Giorgio Vasta Recensisce Quattro Libri Fuori Dal Mainstream - La Repubblica 30.12.2012

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I LIBRI DI GI ORGIO VASTA GIORGIO VASTA Quella scrittura visionaria dei nuovi autori Quattro romanzi usciti durante l’ultimo anno  f uori da i ca no ni risa pu t i de l mainstrea m riscoprono la forza creativa della letteratura i sono scritture che traboccano. La sostanza liquida della lingua non sta più nel suo alveo, rag- giunge i bordi e comincia a tra- cimare. Alla leggenda (o alla sto- ria) dei libri “scritti a tavolino”, queste scritture reagiscono rompendo ogni argine formale, procedendo per effrazioni della sintassi e smisurando la scelta lessicale. Dando vita, dunque, a vere e proprie visioni. La loro pubblicazione accade in modo anomalo. Dovrebbe essere un’irruzione sulla scena letteraria, l’equivalente di una piccola abnorme fecondissima catastrofe. Nella realtà dei fatti sbalordisce la quota di silenzio che nella maggior parte dei casi ne accompagna la comparsa (rendendola dunque indistin- guibile dalla scomparsa, come se la pubblicazione fosse per questi libri una fase dell’oblio). Scritture simili, rispetto ai boati dei primi posti delle classifiche di vendita, sono suoni sottilissi- mi, infrasuoni che domandano un ascolto altrettanto sottile e accurato. Nel momento in cui zioni di questo tipo – ognuna di- rettamente o indirettamente li- berata anche grazie a voci come quelle di Antonio Moresco, di Giulio Mozzi e di Giuseppe Gen- na – si collocano in una zona espressiva in cui convergono tanto la fame di linguaggio di Di- no Campana quanto il millena- rismo febbrile di Dante Virgili. Il sacro e lo sberleffo si compene- trano, l’impulso feroce verso l’a- strazione più geometrica e la pulsione altrettanto frenetica nei confronti di tutto ciò che vi- ve nel profondo dei nostri corpi si annodano l’uno all’altra. Scritture contraddittorie, quindi sospette. Perché alla fi- siologia presunta – pretesa?, ob- bligatoria? – del plot dominante nel mainstream osano opporre la meravigliosa patologia della lingua; non il recupero di mere sperimentazioni del passato quanto il desiderio agonistico se non conflittuale di confrontarsi con il letterario nella sua mani- festazione originaria. Nel 2012, e limitatamente alle mie letture, sono comparsi quattro romanzi esorbitanti. A gennaio Ponte alle Grazie ha pubblicato Tutto cospira a tace- re di noi di Daniela Ranieri. Già dal titolo – un verso di Rilke – pe- netriamo all’interno di quel processo di autosabotaggio che è il presente italiano. Tacere, o meglio ammutolire, addestrarsi ni. Attraverso la storia di Luigi Trevor – sovversivo informatico assunto da una società di comu- nicazioni – Ranieri racconta “il vero mondo del lavoro finto”, l’arcipelago di fenomeni sem- pre più sconnessi (e, va detto, sempre più tragicomicamente C

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I LIBRI DI GIORGIO VASTA

GIORGIO VASTA 

Quella scritturavisionariadei nuovi autoriQuattro romanzi usciti durante l’ultimo anno

 fuori dai canoni risaputi del mainstreamriscoprono la forza creativa della letteratura

i sono scritture che traboccano.La sostanza liquida della linguanon sta più nel suo alveo, rag-giunge i bordi e comincia a tra-cimare. Alla leggenda (o alla sto-ria) dei libri “scritti a tavolino”,queste scritture reagisconorompendo ogni argine formale,procedendo per effrazioni dellasintassi e smisurando la sceltalessicale. Dando vita, dunque, avere e proprie visioni.

La loro pubblicazione accadein modo anomalo. Dovrebbeessere un’irruzione sulla scenaletteraria, l’equivalente di unapiccola abnorme fecondissimacatastrofe. Nella realtà dei fattisbalordisce la quota di silenzioche nella maggior parte dei casine accompagna la comparsa(rendendola dunque indistin-guibile dalla scomparsa, comese la pubblicazione fosse perquesti libri una fase dell’oblio).Scritture simili, rispetto ai boatidei primi posti delle classifichedi vendita, sono suoni sottilissi-mi, infrasuoni che domandanoun ascolto altrettanto sottile eaccurato. Nel momento in cui

zioni di questo tipo – ognuna di-rettamente o indirettamente li-berata anche grazie a voci comequelle di Antonio Moresco, diGiulio Mozzi e di Giuseppe Gen-na – si collocano in una zonaespressiva in cui convergonotanto la fame di linguaggio di Di-no Campana quanto il millena-rismo febbrile di Dante Virgili. Ilsacro e lo sberleffo si compene-trano, l’impulso feroce verso l’a-strazione più geometrica e lapulsione altrettanto freneticanei confronti di tutto ciò che vi-ve nel profondo dei nostri corpisi annodano l’uno all’altra.

Scritture contraddittorie,quindi sospette. Perché alla fi-siologia presunta – pretesa?, ob-bligatoria? – del plot dominantenel mainstream osano opporrela meravigliosa patologia dellalingua; non il recupero di meresperimentazioni del passatoquanto il desiderio agonistico senon conflittuale di confrontarsicon il letterario nella sua mani-festazione originaria.

Nel 2012, e limitatamente allemie letture, sono comparsi quattro romanzi esorbitanti. A gennaio Ponte alle Grazie hapubblicato Tutto cospira a tace-re di noi di Daniela Ranieri. Giàdal titolo – un verso di Rilke – pe-netriamo all’interno di quelprocesso di autosabotaggio cheè il presente italiano. Tacere, omeglio ammutolire, addestrarsi

ni. Attraverso la storia di LuigiTrevor – sovversivo informaticoassunto da una società di comu-nicazioni – Ranieri racconta “ilvero mondo del lavoro finto”,l’arcipelago di fenomeni sem-pre più sconnessi (e, va detto,sempre più tragicomicamenteC

accurato. Nel momento in cuidecidiamo di dedicarglielo, ciinoltriamo in una serie di sco-perte. Per esempio che narra-

meglio ammutolire, addestrarsialla sparizione, sembra la colon-na vertebrale delle generazionitra i venti e i quarantacinque an-

 

stenibile di non essere (più)guardati, di essere esclusi dallapercezione del mondo. Losmantellarsi di ogni forma terre-stre (sia essa orografica o lingui-stica) interviene non come apo-calisse – perché la rivelazione at-tiene al percorso e non al suo esi-to – ma come liberazione trami-te un radicale capovolgimentoprospettico. Perché, raccontaGentile, non c’è altro da fare cheattraversare le tenebre presenti,ritrovarci con la terra in alto e, inbasso, un cielo da fissare.

Il diciottesimo compleanno(Transeuropa) è il primo librodel cinquantasettenne Riccar-do Romagnoli. Matteo è un Am-leto feroce che esita sulla sogliadella maggiore età. Suo padre esua madre dormono con una pi-stola sotto il cuscino, alla nasci-ta il gemello di Matteo è natomorto. La vita è ciò che contieneil suo inseparabile contrario.Nel raccontare il tempo semprepiù minutamente traumaticoche precede il diciottesimo an-no, Romagnoli dà forma a un de-siderio metamorfico. Non solo

l’io è, nella sua po-rosità, un fenome-no proteiforme; ildesiderio di esseretutto il possibile ap-partiene in primoluogo alla lingua.

Scritture al con-tempo secche e tor-tuose, nitide e fra-stagliate, apoditti-che o giocose; ne-cessarie come sononecessari i trac-cianti luminosi incielo quando muo-vendosi a terra, nelfolto di un bosco,orientarsi ad altez-za occhi è impossi-bile. Serve una ro-tazione del capo,serve riconoscerenel buio l’esistenzadi un quinto puntocardinale che ci in-dichi una direzioneradicalmente sba-gliata, un verso fer-tilmente errato (ederrante): quella

DISEGNO DI GABRIELLA GIANDELLI

affascinanti) del terziario avan-zato contemporaneo. In un ro-manzo orgogliosamente intem-perante, l’autrice compone unozibaldone, un trattato di biopo-litica in cui lo stile è già in sé, inogni sua parte, eversione.

La dissoluzione familiare  diEnrico Macioci (Indiana Edito-re, con le illustrazioni di Mauri-zio Rosenzweig) è apparso a feb-braio. Ragionare su questo libropermette – circostanza rara – difare a meno di quei criteri trami-te cui si identifica solitamentequanto sta dentro a un roman-zo. Non occorre parlare di tra-ma, preoccuparsi dei personag-gi o dei luoghi in cui l’azione sisvolge; non è neppure esatto fa-re riferimento a una vera e pro-pria azione. Niente temi, nienteattualità, nessun sociologismo,niente psicologie. C’è un bam-bino – il principe Poppy – chenasce in una Città che da qual-che parte contiene dentro di séL’Aquila, e c’è un irradiarsi discrittura che sgorga da questanascita-cratere. Leggendo Ladissoluzione familiare  (e per-

dendosi in una tessitura chesembra generata con la compli-cità di Lawrence Sterne) viene inmente la casa di Sergio Endrigo,“senza soffitto senza cucina”.Una scrittura come questa – ma-teria linguistica e immaginativaallo stato puro – è un luogosplendidamente inabitabile.

L’impero familiare delle tene-bre future (il Saggiatore), esor-dio narrativo di Andrea Gentile,ha un’ambizione ineludibile:«Dirò l’immenso, nulla». Unaragazza si mette in cerca dellamadre, il suo viaggio avviene inuno spaziotempo solo in partedecifrabile. Mentre un Papa in-finitamente muore, si camminasostenendosi a bastoni di quer-cia amara. Il percorso condurràla ragazza fino al letto vuoto diun ospedale e poi, ancora, al la-birinto di un cimitero bianchis-simo, nessuna parola sulle lapi-di, nessuna data, nessun voltonegli ovali delle foto, gli sguardiridotti (elevati?) ad abrasione, aluce minerale. Per Gentile la ra-gione nucleare di ogni ricerca èquesta: il presentimento inso-

errante): quellacattiva strada sullaquale la letteraturaancora accade.

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