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Giovanni Tacchini

MATRICI POLICENTRICHE E URBANESIMO EUROPEO

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AVVERTENZA Vengono qui raccolti, completamente rivisitati, anche se ancora in una veste provvisoria e parziale, saggi pubblicati in occasione di seminari didattici, lezioni, corsi integrativi e monodisciplinari. Essi vertono sul paradigma di paesaggio, sulle sue varie definizioni microurbanistiche viste come espressione di una fondamentale struttura di identità antropologico-culturale. Tali saggi hanno avuto una rivisitazione di tipo organico in riferimento al Corso integrativo di Architettura del paesaggio da me condotto entro il laboratorio di progettazione del prof. Enrico Mantero,nell’A.A. 98/99 e nel corrente A.A., presso la Facoltà di Bovisa del Politecnico di Milano

Politecnico di Milano Dipartimento di Progettazione dell'Architettura Milano, febbraio 2000

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MATRICI POLICENTRICHE E URBANESIMO EUROPEO 5

SCENARI DI GLOBALIZZAZIONE O DI CIVILIZZAZIONE? 5 Strategie macrourbanistiche e sviluppo della cee 6 Lo scenario macrourbanistico 8

LE MACROSTRUTTURE DELLO SPAZIO EUROPEO 13 zonalità e strutture 13 lo spazio delle fosse e delle pieghe e i policentrismi mercantili 13 Spazio dei ”solchi e delle pieghe”, spazio delle cerniere. 14 lo spazio dei blocchi e degli zoccoli e i policentrismi dell’industria di base 17 la ritrovata attrattività delle coste 19 Europa: non solo un nome proprio, la scoperta della giusta misura europea 20 L’Europa e la filosofia della storia 22 civilizzazione europea e spazio continentale 22

IDEE Di METROPOLI: TRE DIVERSE MATRICI DEL PALINSESTO EUROPEO 24

un evolventesi paradigma 24 metropoli e colonia 25 Platone l’entropia della società e la “necessità” di fondare colonie 27 polis e civitas 29 una concezione normativa e il sinecismo romano 29 la concezione territoriale 31 la cristianizzazione estrae ed astrae il rinnovarsi dell’idea di metropoli 32 un cambio di scenario insediativo: l’abbandono delle piane 33 Il rumore di fondo dell’Europa dei villaggi 34

LA MATRICE DEI POLICENTRISMI MERCANTILI 36 la citta oltre I’ entità in sè 36 a partire dal ruolo delle funzioni di vita associata 39 mercatura e funzioni della vita associata 40 fiere 41 università 45

POLICENTRISMO MANIFATTURIERO E POLEOGRAFIA REGIONALE 48

costruire e anticipare 48 generi letterari rivelatori: dal metabolismo all’eterogenesi 49 articolazione dei poli urbani e delle interdipendenze produttive nella formazione della città policentrica lombarda 50 l’idea di contestualità: chiosando i concetti di provincia e regione 52

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il parastrato della “galassia Gutemberg” : la rappresentazione e le armature di uno spazio pieno 54 contesto ed arrière pays: una sinergia tra poli dei terzo e dei second’ ordine 55 poli dei secondo ordine 57 il veriagsystem e i policentrismi manifatturieri 58

LA STRATEGIA Di CONCENTRAZIONE METROPOLITANA 61 la città mondiale e l’extraversione dello sviluppo 61 l’importanza della massa fisica della città: non solo una questione demografica, nè solo una immagine letteraria 62 naturalizzazione dei confini e reti nazionali : la città capitale e lo stato- nazione territoriale 63 la strategia metropoli nello sviluppo dell’urbanesimo europeo di epoca moderna e contemporanea 64 i due scenari delle ecologie dell’industria di base e dell’industria meccanica 65

DALLA STRATEGIA METROPOLI ALLA STRATEGIA POLICENTRICA 69

Dall’idea di area metropolitana. all’idea di ambito metropolitano 69 Uno sviluppo (o una crescita ?) basato sullo squilibrio dunque ? 70 il perchè dì un approccio macrourbanistico 71 i “modelli neotecnici” 74 una diversa conoscenza dei fenomeno urbano e la lettura della inversione di tendenza 76 il passaggio dall’idea di metropoli a quella di “area metropolitana” 77 idea di ambito metropolitano e di città policentrica 78

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MATRICI POLICENTRICHE E URBANESIMO EUROPEO

SCENARI DI GLOBALIZZAZIONE O DI CIVILIZZAZIONE? Perché mai ostinarsi a ricercare i caratteri originari dello spazio europeo o meglio dello spazio della civilizzazione europea? E per altro, perché mai, nel momento in cui sempre più rapidi appaiono i processi di obsolescenza e di sostituzione degli oggetti, delle catene tecniche, dei riferimenti culturali e simbolici che hanno plasmato i nostri paesaggi, trasferire la nostra attenzione dalla scala micro dei caratteri originari dei paesaggi agrari ( per riprendere un filone di studio che fu fondamentale per la mia generazione) alla scala macro dei caratteri originari dei policentrismi europei? Perché mai, nel momento in cui, a partire dall’interno delle nostre discipline nuovi modelli neotecnici sembrano fare “tabula rasa” di vecchie strutture insediative care alla vecchia “geografia dei milíeux”, preconizzando l’avvento di un univoco processo insediativo operante alla scala dell’ecumene, continuare a ricercare le molteplici, pluralistiche radici delle strutture profonde dell’urbanesímo europeo? Ed ancora, perché mai, nel momento in cui a livello dei senso comune la globalizzazione mondiale dell’economia e della comunicazione sembra riportare tutto a quella omologazione del villaggio globale ( di cui l’immagine delle megalopoli di conurbazione è il prolungamento e l’esplosione spaziale ) indefinitamente iterabile entro una leggera pellicola di biosfera che si fa quasi indifferenziato spazio ecumenico, villaggio che, per altro, semiologi e studiosi di comunicazione ci avevan preconizzato, ormai più di un quarto di secolo fa, continuare a ostinarsi a ricercare ancora come espressione di cultura-cíviltà i caratteri originari e le forme ( morfologiche e non ) di un insediamento che è matrice primaria della identità culturale europea? La prima risposta a tutte queste domande sta fondamentalmente nel fatto che nel quadro di riferimento delle scienze umane fino ad oggi il termine urbanesimo, che per altro continua ad essere relativamente desueto a fronte di termini tecnico-operativi molto più diffusi quali quello di urbanistica, appare riferirsi non ad un ampio orizzonte insediativo quanto piuttosto attagliarsi ad una idea di città poco consapevole o dei tutto ignara dei ruoli, portatori di valori e di volitive valenze soggettive ancor prima che di più o meno ineluttabili destini dei vari contesti insediativi. Ora interessarsi dell’urbanesimo come espressione coerente di una più ampia fenomenica insediativa vuole dire riconoscere le varie polarità urbane nel loro strutturarsi, sempre più chiaramente, entro una articolata armatura policentrica; fenomeno questo che non si manifesta come semplice prodotto dell’oggi ma che ha sue matrici di civilizzazione operanti sul lungo periodo storico e di cui sarà nostro compito ricercar le matrici. A fronte di una tal problematica la storia degli insediamento dell’Europa occidentale, invece, è, in buona sostanza, sempre apparsa come una semplice sommatoria, un semplice regesto di storie locali ed in particolare le storie delle città europee sono

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sempre apparse e continuano ad apparire come semplici storie urbanistiche, o come storie urbane separate tra loro. Ora noi, da un lato, per dirla con Carlo Cattaneo, vogliamo riportarci alla ricostruzione di quei “principi civili che hanno plasmato la città europea, dall’altro a quella dimensione non puntuale ma sovralocale che macrourbanisticamente ne configura l’armatura policentrica in un ambito territoriale contestuale sempre trascurata dalle varie storie urbane e urbanistiche e sempre più manifestamente rilevante nel momento in cui un nuovo scenario e una nuova strategia insediativa e produttiva, quella delle reti, ha preso il sopravvento a partire dagli anni Settanta. Essa è quella strategia policentrica che, con l’affermarsi dei fenomeno della inversione di tendenza insediativa a favore dei poli urbani del secondo ordine, ha mostrato il venir meno di una univoca strategia di concentrazione metropolitana trainata dalla crescita della stessa massa fisica della grande città ed ha messo in luce il sostrato di una armatura urbana operante sul lungo periodo alla scala regionale e che appare oggi capace di dar vita ad un ambito metropolitano sopportato più dallo sviluppo dei poli dei secondo e dei terzo ordine che da quelli dei primo.

STRATEGIE MACROURBANISTICHE E SVILUPPO DELLA CEE

Ma veniamo alla seconda questione: perché mai interessarsi d’Europa ed in particolare di quella identità europeo-occidentale che in qualche misura è stata riformulata dalla nascita di una comunità economica europea ? Diciamo subito che le motivazioni ci vengono non certo da semplici occasioni congiunturali e istituzionali, semmai proprio dalla necessità di superare quella logica meccanicistica per cui l’integrazione europea ci è data quasi come una ineludibile ed ineluttabile comunità di destino, tutta giocata entro i termini di orizzonti temporali contabili, appiattimento pericoloso ed univoco punto di convergenza della storia recente dei singoli stati nazione. Riassumiamo brevemente la storia di questa istituzione. Venne la contrapposizione tra due blocchi e si rinforzò la storica contrapposizione tra Oriente e Occidente. Scampoli a buon mercato di filosofia della storia tornarono allora a presentarci l’Occidente, via libero mercato, come il luogo della razionalità e della innovazione urbana contrapposti a un Oriente visto come patria dell’irrazionalismo, del despotismo e dell’oscurantismo rurale. Ecco allora che nella ricostruzione di una dimensione del mercato si viene nuovamente a configurare l’elemento costitutivo della democrazia occidentale contrapposto al despotismo orientale tipico dei modo di produzione asiatico e delle economie di piano. Semplice propaganda o ritorno di una questione di fondo che già contrapponeva il mondo greco a quello persiano ? Ritorno di una questione culturale o ritorno distorto e in modo astratto di una questione che aveva avuto ben altra concretezza di civilisation, laddove la presenza di una piazza, di un agora e di un mercato contrapponeva tra loro i due mondi.

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Ricordo l’eco di un tale dibattito, ma mentre la letteratura in argomento si perdeva in lezioni ideologiche ricordo anche come, da altra parte si cercasse di procedere alla costruzione concreta, in senso mercantilistico, della Comunità europea. Prima ancora essa fu una “comunità dei carbone e dell’acciaio”, ossia la ricerca di una comune messa a regime in un quadro di coerenza sovranazionale della produzione dei primi imputs necessari alle trasfromazìoni manifatturiere e così essa fu rapida ed intelligente ricostruzione delle “disiecta membra” della industria di base di quelle che erano state potenti nazioni che fino allora avevano pensato ad operare in logica “alla Thiérs” ossia secondo il principio fondamentale dell’autarchia, raggiungibile o per via interna o per via coloniale. Una prima fase, bambino me ne giungevano gli echi, è stata quella della ricostruzione postbellica, che naturalmente non poteva essere una semplice ricostruzione, essa prima di tutto metteva in gioco la necessità di superare la concezione degli stati-nazione come spazi della autosufficienza possibile e dell’autarchia, visti entro un quadro di complementarietà geopolitiche definite dai propri imperi-colonie. La situazione postbellica aveva mostrato la irreversibilità della crisi di un tale scenario, in tale condizione in particolare la ricostruzione di una industria di base richiedeva il perseguimento di nuovi modelli e la costruzione di nuovi scenari. Ma è proprio in condizioni di crisi che una società sanamente vitale ( e quella europea si era profondamente ringiovanita e stava profondamente mutando le proprie classi dirigenti e le proprie organizzazioni di massa ) sviluppa, in quel periodo i propri anticorpi, così i principi dell’allargamento di una area di mercato quale era quella dei carbone e dell’acciaio configuravano ben più generali potenzialità di sviluppo macroeconomico. Consentitemi allora di riportare alla vostra attenzione una visione soggettiva e quasi privata. Fino ad oggi il termine Europa per un abitante della mia generazione, nato all’inizio della ricostruzione postbellica, cittadino di una nazione che fin dalla data della sua fondazione ha appartenuto al Mercato Comune Europeo, ha significato un qualcosa di diverso e di più di una quasi ineluttabile schiksaalgemeínschaft , ossia un meccanico configurarsi di una sempre più estesa comunítà di destino, così come essa appare nell’oggi. Erano gli anni della programmazione economica, anni in cui l’Occidente contrapponeva ai modelli dei socialismo ossia delle economie di piano. In un primo periodo, in una prospettiva keynesiana, essa appariva portatrice di un potere di espansione economico correlabile alla crescita delle grandezze macroeconomiche, ciò che avrebbe dato vita a un benessere capace di dare solide prospettive di sviluppo di medio periodo proprio a partire dal superamento delle strozzature che si davano al welfare-state come ai vari settori di produzione industriale. Ed allora lasciate che la mia soggettiva esperienza riporti alla vostra attenzione quella triplice fase temporale che ha dato vita a questa ancora indefinita realtà politico economica che ci sta di fronte. Da questo punto di vista proprio l’industria di base risultava strategica, infatti essa, rispetto al ciclo di produzione: - appariva il soggetto privilegiato del conseguimento delle tanto preziose economie di scala che la sua produzione di massa poteva ottenere, - era inoltre il soggetto da cui potevan derivare a cascata e in parallelo tutte

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le successive lavorazioni di semilavorati e prodotti finiti ( si pensi all’enfasi con cui la petrolchimica, ossia la chimica organica di base fosse interessata a tal proposito da verticalizzazioni e orizzontalizzazioni della diversificazione produzione a partire dai processi di craking ). Altresì rispetto ai mutamenti dei comportamenti sociali era il soggetto promotore dello sviluppo di una nuova economia sostantiva capace di coinvolgere imprese e famiglie grazie ad un duplice effetto legato a uno sviluppo polare, squilibrante ma promotore di un decollo spazialmente concentrato in una prima fase, con il corollario che ciò comportava anche da un punto di vista finanziario, ma successivamente in grado di produrre un effetto di tracimazione legato a una crescita di tipo dualistica, legata al modernismo e all’innovazione dei comportamenti indotti dall’ambito urbano. Da ultimo, rispetto al quadro delle interdipendenze di produzione, l’industria di base era il ganglio capace di promuovere, attraverso lo sviluppo di industrie industrializzanti, il superamento delle strozzature settoriali e quindi di configurare una condizione di crescita del mercato interno secondo i principi teorici dello sviluppo autocentrato.

LO SCENARIO MACROURBANISTICO

Ma se questo quadro macroeconomico in misura sostanziale si attaglia alla ricostruzione dei mercati nazionali, sui piano macrourbanistico questo mercato sovranazionale si costruisce entro uno spazio particolarmente importante per peculiarità. La CEE a Sei è in buona sostanza, sia pure con qualche aggiunta, il vecchio spazio lotarigníco, e questo fatto andrà tenuto ben presente. E tale nuova realtà nasce e si consolida intorno a quella ritornante chimera geopolitica che fu lo spazio lotaringico, asse non solo fluviale, ma limes profondamente dotato di una armatura e di una gerarchia insediativa e, soprattutto via istmica e direttrice storica esterna alla visione e alle logiche degli stati nazional-territoriali. Ecco allora che altri storici si accorgono e riscoprono questo orizzonte continentale della direttrice di Lotario intorno a luoghi cerniera come le fiere o i porti interni e fluviali, ci si accorge di uno spazio definito dalla lex mercatorum, o delle gemmazioni delle unità delle universítas studíorum ma già prima ci si accorge della esistenza di uno spazio, quello della edilità delle cattedrali e delle abbazie, dei romanico e dei gotico. Ci si accorge di una Europa profondamente struttura ancor prima che dalla unità di cultura materiale che pure il cristianesimo ha contribuito a diffondere, da una unità di funzioni della vita associata. Una tale Europa è quella che sa andare oltre la ricostruzione postbellica, una Europa profondamente plasmata da processi autocentrati manifatturieri e da ancor più antichi processi estroversi mercantilistici, ancor prima che di sviluppo industriale. Una Europa lotaringica, peninsulare e fluviale, una Europa che non sa più cosa sia la ricerca degli spazi dell’autarchia, una Europa che non sarà solo comunità economica dei carbone e dell’acciaio ma diverrà mercato, rinascente osmosi e profonda

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dialettica tra spazio latino e germanico a delinearsi, è l’osmosi tra una Europa prima di tutto dei vino e poi della birra, dell’olio e dei burro dei grano e dei latte, una Europa che intorno a questi beni unifica una cultura materiale e simbolica. Il Reno, quel fiume germanico-mediterraneo che come fronte dei cristianesimo e come asse di una civiltà materiale come quello della messa e dei sacrificio liturgico dei sangue sublimato nel vino e nell’olio ha visto correre da sud a nord e da nord a sud molti processi di acclimatazione, di domesticazione e di acculturazione, tornerà a partire dalla metà degli anni Cinquanta ad esserne formidabil veicolo. E qui veniamo al secondo tempo in cui I’ allaragamento geografico della base produttiva e dell’ “welfare state” di uno stato nazione sembra poter collimare con la crescita di mercato di una Comunità economico-europea. In tal senso frontiera principale di tale processo di sviluppo sarà quella dei riequilibri regionali a partire da forme di sviluppo autocentrato, ossia forme di sviluppo legate al superamento delle strozzature dei mercato interno per via prioritario dei singoli stati. Rispetto alla dialettica che è propria dei quadro di un tale primo tempo sta un secondo tempo in cui il conseguimento di uno scenario produttivo a sviluppo industriale maturo spostava l’attenzione su nuovi scenari macrourbanistici in cui obbiettivo prioritario diveniva quello dei superamento degli squilibri regionali, l’obbiettivo della perequazione infra e inter-regionale. Il superamento di tal squilibri appariva di per sé scenario sufficiente per consolidare quadri di sviluppo incentrati sull’avvento di industrie motrici ( ossia di nuovi settori produttivi aventi un tasso di crescita di medio periodo normalmente prossimo al doppio di quello dei PIL ) a partire dal recupero delle armature urbane di tali realtà e non da un semplice decentramento di attività dal centro alla periferia. E veniamo così al terzo tempo. Con la seconda metà degli anni Settanta la cristi del modello fordistico della standardizzazione delle produzioni di massa con la rigidità propria della organizzazione della grande impresa ponendo in tutta evidenza il valore della flessibilità, metteva in primo piano realtà a minor condizioni di congestione insediativa fondate su armature urbane di città medie e piccole, ed anche su contesti insediativi a medio alta densità configurati da reti di imprese piccole aventi una armatura insediativa quella delle “aree sistema” ) estranea alle dinamiche delle aree metropolitane. Esse apparivano, in questi anni, come “optima” localizzativi ( si veda a tale proposito il modello Nec) In quanto capaci di mobilitare le risorse di lungo periodo provenienti da un quadro insediativo ad alta tradizione rurale. Era questa realtà a mettere in luce l’importanza dell’Europa delle regioni, una Europa che operava al di fuori dei reticolo delle città capitali e degli stati nazione, e che sapeva riportare l’attenzione. in un certo senso, su quell’ Europa dei villaggi, o del sistema insediativo rurale che fino allora ( si veda a tal proposito la stessa politica agricola comunitaria ) era stato lasciato alla analisi di una pura “diminutio”. Era questa una Europa che sembrava trovare nella nuova funzionalità macroeconomica e macrourbanistica della unità regionale il suo assetto stabile, una Europa sempre più spesso estranea ed esterna alla realtà degli stati territoriali nazionali.

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Era la fine degli anni Ottanta, anni in cui, a fronte dell’avvicinarsi delle scadenze comunitarie, la pubblicistica rilanciava l’idea di una ritrovata centralità lotaringica. Ed ecco che un troppo facile ottimismo sia pur legato a profonde radici storiche sembra rilanciare quella chimera geopolitica “Otibliez Rome, Madríd, Patís, Bonn et les autres très offícielles capitales politíques. Place aux nouvelles princípautes de la CEE, ces métropotes de province qui font ]’Europei pas des nations: les eurocités. De Rotterdam à Mílan et Barcelone, en passant par Hambourg, Francfort, Lyon ou Muních: la Renaissance. Sans espoír de ministères ou de dotations, les eurocités gouvement des plats pays de 2 a 8 millions dhabítants, recouvrent leurs foires, leurs franchises, leur superbe, aussí. Plus elles sont proches des frontíères du >(X siècle, ces lígnes Maginot en sursis jusqu’en 1992, míeux elles font claquer leur pavíllon. Dans leurs enceíntes se joue le défi des actívítes tertiaires, soit 70 % de l’emploí à l’aube du //lo míllénaíre. Ces eurocités, aujourdhui, elles révent. L’Express est allé les écouter refaíre le Vieux Continent. Il était une foís le Moyen Age des cítes libres. Le revoílà.” Nel frattempo la dimensione territoriale della CEE mutava profondamente e la sua estensione coinvolgeva i paesi dell’Europa cristiana di occidente, con la notevole eccezione della Grecia Ma ecco comparire segni profondi di crisi entro il nuovo scenario dei terzo tempo in cui siamo oggi stesso calati: questi quadri dei primo e dei secondo tempo, fondati su una epistemologia ottimistica venivan messi in crisi nel momenti in cui eravamo chiamati ad accorgerci della esistenza di nuove realtà mondiali, nei primi anni Ottanta il baricentro degli scambi internazionali si spostava da una collocazione atlantica ad una pacifica. La geopolítíca al di là di una globalízzazione tornava ad apparire anche oltre l’immagine dei mercato e dei puro scambio di merci e coinvolgeva nuove sfere di indagine: - gli invisibies apparivano sempre più dominanti nei processi produttivi e di relazione tra i mercati, e non più stati ma intere aree-regíone continentali segnate da loro profonde propensioni al produrre sorrette, al di là dei loro riferimenti politici da comuni radici di civilisatíon, che avevano per l’appunto in sé i germi di quella propensione allo sviluppo, apparivano sulla scena dei mondo con la loro realtà strutturale. Così è che la grande zolla eurasiatica torna a veder configurararsi il sopravvento rispetto al polo di occidente di altre aree-regíone. Sarebbero più tardi venuti nuovi scenari, quella comunità si sarebbe estesa verso una nuova espansione continentale sotto la pressione di sue componenti, più tardi ossia nell’oggi, essa avrebbe significato qualche cosa che si configura come una ineluttabile “comunità di destino” che abbandonando le speranze di una crescita macroeconomica coinvolgente in una dimensione sovranazionale le diverse entità regionali si sarebbe via via andata configurando come una piatta omologazione contabile e monetaria. incapace di dar vita ad una risoluzione della crisi degli stati-nazione territoriali. La Cee, ormai a dodici, questa crescente e, per lungo tratto, apparentemente, appunto, nostra ineluttabile “comunità di destino”, sembrava configurare un orizzonte di mercato sempre più solido e capace di essere guida spontanea al succedersi delle integrazioni finanziarie e politiche. Ma ecco che il successivo scovolgimento dello spazio geopolitico europeo, l’unificazione tedesca, il crollo dello spazio delle economie di piano, spostavano rapidamente altrove l’interesse di

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questa stessa pubblicistica ed ecco che, dopo il fiorire di una breve stagione da hístoría triunphans, si mostrano i segni sempre più preoccupanti di crìsi interne ed esterne al mondo occidentale. Ed ecco emergere entro quella globalizzazione dell’economia che sempre meno sembra esser guidata da operatori europei, fatti che ci rimandano alla lunga durata delle strutture economiche, a realtà che travalicano i limiti degli stati nazionali, ecco emergere nuovamente una realtà che superando i confini di tali frontiere e dimensioni territoriali, ne delinea altre e resta, testarda. Succede così, che, più recentemente, un gruppo di studiosi facenti capo all’Università di Pavia, neil’analizzare la dissociazione in atto tra i movimenti delle ricchezze e l’organizzazione centralizzata degli stati territoriali su base nazionale, riscopra l’orizzonte della antica lex mercatorum che univa in una dimensione, non tanto sovranazionale quanto, piuttosto, extranazionale, le relazioni tra alcuni gangli sempre più univocamente finanziari dell’economia mondiale. Ed allora ci si deve porre la questione se questi movimenti finanziari che sono in grado di spostare in un giorno flussi monetari equivalenti al Pii di uno dei paesi più industrializzati, quale è ad esempio appunto l’Italia, siano altro da un puro interesse speculativo, siano portati da un processo di civilizzazione quale era quello, per intenderci, conosciuto e praticato dalle città-stato medioevali o da un acriticamente distruttivo processo di “globalízzazione” E’ innegabile, lo scenario mondiale che si muove a livello istituzionale, come a livello dei governo dei flussi finanziari, non ha certo orizzonti di un tale respiro. Ciò non toglie che questi epocali cambiamenti di struttura siano in atto e tutto ciò richiede un ripensamento dei ruoli, ivi inclusi quelli delle entità regionali e dei policentrismi, come delle città modíalí di cui è ricca l’Europa e il nostro spazio padano. Ed allora i temi delle “Eurovílles”, dello “spazio lotaríngico”, della “economia mondo” e dei nuovo orizzonte della “lex mercatorum”, non possono essere un dibattito solo tecnocratico, essi sono elementi fondamentali di una discussione che si deve innescare per consapevolmente affrontare il tema dei progetti di attività capaci di collocare ruoli e destini delle nostre città e regioni europee. Tre matrici portanti macrourbanistiche di cívilisatíon. Ma ecco che il successivo scovolgimento dello spazio geopolitico europeo, l’unificazione tedesca, il crollo dello spazio delle economie di piano, spostavano rapidamente altrove l’interesse di questa stessa pubblicistica ed ecco che, dopo il fiorire di una breve stagione da hístoria tríunphans, si mostrano i segni sempre più preoccupanti di crisi interne ed esterne al mondo occidentale.

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LE MACROSTRUTTURE DELLO SPAZIO EUROPEO

ZONALITÀ E STRUTTURE

Se ora noi per un attimo ci liberiamo dalla inviluppante dimensione della nostra quotidianità e ricerchiamo quei resistente carattere di lungo periodo proprio delle strutture policentriche, quella loro capacità di “passare attraverso”, malgrado tutti i cambiamenti dell’oggi e osserviamo da lontano il continente europeo, esse ci appariranno nella loro impronta di carattere fondante un processo di identità e di sviluppo, in ultima analisi, di un processo di cívílísatíon . In tal senso possiamo parlare di un carattere che ne plasma i paesaggi, un carattere che va oltre la semplice dimensione urbana e ne struttura armature e entità regionali.. Non faremo ciò lasciando la nostra disciplina macrourbanistica in balia di una asettica modellistica che, via economia dello spazio, ci propone delle pure logistiche, ma rifacendoci a quella dimensione empirica della geografia , punto di incontro di cultura materiale, caratteri originari, rumore di fondo del sostrato fisico-biologico, non cercando determinismi ne spiegazioni globali, ma sapendo che, proprio non spiegando tutto, quel poco o tanto che spiegano le varie geografia, quella dei “milieux” come quella delle strutture, lo spiegano bene. Prendiamo una immagine geografica di tipo nuovo quale è quella satellitare, certo essa ci da informazioni molto diverse da quelle che ci avevan fornito fino a qualche decade fa le descrizioni degli atlanti, troppo semplicistiche nella loro ricerca dei generi di vita, queste immagini non ci conducono verso la lettura di una indistinta logica di conurbazione ma verso quella di scenari insediativi operanti alle scale regionali, zonali e continentali profondamente segnati dai processi di lungo periodo di “ civilisation”. Ed allora osserviamo prima di tutto una immagine notturna dello spazio europeo. Vi emergono in tutta evidenza nebulose insediative che per complessità e ricchezza di articolazione ci segnalano l’esistenza di individuo macrostrutture. Pur questa immagine antropica, apparentemente muta rispetto al supporto fisico-geografico che la sottende ci parla di un dialogo continuo, intenso, assiduo e incessante che l’uomo abitante ha dovuto intrattenere coi rumore di fondo di queste fisiche strutture.

LO SPAZIO DELLE FOSSE E DELLE PIEGHE E I POLICENTRISMI MERCANTILI

La prima osservazione riguarda quello spazio delle fosse e delle pieghe, giovane prodotto tettonico segnato dalla orogenesi alpina che profondamente modella l’appendice peninsulare europea della grande zolla euro-asiatica, è uno spazio doppiamente complesso e che contrasta da sud quello spazio dei blocchi e degli zoccoli di più antica formazione fino a intrudersi in esso profondamente con fosse quali quella del Reno.

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E’ questo, con qualche inevitabile approssimazione, il fisico supporto di quello spazio definito da quella chimera geopolitica più volte richiamata nella storia che nel suo insieme più esteso costituisce l’asse lotaringico, molto più di una semplice via istmica ma una direttrice che è una spina dorsale non lineare ma “a fascio”. Spina dorsale di uno spazio si diceva. Ora quando, alla fine degli anni Cinquanta gli storici si sono dovuti interrogare (lo imponevano le sfide dello sviluppo di una nuova unità economica, quella dell’area-mercato della “CEE a Sei”) sui caratteri originali della civilizzazione europea, essi non hanno potuto fare a meno di riconoscere, inscritta nella lunga durata delle relazioni operanti tra questi sei paesi, l’esistenza di una unità spaziale profondamente strutturata. Infatti I’ ostensività, propria di una serie di carte tematiche elaborate alla scala continentale, mostrava, in sequenza storicamente serrata, I’ esistenza di una successione di sistemi funzionali capaci di plasmare la dimensione unitaria di tale spazio. Ne è emersa così tutta una serie di reti di sistemi monastici, di sistemi fieristici, di sistemi di alleanze interurbane e, a fianco di tutto ciò, “last but not least”, il gemmarsi delle sedi universitarie e, conseguentemente, ne sono emerse le solide maglie di una rete complessiva di funzioni della vita associata, ben capaci di configurare un orizzonte di civilizzazione che si estendeva ben oltre i limiti di una unità fisico-climatica. Questa, travalicando le condizioni fisico-geografiche più dirette, dava dunque vita ad una unità di tipo macrourbanistico in senso pieno, che per l’appunto aveva il suo nucleo nello spazio lotaringico. Questo asse si estende dalle antiche terre frisone connesse alla situazione dei delta quaternari e in particolare renani a tutto l’asse dei Reno navigabile alla biforcazione tramite la Saverne a nord e il lago di Ginevra a sud con l’asse dei Rodano e che riprende a sud est nella pianura padana e nella valle dell’Arno, ossia in quella realtà territoriale che ancora ai tempi dei Barbarossa veniva considerata l’Italia. E’ questo lo spazio refrattario per sua stessa collocazione e natura fisico geologica agli “spazi omogenei” delle grandi città capitali, ai tavolati, ai grandi bacini-couvette. E’ piuttosto lo spazio degli itinerari, dei grafi, delle reti operanti alla scala continentale.

SPAZIO DEI ”SOLCHI E DELLE PIEGHE”, SPAZIO DELLE CERNIERE.

E’ in tale scenario che dall’analisi, alle diverse soglie storiche, del definirsi delle armature urbane europee, emerge, in tutta la sua piena portata, il permanere di un orizzonte di relazioni funzionali di tipo continentale basato su vie istmiche che dal Mare del Nord scendono al Mediterraneo. Ma queste vie non si configurano come semplici itinerari, esse, progressivamente, stante la loro funzione di direttrice e di cerniera, sempre più sviluppano un ruolo nuovo rispetto ai loro contesti limitrofi. Spazio dei solchi e dunque spazio dei fiumi e uno prima di tutti: il Reno. In una famosa monografia degli anni trenta, il grande storico Febre notava l’ancora persistente atomismo delle città renane. Ora questo resistente carattere non era solo l’espressione di una anacronistico compartimentazione feudale, legata ad una miriade di particolarismi e di gabelle medioevali, a cui lo statuto internazionale voluto da Napoleone delle acque dei Reno avrebbe poi dato un taglio, evidentemente non

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ancora risolutivo, esso era l’espressione di una fisicità dei luogo che si riorganizza non più secondo un continuum di urbanesimo, di infrastrutture, di gerarchie amministrative lungo l’asse dei limes, ma secondo il definirsi di un dualismo e un principio di marcata differenzialità nei confronti dei territori circostanti e, conseguentemente è l’effetto di una fortemente, ricercata complementarietà di relazioni contestuali il cui particolarismo si attesta su occasioni fisico geografiche. Ora questo vuol dire osservare con grande attenzione l’estendersi verso l’est e verso l’ovest delle relazioni dettate da trame estese di scambi, di integrazioni economiche, di mercati. E questo confluire nella città di ampie relazioni trasversali è occasione non solo di intermodalità di tipo trasportistico, ma anche di costruzione di epicentri urbani da cui si dipartono processi di diffusione di cultura e civilizzazione materiali, si pensi alle città della lega hanseatica. Così, in buona misura, la realtà urbana del bacino del Reno vive dei dislivelli di tipo “dualistico” con i territori limitrofi e questi, a partire dalle diverse pressioni “piezometriche” che lo sviluppo ha raggiunto nei diversi punti non solo interni al bacino ma ancor più ad esso esterni, mettono in attiva relazione tra loro diversi modi di produzione, diverse economie, diversi generi di vita, diverse nazionalità. Così, su questa articolata differenziazione territoriale nascono, dapprima, i primi capisaldi delle città dell’Hansa, poi quelli delle città delle fiere, e, da ultimo, quelli delle città delle assicurazioni e dei noli. Spazio delle pieghe e dunque spazio dei valichi, spazio della ricerca dei controllo dei passi come sarà delle città della lega lombarda in concorrenza con gli autoctoni staat-pass alpini. Un diverso ma non dissimile processo storico rispetto a quello renano, che ha investito le città padane il loro operare come cerniere e direttrici tra lo spazio mediterraneo e quello transalpino. E’ in tale ottica, ad esempio che si consolida il passaggio da rapporti contrattuali di tipo bilaterale tra città, in cui obbiettivo non secondario è quello di garantirsi reciproche libertà di commercio e di garantirsi i transiti stradali, a rapporti multipolari di alleanze più larghe quali appunto saranno quelli della lega lombarda. Spazio dunque delle relazioni continentali su cui saran costruiti i sistemi metropolitani delle città mercantili - ed anche universitarie - dell’asse del Reno navigabile, dalla Svizzera all’Olanda, dei Rodano, in Francia, e della Padania e della valle dell’Arno, in Italia. E’ qui dove il senso istituzionale e associativo (leghe renane, lombarde, città dell’Hansa, etc.) ha consolidato armature urbane, costituito associazioni di città, facendo prevalere una rete di intrecci orizzontali tra esse anziché rapporti verticali e gerarchicamente univoci di separazione funzionale dei ruoli tra le città e tra città e campagna. Così é che in questo nucleo di questa porzione un pò marginale della grande zolla continentale euroasiatica, nulla appariva, nè oggi può apparire, darsi come prodotto di condizioni deterministiche, già inscritte nelle qualità intrinseche di un suolo e di un territorio, ma tutto, stante la complementarietà tra culture aventi tra loro origini molto diverse, appariva ed appare ricondursi ad una progettualità che ci riporta ad un costruito scenario di civilizzazione. Così è che, ben più costruttivamente, tale progettualità europeo-occidentale appare operare entro l’orizzonte storico di un processo di civilisation che si fonda su forti spinte all’acculturazione materiale e

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spirituale e vi appare capace di operare anche a livello di massa. Così è che nulla di ciò che appare genericamente essere inscritto nei cromosomi di una razza, di una nazione, di un popolo si può configurare come modello, qui, dove tutto entra in un orizzonte di complementarietà e di articolazione che, di volta in volta, ne rimette in gioco e in discussione, reindividualizzandoli, i caratteri più generali come quelli più particolaristici. Ne consegue una tradizione di “usi di città”, da un lato, fortemente contestualizzata, ossia strettamente connessa al definirsi di ambiti territoriali che già adombrano relazioni regionali e di tipo policentrico e, dall’altro, capace di fondarsi, e rifondarsi, su relazioni di tipo continentale. Così è che, fin dall’epoca comunale, gli spazi incidenti su tali assi sempre più si fondano su sistemi urbani che operano a questi due livelli: da un lato quello della compresenza di una forte attività contestuale nella definizione delle armature urbane regionali, rivolte ad articolazione e funzionalizzazione delle relazion di bacino, dall’altro quello della permanenza di un orizzonte di direttrice fondato su relazioni continentali (leghe urbane, sistemi fieristici, etc.) Tutti questi elementi fanno sì che una tale complessità non sia omologata e non sia facilmente omologabile, nè riconducibile tout-court, a una struttura nazional-statale, quali quelle che si svilupperanno più tardi, alle soglie e entro la periodizzazione dell’epoca moderna, e che tendono ad imporre la loro cogente logistica fondata su una gerarchizzazione amministrativa di tipo centralizzatone a partire da spazi e confini naturali, quali quelli definiti da un bacino idrografico o da una catena montuosa. Tutto ciò è prima di tutto vero per spazi insediativamente densi e ad antica tradizione urbana come sono quelli delle già richiamate, porzioni lotaringiche: renane e padano-toscane, così come, al di fuori degli spazi italiani e tedeschi, appare altrettanto vero per la porzione rodanese della Francia occitana e per quella fiamminga e olandese dei sistemi territoriali dei delta-estuari compresi tra la Scheida e l’Isselmeer. In un tale spazio di elezione dei policentrismo, tutto fa sì che non vi sia una organizzazione gerarchica ad albero, unidirezionalmente operante dal centro alla periferia, nel senso dei comando e della giustizia redistributiva, e dalla periferia al centro, nel senso dei governo delle risorse, ma una organizzazione a rete, avente una pluralità di riferimenti nodali, di tipo urbano, tra loro fortemente coesi, sostanzialmente indipendenti da una concezione burocratico amministrativa della funzione urbana. Immagine evidente di ciò ci è data dal reticolo idraulico olandese. Spazi di una zona di contatto: quella che é data dall’incontro tra acqua e terra, ma non consideriamola per gli aspetti genericamente caratteristici di una realtà costiera ma per quelli niferibili a più dense forme di convergenza agli sbocchi a mare dei fiumi , alle zone di contatto tra acque dolci ed acque salmastre, tra terre emerse e terre anfibie, tra fiumi, terra e mare. Il sistema olandese delle reti idriche consente lo sviluppo di un uso multiplo delle acque che organizza grafi che favoriscono il massimo di interconnesioni a rete significative dei bacino idrografico, costituendo così i nodi urbani un ruolo aperto sia a livello di bacino che a livello continentale e favoriscono il massimo di interconnessione rompendo quindi con I ‘organizzazione univoca propria di una strutturazione ad albero, dando alla città un significato eterogenico evidente a livello continentale.

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Spazi che su tale base sono capaci di vedere nel “mercato” non solo e non tanto, un luogo di elastica e simultanea messa in equazione dei rapporto tra domanda ed offerta, ma una occasione per dirigere, innovando sul medio periodo, gli aspetti dello sviluppo, sia quelli continentali di tipo estroverso, che quelli regionali e contestuali di tipo autocentrato. Così è che tale sviluppo è dato non solo di una “struttura dura” della produzione di beni, in senso strettamente materiale, ma è piuttosto il risultato dei plasmarsi di più ampie valenze soggettive e condizioni oggettivate sulla cui base si costruisce, appunto, una civilizzazione, ad un tempo materiale e spirituale.

LO SPAZIO DEI BLOCCHI E DEGLI ZOCCOLI E I POLICENTRISMI DELL’INDUSTRIA DI BASE

.Una seconda considerazione macrostrutturale può essere subito fatta: la esistenza di una linea di forti densità insediative che da ovest-nordovest si dirige verso est-sudest, essa ci individua la linea di un corridoio ercinico, zona di contatto che segna una linea trasversa ruotata di quasi novanta gradi rispetto alla struttura lotaringica della fossa renana e che segna un settore ercinico che ad est della Lysa Gora mostra un paesaggio privo quasi di corrugamenti antichi, poco danneggiato dall’orogenesi terziaria e dal modeliamento di superficie quaternaria, un paesaggio fatto di immensi monotoni altipiani e pianure, tranne alcuni mediorci rilievi locali come il massiccio dei Donetz e soprattutto gli Urali , ma che ad ovest mostra un quadro molto più tormentato dove le primarie basi scistose sono state successivamente dislocate a varie riprese da fenomeni che hanno provocato il sollevamento di di blocchi in genere stretti ( Vosgi, Foresta Nera e monti della Boemia ) e lo sprofondamento di conche ( bacini di Parigi e di Londra ) Queste complicazioni successive sono state seguite da manifestazioni vulcaniche fin nel Quaternario. Da tutto ciò deriva un mosaico di compartimentazioni che ha dato vita a uno spazio discontinuo e a contrasto che ha fatto da sfondo alla nascita di generi di vita e a forme di organizzazione economica complementari fra loro. Spazio di gemellaggío tra montagne aperte e attrattive e zone pedemontane di penepiano. Spazio di contatto carico di risorse dei sottosuolo, ovunque apprezzabili, più importanti in alcuni punti, per lo meno in certi momenti della storia delle varie economie: bacini carboniferi sul margine propriamente detto dei massicci ercinici, giacimenti minerari di vario genere, o in filoni nelle rocce dello zoccolo, o in ammassi impregnati nello strato dei manto. Insieme al carbone, sono stati il ferro e il sale ad avere un ruolo di primo piano nello sfruttamento delle risorse naturali. Tuttavvia prima ancora degli sviluppi industriali, l’insieme dei canalone ercinico si è presentato come terreno buono, in primo luogo grazie alla sua accessibilità di contro a dei massicci severi e alle estensioni palustri e boscose della grande pianura tedesco-polacca. E la distanza di queste contrade dal principale fronte d’arresto dei ghiacciao vistoliano è appunto stata sufficiente a determinare accumuli di loess , consistenti a partire dall’ Hartz e sempre più vasti verso est. Ne è risultata una spinta al dissodamento e all’insediamento della popolazione fin dai primordi della storia, donde anche una efficace resistenza all’instaurarsi dei latifondo in epoca medioevale.

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Questi furono a lungo paesi con forte densità di popolazioni agricole: l’artigianato, l’industria e l’urbanizzazione intervennero solo gradatamente ad innestare nuove ondate di immigranti sul vecchio ceppo campagnolo. Non è dunque un caso che le principali aree di sviluppo industriale della seconda metà dell’Ottocento e della prima dei Novecento si vadano a collocare lungo il pedemonte dei rilievi e dei relitti ercinici ( partendo da Birmingham ad ovest, passando per la Ruhr, le Ardenne e la zona di Lilie, per giungere alla Slesia ad est). E’ questo lo spazio d’elezione dei policentrisi industriali o meglio dei policentrismi dell’industría di base. Infatti la vivacità storica di tale cerniera canale dal punto di vista dello sfruttamento delle risorse minerarie configura dei prerequisiti e delle complementarietà insediative di grande interesse per lo sviluppo dell’industria di base della seconda metà dell’Ottocento, divenendone supporto privilegiato. E tutto ciò prende le mosse dalla possibilità di trasferire una rivoluzione epistemologica, quella della termodinamica, in un modo di produrre, che ha bisogno di alimentarsi attraverso processi certi e di base ed inoltre di massa e aventi caratteristiche standardizzate ma soprattutto fondate su dualità delle trasformazioni chimico-fisiche della materia quali quelle delle grandi sintesi della chiica inorganica o della siderurgia. Qui dunque si delinea il territorio di elezione dei modello definito dai grandi azzonamenti dell’ industria di base, delle grandi produzioni, delle produttività crescenti che si sviluppano intorno ad una llmerce omogenea” ( il carbone, l’acciaio, etc.), delle “economie di scala crescenti”, delle integrazioni verticali e orizzontali a partire da specifiche logiche metallurgiche e chimiche nella trasformazione della materia prima e dei semilavorati, delle autonomie funzionali nella gestione di scali, raccordi, porti-canale. Tutto ciò avviene proprio nel momento in cui l’industria di base e la connessione innovativo tra la tradizione siderurgica montana e la nuova mobilitazione della risorsa carbone dei coke metallurgico, presente negli strati profondi della piana, divengono fondamentale elemento motore di nuove dinamiche insediative. Se il caso di Birmingham è stato, a partire da questo scenario, per primo esplicito sinonimo di “conurbazione” per essa venne appunto coniato, alla fine degli anni Quaranta, il termine “conurbation” se la Siesia e la stessa Liegi presentano situazioni critiche, sia in senso macrourbanistico che macroeconomico, diverso discorso andrà fatto per la Ruhr. Il Ruhrghebit è certo il più evidente di questi sistemi, esso è quello che, correndo ai piedi dei “piegamento ercinico”, passa trasversalmente all’asse dei Reno. Questa fascia, caratterizzata dalle massime densità insediative, non concentrate in un unico polo urbano ma diffuse lungo vere e proprie galassie insediative, ognuna di queste integrata in modo diverso con le fasce dove si concentrano i principali depositi carbonifero-siderurgici. Ma altresì essa è una realtà non solo multizonale, ma anche multipolare, caratterizzata da contestualità dove alcuni particolarismi storici dei centri, sedimentati dalla tradizione delle funzioni urbane collocate lungo lo Heilweg, hanno permesso, al di là delle continuità fisiche, il mantenimento della individualità dei propri centri. Una individualità, inoltre, rafforzata dalla efficace soluzione, in “logica di rete”, dei suo sistema viario, capace di integrare le intermodalità acqua-ferro, così come le storiche funzioni secanti delle strade espresse con quelle tangenti delle autostrade

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foranee, queste direttamente scambianti con i luoghi funzionalmente più specializzati (le nuove fasce di allocazione delle aree di scavo minerario a nord, l’università di Bochum a sud, il porto di Duisburg a ovest, etc). Tale sistema policentrico, per densità insediative e per masse di conurbazione interessatevi, è il più apparìscente ma anche il più recente e forse, in prospettiva, non il più significativo. In esso troviamo configurato il modello di riferimento primario delle strategie macrourbanistiche promosse dai “second comers” della rivoluzione industriale, incentrato sulla endiade propria della industria pesante e di base: acciaio-carbon-fossile

LA RITROVATA ATTRATTIVITÀ DELLE COSTE

Ogni descrizione geografìca alla scala ecumenica ci mostra una densità insediativa fortemente rivolta ai margini continentali, attratta dalle linee di costa dal contatto tra due diversi ecosistemi e elementi. Tutto ciò per un lungo periodo sembra non essere vero per alcune porzioni dei mari interni europei. Si pensi alle zone litoranee baltiche, interamente comprese nella zona coperta dall’ultima glaciazione quaternaria, e soprattutto in un’area di costante stazionamento del fronte dell’ inlandís, esse hanno ereditato un complesso di colline e di dune sabbiose, con terreni degradati posti su depressioni torbose o sommersi da acque stagnanti a cui si venivan aggiungendo gli inconvenienti di un clima sostanzialmente continentale molto poco modificato dalle influenze marittime. Per lunghi secoli di storia sono state regioni marginali, destinate al monopolio fondiario di una classe dominante nobiliare o ecclesiastica, il che si traduceva in latifondi scarsamente sfruttati. L’antico commercio dell’ambra non era riuscito a fare uscire queste zone dal loro isolamento e dalla loro povertà rispetto alle grandi pianure dell’Europa centrale. E’ cambiato tutto allorchè il Baltico diventò un asse commerciale di grande importanza grazie al dinamismo dei commercianti e delle città dell’Hansa che hanno saputo sfruttare il felice equilibrio di certi estauri come quelli dei Weser, dell’Elba e dell’Oder, nonché la forma di baie dei tipo dei fiordi e dei boden della costa baltica questi ultimi luoghi presentano ripari d’acque profonde. Cosicchè i vari retaggi della crisi glaciale sono all’origine della stessa frotuna delle città hanseatiche. Ed ancora per un altrettanto lungo periodo, paradossalmente dopo momenti di splendore in epoca classica, la stessa attrattività delle coste sembra trasformarsi in vera repulsività per certi settori dello spazio mediterraneo, le maremme, i tomboli paludosi, di cui una vivace descrizione letteraria e geografica operante fino alle soglie dei nostri anni Sessanta ci ha spiegato ampiamente i motivi. Ma oggi il ritorno a una estesa attrattività delle coste dopo secoli di repulsività, dovute ai corsi e ricorsi del]’ impaludamento e della malaria, tende a ridare vigore a quel primo e originario spazio europeo che era collocato nell’intorno perimediterraneo, ha voluto dire superare quella caratteristica propria di questi centri di volger le spalle al proprio retroterra e di rivolgersi in modo quasi esclusivo alla liquida pianura che avevan di fronte, spazio delle attività centrifughe e marinare.

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Spazio rivoluzionato soprattutto nella porzione centro occidentale dalla nuova logica delle litoranee costiere, nuovi assi di infrastrutturazione che con la loro sequenza di viadotti hanno trasformato l’orizzonte proprio delle enclave delle cíttà-porto, lo spazio delle polis, lo spazio delle repubbliche marinare in nuovi sistemi lineari vivaci, sia pur isostatici e ad albero dunque privi di servomeccanismi rilevanti come quelli propri di un rapporto di grafi a maglie multiple degli spazi interni e dunque fomentatori di gravi squilibri e di gracili processi di crescita, sistemi che purchè carichi di alti costi di congestione e sociali, sono pronti a un take-off di grande portata, come ancor più della storia consolidata della costa tirrenica mostra la costa adriatica con la sua elementarietà geografica, improvvisamente segnata dall’urbanesimo per il tratto intermedio molisano abruzzese e ritmata dal fluire da una dorsale appenninica di brevi fiumare perpendicolari e dal ritmo serrato che configurano un nuovo scenario di discesa alla piana. Spazio delle potenzialità gemellari, si pensi alla meseta spagnola e al suo duplicarsi in quella magrebina, spazio a tutt’oggi delle similarità mercantili delle colture anziché delle complementarietà e delle integrazioni che una trasformazione di industria alimentare consentirebbe, spazio che appare in una certa misura ancora inconsapevole di come scenari di trasformazione macrourbanistica possano trovare una loro coerenza e divenire supporto di solidi processi di sviluppo macroeconomico.

EUROPA: NON SOLO UN NOME PROPRIO, LA SCOPERTA DELLA GIUSTA MISURA

EUROPEA

Ma ripartiamo dall’inizio. “Europa”, un tal nome, ci dicono, sia risuonato, dopo un lungo silenzio, sui campi di battaglia di quell’estremo baluardo pireneaico dove si espressero con le loro gesta i paladini di Francia, non a caso divenuti i soggetti primi di quella manifestazione letteraria, popolare, permanente nel tempo delle “romanze”. Tale nome dunque emerge, o meglio riemerge nel quadro della cultura cristiana, in una contrapposizione di cívilisation, è infatti avendo di fronte a sè il “nemico”, l’alterità per eccellenza, in questo caso. l’invasore arabo-islamico, che la cristianità riscopre una sua identità di civiltà ancor prima che di entità statale; cosicchè quel nome, nel tentativo di configurare una identità, trasla dalla storica individuazione dello spazio geografico perimediterraneo al connotare una appendice della zolla eurasiatica. E’ da queste matrici che si verrà definendo uno spazio portatore di un processo di civilizzazione e di una identità culturale, in ultima analisi di uno spazio dotato di una propria personalità. Ma ancora entro quelle stesse radici che ci riportano alla civiltà classica, possiamo ritrovare la dimensione simbolico-spirituale dello spazio ecumenico che nasce intorno al nucleo europeo. Sincretisticamente l’ímperium romano aveva sempre recuperato cercando di acculturarlo al proprio orizzonte di civilisatíon il mondo barbaro, così lo stoicismo

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non consentirà più di rilevare una separatezza assoluta tra sè e Il barbaro da cui ci separa la lingua e con cui non possiamo comunicare, ma lo riporterà ad una comune matrice che diverrà umana e umanistica. In tale orizzonte lo stoicismo prima, il cristianesimo poi, avrebbero consolidato il punto di vista della entità persona, trasferendola dalla dimensione politica dei romani a quella individuale della spiritualità, da ciò nascerà una nuova visione del mondo di cui si sostanzierà il ruolo attivo dell’agire dell’uomo europeo. Vi è una data di riconoscimento ulteriore e in qualche misura decisiva per le sorti dello spazio europeo, essa è quel 1492 in cui i continenti crescono di numero ed un nuovo mondo si giustappone all’antico. Spazio della identità e spazio dell’ecumene. Mari che fanno per lungo tempo da barriera allo spazio senza misura dell’Oceano o dei deserti, mari che poi faranno da avampaese alla nuova dimensione e alla nuova misura che a questi stessi spazi sarà data lungo gli oceani. E Spazi della misura gli oceani, per lo meno l’Atlantico, lo divengono subito fin da quel primo viaggio di Cristoforo Colombo che seguirà nel suo itinerario quei venti che diverranno i “ venti del commercío” lungo gli Alisei per poi ritornare lungo un itinerario posto più a nord, sfruttando correnti, cosicchè questo stesso oceano diviene subito spazio conoscibile e controllabile nelle sue caratteristiche, ma soprattutto esso è uno spazio delle complementarietà perchè non mette tra loro sulla stessa latitudine spazi uguali, nè simili, ma realtà climaticamente e zonalmente ben differenziate, eppure complementarietà e processi evolutivi tra loro confrontabili. Mediterraneo ed Atlantico divengono un ponte significativamente utile a portare processi di acclimatazione. Questa extraversione dell’Europa occidentale modificherà le stesse strutture dell’immaginario e il mondo dell’esotico non sarà più la manifestazione di una totale alterità. L’ Europa, che a suo tempo aveva iniziato a studiare sé stessa nel momento in cui ci si era dovuti confrontare con altri spazi continentali, inizia ad essere letta come sovraccaricata dal peso dei suoi processi di cívílísatíon, così il cristianesimo e l’umanesimo posti di fronte ai nuovi mondi daranno vita alla ricerca di una umanità delle origini come esseri incontaminati dall’involuzione di un processo di civilizzazione. Ne emerge un interesse per usi, costumi, consuetudìni e caratteri. Non un inventario dei “generi di vita” ma una articolazione territoriale di culture-civiltà, si parla di spazi di civilizzazione non solo di stadi, di geografia dei milieux non ancora vedendo tutto ciò secondo un principio assolutistico per cui le varie civilizzazioni erano un pò come il prodotto di un determiniamo climatico. Umanisticamente resta la voglia dello studiare e ricercare le costumanze come espressione dell’equilibrio di un organismo. Più tardi dimenticandoci che le civilità urbane sono originariamente il prodotto delle zone aride e semiaride proprio per la sfida estrema che è insita in questo spazio, si cercherà poi di coniugare la storia con i problemi della geografia partendo da una posizione eurocentrica, si considereranno negativamente i caratteri dell’ uomo messo di fronte a condizioni troppo estreme, ne emergerà sempre più il giusto mezzo dei climi temperati. Ci si pose allora il problema di analizzare quale dialettica intercorra tra lo spazio europeo e la storia e si scopre che questa appendice terminale della grande zolla

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eurasiatica è uno spazio che presenta un numero rilevante di articolazioni protese su mari interni, su realtà non sconfinate e questa visione della mediocrità si trasforma nel concetto della misura e diviene grazie alla sua commisurabilità una dimensione umanisticamente equilibrata.

L’EUROPA E LA FILOSOFIA DELLA STORIA

Ecco che grazie ad alcuni autori tra Sette e Ottocento l’Europa diverrà espressione di antitesi agli spazi delle omogeneità zonali senza fine degli altipiani, dei tavolati; non valli e bacini smisurati propri della continentalità orientale. Su tale base geografica si cercherà di definire una filosofia della storia grazie a cui si scopre allora che l’Europa è lo spazio delle complementarietà. I’ Europa è complementarietà di versanti e tra sistemi di valli, l’Europa è per altro misura di un lavoro ripetutosi ad ondate successive: il giacialismo. L’Europa è spazio dei ritmi e delle mobilità quotidiane, si pensi a come sia contenuto il bacino idrografico dei Reno che è solo due volte il bacino dei Po. In questa giusta misura trova la sua coerenza di realtà organica non rivolta ad una introversione ma ad una apertura, ad un sistema di relazioni, ad una complementarietà.

CIVILIZZAZIONE EUROPEA E SPAZIO CONTINENTALE

Facciamo ora un unico balzo temporale in avanti, verso quell’ epoca, quella che possiamo dire esser stata posta sotto l’egida della regina Vittoria e che in buona sostanza ci appare come il punto apicale di una capacità di espansione della civilizzazione europea. Tra il tempo di Carlo Magno e quello della regina Vittoria una parabola si è sviluppata. A tale data l’Europa, forza egemone entro il grande sistema dell’economia mondo, poteva contemplare dall’alto dei suoi successi un ecumene plasmato a propria immagine e somiglianza o comunque posto sotto l’egida delle sue potenti nazioni ed imperi. Vennero poi, come sappiamo, due guerre mondiali e una tale visione ottimistica dovette lasciare il campo ad altri scenari.

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IDEE Di METROPOLI: TRE DIVERSE MATRICI DEL PALINSESTO EUROPEO

UN EVOLVENTESI PARADIGMA

Lo spazio europeo si struttura parametrandosi su un fenomeno che per molti aspetti ci è rivelato dalla evoluzione di un termine: metropoli. Il termine metropoli, il suo storico mutare appare allora un concetto chiave per comprendere come nella storia siano mutati i riferimenti dei vari sistemi di articolazione territoriale degli insediamenti e quindi per comprendere come nessuna entità insediativa, ed urbana in particolare, sia riportabile ad una esistenza meccanica e positivisticamente assegnabile alla evidenza di un univoco dato funzionale, a ad una univoca “vocazione” territoriale. Gli insediamenti e con essi anche ed in primis le città sono manifestazioni storiche di un popoiamento che con i fatti primari di un territorio ha interagito riuscendo in molti casi attraverso un processo dialettico ad emanciparsi da essi; ciò è quanto si manifesta in particolare nello spazio mediterraneo dove le città vengon prima delle campagne, dove la loro cultura centrifuga risponde così alle ristrettezze di un ambiente che incombe con le sue ristrettezze e la sua richiesta di parsimonia. Ora il termine “metropoli’ appare nella densità evolutiva dei suo spettro semantico un concetto chiave per comprendere come nella storia europea siano mutati i riferimenti dei vari sistemi di articolazione territoriale degli insediamenti e quindi per comprendere come nessuna entità insediativa, ed urbana in particolare, sia riportabile ad una esistenza meccanica e positivamente assegnabile alla evidenza di un univoco dato funzionale. Per comprendere la ricchezza propria dell’ assetto metropolitano basta allora rifarci ai diversi significati assunti dal termine nella storia; termine la cui pregnanza originaria non ha nulla a che vedere con un significato meccanicamente relazionabile né ad un esteso dominio né ad una grande dimensione urbana. E il concetto, come ci testimonia l’etimo, ci riporta non solo al senso volontaristico dell’atto di fondazione di una entità urbana, ma anche al senso della necessità quasi biologica di generazione che lo permea, infatti l’atto di fondazione da parte di una “città madre di una colonia é un atto di riproduzione della propria identità urbana attraverso la perpetuazione e l’esportazione dei proprio “ghenos”. Di questa concezione politica, nel senso originario e profondo dei termine oggi ci rendiamo sempre meno conto in quanto gli orizzonti moderni, anonimi, impersonali hanno preso il sopravvento sugli orizzonti sociali dello status che collegava I’ individuo alla cittadinanza. La città come oggettivazione in un paesaggio e in un luogo consolida una “unità vivente”, una “civítas” appunto, solida congiuntura di uomini; conseguentemente essa appariva dotata di una straordinaria identità e coesione culturale. Ciò faceva si che fosse capace, grazie ad una solidarietà sociale che passava attraverso le alleanze interpersonali e i rapporti sociali tra gli strati, attraverso i rapporti patrimoniali privati delle famiglie,’ di imporre la propria corposa realtà che era anche solidarietà

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di impresa collettiva capacità di riprodurre, al di là dei confini, la propria identità urbana.

METROPOLI E COLONIA

Ma andiamo con ordine e partiamo dalla Grecia della polís. E’ la metropoli, la “città stato” di un centro normalmente costiero che trasferisce per gemmazione una quota della sua popolazione, attraverso le solidarietà dei sistemi di congregazioni urbane, delle sue divinità, dei suo sapere dedalico, in una realtà territorialmente idonea a fondare, specularmente alla prima un’altra città porto, un’altra città stato, su un altro fronte costiero aperto alle liquide pianure dei mediterraneo, capace di essere identità culturale forte di una idea e di un canale di relazioni con la propria tradizione passata, ma anche in grado di essere elemento duplice di sviluppo autocentrato ed autarchico e legame con una direttrice continentale come ci testimoniano le imagini letterarie e archeologiche delle : vie istmiche e dei peripli. Essa ha nello scambio e non nel dominio territoriale il suo prímum mobíle Questa capacità di figliare da parte della città madre nuovi esseri a lei simili, questa incessante gemmazione della polis modifica e integra il nostro umanistico punto di vista. Attraverso gli strumenti della filologia, dell’archeologia, della storia antica e ancor prima dell’antiquaria, un plurisecolare lavoro di scavo svolto principalmente sui testi e in misura dapprima minore e via, via sempre crescente sul campo, farà sì che la cultura occidentale si costruisca un proprio modello di classicità che ruota intorno alla scoperta della Grecia antica, molto spesso vista in giustapposizione a quella romana. E tale idea diverrà riferimento imprescindibile della nostra formazione civile: E’ in questo contesto che si sviluppa una idea di polís quale ambito totalizzante il “miracolo greco”. Infatti, lungo tutti i secoli che hanno plasmato la tradizione europeo occidentale, la polis nel suo sviluppo pericleo, si configura come la città delle istituzioni compiute e come tale si delinea in quanto momento esemplare dello sbocciare della democrazia. Così è che non possiamo non essere colpiti dalla dimensione che nella Grecia dei V sec. a.C. e in particolare ad Atene, vi acquista la ricerca di una definizione ideale della città. essa, in questo periodo non rappresenta più solo un aggregarsi di oríginarí intorno ad una ben strutturata ‘metafisíca del sangue’ ( ), ad alleanze interpersonali, inter e infratribali, essa rappresenta il definirsi di nuovi istituti, il costituirsi di nuovi luoghi deputati che regolano il corso della vita civile. Certo nella idea della polis si aggiutina l’orgoglio greco per il livello d’espressione raggiunto dalla propria civiltà, certo la polis in tale periodo, in quanto elemento di identità degli elleni, diviene coagulo ideologico in grado di configurare una base di riferimento comune da cotrapporre alla barbara potenza insita nell’incombente pericolo persiano, certo nei riscontri di questo dibattito noi possiano leggere il delinearsi dell’orgoglio ateniese, staremmo per dire dei definirsi di una opinione pubblica cittadina antelitteram,

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E’ questa la Grecía della díalettica, è la Grecia socratica dove lo stadio dell’agone si fa spazio dei confronto civile, spazio che ogni individuo ( appartenente alla sfera degli uomini liberi ) può praticare questo il quadro dove per la prima volta nella storia si afferma la dignità civile di una persona, vista come individuo e non come clan o come famiglia. Eppure, come avremo modo di vedere, tale realtà non era contempiabile apollineamente, come una certa idealizzata rappresentazione scolastica ci ha prospettato E come dei resto potrebbe essere altrimenti se quasi fino all’età periclea la città ha goduto di una “cattiva letteratura”? Per Nestore, che per Omero é colui che incarna gli aspetti e i valori più conservatori della società greca, la polis é l’espressione della rottura con le costumanze e le consuetudini, quel mondo della themis che organizzava le regole degli affetti e dei comportanenti secondo la tradizione. Essa rappresenta dunque la rottura con il focolare, con quell’estía che incarna il senso indoeuropeo della centralità fisica dellà ‘sala’, della hall, intorno a cui si organizzano le relazioni sociali di una famiglia allargata, essa rappresenta, ed é in prima persona, l’elemento che irreversibilmente determina la rottura con la famiglia e con il lignaggio, così come questi erano espressi dal mondo omerico. Nella polis il mercato diverrà lo spazio dei dialogo, dall’acropoli luogo del’identità demica e di una asimmetria dei potere, il cuore della città democratica scende alla piana e si sposta verso l’agora che diverrà il luogo della simmetria dei rapporti politici. E’ ancora la dimensione ostentatoria dell’economia a far si che l’agorà sia il luogo dell’agone, i due termini hanno radice etimologicamente comuni e quindi ad essere la sede di un confronto di tipo aristocratico fondato su una sensibilità eroico-guerresca. Una nuova via di iniziazione quella della paideia si fa strada. La città diviene philia dei logos, è la sede dell’argomentazione, dei confronto dialettica, dei mercato e dell’educazione. L’isomeria nel parastrato della civiltà greca era dei resto nota nella organicità della situazione urbana vista come condizione di equilibrio tra elementi medico sanitari. Ma è questa una storia complessa e sofferta. La dialettica invece è un istituto sociale e diviene una teoria generale dei logos cioé é la figura argomentativa che tende ad oggettivare le forme di ogni conoscenza e a fondarle su nuovi criteri di certezza, per Socrate la dialettica é conflitto dei punti di vista é critica alla via sofistica dello svolgimento dei punto di vista ( ) ne consegue che la domanda é l’unico sapere legittimamente universale, essa é critica della retorica vista come avvento di un mondo totalitario, sopravvento della persuasione sulla argomentazione. Da questo punto di vista la nascita di nuovi luoghi sociali della polis appare un aspetto importante, luoghi che mutano profondamente le strutture sociali della produzione, dello scambio, della circolazione della conoscenza Così la lettura di Senofonte (ME-., IV,5,12) fa del dettato socratico dove il dialettica appare appunto come un eroe positivo che svolge un ruolo sociale e afferma i valori nuovi della democrazia. Ora schematizzando le trasformazioni storiche della società greca verso il VI sec a C risulta chiara l’importanza dei passaggio da una società demotico tribale “face to face” basata su una comunicazione orale e solo parzialmente aurale ( ), fondata su una fissazione della conoscenza di tipo formulario e mnemotecnico da un lato,

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sapienziale dall’altro, ad una società politica fondata su una comunicazione aurale e scritturale, non più soggettivizzata sulla sapienza ma fissata in un istituto giuridico amministrativo e normativo. Una simile società richiedeva nuove forme di certezza dei giudizio, il passaggio da una struttura giuridico consuetudinaria alla fissazione di un diritto assoluto ma anche il passaggio da un diritto divino naturale e assoluto ad uno di tipo più contrattuale e positivo che configurava I’ equilibrio.

PLATONE L’ENTROPIA DELLA SOCIETÀ E LA “NECESSITÀ” DI FONDARE COLONIE

Le Colonie avevano significato commerciale ( Leveque ) o puramente agricolo ( Finley ) ? Normalmente il nostro pensiero positivo attribuisce la dinamica dei rapporto metropoli-colonia a uno squilibrio intercorrente nel rapporto popolazioni-risorse elo alla necessità di espansione di una società mercantile. Ma più profonde e reali ragioni urbanistiche ne spiegano la dinamica e si impongono attraverso i riscontri dei sinecismo, dei processi di fondazione delle colonie, delle federazioni di città intorno a grandi santuari, della crematistica delle città-porto. Se Aristotele ha riportato la città alla ‘crematistica’ e ai concetti della ‘giustizia redistributiva’, l’idea della città di Platone sarà molto meno riferita a questioni di bilancio contabile, essa si colloca, carica di tensione, tra le due forze che la guidano, quella positiva che in essa vede affermarsi un ganglio capace di dare luogo ad iniziative positive, quali la divisione tecnica dei lavoro che ne definisce appieno il senso civile, materiale e spirituale e quella negativa che vede nella intrinseca forza ergodica che spinge all’accrescersi dei numero dei cittadini e che provoca delle perturbazioni a livello dei corpo sociale allentandone i legami interpersonali, i legami propri di una civiltà dei ‘face to face’. Tali tensioni dialettiche danno la necessità di procedere ad una politica insediativa nuova fondata sul rapporto metropoli - colonia. Su ciò insiste Platone, egli, non ponendosi in rapporto con l’interpretazione moderna e dei bilancio risorse-popolazione, che definisce carichi territoriali ( e quindi misure relative ) ma bensì riferendosi al quadro cogente di quei rapporti interpersonali, si basava sulla necessità di trovare una risposta alla entropia interna al nucleo sociale, alla dimensione assoluta dei “size” urbano, ossia alla soglia oltre la quale quei rapporti interpersonali non trovavano più il loro equilibrio dinamico, i rapporti di parentela venendo sopraffatti dal peso delle alleanze politiche, quelli aristocratico-patriarcali dalle clientele, quelli oligarchici dalla tirannia. Di fronte a questi pericoli la risposta poteva essere solo quella dei dare nuova veste istituzionale a pratiche di emigrazione collettiva, attraverso la politica di filiazione delle colonie. Ne emerge così una concezione dei popolamento, che si basa non su incrementi elastici di densità ma su discreti di popoiamento, essa nella concezione della “città stato” greca metropolitana assurge alla forma più compiuta. Ma tutto ciò adombra una tradizione indoeuropea, oltrechè una mediterranea ( si pensi ai fenici ), si può al proposito paragonare questa forma di popoiamento con quella attivata dal “ver sacrum” e che genera periodici voikwanderung, tipica delle società indoeuropee, o più in generale con quella delle società segmentarie con quella della

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“gemmazione” dei nucleo insediativo per duplicazione, raggiunta una data soglia, propria delle società primitive e delle società segmentarie). La gemmazione dell’insediamento attraverso un processo di duplicazione di strutture che già erano insite nella organizzazione segmentaria delle società era una esperienza molto diffusa nelle società primitive. Sul fatto che questa solidarietà fosse caratterizzata fisiologicamente, insiste Platone, non ponendosi in rapporto con l’interpretazione moderna e dei bilancio risorse-popolazione, che ci definisce carichi territoriali e quindi misure relative ma si basava sulla necessità di trovare alla entropia interna al nucleo sociale, alla dimensione assoluta dei “size” urbano, soglia oltre la quale quei rapporti interpersonali non trovavano più il loro equilibrio dinamico i rapporti di parentela venendo sopraffatti dal peso delle alleanze politiche, quelli aristocratico-patriarcali dalle clientele, quelli oligarchici dalla tirannia). Di fronte a questi pericoli, emerge una concezione dei popoiamento, che si basa non su incrementi elastici di densità ma su discreti di popoiamento che nella concezione della “città stato” greca metropolitana assurge alla forma più compiuta. (si può al proposito paragonare questa forma di popolamento con quella attivata dal “ver sacrum” e che genera periodici voikwanderung, tipica delle società indoeuropee, o con quella della “gemmazione” dei nucleo insediativo per duplicazione, raggiunta una data soglia, propria delle società primitive). Attraverso la politica di filiazione da un ghenos metropoli, all’interno di una grande “area-regione” continentale quale -. il Mediterraneo (ivi comprese le sue integrazioni pontiche) si estendono allora, entro i limiti di un mondo ben conosciuto, le colonie greche. Conosciuto e riconosciuto per le comuni impronte di paesaggio naturale ed antropico, le ragioni e le logiche di scambio lo spazio perimediterraneo è la sede di questo fenomeno di gemmazione. in esso se ne consolidano i reticoli; in tal modo la metropoli afferma la cultura estroversa dei proprio ghenos. Così ai bordi dei Mediterraneo una serie di centri, non solo strettamente legati da invisibili, ma certe e sicure, aste di traffico che un cabotaggio a vista organizza, si apre verso l’esterno, verso relazioni coi continente con i suoi scali insulari anche giornalieri, ma una nuova cultura si apre nelle colonie, attraverso vie istmiche (come è il caso degli insediamenti calabri della Magna Grecia ) o con ubicazioni agli sbocchi di grandi direttrici fluviali (come é il caso di Marsiglia e delle città pontiche), città poste in contatto con le “barbare” popolazioni dei profondo interno. Così sull’ordito di queste reti si integrano relazioni infraetniche sovraiocali (tra metropoli e colonie) a relazioni interetniche locali, si delinea così un processo continuo di reciproci scambi culturali, questo lo sforzo di accuiturazione che ha complessivamente sostentato la società greca. Ma la colonia non poteva però essere nel suo sviluppo un elemento di popolazione chiusa, essa doveva allargarsi alla formazione di solidarietà interetniche, in tia modo essa aprirà a una koynè, alla nuova cultura delle città elienistiche. In tal senso lo sviluppo provinciale dell’elienismo con i suoi sincretismi ci spiega bene il formarsi di una diversa cultura.

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POLIS E CIVITAS

Ma a fianco di questa strategia di esplosione propria della cultura della polis non possiamo dimenticare come nello stesso mondo greco abbia operato, relativa anomalia, anche quella di implosione, Atene, in cui la città è madre non tanto di un ghenos quanto di un territorio e questo fenomeo separa l’urbs dalla cívítas, configura la concezione statal-territoriale, l’imperíum, di un comando che pongono il suddito sotto rapporti regolati da convenzioni normativa asimmetriche e lo pongono sotto una giurisdizione. Mai forse questione ha appassionato di più gli storici dell’antichità quanto quella che prende le mosse dalla dissimiglianza, pur nella stretta loro parentela, dei i valori fondativi delle civiltà che contraddistinguendo mondo greco da un lato e mondo latino dall’altro. Essa esprime la diversa caratterizzazione che queste due civiltà danno che sta alla base della vita urbana e che ci è configurato dalla stessa radice linguistica della definizione urbana. “Ubícumque vícit Romanus, habitat” dice Seneca, e dal Il secolo a. C. in poi abbiamo molti documenti che attestano la verità di tale affermazione. Nel 404 a. C. le lunghe mura del Pireo furono abbattute al suono dei flauti fra il giubilo universale; quando invece Alarico saccheggiò Roma nel 410, a S. Geroiamo ormai vecchio, anche nel lontano eremo di Betiemme, parve vicina la fine della civiltà. Tra Atene, la città tiranna e Roma, “communis nostra patría”, la differenza è grande; Tutto ciò ci fa toccare con mano la profonda differenza esistente tra i due mondi: quello greco e quello romano. Se per i Greci la Polis é prima di tutto un luogo fisico, ossia un manufatto carico dei senso simbolico e funzionale che dà valore ad una identità culturale, per i Romani la “civitas” é prima di tutto una entità astratta, uno spazio giuridico, dove si proietta l’azione dei “cives”, colui che é concittadino, che é legato ad essa da un “fedus”. Con questa entità egli prima di tutto è chiamato a definire un rapporto di carattere giuridico-contrattuale. Originariamente la civitas esisteva solo in quanto “populus”. Mentre la polis é fondamentalmente l’espressione di un gruppo chiuso di originari , un gruppo che tende a risolvere l’entropia interna attraverso un processo di partenogenesi; la civitas é alla base di una strategia di allargamento dei confini che con successive forme di accordi contrattuali giungerà all’imperium. Se per i greci all’origine della città era la binuclearità dei mega e dell’asty, per i romani è la mononuclearità ben rappresentata dalla figura cicrcoscritta dal solco di fondazione. In tale quadro cives è termine primario e civitas secondario, ci troviamo cosi di fronte a una situazione ribaltata rispetto a quella greca di polis-polites, urbs-astu

UNA CONCEZIONE NORMATIVA E IL SINECISMO ROMANO

La religione romana interpreta segni e presagi e colloca così l’evento poleografico, come fondazione di un diritto, in una congiuntura favorevole.

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Attraverso le norme dei rito tutto viene reso nella evidenza positiva e funzionale. Una pratica agricola precaria e critica viene positivamente risolta ? Ecco che simmetricamente essa viene simbolicamente fissata nella sfera dei divino. Il sincretismo non è che un altro aspetto di questa coerenza. Un luogo fisico fissa i riscontri positivi di una unità vivente, e ne individua le basi di una identità culturale ? Ecco che esso viene fissato in un cerchio magico, la domus, l’urbs, attraverso il pomerium. L’istituto dei pontefice ad esempio si ricollega al problema amministrativo dei controllo dei transiti, dei valichi, dei pedaggi, delle servitù prediali, etc. un complesso intreccio di attività agricole e silvopastorali Acque e paludi in questo scenario hanno grande importanza, terme e lucus. Le assemblee federali del Monte Cavo civitas esiste solo in quanto populus e in quanto territorio e non come urbs acqua e fuoco - pontefice massimo, rex: fuoco pubblico, lares permeabilità tra pubblico e privato Una società arcaica che tiene moltissimo al rigore delle proprie tradizioni e dei proprio sistema a confronto di una struttura policentrica raffinata e cosmopolita come quella etrusca? Nell’urbs alla dimensione pubblica della civiltà dei face to face, ossia dei rapporto interpersonale e diretto, si sostituiscono gli edifici, si formalizza e funzionalizza una speciale articolazione della vita associata che coinvolge la comunità. La città greca era una espressione che doveva tendere ad una configurazione e a una sua interna coerenza di compatto organismo politico, essa in quanto punto di incontro tra anthropos e Kosmos è una entità in sè compiuta, in essa si disquisisce della crematistica, cioé di ciò che configura qualità ontologiche dei prodotti, si disquisisce sulla divisione dei lavoro, si instaura un confronto dialettico, la città romana è tutt’altro. L’estensione dall’Urbs alla periferia dei dominio territoriale dei rapporti contrattuali si basa sugli appalti, ciò che è possibile proprio grazie ad una contrattualità e a uno Jus sviluppato La civilizzazione romana si basa su rapporti contrattuali che legano, prima di tutto in quanto persone giuridiche, essi proiettano nella positività della articolazione funzionale delle attività o di loro singole fasi i nessi stessi della civiltà. Le divinità romane sono l’espressione diretta di tale situazione, ciò comporta un forte grado di astrazione non in senso metafisico quanto tecnico-isituzionale e spiega come il concetto di cives-civitas, così come la serie discendente che riporta a pagus e a vicus, la loro demica definizione territoriale sia, prima di tutto, riferimento giuridico amministrativo. Dal sinecismo che traspare nel mitico quadro della Roma delle origini alla prima estensione dei municipio dei periodo della espansione territoriale repubblicana, con la caduta della nemica mortale, Cartagine, alla successiva concezione dell’impero e dei limes, vi é sempre come imprescindibile punto di riferimento un rapporto contrattuale che inviluppa una serie crescente di uomini; non guarda all’etnia, alla razza né alla cultura ma solo allo status giuridico su cui si può istituire un contratto e all’importante complemento dei censo. La priorità della persona giuridica romana non stà nella definizione di una amministrazione statale, essa stà in una radice molto più profonda e più intima della società, nella familia che si estende oltre i legami consanguinei, che s’afferma nel culto degli antenati e nell’orizzonte della religione domestica.

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E’ questa realtà sostantiva della società umana a coltivare quelle virtù rustiche che sono state il legante su cui si é cementata la koyné della romanità.

LA CONCEZIONE TERRITORIALE

Buona parte del successo di Roma va attribuito alle circostanze della sua storia piú antica. Nell’equilibrio dinamico dell’italia, a differenza della Grecia, il momento dominante fu centripeto, e questo fatto, unicamente al buon senso indigeno, diede forma alle opinioni politiche di Roma. Vivendo in un mondo che presentava ùna forte tendenza all’unificazione i Romani cercarono vie ed ebbero idee assai diverse da quelle che erano prevalse altrove. Essi apprezzavano la líbertas,” come i Greci avevano apprezzato l’eleuthería; ma questi due concetti erano cosí diversi fra loro, che Roma, entrata nel mondo greco con il pretesto di conservare onestamente la prima,’ fu altrettanto onestamente criticata dai Greci per aver distrutto la seconda. La libertas non era, come l’eleutheria in certi contesti, una libertà senza vincoli, ma piuttosto, come il ptíncípatus, che ne era una delle realizzazioni costituzionali, libertà da un governo dispotico. In particolare essa non implicava un ampio diritto di controllo delle relazioni internazionali di una comunità, con il diritto di dichiarare pace o guerra a piacere; tutto quello che può essere stato sacrificato alla creazione della pace augusta, non era ciò che i romani chiamavano libertas. La libertas infatti, nell’accezione piú ampia dei termine, fu il fondamento Ora dopo un eclisse dei concetto in epoca romana, proprio perché, contrariamente alle apparenze, esso é fondamentalmente estraneo al senso di un “imperium” territorialmente vasto (che dei resto, come ci insegna Benveniste era, prima di diventare coi Romani riferimento della concezione statale, concetto ai margini dell’ areale indeuropeo occidentale, essendo proprio della funzione regale dei mondo persiano Una prima traccia profonda è quella dei limes che separavano i paesaggi di case e campi stabili, i paesaggi della centuriazione e dei foro dal resto, ossia dai paesaggi dell’agricoltura itinerante e dei braunwirtschaft, dai paesaggi mobili dei debbio e da quelli sacri, quasi immutabili e selvaggi, della silva. Ciò rinforza la consapevolezza dell’appartenere allo spazio dell’urbanesimo che vi viene visto come un “continuum” territoriale ( “territorium est ... cuiusquae civitatis” ), spazio celluiarmente definito dalla presenza di una città, spazio dotato dei principali usi di città, posti a distanza di poche miglia percorribili pendolarmente nell’arco della giornata, spazio inoltre segnato da luoghi di identità urbana in cui si riconosce tutta una organizzazione demico-territoriale, La centuriazione si da in senso profondo quale “ ubi consistam “ di “case e campi stabili” In tale quadro la centuriazione non rappresenta solo l’affermarsi di una idea insediativa basata su una logica precorritrice della “aisance du lotissement” (che non é solo ottocentesca e contemporanea ma anche dei periodo medioevale), essa non é solo legata ad uno strato sociale omogeneo, i coloni, che sono stati formati nelle

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legioni e che continuano, attraverso il gioco della bipolarità di guerriero-agricoltore a svolgere un ruolo istituzionale-normativo di guardia dei confini imperiale, che unisce funzioni che nello spirito della tripartizione indeouropea erano tra loro separate solo per una lettura ideologica. Essa é prima di tutto lo sforzo piurisecolare di trasfromazione dei paesaggio (la trasformazione storicamente più rilevante dai tempi neolitici fino alle trasformazioni dell’economia di piano di un paesaggio agrario) fondata su una produzione stabile e sicura (cerealicola) che é protetta dall’impero e che alla domanda di questo per un periodo lungo deve conferire i prodotti. In tal senso essa dovrà entrare in relazione coi mercato.

LA CRISTIANIZZAZIONE ESTRAE ED ASTRAE IL RINNOVARSI DELL’IDEA DI METROPOLI

Il termine metropoli nella dimensione della città-stato classico mediterranea ha avuto anche un significato più direttamente legato al proprio territorio: quello di ‘madre dei proprio territorio’, si pensi allora all’operazione sinecistica che ha dato luogo ad Atene, città che non fonda appunto colonie, ma che afferma un proprio dominio sul retroterra attico, e che spiega altresì le oscure origini di Roma, altra città che si era votata al sinecismo. Ma questo concetto era stato comunque marginale rispetto a quello dominante in tale epoca legato ad un processo di extraversione economica e di gemmazione. Secondo questa concezione territoriale l’accezione dei termine metropoli rientrerà in modo nuovo nel mondo mediterraneo con il cristianesimo e sempre, possiamo dire, percorrendo lo storico cammino che va da oriente ad occidente, da Bisanzio a Roma. La Chiesa, che nel periodo medioevale appare sempre più come la vera sede istituzionale della civitas’, tende a definire il proprio ruolo giuridico, di “padre’ e di “madre” che stà a capo di una vasta famiglia, dei corpo sociale i cui membri appaiono figli legittimi proprio in quanto abitanti di un territorio che ha nella Chiesa il proprio centro istituzionale. Continuità istituzionale dunque: nelle attribuzioni funzionali che si legano alla figura dei vescovo, dell’arcivescovo dei patriarca, che come depositari della incarnazione dei Verbo e dunque depositari della legge scritta e in quanto amministratori della Cattedra, sono gli “auctores” che presiedono a tutto il sistema giuridico amministrativo e canonico che dalla Chiesa si estende alla società civile. In un tal quadro si legge la concretezza costruttiva di linee di filiazione che si estendono dalla diocesi alle pievi e fissano in questi luoghi i centri di una organizzazione demica che si rinnova nelle connessioni di contesto territoriale. Il termine metropoli passa da una dimensione etnico culturale puntuale ad una regional-funzionale, ad un governo e ad una organizzazione territoriale, dimensione di riferimento urbano e ad una gerarchia urbana per ogni microstruttura insediativa appartenente a quella “regio”. Dalla cattedra dei patriarca, all’arcivescovado, al vescovado, alle pievi, ai vici Ma se questo pare esser l’elemento di maggiore continuità con l’urbanesimo classico, si dovranno con ancora maggior attenzione rivconoscere i molti elementi di discontinuità esistenti.

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UN CAMBIO DI SCENARIO INSEDIATIVO: L’ABBANDONO DELLE PIANE

Dal punto di vista della mutazione dei tessuto microurbanistico: nuovi luoghi urbani e quello che è il centro della città il foro e la basilica non solo trova una trasformazione di destinazione d’uso, ma trova di fronte a sè il sorgere di altre polarità extramurali: quali i martiria che a fianco dei nuovi cimiteri divengono le sedi di una nuova nascita della città. quella che trasferisce dalla mitologia all’agiografia le sue più profonde manifestazioni di identità. Topologie che si sviluppano come i tolos monumenti che danno vita ad una universalità della città dei morti, simmetrie raggiate che emanano dai nuovi spazi di nascita e rinascita ( i battisteri ) assi viari, luoghi di frequentazione non solo per attività di culto ma per scambi mercantili, per sagre. Ritorno al convogliamento periodico delle genti, occasioni di consumi e sacrifici e scambi rituali, momenti congiunturali alti della vita e dei calendario. Dal punto di vista macrourbanistico, andrà notato come pur nelle loro esangui e dísiecta membra, le città nel loro impianto classico resteranno in gran numero punto di riferimento imprescindibile per l’organizzazione dei territorio. Ma rispetto a ciò un evento appare significativo dal punto di vista dei virare verso nuove armature dell’ urbanesimo: l’abbandono delle piane Con la crisi dei mondo romano e dei suo urbanesimo, con il diffondersi per lo spazio europeo, per le sue piane sempre più esanguemente urbanizzate, di semíruta urbíum cadavera, non nasce un deserto quanto, piuttosto, si manifesta il ritorno ad una pristina armatura insediativa, un ursprung neolitico, una facies ritorna ad esserne un sostrato vitale, essa è fatta di insediamenti minuti, interni alle valli, disposti sulle coste e mezzecoste dei monti, di nuclei legati tra loro da vie che si modellano, senza forzare, il supporto orografico. L’abbandono dei rapporto compiuto di città e campagna costruito con la centuriazione, l’abbandono di quel paesaggio completamente sedentarizzato nelle relazioni delle sue attività primarie, il ritorno di una mobilità territoriale fatta su flussi e pulsioni cicliche, il ritorno della transumanza vuoi dire il ritorno di tutto un sistema di scambi periodici. il sopravvento della fiera rispetto allo stabile uso di città dei mercato, dei foro, della basilica. Dei luoghi sacramentali che governano i riti di passaggio estendendo la loro maglia territoriale rispetto ai monumenti delle maniere urbane ( le terme, i circhi i teatri E’ in rapporto con tutto ciò che si costruisce un nuovo paesaggio fondatore di nuovi e ben diversi usi di città Si pensi a come dopo l’urbanizzazione romana abbia ripreso vigore un retaggio neolitico e a come intorno a date funzioni della vita associata si sia venuto ricostruendo in zone extraurbane ma su reticoli spaziali policentricamente configurati una diversa organizzazione demíca (dai battisteri alle pievi rurali). E questi luoghi non guardano ad incola, a coloni ma a pastori, malghesi, defricheur e ciò porta al riaffermarsi dei diritti di una ecologia agraria sommersa.

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I ‘secoli bui’, con lo svuotamento di uno spazio pieno dell’epoca imperiale, comportano una perdita dei carattere stabile dei paesaggio, I’ agricoltura vede diminuire il peso dell’ agronomia mediterranea di fronte a nuove forme di organizzazione nordiche Le zone mediteranee dei dry-firming che l’agronomia romana aveva assunto a terre di elezione di quella civiltà e che aveva definito in quanto sicuro supporto produttivo di essa grazie ad una ordinata sequenza di lavori e ad una attenta operazione integrante in una funzionale sequenza di catene tecniche, paesaggio agrario ed urbano, comportante tra l’altro una attiva opera di selezione dei grani, perdono di importanza come riferimento di sicure catene materiali e tornano ad essere zone critiche. Ritorna l’importanza della polatità culturale dei bosco

IL RUMORE DI FONDO DELL’EUROPA DEI VILLAGGI

Recentemente gli storici ci hanno ridisegnato l’importanza dei modello degli insediamenti minuti: l’incasteliamento delle terre per cui la “masnada” é la forma di riferimento organizzativa dei popolamento, la villa, gli hameaux come elemento di base della rivoluzione neolitico-medioevale delle campagne, etc. Così è che la casa a torre è di questo paesaggio un espressivo elemento aggregativo in una funzione profondamente rinnovata La civiltà europea medioevale è dunque il prodotto dell’Europa dei villaggi? Essa è forse il prodotto dei confluire nella definizione di uno spazio pieno europeo che si organizza a partire dal VII sec. per giungere alla peste nera, di due rivoluzioni agrarie: quella neolitica ritornante e quella propriamente medievale ? Tesi suggestiva e importante. Una doppia armatura fondata su una bipolarità si configura: una Europa che, senza impeto resta aggrappata alle grandi armature insediative continentali romane ed é prima di tutto l’Europa della cattedra vescovile che si fa continuatrice dei valori civili della ciassicità e una Europa che si rifà all’antico, ritornante suo ursprung barbarico, un Europa dei vici, dei pagi, dei castella. Questa seconda Europa minuta che fa da retroterra alla prima é l’Europa che sa attraversare il succedersi dei vari modi di produzione, é L’Europa che grazie all’onda lunga dei suo diuturno, primigenio dialogo con il terrigeno rumore di fondo della vita biologica, ha fornito supporto primario allo sviluppo della civiltà occidentale. E’ a questo resistente sostrato che i diversi stati nazionali sono ricorsi nei momenti di necessità fin molto addentro l’epoca moderna e contemporanea : quando cioé bisognava colmare i vuoti delle pestilenze ( dalla grande bleak dead della metà dei Trecento alle ultime pandemie settecentesche), quando bisognava costruire eserciti (dalla Guerra dei Centanni almeno fino alla seconda guerra mondiale), quando ie città, “tombe ecologiche” per eccellenza ( fino a tutto il Settecento esse presentavano in linea di massima un bilancio demografico naturale negativo che veniva compensato solo con continue immigrazioni; queste città dovevano non solo, incessantemente, richiamare forza lavoro ma dovevano attingere ( e i valligiani erano molto più armati, fisiologicamente e culturalmente, per far fronte a un lavoro intensivo) ma dovevano attingere a quel bene che é il più prezioso di tutti, a quel

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capitale umano, a quella capacità di intrapresa che scorreva nel sangue di questi molto più che in quello dei cittadini ( e ciò contrariamente ai luoghi comuni). E’ questa Europa che ha inscritto nel paesaggio la sua epopea silenziosa, che ha fissato nell’orizzonte inscindibile di focolari e di campi il cui primo e fondamentale atto é stato quello di fissare il risiedere, dando alle attività umane ricetto sicuro, la propria civiltà materiale e simbolica il concatenarsi, sicuro, delle proprie strutture culturali. Tutto ciò si fa, oggi, a fronte dei suo spopoiamento e dei suo spaesamento, necessario riscontro al fine di ritrovar le proprie radici. Civiltà dei “puls”, base e contraltare alla civiltà urbana del pane bianco, civiltà della cultura materiale dei recipienti lignei, delle fermentazioni, base e contraltare alla civiltà classica della vite a paio secco e dell’anfora vinaria, civiltà pastorale che é riuscita su quelle stesse esperienze biotecoologiche delle fermentazioni a costruire intorno ai latticini la civiltà base di future repubbliche zootecniche che imponevano la centralità dei loro insieme di interdipendenze produttive alla intera società sovrazonale, parastrato più vitale di tutti) Ma questa Europa non sarebbe tale se non fosse stata infrastrutturata da una Europa dei conventi e delle abbazie La capacità di questo sistema antipolare di attagliarsi ed integrarsi ai capisaldi dei vecchi assi dei limes romano è notevolissima. Essa saprà governare le pieghe dei vari flessibili usi di città.

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LA MATRICE DEI POLICENTRISMI MERCANTILI

LA CITTA OLTRE I’ ENTITÀ IN SÈ

Vorrei inziare la comunicazione di oggi partendo da due elementi di “juditial blindness” che contraddistinguono il nostro modo di guardare alla città e alle sue più eminenti funzioni La prima considerazioni riguarda una tradizione, per così dire, urbanocentrica, essa ci presenta la città come una entità in sè , non tanto legata da relazioni metaboliche con il contesto insediativo e con altri centri urbani quanto riconoscibile e definibile per la sua alterità morfologica, sociale, economica. Questa alterità ha nella tradizione occidentale una storia carica di significato in cui, prima le mura e poi la stessa massa fisica della citta giocano un ruolo primario. Se dapprima recinzione e perimetro chiuso sono stati elementi di universale definizione e celebrazione di fondamentali funzioni della vita associata : dal santuario al mercato su cui si è venuto istituendo un uso di città, le mura nella cultura occidentale si caricano di valori che tendono a determinare una unitarietà spaziale che è anche elemento totalizzante e unificante la vita di un luogo. Essa diviene simbolo di un orgoglio di appartenenza e di una identità che trascende il patriziato e investe i ceti produttivi delle arti e dei commerci. E’ questa città un ridotto fisico spaziale e in tal caso costruisce l’identità di una popolazione vista come totalità, come un universo che costruisce nella dimensione della sua alterità una città-stato, un luogo che differenziandosi, per statLItO giuridico e fiscale dal proprio retropaese incentiva la costruzione artificiale dei suoi elementi di “punto di rottura” di carico e connette intorno ad essi una costruzione ingegnosa delle funzioni della vita associata, riuscendo molto spesso ad andare oltre ogni determiniamo geografico. L’urbanistica e l’analisi urbana anzichè essere fenomenicamente attente proprio a questo quadro che struttura la vìta e il farsi dell’organismo urbano, hanno sempre teso a sublimare, nella visione della forma urbis, l’immagine più passatista della città quella di una qualità della vita urbana chiusa nelle sue relazioni ortogeniche e quasi endogamiche. Ora se una crisi urbana si é avuta nella storia moderna italiana essa é il prodotto di una città che si chiudeva troppo e non aveva capacità propulsiva nelle connesioni con il proprio territorio.( le “città dei silenzio” della letteratura ma anche i borghi dei latifondo dei geografi) La città delle libertà mercantili e borghesi ( le libertà fino all’ancien régime aveva significati molto concreti, multipli e prossimi ad essere sinonimi di privilegi ) in questo senso dovremmo rivisitare lo stesso detto tedesco “ stadtluft macht freí “ Caratteri genetici propri al fine di ricercare la differenza tra l’impianto urbano medioevale e quello di epoca classica. Non è solo una differenza morfologica tra una pianificazione castramentata con regole edificatorie di ínsulae aventi misure costanti contrapposte ai quartieri a geometria minuta complessamente variabile, “spontaneo” adeguamento alla

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morfologia dei sito, organicismo che segue la crescita di questa unità vivente, ne segue il respiro dei suoi fabbisogni emergenti, sia pur nel quadro di risorse scarse, contrapposta alle prescrizioni pianificatorie della città di epoca romana Struttura non avente neppure la monumentalità della polis, ma struttura fondata sugli siarghi che diventano sede della vita collettiva, spesso senza necessariamente ricorrere ad un potere di aggregazione: castello, cattedrale. Il sistema murario che la circuita crea un artificale sistema di rottura di carico per le merci e quindi una interruzione con il continuum della infrastruttura viaria ( canali la strada come elemento genetico, continuano ad essere intorno alla vecchia piazza che si attestano le presenze più rilevanti della vita associata, ma l’elemento urbanisticamente più rilevante è il consolidarsi di un popolo minuto intorno alla strada e spesso alla strada che stà al di fuori delle mura nei sobborghi è l’Europa pirenniana Quel cliché della città medioevale vista come inestricabile dedalo di vie e vicoli più o meno ciechi, disiocazione caotica del]’ urbanistica dei sottoscala, microparcelle catastali che seguendo crescite di frazionamento e aggregazione di tipo occasionale e “ spontaneo” creano una serie impressionante di servitù, ma questo giocarsi delle attività sugli scambi dei porta a porta della strada che svolge un ruolo funzionale caratterizzato è uno degli aspetti più rilevanti della città europea. Non a caso esistono sempre nella città medioevale due o tre strade che hanno caratterizzazione completamente diversa dalle altre e sono la “ Strada Grande”, la “strada Nuova” queste strade hanno una continuità extramurale proprio in funzione di una integrazione tra i molti e vari luoghi deputati degli scambi manifatturieri della città. Appena al di fuori delle mura nella continuità di questo asse stradale capita di imbattersi in un ponte che attraversa un fiume, o alla confluenza di due, o è un “porto”, ossia un posto di traghettamento ( tale era nel linguaggio latino medioevale il significato fluviale dei termine ), manifestazione di un potere che è capace di intendere il ruolo da darsi alla città. Rispetto alla continuità di un impianto romano ecco che là dove intervengono dei fatti infrastrutturali questi vecchi isolati lasciano il campo ad altri dal taglio diverso. La possibilità di configurare intorno ad isole fluviali lo sviluppo funzionale degli usi multipli delle acque: le linee di perimetro dei fossato, i salti delle canalette molinende a portata relativamente costante e a modulo d’acqua regolabile ( da cui ne consegue tutto il concentrarsi della risorsa energetìca per i movimenti meccanici dei mulini, dei folli, dei magli ), la possibilità di avere dei dam capaci di configurare un bacino a regime di acqua più lento di quello della corrente principale ( flussi difficilmente omogenei e necessariamente da regolarsi in modo diversa a seconda che risalgano o che scendano rispetto alla corrente ), un sistema d’alzaie e capace di meglio consentire le operazioni di carico e scarico, le funzioni degli usi domestici, etc. I ritmi delle produzioni manifatturiere della città sono scanditi dalla risorsa dei fiume ancor prima e ancor più che della strada. ]I taglio nuovo degli isolati che ne consegue ha quindi una sua coerenza di aggregazione funzionale. Prendiamo una piccola città di impianto medioevale spesso vi si legge la caratterizzazione fondamentale che consegue dal taglio degli isolati che legano il fronte strada al retro di riva e la contrapposizione degli isolati di

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strada e costa, già vediamo configurarsi una complementarietà delle funzioni orticole e un fissarsi della strada che individuano l’elemento di germinazione non dei viliaggio- strada ma della funzione urbana dei lotto gotico, lotto stretto e lungo che apparteneva alla tradizione delle sortes alpine, dell’assegnazione periodica per sorteggio degli appezzamenti alpini in funzione dell’arativo e che organizza una logica insediativa che consoliderà il fronte della viacorridoio. E vi è una parentela tra questo antico paesaggio agrario e questo nuovo paesaggi urbano essa è data dal rapporto con la strada. Il tiro lungo dei cavallo, minimizzando i giri dell’aratro, impianto fondiario che consentiva di attribuire più strisce agli abitanti della comunità, quindi compensando nel senso di una ricerca di egualitarismo massima l’alea delle diversità zonali e pedologiche dei terreno stesso. Impianto che consente di moltiplicare i rapporti privilegiati con la strada organizzando un fronte ed un retro, in quanto esso avviene sul lato più corto. Vi è una origine da democrazia patriarcale ed un impianto antitetico a quello dei palazzo mediterraneo. Impianto che sarà utilizzato nelle “lottizzazioni” dagli ordini mendicanti. La strada maestra in questo continuo edificato si fa strada corridoio. Questa doppia presenza di fiume e di weg, di direttrice che dapprima è un semplice vettore di gravitazione unidirezionale, che segue come i gravi le linee dei lavoro prodotto dall’energia potenziale, si fa circuito di sistole e diastole di un flusso pompato da un cuore che è il centro urbano. Ne deriva un asse di infrastrutturazione interna, ossia una spina dorsale, insediamento allungato, sapientemento connesso ad un uso di confluenze fondarie organizzate in più punti d’attacco rispetto a questa spina dorsale. Da questa realtà microurbanistica profondamente innovativa deriva una realtà sostantiva microeconomicamente in grado di ribaltare in senso ampiamente produttivo gli orizzonti dell’abitare. Ne nasce una abitazione fatta per durare e da consegnare alle future generazioni, una immagine di “casa madre” , non l’immagine della casa avita ma della casa metro-oikos dei commerci e delle manifatture dislocate lungo le direttrici continentali. A testimoniare dei primi l’immagine dell’albergo genovese che rappresentava intorno alla casa a torre la presenza di rapporti estesi dal centro delle alleanze costituite intorno ad una famiglia allargata, alleanze politiche e finanziarie, clienti e alleanze, gruppi collaterali che organizzavano consorteria e ne assumevano anche il cognome. Tutto ciò si consolidava intorno a quella immagine orgogliosa che tutta la letteratura storico-medioevalista ottocentesca ci ha lasciato dell’identificarsi entro l’emergenza altimetrica della torre, valore simbolico dunque ancor prima che valore difensivo. Rapporto antitetico a quello tra la casa e la strada che abbiamo conosciuto nel tessuto transalpino.Vi è un quadro il ritratto dei coniugi Arnolfini originari di Lucca dei Van Eik, esso rappresenta un interno di una casa mercantile di Bruges che è congiunzione embiematica di due mondi, er usare un termine forse abusato lotaringici. Nella trasfigurazione poetica dei pittore gli affetti si costituiscono intorno alla famiglia monogamica. Non più dunque l’orizzontalità congiunturale dei tempo spazio dei quartiere, della consorteria dell’albergo, ma un nuovo edificio che lega il patrimonio non all’usura ma ad una speranza futura, al lignaggio, all’intrapresa, così quei coniugi nella speranza dei nascituro proiettano i propri sentimenti nella verticalità dello spazio tempo della casa come luogo non solo della

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contìnuità dell’abitare domestico, ma della continuità della “casa madre”, che si farà centro di intraprese manifatturiere e commerciali. Nelle città porto canalizie europee emerge così sempre l’importanza di andar oltre il piano nobile dei palazzo per vedere le funzioni di madia, magazzino che sono proprie dell’edificio casa-residenza, cantine, sottotetti, solai esprimono luoghi centrali delle catene tecniche della cultura materiale non solo nell’edilizia rurale ma anche in quella urbana e borghese. Si pensi a Delft e alle case deposito dei formaggi o alle case di Strasburgo con i loro i granai a quattro piani, con la presenza non solo ostensivamente opulenta ma commerciale della funzione di deposito, case che saranno parenti alla immagine della casa magazzino generale delle grandi città-porto olandese. Così come nelle città-strada mettere “pignon sur rue” è obbiettivo dei ceti artigiani, dove appaiono quelle case di corporazone urbana in cui l’artigiano era obbligato a mostrare al passante sulla strada come egli lavorasse. In altri termini quei segreti della stanza chiusa dell’alchimista tendevano dagli statuti urbani ad essere negati tramite questa ostensività dei gesto mercantile e artigiano, posto al rez de chaussé della bottega.

A PARTIRE DAL RUOLO DELLE FUNZIONI DI VITA ASSOCIATA

La seconda considerazione riguarda il fatto che, ora è ben più di un secolo fa ma questa idea continua a rimanere un luogo comune, il Tiers sosteneva che l’istruzione fosse un succedaneo delle condizioni di reddito acquisite da una nazione, riportando il tutto alla visione di una semplice variabile dipendente. Una tale visione deduttiva e meccanicistica si attaglia per altro a tutto il quadro delle funzioni di vita associata Tali funzioni sono allora dedotte dal livello tecnologico, da quello di reddito conseguito quasi fossero riportabili non a fatti culturalmente pregnanti ma a semplici indici di livelli di consumo propri di quella data situazione economica, la loro tipologia é vista secondo caratteri distributivi che univocamente rispecchiano il comportamento tipo che meglio interpreta quella cogente soluzione tecnica Così le funzioni di vita associata vengono consegnate alla pura descrizione dei servizi erogati visti come espressione di bisogni delineati da grandezze medie e banali, “fiscali”, potremmo dire, quali gli standards di dotazione. Sul piano dei servizi erogati dall’ente pubblico: un puro piafond soggetto ai vincoli di bilancio in quanto pura espressione contabile di un sovrappiù che tramite strumenti fiscali può essere stornato dalla produzione e dal circuito privato e come tale divenire puro oggetto di una ingegeria della “giustizia distributiva”. Una pratica questa non solo macroeconomicamente inespressivo ma che le fa compiere un salto indietro di millenni verso concezioni che furono della scolastica aristotelica passivamente legate alla visione di una inoperante giustizia redistributiva Non diversamente poi sul piano più specifico dei servizi destinati alla vendita, bisogni e comportamenti sono allora l’espressione di una legge di mercato che regola le reciproche elasticità di domanda ed offerta intercorrente tra bisogno e servizio.

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A questa concezione si contrappone il significato antropologico che le funzioni di vita associata rivestono e che dà nuovo contenuto sostantivo alle strategie soggettive dei vari agenti economici; In altri termini una impostazione “alla Tiers” è dei tutto muta rispetto agli orizzonti problematici dell’accuiturazione su cui si basano invece i grandi processi di “civilizzazione” In questo senso i problemi di accuiturazione che si sviluppano intorno alle funzioni della vita associata non si riferiscono solo a fatti tecnici di “alfabetizzazione funzionale’ nè a quella complementarietà che essi svolgono rispetto ai settori produttivi ma investono i processi più generali di accuiturazione. Questa sinergia tra funzioni di produzione e della vita associata è fondamentale per comprendere il ruolo della città europea per spiegarci il perché dei suo sviluppo d’epoca comunale.

MERCATURA E FUNZIONI DELLA VITA ASSOCIATA

Ora l’idea dei mercato va molto oltre i rapporti circoscritti di città e campagna e di cui il mercato viene ad essere il luogo centrale dove si attua quella realizzazione della equazione simultanea della offerta e della domanda secondo una elasticità che garantisce ad una serie di piccoli produttori tutti uguali tra loro e di consumatori simmetricamente disposti ai primi nella loro libera presenza individuale la realizzazione della democrazia. Questo luogo di equilibrio è immagine povera, per altro nella tradizione della città europeooccidentale sta rispetto al’esangue immagine di un apodittico “libero mercato” la tradizione più pregante della mercatura. La mercatura, in contrapposizione alla condanna dell’usura e dei prestito ad interesse, si pone il problema della sottrazione di un bene dal circuito dei suo uso diretto per i consumi e dei suo trasferimento ad un altro circuito monetario. Essa ha un orizzonte di scambi, circuiti di impiego che sono sicuramente di tipo sovraiocale come ci attesta il problema principe dei commercio tardo medioevale quello dei trasferimento di materie prime, semilavorati e merci da un luogo ad un altro, da un luogo dove essi sono per la loro sovrabbondanza sottovalutati ad un uno dove per la loro penuria vengon apprezzati. Ne emerge una concezione dei valore aggiunto come incremento di valore dato al bene da una pratica manifatturiera e di mercatura e questo spiega il ruolo che la città viene ad avere in un orizzonte di relazioni sovralocali. Non un semplice emporio che immagazzina in attesa di una rendita a termine, ma che trasforma da un punto di vista manifatturiero e questa dimensione sovralocale acquista un nuovo spessore epistemologico. Se la produzione dei capolavoro era il punto di arrivo di una divisione tecnica e di una arte dedalica fondamentalmente indirizzata verso il pezzo unico, e molto spesso tali prodotti non erano commercializzati ma scambiati per via diplomatica , esso appartenevano a quella categoria di beni che eran gli “agalma” indirizzabili solo a chi aveva ruolo istituzionale, la tecnica mercantilistica che afferma

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merceologicamente tutte le qualità d’uso che essi possono avere consegnandoli ad una trasformazione manifatturiera, che li inviluppa in una rete di interdipendenze di produzione che ne aumentano il valore di scambio e che può così liberamente circolare. Questo rapporto tra dimensione di una rete di produzione secondaria e di direttrici terziarie configura il nuovo spessore della tradizione produttiva e mercantile delle città europee. In tal modo sii configura un nuovo orizzonte tra contesto e direttrice. Negli anni Trenta uno storico Barbagallo parlandoci della rivoluzione dei commercio, ci diceva che essa non si rivolgeva sostanzialmente alla struttura dura della produzione e che non la rivoluzione medioevale quanto quella indotta dal mercantilismo cerca di rompere i confini dei mercati chiusi, ricordandoci che è necessario rendersi conto che il movimento continuo dello scambio di merci che caratterizza il metodo degli scambi risalgono ad un epoca relativamente recente: fino all’inizio dei XVIII sec. il commercio conserva soprattutto un carattere periodico, ciò a dire che le transazioni restano limitate in maggior parte ad epoche e a luoghi determinati e che non poteva essere altrimenti quando mancavano i mezzi di comunicazione e il volume degli scambi era oltremodo ridotto. Bisognava captare o dirigere entro canali ben definiti i flussi deboli ne conseguiva che i centri naturali di scambio erano riunioni periodiche di compratori e di venditori che si tenevano in occasioni di fiere e di mercati e la maggior parte delle transazioni commerciali si effettuavano per mezzo di queste istituzioni. E’ alla fine dei XVIII sec. che questi scambi si trasformano in movimenti continui. Poco tempo prima Sombart sosteneva in modo ancor più riduttivo, in logica “attualista” e di puri riscontri quantitativi, che si potevan caricare, tutte le merci scambiate in un anno attraverso i due versanti delle Alpi, su un unico convoglio ferroviario (e per giunta dei suoi tempi), Se ciò quantitativamente è vero non lo è sul piano qualitativo, queste correnti deboli riescono infatti a suscitare una cultura e un saper fare legati alla pratica dello scambio, una condizione particolare dei valore e una carica simbolica e materiale di questo capace di rinnovare le mentalità e i rapporti fra le genti Questi fatti periodici inventano così un proprio innovativo uso di città extra moenia, una propria rete di relazioni capaci di integrare circuiti regionali e locali a circuiti continentali. Ne nasce una organizzazione esterna alla città riorganizzatrice di direttrici alla scala continentale.

FIERE

Facciamo allora un passo indietro, quando il mondo carolingico entra in crisi con la divisione territoriale tra i tre figli, si configura una divisione zonale che sembra essere fatta sulla logica di giganti possedimenti fondiari, strisce nord sud che definiscono complementarietà zonali e di prodotti che integrano tra loro territori aventi ecologie agrarie diverse. Ora questa visione apparentemente rozza configura però una continuità e un orizzonte di relazione continentale che ci mostra come questa fosse una dimensione

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sentita e vissuta da questo potere: l’unità dell’impero come unità tra mondo romanzo e mondo germanico appare uno ceegli elementi fondanti della visione dei sacro romano impero e sarà elemento fondante dell’idea di unità europea. Quando lo sviluppo delle città della Fiandra riesce ad organizzare quel secondo mercato mediterraneo sul versante nord: acquisendo non solo la lana dal mondo celtico irlandese ma anche organizzando il circuito delle salamoie, dei pesce affumicato e essicato, delle aringhe, quel sistema alimentare su cui si è sviluppata quella sicurezza dei fisch and cips che garantiva apporto calorico e proteico sicuro e a bassissimo costo. Ciò che ha creato lungo l’arco di più di mezzo millennio una solidità di cultura materiale straordinaria, Non solo commercio di beni di lusso richiamati dalla attrazione dei luoghi densi dei redditi urbani, ma anche commercio di prodotti tessili di massa. Alcuni beni tessili configurano così una unità di mercato, non la prima e non la sola se si pensa a quella della vite e dei vino, ma quell’altra era un lento processo di acclimatazione lungo vie d’acqua, questa è guidata da tecniche finanziarie e commerciali fondate sulla comunicazione. Le fortune dei Kaufmann di Colonia non sono così significative come sono invece quelle legate alla ciclicità e periodicità dei circuiti fieristici che sarà quella che consente il duplicarsi dello scambio fieristico in un sistema finanziario parallelo. I mercanti cioè continuano ad organizzare i loro scambi in presenza delle merci, ma non più in presenza diretta di scambio di moneta sonante, essi avvengono essendo legate al di cambio Camere di compensazione che regoleranno gli scambi una volta all’anno. In questo circuito vengono così a ritrovarsi tutte le tecniche finanziario-mercantili che furono delle repubbliche marinare, delle città stato, dei grandi banchi. Accreditare la merce, valutazione della qualità merceologica, delle qualità intrinseche dei bene ecco delle operazioni di qualità culturale Contrariamente a quanto affermava Sombart la lettura di una carta dei sistemi fieristico e universitario dei periodo medioevale mostra di quale importanza e portata fosse, in senso culturale ed economico, il peso dell’ integrazione europea. Prima di tutto attraverso il sistema fieristico si comprende come essa operasse a partire dalla complementarietà delle fasce climatiche e, prendendo da questa stiomolo e andandovi subito oltre, attivava specializzazioni di paesaggi, articolazione di commerci e di cultura materiale quali quelli connessi alla civiltà della vite e dei vino, o quegli altri, connessi alle complementarietà e interdipendenze produttive della lana e delle materie tessili e tintorie, per passare poi , in senso pieno, a quella dei bacini di produzione. Così essa era fondata su un commercio itinerante, stagionale, periodico ma non marginale, un commercio che su queste condizioni di apparente debolezza seppe, infatti, organizzare le proprie innovazioni funzionali. Ora non è possibile spiegare Il vigore rapidamente raggiunto dal sistema fieristico in un lasso di tempo piuttosto ristretto ( Xii - XIV sec. ) se non si mette, a fianco della crescita dei trend dei commerci, il mutamento di un quadro della sensibilità e della mentalità colietiva e più profondamente epistemologico, che ha rifondato la cultura urbana dell’occidente, e che ha indirizzato il definirsi di un nuovo status dei mercante, che sempre più viene ad acquistare una dignità sociale e della merce, che sempre più viene a sviluppare una condizione diffusa di valore di scambio fino allora

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negata dalla dimensione ontologica delle intrinseche qualità dei valore d’uso, connessa ad un uso mobile e trasferibile dei bene (che fino allora era stato anche esso, in una certa misura, negato dal potere della chiesa). Così la cultura dello scambio passa da una marginalità sociale e geografica ad una nuova centralità, così è che, entro la cultura dei municipi, delle autonomie, dell’orgoglio comunale, si sviluppa la rivoluzione ontologica dei crescente valore dei beni terreni. A fianco di questo nuovo orizzonte, di questa rivoluzione materiale e mentale, un nuovo sistema continentale dello scambio tenderà a costruire periodiche e sempre più organiche complementarietà alle catene tecniche, delle trasformazioni e esitazioni dei beni prodotti. Il mercato passerà allora dalla pura e semplice funzione di luogo di scambio di merci al costituirsi in luogo direzionale entro cui si stabiliscono orizzonti imprenditoriali di definizione di nuovi prodotti e di nuovi processi produttivi. Esso diverrà allora il luogo entro cui si sviluppa un nuovo statuto di tipo statistico-contabile della moneta, dei prestito, della circolazione, questo sostituirà quegli stessi riscontri ontologici fondati sulle qualità prime e sulle essenze ultime celate nei medesimi beni, cosicché, a fianco dei sistema fieristico, nascerà, ad esso necessariamente consustanziale, il sistema bancario internazionale. Si delinea così una geografia come tale molto diversa dalla geografia urbana dei commercio e dello scambio così come , ad esempio, appariva quella, che continuava ad essere definita dagli statuti ( ontologizzanti per l’appunto il ruolo dei vari beni ) della, fino allora, più avanzata civiltà e religione isiamica. Se, in tal quadro, alla scala continentale il sistema fieristico-bancario configura una vera e propria koyné europeo-occidentale, a livello urbanistico i luoghi di allocazione delle fiere passeranno da una condizione di esclusione e di marginalità periurbana ad una condizione di polarità capace di produrre la nascita di una nuova funzione cerniera, quale ci appare, sia pure nel caso più tardo di Bergamo, tra l’ecologia intramurale delle attività istituzionali come di quelle permanenti dello scambio, e quella extramurale definita dal doppio livello delle relazioni con i tessuti manifatturieri dei propri arrière-pays e dei coliassarsi, intenzionato e artificiato, nei nodi urbani delle direttrici continentali che ne organizzano lo scambio. E’, allora, questo costruirsi di una nuova allocazione periurbana, non l’espressione dei recupero urbanistico di un’area di risulta ma l’espressione di un progetto capace di dare vita ad una nuova interconnessione pirenniana e, altresì, a quegli antecedenti che porteranno dapprima alla centralità produttiva dei sobborghi, i “faux-bourgs” pirenniani e poi ai “porti in terra” cattaneiani e da ultimo alle “periferie storiche” della nostra rivoluzione industriale. Alla base dei sistema fieristico stanno quei santuari che erano luoghi periodici di incontro posti lungo gli alpeggi piuttosto che sulle “rive” e vie “marenche” poste sugli itinerari dei sale e della transumanza. Il riconoscersi, sacrificando, a divinità comuni, posto a fianco della spettacolairità dei riconoscersi associandosi e costruendo un comune sentire intorno a una rappresentazione a uno spettacolo di giocolieri, e mimi, rituale dal significato istituzionale complesso nella portata omeopatica che li caratterizza nella conferma delle istituzioni e dei poteri costituiti. Essendo posta questa pace sotto la protezione di un potere, tempo idoneo per attivare alleanze politiche, per affermare un foedus.

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Vi è molto di più dei mercato come luogo simultaneo di incontro della domanda e dell’offerta, di definizione elastica dei valore, vi è una realtà che va oltre l’immagine dei confluire periodico in una piazza di mercato urbano dei contadini dei terriotrio ad offrire le proprie merci. Se questo è l’antico sostrato funzionale delle “nundinae”, esiste però in epoca medioevale lo svilupparsi di una condizione di rottura, di coupure epistémologique intorno a una simile funzione. Le “fiere medioevali e le camere di compensazione: l’integrazione tra sistema finanziario e scambio dei bene di lusso in assenza di specializzazione aziendale dei trasporto i gradi di libertà degli itinerari dei mercante e le tappe Tentativo riuscito di combinare due radici degli scambi: quella urbana dei forum e quella dei circuiti rurali, in particolare nel sistema fieristico le tappe della transumanza hanno grande gioco come ci ricorda il Mira. La possibilità di coniugare questa doppia matrice si mostra ben evidente nei momenti in cui un potere forte, come quello dei duchi di Borgogna, o di certi principi-vescovi siassume il compito di garantire, sotto la propria diretta responsabilità amminstrativa eprotezione militare e di polizia urbana che configura una area protetta entro cui in un dato periodo di tempo si possono effettuare scambi aventi particolari vantaggi fiscali. Molto spesso questo spazio è trovato in prossimità dei nodo urbano, della città nuova che nasce intorno a una polarità. La fiera non nasce mai all’interno di una struttura urbana consolidata, là dove c’è foro non c’è fiera, essa nasce esterna, in qualche misura libera e contrapposta alle forme di gestione monopolistica del patriziato urbano, dei commercianti Al di fuori ma non in un’area di risulta, ma essa è tramite tra occasioni funzionalmente innovativi di quella città, la rete viaria sovraiocale, il definirsi di un punto di rottura di carico. In questo quadro si configurano elementi di paesaggio urbano quali quelli legati alla gestione di misure garantite dove a fianco della pesa si danno le varie unità di misura. Pesi e misure all’uso di.... non solo garantite dalla sopraintendenza di un corpo di vigilanti ma anche attraverso il definirsi di manifesto e ostentato regime di scambio tra le monete, ossia di fatti tecnicamente e funzionalmente complessi. Cabotaggio territoriale di una mercatijra rurale, conessa con il grand large, i grandi orizzonti di scambio della mercatura di tradizione continentale. Tra queste Heers ci ha mostrato l’importanza di una figura di riferimento delle fiere rurali articoli parigini, venduti dal merciaio nell’ambito delle cascine; è questo un sistema di scambio esterno a quello della civitas romana, estraneo al mondo dei foro ed è magari organizzato da commercianti provenienti da quella piazza colporteur o cavalieri merciai, nomadi, capace di usare un reticolo di strade legate intimamente ai paesaggi agrario forestali non configurati in un esclusivo orizzonte territoriale comunale, ma capace di percorrere e confermare le vie di quella mobilità rurale che il servaggio feudale non è riuscita a intaccare. Essi hanno però certi punti fissi: certi ponti, certi guadi, certe fortezze-magazzino, certi tempi ( le sagre). Questa figura organizza così dei circuiti contestual-regionali.

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UNIVERSITÀ

Un secondo sistema unifica lo spazio europeo da un punto di vista funzionale ed è solo in relazione ad un tale scenario che si può comprendere, a nostro modo di vedere, il ruolo giocato dalla nascita dei sistema universitario europeo. A partire dal Duecento, questa ultima, straordinaria, fioritura era in gran parte il prodotto originale di una diaspora di studenti e docenti che, partendo dalle due grandi sedi della Sorbona e di Bologna, inseminandosi nell’humus fecondo di alcuni corpi urbani, aveva dato vita ad alcune Universitas Studiorum promosse da consolidantesi libertà comunali o, un poco più tardi, da nuovi, nascenti, particolarismi signorili o ancora, un altro poco più tardi, religiosi. Se le corporazioni legate a Parigi avevano operato, soprattutto in Germania lungo l’asse del Reno, per l’Italia, furono le porzioni centrali e padano centro-orientali più direttamente connesse con l’alma mater feisinea, a configurare sedi resistenti nel loro modo di essere integrate alle istituzioni municipali, alle corti signorili, in ultima analisi , alla cultura urbana. Così è che quest’ultimo, in ordine di tempo, sistema delle funzioni di vita associata che investe l’Europa e, dall’origine di epoca comunale giunge alle soglie di quella moderna, plasmandone la sua evoluzione, ci ha lasciato un quadro sempre più solidamente coordinato rispetto all’asse portante di questo stesso spazio, quell’asse, o meglio quel sistema connesso di assi che possiamo, in modo sintetico, riferire alle complementarietà instauratesi lungo grandi direttrici insediative e di trasporto: il Rodano, il Reno, il Po. L’universitas studiorum che lega corporazioni “ universitas” di matrice laico-professionale a forme di trasmissione di sapere clericale sia della cattedra vescovile che dei monastero. Istituzione urbana ma non usa a formare mandarinato, nè un funzionariato di stato, chierici che solo in una parte molto ristretta vengono assorbiti, in questo periodo, da una carriera ecclesiastica. Se le scuole di retorica della cattedra vescovile sono quelle della classe dirigente, dei gruppo egemone, gli ordini mendicanti, originando da un sistema extraurbano (si pensi al francescanesimo e al suo parziale rifiuto della vita cittadina di età comunale, al suo applicarsi ai tessuti nuovi delle periferie: si guardi al localizzarsi delle chiese di tali ordini, al loro modo di rapportarsi agli inurbati fino a organizzare una ridefinizione, una lottizzazione, dei corpi fondiari), diverranno una ulteriore polarità cittadina rispetto a quella delle università -corporazioni, capace di devinire riferimento a un tipo particolare di inurbati: le “natíones”, i gruppi degli studenti universitari. E quindi questo mondo si contrappone dialetticamente alla centralità della cattedra vescovile da cui non dipende diocesanamente. Dei resto la città comunale che si contrappone alla entità dell’impero, richiederà un nuovo quadro di formazione. Non è un caso allora che Bologna città che si trova alla congiunzione di due mondi diversi dei diritto, quello dei codice e dei testo giustinianeo, della tradizione romana e quello consutudinario , germanico-iongobardo, diventi un punto di riferimento universale. Università dello scibile, università dei sapere, conoscenza universale, a cui siamo usi dare una definizione aulica, si riferisce invece ad un termine che ha valore di

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interesse particolare, quello proprio di un raggrupamento, di una corporazione di mestiere, mestiere di professore e “mestiere” di studente. Pluralismo laico dei mestieri, rinnovarsi continuamente in un confronto dialettico. In un breve lasso di tempo questa università che presenta un unico linguaggio, una sola koyné, una unica forma di sapere, mostra una straordinaria capacità di esplosione, tracimazione, gemmazione, di diaspora. Ne nasceranno Università municipali, di stato territoriale signorile o di principati.

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POLICENTRISMO MANIFATTURIERO E POLEOGRAFIA REGIONALE

COSTRUIRE E ANTICIPARE

Ogni analisi sociologica della città l’ha presentata sempre come il prodotto di un piatto definirsi della “divisione dei lavoro efficiente’ che separava i compiti di città e campagna li rendeva complementari ma non integrati, quindi mai reciprocamente innovativi; ciò ha voluto dire negare sia alla città che alla campagna un ruolo anticipatore e costruttivo. Ora abbiam ricordato come Braudei parlasse, riferendosi alle grandi città che costituivano i perni dell’economia dei mediterraneo all’epoca di Filippo li, di “serre calde” della civiltà, o meglio dei processi di cívílísatíon ossia di luoghi che non solo impiodevano i flussi di risorse finanziarie in senso speculativo e parassitario, quanto piuttosto di centri che dirigevano i flussi di innovazione e, conoscendo i comportamenti dei mercato interno e di quello esterno, si facevano tramite tra forme di sviluppo autocentrato ed estroverse. Ecco, dunque, delinearsi il ruolo motore dei poli dei primo ordine. Ma tutto ciò non è vero solo per il polo apicale esso è vero anche a livello basale. Già nell’orizzonte domestico deli”’oikos”, nel suo quotidiano incontro con la diacronia, che la precarietà dell’ambiente duramente propone alle società umane, stimolandone lo sviluppo, si incontrano i prodromi di una necessità di allargare l’orizzonte conosciuto delle relazioni sociali, già l’esogamia con le sue regole capaci di organizzare la crescita dei popoiamento impone coerenti risposte funzionali. Così l’orizzone problematico della nascita della città si estende ben oltre la chimerica ricerca di una definizione ontologica della entità urbana a cui certa letteratura ci ha appunto abituato e si pone oltre l’evidenza di una nuova disponibilità alimentare che libera forza lavoro verso altre occupazioni specializzate; così il configurarsi di “usi di città”, intorno a date funzioni della vita associata, crea comportamenti, attività, strutture dell’immaginario, processi di accuiturazione, che operano ancor prima che la città si dia come consolidata presenza fisica. L’idea di una città come atto conseguente al formarsi di un surplus agricolo entra allora in crisi, essa ha in sé due errori di fondo: - il primo si lega al fatto che essa interpreta in modo dei tutto antistorico la progressività della produzione agricola, il cui passaggio da uno stadio estensivo ad uno intensivo viene meccanicamente riportato ai puri riscontri tecnico - positivi delle varie rivoluzioni agricole, quando é ormai noto che molti passaggi, da uno stadio meno ad uno più intensivo presentano ( e questo é appunto in particolare il caso che investe i fenomeni di sedentarizzazione delle agricolture itineranti) una riduzione di produttività oraria dei lavoro umano e quindi richiedono uno sforzo di intensificazione e di mobilitazione dello stesso che contrasta ogni linearità evolutiva espressa in logica marginalistica. Ne consegue che le spiegazioni, apodittiche deli”’homo oeconomicus” devono lasciare il posto a più pregnanti spiegazioni antropologiche; - il secondo che essa non riconosce tutto il

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profondo significato di elemento carico di tensioni che per il modello di riproduzione semplice di una cultura primitiva rappresenta il surplus, il quale, non essendo manipolabile come puro elemento tecnico da reinvestire E’ dunque questo intimo ruolo anticipatore e costruttore delle forme della vita associata, da questa intima essenza dello spazio abitato che prederemo le mosse per fermare il nostro sguardo su un caso concreto: quello lombardo.

GENERI LETTERARI RIVELATORI: DAL METABOLISMO ALL’ETEROGENESI

Se ci riferiamo a quella espressione letteraria fondamentale che permane per circa un millennio che è la Lode urbana, e consideriamo la descrizione di una lode urbana di epoca classica quale è quella della Mediolanum di Ausonio ne emerge una realtà stazionaria in qualche modo legata ad un ordine equestre e senatorio e ad un censo. Un millennio più tardi nelle Laudes, il culto delle reliquie, l’agiografia dei Santo che sostituisce la divinità eponima, riveicolano con grande enfasi il concetto di metropoli che vi viene ad assumere una connotazione territoriale dei tutto nuova, come in parte abbiamo avuto occasione di dire, ma di cui vai la pena di rilevare un nuovo elemento: la definizione di territorio non appare più di tipo solo amministrativo, esso si apre alla costruzione di un rapporto organico, potremmo di re “metabolico” con la città, Bonvesin della Riva, non a caso un dotto frate umiliate, nel suo “ De Magnalibus Urbis Mediolani”, quasi a compimento di un genere letterario, presenta, appunto, una immagine metabolica della città in cui si fa di conto sui flussi in entrata e in uscita di generi alimentari neccesarri al riprodursi di quel corpo sociale Quando poi Pellegrino Tibaldi, chiosando con grande attenzione il trattato albertiano, cerca di configurare il carattere originario delle città della Lombardia, non può non ricondursi a un modo diverso d’essere dei sito padano e più specificamente lombardo rispetto proprio a quello che è dall’ Alberti configurato. Egli dunque, pur assegnandosi un compito di elaborazione trattatistica dell’architettura, la colloca entro un principio e un processo individuo di civilizzazione e questo principio è quello dell’ “eterogenesi” della città, ossia dei suoi necessari legami non con una propria campagna a cui compete, entro l’orizzonte di una divisione dei lavoro, regimentata da un controllo proprietario cittadino, il sostentamento di questa, ma con una contestualità che sviluppa una ricca gamma di possibili interdipendenze di produzione, così come suoi necessari legami di scambio, di alleanze, di complementarietà produttive con altri poli urbani regionali. E’ infatti l’eterogenesi della città, la dinamica che la lega al territorio, la testimonianza di una centralità contestuale, propria di un luogo che è non il finale punto di accumulo delle risorse di un territorio ma il momento di mobilitazione di queste a cui è a corda doppia legata, l’oggetto di fondo della rappresentazione della vita della città. E questo legame, in Milano, era prima di tutto un legame di acque, della loro multipla funzione e il diritto delle acque che Cattaneo acutamente individua come una peculiarità originaria dello sviluppo lombardo è lì a testimonianza di ciò. E Milano è un complesso nodo di acque e questa complessità é ad un tempo concreta ( si pensi alla forma che la città imperiale di Milano mantiene

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deformando ogni impianto dell’urbanistica romana ) ed astratta ( si pensi alla capacità di un Galvano Fiamma, prima di tutti, di interpretare in una forma astratta la complessità dei nodo idraulico, prima ancora che viario, di Milano ). Guardiamo allora, al proposito, alle carte più astratte di Milano, quali quella, appunto, dei Galvano Fiamma o l’ancor più pregnante schizzo leonardesco. Nella potenza logico-formale dei loro disegno si legge come l’orizzonte territoriale sovraiocale ne improntasse il bacino di riferimento della città, come le connessioni si spingessero, scendendo dalla corona delle Alpi, ali’ ampio bacino padano. Ma nel disegno dei codice Fiamma si dà anche un doppio perimetro, a fronte di questo vi sta quello astratto, ideale della città, con le sue porte che non sono però lì a chiudere la città nella sua alterità ma a legarla al contesto. Esso ben delinea il rapporto che in tutto il periodo medioevale caratterizzò il legame di questa città con il proprio “arrièr pays”. Osserviamo allora la Milano leonardesca, dietro essa vi è la città, la città rinascimentale, la sua universalità e idealità, la sua “ratio” che è ad un tempo costruzione della “città-stato” e necessaria collimazione di una estetica nuova ( ma pur sempre, in buona misura, di una città di marmo ) e di una funzionalità, vista come stabile articolazione delle istituzioni, dei vari corpi sociali. La caratteristica prima, non genericamente immaginifica e pretrattatistica, di configurare isomerie che nascono all’interno dell’equilibrio dei corpo urbano quanto di risolvere un quadro di relazioni territoriali sarà guida ali’ idea di città leonardesca e alla sua risoluzione di ricircuitare in essa le acque dei Ticino e dell’Adda attraverso i navigli. Il disegno leonardesco, configurando le connesioni passanti di un nodo d’acque che si forma in Milano a una scala più ampia, quella definita, appunto, dai due grandi bacini dei Ticino e dell’Adda, non solo sembra suggerire l’idea di una duplicabilità necessaria di esse lungo direttrici stradali, capaci di integrare con le loro connessioni di tipo “espresso’ quel supporto canalizio che si va organizzando. Sarebbe stato possibile in altro modo risolvere la complessità fisica dei sistema e dello spazio lombardo? Tutto ciò spiega I’ “anomalia” dei policentrismo lombardo che vede collocarsi al proprio centro il polo dei primo ordine, ma altresì spiega come ciò, in una ottica di civilisation, possa essere occasione non di egemonia ma di complementarietà.

ARTICOLAZIONE DEI POLI URBANI E DELLE INTERDIPENDENZE PRODUTTIVE NELLA

FORMAZIONE DELLA CITTÀ POLICENTRICA LOMBARDA

Quando Carlo Cattaneo, nella sua famosa introduzione alle “Notizie naturali e civili della Lombardia”, cercava di dare identità fisico geografica oltrechè istituzionale alla regione lombarda egli ne individuava in due elementi portanti il carattere: la complessità della articolazione delle fasce zonali che la differenziavano dalle stesse altre realtà regionali padane e l’originalità di alcune istituzioni che erano guida ad una progettualità dei paesaggio capace di mobilitarne risorse e di configurarne, senza negarne i caratteri naturali, nuovi livelli di sintesi e dunque di unitarietà e complementarietà di spazi economici Dapprima, una pluralità di aree di contatto tra massi cristallini e costruzioni di rocce sedimentarie, con presenza di gneiss e micascisti, ossia di rocce fortemente

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metamorfosate, a testimoniare gli sconvolgimento orogenetici, le pressioni, le fratture tettoniche operanti dall’interno della costruzione di questa architettura, a segnare i ‘filoni’ delle risorse minerali a cui ha attinto una metallurgia milienaria e, a fronte di ciò, il contrappunto di alpeggi e di bacini di ritenuta, posti là, in una complementarietà topologica di concavi e di convessi, dove, nel quaternario, un lavoro potente di ‘scuipture’ ha operato attraverso il modeliamento glaciale. Poi ecco l’importanza della grande sifonatura dei laghi che regola il regime idraulico dei principali fiumi lombardi, realtà che oggi viene riconosciuta come il prodotto di una opera di strutturazione tettonica ben più forte di quella espressa da un semplice modeliamento glaciale e che con il suo fronte d’acqua non è stata solo sede di una acclimatazione ma di un sistema di grande mobilità di risorse e di fattori di produzione, e in tal modo occasione di scambi ma, ancor più, di interdipendenze manifatturiere, tessili prima di tutto e siderurgiche poi. Poi ancora la compresenza, lungo lo sbocco delle prealpi, di modeliamenti glaciali, definiti dalle grandi testate ad anfiteatro delle morene, e, esterne ad esse, di piccole compartimentazioni calcaree interrotte da solchi vallivi quali quelli dell’Olona, dei Lambro, dei Brembo e dei Serio, da fiumi cioè che, con il loro regime pluviale e senza quelle grandiose frapposizioni dei laghi, hanno per millenni scaricato i loro alluvi e diluvi in modo torrentizio nella piana, ma che, al contempo, essendo profondamente incisi nel penepiano dell’alta pianura asciutta, sono diventati altra occasione, proprio grazie a quei terrazzi quaternari che ne modulano la successione dei loro giochi di deposito e di incisione, di allocazione delle tipologie di edifici e di aziende della rivoluzione industriale cotoniera. Ed ecco che, a questa integrata, compare una fascia dell’alta pianura che, proprio in quanto priva di consolidate strutture aziendali agrarie, ha saputo mobilitar quelle risorse primarie in una serrata catena di trasformazioni manifatturiere e nei mille lavori minuti capaci di dar vita, malgrado l’intrinseca povertà di quei suoli, a grandi densità insediative. E ora una fascia che potremmo definire ‘a sezione variabile’ e che, come un serpente dall’andamento sinuoso e mobile, tocca le principali città pedemontane, ivi compresa Milano, collocandovi, appena al di sotto di queste, le polle fontanilizie delle risorgive, fascia intermedia e di contatto, fascia della più antica sperimentazione irrigua, fascia che per la destinazione delle sue acque guardava a sud, ma che per gli apporti della transumanza guardava a nord, una fascia che separa nettamente fra loro ancor oggi due modi di essere dell’ insediamento: lo spazio pieno e di piccole strutture aziendali nel settore primario a nord, lo spazio, parzialmente, vuoto ma di consolidate strutture agrarie a sud, due paesaggi a loro modo, e diversamente, opulenti, rispetto a cui il centro non geometrico ma geografico di Milano porta nel nome la sua storica funzione di eminente luogo di contatto. E, da ultimo, quella fascia della bassa, luogo non solo di rivoluzioni agronomiche ma di una oggettivazione dei lavoro nella costruzione di uno dei più consolidati paesaggi agrari esistenti, luogo non solo di sperimentazioni aziendali ma insediative e infrastrutturali, idrauliche, tipologico-edilizie, fondiarie. Da qui, da questa dimensione ad un tempo fisica e antropica, parte dunque la articolazione dei policentrismo lombardo, la sola realtà macrourbanistica capace di risolvere quella complessità che stà ben oltre la monotonia di una facies agognata e secondo cui la pianura dovrebbe essere vista come uno spazio omogeneo. Sarebbe possibile capirne le potenzialità dei suoi principali vettori senza capirne i caratteri

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originari tanto fisici che antropici? E di queste sue ragioni, di questa sua eminente funzione di scambio l’organismo della città di Milano é, ai tempi di Carlo Cattaneo ancora ben consapevole, cosicchè riuscirà a mostrare come le nuove direttrici continentali ferroviarie debbano essere prima di tutto interconnessioni tra poli di primo e di secondo ordine. E subito a valle della ricostruzione geografica di una articolazone che non è mai compartimentazione, non è mai possibiità di distrettualizzazione entro semplici confini naturali, quali ad es. quelli dati dal bacino imbrifero, ecco stare la dimensione della complementarietà degli spazi lombardi, dei lavoro in essi oggettivato dalla natura prima e dall’uomo poi, e questi spazi nulla possono avere in comune con un semplice spazio euclideo, sono gli spazi ritmati dalle complementarietà delle transumanze, dalle necessità di integrazioni stagionali tra le varie produzioni zootecniche e lattiero casearie, sono gli spazi delle strade maestre delle ferrarezze che gravitano verso gli sbocchi di valle, sono gli spazi delle mobilità lacuali e delle acque interne, canalizie ancor prima che fluviali. Così è che in un tessuto manifatturiero molto articolato come storicamente è quello lombardo la geometria euclidea e il principio di gravitazione newtoniana adottati dalla modellistica dell’economia dello spazio, che teorizzano una configurazione allocativa delle attività di produzione e una centralità urbana guidate dal prius mercantilistico della facilità di esitazione delle merci, sono negate dalla preesistenza e permanenza di uno spessore culturale e antropologico delle funzione urbane di fondazione, viste come eminente luogo di scambi e contatto, ben superiore e dal fatto che questi centri fossero, ab antiquo, luoghi in senso più ampio della politica, capaci così di costruire un intreccio molto ampio di relazioni tra le proprie funzioni di vita associata e di produzione e quelle del proprio territorio. Così è che se la descrizione della vita di una piccola città francese, quale è quella che ci ha lasciato la letteratura tra la prima e la seconda guerra mondiale, se la descrizione delle nostre, italiche, “città dei silenzio” di prima e dopo la grande guerra, non vanno oltre il clichè un pò oleografico e rapidamente consumato, di una lettura sociologicamente epidermica di tali realtà, esse appaiono anzi, e altresì, come quanto vi sia di più lontano dalla realtà di lungo periodo delle piccole città lombarde. Queste non vivono in una compartimentazione assonnata, non possono crogiolarsi nella bella riuscita della produzione agricola dei proprio territorio ( come avviene invece per certi casi di dipartimentazione dello spazio francese ), non vivono sulla rendita goduta da flussi di mercato garantiti dalle proprie campagne ( come avviene per certi casi delle città mediterranee ), ma si’ pongono al centro di un progetto complessivo di attività, di cui, capiliarmente, garantivano la gamma delle “economie esterne” a cui offrivano il supporto dei propri luoghi, delle proprie tipologie, dei propri tessuti microurbanistici, dei propri paesaggi come scenario di ampi e permanenti processi di accuiturazione di massa.

L’IDEA DI CONTESTUALITÀ: CHIOSANDO I CONCETTI DI PROVINCIA E REGIONE

Affrontiamo ora il tema da un punto di vista più generale. Tre diverse matrici genetiche sono prorie dei policentrismo, quella mercantile, quella manfatturiera, quella industriale, molto spesso le abbiamo viste essere compresenti o

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caratterizzare porzioni di armature urbane dello spazio europeo-occidentale e profondamente improntarne conseguentemente attività, comportamenti, caratteri che, volta per volta, ne derivano. Ora, andando oltre il rilievo delle diversità morfologiche ( policentrismi a maglia semplice o complessa, aventi un concentrico fortemente urbanizzato o non ), si da la necissità di leggere il peso delle relazioni funzionali e dei livelli gerarchici che organizzano ogni singolo sistema policentrico. Se nell’area mediterranea, e a ciò non è estraneo il retaggio di una condizione urbanistica d’epoca classica, si assiste al delinearsi di un sistema di policentrismi fondati, molto spesso sulla maglia più semplice - a tre poli - ( e di questo è espressivo testimone non solo lo stato di fatto di sistemi insediativi quali quelli della Tessaglia, della penisola jonico-salentina, della Sicilia orientale, ma, sul lungo periodo storico che ci configura un filo di continuità con l’epoca classica, la toponomastica coi suo attestarci l’esistenza delle molte “Tripoii”, evidenti prodotti di aggiutinazione sinecistica o, a volte di intima federazione ) o su maglie più complesse - a più poli congiunti in un unico poligono - ad es. pentapoli - senza differenziazione gerarchica tra loro, epperò con forti specializzazioni funzionali dei singoli poli ( e anche in questo caso il riferimento toponomastico e il retaggio dei sinecismo come quello della strategia di gemmazione costruita intorno al rapporto metropoli -colonia appare significativo ), nello spazio lotaringico, invece, e in relazione al loro carattere genetico, sempre e comunque più legato alla propria realtà contestuale, tali policentrismi appaiono essere più articolati e organizzati sulla complementarietà e compiutezza dei tre fondamentali livelli gerarchici che li caratterizzano:quelli del primo, dei secondo e dei terzo ordine. Primo elemento emergente fra tutti, allora, è in tali ambiti multipolari, la efficace integrazione funzionale che i tre diversi livelli della gerarchia urbana sembrano potervi svolgere ricorrendo alla ricchezza delle proprie piuristratificate e ben consolidate relazioni storiche. Cerchiamo di leggere più intimamente la diversità intercorrente tra tali quadri. Una caratteristica propria degli spazi lotaringici, ed in particolare delle porzioni manifatturiere di questi, è data dalla capacità imprenditoriale di ribaltare i ruoli produttivi di città e campagna grazie alla esistenza di densità omogenee e comparabili tra le due entità in gioco e, volta per volta, rispettivamente più facilmente mobilitabili nella produzione e alla vivacità dei flussi di scambio che le accomunano. Così è che la provincia in Lombardia o nelle Fiandre ha storicamente un significato forte proprio in quanto spazio che esprime un “arrière pays” una contestualità carica di valenze e di densità. Già, appunto, Carlo Cattaneo ne aveva a suo tempo tracciato una mappa. In questo orizzonte l’articolazione policentrica appare il prodotto di una storia di lungo periodo che si basa su una significativa rivoluzione culturale che fà dei vari luoghi urbani un centro di identità culturale, non centri di un territorio omogeneo ma centri che svolgono una funzione cerniera. Nello stesso senso il sistema olandese delle reti idriche consente lo sviluppo di un uso multiplo delle acque che organizza grafi che favoriscono il massimo di interconnesioni a rete significative dei bacino idrografico, costituendo così i nodi urbani un ruolo aperto sia a livello di bacino che a livello continentale al flusso proveninete dalle campagne. Ciò favorisce il massimo di interconnessione e quindi rompe con I ‘organizzazione univoca propria di una strutturazione ad albero,

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sostituendo a questa una maglia a rete che da alla città un significato eterogenico evidente a livello continentale così come regionale, aspetto quest’ultimo che partendo dalla fine dell’eta medioevale, per la prima volta nell’Olanda dei Seicento acquisirà una sua computa espressione. E’ questo lo spazio di quell’ “Europa piena” che si é venuta consolidando prima delle crisi cicliche delle pesti e che poi, con la rivoluzione della scrittura e l’alfabetizzazione, ha sempre più dato luogo a quella “ galassia Goutemberg”, dotata di un forte carattere urbano capace di svolgere un ruolo propulsivo per i vari contesti specifici e interurbani.

IL PARASTRATO DELLA “GALASSIA GUTEMBERG” : LA RAPPRESENTAZIONE E LE

ARMATURE DI UNO SPAZIO PIENO

Il ritmico pulsare dei nuovo urbanesimo delle città occidentali formato dalla Galassia Gutemberg ha un suo sostrato. Esiste una correlazione, sia pur non di tipo lineare, tra la costruzione dello spazio pieno europeo e l’alfabetizzazione che di questo spazio sarà caratteristica operante a livello di massa. Di questo legame, spesso sottaciuto, Pierre Chaunu si è, più volte, sforzato di fornircene il quadro. Partendo dalle necessità riproduttive di un simile popoiamento, egli ha considerato le implicazioni funzionali possibili che operavano a livello di una trasmissione non consuetudinaria dei sapere, che comportavano la nascita di nuovi sistemi normativi, di nuovi processi e forme di alfabetizzazione funzionale e di mestiere e la costruzione di linguaggi e forme di comunicazione tecnico-specialistici. A “livello alto” è questo un processo che coinvolge la cultura umanistica, “a livello basso” un processo che coinvolge il saper fare artigiano di tipo urbano e molte facies imprenditoriali minute e di massa suddivise nella industria rurale e nel lavoro “à la chambre” dei contesti. Quali, dunque, erano le soglie minime di alfabetizzazione, quali le masse critiche connesse a un tale processo e ad un tale carico di popoiamento? Attraverso i suoi calcoli, certo un pò semplicistici nella loro volontà modellistica, (e i meno significativi ci paiono essere quelli che tendono a riferirsi “al livello alto” delle quantità in gioco legate alle funzioni cultura]-amministrative delle classi dirigenti), si può però ricostruire una geografia dello “spazio pieno” europeo che ci è stata sostanzialmente sottaciuta, è la geografia dei rapporto tra le città e le proprie campagne e dei rapporti tra le città stesse visti alla luce dei processi di accuiturazione che partono dalla campagna. Ed è questo secondo piano ad esprimerci tutta la sua grande forza dinamica. Entro lo spazio della Riforma e della Controriforma si svilupperà quel popolo della Biblefest, che è popolo fortemente alfabetizzato, si costruirà un novo orizzonte della vita associata che oltre il riferimento e il luogo della parrocchia è momento operante a livello di un rapporto interpersonale diretto tra credente e sacerdote. Esso passerà attraverso la figura dei curatore d’anime ( il curato cattolico, il pastore protestante ) , che sarà ad un tempo maestro egli stesso e modello ai maestri futuri e, più oltre nel tempo, guida al definirsi della stessa funzione dei medici condotti. Assistiamo così ad un ribaltamento dei rapporto tra monastero e cattedra. In uno spazio ormai denso,

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in cui la campagna ha un suo stabile e pieno assetto, l’alfabetizzazione ripassa necessariamente per la più potente delle organizzazioni demiche, quella ridefinita, alla luce dei processi insediativi tendenti a recuperare il sostrato dei rapporto diocesi-pieve-parrocchia. In questo quadro, ancora una volta minuto, ma che ancora una volta si esplicita entro la forma di un nuovo urbanesimo, si costruisce il “rumore di fondo” dei processo di alfabetizzazione e è in rapporto ad esso che prende un nuovo significato la dimensione popolare dela stampa, dei libri “de cordeia”, dei fogli volanti. E’ in questo quadro che andrà collocata l’esperienza di “riforma” controriforma borromaica, quel tipo di esperienza “militante” lombarda che opererà una mobilitazione delle coscienze e configurerà una nuova organizzazione demica a partire da una Biblefest figurativa, sostrato importante dei formarsi di una contestualità e di un policentrismo manifatturiero. Ma ecco che, a fianco e al di sopra di questo, lentamente, si inserisce il ruolo nuovo della stampa, il suo livello di interazione, da cui conseguono certe scelte localizzative che dalle prime stamperie si andranno, non poi molto più tardi, evolvendo verso i sistemi di distribuzione delle informazioni periodiche, sostrato che estende i confini dei pristini policentrismi mercantili, dapprima semplici bollettini di informazione per grandi sistemi finanziari multinazionali organizzati intorno a case-madri e che, successivamente, si evolveranno verso quelle forme della stampa periodica, sempre più costruite su quella tempestività e ritmicità dell’informazione che rivolgendosi, in ambito generale, all’opinione pubblica e, in ambito particolare, alla professionalizzazione, necessita di relazioni costruite su una solida armatura urbana. E’ allora, ancora una volta, lo spazio lotaringico ad emergere come spina dorsale di questi centri di irraggiamento, cosicché si può dire che a fianco di un nuovo orizzonte della mobilità-modalità di trasporto, entro tale spazio e irradiandosi da esso, stia un nuovo scenario delle comunicazioni (sistemi postali e di diffusione dei periodici) a cui vedremo legarsi una nuova formalizzazione della diffusione dei sapere, di cui università , prima con il sistema delle stamperie, e Accademie poi, con il sistema della stampa periodica specializzata, diverranno interpreti privilegiati. La “galassia Gutenberg” si affiancherà in questo spazio ad un sistena trasportistico configurando uno di quei tipi fondamentali di accessibilità (quello informazionale) che si affianca, venendo cosi a configurare un carattere proprio dei sistema di questo spazio e un servizio all’economia aperta In tale quadro si alloca una direttrice come fascio infrastrutturale capace di ben integrare delle zonalità dando ad essa una gamma articolata di servizi di trasporto, di informazione, di decisionalità, non come continuum di tendenza insediativa

CONTESTO ED ARRIÈRE PAYS: UNA SINERGIA TRA POLI DEI TERZO E DEI SECOND’

ORDINE

A fianco dei poli che vivono in uno scenario di relazioni continentali e che la stessa ubicazione geografica, quale ad es., quella delle repubbliche marinare, conferma, prendono in questo periodo in Europa occidentale molto vigore poli che alle stesse relazioni estroverse (quali ad es. quelle fornitegli dalle grandi direttrici fluviali),

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aggiungono un sempre più vitale rapporto con il tessuto denso delle loro realtà regionali e che ha come proprio primo orizzonte di relazioni funzionali quello fondato su un rapporto osmotico e sinergico con una campagna che in una dinamica di integrazioni tra strutture dei redditi prodotti e distribuiti, diviene il proprio “arrière-pays”. Come secondo, più esteso orizzonte una strategia di sviluppo di bacino che si basa sulla capacità di essere epicentro di interdipendenza di produzione, come terzo e ancor più esteso ed estremo orizzonte, quello delle linee forza delle direttrici continentali attraverso cui si attuano gli scambi. In questo senso la rivoluzione insediativa medioevale ha dato grande significato e forza ai poli di secondo ordine. Una prima facies di questa armatura urbana policentrica è quella costituita dal proliferare di un tessuto diffuso, ma non storicamente congestivo, proprio di quei poli dei terzo ordine che svolgono uso di città alla scala locale e che dalla letteratura, attenta ad altre realtà nazionali e regionali, sono normalmente riportati alla townmarket o al luogo centrale di un territorio omogeneo. Cosa differenzia, tuttavia, una piccola città-mercato lombarda da una inglese come da una olandese? lnnanzitutto il rapporto diverso, che il mercato vi ha storicamente con le merci, con la società e coi modo di produrre, esso non soltanto è rivolto alle merci e ai beni di consumo, ma esso è piuttoso un mercato dei beni di investimento, in un intreccio tra mezzi, fattori di produzione e capitali; rapporto che ruota - fin dall’urbanesimo romano - intorno al respiro ampio della costruzione di un armatura insediativa, che si lega, ai défrichement, alla nuova messa a coltura, a un progetto di uso dei suolo e di costruzione di paesaggi tra loro integrati, agrari ed urbani. Così questo livello è contraddistinto, nella realtà lombarda, dalla esistenza di centri che hanno svolto, e continuano a svolgere, una fondamentale funzione di amalgama e di contatto tra spazi tra loro disomogenei (valli e piane, pianure asciutte ed irrigue, etc.), tra diverse direttrici e diverse modalità di trasporto, tra diversi sistemi infrastrutturali, ciò che richiede, nel centro stesso, lo sviluppo di una progettualità e di una capacità gestionale consolidata, ciò che vi organizza processi capiliari e di lungo periodo di acculturazione. Ancor oggi ciò comporta la presenza, nel loro seno, di funzioni della vita associata che si estendono ben oltre lo scambio commerciale e la funzione amministrativa: dalla istruzione al culto, dalla sanità alla direzionalità. Il loro ruolo in quanto storicamente centri di coordinamento e promozione dei processi di centuriazione, di disboscamento, di infrastrutturazione viaria ed idraulica, di costruzione di campi e case stabili, resta legato ai processi plurisecolari che hanno fatto di essi parte attiva nella costruzione dei paesaggio di questi territori. I poli del 3° ordine hanno una caratteristica locale ma non nel senso di essere semplici town-market ma in quello dell’essere sede delle funzioni di vita associata in cui un territorio omogeneo o di contatto si rivede come appartenente ad una stessa facies culturale in senso positivo material tecnologico, e critico simbolico, in questo senso di grande valore é la funzione di questi centri nel sistema della “galassia Gutemberg”. Un bacino di produzione é sempre segnato da una compresenza di livelli urbani: vi sono poli dei livello più intimamente connesso con i propri contesti ( i poli del 3° ordine) che si caratterizzano per non solo essere il centro della distribuzione e dello

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scambio di quel tessuto ma anche i luoghi in cui le funzioni di vita associata svolgono un importante ruolo di accuiturazione, formano i caratteri progressivi di una cultura svolgono una funzione dinamica rispetto alle imprese. Ma questi poli del 3° ordine non sono originari della nascita di una cultura urbana essi sono il prodotto di una fondazione propria di una civilisation già ampiamente urbanizzata.

POLI DEI SECONDO ORDINE

Una seconda facies ci è data dall’armatura portante dei policentrismo definita dal livello proprio dei poli dei secondo ordine. Questa articolazione insediativa è costituita da quegli stessi centri che sono da millenni i luoghi in cui l’abitante di un più vasto territorio si identifica, riconoscendovi l’appartenenza a quella data etnia-cittadinanza, quella di bergamasco, di comasco, di bresciano e, molto più recentemente, di monzese o di lecchese o di varesotto. E tutto ciò non casualmente è avvenuto, esso infatti interpreta la città e il suo ruolo come strettamente legati alla sua eminente funzione di contatto: Così è che proprio per i più dinamici sbocchi dei pedemonte, la città si fonda sulla sua prioritaria funzione di nodo di relazione tra ambiti, risorse, culture diverse, articolate in una potenziale complementarietà. Ancora una volta dobbiamo allora ricordare come un tale assetto sia antitetico alla strategia, cara a certa modellistica, che tende a vedere nella città il punto di definizione di un baricentro di un territorio omogeneo. In questo senso tutto ci riporta ad una realtà che è oggettivazione infrastrutturale e tipologica di uno spessore di lavoro che, vagliato attraverso una periodizzazione storica e una successione di modi di produzione originali, non ci pare essere consegnabile alle logiche di sostituzione dei vari modelli neotecnici veicolati dalla letteratura urbanistica fino a partire dagli anni Sessanta e sempre più fortemente ripresi lungo tutti gli anni Ottanta. I poli dei secondo ordine, dunque, al di là dell’essere o meno capoluoghi di provincia (alcuni sono decaduti da questa funzione, altri vi aspirano), sono i loci di deriva genetica di molte innovazioni e interdipendehze produttive. Essi le hanno saputo organizzare durante la fase montante della rivoluzione industriale, essi hanno, di volta in volta, regolato la necessaria osmosi tra città e campagna nella articolazione dei propri fattori di produzione, configurandosi come i principali gangli delle originali forme di sviluppo autocentrato che caratterizzano e articolano il bacino di produzione lombardo. Queste città hanno costituto il terreno fertile di formazione di aree e paesaggi produttivi, come l’area Nord-Est di Novara, quella dei Crosia e della Ticosa a Como, quelle dei Caleotto, dei Gerenzone e dei Caldone a Lecco, quelle dei Mella a Brescia, e delle zone contigue agli scali ferroviari ancora Brescia ed a Bergamo, tutte connotabili con la dizione di periferie storiche e che si caratterizzano per la ricchezza, unicamente alla presenza di una forte infrastrutturazione (coeva allo sviluppo industriale lombardo, 1880-1920), di un sedime storico di funzioni di produzione e di scambio che ne testimonia il ruolo manifatturiero di lungo periodo.

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I poli del 2° ordine sono, se assunti per il loro ruolo di riferimento della organizzazione di bacini di produzione e di armature urbane di più ampi bacini economici, prodotti posteriori, legati come sono a sistemi di produzione manifatturieri, essi hanno come i poli del 3° ordine, per molti versi una origine postclassica, il loro sviluppo sarà in particolare massimo durante le rivoluzioni industriali quali centri di polarizzazione di interdipendenze di produzione, quali centri di ambiti manifatturieri non semplicemente monocuiturali. In questo spazio i poli del 2° e 3° ordine svolgono un ruolo culturale e produttivo molto intenso il loro contributo alla acculturazione materiale e spirituale é stato infatti straordinario: in questo spazio il riscatto rispetto al rischio di una monocultura risolta appunto nel rapporto culturalmente omogeneo, compattamente risolto, di città e campagna si basa su interdipendenze di produzione regionali a rete, sulla capacità imprenditoriale di ribaltare i ruoli produttivi di città e campagna grazie alla esistenza di densità omogenee e comparabili tra le due entità in gioco e volta per volta rispettivamente più facilmente mobilitabili nella produzione e alla vivacità dei flussi di scambio ( cultura materiale e cultura amministrativa, cultura spirituale e livelli di alfabettzzazione e mutazione di sensibilità: ]i caso della Lombardia dei Seicento. Ossia della Lombardia borromaica è da questo punto di vista esemplare.

IL VERIAGSYSTEM E I POLICENTRISMI MANIFATTURIERI

questi aspetti della cultura simbolica entrano in stretta connessione con quelli della cultura materiale e si fanno sintesi degli scenari produttivi. Ció ha profondamente modificato il tipo dei rapporti che si davano tra nucleo urbano e territorio, in questo senso possiamo dire che fin dall’epoca comunale si sia attivato, in questa area, un processo di superamento delle presunte rigide determinazioni precapitalistiche di una divisione dei lavoro che attribuiva alla campagna la sede di un lavoro che non aveva neppure la dignità di tale nome (era “travaglio”, fatica fisica non creativa) e alla città la funzione deputata di sede della “tecnè”, sede dei lavoro specializzato e dell’artigianato che come luogo dei produttore dello “chef d’oevre” era depositaria dell’avanzamento produttivo-tecnologico. In questo spazio i poli del 2° e 3° ordine svolgono un ruolo culturale e produttivo molto intenso il loro contributo alla acculturazione materiale e spirituale é stato infatti straordinario: in questo spazio il riscatto rispetto al rischio di una monocultura risolta appunto nel rapporto culturalmente omogeneo, compattamente risolto, di città e campagna si basa su interdipendenze di produzione regionali a rete, sulla capacità imprenditoriale di ribaltare i ruoli produttivi di città e campagna grazie alla esistenza di densità omogenee e comparabili tra le due entità in gioco e volta per volta rispettivamente più facilmente mobilitabili nella produzione e alla vivacità dei flussi di scambio ( cultura materiale e cultura amministrativa, cultura spirituale e livelli di alfabettzzazione e mutazione di sensibilità: il caso della Lombardia dei Seicento. Per un lunghissimo tempo la letteratura urbanistica, e non solo essa, ha ricostruito le relazioni tra città e contesto come se queste fossero rette dal plurisecolare cliché di una rigida divisione dei lavoro intercorrente tra città e campagna, ciò potrebbe essere vero qualora il sistema normativo fosse riferimento univoco ed assoluto di una realtà

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socioeconomica, ma è che le dinamiche della economia sostantiva di individui, famiglie ed imprese si muove ben al di là di esangui orizzonti normativi dettati dal tentativo di mantenere un dato rapporto di forze, un dato status quo ante. In tal senso il divenire delle relazioni tra questi due poli, della città e dei proprio contesto, è l’aspetto che meglio esprime, agendo su un processo di contrapposizione e crescita operante in senso dialettico, il significato dei termine “sviluppo”. Tale policentrismo meglio esprime, altresì, il significato dei termine “sinergia”, presentando una ricchezza di interdipendenze tra poli dei primo, secondo e terzo ordine capace di esaltare la specificità dei loro reciproci ruoli. La presenza di paesaggi fondati su una agricoltura intensiva, la presenza di stabili, piccoli centri post in rapporto con le complementarietà dei diversi paesaggi agrari, la presenza di luoghi di identità culturale di un demos, la presenza di nuclei specializzati operanti entro orizzonti di scambio continentale, la mobilità e i continui, osmotici flussi e relazioni tra questi diversi livelli, tutto spiega il definirsi di una organica e complessa unità regionale e contestuale policentrica E’ infatti in questo senso che va letto il significato delle alte densità insediative che caratterizzano contesti quali quelli della Fiandra e della Lombardia, rilevate da Carlo Cattaneo, ben prima dell’insorgere dell’urbanesimo e delle conurbazioni indotte dalla rivoluzione industriale. E’ questa, dunque, una ricchissima contestaulità di arrière-pays ed è questo tipo di contestualità ad aprirci la strada alla individuazione di un secondo tipo di policentrismo, quello appunto manifatturiero. Esso è quello che meglio caratterizza gli ambiti padani (lombardo, veneto, emiliano), la regione di Zurigo e il Wuerttemberg. Tali ambiti territorilali nel loro divenire industriale si caratterizzano non solo per una forte presenza di poli urbani - le cui relazioni non sono quasi mai di tipo conurbativo - ma anche per una forte densità insediativa delle loro campagne. Qui è la tradizione di bacino manifatturiero a pesare in modo decisivo, più della estroversione finanziario-commerciale delle relazioni continentali; ossia il rapporto, mai corporativamente univocamente chiuso tra città e campagna. La ricchezza delle possibili interdipendenze produttive vi assume ruolo determinante, essa favorisce la crescita di servomeccanismi nella rete interpolare delle relazioni produttive stesse, essa aiuta a configurare la definizione di alcuni centri dirigenti dei processo di sviluppo manifatturiero, mentre la forte presenza di poli dei terzo ordine e la densità insediativa delle “campagne” costituiscono quella contestualità capace di rendere l’arryère-pays non subalterno ai centri urbani principali, ma in grado di interagire sinergircamente con essi. Tutto ciò spinge a dare grande valore entro tali bacini al definirsi di armature urbane di tipo policentrico, configuranti un’area metropolitana non riportabile a una descrizione sociologica di comportamenti omogenei, ma piuttosto sostenuta da solide interdipendenze proprie dei bacino economico-produttivo che ne è riferimento; tutto ciò spiega, infine, perché - in tale scenario - si dia grande valore allo spessore storicamente assunto dal sistema manifatturiero che ha preceduto ed è stato supporto all’avvento di quello industriale. Ne consegue una organizzazzione “a rete” e una’ gerarchia funzionale che differenzia profondamente la città europea occidentale dagli altri urbanesimi qui ciò che diviene fondamentale è il diverso rapporto che si instaura tra la città e il proprio contesto.

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LA STRATEGIA Di CONCENTRAZIONE METROPOLITANA

LA CITTÀ MONDIALE E L’EXTRAVERSIONE DELLO SVILUPPO

Nella storia dell’Europa d’epoca moderna il plasmarsi di una nuova idea di metropoli non passa né attraverso le alterne vicende degli imperi europei, né attraverso il rapporto di colonizzazione (che nulla ha in comunione con l’accezione greca), né attraverso la nascita di stati assoluti nazionali dove la “città capitale” assurge e chiarisce la sua funzione di “caput” di una piramide di gerarchie amministrative urbane, ma non si definisce perciò come “metropoli”, esso passa piuttosto attraverso concetti nuovi legati al rinnovantesi sviluppo della grande città e della sua condizione macroeconomica di città che appartiene ad un nuovo sistema quello dell’ “economía-mondo” e che nella “implosione”, come concentrazione urbana di attività, trova la sua immagine più espressiva. In questa luce avrà allora senso parlare di una “strategia metropoli” non come semplice proiezione di un dominio su un territorio, più o meno esteso, ma come costruzione di nuovi rapporti eterogenei e eterogenei, quali sono quelli che daranno vita alle “città mondiali”. Così avrà senso parlare di “strategia metropoli” in funzione di una “massa critica” che si espande e che afferma condizioni di sviluppo differenziali di questi grandi centri rispetto agli intorni regionali e nazionali. Per lungo periodo il polo dei primo ordine, in particolare nella tradizione delle città-pofto, come città ganglio di relazioni contientali, troverà la propria specificazione d’epoca moderno-contemporanea nella “città mondíale”. Esso è cioè legato al quadro dei formarsi della economía-mondo ed è dunque connesso ad un sistema di extraversione economica molto potente, in tal senso può anche saltare i rapporti con il proprio “arrière - pays”, essere sostanzialmente indifferente al rapporto con esso, come ci mostra l’esempio delle più grandi repubbliche marinare ( Genova e la prima Venezia ) e nel Settecento di Londra ( non però dell’Amsterdam dei “secolo d’oro”). Perché queste città si configurino come le “serre calde” dei processi di “civilisation” esse devono dìvenire tramite creativo tra processi di sviluppo autocentrato e processi di sviluppo estroverso. I poli dei primo ordine recuperano una antichissima tradizione- storica Ma la ragion d’essere prima della città é la sua capacità di unire ad una condizione di sviluppo fondato su strategie autocentrate la sua nodale funzione di ganglio della extraversione economica. E’ questo il caso della rivoluzione urbana neolitica, ganglio relazionale di diversi generi di vita e di relazioni di scambio giocate su transumanze continentali, e ciò contrariamente a quanto continua ad essere proposto da una lettura positivista e funzionalista della città vista come prodotto conseguente e, quindi, susseguente alla disponibilità di un surplus agricolo proveniente da una area omogenea. Con l’avvento dell’epoca moderna, di fianco alla densa armatura insediativa dell’asse centrale europeo-occidentale si sviluppa dunque, ai margini e al di fuori di

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esso, un nuovo elemento macrourbanistico promotore di un diverso sviluppo; quello, ancor prima che delle “città capitali”, delle “città mondiali”, contraddistinto dalla capacità di questi poli di operare alla scala deli”’ecumene”. Al modificarsi dei quadri della mobilità continentale, al modificarsi degli areali e delle strutture dei mercato conseguono nuovi quadri perfettibili sul piano delle armature insediative.e non solo nuovi comportamenti macro e nuove correlazioni tra le grandezze, una città di livello gerarchico elevato deve per sopravivere sempre essere tramite tra funzioni di produzione autocentrate e forme di iniziativa economica estroverse. In questo processo la “rivoluzione urbana” é un elemento cardine non consegnabile alle sole analisi sulle “condizioni di vita” misurabili attraverso standard contabili, ma va vista come processo fenomenicamente rilevante: non é solo la crescita aggregata di popolazione a contare é il modo in cui a livello sostantivo modificandosi gli spettri dei rapporti tra imprese e famiglie, tra reddito prodotto e reddito distribuito, si modificano quei quadri di atteggiamenti, sensibilità, mentalità collettive, quei concreti atteggiamenti demografici, quelle forme di consumo che creano a livello delle strutture microurbanistiche quei fermenti che inducono poi con i loro fenomeni e con la loro dimensione aggregata quelle mutazioni macro economiche e urbanistiche. L’emporio che organizza un punto di rottura di carico continentale viene ad avere una dinamica nuova oltre che un consolidamento: esso necessita di nuove forme di credito, di garanzie che consentono un accrescimento della circolazione monetaria ed in particolare della sua velocità che si dissociano dalla effettiva transazione fisica della merce così per ese sulla base di valore ipotecario si costituiscono magazzini generali che garantiscono la buona conservazione di merci non deperibili, la loro qualità che però non svolgono tanto la tradizionale funzione dei “monte “ (per es. la cassa di risparmio di Milano aveva ancora il monte delle sete che si farà magazzino) ma si formano piazze di mercato di determinati prodotti e quindi si integrano alle borse merci”. Ciò contrasta la staticità della funzione annonaria che configurava condizioni di protezionismo e forme chiuse di circolazione della ricchezza e configura una nuova veste dinamica che integra finanza a commercializzazione e apre uno sbocco di mercato alla produzione manifatturiera legata alle materie prime e ai semilavorati.

L’IMPORTANZA DELLA MASSA FISICA DELLA CITTÀ: NON SOLO UNA QUESTIONE

DEMOGRAFICA, NÈ SOLO UNA IMMAGINE LETTERARIA

Si prenda ad esempio la Londra descrittaci da Addison essa è un brulicare di merci ancor più che di persone, eppure questi apparenti moti browniani hanno un ordine non meccanico ma probabilistico, hanno un ordine statistico, una variabilità stocastica che configura dei limiti di evoluzione che ci si impegnerà a riconoscere. E’ questo l’aspetto più soggettivamente significativo della città d’epoca moderna. Nella prima fase di questo processo la metropoli occidentale ha visto trasformarsi profondamente i propri modi di vita. Quella che era una tradizionale “tomba

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ecologica” che era costretta a richiedere continuamente alla campagna e quindi ali’ immigrazione di più ampio raggio nuove umane risorse, iniziava, divenendo la sede di modificati comportamenti demografici ad essere lo scenario di riferimento di una profonda trasformazione della concezione della famiglia e dei ruolo dei singoli individui nella società. e tutto ciò aveva un grande influsso sul mutamento dei comportamenti sostantivi di famiglie ed imprese. Quando, cioé, non solo i vantaggi posizionali o la gerarchizzazione delle funzioni urbane presentarono condizioni favorevoli allo sviluppo della grande città, ma la stessa crescita della sua massa fisica, divenuta un significativo e costante trend di medio periodo, riesce a legare a sè una serie di dinamiche macroeconomiche indirizzate verso un processo di sviluppo che superando i legami con il proprio intorno territoriale da corpo a un processo di extraversione economica di grande rilievo. Così vi si accresceva il peso dei reddito pro-capite, vi si definiva la struttura monetaria dei bilancio familiare, si formava il senso di un reddito prodotto visto come un “valore aggiunto” non più quindi visto come intrinseco valore e qualità d’uso di un bene, rettaggio resistente di una visione aristotelico-scolastica dei lavoro artigianale, ma in quanto incremento di valore che si oggettivava nel prodotto attraverso il succedersi di fasi manifatturiere e commerciali, vi si definiva l’insolubilità dei nesso tra manifattura e servizi. Difficilmente queste città sono I ‘epicentro di trasformazioni produttive settoriali e di grandi innovazioni tecnologiche, di incrementi materiali di produttività, ma sono però le sedi elettive dei nuovo brodo di cultura della ricchezza, le serre calde della sua produzione, dunque centro di un articolarsi di funzioni di produzione e della vita associata che dà vita ad un processo sinergico ma polarizzato di sviluppo. Ma questo carattere polarizzante della città non é univoco, una città cresce culturalmente ed economicamente anche per “implosione”, l’addensarsi di uomini é infatti il prodotto di una pulsione all’implosione che spesso strati o intere classi sociali emergenti attivano e ciò normalmente in contrasto con i ceti dominanti: questi “deraciné” “sence feu ni lieu ni aveu” codificano in senso critico il modo di essere della massa fisica della città e la costringono a sviluppare una nuova cultura materiale dell’edilità, a attivare nuovi centri e forme di scambio e di produzione, per questa via si fonda una nuova coerenza macroecononica che trova nella città un suo prioritario punto di definizione e ciò rapidamente si trasforma in un mutamento dello statuto culturale della cittadinanza e nella definizione di nuove forme di sensibilità collettiva, di strutture dell’immaginario che rinnovano quella realtà culturale che altrimenti sarebbe andata soggetta ad un declino a cui la chiusura endogamica l’avrebbe portata.

NATURALIZZAZIONE DEI CONFINI E RETI NAZIONALI : LA CITTÀ CAPITALE E LO STATO-

NAZIONE TERRITORIALE

Per altro verso, sufficientemente evidente é il fatto che una “strategia metropoli”, nell’ambito europeo sia stata spesso supportata anche dallo sviluppo della sua

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condizione di “città capitale” di un consolidantesi stato nazionale territoriale e quindi si sia in molti casi fondata sul ruolo accentratore e statalistico della funzione di direzionalità operante entro un tale processo. Questa non solo si legava alla allocazione delle funzioni amministrative ma si nutriva di ciò che sul quadro della accessibilità si costruiva come condizione differenzialmente positiva rispetto ad altri centri. L’esempio più noto ci è dato dal sistema delle strade nazionali francesi e dalla famosa scuola di progettisti che le ha ideate a partire dal Seicento ribaltando i concetti guida non solo del disegno delle carregiate, delle sezioni e delle opere d’arte che consolidavano il nuovo tracciato ma anche quello della manutenzione e della mobilità, ossia del flusso che si sarebbe servito di queste. Una simile impostazione è stata tanto importante da definire una prospettiva di lungo periodo cosicchè se noi compariamo tra loro due immagini: quella della rete urbana delle postali dei seicento e una vista dal satellite dell”’exagone” ne emerge una compartimentazione della Francia in cui i poli dei 30 ordine paiono avere una loro definizione e messa a regime nella situazione francese fino a partire dal seicento.

LA STRATEGIA METROPOLI NELLO SVILUPPO DELL’URBANESIMO EUROPEO DI EPOCA

MODERNA E CONTEMPORANEA

Così questa idea delle grandi città che con la loro massa critica svilupperanno economie di scala che appariranno sempre più rilevanti intorno a un punto di rottura di carico, mostra tutto l’effetto trainante e le potenzialità insite in una tal strategia. In tal senso fino al periodo delle ricostruzioni postbelliche compreso si imponevano, nell’urbanesimo dell’Occidente, fatti agglutinanti dati, da un lato dal primato di un “punto di rottura di carico” del livello continentale, quale il porto o il grande nodo ferroviario, dall’altro, il primato della funzione gerarchica della “città capitale” o della “città mondiale”. Ciò ha avuto l’effetto di creare una condizione accelerata e differenziale di sviluppo, facendo di questi stessi poli i luoghi deputati della definizione della metropoli tradizionale Questa era vista come un centro di implosione di uomini e risorse provenienti da un ampio territorio e che in esso trovavano nuove occasioni di reddito e di emancipazione. Il sistema dei trasporti ferroviari, da questo punto di vista, é stato il fattore di più ampio rilievo: il fatto di divenire un “porto in terra” che si organizzava intorno alle “stazioni di testa” ha, non solo riorganizzato il quadro della ecologia manifatturiera e della commercializzazione, ma ha anche visto abbinarsi ad esso la funzione di smistamento e di scalo. Ciò ha voluto dire una rete capace di organizzare i raccordi ferroviari, le officine di riparazione, un livello di diffusione della infrastrutturazione di trasporto, che favoriva il costituirsi di azzonamenti di produzioni industriali dei settore meccanico, al servizio non tanto della città quanto dello sviluppo autocatalitico dei proprio bacino di produzione.

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la direttrice viaria che ne appare é un fascio infrastrutturale che organizza diverse “facilities” tra maglia dinamica e tendenza insediativa, che si integra a sistemi infrastrutturali naturali (reti e sistemi idrologici La “strategia metropoli’ consolidatasi nella seconda fase della rvoluzione industriale si é basata sostanzialmente su tre convergenti condizioni: a) l’ímplosíone nella metropoli dei diversi fattori di produzione, e quindi in un senso più ampio della popolazione e dei risparmi-investimenti catalizzati proprio dalla funzione di crescita dualistica che contraddistingue questo spazio, in cui si manifestavano appunto nuove vantaggiose condizioni nella formazione di reddito; b) l’agglutinamento delle diverse imprese industriali che nella definizione degli spazi delle consolidate aree produttive delle ‘periferie storiche’ vedeva costituirsi un “brodo di cultura” diverso da quelli tradizionali dell’arrièr-pays a prevalente indirizzo monocuiturale fondato su intrecci orizzontali e verticali della produzione a più ampio spettro; c) la ricerca, da parte dei sistema dei trasporti di “economie di scala’ sempre crescenti e che erano aziendalmente perseguite attraverso una logica di concentrazione nel nodo urbano privilegiato piuttosto che in una di diffusione in vari punti delle reti nazionali. Era questa logica che per certi versi giustificava il successo di una definizione altrimenti inespressivo nella sua. rozzezza, come quella di Gras con cui, come già ricordato, “per economia metropolitana si intende il concentrarsi dei commercio di una grande area in un unico grande centro”. Ma, ben al di là dei meccanicismo che questa definizione sottende, tale realtà e tale primato metropolitano andranno storicizzati collocandoli nei processi di lungo periodo che si sono venuti sviluppando con il passaggio dall’epoca moderna a quella contemporanea. Questo centro, caratterizzato da un differenziale di crescita fortemente ad esso favorevole rispetto a quello della restante porzione regionale e dell’intera nazione, era spesso portato a saltare gli stessi rapporti con il proprio ‘arrièr - pays’, attivando funzioni di crescita di tipo “dualistico” rispetto alla intera, propria, realtà nazionale Questi casi sono attestati in una prima fase dalle “cíttà-mondialf’; la Londra settecentesca, la Parigi ottocentesca, la Berlino dei consolidamento dell’impero prussiano, poi, in una seconda, da entità più definite in rapporto ad una scala di bacino come Zurigo, Milano, Monaco di Baviera. Ciò avviene quando questi centri ancorati ai loro densi bacini insediativi ancor prima che produttivi divengono non solo epicetri ma punti di implosione delle seconde e terze fasi delle Rivoluzioni industriali, attingendo a risorse. lavoro, capacità imprenditoriali provenienti da questi.

I DUE SCENARI DELLE ECOLOGIE DELL’INDUSTRIA DI BASE E DELL’INDUSTRIA

MECCANICA

Se dal punto di vista dello sviluppo hanno poco significato i quadri zonali omogenei ancora meno lo hanno le determinazioni di macrozonalità omogenee : terre a loess, altipiani e tavolati, molto più lo hanno i quadri vallivi con il loro intreccio e divagare

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nelle parti terminali dei bacini idrografici, là dove essi configurano una cassa comune di risparmio di terreni alluvionali, intreccio vivissimo di reti e falde che pongono a fianco di tali potenzialità stimoli e problemi di risoluzione ingegneresca nella costruzione di un paesaggio instabile e divagante nelle sue direttrici geofisiche. Abbiamo da questo punto di vista già constatato come gemellaggi e complementarietà zonali, abbiano dato vita in modo tra loro diverso ma in entrambi i casi significativo a quei policentrismi mercantil-manifatturieri delle fosse e delle pieghe e a quei policentrismi industriali degli zoccoli. Ora,a tal proposito, il policentrismo posto lungo l’asse ercinico zona di contatto trasversale rispetto all’asse dei Reno, mostra quali integrazioni si siano date tra piana e montagna e come queste siano state fondamentali supporto allo sviluppo industriale. Qui han preso vita processi che non sono stati la banale espressione di “posita” evolutivi di una tecnologia, di un governo di un insieme di risorse, etc; Al modificarsi dei quadri della mobilità al modificarsi degli areali e delle strutture dei mercato dei semilavorati e delle materie prime conseguono nuovi quadri perfettibili sul piano delle armature insediative. Qui i grandi azzonamenti produttivi si basano sul consolidamento entro perimetri urbani della industria di base, ossia legata alle prime fasi di lavorazione delle materie prime, in particolari siderurgiche, quando non, come appunto nelle aree dei relitti ercinici, alle stesse fasi estrattive. A ciò andrà legato il fatto che nella seconda metà dell’ottocento si sono sviluppate nuove cognizioni e nuove capacità di organizzazione dei processi della chimica inorganica, in base a cui si sono consolidate forti interdipendenze produttive tra i primi cicli di lavorazione delle materie prime, quindi si sono andate sviluppando forti spinte all’interno di strutture dirigistiche, alle integrazioni funzionali interne all’industria di base. Industrie che come abbiamo detto si sviluppano sul binomio carbone e acciaio. Parallelamente le produzioni di base della chimica inorganica, la prima chimica di produzione di massa significativa che spesso é integrata ai bisogni dell’industria di base metallurgica e di quella estrattiva delle materie energetiche metterà in campo processi di sintesi paralleli non semplici elaborazioni di massa nella catena verticale dei sottoprodotti a cascata come era della bottega artigianale della chimica settecentesca (italiana per es.) Così è che le industrie di base della siderurgia e della cantieristica presentano un quadro interno di impresa che nella singola unità locale richiede sempre più una disponibilità energetica elevata per la movimentazione dei pezzi, ciò favorirà carpenteria pesante e caldareria. Questa industria e in particolare l’industria di base entreranno nel paesaggio urbano per le relazioni ecologicamente stabili che costituiranno lavoro permanente con relazione permanente casa-lavoro e con continuità occupazionale presso la stessa impresa. Motori primi e trasmissioni tramite cinematismi e dinamismi rigorosi configurano nuovi piani verticali e orizzontali di organizzazione e disposizione delle superfici interne; 1 ‘unità di produzione locale diviene un elemento importante di progettazione. L’ ecologia dell’ industria di base è poi profondamente segnata dal fatto dello stare in rapporto con una armatura nazionale e un mercato nazionale in formazione, esse

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come industrie protette investono aspetti geopolitici e macrourbanistici come quelli dei fronte a mare, alla condizione dell’approvigionamento energetico. Macrourbanisticamente dalla seconda metà dell’Ottocento questo fatto diviene sicuramente rilevante grazie al modo con cui si sono date nuove condizioni e nuove capacità di trasporto dell’energia e di organizzazione dei processi chimico-fisici di trasformazione della materia. Vi sono altresì situazioni in cui essendo la dotazione dei capitale fisso inferiore a quello dell’industria di base e che meno evidenti appaiano nell’azzonamento funzionale ma che più forte presentano aspetti di interdipendenza e di legami con il bacino di produzione nella organizzazione dei diversi fattori che entrano in gioco nella produzione e particolarmente significativo appare il loro modo di relazionarsi al fattore lavoro, al cambiarne i comportamenti di noli e fitti di integrazione tra reddito prodotto e distribuito di organizzazione dei bilancio familiare, di investimento nelle future generazioni. L’acculturazione di massa connessa con la seconda rivoluzione industriale implica il passaggio da una meccanica che si dà come mondo dei pressapoco, che opera per successivi tentativi sul prototipo a un mondo della precisione che produce sulla base di cataloghi della produzione standard, che applica i criteri di controllo delle tolleranze, che fa prove non distruttive dei materiali, che ne controlla i comportamenti fisici sotto sforzo, che ne dichiara le reazioni a agenti chimici, etc. E’ questa una cultura che integra quella che veniva dallo universo culturale dei banco di prova e dell’attrezzaggio delle macchine utensili là dove la prima rivoluzione industriale non controllava ancora con rigore i cinematismi e i dinamismi degli attrezzi nella produzione di oggetti passante attraverso trasmissioni dei movimenti lineari, rotatori, o più complessi. Con l’ingegneria meccanica si dà sviluppo ad un nuovo campo della fisica quello della “fisica dell’irreversibile”: una fisica che si interessa dell’energia della sua trasmissione e della sua produzione tramite motori primi, una fisica che ha uno straordinario impatto dinamico nella definizione di nuovi sistemi infrastrutturali e di una nuova ecologia della produzione l’elettrotermomeccanica si configurerà in questo caso come la prima grande industria motrice. Tali industrie tendono a consolidare più una logica di bacino che una logica di armatura nazionale e ancor più a collocarsi in prossimità di nodi eterogenici, si veda il caso di Milano e dell’industria elettrotermomeccanica. E I’ ecologia dei settore meccanico: grazie alle sue funzioni autotrofe e autocatalitiche é in grado di sviluppare una ampia serie di interdipendenze per lo sviluppo “autocentrato”. In tal quadro emerge anche il carattere propulsivo dello scalo urbano, esso richiede un grande azzonamento, si integra al rimessaggio alla manutenzione e allo smistamento, crea dei vantaggi connessi non solo alla commercializzazione legata al punto di rottura di carico ma anche alla produzione innovativo, si lega alla meccanica tecnologicamente avanzata connessa ai problemi della fisica dello irreversibile e che viene in gran parte prodotta dalla domanda infrastrutturale stessa che poi si riverbera sulla giobalità dei sistemi di trasporto e sulla intera industria come ricaduta. Berlino é da questo punto di vista l’esempio più probante Dove gli insiemi di stazione scalo sono quadro di soluzioni zonali agli azzonamenti produttivi e teste di ponte nella città di interi settori territoriali di confluenza.

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Questa politica degli interventi ferroviari opera al contrario della soluzione parigina che conferma un radiocentrismo fondato come é su un triangolo interno che accentra scambi e funzioni congestive tende ad attestare il quadro della nuova organizzazione urbana sulle relazioni che intorno alla cerchia dei ring si sviluppano, in alcuni casi come é quello di Vienna la Metropolitana si attesta direttamente sul ring stesso. Milano pur non avendone il rango e pur non adottando concludenti soluzioni dal punto di vista di un sistema urbano efficiente a livello della risoluzione dei nodo e delle funzioni di vita associata che avrebbero dovuto configurare alcune efficaci soluzioni microurbanistiche invece mancanti, farà propria, anche se un poco tardivamente, il modello delle stazioni centrali di testa. Ma a questo punto vorrei introdurre una riflessione, contrariamente a quanto la letteratura urbanistica afferma non è nelle grandi “città capitali” che tale processo è stato massimamente foriero di innovazione e sviluppo e la stessa Berlino risente di una esprienza urbanistica già sviluppata nelle piccole medie città capitali dei piccoli stati, dei principiati, la politica delle “Hauptresidenzstadt” anzichè sonnolenta è stata infatti fino alla prima metà dell’Ottocento, e questi semi hanno continuato a fruttificare anche successivamente. Foriera di grandi innovazioni nella costruzione di un trinomio quasi inscindibile tra corte, stazione centrale e cultura politecnica. Tale politica ha saputo sviluppare una polarità così efficace da configurarla come attivamente connessa al proprio arrière pays sul piano della definizione di sviluppo autocentrato, in altri termini essa ha così saputo svolgere ruolo dal punto di vista della definizione delle interdipendenze di produzione. Tale Hauptresidenzstadt é il centro in cui precipitano delle relazioni produttive contestuali oltrechè queste nel suo stesso seno si sviluppano.

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DALLA STRATEGIA METROPOLI ALLA STRATEGIA POLICENTRICA

DALL’IDEA DI AREA METROPOLITANA. ALL’IDEA DI AMBITO METROPOLITANO

Chiudevamo la lezione passata ricordando come il meccanicismo che questa definizione “ strategia metropolitana” sembra sottendere, vada sottoposto ad una attenta critica e come tale realtà non sia affatto un dato ineluttabile dell’urbanesimo e vada storicizzata, a tal proposito abbiamo cercato di collocarla nei processi di lungo periodo che si sono venuti sviluppando con il passaggio dall’epoca moderna a quella contemporanea. Fino al periodo delle ricostruzioni postbelliche compreso si imponevano, nell’urbanesimo dell’Occidente, fatti aggiutinanti dati, da un lato dal primato di un “punto di rottura di carico” dei livello continentale, quale il porto o il grande nodo ferroviario, dall’altro, il primato della funzione gerarchica della “città capitale” o della “città mondiale”. Ciò ha avuto l’effetto di creare una condizione accelerata e differenziale di sviluppo, facendo di questi stessi poli i luoghi deputati della definizione della metropoli tradizionale Questa era vista come un centro di implosione di uomini e risorse provenienti da un ampio territorio e che in esso trovavano nuove occasioni di reddito e di emancipazione ( C.dL) Era questa logica che per certi versi giustificava il successo di una definizione altrimenti inespressivo nella sua rozzezza, come quella di Gras con cui per economia metropolitana si intende il concentrarsi dei commercio di una grande area in un unico grande centro”. Ma, ben al di là dei meccanicismo che questa definizione sottende, tale realtà andrà storicizzata collocandola nei processi di lungo periodo che si sono venuti sviluppando con il passaggio dall’epoca moderna a quella contemporanea, quando, cioé, non solo i vantaggi posizionali o la gerarchizzazione delle funzioni urbane presentarono condizioni vantaggiose alla grande città, ma la stessa crescita della sua massa fisica, divenuta un significativo e costante trend di medio periodo, riesce a legare a sè una serie di dinamiche macroeconomiche indirizzate verso un processo di sviluppo. Questo centro, caratterizzato da un differenziale di crescita fortemente ad esso favorevole rispetto a quello della restante porzione regionale e dell’intera nazione, era spesso portato a saltare gli stessi rapporti con il proprio ‘arrièr - pays’, attivando funzioni di crescita di tipo”dualistico” rispetto alla intera, propria, realtà nazionale

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UNO SVILUPPO (O UNA CRESCITA ?) BASATO SULLO SQUILIBRIO DUNQUE ?

Ora appunto di questa realtà metropolitana vorrei richiamare alla vostra attenzione qualche cosa che è di più di un semplice indizio di crisi. Alla ricchezza e al lussurregiamento delle forme di vita e di espressione che si sono connesse a questo processo di crescita e che lungo tutto Settecento e L’ Ottocento, si sono incarnate nella nascita dei genere letterario dei romanzo, di cui appunto la grande città con la sua massa fisica sarà luogo di elezione, fa da contrappunto la contemporanea crisi stessa dei romanzo che é in gran parte crisi di questa identificazione, la povertà complessiva di immagini letterarie e figurative che si attagliano a questa entità, indizio di crisi dei sicuri valori che erano stati di una civilisation urbana, dove aveva operato il concreto di quella massa fisica e i luoghi che sono stati sede dei grandi processi di emancipazione di strati e classi sociali consapevoli dei fatto che andavano costruendo una nuova civiltà con i suoi nuovi valori. E tale fenomeno emerge progressivamente a partire dagli anni Cinquanta. Ciò spiega una difficoltà, essa è quella dei trovare nuovi riferimenti capaci di andar oltre quel resistente modello. Consentitemi a tale proposito di riprendere una affermazione che facevo a metà degli anni Ottanta: “La prassi definibile cone “strategia metropoli” ha caratterizzato per lungo tempo le politiche di intervento di urbanisti e di amministratori, e, da lungo tempo, essa é ideologicamente fondata sul modello dei primato di crescita di un centro urbano gerarchicamente assurto a livello di polo dominante, dalla “città capitale” alla “città mondiale” degli urbanisti, dai “luoghi centrali” alla “città regione” dei pianificatori. Oggi, però, nessun amministratore, neppure tra quelli che ancora inseguono le politiche dei primati, malgrado il fatto che questa strategia continui ad essere ideologicamente molto resistente, si può esplicitamente porre come obbiettivo quello di perseguire nei modi e nelle forme in cui essa é stata veicolata fino a tutti gli anni Sessanta, tale strategia e ciò in quanto trasformazioni strutturalmente troppo rilevanti sono intervenute nel quadro insediativo, tanto da ribaltare gli andamenti storici, così, a fronte di un centro che in alcuni casi periclita addirittura sta un ambito territoriale, una volta considerato come periferico, che invece vede accrescersi le sue grandezze macroeconomiche con trend spesso superiore a quello dei concentrico”. Ciò malgrado questa fondamentale inversione di tendenza continua ad essere fino ad oggi sottovalutata per la portata storica che essa implica. Già P. Hall, or sono più di trent’anni fa, aveva rilevato come i sistemi metropolitani policentrici si trovassero in presenza di fortissimi prerequisiti allo sviluppo , e sempre più in prospettiva, di minori problemi rispetto a quelli delle grandi aree metropolitane e delle città milionarie. Questi problemi riguardavano in particolare due questioni di fondo: - quella di una sempre maggiormente crescente diminuzione di produttività a livello dei trasporto collettivo (in presenza di un conflitto che si accresce con il trasporto privato) in quanto la tracimazione comporta dislivellì di densità tra centro e area complessiva e una sempre più manifesta concentrazione della domanda in fasce orarie date in presenza di macroazzonamenti funzionali che sviluppano dislivelli straordinari tra una ecologia diurna e una notturna, - quello dei definire una strategia di “casa servizio-sociale” non semplicemente basata su un inseguimento dei “fabbisogno arretrato” e su una ragioneria degli standards.

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Ma domandiamoci è tutto ciò solo l’espressione di un aspetto congestivo e di uno spostarsi dei comportamenti verso la superiore “qualità della vita” delle città medie ? Nel momento in cui i sistemi di produzione trovano nuove modi di integrazione tra invisibies e produzioni tra terziario e secondario, nel momento in cui il fordismo e la standardizzazione hanno finito di esprimere la loro carica montante e lasciano il posto alla flessibilità e a più complesse logiche di rete produttiva, si può ancora pensare che tutto ciò sia il frutto di semplici comportamenti residenziali e produttivi, di famiglie e di imprese stanche di pagare lo scotto dei costi di congestione della grande città? Ed allora cerchiamo di andare con ordine, nello spiegarci i perché e nell’armarci degli strumenti necessari per questo tipo di analisi.

IL PERCHÈ DÌ UN APPROCCIO MACROURBANISTICO

In senso ampio l’approccio macrourbanistico é figlio di quella rivoluzione copernicana che é stata formulata da Keynes con la formalizzazione dell’impostazione macroecononica; tale rivoluzione é consistita prima di tutto nel risolvere la questione di quale quadro aggregato di coerenza formalizzasse le relazioni esistenti tra le grandezze macroeconomiche e, contemporaneamente, interpretasse il tessuto empirico di una data realtà economica. Malgrado l’istituzionalizzazione e l’ufficializzazione a cui l’opera di Keynes é andata incontro, il suo contributo resta certamente innovativo per tutto il fronte delle scienze umane, ed esso é ben lungi dall’essere esaurito e ciò prima di tutto perché la sua impostazione risulta, irriducibile ad una posizione che soggiaccia ad una ideologia e ad un potere tutto teso alla conservazione dello status quo ante” Assegnando contenuto empirico e quindi sostantivo e antropologico, a quelle grandezze economiche che l’approccio neoclassico tendeva a configurare come apodittiche, egli aveva liberato il campo dell’econonia da quelle stagnanti sovradeterminazioni dominanti fossero esse quelle di una sempre ritornante, cinica pseudoepistemologia pessimistica alla Malthus, tutta rivolta ad un mantenimento dei rapporti di forza in atto intercorrenti tra le classi sociali e a contrastare l’emergere delle classi popolari, o fossero esse quelle di una pseudoepistemologia ottimistica che affermava una ideologia ‘conquerant che, nella legge di Say vedeva definirsi il dogma di una automatica e consequenziale via di affermazione di ogni capacità di intrapresa. Sotto la spinta della ricerca congiunta dello spessore semantico delle grandezze economiche e delle potenti forme algebriche che formalizzano le strutture profonde dell’economia venne così meno una visone del]’ economia retta dalle regole di una “meccanica razionale” che attribuisce ad ogni bene (capitale o altro) uno specifico ruolo tecnico nella risoluzione simultanea dei mercato e in quella sincronica della produzione. In particolare la spinta alla verifica empirica delle relazioni diacroniche operanti tra grandezze in un medio-breve periodo temporale, quale quella che ai governi si presentò nell’insorgere di condizioni di crisi alla fine degli anni Venti, ha il suo primo artefice.

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Egli ha così posto di fianco ad una serie di “equazioni identità’, che identificavano un sistema economico, il rilievo stocastico delle fratture diacroniche e dei relativi gradi di autonomia che l’un l’altra queste grandezze manifestano nei loro rispettivi e reciproci processi di varianza. E’ così emerso un quadro di solidarietà dei sistema che, lungi dal presentarsi come automatico ed assoluto, secondo una ragione meccanica, si presenta empiricamente carico di quello spessore semantico che fa di ogni grandezza una forza ed una realtà dotata di un proprio grado di individualità, e di ogni correlazione una espressione caratterizzata da un proprio spessore analitico. Ciò che porta, conseguentemente, a negare che tali processi siano tutti intrinseci alla meccanica razionale di un mondo regolato dalla razionalità tecnica dei suoi presunti riscontri apodittici: bene, capitale, mercato,etc. E’ in questo quadro che si é sviluppato il profondo rinnovamento della “contabilità nazionale” degli anni Cinquanta Essa, anziché essere vista come sistema di bilancio e, quindi, come semplice insieme di riscontri di tecnica contabile che individuano le linee di mercato dei vari beni, si presenta piuttosto sulla base della circolarità e delle pulsioni ritmicamente rinnovantesi dei flussi economici, come un sistema di “equazioni di stato” attraverso cui si misurano i gradi di solidarietà e di coerenza riproduttiva che regolano il sistema stesso. Da allora, nelle sue forme più consapevoli, un sistema di contabilità nazionale non tratta più solo dell’equilibrio della domanda e dell’offerta, in base a cui ogni grandezza viene vista come esprimibile da un equazione che interpreta l’equilibrio delle entrate e delle uscite, ma come quadro che coerenza degli aggregati nella loro diversa funzione riproduttiva di grandezze di stock e di flusso . Ciò che dovrebbe aprire alle potenzialità dei bilancio sociale consolidato, alla espressività di voci funzionali interpretabili in senso programmatorio e non più unicamente riferibili ai vincoli di un bilancio di competenza secondo una prassi mortificante e limitante I’ azione della amministrazione pubblica che si vorrebbe nuovamente legata a una semplice concezione della giustizia distributiva. Da questo mutato quadro di riscontri emergono a fronte di “grandezze di flusso quali gli investimenti e il reddito - a cui proprio I’ impostazione macroeconomica keynesiana darà nuova pregnanza di contenuto e di orizzonte epistemologico - una serie di “grandezze di stock’ (popolazione, capitale fisso, etc ) che tra loro non presentano affatto un rapporto puramente tecnico e funzionalmente risolto in modo ottimale in base ad una armonica composizione sincronica dei fattori di produzione. Da questo punto di vista é allora particolarmente significativo considerare il modo con cui l’approccio keynesiano abbia definito il reddito come grandezza che interpreta un processo seriale di accrescimento dei valore tramite una successione produttiva - valore aggíunto appunto - e non come un semplice processo redistributivo che si configura come l’insieme delle remunerazioni dei fattori di produzione che tra loro si equilibrano in una contribuzione di tipo armonico. In questo modo, come effetto di una produzione, la gradezza di flusso del reddito non viene più considerata leggibile in una semplice dimensione di bilancio che simultaneamente risolve i rapporti di mercato, ma viene connessa alla dimensione resistente delle grandezze di stock, seguendo una linea interpretativa che considera i quadri e flussi rinnovantesi della produzione-riproduzione.

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Fondato, questo secondo subsistema sulla misura empirica dei grado di correlazione operante tra grandezze, esse delineano, nella covarianza che ne risulta, il quadro che processualmente esprime i mutamenti di struttura e i nuovi quadri di coerenza riproduttiva, che una società si dà, sia essa una llunità vivente” di livello nazionale o regionale. Emerge così l’incidenza sul piano aggregato dell’operare degli insiemi degli agenti economici produttori, consumatori, famiglie, risparmiatori, non le sole imprese dunque. Questi, attraverso strategie soggettive e sostantive e attraverso resistenti comportamenti culturali, agiscono, nei confronti delle grandezze di stock e di flusso in base alla concreta semantica dei valore e dei processi di valorizzazione. Attraverso l’opera di Keynes si viene cosi a rivalutare la reale portata delle strategie sostantive di quella serie di operatori che non sono affatto omologabili ai comportamenti tipo e alla ‘ratio’ marginalistica dell’ homo oeconomicus. In questo quadro emergono grandezze, quali investimenti che incidono per i loro effetti moltiplicatori, per le loro diacronie, nei diversi modi di collocarsi rispetto al ciclo della riproduzione-produzione. Domanda e produzione appaiono allora in una nuova luce, ne emergono gli effetti moltiplicatori, la loro incidenza sul piano della riproduzione allargata che manifesta . allora una diversa funzione rispetto a quella della politica economica di breve periodo. La dimensiòne contabile dei bilancio serve allora a mettere in crisi gli automatismi di reputate equazioni - identità, di riscontri apoditticamente ritenuti tali. Questo nuovo livello di misura della solidarietà nazionale dei sistema può allora introdurre delle significative funzioni obiettivo di programma. Così facendosi carico dell’emergenza indotta da situazioni di crisi determinate per così dire da situazioni proprie di sistemi dissipativi quali sono, a volte, le società, si é considerato l’operare coattivo di elevati livelli di disoccupazione e di inflazione, condizioni che interpretano le situazioni di crisi più tipiche delle economie occidentali. Ciò ha stimolato la formulazione di un quadro operativo che introducendo “funzioni obiettivo” e mutanti condizioni normative non solo configurava una forma di governo degli sbocchi monetari ma era in grado, tramite gli effetti degli investimenti, di definire attraverso l’obiettivo di piena occupazione un programma di politica economica di breve periodo. Ne é emerso una formidabile spinta alla definizione di una politica economica che sul breve-medio periodo si presentasse come un attivo momento programmatore di uno sbocco positivo per questi fenomeni attivi e come momento di governo e controllo delle controazioni che questi potevano negativamente attivare tramite un loro distorto effetto inibitore. Questo spostamento dell’interesse da un piano descrittivo dei sistema economico a quello di un suo attivo indirizzo, comporta che le grandezze di flusso e di stock entrino in gioco per i valori ponderali che pongono in essere nella riproduzione e non più solo come pure grandezze relative. Questa nuova dimensione della politica economica di breve-medio periodo investe così il livello della programmazione nazionale come insieme di interventi che, partendo dalle correlazioni delle grandezze macroecononiche assunte come grandezze globali, ha come proprie funzioni obbiettivo, quelle della piena

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occupazione e dei sostentamento della domanda di massa e agisce anche sull’effetto moltiplicatore degli investimenti e su sentieri alternativi a quelli infiattivi dei “libero mercato”. Ouesto quadro che comporta una accresciuta attenzione per le articolazioni strutturali della economia porta al definirsi di un ruolo attivo delle istituzioni pubbliche in modo radicalmente differente da quello piurimilienario dell’essere puro centro promotore della giustizia redistributiva. Ciò porta ad un impatto diretto con l’esistenza di profondi squilibri regionali. Ben presto e necessariamente i problemi di politica dello sviluppo si vengono confrontando con i dislivelli di sviluppo regionale e con i diversi modi di operare delle grandezze macroeconomiche e settoriali nelle diverse realtà regionali. A questa matrice culturale andranno ascritte le più serie impostazioni di imput-output analisi, i modelli macroeconomici di sviluppo di bacini-regioni arretrate, le forme di correlazione tra grandezze macroeconomiche e macrourbanistiche quali quelle proposte dallo studio della “coerenza regionale” ( analisi per la prima volta avanzata nell’A.A. 63-64 in un corso di Urbanistica dal prof. D’angiolini per la regione Lombarda.

I “MODELLI NEOTECNICI”

Ma la “strategia metropoli’ è molto resistente e ha indirizzato da lungo tempo le politiche di pianificatori ed amministratori essa continua a fondarsi sul modello dei polo predominante dalla “città capitale” alla città mondiale degli urbanisti, dai “luoghi centrali” alla città regione dei pianficatori, e ciò andando proprio in senso opposto rispetto a quello testè richiamato come proprio di una analisi empirica della correlazione dei quattro parametri Popolazione, Reddito, Flussi e Tendenza 1nsediativa. Secondo tale impostazione esiste una razionalita’ tecnica che impone funzioni di produzione dominanti, la nuova offerta tecnica assiomatizzandone gli effetti, impone nuovi comportamenti spaziali e produttivi che sostituiscono i precedenti non piu’ competitivi. In tal caso la storia degli insediamenti viene fatta passare attraverso funzioni di sostituzione e fasi tecniche che guidano, in questa logica, la scelta allocativa in modo assoluto. Ne consegue l’immagine di sistemi territoriali che si danno come rinnovabili sul breve-medìo periodo in base, per esempio alla sostituzione di funzioni di trasporto, di approvvigionamenti energetici, di logistica dei servizi; la problematico insediativa viene cosi’ ridotta ad una semplice questione di “noli e fitti” in grado, in quella situazione, di ottimizzare una composizione di fattori di produzione o di minimizzare i costi di una utenza. Negli anni Sessanta, grazie alle assunzioni, come assoluti di suggestioni neotecniche si definivano schemi configuranti nuovi tipi di mobilita’ e nuovi tipi di approvigionamento energetico, che imponevano al territorio il trionfo di una “liberta “ definita dalla vittoria della omogeneita’ della tecnostruttura sulle particolarita’ e

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diversita’ dello spazio fisico-naturale e sui ‘caratteri originari” dei parastrato antropico. Cosi’, nella esistenza di tecnostrutture, che operavano grazie ai loro effetti di monopolio tecnologico, si definivano trasformazioni insediative, che apparivano semplice proiezione di conseguenti logistiche aziendali, semplice manifestazioni comportamentali di univoche scelte microeconomiche. Cosi’, a cavaliere tra anni Cinquanta e Sessanta si tendette a presentare la sostituzione di un tipo di approvvigionamento energetico (carbone) con un altro (petrolio) e di un mezzo di trasporto (ferro) rigido e pubblico con un altro (gomma) piu’flessibile e privatizzato. In tal modo si presento’ un quadro neotecnico in sostituzione di quello paleotecnico come l’elenento liberatore di base che avrebbe dato nuova capacita’ di articolazione alla espansione insediativa in atto. In tal modo lo spazio poteva divenire isomorfo nelle sue espressioni insediative, isotropo nella permeabilita’ delle relazioni vettoriali che la città-regione veniva ad assumere grazie al diffondersi della mobilità dei mezzo privato,andando in tal modo ben oltre i limiti dei piano-disegno. Cosi’ un simile effetto diffuso e indifferenziato di “citta’-regione” si proiettava e sovrapponeva in modo indifferente ad un piano topografico e ad una armatura insediativa preesistente. In questa visione si elaborarono ipotesi di megalopoli, di attrezzature continue lungo direttrici spaziali, di ‘citta’-regione. Scenario di riferimento del 1963 del Piani del Pim, visto come il solo in grado di omologare l’espansione economica dando ad essa riscontro in un ampio regime di espansione insediativa fosse esso proposto attraverso le forme di sviluppo continuo e lineare, della conurbazione lungo le “aree forti” dei pedemonti padani o fosse esso proposto attraverso le pale della “turbina” che mediavano tra una espansione lungo le direttrici convergenti nel polo di Milano e quelle circuitanti lungo le corone dell’hinteriand. Tra questi piani per il concentrico milanese fu il piano turbina ad essere quello accreditato, ma ad esso rimasero parenti stretti tutti i piani che perseguivano modi e forme di una espansione insediativa che appariva ad architetti e pianificatori nel suo dinamismo non solo una occasione di perdizione estetica ma anche di applicazione di modelli neotecnici visti , come luogo di monadi iterabili nei loro schemi micro. E’ cosi’ che lo spazio come puro luogo della espansione viene proiettato nella grande gestualita’ architettoniche (ed e’ questo il modo piu’ irritante - si veda ad esempio la soluzione dei centro direzionale di Bologna di un architetto di pur grande capacità critica come il prof. Aymonino) o con moduli e maglie iterabili nella loro risoluzione standard. Così nella prospettiva di una “strategia metropoli” si sono sviluppate modellistiche spaziali che, giudicando sostanzialmente inespressivo l’ambito insediativo esterno al polo. ne delineavano, attraverso schemi di espansione indifferenziati l’effetto conurbativo e ne omologavano la riproducibilità sul territorio attraverso schemi neotecnici di sistermi di trasporto, di forniture di approvigionamento energetico, di tipi di dotazione di servizi, di maglie standardizzate di riproducibilità della rete infrastrutturale.

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Non vi è bisogno di dire come queste visioni fossero prive di ogni reale elemento di riscontro quantitativo collocabile in praticabili scenari di sviluppo e fossero la pura trasposizione di funzioni esponenziali di crescita insediativa ergodicamente rette dall’effetto esplosivo della innovazione neotecnica assunta. Così tale visione di riproducibilità per iterazione di sue parti, della portante rete infrastrutturale. In questo senso ad es. con Lynch si ha la rivisitazione trasportistica di Losch; egli formula l’ipotesi di una maglia che organizza una relazione tra aste e nodi in grado di ottimalizzare, eliminando un certo numero di effetti congestivi. la espansione insediativa dei centri metropolitani, disaggregandola in una serie di gangli polari e di relazioni funzionali. Cosi’ egli trasferisce il problema globale di una soluzione della espansione e della congestione a quello analiticamente specifico della soluzione grafica di uno schema in grado, grazie alla iterazione della sua soglia di base di imporre un modulo di carico insediativo. proprio della tendenza insediativa e dei Flussi, controllabile in quell’ intorno e reperibile per giustapposizione e congiunzione. Una panacea questa che nella logica dell’autore. dovrebbe essere in grado di risolvere i problemi della mobilità e della correlata espansione urbana. Cosi’ una visione che riprendeva le logiche reticolari della espansione su assi attrezzati continui su effetti indifferenziati di citta’ regione su reti che riveicolavano il vecchio impianto dei luoghi centrali apparve come il bagaglio urbanisticamente futuribile di questo tipo di espansione. Obbiettivo di tale modellistica appare dunque quello di guidare la tendenza insediativa verso una soluzione microurbanisticamente ideale e che rende irrilevante le questioni macrourbanistiche proprie di quell’ambito metropolitano che stava a cuore agli architetti nazionalisti.

UNA DIVERSA CONOSCENZA DEI FENOMENO URBANO E LA LETTURA DELLA INVERSIONE

DI TENDENZA

Grazie a questa organizzazione microurbanistica tipo e all’omogeneo effetto urbano, che tracima nel territorio, si presentano soluzioni assolutaemente incapaci di comprendere come la complessita’ della ecologia delle funzioni urbane non sia rimuovibile e come il suo rispecchiamento nella diversita’ dei livelli funzionali della maglia viaria richieda un approccio irriducibile alla semplice scomposizione dei nodo urbano negli elementi di una maglia microurbanisticamente standardizzabile. Cio’ prima di tutto in quanto i tipi di traffico di transito, di attraversamento, di destinazione di affari, piuttosto che quelli ritmici, presentano fenomeniche modali e funzionali profondamente differenziate nel loro rapportarsi alla Tendenza lnsediativa. Proprio in questo si vede I’ impossibilita’ di risolvere attraverso una maglia microurbanistica tipo l’effetto citta’. Del resto era proprio di quegli anni che le conoscenze dei modi di generare traffico urbano si caratterizzavano per il loro rilevante contenuto empirico e avrebbero

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dovuto, cio’ che non fu, essere i riferimenti portanti di una nuova attenzione urbanistica per la risoluzione dei nodo urbano e per la fondazione di nuovi “usi di citta”. ( Hondermark, Bucanan, etc. )

IL PASSAGGIO DALL’IDEA DI METROPOLI A QUELLA DI “AREA METROPOLITANA”

Correvano gli anni Ottanta, quando ormai risultava chiaro come nessun amministratore, neppure tra quelli che inseguono le politiche dei “primati” potesse esplicitamente porsi come obbiettivo quello di perseguire la “strategia metropoli” nei modi in cui questa è stata proposta fino a tutti gli anni Sessanta. Cio in quanto l’articolazione delle società industrialmente avanzate é apparsa tanto complessa da non più potersi spiegare senza il rapporto dialettico intercorrente tra città e arrièrepays, tra città e contesto e tra ambiti territoriali contigui. Ora tale grande trasformazione insediativa ha avuto presso gli operatori una ricezione molto parziale come ci testimonia il parziale ma non radicale cambiamento che il concetto canonico di metropoli ha avuto, in base al mutare delle sue definizioni. E’ in questo quadro che si fà sempre più luce un concetto di “area metropolitana” che supera quello di metropoli, dove per area metropolitana si intende quel sistema di accessibilità a funzioni di produzione in primis e della vita associata che configura una mobilità ritmica e di massa il cui bacino di utenza prende caratteristiche molto diverse da una qualsiasi condizione locale dei mercato della manodopera più o meno coattamente relazionato ad una situazione manifatturiera monocuiturale, ciò era stato molte decadi prima, utilizzato come criterio statistico amministrativo negli Stati Uniti d’ America. Ora il quadro che emerge da una non fugace lettura della fenomenica insediativa dei nostri ambiti regionali mostra come si possa parlare piuttosto di ‘ambito metropolitano”, ossia di un sistema territoriale ben più articolato in cui due linee di processo si sviluppano nella articolazione di forti interdipendenze di produzione: - un bacino che é attivamente impegnato nella costruzione di forme di sviluppo autocentrato e una nodalità complessiva delle reti continentali dei sistema dell’economia mondo. Dalla metà degli anni Sessanta almeno con l’inversione di tendenza a favore dei poli dei secondo ordine rispetto al concentrico gravitante intorno al polo dei primo ordine e successivamente dai primi anni Settanta con una impetuoso avvio alla riperequazione dei redditi, per passare agli anni Ottanta in cui si consolidavano entro un quadro di nuove definizioni di bacino di produzione e di regioni funzionali strutture produttive flessibili ma profondamente organizzate da una logica di rete quali le Il aree sistema” si assistito ad un affermarsi progressivo della logica policentrica, incentrata su quell’enorme supporto che per le realtà lotaringiche è rappresentato dal peso storico delle grandi densità insediative extraurbane ed ancor più dal peso dei poli di secondo e terzo ordine. Qui ( ricordiamolo ) i poli dei secondo ordine che sono epicentro di uno sviluppo autocentrato non possono limitarsi, proprio al fine di fattivamente muoversi nel mutevole quadro di quel triplice orizzonte, essere il centro di semplici monocuiture

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manifatturiere, ma devono configurarsi come gangli di più complesse relazioni di bacino di produzione. Realtà questa che ha segnato un processo di sviluppo di lungo periodo, che si é consolidato lungo le linee delle rivoluzioni industriali e che oggi, lungi dal perdere la sua spinta, resta punto di riferimento primo di strategie di sviluppo policentriche. Ricordiamolo ancora una volta: la dimensione interurbana data all’insieme di queste realtà esprime un carattere che supera le situazioni monocuiturali di un rapporto di produzione compiutamente risolto nella divisione dei lavoro intercorrente tra città e campagna.

IDEA DI AMBITO METROPOLITANO E DI CITTÀ POLICENTRICA

Per certo quindi ogni operare micro e macrourbanistico sarà consapevole, solo se si riscopre che peculiarità dell’urbanesimo della civilizzazione europea non è quella di avere comportamenti, modi di vita, sistemi di produrre, omologabili ad un unico modello, quanto, piuttosto, quella di essere ogni sua entità regionale e ogni sua armatura urbana, dotate di una individualità e di caratteri originari che le rendono, nella loro specificità, non uguali ma complementari tra loro, collocandone tale complementarietà non solo in un quadro regionale ma altresì in un orizzonte di riferimento che sta nei possibili “cortocircuiti” di relazione delle direttrici continentali, cioè delle vie istmiche, dei peripli, dei nodi, delle reti. Infatti peculiarità della spina dorsale della appendice geografica della grande zolla eurasiatica, ossia della sua porzione lotaringica che si estende dalla Padania all’Olanda, è quella di essere attiva cerniera - più che semplice zona di contatto - tra grandi regioni geopolitiche e tra grandi bacini, in essa confluendo direttrici storiche di livello continentale. A questo spazio entro cui si è plasmata la coscienza di sé, oltrechè l’identità culturale europea, restano sostanzialmente estranee le identità degli spazi nazionali e i referenti della gerarchia urbana centralizzatrice - le città capitali degli stati nazionali - e la stessa strategia macrourbanistica ad esse connessa, ossia la strategia di concentrazione metropolitana, portatrice di quella espansione ottocentesca che ha dato luogo alla formazione delle metropoli, la cui massa fisica, dell’ordine di diversi milioni di abitanti, configurava lo scenario di costruzione delle città mondiali. Se queste ultime concentravano le funzioni amministrative e, come luogo di convergenza delle direttrici nazionali, erano, in quanto centro di un bacino fisico e/o di uno spazio omogeneo, nodo predominante delle reti di trasporto (Parigi, Berlino, Madrid) o/e punto di rottura di carico dominante (Londra e il suo porto), queste altre città lotaringiche si configuravano attraverso maglie e poligoni di relazioni di tipo, per l’appunto multinodale multipolare. Così è che nello “spazio lotaringico”, invece, sono piuttosto i policentrismi nella solidità dei loro essere armatura urbana di bacino e sistema di ambito metropolitano, a significare e strutturare masse fisiche complessivamente paragonabili a quelle delle tradizionali aree metropolitane. Essi, nella articolazione dei livelli gerarchici dei loro poli urbani, si caratterizzano, per consistenza delle loro funzioni quaternarie e per articolazione dei loro sistemi funzionali, come vere e proprie “città mondiali”.

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Così è che nello “spazio lotaringico” più che la singola città, è l’insieme dei poli di diverso livello a costituire un effetto di città mondiale, è solo il sistema nel suo complesso a costituire il centro di quelle funzioni e di quegli usi di città che operano a livello degli scambi e dei rapporti mondiali, così da essere centro propulsore di forme di sviluppo estroverse. In tal senso, il sistema stesso diventa non solo piazza di mercato delle merci - nodo import-export -, ma area che svolge attivamente ruolo alla scala dei processi di civilizzazione, investendone i rapporti tra le diverse “aree-regione” dell’ecumene (e ciò in quanto insieme articolato di produzione di invisibies, ovvero di processi di produzione, di know how, di tecnologie, di iniziative imprenditoriali, etc.).