il futuro. “L’obiettivo di Comunione e liberazione? Il prossimo papa e il prossimo premier. “Uno scenario che non è affatto improbabile, con importanti figure come Angelo Scola, cardinale e patriarca di Venezia organico a Comunione e liberazione, in pista come successore di Ratzinger; mentre proprio Cl potrebbe tirar fuori dal cilindro il candidato idoneo a succedere a Berlusconi. Tra i papabili, sicuramente in prima linea c’è il presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni”. Roberto Formigoni che è anche il successore indiscusso di don Giussani. Memores Domini della prima ora. A lui il timone di Comunione e liberazione. E sarà certamente sardonico il sorriso di chi, avendo notato l’accoglienza del popolo ciellino riservata al lussurioso Silvio Berlusconi quale presidente del Consiglio italiano – “l’uomo della Provvidenza”, lo definì don Giussani – noterà come, con il medesimo zelo, applaudiranno al candidato in pectore, un monaco che ha stretto i voti della castità, dell’obbedienza e della povertà.

Le vie del Signore sono infinite, lo diceva pure Gesù.

emiliogrimaldi.blogspot.com

L’inchiesta di Ferruccio Pinotti in Chiarelettere parte dal basso, dai documenti, dai dati, dai fatti. Dialoga con le testimonianze degli aderenti, ed ex, a Cl, a Cdo e ai Memores Domini. Si confronta con le diverse indagini giudiziarie che hanno coinvolto uomini e mezzi della galassia di Comunione e Liberazione

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Stenta a decollare il processo per l’inchiesta Fastweb-Telecom. La prima udienza, quella dello scorso 2 novembre, durò pochi minuti. Il tempo necessario al presidente della IV sezione, Bruno Costantini, di trasmetere gli atti alla I prima sezione penale come previsto dalle tabelle organizzative del tribunale. Il processo, con rito immediato, è a carico di 26 persone coinvolte nell’inchiesta della procura di Roma incentrata su un presunto maxiriciclaggio di due miliardi di euro. Sul banco degli imputati, tra gli altri, anche l’ex ad Fastweb Silvio Scaglia, Gennaro Mokbel, l’ex ad di Telecom Italia Sparkle, Stefano Mazzitelli. Altri imputati hanno chiesto di essere giudicati con il rito abbreviato; altri ancora, come l’ex senatore Pdl Nicola Di Girolamo, hanno concordato con i pm di patteggiare la pena. Nel caso dell’ex parlamentare, la condanna a cinque anni e la restituzione di quattro milioni e 700 mila euro, provento dell’attività di riciclaggio. Fastweb e Telecom Italia Sparkle sono accusate di aver violato la legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa. Ma in maniera del tutto insolita hanno chiesto ieri di potersi costituire parte civile. Entrambe le società affermano di di avere diritto a un risarcimento per aver subito pregiudizio per i fatti illeciti contestati ad ex dirigenti. Anche l’Avvocatura dello Stato ha chiesto di potersi costituire parte civile in rappresentanza del

ministero dell’Interno, di quello dello Sviluppo economico, della Presidenza del Consiglio e dell’Agenzia delle Entrate. La corte potrebbe rispondere alle richieste di costituzione di parte civile nella prossima udienza, fissata per l’11 dicembre. Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e i sostituti Francesca Passaniti, Giovanni Bombardieri e Giovanni Di Leo, titolari del procedimento, contestano agli imputati, a seconda delle posizioni, i reati di associazione per delinquere transnazionale pluriaggravata finalizzata al riciclaggio, l’intestazione fittizia di beni, l’evasione fiscale, il reinvestimento di proventi illeciti e delitti contro la pubblica amministrazione. Un’inchiesta che ne ha generata un’altra, che prende in esame anche un’ipotesi di riciclaggio legata all’acquisizione di quote della società Digint, partecipata nella misura del 49 percento da Finmeccanica. L’altro 51 per cento era in mano a Gennaro Mokbel, un passato da neofascista, un presente da affarista legato alle cosche della ‘ndrangheta. Nel febbraio 2008, in una telefonata intercettata, Mokbel sgridava il futuro senatore Di Girolamo: «Ahò, so’ cinque mesi che avemo tirato fori li sordi e nun avemo visto ‘no straccio de contratto». E Di Girolamo invitava alla calma: «Abbiamo costruito questa holding con i crismi e secondo i dettami che avevamo concordato.

È quella che consentirà a tutti di fare il salto di qualità». Le indagini della procura di Roma vertono su una presunta operazione di riciclaggio che ha coinvolto un ex consulente di Finmeccanica, Lorenzo Cola e Mokbel, accusato di aver investito 8 milioni di euro, di provenienza illecita, per acquistare una partecipazione nella Digint, società di cui è socia Finmeccanica. Secondo alcune indiscrezioni, raccolte dal quotidiano Il Secolo XIX e dall’agenzia Radiocor, Cola avrebbe iniziato a fornire elementi, in parte ancora sconosciuti all’indagine, sul funzionamento del sistema che consentiva l’assegnazione di appalti nel settore della difesa e della sicurezza aerea ad aziende che non presentavano sulla carta nessuna competenza specifica, generando un meccanismo di maggiorazione dei costi attraverso il frazionamento delle commesse. Al riguardo, Cola starebbe rivelando elementi, giudicati utili ai fini dell’indagine, sui rapporti intercorsi nel tempo tra la Selex Sistemi integrati, controllata di Finmeccanica e guidata da Marina Grossi, moglie di Pierfrancesco Guarguaglini, e l’Enav, principale committente della società. Finmeccanica e Enav hanno smentito ogni coinvolgimento.

anche su terranews.it

Caso Fastweb TelecomSu Mokbel e Di Girolamo Cola vuota il saccoDi Vincenzo Mulè

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Del 25 novembre sembra non si parli molto.Al mercato ad Harbin stamattina la signora dei cestini di vimini non sapeva della giornata di oggi, come non lo sapeva quella del pane, quella della miele, tanto meno quella delle lampadine. Non lo sapevano neanche i due colleghi americani impegnati, oggi, nel loro Ringraziamento. E fino a ieri, non me lo ricordavo neanche io. Per le strade, sembrerebbe una giornata come tante.

Invece il mondo dell’etere e’ diverso. Sul web cinese molti sono i post che da qualche giorno parlano della giornata mondiale per la violenza contro le donne e le iniziative che la ricordano. Si possono leggere traduzioni in cinese degli scritti delle conferenze tenute in Europa o America, oppure tante testimonianze per sensibilizzare la gente e le storie di chi

ha deciso di dire basta,  affianco ai documenti che diffondono la legislazione cinese ed i materiali dei dibattiti su questo tema (1), grazie alle associazioni governative e non che lavorano per offrire supporto. Ne beneficiano sia le persone sia la società civile, la cui coscienza sulla violenza e sulle discriminazioni di genere va formandosi passo a passo.

Di seguito proponiamo la traduzione di un breve pezzo pubblicato su un giornale locale in occasione dell’inaugurazione di un centro di accoglienza per le donne vittime di violenza, nella città di Changsha, città di circa sei milioni di abitanti, nella provincia dello Hunan, al centro sud della Cina. Il centro è stato aperto il 18 novembre scorso. (2) Tutto dimostra che questa è, dopotutto, una giornata come tante nella lotta contro le violenze di genere.

Tuo marito ti maltratta e non hai il coraggio di tornare a casa? Vieni qui da noi!

Ieri, a Changsha è stato aperto il Centro di accoglienza per le vittime di violenza domestica, che oltre al supporto e all’aiuto offre protezione e un rifugio temporaneo per le persone che non possono tornare a casa. Il ricovero presso il centro è di sette giorni, ma in casi particolari, con l’approvazione della Federazione delle donne locali può essere prolungato per altri tre giorni. Le autorità amministrative, le Commissioni politiche e giuridiche locali hanno presenziato la cerimonia.

Nel 90% dei casi è il marito che picchia la moglie.

In Cina la Legge sul matrimonio definisce la violenza domestica come «qualsiasi percossa,  lesione, atto di

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Cina. Una giornata come tanteContro la violenza di generedi Tania Di Muzio

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violenza che limita la libertà personale o qualsiasi altro maltrattamento che provochi nel familiare conseguenze dannose certe».

Secondo Cheng Xiang, responsabile della Sezione degli interessi e dei diritti legali della Federazione delle donne, sezione di Changsha, nelle aggressioni domestiche, in base alle denunce, la maggioranza dei casi risulta essere violenza dell’uomo sulla donna. « Questa è la conseguenza della differenza fisica tra uomini e donne, ma anche dell’influenza di certi concetti tradizionali», spiega, (…); molte donne sono chiuse nel pensiero tradizionale di non dover lavare i panni sporchi in pubblico e, così facendo assecondano la violenza.

Il centro di accoglienza per dare loro una casa confortevole.

Il centro è stato aperto presso la Stazione di aiuti al numero 47 di via Renmin zhong, vicolo  Yaolingcun, al secondo piano. Ci sono camere con letti, lenzuola e piumini, spazzolini da denti e dentifricio, asciugamani, saponi accanto al bollitore per l’acqua. Nella stanza comune c’è la TV e sul muro il carattere casa -jia, in cinese- ; c’è anche il telefono e il collegamento a internet.

Non sono ancora stati predisposti gli uffici della polizia, responsabile di assicurare la sicurezza personale di chi si rivolgerà al Centro, ma c’è personale specializzato per la prima accoglienza, per i lavori di gestione e di servizio, che forniranno l’indispensabile supporto nella vita quotidiana e negli aspetti più delicati della cura della persona; i dipartimenti del governo, della Federazione delle donne, dell’igiene, della giustizia, e quelli finanziari poi offriranno attivamente la necessaria consulenza psicologica e sanitaria e l’assistenza legale. (…) « Lavoreremo per accrescere la consapevolezza per il mantenimento dei diritti e degli interessi legali e aumentare la capacità di lotta contro le violenze domestiche, con l’auspicio di risolvere positivamente i conflitti».

Se vogliamo protezione, dobbiamo difendere con coraggio i diritti.

La violenza domestica è un fenomeno sociale ripugnante, che distrugge il senso originale della composizione della società stessa. In casa, le violenze di cui soffrono la

dignità e la salute mentale e fisica di donne e bambini, creano nella società fattori di instabilità che mal si accordano con l’armonia. Il Centro di accoglienza di Changsha rappresenta senza dubbi una gesto di calore umano, sociale e politico a chi soffre di abusi e non ha una casa in cui tornare. Queste persone però, nel cercare protezione devono vederla solo come un mezzo, un espediente, perché sono loro stesse che dovranno ribellarsi fino in fondo contro le violenze domestiche. Avranno bisogno di coraggio per alzarsi in piedi, dovranno raccogliere le armi legali a disposizione e difendere i propri diritti nel punire l’offensore. Solo in questo modo, gli autori delle violenze saranno scoraggiati, le violenze domestiche diminuiranno e la società sarà sempre più armoniosa.

1- Materiale in cinese della conferenza tenutasi il 21 novembre 2010 in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, organizzata dal sito web stopdv.org.cn  (反家暴网络 contro le

violenze domestiche)   http://www.stopdv.org.cn/cn/article.asp?id=5576

2-. Fonte articolo tradotto dal cinese, Changsha Evening Newspaper, autore: Zhu Hua.

http://cswb.changsha.cn/CSWB/20101119/Cont_1_7_149014.HTM

(La vignetta dell’articolo dice: «Centro di accoglienza e supporto per le vittime di violenza domestica»)

CHINA FILES

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Come far cadereil regime birmano

Amartya Sen, premio Nobel per l’economia, in un articolo pubblicato dal Financial Times, ha indicato alcune iniziative che la comunità internazionale potrebbe promuovere per far cadere la giunta militare che, in forma dittatoriale, governa la Birmania.

“Prima di tutto occorre delineare ex novo l’insieme di sanzioni ed embargo in vigore al momento. Sanzioni generiche che colpiscono la popolazione birmana possono essere sostituite da sanzioni che prendano invece di mira direttamente il regime…In cima all’elenco delle possibili sanzioni occorrerebbe naturalmente concordare un embargo su armi e armamenti di ogni tipo, e vi sono ottimi motivi per approvare sanzioni su alcuni

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prodotti – dai minerali alle pietre preziose, dal petrolio al gas – che assicurano costanti guadagni al regime…Risulterebbero utili anche restrizioni finanziarie sulle grosse transazioni attuate da imprese nelle quali siano coinvolte direttamente o indirettamente le autorità militari.

I paesi confinanti hanno una responsabilità particolare. Il governo cinese è il sostenitore più importante del regime…La Cina non è la sola: si potrebbero infatti criticare anche India e Thailandia…Eppure, occorre anche una strategia che arrivi al di là dei paesi confinanti. Parecchi paesi occidentali intrattengono rapporti d’affari molto intensi con la Birmania, per esempio nel settore petrolifero. Nondimeno, finora nessuno – né l’Unione Europea, né gli Stati Uniti, né Svizzera, Australia o Canada – ha utilizzato contro il regime l’arma delle sanzioni finanziarie…”

Tensioni in Kosovoin vista delle elezioni del 12 dicembre

In Kosovo ci si avvicina alle elezioni del 12 dicembre, le prime da quando fu dichiarata l’indipendenza, in un clima di crescente tensione.

Tale situazione si avverte soprattutto nel nord del paese dove risiede la maggioranza albanese e dove vive però anche la gran parte dei serbi, i quali non riconoscono l’indipendenza.

Nell’area di Kosovska Mitrovica, divisa in due tra serbi e albanesi, nei giorni scorsi si sono verificati tre attentati contro case di cittadini serbi.

Si registrano problemi anche a livello politico, dopo la crisi di governo dovuta ai contrasti intercorsi fra i due principali partiti kosovari, che ha determinato lo scioglimento anticipato del Parlamento.

A tutto ciò occorre aggiungere che molti kosovari sono delusi perché la situazione economica, dopo l’indipendenza, non è migliorata, come invece ci si attendeva, e perché non vi è stato ancora il riconoscimento dell’indipendenza da parte della maggioranza degli stati che fanno parte dell’Onu e questo fatto impedisce non solo l’adesione del Kosovo all’Onu ma anche ai principali organismi finanziari internazionali.

La comunità internazionale è, però, interessata, più che all’esito delle elezioni, all’avvio di negoziati tra il Kosovo e la Serbia, per raggiungere un accordo sui problemi aperti dalla dichiarazione di indipendenza. Di fatto oggi l’area abitata in maggioranza dai serbi non è controllata dalle autorità del Kosovo.

Del resto la Serbia continua a sostenere che non riconoscerà mai la perdita di quella che fino alla guerra in Kosovo del 1999 era una sua provincia, tanto che negli ultimi due anni si era più volte ipotizzato uno scambio di territori: l’area di Kosovska Mitrovica alla Serbia, l’enclave a maggioranza albanese della Valle di Presevo al Kosovo. La comunità internazionale però teme questa ipotesi in quanto, si ritiene, un nuovo cambiamento dei confini nei Balcani potrebbe far iniziare di nuovo conflitti bellici che, in passato, nell’ex Jugoslavia hanno causato moltissime vittime.

Somalia. 17 morti traribelli islamicie soldati filogovernativi

Almeno 17 sono stati i morti negli scontri verificatisi sabato scorso, in un villaggio del centro della Somalia, tra ribelli islamici e soldati filogovernativi.

Soldati filogovernativi di Ahlu Sunna wal Jamaa hanno attaccato un gruppo di shebaab, vini ad al Qaida, a Wardhumale.

17 persone, combattenti di entrambi gli schieramenti, sono appunto morte ma secondo alcuni testimoni il numero dei morti potrebbe aumentare “perché ci sono ancora corpi sul terreno”.

Il portavoce degli shebab sheikh Abdiaziz Abu Musab ha dichiarato a Mogadiscio che il gruppo degli shebab  ha vinto la battaglia con i filogovernativi, tra i quali vanno annoverati la gran parte dei morti.

Tale versione è contraddetta dal portavoce della milizia Yusuf Abu Qadi il quale ha sostenuto che “le nostre forze hanno sconfitto il nemico in molti villaggi al centro del paese”.

Gli shebab, che ormai controllano ampie zone del centro e del sud della Somali, vogliono allontanare il presidente Sharif Sheikh Ahmed, sostenuto dalla comunità internazionale. Attualmente il governo controlla solo una piccola parte di Mogadiscio e resiste grazie al sostegno di circa 7.500 soldati ugandesi e burandesi.

Guinea. Morti fra i dimostrantidopo le elezionipresidenziali

Amnesty International ha chiesto al governo della Guinea di fermare gli arresti arbitrari  e le torture che sono seguite alle elezioni presidenziali tenutesi il 7 novembre.

Quattro giorni fa il presidente di transizione, generale Sekouba Konatè, ha decretato la stato di emergenza su tutto il territorio nazionale, tre giorni dopo che era stato proclamato vincitore del ballottaggio Alpha Condè.

Amnesty ha denunciato che è stato imposto il coprifuoco e che circa 50 persone sono state arrestate arbitrariamente. Diversi testimoni hanno raccontato a rappresentanti di Amnesty che le forze di sicurezza, oltre ad alcuni militari, hanno usato armi da

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fuoco contro i dimostranti disarmati, fra i quali erano presenti alcuni minori.

Alcuni medici hanno riferito che i corpi delle vittime avevano fori di proiettili alla testa, all’addome, al torace e nella parte posteriore della nuca. Il numero dei morti non è stato reso noto, ma secondo varie fonti le vittime sarebbero almeno sette.

Amnesty ha infine chiesto che siano realizzate delle inchieste su quanto avvenuto.

www.amnesty.it

In Polonia il partito liberalevince le elezioni amministrative

In Polonia il partito liberale di centro Piattaforma civica (Po) del premier Donald Tusk ha vinto le elezioni amministrative di ieri.

In base ai risultati relativi a quasi il 70% delle schede scritinate il partito di Tusk ha ottenuto il 33,4% dei voti, mentre il 23,3% è stato ottenuto da “Diritto e Giustizia”(Pis), il partito conservatore di Jaroslaw Kaczinsky. Il Pis nel parlamento nazionale è la principale forza di opposizione. L’Alleanza della sinistra democratica (Sld) segue con il 15,8% dei voti. Il partito dei contadini (Psl), che dal 2007 è alleato nella coalizione di governo con il partito di Tusk, ha avuto il 13,2%.

L’affluenza al voto è stata pari al 44%, con una lieve flessione rispetto alle elezioni del 2006, nelle quali era stata pari al 46%.

Quindi l’esito delle elezioni amministrative sembra rafforzare la coalizione di governo. Non va sottovalutato però il notevole numero di coloro che non si sono recati alle urne: ha superato il 50%, è la vera maggioranza.

L'indipendenza del Kosovo, si è rilevata per gli albanesi su entrambe le parti del confine un'occasione unica per incontrarsi, conoscersi e mettersi reciprocamente in discussione. Non si tratta del minaccioso fantasma della Grande Albania ma di una sorta di coesione naturale, che si trova ancora in fase embrionale, attuata per mezzo della comunicazione, televisioni in primis, settore in cui l'Albania ha saputo seguire il passo dei suoi vicini occidentali.Alla vigilia della proclamazione dell'indipendenza kosovara, durante i negoziati che miravano a definire lo status del Kosovo, i telegiornali e i talk show di Tirana, hanno iniziato a dedicare approfondimenti regolari e quotidiani alla questione kosovara. Gradualmente le televisioni hanno iniziato a inviare sul posto i loro

corrispondenti, che hanno colto l'occasione per presentare il Kosovo più realisticamente e da vicino che in passato, andando oltre i cliché da manuale di storia. In seguito tutte le tv, si sono trovate ad avere degli uffici di corrispondenza che, in alcuni casi, sono diventati delle vere e proprie sedi distaccate kosovare. Ha iniziato Top Channel, e il suo esempio è stato via via seguito da TV Klan, Vizion Plus e AlSat.L'esistenza di pacchetti del digitale terrestre ha facilitato questo processo; le televisioni di Tirana, grazie anche alla disponibilità dei distributori locali kosovari, hanno così ampliato il loro mercato oltre i confini dell'Albania.Nonostante non ci siano sondaggi in merito, la vendita dei decoder - a detta dei distributori kosovari - dimostra che le televisioni di Tirana sono molto

Albania, la TV e uno spazio pan-albaneseLa televisione, più di ogni altra cosa, sta contribuendo alla creazione di uno spazio pan-albanese inedito; una comunanza, culturale ma non solo, dove le differenti realtà albanofone - Albania, Kosovo e una parte della Macedonia – interagiscono e siintegrano sempre di più

Di Marjola Rukaj

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seguite in Kosovo, spesso a tal punto da far concorrenza a quelle di Pristina. Questo perché le televisioni albanesi offrono una varietà di programmazione nettamente superiore a quelle kosovare; dispongono delle tecnologie più avanzate d'Europa; e sono tutte proprietà di magnati albanesi di diversi settori, che, grazie ad ingenti investimenti, possono permettersi di acquisire i diritti di trasmissione dei prodotti più ambiti del mercato televisivo anche a livello internazionale. Questo accade non solo in Kosovo, ma anche nella vicina Macedonia, e non solo per quanto riguarda la comunità albanese: gli slavo-macedoni seguono spesso i film trasmessi dai pacchetti televisivi di Tirana, e persino gli ultimi mondiali di calcio sono stati seguiti commentati in albanese sulle frequenze dell'albanese Alsat che ne aveva ottenuto i diritti di trasmissione per la Macedonia.Gli albanesi di Tirana, sono arrivati quindi a Pristina e in un secondo momento a Skopje. Ma allo stesso modo anche a Tirana sono arrivate le cronache e gli accenti dei corrispondenti locali, che hanno via via sostituito gli inviati albanesi.Nei palinsesti compaiono sempre più analisti e politici kosovari e macedoni e, in alcuni casi, i talk show di Tirana si sono trasferiti a Pristina, Skopje o Struga per trasmettere in diretta. In Kosovo e in Macedonia è opinione diffusa che i dibattiti delle televisioni di Tirana siano di altissima qualità e sempre più spesso i politici e gli intellettuali di questi territori si recano a Tirana per esprimere la propria opinione.In quasi tutte le trasmissioni culturali, i partecipanti kosovari e albano-macedoni sono sempre più numerosi. Recentemente a Tirana sono arrivati in prima serata anche comici e show men kosovari. Inserirsi nel mondo dello spettacolo e della cultura, nella Tirana elitaria sembra essere diventato molto più facile rispetto a qualche anno fa.Il confronto ha fornito la possibilità di conoscersi, andando oltre gli stereotipi e a volte anche proprio attraverso questi. Nella trasmissione settimanale Portokalli (la replica albanese di Zelig) da qualche anno a questa parte ogni domenica tra i vari sketch, vengono rappresentati al confronto due personaggi, uno di Tirana e uno di Pristina, creando episodi comici che

prendono spunto dai numerosi equivoci linguistici e culturali. In maniera meno simpatica, le differenze culturali e gli stereotipi sono stati utilizzati per fare audience anche dagli organizzatori del “Big Brother” albanese; una ragazza kosovara, che ha partecipato a una delle edizioni del reality, ha riportato sugli schermi un sistema di valori ritenuto troppo tradizionalista in Albania, facendo leva su un pregiudizio molto diffuso.Nel nome del guadagno inoltre, sembra che lo spazio albanofono sia stato trasformato in un mercato panalbanese, che nell'era delle comunicazione sembra privilegiare in primis le televisioni e in seguito anche altre imprese. Motivo per cui le élite di Tirana, mettendo da parte i soliti campanilismi, hanno iniziato a guardare oltre il confine della repubblica d'Albania, rompendo così il monopolio culturale dell'albanità.Dopo l'apertura pan-albanese e in seguito alla proclamazione dell'indipendenza del Kosovo, le televisioni di Tirana sono cambiate. Sono sempre più numerose le trasmissioni in cui si discute di Grande Albania, di Cameria (la zona albanofona nella Grecia Settentrionale), spesso senza nascondere una sorta di patriottismo romantico in cui gli albanesi dell'Albania non credevano più dopo il crollo del comunismo. Parlare di Grande Albania, non costituisce più un tabù, nonostante sia lontano dall'essere preso sul serio in termini di progetti politici. Tutto questo fa pensare a un condizionamento dalle nuove dimensioni dell'audience pan-albanese, adeguandosi in particolar modo ai gusti dei kosovari e degli albano-macedoni che, secondo uno degli stereotipi più diffusi in Albania, sono dei nazional-romantici vecchio stile. Tra l'élite di Pristina tale trucco è ben noto da tempo.Le conseguenze positive dell'apertura dello spazio televisivo sono già evidenti. Per avvicinarsi al telespettatore kosovaro, i prodotti pan-albanesi vengono sempre più spesso pubblicizzati da speaker di Pristina, che non nascondono l'accento kosovaro,

ritenuto a Tirana troppo pesante rispetto all'albanese standard. Nella sede kosovara di TV Klan (Klan Kosova) i giornalisti sono kosovari e l'albanese utilizzato è meno rigido rispetto ai canoni puristi del giornalismo kosovaro tradizionale (che mira a imitare l'albanese tosk di Tirana). Le influenze linguistiche iniziano a farsi sentire anche a Tirana. Molte espressioni, per quanto possano suonare strane se consideriamo la logica dell'albanese standard, stanno acquisendo prestigio e stanno

diventando trendy nel linguaggio televisivo. Il giornalista Mustafa

Nano usa concludere la sua trasmissione “Déjà vu” con il saluto kosovaro “tung ”. I giovani presentatori a volte

utilizzano l'interrogativo “a pò ” tipicamente kosovaro. E non pochi analisti iniziano a

utilizzare delle strutture di sintassi che sono estranee all'albanese dell'Albania e che ricordano per molti versi la sintassi del

serbo-croato.Attraverso il mercato

televisivo si è attivato uno scambio continuo e più intenso

tra gli albanesi in Albania e quelli dello spazio ex Jugoslavo. Oltre la

superficialità degli stereotipi stanno sorgendo nuove forme di auto-percezione dello spazio albanofono nei Balcani. Si parla di Albania statale, definendo in tal modo tutto ciò che si trova nel territorio della repubblica d'Albania; e Albania Etnica – l'insieme della cosiddetta “Albania statale” e di tutti i territori albanofoni circostanti; mentre i più patrioti preferiscono racchiudere il tutto nel neologismo di Albania Naturale.Top Channel, Tv Klan, VizionPlus, Alsat e altre sono i nuovi mezzi di comunicazione nello spazio albanofono nei Balcani. Nato dagli interessi economici il fenomeno sta contribuendo a far aumentare il prestigio culturale e politico degli albanesi del Kosovo e della Macedonia. Il risultato sarà molto probabilmente un mondo albanofono pluricentrico caratterizzato dall'intensa coesione economica e culturale, tra Tirana, Pristina e Skopje (e forse Tetovo).

www.balcanicaucaso.org

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CAMPAGNA TESSERAMENTO

ALL’ASSOCIAZIONEGLI ITALIANI

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Zamparini indagatoa BeneventoDecide di buttarsi in politicaDi Paolo Borrello

Mentre sulla stampa siciliana tengono banco le notizie riguardo la richiesta d’arresto  avanzata nei confronti di Maurizio Zamparini da parte della Procura della Repubblica di Benevento, (per i reati di corruzione e truffa connessi alla realizzazione dell’ipermercato I Sanniti, questione di cui “gli italiani” si è già occupata nei giorni precedenti), il patron del Palermo annuncia la sua “discesa in campo” nelle prossime elezioni.

Una notizia non nuova, a dire la verità, già due giorni fa Zamparini aveva dichiarato di voler costituire un movimento politico, ma oggi questo progetto comincia a prendere forma. Un nome ce l’ha gia’: Tea Party. ‘Ma non avra’ una connotazione di destra come negli Stati Uniti – afferma il presidente del Palermo – ma neanche di sinistra. A noi interessano le esigenze della gente e dare una scossa a questo Paese che si deve svegliare’. ‘Il giorno che ci fossero delle elezioni – dice Zamparini a Repubblica-Palermo – potremmo dare il nostro sostegno a partiti che gia’ esistono e che la pensano come noi. Lo schieramento non ci interessa’. Zamparini andra’ ogni martedi’ a Tele Lombardia ad esporre le sue idee: ‘Parlero’ dei problemi degli operai – sottolinea – ma anche degli imprenditori, dei contadini, degli studenti, categorie ormai dimenticate dai nostri politici’.

Il Lazio dice noal nucleareDi Vincenzo Mulè

«Indisponibile». La Regione Lazio, a sorpresa, chiude le porte al nucleare. Il consiglio regionale ha approvato una mozione, primo firmatario il capogruppo dei Verdi

Angelo Bonelli, con la quale si dichiara «l’indisponibilità» del territorio del Lazio all’insediamento «di impianti di produzione di energia elettrica nucleare». Il testo approvato con 28 voti a favore, 16 contrari e 3 astenuti impegna «il presidente della Giunta regionale a dichiarare l’indisponibilità del territorio della Regione per l’insediamento di impianti di

produzione di energia elettrica nucleare, di fabbricazione del combustibile nucleare, di stoccaggio del materiale combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché di depositi di materiali e rifiuti radioattivi, a partire dal sito di Montalto di Castro dove il governo prevede la realizzazione della nuova centrale termonucleare».

Soddifatto, Bonelli ha dichiarato: «Oggi si ferma il programma nucleare italiano. La votazione favorevole nel Consiglio Regionale, da noi richiesto, della mozione che blocca il nucleare, presentata dai Verdi e sottoscritta da tutta l’opposizione, è storica e straordinaria allo stesso tempo».  Nel documento approvato su proposta anche di Pd, Sel, Federazione della Sinistra e Lista Bonino-Pannella, si sostiene che «il sistema elettrico regionale è in grado di coprire la richiesta di energia elettrica prevista al 2020 e di assicurare un esubero di circa il 13 per cento, mediante l’incremento della produzione da fonti rinnovabili, da risparmi nei settori finali di consumo e dall’ammodernamento con tecnologia eco-compatibile degli impianti in esercizio».  Secondo il presidente dei Verdi per la Costituente ecologista «ora il piano nucleare in Italia si ferma

perchè il parere obbligatorio richiesto alle regioni dal Dlgs 31/2010 nella Regione Lazio è negativo».

Nessuna reazione da parte del Centrodestra a parte quella del consigliere regionale Francesco Pasquali, noto “falco” filonucleare che si è autosospeso dal Pdl, in polemica con i consiglieri del centrodestra che hanno votato per la mozione dei Verdi, tra i quali si è distinta la consigliera Chiara Colosimo (Pdl) che è stata netta, durante il suo intervento in aula nell’esprimersi contro il nucleare. Ad inizio seduta, ricordando la recente sentenza della Corte costituzionale, Carlo De Romanis, a nome del Pdl come gruppo, aveva annunciato voto contrario: «Questa materia è di competenza nazionale – ha detto – come sentenziato dalla Corte Costituzionale, e noi non ci opporremo alle decisioni del Governo. Poi, all’interno dei gruppi, ognuno voterà secondo coscienza». In realtà, la Consulta aveva dichiarato illegittime le leggi regionali emanate da Puglia, Basilicata e Campania con le quali avevano vietato l’ installazione (sul loro territorio regionale) di impianti di produzione di energia nucleare, di fabbricazione di combustibile nucleare e di stoccaggio di rifiuti radioattivi. Quella approvata dal consiglio è invece un documento politico che impegna la giunta.

L’Udc aveva dichiarato, attraverso il capogruppo Francesco Carducci, la propria astensione. Non esistono, secondo l’Udc, decisioni per la localizzazione di reattori termonucleari a Montalto e, viste le ingenti risorse

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necessarie, su questo tema serve un patto tra Governo nazionale e opposizione. Nel corso della seduta straordinaria, convocata dal presidente del Consiglio Mario Abbruzzese, su richiesta dell’opposizione, sono state discusse, in un lungo dibattito con posizioni articolate, due mozioni. Quella a firma di Bonelli e quella proposta da Francesco Pasquali (Pdl), poi ritirata, che impegnava la presidente Polverini a dichiarare la disponibilità della Regione al nucleare. «Sarebbe una scelta importante anche per la ripresa occupazionale» aveva sostenuto Pasquali prima che abbandonasse aula e partito in segno di protesta.

anche su Terra

foto dall’archivio de il manifesto 1977

Stragi impuniteLa parola passa agli storiciDi Paolo Borrello

L’Italia è il paese delle stragi, delle stragi impunite. Ma pur se, per vari motivi, la giustizia ha spesso fallito non riuscendo a condannare i colpevoli, i processi hanno contribuito a far sì che di quelle stragi ormai si sappia molto. E proprio per questo la parola ora passa agli storici. Questa tesi è sostenuta da Miguel Gotor in un articolo pubblicato da “Il Sole 24 ore”:

“La vita repubblicana è stata segnata da due cicli stragisti che hanno unito il nord e il sud della penisola in modi e tempi diversi, ma che sono scoppiati quando era in corso un cambiamento nella cittadella del potere italiano. Nel nostro paese, il compromesso si fonda sempre su un atto violento che, nel definire nuovi equilibri, li solidifica, li condiziona e li limita, seguendo un processo di scomposizione e ricomposizione, di rigenerazione e di restaurazione, che procede con chirurgica efficacia.

Il primo ciclo stragista, tra il 1969 e il 1974, ha colpito nel triangolo Milano-Brescia-Bologna all’indomani del biennio studentesco e operaio ’68-69 per soffocare nel sangue e nella paura quella stagione di impegno civile così da condizionare il corso della democrazia italiana e ‘destabilizzare per stabilizzare’ in senso moderato il paese. La matrice è stata neofascista e una parte degli apparati dello stato ha operato con un preciso indirizzo politico, quello di attribuire le responsabilità alla sinistra e al mondo anarchico; in seguito ha depistato per evitare l’individuazione dei veri responsabili. I mandanti sono rimasti senza volto, anche se vanno ricercati dentro la logica della guerra fredda e i settori più radicali dell’oltranzismo atlantico che hanno potuto contare, come base di azione e di protezione, sulla disponibilità della Spagna franchista e della Grecia dei colonnelli.

Il meccanismo è sempre lo stesso da piazza Fontana in poi: quando va bene si condanna una ruota dell’ingranaggio, ma non si riesce mai a penalizzare l’intera catena di comando. Gli esecutori materiali si raggiungono solo quando sono rei confessi come il neofascista Vincenzo

Vinciguerra, arrestati in fragranza di reato come Gianfranco Bertoli, oppure rimangono feriti nel tentativo di piazzare una bomba come il militante di Ordine Nuovo Nico Azzi, che, insieme all’ordigno, si apprestava a lasciare in bella vista delle copie di Lotta continua.

Il secondo ciclo di bombe è deflagrato tra il maggio 1992 e il luglio 1993 all’indomani del vuoto di potere aperto da Tangentopoli. In questo caso la matrice è stata mafiosa, con depistaggi in corso di accertamento giudiziario volti a occultare i rapporti tra pezzi della politica e Cosa Nostra e i termini di una trattativa segreta tra i due ambiti. I mandanti e le finalità di quest’azione stragista restano oscuri ed è facile prevedere che tali rimarranno, anche se l’ambientazione e le finalità sembrano avere un respiro tutto italiano. Alle spalle di quell’esplosione vi era una lunga scia di cadaveri eccellenti: dall’avvocato Ambrosoli, al prefetto Dalla Chiesa, ai giudici Terranova, Costa, Ciaccio-Montalto, Caccia, Chinnici, Giacomelli, Saetta, Livatino, Scopelliti, Falcone e Borsellino.

Perché questa impunità congenita? In primo luogo, l’impunità conferma che, dove ci sono di mezzo altri poteri istituzionali, l’autorità giudiziaria ha difficoltà a raggiungere un risultato complessivo in tempi tollerabili ed è costretta a indagare senza condannare per prove ‘impunite’ perché ci sono, ma restano contraddittorie e non sufficienti…

Qualche giorno fa il magistrato Guido Salvini ha invitato ad ascoltare sullo stragismo l’agente dei servizi segreti Gianadelio Maletti, responsabile dell’ufficio D del Sid dal 1971 al 1975. In realtà, gli italiani di buona volontà lo possono già fare leggendo il suo libro intervista Piazza Fontana, noi sapevamo, ove si fanno i nomi di uomini politici e presidenti del Consiglio che sapevano e hanno sottovalutato, sapevano e hanno lasciato fare, sapevano e hanno voltato la testa dall’altra parte, sapevano e pensavano di poter piegare quella strategia a loro favore..

C’è qualcosa di profondo e di antico che riguarda i rapporti tra le classi dirigenti e il paese: con le parole del suo tempo lo spiegò bene Gramsci quando notò che il ‘sovversivismo’ popolare è correlativo al ‘sovversivismo’ dall’alto, cioè al non essere mai esistito un ‘dominio della legge’, ma solo una politica di arbitrii e di cricca personale o di gruppo». Non da oggi il potere italiano (non la politica e basta) è tanto più forte quanto più riesce a interpretare questa doppia spinta in senso ricattatorio e stabilizzante.

‘Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi’ scriveva Pasolini nel 1974. Noi sappiamo 36 anni dopo e ormai, anche grazie all’azione della magistratura e delle commissioni d’inchiesta, abbiamo le prove. La giustizia ha fatto il possibile, ora la parola passa agli storici e al dovere della memoria civile di conservare se stessa grazie all’associazionismo diffuso, la parte migliore di questo paese…”.

L’analisi di Gotor è molto lucida e io di fatto la condivido. Certo sarei molto più felice se, soprattutto, i mandanti fossero stati quanto meno individuati e, ovviamente, condannati. E senza dubbio il dolore dei familiari delle vittime sarebbe un poco attenuato. Anche in questo caso ormai, purtroppo,

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dobbiamo prevalentemente pensare al futuro: leggere quanto gli storici scriveranno e, in primo luogo, tentare di impedire che le stragi si ripetano. E io non sono affatto sicuro che quanto avvenuto non si verifichi di nuovo, proprio tenendo presente quelle parole di Gramsci circa il sovversivismo di quelli che oggi potremmo chiamare “poteri forti” che rimangono tali, nonostante la loro apparente debolezza, o comunque più forti di quelli a disposizione di coloro che Gramsci definirebbe “ceti popolari”.

Una discaricaAd Arcore

Di Luigi De MagistrisUna tragedia ambientale, politica,

istituzionale. Il dramma dei rifiuti in Campania è una ferita democratica per l’intero paese, che vede minato il senso civico e quello delle istituzioni che dovrebbero albergare nel cuore degli italiani. E’ la delegittimazione della politica agli occhi dei cittadini, umiliati nel loro diritto alla salute e feriti nella propria dignità umana, che invece lo Stato dovrebbe garantire e promuovere. Di questa vergogna, che è diventata ormai planetaria, è responsabile l’intera classe politica e amministrativa, a livello locale e nazionale, di sinistra e di destra. Ma più di chiunque altro sono responsabili il premier Berlusconi e l’ex capo della Protezione civile Bertolaso, che hanno propagandato per mezzo dei media la favola bella del ‘C’era una volta la monnezza’, facendo credere che nella Regione tutto fosse stato risolto. Una coppia di grandissimi costruttori di balle istituzionali e politiche, pari soltanto a quelle reali che attendono da anni di essere smaltite e ancora sono depositate sul territorio campano. Per questo è indegno ascoltare in questi giorni esponenti del PdL e della Lega affermare che la colpa sarebbe dei cittadini napoletani e campani. Dove la

raccolta differenziata è priorità dell’amministrazione locale, infatti, essa diventa un impegno inderogabile per i cittadini. I cittadini di questa Regione – dove all’immondizia si aggiunge una camorra capace di infiltrare i gangli della politica e della pubblica amministrazione, i cda delle società miste che vincono gli appalti nel ciclo dei rifiuti o nella realizzazione degli inceneritori- hanno la sola colpa di essersi fidati e affidati ad una classe dirigente che ha fallito. Tutta e integralmente. Oggi Berlusconi ha la colpa di continuare a mortificare questa Regione facendo si che la realizzazione dei nuovi termovalorizzatori a Napoli e Salerno (150milioni di euro) venga affidata a  Nik o’ mericano (il coordinatore Pdl e ras locale Cosentino, indagato per camorra e anima dell’Eco4, grande procacciatore di preferenze elettorali dalle più disparate e sospette provenienze), ed a Gigino a purpetta (Cesaro, presidente della Provincia di

Napoli). Se non bastassero, si aggiunge il ‘grande’ contributo del presidente della Provincia di Salerno Cirielli. Perché il dl, nei fatti, questo prevede, al di là delle buone e oneste (?) intenzioni del ministro Carfagna, tutta soddisfatta per un marcia indietro inesistente da parte del governo e già pronta per la prossima tornata elettorale delle amministrative. La Campania merita altro: né i cosentiniani né la Carfagna. Soprattutto niente termovalorizzatori senza una raccolta differenziata vera e attuata, che ci chiede anche l’Ue per sbloccare i fondi che sono stati congelati perché l’Italia ha infranto le norme comunitarie in materia. E poi, la Campania, merita un segnale. Perché il premier Berlusconi, così generoso verso le giovani immigrate fermate in Questura e che si auto-incensa come uomo buono in lotta contro il male, non delimita il suo paradiso edilizio, offrendo magari una porzione della vasta residenza di Arcore per la costruzione di una bella discarica? Lo faccia, dia un segnale politico, si porti i rifiuti a casa sua, in quel Nord che per anni e anni ha sversato l’immondizia, soprattutto industriale e tossica, in Campania, contribuendo a renderla una discarica a cielo aperto ghiotta per i clan, la borghesia mafiosa, la politica collusa.

i sindacati chiedonoper Fincantieril’intervento immediatodel governo

Le Segreterie nazionali e i coordinamenti nazionali Fincantieri di Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil, hanno chiesto l’immediata riconvocazione delle parti interessate al tavolo del Governo per affrontare la situazione sempre più preoccupante di quel gruppo.

La crisi si accentua e lo dimostrano il forte ricorso alla cassa integrazione che nel 2011 interesserà tutti i cantieri ed il rischio per alcuni di essi di trovarsi di fronte a un vuoto assoluto di commesse.

La denuncia dei sindacati viene dopo l’incontro con l’azienda convocato per discutere sui carichi di lavoro per il prossimo anno. Secondo i sindacati il numero complessivo dei cassintegrati dovrebbe salire dagli attuali 728 a ben 2.300.

Di fronte alla “gravità della situazione”, Fim, Fiom, Uilm e i coordinamenti nazionali hanno sostenuto tra l’altro che il Governo, “deve fare la sua parte fino in fondo sul fronte delle commesse pubbliche” e l’azienda deve fare la sua parte per “redistribuire i carichi di lavoro all’interno dei vari cantieri”. I sindacati chiedono inoltre di trovare strumenti adeguati per sostenere maggiormente il reddito ai lavoratori: “a fronte del ricorso alla Cig che, sia per durata che per numero di lavoratori coinvolti, risulta essere ben più grave di quanto inizialmente previsto”.

‘Ndrangheta. CadeIl comune a Desio

La mafia al nord non esiste. Non condiziona la politica. Non fa affari nella Padania sana e produttiva. Queste

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le dichiarazioni che per anni ci siamo sentiti ripetere. Poi a Desio, vicino a Monza, succede qualcosa che lascia pochi dubbi sull’incapacità di prevenire da parte della politica l’espandersi delle organizzazioni criminali.

L’amministrazione comunale di Desio è caduta oggi per il coinvolgimento di alcuni politici del Pdl nell’inchiesta sulle infiltrazioni della ‘ndrangheta. Tra i politici coinvolti, il presidente del consiglio comunale Nicola Mazzacuva, il consigliere Natale Marrone e l’ex assessore provinciale Rosario Perri (tutti del Pdl). La maggioranza dei consiglieri, stamani, ha firmato le dimissioni determinando così la caduta della giunta di centrodestra, guidata da Gianpiero Mariani. Insieme all’opposizione hanno firmato anche i consiglieri della Lega, fino a ieri in maggioranza.

«Il Consiglio Comunale di Desio non viene sciolto da organi governativi per sospette infiltrazioni malavitose ma per una scelta di natura politica di alcuni consiglieri che si assumeranno la responsabilità di aver infangato l’onorabilità degli amministratori e l’immagine della città», ha dichiarato il sindaco di Desio Giampiero Mariani. Il sindaco, con i consiglieri del Pdl, quelli di Indipendenti per Desio-UDC e Lista Civica Desio 2000 ha preso atto «della grave e irresponsabile decisione dei consiglieri del PD, Italia dei Valori, Desio Viva, Movimento 5 Stelle e della Lega Nord Padania di dimettersi provocando lo scioglimento del Consiglio Comunale e il commissariamento del Comune in un momento in cui le istituzioni hanno il dovere di contrastare unite l’ndrangheta

e di garantire la massima trasparenza nella confusione strumentalmente generata». Secondo il sindaco l’indagine della Procura “infinito” «Riguarda azioni e sospetti tutti antecedenti la nuova operatività amministrativa. L’indagine Infinito, impropriamente richiamata dai dimissionari per giustificarsi rispetto ad uno scontro di natura politico-partitica, non ha evidenziato nessun atto, nessuna azione, nessun coinvolgimento, nessun tentativo che possa in alcun modo riguardare scelte amministrative anche della precedente giunta sempre condivise anche dagli esponenti della Lega Nord Padania».

L’indagine è la stessa che ha portato a 300 arresti a luglio scorso coordinata fra la procura di Milano e quella di Reggio Calabria.

Strenua la difesa del Pdl anche sul piano nazionale. «Nessuna infiltrazione mafiosa nella Giunta o nel Consiglio comunale di Desio, ma solo ragioni politiche interne alla Lega cittadina hanno determinato la situazione attuale». Lo ha dichiarato la parlamentare e coordinatrice provinciale del Pdl Elena Centemero commentando le dimissioni della maggioranza dei consiglieri del comune brianzolo con il conseguente scioglimento e commissariamento dell’amministrazione. Non siamo insensibili  alla penetrazione della ‘ndrangheta nel territorio della Brianza, come dimostra l’incontro pubblico che si terrà lunedì a Desio organizzato dalle nostre associazioni culturali con la partecipazione del

sottosegretario Alfredo Mantovano. Siamo però contro la cultura indiscriminata del sospetto».

nella foto il sindaco Giampiero Mariani

Le primarie a Torinorompono un pattoper la scelta dei candidati

Di Luca RobottiA Torino la scelta del candidato a

Sindaco è caratterizzata dalla ristrettissima cerchia di persone che, almeno negli ultimi 20 anni, hanno avuto il potere di individuare la personalità da sostenere alla poltrona di primo cittadino

La politica è sempre centrata poco con questa scelta, moltissimo hanno pesato i poteri forti della città, in primis quello industriale, su tutti quello di FIAT.

Le primarie, per la prima volta, possono “riaprire la partita” un’eventualità che raggela il sangue a chi ritiene di avere il solo titolo a decidere, ma scalda i cuori di chi vuole una Torino diversa.

Quando la parola viene trasferita dalle segreterie di partito agli elettori, come si è verificato in questi anni, la dove si sono svolte, assistiamo ad un fenomeno straordinario di assunzione di responsabilità e impegno di migliaia di donne e di uomini che i nostri partiti non riescono più ad intercettare (neppure il PD), ad una vera e propria esplosione di speranza, di aspettativa di cambiamento; gli stessi poteri economici, le lobby non riescono a controllarne e indirizzarne le scelte: un cambiamento epocale.

A Torino si è aperta una partita a cui manca ancora un giocatore che sia espressione della sinistra, una candidatura che possa raccogliere una volontà che si esplicita ogni giorno nella miriade di settori sociali, culturali e politici che tengono viva la Torino solidale e del lavoro.

Questo ritardo può essere colmato velocemente, ci sono figure con le qualità per competere egregiamente, con profili personali e politici in grado di parlare a tutta la città.

SEL torinese è unita nel richiedere le primarie, esattamente come a Milano, per un progetto comune che raccolga le migliori energie affinché si possa competere per vincere e riformulare, su basi nuove, un centro

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sinistra che sappia affrontare i problemi di una città cambiata moltissimo in questi anni, senza trovare una rotta precisa su temi come lo sviluppo e l’urbanistica e che avrà da affrontare una trasformazione radicale legata alla FIAT ed al futuro dell’auto.

Sono in molti a cercare una scorciatoia per evitare le primarie, il voto fa paura, ancora di più in un momento in cui è palese la debolezza e la confusione sovrana che regna nei partiti.

Si assiste ormai da giorni ad una frenetica ricerca di equilibri che confezionino una candidatura di “palazzo”, approfittando della debolezza sistemica del centro destra e anche di troppe incertezze della sinistra nel proporre una propria candidatura.

Le primarie non sono solo importanti per allargare il quadro democratico per la scelta del candidato, lo sono anche per evitare che su un nome, quello che attualmente sembra essere il più “quotato”, si possa chiudere un accordo con il terzo polo (compreso FLI) che sotto il profilo programmatico farebbe fare non un passo avanti alla città, ma molti passi indietro.

E’ bene ricordare al Partito Democratico le parole di Gianfranco Pasquino nella sua descrizione delle primarie nelle “Parole chiave del Partito Democratico”: devono avere il compito di “rafforzare, migliorare, allargare la democrazia e di conseguenza devono essere aperte” comunque si devono fare.

Per queste ragioni è meglio chiudere al più presto questo teatrino degli orrori, fatto di intrighi, sgambetti, accordicchi e dare finalmente voce al popolo di centro sinistra e alla capacità di convincerlo dei nostri candidati; forse così, finalmente, riapriremo uno spazio democratico che può trasformare la politica e può battere, anche culturalmente, il berlusconismo che, seppur all’opposizione nella nostra città, si è insinuato pericolosamente anche in parte del centro sinistra subalpino.

www.sinistraeliberta.eu

Lo sportello unico?È chiuso per sciopero

Di Elvio PascaTempi ancora più lunghi per

rinnovare un permesso di soggiorno, per portare a termine la

regolarizzazione o per far arrivare un familiare in Italia.

È lo scenario di fronte al quale ci si troverà dal prossimo gennaio, se non verranno rinnovati i contratti dei seicentocinquanta lavoratori a tempo determinato impiegati  nelle Questure e nelle Prefetture di tutta Italia, che scadranno a fine dicembre. Intanto, sono iniziate le prove generali.

Lo Sportello Unico per l’immigrazione di Roma è chiuso da ieri “a causa di uno stato di agitazione sindacale del personale a tempo determinato”. Riaprirà, spiega la prefettura in una nota, con orario ridotto solo la mattina (8.30 – 13.00) a partire dal 24 novembre. Pertanto coloro che sono stati convocati nei pomeriggi anche dei giorni a seguire devono presentarsi dalle 8,30 alle 13 della stessa giornata di convocazione”.

Le convocazioni del 22 novembre sono state spostate al 2 dicembre, quelle del 23 novembre sono spostate al 3 dicembre. Inoltre, chiarisce ancora la Prefettura, “lo sportello informazioni rimarrà chiuso fino a nuova comunicazione”. È bastato insomma che i precari dello Sportello Unico incrociassero le braccia per compromettere tutta l’attività dell’ufficio.

“Il sottosegretario all’Interno Nitto Palma continua a ripetere che Questure e Prefetture lavoreranno anche senza precari, grazie a nuove dotazioni tecnologiche. Vediamo allora se i computer riescono davvero a lavorare senza di noi”  dice un battagliera Alessia Pantone, copresidente del comitato che rappresenta i 650 precari.

Ed è solo l’inizio. “Tra oggi e domani – spiega Pantone – iniziano gli scioperi anche in altri Sportelli Unici, a partire da Brescia e Firenze. Andremo avanti a oltranza, fino a quando il ministero non ci farà sapere che fine faremo”.

Stranieri in Italia

Quel 16% del Pilrubato dalla mafia

Di Aaron PettinariLa mafia ostacola il progresso

economico e sociale delle regioni d’Italia. A certificarlo è uno studio della Banca d’Italia sull’incidenza delle mafie nella crescita del Pil (Prodotto

interno lordo) riportato oggi dal Sole 24 ore. Una ricerca che ha preso come riferimento le regioni della Puglia e della Basilicata.

Il loro Pil, oggi, è inferiore almeno del 16% rispetto a quello (teorico) di una regione meridionale con un tasso di sviluppo analogo e priva di presenza dei clan.Lo studio di Bankitalia è stato trasmesso di recente alla commissione Antimafia, presieduta da Giuseppe Pisanu. Il rapporto si basa sull’osservazione della serie di denunce per l’articolo 416 bis (associazione per delinquere di stampo mafioso) dal 1983 – anno successivo all’entrata in vigore della legge Rognoni-La Torre – al 2007. Rispetto a questo dato, Puglia e Basilicata sono considerate “terre di mezzo” tra quelle di tradizione mafiosa e le altre regioni.

Infatti è lecito pensare che il dato crescerebbe ancora se come riferimenti sarebbero state prese le regioni in cui Cosa Nostra, Camorra e ‘Ndrangheta incidono maggiormente al sud come al nord.

Bankitalia ha quindi sottolineato che, per quanto riguarda il racket delle estorsioni, “la situazione è particolarmente grave in Puglia, assimilabile sotto questo aspetto alle altre regioni a maggiore densità mafiosa”. In cifre, il dato medio nel periodo 1987-2007 di denunce di estorsione è di dieci ogni 100mila abitanti, analogo (tranne scarti decimali minimi) in Puglia come in Calabria, Sicilia e Campania. In linea anche il numero di violazioni della legge sugli

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stupefacenti (40 denunce ogni 100mila abitanti). Sul contrabbando, invece, la Puglia è al secondo posto (120 denunce circa) dopo la Campania (250), mentre la Basilicata è sullo stesso livello di Sicilia e Calabria (circa dieci denunce). Bankitalia, poi, ricorda come l’avvento delle associazioni per delinquere di stampo mafioso in Puglia e Basilicata avvenga alla fine degli anni settanta del secolo scorso mentre in precedenza non si registravano episodi particolari che permettevano di far pensare alla presenza mafiosa.

Confrontando l’andamento del Pil della regione virtuale e il dato di Puglia e Basilicata Bankitalia ha verificato che, alla fine del decennio in corso, il prodotto interno lordo nel primo caso sarebbe pari a circa 12mila euro pro capite mentre nelle due regioni attualmente si attesta attorno ai 10mila euro, ovvero un a cifra inferiore del 16%.

ANTIMAFIAduemila

A Torino si protestacontro la sanatoria truffa

Di Matteo Zola“La nostra protesta non ha colore.

Non ha colore politico, né di pelle”. Così esordisce Aboubakar Soumahoro, membro del collettivo ‘Immigrati auto-organizzati’ che questa mattina a Torino hanno manifestato per i loro diritti, in ideale unione con i lavoratori di Brescia, di Milano, di Roma che in queste settimane hanno protestato anche con gesti estremi: “Perché estrema è la disperazione”, commenta Aboubakar. Ma per cosa protestano gli immigrati di tutta Italia? “Il governo e i media fanno di tutto per nascondere quanto avviene”. Ebbene avviene che migliaia di persone sono state truffate per legge. Aboubakar spiega come: “Nell’agosto del 2009 il governo ha varato una sanatoria per regolarizzare ‘colf e badanti’. Ben 400.000 persone hanno presentato domande di regolarizzazione poiché il decreto legge (102 del 2009, ndr) emanato dal ministero degli Interni istituiva una sanatoria per collaboratori domestici”. ‘Sanatoria’ significa emersione dal lavoro nero per migliaia di uomini e donne che prestavano il loro lavoro all’interno della case degli italiani,

accudendone gli anziani e i malati, trovandosi in situazione di clandestinità poiché privi del permesso di soggiorno.

L’annuncio di questa sanatoria fu vissuto come un momento di liberazione per molte famiglie, sia italiane sia straniere. Il Ministero dell’Interno, mentre era in corso l’iscrizione all’operazione di emersione, aveva dichiarato che anche chi ha ricevuto in precedenza provvedimenti di espulsione poteva partecipare alla sanatoria. Ad affermarlo era la circolare del prefetto Morcone. “E infatti, all’inizio, molti richiedenti già colpiti da uno o più provvedimenti, hanno ricevuto il permesso di soggiorno” afferma Aboubakar.

Mario Morcone, Capo del Dipartimento dell’immigrazione del Viminale, si spinse anche oltre dichiarando, nel novembre del 2009, al comitato Schenghen, che: “La regolarizzazione di colf e badanti “non ha asciugato tutto il sommerso”. Il panorama lavorativo degli stranieri in Italia richiedeva (e richiede) infatti una risposta ben più complessa di quello che la sanatoria per colf e badanti era in grado di dare. “L’edilizia, l’agricoltura, l’industria, la ristorazione e l’alberghiero sono altri settori che ricorrono sempre di più a lavoratori straniera” spiega Aboubakar. La ‘truffa’ però era dietro l’angolo. “Il ministero dell’Interno, nel marzo scorso, ha diramato una circolare a firma del Capo della polizia Manganelli, nella quale si precisa che chiunque abbia ricevuto anche un solo provvedimento di espulsione non può beneficiare della sanatoria. Una vera e propria coltellata nella schiena”. La circolare aveva come oggetto: ‘Procedure di emersione del lavoro irregolare prestato da cittadini stranieri nell’attività di assistenza e di sostegno alle famiglie. Motivi ostativi previsti all’art. 1, ter, comma 13, della legge 3 agosto 2009 n. 102ʹ′.

Motivi ostativi. Vale a dire che chi fosse stato raggiunto in precedenza da fogli di via non avrebbe potuto partecipare alla sanatoria. Già, peccato che intanto le richieste erano già state fatte. Così molti immigrati si sono trovati nella situazione di essersi auto-denunciati. “In effetti, molti sono stati arrestati e rinviati nei loro Paesi quando hanno risposto alla convocazione della questura. Pensando che era per ottenere il Permesso di Soggiorno, invece era per

comunicare il rigetto della loro richiesta e arrestarli”.

Gli immigrati l’hanno battezzata ’sanatoria truffa’. E basterebbe quanto

fin qui detto a dar loro ragione, ma c’è dell’altro. “A tutti quelli che hanno mandato la richiesta di emersione è stato chiesto di pagare 500 euro come condono per i contributi non pagati durante il periodo di lavoro sommerso. Poi subito dopo, tutti dovevano pagare regolarmente i bollettini trimestrali dell’Inps, senza sapere se la loro richiesta sarebbe stata accettata. Tutti soldi che rimarranno definitivamente nelle cassa dell’ente di previdenza, nel caso in cui i lavoratori verranno espulsi” spiega Karim Metref, educatore e scrittore, anch’egli membro del collettivo. In una simile situazione di confusione non manca chi specula sulla vita degli altri. E’ avvenuto che, essendo la sanatoria parziale, molti lavoratori impiegati in settori diversi da quello domestico si sono inventati contratti falsi. Come? Lo straniero cerca un italiano che stia al gioco, che lo faccia figurare come assunto, e per farlo si rivolge a intermediari.

Naturalmente questo ha un costo: si paga l’intermediario come il finto datore di lavoro: “Gente che si è fatta pagare da 2.000 fino a 9.000 euro per firmare una dichiarazione di emersione. Veri datori di lavoro ma senza scrupoli, gente che si finge datori di lavoro, intermediari vari che procurano contratti di lavoro con persone molto spesso ignare di essere coinvolte nella transazione”. Una truffa nella truffa. Certo, si potrà obiettare che i lavoratori stranieri non avrebbero dovuto ricorrere all’inganno pur di partecipare alla sanatoria: “Ma lo straniero irregolare è disperato, vive con la paura, non accede a cure mediche, ha difficoltà a mandare figli a scuola, fa lavori massacranti dove ogni giorno rischia la vita. L’inganno vero è stato quello dello Stato che ha cambiato le regole a metà del gioco”, spiega Aboubakar. Che poi

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conclude, abbassando gli occhi, come se il discorso preparato fosse finito, come parlando a microfoni spenti: “Una decina di persone rinchiuse nel Cie di Torino si sono cucite la bocca”. No, non è una metafora. “Uno ha ingoiato una lametta. E’ stato portato d’urgenza all’ospedale”. Poi tace un attimo, la sua alta figura bruna è attraversata da un tremito. “Questa è disperazione, disperazione, capite?”.

Narcomafie

La regina sospendeil vescovo jettatore

Aveva detto: Kate e William resisteranno solo sette anni

A nulla sono valse le pubbliche scuse del Vescovo di Willesden, Pete Broadbent, che giorni fa aveva dichiarato, fra lo stupore generale, che il matrimonio tra il principe William e Kate Middleton non sarebbe durato più di sette anni. L’alto prelato, ha annunciato oggi il Vescovo di Londra davanti al Sinodo Generale e in presenza della regina Elisabetta II, è stato sospeso dalle sue funzioni.“Sono rimasto costernato dai commenti del Vescovo di Willesden sul futuro matrimonio reale. Nonostante le sue scuse sincere, gli ho chiesto di lasciare il suo ministero fino a nuovo ordine”, ha dichiarato, citato dal Times, il Vescovo di Londra, prendendo la parola nel corso delll’inaugurazione del Sinodo Generale della Chiesa di Inghilterra.Nella famiglia reale, aveva scritto Broadbent su Facebook, ci sono stati moltissimi “matrimoni falliti” e svariati

“donnaioli”, predicendo che il matrimonio tra William e Kate non sarebbe durato più di sette anni. Richiamato probabilmente all’ordine dai suoi superiori, il Vescovo di Willesden aveva chiesto scusa ammettendo di aver esagerato e ha augurato ai due promessi sposi un lungo e felice matrimonio.A dispetto degli spergiuri, le teste coronate di tutto il mondo hanno comunque scritto a penna la data sul calendario: venerdi’ 29 aprile, Westminster Abbey. Giorno in cui il principe William e la ‘commoner’ Kate Middleton si sposeranno. La chiesa scelta è la stessa dei funerali di Lady Diana.

Romantico o macabro? In ogni caso l’annuncio del padre dello sposo, l’erede al trono Carlo d’Inghilterra, ha chiuso una girandola di illazioni sul grande giorno che il premier David Cameron si e’ affrettato a proclamare festa nazionale. Incuranti del proverbio mediterraneo che ‘ne’ di venere ne’ di marte ci si sposa ne’ si parte’ William e Kate hanno optato per ‘regalare’ ai britannici un lungo ponte di primo maggio che si conclude lunedi’ 2: il giorno del matrimonio sara’ Bank Holiday, ha annunciato Downing

Street, per dar modo a tutti i britannici di celebrare con i ‘loro’ Reali.

La data e’ stata scelta pensando a Santa Caterina da Siena, di cui ricorre la festa quel giorno (Catherine e’ il nome completo di Kate). Quanto a Westminster Abbey, dove un giorno anche William come i suoi antenati, verra’ incoronato Re, e’ la chiesa dove si sono sposati i nonni Elisabetta e Filippo, ma per il giovane principe non puo’ che essere listata a lutto.

William, che ha regalato alla fidanzata lo zaffiro della madre quando ha chiesto la sua mano, ci ha accompagnato la bara di Diana dopo che nell’agosto 1997 la amatissima ‘Principessa del popolo’ era rimasta uccisa in un inseguimento con i paparazzi con il boyfriend Dodi Fayed a Parigi. Le immagini dei due principini, William 15enne e il fratellino Harry, in mezzo a dignitari e celebrita’ vestiti di nero commossero il mondo.

Sprezzo per la superstizione quello della giovane coppia reale, che hanno scelto Westminster e non St. Paul dove si sposarono Carlo e Diana, forse perché sedotti dal senso di intimita’ che la grande chiesa millennaria offre ai

fedeli pur potendo accogliere al suo interno 2.200 persone.

‘Anche all’altare sembra una parrocchia’, ha detto il segretario del principe Jamie Lowther-Pinkerton indicando che la lista degli invitati non e’ stata ancora completata ma che ‘non ci sara’ un posto libero’. William e Kate hanno preso un ruolo attivo nell’organizzare la cerimonia: ‘Avremo addosso gli occhi del mondo. Vogliono che lo spettacolo sia un esempio classico di quel che di meglio la Gran Bretagna sa offrire’.

Polemiche sulla opportunita’ di tenere un matrimonio reale in tempi di austerity? I costi della cerimonia, la musica, i fiori, il ricevimento e la luna di miele saranno a carico della famiglia reale e dei Middleton (ma quanto gli uni e quanto gli altri?), ha assicurato Buckingham Palace, mentre ai contribuenti toccheranno i costi della sicurezza, stimati nei giorni scorsi a 80 milioni di sterline, quasi cento milioni di euro.

Veneto, terra dimenticataDi Giuliano Rosciarelli

Parlano Eugenio Zaggia del Consorzio di bonifica, Bacchiglione e Franco Bonfante vice presidente del consiglio regionale del Veneto.

Nel comune di Bovolenta, sul campanile della chiesa di Sant’Agostino c’è ancora una lapide che ricorda lo sgomento del Re Vittorio Emanuele l alla vista dei danni causati dall’alluvione del 1882 che sommerse il paese. I veneti di acqua se ne intendono, sono secoli che la dominano e ne vengono dominati in un rapporto di amore ed odio senza fine. A distanza di più di un secolo lo stesso comune di Bovolenta si trova oggi come ieri con “l’acqua fino al collo” costretto a fare i conti dei danni. Gli stessi di un secolo fa. Da allora di tempo ne è passato e anche di alluvioni come quella del ’66 che distrusse tutto,

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ma è come se non fosse mai accaduto nulla. I danni e lo stupore per tanta incuria è sempre lo stesso. Eppure il Veneto è una delle regioni a più alto rischio idrogeologico. Il territorio è attraversato da 22mila chilometri di fiumi e le piogge cadono in abbondanza per gran parte dell’anno.Ma ogni volta è come la prima volta. Questo perché <>.Eugenio Zazza è il presidente del Consorzio di bonifica Bacchiglione: 58.247 ettari che abbracciano 39 comuni veneti, oggi ancora sotto il fango dopo la piena del 2 novembre scorso. Quella notte, quando il fiume Bacchiglione ha rotto gli argini allagando Vicenza era presente sul posto. << Ero appena arrivato a casa – ricorda – quando una telefonata all’una di notte mi ha avvertito che il Bacchiglione aveva rotto gli argini. La cosa non mi ha colto di sorpresa, già un’ora prima il livello aveva superato di un metro e mezzo il livello di guardia, un fatto storico>>. La speranza, a mezzanotte, era che l’allagamento di Vicenza ( più a Nord di Bovolenta) avesse già saziato la rabbia del fiume ma a complicare le cose ci si è messo il Brenta, anch’esso sovraccarico. E la tragedia è avvenuta. E come sempre accade ci si chiede di chi è la colpa.Zaggia una idea se l’è fatta: << I consorzi, insieme al Genio e alla Protezione civile, rappresentano l’ultimo avamposto di controllo sui territori ma senza risorse non possiamo fare nulla. Da decenni ci sono progetti chiusi nei cassetti della Regione per la messa in sicurezza del territorio ma ancora non vedono luce. Quanto accaduto sarebbe comunque successo ma probabilmente si sarebbe potuto limitare i danni>>.I numeri dell’Osservatorio regionale parlano chiaro: dagli oltre 46 milioni di euro del 2003 le risorse per il territorio si sono ridotte a poco più di 12 milioni nel 2009. I lavori però effettivamente eseguiti e quindi pagati passano dagli oltre 31 milioni del 2003 ai soli 3,7 milioni dello scorso anno. << I dati evidenziano inoltre – per il vice presidente del consiglio regionale Franco Bonfante del Partito democratico – un aumento nel 2009 degli impegni per interventi urgenti, sul totale della spesa per la difesa idrogeologica, dal 25 al 90 per cento circa in sei anni. << Già nel gennaio del 2010 – spiega ancora Zaggia – i

consorzi avevano preventivato lavori per la messa insicurezza pari a 800 milioni di euro cui bisognava aggiungere i lavori per i fiumi. Nulla è stato fatto anzi, negli ultimi cinque anni le risorse per i consorzi sono passati da 48 milioni a 24 milioni con una riduzione del 50%>>. << Nel 2006 – continua Bonfante – presentai una interrogazione all’assessore all’Ambiente per chiedere interventi urgenti. Mi fu risposto che erano stati programmati interventi, nel triennio 2007-2009 pari a cinque milioni. Nei giorni precedenti la piena sono andato a controllare. Nulla è stato programmato ne tantomeno finanziato>>.Eppure di soldi ne sono stati spesi in Veneto, basti pensare al miliardo e mezzo di euro stanziati per la Pedemontana o al mare di denaro che ha contribuito alla progressiva cementificazione del territorio. << Invece di fare le casse di compensazione per contenere le piene si è pensato ad occupare 4milioni e200mila metri quadri di terreno con cemento per fare l’autodromo – accusa Zaggia – Sono anni che aspettiamo il completamento della idrovia Padova-Vicenza che dirotterebbe 400metri cubi di acqua verso la laguna (in caso di piena), ma stiamo ancora aspettando. >>. Per le casse di compensazione, che servono a contenere l’acqua che tracima dagli argini impedendo che questa allaghi i centri urbani, ci vorrebbero 2-300 milioni di euro, gli stessi che Tremonti ha tolto al Veneto nell’ultima finanziaria. << Ci sono poi i bacini da ripulire, e i fiumi da dragare. Ma evidentemente c’è stato bisogno di accontentare altri bacini, quelli elettorali>>.

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Leone di Cologno

Chi va a Roma non vuol perder la poltrona; guardati da chi ti consiglia a Fini di bene

Acaro del telefono e dei Floris (parte prima)

Raglio d’asino non arrivò mai in cielo

GErmi ilLuMINatI(parte seconda)

Un asino trova sempre un altro asino che lo ammira

Tarli dei Frat(t)ini

Trenta dì conta novembre, con april, giugno e settembre; di complotto c’e ne uno…ma non lo vede nessuno

Lonza del Vaticano

I meglio Benedetti:

Prevenire è meglio che curare, ovvero, meglio essere preservativo che curativo…meglio tardi che mai!

Mucca di Mare

Nuvolo di montagna non bagna la Carfagna

mariaStella di mare

Sciacqua, sciaborda,

scroscia, schiocca, schianta,

romba, ride, canta,

accorda, discorda,

tutte accoglie e fonde

le dissonanze acute

nelle sue volute

profonde,

libera e bella…

(L’onda – dal libro Alcione di Gabriele D’Annunzio)

***a cura di Sonia Ferrarotti

www.soniaferrarotti.wordpress.com

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«Non è una favola a lieto fine», racconta Marisa Masciari. «La paura non mi abbandona e la libertà non me la restituirà nessuno. Hanno messo una bomba nell’ufficio di Pino in Calabria, come a dire che là non dobbiamo farci vedere. Una notte siamo stati sorpresi da due sconosciuti in camera da letto, che si sono dileguati senza rubare nulla: possono entrare in casa nostra quando vogliono». E come si riprende in mano la vita dopo un lungo limbo? «Aprendo gli scatoloni» ride lei. «Erano rimasti chiusi, come a congelare la mia precarietà. Ho riposto le foto di famiglia nelle cornici d’argento. E ho letto un libro: prima scorrevo solo carte burocratiche, la mia testa era immersa in quel mondo irreale. Sognavamo che lo Stato ci proteggesse nella nostra terra: sarebbe stato un segnale forte per la ‘ndrangheta»