Giuseppe Franco Ferrari sul Sole24Ore - Ma non è semi presidenzialismo -

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I DUE MANDATI DI GIORGIO NAPOLITANO

Ma non è semi-presidenzialismo di Giuseppe Ferrari

L a rielezione di Giorgio Napolitano, evento unico nella storia repubbli­cana, ha riportato l'attenzione degli studiosi e dell'opinione pubblica

sulla presidenza dellaRepubblica come istitu­to e sui caratteri dei singoli mandati presiden­ziali. I costituzionalisti sono venuti esami­nando analiticamente i mutamenti di prassi nel ruolo presidenziale, ed anzi nella forma di governo, funzione per funzione, con risul­tati eccellenti sul terreno della misurazione delle innovazioni.

Il volume di Lippolise Salerno è il più com­pleto, da questa angolazione, e non solo per essere l'ultimo ed il più aggiornato. È pacifi­co, anzi tutto, che Napolitano abbia fatto nel suo primo settennato un uso molto limitato, anche se decisamente efficace, dei poteri for­mali relativi al procedimento legislativo: quanto al rinvio delle leggi con messaggio motivato, lo ha utilizzato solo una volta nel marzo 2010 per il "collegato lavoro"; del pari uno solo è stato il caso di rifiuto di emanazio­ne di decreto legge, nel caso Englaro, per l'in­terferenza con decisioni giudiziarie e per il difetto dei presupposti di urgenza e necessi­tà se non con riguardo ad un contesto specifi­co ; e ancora uno solo è stato il rifiuto di ema­nazione di decreto legislativo, in materia di federalismo fiscale municipale, per difetti procedurali.

In compenso Napolitano ha posto in essere molte esternazioni "libere", accompagnando sia il procedimento legislativo in senso stret­to, e quindi la presentazione di disegni di leg­ge governativi e la promulgazione di leggi, sia l'emanazione di decreti leggi e decreti legisla­tivi. In questi casi i messaggi si rivolgevano al Governo o al Parlamento, e in qualcheoccasio-ne operando di conserva con la Corte costitu­zionale. Ma ha fatto anche frequente ricorso ad esternazioni dirette all'opinione pubblica, in certo modo scavalcando gli altri organi co­stituzionali.

In quanto presidente del Consiglio superio­re della magistratura, Napolitano ha operato per la riduzione dei pareri su leggi in corso di approvazione e per la regolamentazione del-lecosiddettepraticheatutela,incuimagistra-ti o componenti del CSM attivano pronunce relative a situazioni di conflitto tra giustizia ed istanze politiche. Ancora, è intervenuto in due vicende relative a Ministri, Romano e Brancher, coinvolti in processi penali. Ha esercitato il potere di grazia afavore del diret­tore de «Il Giornale» Sallusti, applicando valu-tazioniumanitarieasituazioniconcretepoli-ticamente rilevanti. Si è mosso in prevalenza con interventi di maral suasion, salvo che nel­la difesa delle prerogative presidenziali alla

riservatezzadelle comunicazioni, quando ha esperito con successo il conflitto di attribuzio­ne, deciso dalla Corte costituzionale con sen­tenza 1/2013.

È stato molto attivo sul fronteinternaziona-le, come non accadeva dai tempi di Gronchi. Ha effettuato molte visite in capitali estere e ri­cevuto molti esponenti di vertice di altri Paesi, non limitandosi però acapi di Stato suoi omo­loghi, in quanto preposti a forme di governo parlamentari avaria configurazione, ma aven­do contatti non meramente protocollari an­che con capi di governo. Ha valorizzato il ruolo del Consiglio supremo di difesa, rendendolo sede di decisioni in precedenza riservate all'as­se Governo-Parlamento, specie in tema di mis­sioni di peace-keepingepeace-restoring, edan­do trasparenzaa questi processi decisionali.

Infine, si è impegnato in prima persona sul terreno europeo, operando come per­suasore verso l'opinione pubblica interna e come garante capace di rassicurare verso quella europea.

Si è impegnato anche sul terreno della rifor­ma della politica, promuovendo la revisione del sistema elettorale, e più in genere l'autori-forma della politica, ma su questo terreno no n è stato assecondato dalle forze politiche, che ne hanno poi pagato in vario modo lo scotto alle elezioni del 24 febbraio scorso.

La disamina dell'evoluzione delle singole funzioni presidenziali nell'era di Napolitano offre dunque ai costituzionalisti numerosi

E la tesi di Lippolis e Salerno: avremmo un vero cambio di paradigma se ai vertici dello Stato venisse eletto il leader di un partito maggioritario

spunti interpretativi per la ricostruzione del senso della prassi del settennato e del suo in­quadramento nel quadro della forma di gover­no. Ma ai politologi e in genere all'opinione pubblica informata interessa piuttosto una più sintetica, se pur sommaria, valutazione: nel suo primo settennato Napolitano ha o no messo in atto una sorta di forzatura dei poteri del Quirinale accentuando nella forma di go­verno la no tapresidenzialista? Questa era late-si Eugenio Scalfari nella nota intervista allo stesso Napolitano (la «Repubblica», 5 luglio 2012), condivisa da qualche pubblicista.

La risposta di Lippolis e Salerno, come quelladelladottrina costituzionalistica pre­valente, è nettamente negativa. La classica teoria del motore di riserva, vuole che il compito di garanzia politica del presidente nella forma di governo parlamentare, di

condizionamento dall'esterno dei titolari dell'indirizzo politico, Governo e Parlamen­to, ma non di surrogazionead essi, si espan­de nei periodi in cui le istituzioni pubbliche e il sistema partitico sono soggette a tensio­ni o subiscono stress da evoluzione o da cri­tica dell'opinione pubblica. Il ruolo di per­suasione e di influenza, nelle parole di Meuccio Ruini, ipotizza che non vi siano in­vasioni del campo della politica, e il raccor­do tra società civile ed apparato pubblico operato in funzione unitaria dal presidente dipende dallo stato della democrazia rap­presentativa. Più si accentuano gli elementi di crisi, più si aprono spazi ad interventi pre­sidenziali, che pure non possono mai tra­smodare in formulazione ed esercizio di un indirizzo politico alternativo.

Nel settennio, la tutela presidenziale del sistema democratico è stata sostanzialmen­te assorbita senza diffuse contestazioni, ma solo con sporadiche e settoriali insofferen­ze, da parte del sistema politico. Non può darsi miglior riprova del fatto che l'elasticità della forma di governo, con i suoi limiti strut­turali, ha assorbito l'evoluzione del primo settennato di Napolitano senza rotture. E lo stesso, si può aggiungere ora, vale per la solu­zione della lunga crisi con la formazione del governo Letta, nello scorcio iniziale del se­condo settennato.

Rilevano giustamente i due autori che una transizione verso la forma di governo semi­presidenziale, ancheaCostituzione immuta­ta, potrebbe aversi solo se, come non è mai accaduto sin qui, venisse eletto allapresiden-za il leader di un partito maggioritario. Il pas­saggio a una democrazia genuinamente maggioritaria potrebbe persino imporre una formalizzazione con revisione costitu­zionale della forma di governo.

Al momento, però, non è verosimile che, nei prossimi dodici-diciotto mesi, la Grande Coalizione riesca ad andare oltre la revisione dei regolamenti parlamentari per aprire maggiori spazi al governo, la riforma del si­stema elettorale, e forse la revisione costitu­zionale degli art. 56 e 57 per ridurre il nume­ro dei parlamentari. La revisione integrale della Parte seconda dellaCostituzionerichie-de probabilmente tempi migliori e comun­que più lunghi. Nel medio termine, quindi, la seconda presidenza Napolitano dovrà conti­nuare a muoversi sul terreno della funzione di unificazione e garanzia, negli spazi che partiti e sistema politico lasceranno aperti.

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Vincenzo Lippolis, Giulio M. Salerno, La Repubblica del Presidente. II settennato di Giorgio Napolitano, Bologna, Mulino, pagg, 208, € 16,00

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