GENNAIO 2012 - il mondo di suk · Domani vuol dire serietà Sinistra unita ... in politica”,...

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Direttore responsabile: Donatella Gallone - Editore: Ilmondodisuk Società Cooperativa Sede legale: Napoli - Via Duomo 348 - 80133 Napoli - tel. 081.19806215 - Codice Fiscale e Partita Iva 06088751216 Iscrizione REA (repertorio economico amministrativo) n. 794608 - Tribunale di Napoli al n. 76 del 10/07/2008 - iscrizione ROC n. 17598 GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13 MAGAZINE attualità & cultura MAGAZINE attualità & cultura Finalmente politica Domani vuol dire serietà Sinistra unita Tra riforme radicali di Donatella Gallone Ernesto Paolozzi a pagina 3 Nuova ricchezza con lavoro Osvaldo Cammarota a pagina 4 Giustizia trasparente Libero Mancuso a pagina 10 Investimenti e opportunità Raffaele Carotenuto a pagina 5 I partiti non sanno vincere la pace. Il loro corpo è già stato attaccato da un virus pericoloso, la disonestà, che li farà fuori. Roma è una capitale corrotta in una nazione infetta. continua a pagina 2

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Direttore responsabile: Donatella Gallone - Editore: Ilmondodisuk Società CooperativaSede legale: Napoli - Via Duomo 348 - 80133 Napoli - tel. 081.19806215 - Codice Fiscale e Partita Iva 06088751216

Iscrizione REA (repertorio economico amministrativo) n. 794608 - Tribunale di Napoli al n. 76 del 10/07/2008 - iscrizione ROC n. 17598

GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13 MAGAZINE attualità & culturaMAGAZINE attualità & cultura

Finalmente politica

Domani vuol dire serietà

Sinistra unita Tra riforme radicali

di Donatella Gallone

Ernesto Paolozzi

a pagina 3

Nuova ricchezzacon lavoro

Osvaldo Cammarota

a pagina 4

Giustizia trasparente

Libero Mancuso

a pagina 10

Investimentie opportunità

Raffaele Carotenuto

a pagina 5

“Ipartiti non sannovincere la pace. Illoro corpo è già

stato attaccato da un viruspericoloso, la disonestà,che li farà fuori. Roma èuna capitale corrotta inuna nazione infetta”.

continua a pagina 2

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GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13 ❒❒ pag. 2

segue dalla prima

Più o meno queste parole si sentì dire iltrentasettenne Giampaolo Pansa quandoandò a intervistare Arrigo Benedetti all’ini-zio degli anni Settanta. Incaricato dal suo(allora) direttore della Stampa, Alberto

Ronchey a scrivere un pezzo per la terza pagina, suun protagonista del giornalismo, deciso, in quelmomento, a uscire dalla scena di una professionetanto amata. Pansa racconta l’aneddoto nel suolibro “ I cari estinti”, una specie di “Come eravamoin politica”, prima del crollo comunista.

Il Tonno, così era soprannominato il fondatoredell’Espresso, per via della sua corporatura tarchia-ta, di un viso tondo e labbra sporgenti, conclusel’incontro da profeta scomodo: “Lei è ancora moltogiovane. Riuscirà a vedere la fine di questa repub-blica. Io sono ben più anziano… E non avrò questofastidio”.

Non aveva previsto che il fastidio sarebbe statodoppio. Dopo la prima, anche la seconda è andatain pezzi e la terza rischia di non nascere mai, tra-volta dalle macerie di un’Europa già barcollante.

Da Oltralpe più serietà e regole auspica JacquesAttali, guru delle scienze economiche. Con unavvertimento: “Tutti i paesi europei sono stati col-pevoli di cattiva gestione, non solo la Grecia. Tantesono le bugie sul debito pubblico. Ci si è abituati avivere al di sopra delle proprie possibilità…. Bisognapensare più in grande. La moneta unica c’è quan-do esiste uno stato…E, quindi, una strategia dibilancio sostenibile. Poi può avvenire la ripresa,fatta d’investimenti privati”.

Domani avremo davvero un altro giorno solo se cisarà finalmente politica, fondata su responsabilitàmorale in una società competitiva ma equa, ingrado di offrire a tutti uguali possibilità di lavoro esviluppo.

Torniamo in Italia. Tra cinquant’anni – secondol’Istat- il belpaese non sembrerà più tanto bello,almeno per quanto riguarda la sua popolazione chesarà piuttosto anziana. Pochi ragazzi continuerannoad abitarlo,soprattutto per merito degli immigrati.Perché l’Italia non è ancora una nazione per donne,

costrette, per la maggior parte, a non lavorare piùse desiderano diventare mamme. Molte non hannola possibilità di conciliare maternità e professione.Assenti le strutture, ma anche la mentalità chevaluti correttamente energie e risorse femminili inogni campo.

Per cambiare occorre vivere, non sopravvivere.Avendo rispetto per se stessi , con il coraggio diarrabbiarsi e trasformare il presente che calpesta ildiritto di dignità, obbligando alla rassegnazione daemarginati.

Il vecchio continente, nel frattempo, pur azzoppa-to, fa pressing su di noi affinché ci si adegui ai suoistandard. E, allora, nella corsa alla liberalizzazione,si sta confezionando un pasticciaccio all’italiana. Dasettembre 2012 gli ottantamila giornalisti pubblicistiiscritti all’ordine saranno fuorilegge? Esisterannosolo i professionisti che già hanno sostenuto ososterranno l’esame di Stato, grazie a un contrattoeditoriale o alla frequenza (superpagata) di unascuola di giornalismo? Sul caso c’è ancora nebbiafitta…

In Europa non funziona in questo modo. InFrancia , Germania, Regno Unito chiunque può svol-gere attività giornalistica. Non è questione di Stato,né di appartenenza. Piuttosto di libertà. Che loStivale continua a malmenare con il tacco a spillodei privilegi, camuffati da riforme.

*Nel settembre 2011, cittadini napoletani si sono riunitia Palazzo Serra di Cassano per presentare il manifestodella nuova sinistra. Tra i promotori, Ernesto Paolozzi,

docente di storia della filosofia contemporanea all’univer-sità Suor Orsola Benincasa di Napoli. L’obiettivo princi-pale: mettere in moto un riformismo radicale che possa

finalmente dare vita, dalle fondamenta, alla trasformazio-ne di un Paese finora troppo piegato sui privilegi di pochie l’ emarginazione di molti. Giustizia, cultura, partiti, tra-sparenza, arte contemporanea sono alcuni dei temi trat-

tati in questo nuovo numero del magazine il mondo disuk che raccoglie interventi di un gruppo di firmatari.

Per spiegare la necessità e le ragioni del cambiamento.

di Donatella Gallone

In alto, Nicholas Tolosa, “presenze barocche”In homepage, il Golfo visto da Vincenzo Amato

Domani vuol dire serietà

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GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13 ❒❒ pag. 3

Sinistra unita Tra riforme radicali

Il nucleo centrale del Manifesto a sinistrasi caratterizza come un tentativo di pro-porre alla sinistra italiana di percorrereuna via diversa dal moderatismo riformi-sta e dal radicalismo ideologico. Da qui

lo slogan che ho proposto: riformismo radica-le per una sinistra unita.

Non vi è alcun dubbio che sia l’idea di unriformismo radicale sia l’auspicio di una sini-stra finalmente unita, possono sembraresogni utopici se non velleitari. Ma vi sonomomenti della storia nei quali è necessariorivendicare il diritto al velleitarismo, all’uto-pia. Questo nel quale ci troviamo a vivere èuno di quelli.

Il capitalismo fondato sull’idea del liberomercato come premessa oconseguenza delle libertàpolitiche vive una crisistrutturale. Potrà noncrollare,come pure moltiprevedono o auspicano,ma certamente sarà pro-fondamente modificato.Come, del resto, è giàavvenuto altre volte, neglianni Trenta e dopo laseconda guerra mondiale.Un liberalismo puramenteindividualistico, social-mente darwiniano obanalmente consumisticonon regge più né sul ter-reno dell’utilitarismo eco-nomico né su quello del-l’etica sociale. Ha necessi-tà di ritrovare innanzitut-to un’anima, tornare adessere un liberalismo dalvolto umano. Ciò che èpossibilissimo se al libera-lismo si conferisce unadimensione metodologicae non dottrinaria.

D’altro canto non è maiaccaduto che di frontealla crisi di un sistemapolitico e d economico si potessero riproporresic et simpliciter modelli del passato se nonin senso puramente metaforico. I richiamialle tradizionali narrazioni storiche della sini-stra rivoluzionaria possono avere valoreindicativo, emotivo ma non rappresentanouna soluzione politica in senso autentico.

Per noi, dunque, un riformismo radicale hasignificato se siamo in grado di ripensare lademocrazia oggi in evidente difficoltà ridefi-nendone gli spazi sia sul versante partecipa-tivo sia su quello della limitazione della deri-va populistica e nel contempo ripensare aduna questione sociale che non limiti la creati-

vità dell’intrapresa, le garanzie della libertàindividuale.

Ciò significa, in concreto, ad esempio, ridi-segnare i confini politici dell’Europa (maicome in questo momento se ne avverte l’ur-genza) e al tempo stesso riqualificare l’impe-gno politico locale. Non si può pensare allaprima come ad un politica astratta e troppolontana e alla seconda come ad una troppolocalistica e meschina.

Un ultimo esempio. Il lavoro può riacquista-re centralità se si comprende che bisognauscire dallo schema tradizionale, quelloimperniato sul concettosi mero calcolo utilita-ristico, sia che lo si pensi dal lato dei lavora-tori sia da quello degli imprenditori o dello

Stato imprenditore. Potrebbe non sembrarevelleitario, ma forse soltanto ragionevole,riproporre il tema della quantità e della quali-tà del lavoro in un mondo altamente tecnolo-gizzato.

Ma questi sono solo alcuni esempi. Tocca atutti noi rendere concreto il riformismo radi-cale nella concretezza della lotta politica unavolta che si riesca a tracciare dei confini teo-rici più precisi.

di Ernesto Paolozzi

Nella foto in alto, una strada parigina.La nuova sinistra deve essere europea

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GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13❒❒ pag. 4

Lavoro significa ricchezza

Cosa ci aspetta quando la speculazionefinanziaria avrà mangiato tutto il mangia-bile? E' possibile sperare che il lavororiassuma il valore di fattore primario perla produzione di nuova ricchezza? E nel

frattempo, cosa si può fare?E' opinione ormai diffusa che lo stato critico del-

l'economia mondiale è riconducibile (anche) allafinanziarizzazione dell'economia, ad un liberismo

selvaggio che si è spinto a diffondere la convinzio-ne che il denaro si può fare con il denaro. Tra igiocatori in borsa c'è chi arricchisce scandalosa-mente (solitamente chi è già ricco) e chi ci rimettetutti i suoi risparmi.

La colpevole e subalterna complicità dei governi-e dunque della politica- a queste convinzioni, nonlimita i danni ai "giocatori in borsa". Poiché sono glistessi governi a giocare in borsa con le risorsepubbliche, la crisi si riverbera su tutti coloro che loStato dovrebbe tutelare. I tagli al welfare, allamobilità, all'istruzione, alla sanità, colpiscono i cit-tadini nella loro dignità e minacciano la loro appar-tenenza alla civiltà moderna. Sappiamo bene deglisprechi perpetrati per insipienza politica in questicampi, ma se i diritti più elementari continuano aessere calpestati, sarà sempre più difficile invocareil rispetto delle leggi che assicurano la convivenzacivile nelle comunità. “La fame fa uscire il lupo dalbosco”, figuriamoci se non risveglia gli istinti pri-mordiali degli esseri umani. C'è da temere per l'in-columità fisica di chiunque abbia qualcosa in piùdel suo vicino, altro che scandalizzarsi per qualchefischio che ha accompagnato l'uscita di scena delcavaliere. Questo, in sintesi, è quanto mi è parso

di capire. Temo che, se la speculazione finanziariaarriverà a dispiegare tutti i suoi effetti, assisteremoallo sgretolamento di regole fondanti della convi-venza civile. Quel che già stiamo vivendo oggipotrebbe essere il prodromo di scenari ben piùdrammatici e preoccupanti per il futuro. D'accordo.Oggi la priorità è fermare la speculazione, ma unriformismo radicale che voglia essere tale, nonpuò limitarsi ad agire sugli effetti, devenecessariamente incidere sulle cause che lihanno determinati.

PRODUZIONE DI BENI

Credo che il ciclo merce-denaro-merce sia l'unicoin grado di far crescere la ricchezza e, al contem-po, la ripresa del ragionamento sul come redistri-buirla. Il tema del lavoro come valore è dunqueimposto dalla necessità di chiudere la stagionedell'economia di carta e riprendere la produzionedi beni e servizi come leva per lo sviluppo e per latenuta dei livelli di civiltà conquistati.

Il tema non è trattabile in breve. Con la crisi delfordismo, la molecolarizzazione dei luoghi di pro-duzione, l'esplosione del lavoro autonomo, lafinanziarizzazione delle imprese, la consuetudine aconsiderare il lavoro come un costo, il lavoro haappannato il valore di bene comune su cui sifonda la Repubblica italiana (art. 1). Eppure, recu-perare il senso di quell'articolo è di palpitanteattualità.

PARTIRE DAL TERRITORIO

Forse c'è un modo per recuperare. Servirebberocoerenti politiche per lo sviluppo territoriale. Lerisorse endogene dei nostri territori -spesso retori-camente celebrate- possono ben essere organizza-te, valorizzate e promosse nei mercati globali, ciò,naturalmente, avendo cura di produrre beni eservizi di qualità adeguata alla domanda di fruibili-tà dei consumatori.

In tal modo potrebbero trovare diffuse opportu-nità di applicazione i tanti "cervelli" che, adesso,sono solo costretti ad emigrare.

Il territorio è dunque la risorsa da cui partire perintegrare efficacemente politiche di sviluppo, for-mazione, inclusione sociale, occupazione e promo-zione della condizione umana.

Ciò non esclude né supera l'esigenza di unammodernamento delle grandi infrastrutture e diun serio ripensamento delle politiche industriali,ma intanto ci sarebbe la possibilità di ripartire darisorse immediatamente disponibili: quelle endoge-ne e quelle comunitarie.

Continuo a ritenere che ciò che serve è un rifor-mismo radicale applicato alle concrete realtàterritoriali, istituzionali, economiche e sociali entrocui ciascuno di noi ha l'opportunità di operare.

di Osvaldo Cammarota

Nella foto in alto,un scatto di Nicholas Tolosa

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GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13❒❒ pag. 5

Nuove opportunità e investimenti sociali

Asettembre del 2011 è stato presentato allacittà di Napoli il “Manifesto a sinistra”,un'analisi del voto referendario e di quelloamministrativo in città. Lo stesso non sco-moda forbite categorie di pensiero politico,

ma tenta di tradurre la voglia di “alterazione” e leaspettative dei cittadini nelle espressioni di votoindicate in precedenza, che rappresentano la reazio-ne a vent'anni di uccisione dei sogni e delle aspetta-tive degli amministrati.

Un durissimo rimprovero rivolto a una sinistraframmentata, rissosa ed incapace di farsi interpreteadeguata e coerente di quel riformismo che nelpassato aveva saputo fornire risposte a milioni diitaliani e che oggi sembra assopito e relegato adelemento non più attrattivo e credibile.

Ma il voto del popolo arancione, dando nuovalinfa a questa società opulenta, ha comunicatoanche che protesta e speranza possono tradursiin cambiamento attraverso la partecipazione. ANapoli, più che altrove, quel voto deve diventa-re possibilità di riscatto per una società più giu-sta, normale, inclusiva, solidale, generosa.

A Napoli più che altrove diventa urgente rilan-ciare il tema dei diritti sociali, non di eventualielemosine. E la vivacità culturale del nostrocapoluogo ci ha dimostrato che quando vuolesa farsi grande.

Gli assessori alle politiche sociali dei Comunidi Roma, Forlì, Siena, Bologna, Milano, Genovae Torino, in collaborazione con l'AssociazioneNazionale dei Comuni Italiani (ANCI), organiz-zati da quello del Comune di Napoli – SergioD'Angelo – hanno scritto ai Ministri Fornero eBalduzzi (Politiche Sociali e Salute) chiedendopiù attenzione al welfare locale, all'equità e allagiustizia sociale. Da Napoli parte la richiesta diristabilire il Fondo Nazionale per le PoliticheSociali e quello per la Famiglia, prosciugati daBerlusconi e Tremonti, e la proposta di un PianoStraordinario Nazionale Povertà. Quindi, nonmera richiesta di soldi, ma proposte e risposte dadare sul campo.

Si è aperta, recentemente, una casa per transes-suali in difficoltà, “Altriluoghi”, il primo consultorio diquesto genere nell'intero meridione d'Italia, dovepersone omosessuali in stato di bisogno potrannotrovare una struttura di accoglienza temporanea,ascolto, consulenza psicologica e legale, accompa-gnamento ai servizi sanitari, e dare inizio ad unaricerca di percorsi di inserimento lavorativo.

Ma questa è anche la città che ospita, in modoinsufficiente, i rifugiati della guerra in Libia che,costretti a scappare dalla loro terra d'origine peruna guerra di liberazione i cui tempi sono stati det-tati da interessi occidentali, hanno rivolto un appelloalla cittadinanza.

Sono stipati in alberghi di pessima qualità e concibo scadente ed insufficiente, costretti a vivere conappena 2,5 euro al giorno “passati” dall'UnioneEuropea.

Ed è ancora Napoli la città che nel 2008 diedefuoco ai campi Rom nel quartiere orientale di

Ponticelli e che, ancora oggi, mantiene pericolose“baraccopoli” dentro i suoi confini, facendo finta dinon accorgersene.

Tagliare, ridurre non significa razionalizzare magarantire meno tutele e meno diritti, significa impo-verire ed immiserire persone, beni, luoghi, significaimputridire i rapporti politici, civili e sociali.

La crisi del sistema economico “sprigiona” ulterioricondizioni di precarietà sociale. Espulsi dai cicli pro-duttivi, inoccupati, disoccupati di lunga durata,immigrati e disagiati sociali verranno costretti ancorpiù ai margini della società.

Ecco il compito, quindi, per una nuova sinistra chetorni a essere adeguata interprete dei nuovi bisognie delle nuove opportunità, che sappia suggerire lacreazione di nuovo lavoro, che sappia proporre

comunità inclusive e prospettare investimenti socia-li.

La sinistra napoletana e campana rischia di porsidefinitivamente “fuori dalla storia” se non sarà ingrado di cogliere le opportunità offerte dal grandeconsenso riscosso e rappresentare le istanze parte-cipative provenienti da gruppi di interesse, cessan-do definitivamente di mettere in atto la suicida pra-tica della cosiddetta “scissione dell’atomo”.

La sinistra, insomma, ritorni essa stessa agente dimobilitazione politica, recuperi la frattura tra societàe politica.

Il “Manifesto a sinistra” propone questo ragiona-mento e vale la pena tradurlo in iniziativa culturalee politica, con manifestazioni pubbliche in luoghiaperti al contributo non “pilotato”.

La validità di questa traccia risiederà, a mio avvi-so, nella continuità d’azione sociale che innanzituttoi firmatari sapranno imprimere.

di Raffaele Carotenuto

In alto, i rifugiati della Libia a Napoli hanno lanciato un appello alla città durante un incontro pubblico

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GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13❒❒ pag. 6

Quella crisi dei partiti

L’avvento di Mario Monti al governo

del Paese rappresenta l’ultimo episodio,forse il più eclatante, della crisi deipartiti in Italia e della loro incapacitàa rappresentare le istanze e le esigen-

ze che provengono dal fondo della societànazionale nel momento forse più drammatico, daldopoguerra, della sua storia.

Per comprendere la fondatezza di tale assun-to, bisogna ricostruire le ultime, convulse fasi chehanno preceduto la nomina di M. Monti a senatorea vita da parte del Presidente della Repubblica el’affidamento allo stesso dell’incarico di formare ungoverno, con il preciso compito di formulare unaproposta che consentisse all’Italia di fronteggiara

la crisi e nello stesso tempo di rimanere in Europacon la dignità di un grande Paese.

Quella nomina e quell’incarico sono stati prece-duti, in successione: dalla conclamata incapacitàdel governo di centro destra di presentare unaproposta in grado di fronteggiare la crisi e diavviare l’Italia su una strada di graduale supera-mento delle conseguenze più drammatiche conse-guenti ad essa; della identica incapacità dell’oppo-sizione di presentarsi al Paese con un pacchetto diproposte che la qualificasse cone forza di governo,sensibile ai problemi della collettività e in grado dirinunciare alle proprie singole peculiarità per assu-mere in sé i problemi del Paese; dalla perdita dellamaggioranza in Parlamento da parte delle forze algoverno e dalle conseguenti dimissioni di SilvioBerlusconi da presidente del Consiglio; infine, dalladecisione del Presidente della Repubblica di nomi-nare Mario Monti senatore a vita e di affidarglil’incarico di formare un governo di tecnici.

In sostanza, di fronte all’accavallarsi di tali avve-nimenti, è risultato chiaro all’opinone pubblica chela nomina e l’incarico a M. Monti rappresentano ilrisultato della fuga delle forze politiche, e maggior-mente di quelle di governo, dall’impegno ad assu-mersi la responsabilità di presentare un program-ma organico di misure, sicuramente impopolari,per uscire dalla crisi.

Il resto è cronaca di questi giorni: M. Montiforma il governo, lo presenta alle Camere, riceve il

voto favorevole di queste ultime e comincia alavorare alla definizione delle proposte anticrisidefinite “salva Italia”.

A questo punto ricomincia la pantomima delleforze politiche, la cui credibilità non a caso è scesaulteriormente nella considerazione dell’opinionepubblica come mai forse è avvenuto prima d’ora.

La Lega, che fino a qualche giorno prima hacondiviso le responsabilità di governo e dell’inca-pacità di quest’ultimo ad affrontare la gravità

della crisi negandone pervicacemente l’esistenza,decide di passare all’opposizione, gridando alcolpo di stato “bianco”, denunciando la messa inmora della democrazia rappresentativa e deciden-do di ripristinare un simulacro di democrazia, ria-prendo le porte del cosiddetto parlamento dellapadania, inesistenti il primo e la seconda; aggiun-gendo, secondo la peggiore cultura politica reazio-naria, che nei confronti dell’Italia si stava metten-do in atto, ad opera di oscure forze, un complottoteso alla destabilizzazione dell’ordine democraticoed a consegnare il Paese al capitale finanziariointernazionale. Se così fosse, la Lega ne sarebbetra i primi responsabili… mentre il Polo delleLibertà, il maggiore responsabile unitamente allaLega del rischio di default in cui è stata trascinatal’Italia, indifferente a tutto il resto, si prepara anuove elezioni, senza escludere la eventualità,espressa più volte da Silvio Berlusconi, di costitui-re un nuovo partito.

L’Italia dei Valori da parte sua, dopo aver votatoa favore del governo presentato da M. Monti,torna a cavalcare la sua vocazione demagogica epopulista, e decide di votare contro i provvedi-menti in via di definizione, accusando il nuovo pre-sidente del Consiglio di continuare la politica delvecchio governo squalificato di centro destra, sor-volando sulla propria assenza rispetto ai problemipiù acuti, e tentando uno scavalcamento a sinistradel Partito Democratico, dopo che Antonio DiPietro aveva ufficialmente dichiarato qualche meseprima di essere figlio della tradizione democristia-na e di non avere nulla in comune con la sinistra.

Il Partito Democratico, a sua volta, sconta nelproprio seno le contraddizioni dovute alle tantespinte che ne caratterizzano la nascita e l’azione, eoscilla tra l’adesione alle proposte del nuovogoverno e la tentazione di prenderne le distanze;E l’Unione di Centro, infine, si è del tutto appiattitasulle proposte di M. Monti nella prospettiva diattribuirsi qualche merito se l’azione di quest’ulti-mo conseguirà dei successi.

Irrilevante e ancora una volta fuori da ogni realeanalisi della situazione attuale, la posizione del-l’estrema sinistra, SEL compresa.

Siamo consapevoli che il quadro presentato con-tiene semplificazioni e qualche sommarietà, ma ciguida fondamentalmente un cruccio e una speran-za: che le forze politiche ritrovino la misura e lecondizioni per superare la propria crisi e con essala più generale crisi di rappresentanza dell’interasocietà.

di Benito Visca

Nella foto in alto,piazza Montecitorio, immagine di Giuseppe Vasi

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GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13❒❒ pag. 7

Una rivoluzione culturale

La scuola italiana, pubblica e priva-ta, è sopravvissuta negli anni alletante riforme, quasi sempre inutilie talvolta dannose. E’sopravvissutaper il buon senso dei docenti e

delle famiglie che sono sempre riuscite adadattare il riformismo ridondante edastratto alle reali condizioni della societàitaliana e alle reali esigenze educative.

Oggi la situazione è precipitata. Negliultimi anni si sono sovrapposte le rigiditàburocratiche dellasinistra al vellei-tarismo autoritariodella destra. Iltutto in una totaleassenza di letturadella società con-temporanea,delnuovo rapportoesistente fra l’isti-tuzione scolasticae l’intera società.

La scuola e l’uni-versità non hannobisogno di nuoveregole che inges-sano la creativitàe la libertà e nem-meno di esseresvendute ai privatiquasi fosseroaziende fra leaziende, municipa-lizzate da rendereeconomicamentepiù conveniente.L’istruzione devetornare ad esserecentrale in unPaese moderno ecivile.

Un riformismoradicale e corag-gioso, oltre a pre-occuparsi per i ver-gognosi tagli economici compiuti in questiultimi anni inferti all’intero sistema forma-tivo,aprirebbe una vera e propria vertenzaeducativa, mettendo in discussione l’im-pianto stesso della pedagogia ministerialedrammaticamente trasversale alla destra ealla sinistra,una pedagogia figlia di quelpensiero unico che troppo spesso la sini-stra radicale condanna solo a parole e lasinistra riformista insegue quasi a farsiscusare per l’antico passato.

Un esempio per tutti. La pigrizia intellet-tuale con la quale si accolgono nel mondodell’educazione e della formazione i meto-di puramente quantitativi, quelle che inItalia chiamiamo prove INVALSI. Allalunga questa mentalità, che Morin chiame-rebbe riduzionistica, può minare alla basel’educazione e la formazione di intere clas-

si dirigenti del Paese. Il metodo puramen-te quantitativo che pure ha i suoi pregi,sediventa il metodo,l’unico criterio di giudi-zio, non può che non indurre alla pigriziamentale,alla perdita della creatività,allasupremazia della mediocrità sull’originali-tà. In Italia rischiamo seriamente che lapedagogia scolastica si riduca in un com-promesso al ribasso fra mediocrità tecno-logica ed egualitarismo tardo giacobino.

Su questo fronte non casualmente una

certa sinistra e una certa destra finisconocon il trovarsi d’accordo. Una sinistra rin-novata e innovativa, deve potersi proporrecome una forza politica in grado di imma-ginare una formazione di tipo complessa,in grado di leggere la storia e il presentenella connessione fra cultura umanistica escientifica, capace di immaginare unascuola civilmente impegnata oltre cherigorosa, una scuola interessante oltre chedisciplinata. Una rivoluzione culturale,insomma, che potrebbe partire perfinodagli orari scolastici, oggi inutilmente one-rosi e certamente anacronistici.

di Lea Reverberi

In alto, studenti in classe. La nuova scuola

deve essere impegnata e interessante

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GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13❒❒ pag. 8

di Gianpaolo Paladino

Mezzogiorno,rilancio europeo

Iproblemi dello sviluppo diseguale delMezzogiorno e le relative azioni adottatesono stati, nel corso dei decenni e con esitialterni, al centro del dibattito politico edeconomico.

Il proposito di colmare il divario tra le dueItalie ha costituito il fulcro della cosiddetta politi-ca degli interventi straordinari, avviata nel dopo-guerra attraverso lo strumento della Cassa per ilMezzogiorno.

POLI DI SVILUPPOSulla base del presupposto dominante nella

letteratura economica classica che imputava ilritardo economico all’assenza dei prerequisitidella crescita, si realizza una prima fase di inter-venti finalizzati alla creazione di adeguate infra-strutture ( strade, ponti, bonifiche, acquedotti,ferrovie), premessa per il decollo di un processodi industrializzazione, che avrà poi avvio sul fini-re dagli anni ’50 e nei primi anni ’60, ma conuna caratteristica ben precisa: promuovere unintenso sviluppo industriale e agricolo concen-trandolo semplicemente in alcune zone indivi-duate come “poli di sviluppo”.

Quelle scelte di politica economica adottate perporre rimedio all’“arretratezza” economica delleregioni meridionali, attraverso una fase di acce-lerata industrializzazione regolata dall’interventostatale, si dimostreranno largamente incapaci disuperare il differenziale di sviluppo, aprendoaddirittura la strada a un ulteriore approfondi-mento delle distanze socio-economiche all’inter-no dello stesso Mezzogiorno.

Non è compito di queste brevi note seguirel’evoluzione del dibattito sviluppatosi intorno albinomio sviluppo/sottosviluppo, approfondire lemodalità, le incongruenze, i ritardi dell’azionerealizzatasi nel corso di qualche decennio. È suf-ficiente qui registrare che il fiume di denaroriversatosi nel Mezzogiorno nel corso degli anniha lasciato aperto il problema. È significativoricordare un solo dato: il tasso di occupazionenel Sud che era, nel 1951, all’81% del Centro-Nord, subiva, paradossalmente, un regresso neltempo per giungere dopo quasi un sessantennio,nel 2009, al 68,9%.

CRISI DEL MODELLO INDUSTRIALEL’affermarsi della globalizzazione segna una

svolta negli scenari economici a tutti i livelli. Lalibera circolazione dei capitali si accompagna auna politica di deregulation. Lo Stato, secondo il

paradigma liberista, cede il passo nel ruolo diagente primario dell’economia. Le politiche neoli-beriste, infatti, si affidano a un nuovo moloch, ilmercato, che, secondo l’assunto smithiano dellamano invisibile, si erge a supremo regolatoredelle scelte economiche.

In Italia la crisi del modello industriale di tipofordista, basato su alta intensità di lavoro ebassa tecnologia, prende le forme di un’accen-tuata smobilitazione e riduzione della base pro-duttiva soprattutto in quei settori (informatica,elettromeccanica, chimica) che erano stati traquelli di punta del comparto industriale delPaese, provocando, sia detto per inciso, ancheun progressivo ridimensionamento del ruolo edella forza del movimento operaio.

MERIDIONALIZZAZIONE DEL NORD L’imporsi, inoltre, di un massiccio fenomeno

migratorio, che interesserà in modo crescente ilnostro Paese, le condizioni e i modelli di vitaindotti anche dalle nuove dinamiche nel rapportocentro-periferia contribuiranno al determinarsinelle aree più ricche del Paese di condizioni efenomeni che, per lungo tempo, erano stati tratticaratteristici del Mezzogiorno. Si evidenzia unnuovo fenomeno: la “meridionalizzazione” delNord.

In questa cornice e sulla scia della teorie sven-tolate dalla Lega Nord nell’ultimo quindicennio, siè diffusa l’idea, che ha fatto breccia anche inmolti meridionali, che il Sud, nonostante lecolossali risorse ivi trasferite, rappresenterebbeun ostacolo permanente allo sviluppo del Paese,essendo fonte di enormi sprechi. Una politicabollata come puro assistenzialismo avrebbeindotto, tra l’altro, sia l’imprenditoria sia le stessepopolazioni a contare solo sugli aiuti dello Stato,condannando la società meridionale a unaperenne incapacità di contare sulle proprie forzeper creare nuove e migliori condizioni di vita. IlSud, dunque, come modello di una “societàabortiva”, che impedirebbe alle zone economica-mente meglio attrezzate del Paese di affrontaree vincere la sfida della crescita nel mondo globa-lizzato.Su queste idee, la Lega ha costruito inquesti anni il proprio consenso attraverso la ban-diera del federalismo che assumeva più i caratte-ri di una chiusura egoistica fino a diventare l’ideadi una vera e propria recessione. La convinzionedi un Nord pronto a riprendere la via della cre-scita appena libero dalla zavorra costituita dalSud non trova, però, conferma nei dati presenta-

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ti dalla Svimez nel suo ultimo Rapporto. In essi,infatti, si evidenzia che, anche prima degli ulti-missimi anni dominati dalla crisi finanziaria inter-nazionale, parametri come prodotto pro capite eproduttività del lavoro presentano un andamentodecrescente nelle regioni del Nord come in quelledel Sud.

I dati contenuti nel Rapporto evidenziano, inol-tre, una grave crisi occupazionale, dovuta allascarsità di investimenti, abbattutasi sulle regionimeridionali dove, infatti, la disoccupazione giova-nile, in particolare tra i 15 e i 24 anni, risultaessere il doppio che al Nord. La crisi finanziariapartita nel 2008, poi, ha ridotto ulteriormente ilruolo e la forza dell’economia meridionale conuna perdita del 60% sul totale dei posti di lavoropersi nel Paese, benché solo meno di un terzodell’occupazione nazionale sia concentrato nelSud.

Ormai le quasi uniche risorsedestinate al Sud sono quelleprovenienti dai Fondi Europeiche hanno il limite di essereconcessi su progetti di massi-ma, proposti dalle singoleRegioni senza essere finalizzatia un organico piano di sviluppoe che le stesse Regioni sonoincapaci di utilizzare proficua-mente tanto che dei 47 miliar-di del Programma 2007-2013risultano spesi, al 2011, pocopiù del 10%.

TSUNAMI DEMOGRAFICOVa aggiunto che i dati conte-

nuti nell’ultimo RapportoSvimez, sono ulteriormenteallarmanti per il Sud: è previ-sto un significativo decrementodella popolazione complessiva.Si parla di “tsunami demografi-co” che, in assenza di adeguatepolitiche sociali di sostegno determinano unesodo sempre più preoccupante di giovani anchedi quelli con maggiore qualificazione.

Utilizzando lo schema di Manlio Rossi Doria del-l’osso e della polpa, che era stato alla base del-l’intervento straordinario per Poli di sviluppo,potremmo amaramente concludere che, di que-sto passo, tutto il Mezzogiorno, dove sempre piùsi allargano le sacche di povertà, si ridurrà aosso.

Se sul piano economico e sociale, il Paeseintero sembra quindi avviato a un lento declino,la risposta non può che ripartire dalla lezionedei grandi meridionalisti per i quali la risoluzionedei problemi del Mezzogiorno costituiva il pernodel processo di crescita unitario del Paese.

Ma nel mondo globalizzato i processi di inter-dipendenza si rafforzano e nessuna area econo-mica, dunque anche il Sud, potrà competere sulmercato internazionale affidandosi al bassocosto dei salari e su prodotti a basso contenutotecnologico.

È innanzitutto fondamentale uno sforzo peravviare una politica di rilancio e di messa invalore delle potenzialità dell’area meridionale inuna dimensione europea, anche perché le deci-sioni avvengono sempre di più a livello sovrana-zionale e velleitarie appaiono le politiche prote-

zionistiche. Se il Sud può costituire un formidabi-le volano per la crescita dell’economia nazionale,allora bisognerà individuare nuove strade anchepuntando ad attirare anche nel Mezzogiorno capi-tali stranieri che possono allargare la base pro-duttiva.

Se da più parti si è sostenuto che il futurosarà basato sulla crescita del settore dei servizipiuttosto che sull’industria, non ci sembra, però,che la tanto decantata vocazione turistica delSud possa essere, da sola, una strada per ildefinitivo sviluppo delle nostre regioni meridio-nali.

NUOVE GENERAZIONI COME RISORSALe ricette indicate per far ripartire il

Mezzogiorno sono diverse: fiscalità di vantaggioe/o creazione di una zona franca, energie alter-native, valorizzazione del ruolo di centro naturale

del traffico marittimo. Pensiamo al riguardo chesia fondamentale individuare e adottare politicheche possano valorizzare il capitale umano,migliorare le condizioni sociali, puntando innanzi-tutto sulle nuove generazioni attraverso investi-menti nella ricerca e nell’istruzione, penalizzatein questi anni dalle sciagurate politiche adottatedai governi della destra.

Premessa indispensabile per far ciò è ancheun’altra grande battaglia civile, culturale e politi-ca, che qui accenniamo soltanto: lo smantella-mento di quelle zone grigie, intreccio e commi-stione tra criminalità organizzata e comitati poli-tico-affaristici che è stata una costante che haaccompagnato in tutti questi anni la vita delleregioni meridionali e da cui oggi non sembranoormai immuni neanche diverse zone del Centro-Nord.

Questa sarà la prima sfida che una vera forzariformatrice dovrà affrontare se vorrà porsi con-sapevolmente e coerentemente alla guida diun’azione di ripresa e di crescita che unisca levarie zone del Paese in un progetto di sviluppoeuropeo.

Nelle immagini, Napoli secondo Nando Calabrese e Daniela Trabucco (a destra)

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Nell’affrontare un argomento controverso edelicato che attiene allo stato della giustizia inItalia, occorre innanzi tutto fare riferimento alnostro sistema costituzionale, che prevedeuna serie di garanzie, di limiti e di controlli

reciproci tra poteri dello Stato. Questo perché eranotroppo presenti, ai Costituenti, le preoccupazioni di unritorno ad uno stato illiberale e accentratore, ad ungoverno in grado di ignorare le minoranze fino ad elimi-narle dalla scena politica, nel caso di una maggioranzaschiacciante in Parlamento.

LA CENTRALITA’ DEL PARLAMENTO Fu proprio per sconfiggere una concezione della

democrazia fondata sull’autoritarismo e sull’onnipotenzadella maggioranza, sulla mancanza di limiti al mercato,sul disprezzo delle regole, che furono previsti limiti evincoli ai poteri economici e politici e si previde la cen-tralità del Parlamento quale protagonista della vitademocratica. E la stessa attività legislativa fu sottopostaa controlli: la Corte costituzionale, giudice delle leggi, ingrado di neutralizzare le norme contrarie ai valori fon-danti della Repubblica; il magistrato nominato per con-corso e non eletto dai cittadini né scelto dal Parlamentoo dal Governo, che il legislatore costituzionale ha volutosoggetto “soltanto” alla legge, dove l’accento cade sul-l’avverbio soltanto e dunque, prima ancora che fedeltàalla legge, la Costituzione impone disobbedienza a ciòche è contro la legge o fuori della legge. Disobbedienzaal Palazzo, come lo definiva Pasolini, disobbedienza allelobby economiche, disobbedienza ai poteri forti. Unmagistrato, cioè, in grado di difendere i diritti dei cittadi-ni anche contro le maggioranze, specie se schiaccianti;ed ecco l’obbligatorietà dell’azione penale, che rende icittadini eguali di fronte alla legge ed anche i politicisoggetti ad essa, ed il Consiglio Superiore dellaMagistratura, garante dell’autonomia e dell’indipendenzadella giurisdizione, che rappresenta essenzialmente nontanto una garanzia del magistrato quanto un principio dieguaglianza effettiva tra i cittadini.

L’OFFENSIVAMa cosa è avvenuto giorno dopo giorno sotto i nostri

occhi: un’offensiva senza precedenti contro la magistra-tura, sia essa inquirente o giudicante, che ha sfregiato ilvolto e la mente degli assetti democratici, il concettostesso di Stato di diritto, al quale è affidato il principio dilegalità fondato sul diritto uguale. Una magistraturaaccusata di complottare per conto della sinistra, di nutri-re ispirazioni eversive, tanto che molti dei loro apparte-nenti andrebbero ammanettati. Ebbene è troppo frescoil ricordo di quanto la magistratura ha fatto per fronteg-giare l’offensiva terroristica, di destra e di sinistra, ifenomeni mafiosi, la massoneria piduista, il dilagaredella corruzione. E sono troppo vivi nella nostra memo-ria i tributi di sangue versati dai suoi uomini migliori, perimpedirci di spedire al mittente quelle accuse volgari.

La notte della democrazia, come autorevoli commen-tatori hanno definito la giustizia nel nostro Paese. Senzache vi fossero reazioni all’altezza del problema, senzache vi fosse un’opposizione in grado di comprendere lagravità della ferita profonda inferta al nostro sistemacostituzionale, si è minata la credibilità del nostro siste-

ma parlamentare conleggi fabbricate sumisura dei loschi inte-ressi dell’uomo politi-co che ha guidato ilPaese, pressoché inin-terrottamente perquasi un ventennio; sisono cancellati reati dicui era chiamato arispondere davanti adun Tribunale dellaRepubblica; si sonoinvalidate prove diquei processi serven-dosi di leggi fabbrica-te in casa; si é osta-colata per anni lacelebrazione dei pro-cessi in attesa di una delle tante prescrizioni di cui ci si èavvalsi essendo imputati di reati odiosi, come la corru-zione di finanzieri e di giudici, si è arrivati a delegittima-re l’intero sistema giudiziario, compresi i Giudici costitu-zionali, per renderli non credibili ed impotenti ad eserci-tare il controllo di legalità loro affidato dallaCostituzione; si è assistito alla costante mortificazionedell’organo di autogoverno della magistratura per com-primere l’autonomia e l’indipendenza della funzione giu-diziaria; si è tentata la cancellazione della obbligatorietàdell’azione penale prevedendo di surrogarla con unsistema che consenta, secondo scelte ovviamente inte-ressate, quali reati perseguire e quali no; si sono minac-ciate leggi per rendere il processo non più “breve” madai tempi incontrollabili, si è intimidita la libertà di stam-pa. E si è occupata per intero l’informazione gestendotutte le televisioni, pubblica e privata, e gran parte dellastampa e dell’editoria: un devastante conflitto d’interessiche ha visto all’opera un presidente del consiglio promo-tore di leggi volte a neutralizzare i suoi numerosissimiprocessi, attraverso suoi avvocati promossi, per facilitarel’opera, al ruolo di legislatori che volta a volta formula-vano, con leggi della Repubblica, espedienti giudiziarivolti a neutralizzare consolidate norme giuridiche.

LA SCONFITTA DELLO STATO DI DIRITTOTutti questi sono o non sono passaggi verso una scon-

fitta dello Stato di Diritto, del diritto uguale, del principiofondante di una democrazia costituzionale quale è quellodella separazione dei poteri? Abbiamo o non abbiamotollerato il trionfo del conflitto d’interessi che ha permea-to e attraversato per vent’anni l’attività parlamentare; esubito l’avventura di una destra autoritaria e rozza, cheha devastato e sovvertito, per anni ed impunemente, inostri principi costituzionali, con ogni frase, iniziativa,riforma, fino ad avvelenare nel profondo le nostre istitu-zioni, i partiti, le coscienze?

Tutto questo non poteva non incidere profondamentesull’assetto della tutela dei diritti, della efficienza delleistituzioni di giustizia, non poteva non condizionare laqualità, l’efficienza, l’attendibilità della risposta giudizia-ria. I tempi processuali sono divenuti insostenibili, gliostacoli burocratici ed il costo della giustizia proibitivi, ladistanza tra magistratura e cittadini si è pericolosamenteallargata, al punto da rendere troppo spesso inaccettabi-

di Libero Mancuso

Giustizia efficiente Trasparente e imparziale

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li le decisioni, di qualunque segno esse siano, e arduo,costoso e defatigante l’accesso ad una giustizia semprepiù estranea, se non ostile, al rispetto dei diritti del citta-dino?

In questi anni di duro attacco alle proprie prerogativecostituzionali, la magistratura si è sentita in stadio diassedio, circondata da tifosi e denigratori. E’ stata chia-mata a risolvere, con carenza di mezzi, di uomini, dirisorse, di strumenti legislativi e dentro insidie di ognigenere, questioni riguardanti l’estendersi dei poteri cri-minali dentro l’intero territorio nazionale, il proliferare dipoteri occulti spesso alleati con quelli mafiosi, l’avvita-mento del nostro sistema politico dentro un baratro dicorruzioni e di alleanze criminali. E a rivolgere offensivedi polizia e giudiziarie contro i clandestini ed i cascamidella miseria, i san papier nemici di turno, in grado distornare l’attenzione che avrebbe meritato la criminalitàorganizzata.

LA MAGISTRATURA IN TRINCEAIn tali condizioni di difficoltà, era naturale che la

magistratura rispondesse colpo su colpo, si sentisse intrincea, rivolgesse le sue attenzioni verso chi ne insidia-va l’indipendenza, incentrasse le indagini servendosi didue strumenti fondamentali: le intercettazioni telefoni-che, i pentiti di mafia. Le residuali risorse probatorie inun processo denso di ostacoli. E si sono avute inevitabilidistorsioni anche gravi: processi mediatici, con fughe dinotizie che non avrebbero dovuto divenire pubbliche,usati persino a fini di ricatto, con esiti negativi supe-riori ad una condanna definitiva; ricorso alla parola dei“pentiti”, come verbo da sottrarre ad ogni critica, scor-ciatoia probatoria spesso inquinante la verità proces-suale (si pensi alla condanna all’ergastolo di sette espo-nenti di mafia per l’omicidio di Paolo Borsellino e dellasua scorta, liberati dopo oltre dieci anni perché innocen-ti e condannati essenzialmente sulla base della paroladi un falso pentito); giudici troppo spesso condizionatidagli orientamenti della pubblica opinione. A sua voltacondizionata da una invasiva presenza di carta stampatae televisione che attribuiscono popolarità e successo otrascinano nella polvere singoli investigatori o interi col-legi giudicanti, a seconda della compatibilità delle lorodecisioni con gli orientamenti suggeriti dai media. Tuttoquesto dentro un complessivo scadimento di etica pub-

blica, inevitabile al termine di due decenni di torsionedello Stato di Diritto.

CORRETTEZZA E VELOCITA’ DEI PROCESSIOggi è possibile tornare a un leale dialogo, anche

aspro, tra magistratura, giuristi e opinione pubblica. E’caduto chi aggrediva i giudici, chi impediva di sottoporread analisi approfondita le scelte ed i comportamentidella magistratura, pena la personale demonizzazione ediscrizione di ufficio nello schieramento nemico. Divienecosì necessario, proprio per la crisi che attraversiamo,tornare a sottoporre a critica la giurisdizione, invocarnela correttezza, la lealtà processuale, l’approfondimentonon preconcetto degli indizi e delle prove, il rispettodelle figure degli imputati e degli avvocati, di tutti gliimputati, a qualunque categoria o consorteria criminaleessi appartengano, e dei loro difensori, troppo spessiguardati con sospetto e con ostilità, poiché il diritto didifesa è prerogativa costituzionale e deve essere messain grado di spaziare lungo tutto il percorso processuale.E occorre dare speditezza ai processi, assicurarne laconclusione in tempi ragionevoli, eliminare sacche diinefficienza ed uffici superflui; ridurre il ricorso in appel-lo, inteso come fase intermedia obbligata volta a conse-guire la prescrizione, poiché quel gravame può esseredisciplinato con legge ordinaria e va assicurato solo indeterminati casi; rivedere le circoscrizioni, eliminandoquelle inutili; prevedere una massiccia depenalizzazionedelle tante fattispecie bagattellari, rendere effettivo ilprincipio indefettibile del processo accusatorio fondatosul contraddittorio. Una giustizia efficiente, trasparente,imparziale, rispettosa dei diritti fondamentali del cittadi-no, qualunque sia il reato attribuitogli. In grado di attri-buire al sistema giudiziario legittimazione e consenso.Una magistratura chiamata ad accentuare la propriaconflittualità con l’esecutivo nel pretendere precise rifor-me in grado di realizzare un processo giusto in tempiragionevoli. Con coraggio e con decisione. Altrimentisarà indicata come la responsabile dello sfascio dellagiustizia e pagherà per colpe anche non proprie. E nontroverà nessuno a sostenerla.

POLITICA E RITORNO AI VALORIGli errori commessi in questo ultimo orrendo venten-

nio dalla Sinistra sono stati enormi; l’unica salvezza perl’Italia, non può che essere il ritorno alla politica deivalori, il risveglio della ragione e delle coscienze chel’immiserimento che ha segnato la politica in questi anniha assopito. Tanti segnali che indicano una volontà diffu-sa di ritornare alla grande politica, quella che non sisepara dall’etica, si affacciano da più parti del Paese. Unpatrimonio di attenzione, di idee, di lotte per obbiettivigiusti che creavano grandi tensioni ideali sono andatedisperse. La Sinistra, se vuole riproporre la sua centrali-tà nella riconquista di un assetto democratico e nellaricostruzione del nostro Paese dalle macerie morali emateriali cui è stato ridotto, deve farlo in nome di unmutamento profondo di strategia politica e deve partireda un grande dibattito interno che coinvolga nuovamen-te i ceti popolari, deve mostrare il coraggio di partire dauna puntuale autocritica perché diversamente non riu-scirà a riprendere i contatti perduti con la società civile eil futuro di questo Paese resterà ancora a lungo sprovvi-sto di regole e povero nella tutela dei diritti.

Non fingiamo che nel nostro Paese non sia avvenutonulla. Io credo che occorra essere “catastrofisti”, perchésiamo di fronte alla catastrofe dei diritti fondamentalidella persona. E siamo chiamati, tutti, a ricostruire unoStato di Diritto all’altezza di una Democrazia progressi-va.

In alto, l’inaugurazione dell’anno giudiziario

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GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13❒❒ pag. 12

Iluoghi comuni e i modi di diresono tanti, spesso fin troppoabusati ma contengono in séuna forza di verità che lirende in qualche modo sem-

pre attuali. Esempio: quando lanave affonda i topi scappano(quegli stessi che danzano inassenza del gatto), oppure tutti siaffrettano a salire sul carro del vin-citore, e così via. Tutto questo pervoler dire che per vivere bene, osoltanto un po’ meglio, è necessa-rio valutare sempre l’aria che tirae comportarsi di conseguenza.Certo così facendo non avremmoavuto gesti eroici o magnanimi (neabbiamo avuto qualche esempioanche in occasione dell’ultimadrammatica alluvione in Liguria) ela storia avrebbe forse molte menocose da raccontare, soprattutto persuggestionare l’opinione comune,ma la verità è sintetizzabile infondo in questa amara sintesi :“Mi accomodo dove mi fa piùcomodo”. Il nostro è poi un paeseche oltre ad annoverare come si sasanti, eroi e navigatori, registrapure un gran numero di opportu-nisti e “servi sciocchi” per i qualidignità, lealtà, responsabilità sonoper così dire parole non rintraccia-bili nel vocabolario dell’anima.

SPIRITO DI GREGGEGli esempi di tale stato di cose si

infittiscono in questi giorni e inqueste ore.E nessun settore sem-bra essere immune da questaspecie di morbo corrosivo. In poli-tica, sia a livello centrale che loca-le, il “riciclaggio” è all’ordine delgiorno. E onestà e coerenza intel-lettuale vanno a farsi benedire. Ma

il fatto più sensazionale è che tuttipretendono di essere all’altezzadella “nuova” situazione modifi-cando impunemente la propriacarta d’identità al solo scopo dischierarsi dalla parte giusta.Ignorando che se il nostro paesesta andando a rotoli è proprio inragione dal fatto che tutti hannoposto sempre e comunque l’ac-cento sull’efficienza della propriapoltrona assicurandosi che fossemorbida e confortevole.

Se ci facciamo caso tutti oggi siaffrettano a dire : io l’avevo pre-visto, l’avevo sempre detto,ecc.ignorando che fino a ieri hannofatto esattamente il contrario diciò che affermano oggi. E cosìfacendo nessuno si fa mai daparte. Una nazione in questa con-dizione al tempo stesso immobilee menzognera potrà mai farepassi in avanti?

La situazione come detto nonriguarda solo la politica (l’incredi-bile “spezzatino” di correnti all’in-terno dei due maggiori partiti,quello democratico e quello delcosiddetto popolo della libertà)ma coinvolge tutti i settori dellavita civile, dall’economia all’infor-mazione, dalla grande impresaalla pubblica amministrazione.Sarebbe davvero interessante (eistruttivo per il futuro) andare arileggere ad esempio previsioni eposizioni di economisti saccenti eopinionisti spocchiosi per rendersiconto - “oggi”- di come si sonorealmente svolte le cose. Ma losterile, acritico spirito di gregge èforse quello che ha avvelenatoscioccamente e definitivamente lapianta.

IL FINTO NUOVO Non si capisce perché mai sia

successa una cosa del genere, cheun intero popolo (o comunque unalarghissima parte di esso) abbiainteso dar credito ai maghi e agliimbonitori di tutte le specie, fosseun presidente del consiglio , unsindaco, un manager, un imprendi-tore di “successo”, persino un per-sonaggio dello star system, dellosport, dello spettacolo, e così via.Questa maggioranza in qualchemodo incosciente ha in fin dei contirovinato non la festa occasionale,ma il destino di un intero paese. Edè altrettanto pericoloso che oggiuna gran parte la si ritrovi travestitada giocoliere a gestire le etichettedi moda, a far la parte di “indigna-ti” o “arrabbiati” dimenticando chesimili episodi sono già avvenutiquaranta o cinquant’anni fa. E qui ildiscorso è strettamente culturaleperché prima di proporre il nuovooccorre tassativamente guardareindietro proprio per evitare il “fintonuovo”(ricordiamoci che l’Italia è ilpaese del “Gattopardo”) e ripetereconseguentemente gli errori giàcommessi. La cultura è in questosenso un serbatoio straordinariogiacchè contiene anche gli anticorpigiusti per non ricadere nella trappo-la arlecchinesca, di confezionarecioè il vestito con le toppe di sem-pre. Ciarlatani, speculatori, millan-tatori, furfanti e altri figuri delgenere hanno infestato il camminodi alcuni decenni della nostra storiaed ammorbato l’aria ai limiti dell’ir-respirabile. E’ forse venuto il tempodi dire davvero basta e tentarealmeno di incamminarsi finalmente- per dirla con Leopardi - su unastrada “lieta no, ma sicura”.

di Antonio Filippetti

In alto,due scatti

di Vincenzo Amato

Attenti a illusionisti e prestigiatori

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GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13❒❒ pag. 13

Napoli è uguale a tante altre città chesenza sforzi tutelano l’arte, come fauna madre con il suo figlio. L’arte,specialmente quella contemporanea,da queste parti, vive se il sistema

decide di darle ossigeno. Per sistema nonintendo, quello che viene spesso nominatonel film Gomorra, e forse non potrei, perchéeleverei a Boss,quelli che, sempreda queste parti,hanno pochi titoli,ma grande coesioneclientelare, al fine digarantirsi fama esuccesso.

I pesci piccoli, icosiddetti milioni diuomini e donne chehanno deciso senzache nemmeno loscegliessero, diessere artisti con-temporanei, transu-mano da spazi espo-sitivi ad altri, nellasperanza di farneparte, e di raggiun-gere più che lafama, un sogno,vivere con quello cheloro amano. Si dice,che altrove questosuccede, con grandegarbo e poche sman-cerie, con professio-nalità e grandesenso etico, mentrequi, sei giovaneall’infinito, fino aquando uno scozze-se, o un americanodi 23 anni, risultapiù promettente dite, perché straniero,anche se per loro, lagiovane età, è sinto-mo di talento. Se tutto il sistema del soste-gno all’arte contemporanea, o quello del con-cetto di promozione in senso lato, non tieneconto dei bisogni singoli e collettivi del terri-torio, non tiene conto di Napoli.

Mi balena in mente, come termine di para-gone, il nuovo restyling della stazione diNapoli Centrale e di Piazza Garibaldi, in attoe proiettato verso il futuro. E’ importanteprogredire, ma ci si accorge, che il degradosociale, attorno a quell’area, per quantol’estetica migliori, esiste e peggiora. La capa-cità di integrazione, la forza di gridare laverità è tipica degli artisti legati al territorio,

eppure non viene presa mai, abbastanza inconsiderazione. Esiste una straordinarialegge, che potrebbe essere applicata alleperiferie, dove nelle costruzioni di nuoviospedali, scuole, strutture comunali, casermeo rotonde, il 2% sulla somma totale spesa,deve essere investito per la realizzazione diopere o monumenti. Eppure la legge non

viene attuata. Centinaia di Chiese

sono chiuse e sconsa-crate, e potrebbero dicerto prestarsi adospitare i nuovi talen-ti Campani. Ex azien-de in disuso, strutturefatiscenti, si lascianomarcire, dimenticandoche il privato cheinveste nell’arte,viene agevolato nelpagamento delletasse. Si ha bisognoquindi, di scuotere larassegnazione sedi-mentata dalla man-canza di continuazio-ne nelle lotte cultura-li, intraprese in pas-sato e abbandonatecon gli anni. Bisognaconvincersi che se lecose succedono, nonriguardano più, i figli“di”, ma chi ha voglia“di”. E’ necessario,abbattere la solitudi-ne espressiva degliartisti, e quella deci-sionale dei dirigentidell’arte, al fine dicreare un indotto par-tecipato, attivo ecostante. Senza cre-scita collettiva, ilbenessere è latitan-te, e la cultura e il

miglioramento sociale, lasciano spazio aldegrado umano. Dare voce non costa, darespazio non prefigura nessun compromesso,dare possibilità, aiuta la coscienza collettiva,migliora la coesione e distrugge l’indifferenza.Bisogna dare peso a chi guarda il territorioprima delle sue tasche, a chi guarda lontanodopo aver visto Napoli prima, a chi abbia ideedi riscatto sociale, condivisibili con i talentivicini e poi con quelli lontani.

Nelle immagini in alto, due opere di Rosaria Iazzetta:

The false Gods e False Light in Tokyo, Tokyo 2004

L’Arte contemporanea…da queste parti di Rosaria Iazzetta

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GENNAIO 2012 - ANNO IV n. 13❒❒ pag. 14

Se la vita è una responsabilità

Guardando alle realtà sociali e geo-grafiche più prossime alla nostraosservazione, sulla soglia del nuovoanno siamo stati accompagnati daun diffuso senso di incertezza.

Nel mondo europeo ed occidentale, semprepiù radicata è la consapevolezza di essereentrati in un tempo di profondi cambiamenti,i cui esiti avranno conseguenze non del tuttoprevedibili; le ripetute analisi sulla crisi diquesto tempo, se, da una parte, sembranosottolineare la radicalità della svolta, dall’al-tra parte, nulla possono realisticamenteaffermare sugli sviluppi più profondi di uncambiamento in bilico tra opportunità e tra-collo. La stessa questione economica e

finanziaria, posta al centro delle nostre dia-gnosi, rappresenta solo un giudizio parzialesulla portata di quanto accade.

Nella diffusa area nord africana e medio-rientale, un vento impetuoso ha soffiato conforza, travolgendo decennali e consolidatiequilibri di potere, mietendo vittime inno-centi ed accendendo attese di un insperatoesito democratico. Gli avvenimenti che sistanno susseguendo a partire dall’inizio del2011 in tutto il bacino sud del Mediterraneo,riaccendono l’attenzione su questa vastaregione africana, tracciando una linea diconfine cronologico e storico rispetto a cam-biamenti precedentemente impensabili. Tuttal’area mediorientale può, infatti, essere tra-scinata in un vortice, i cui esiti sono ancoradel tutto incerti, ma che sicuramentepotrebbero modificarla radicalmente.

Questi due brevi accenni, in entrambi icasi, potrebbero facilmente essere ascritticome elogio della sola incertezza, dell’inevi-tabilità di un unico inarrestabile tracollo;oppure, dovrebbero essere vissuti comeun’opportunità di ripensamento, come unmodo per modificare le nostre errate prassi,come una possibilità per emendare colpegenerazionali. È quanto, in modo diverso,chiedono i giovani che affollano le piazzedella rivolta indignata: dalla piazza egizianadi Tahir a quella spagnola di puerta del Sol,dalla piazza londinese della cattedrale di St.Paul alle manifestazioni di Wall Street aNew York. Il sentimento della loro indigna-zione non è solo espressione di un’emozio-nale e temporanea protesta, ma potrebbeanche rappresentare una salutare scossa diresponsabilità civile, la riappropriazione dispazi di una vita democratica meno stru-mentale e distratta da logiche corporative, larichiesta di una libera autodeterminazionedel proprio destino; se così fosse, questotempo sarebbe indignato e critico non soloperché alla fine di un tempo, ma più proba-bilmente potrebbe anche preludere all’iniziodi un tempo nuovo, se vissuto come oppor-tunità e liberazione di sopite energie, checontrastino diffusi disfattismi e distruttivipessimismi; potrebbe essere il tempo, perripensare il nostro stare al mondo, ricordan-doci di essere solo custodi temporanei diuna sconfinata bellezza!

Sarà così che la nostra preoccupazionedovrà essere rivolta non solo alla paura dellapersistenza per lo spirare dei venti del cam-biamento e della crisi, quanto piuttosto alladenuncia che non vi siano troppe illuminatesensibilità che la governino, spiriti coraggiosiche la sappiano interpretare, utopie arditenell’intravedere approdi migliori per tutti. Disicuro, non è automatico pensare che iltempo della giovinezza voglia dire di per séla certezza di una migliore abilità, ma certa-mente quelle giovani mani sollevate ed indi-gnate nella protesta chiedono a chi ha rive-stito responsabilità civili di cedere il passo achi per definizione e biografia ha ancoravoglia di immaginare come potrebbe essereil mondo. Non la sclerosi di un equilibrioimmobile e conservatore, ma la caparbietàdi provare e riprovare ancora potrebbe faredella rabbia indignata la leva ed il laborato-rio per sperimentare una diversa prassi divita.

Nella notte dell’indignazione, le loro maniindignate potrebbero così condurci a guarda-re altrove e più in alto, a percorre nuovisentieri, a ricordare che la vita è di sicuroun’opportunità da giocare a nostro favore,ma, di più, una responsabilità per chi ciseguirà imparando dai nostri errori.

di Giuseppe Reale

In alto, Madrid invasa dall'indignazione dei giovani

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