Gellindo Ghiandedoro e un regalo complicato

29
1 L’ECONOMIA raccontata ai bambini 1 Gellindo Ghiandedoro e un regalo complicato

description

L’economia raccontata ai bambini 1

Transcript of Gellindo Ghiandedoro e un regalo complicato

1

L’ECONOMIA raccontata ai bambini 1

Gellindo Ghiandedoroe un regalo complicato

PrologoRiuscite a vederla anche voi, laggiù, quella bella valle, ampia e soleg-giata? Quella è la Valle di “Risparmiolandia”, incastonata ai piedi di montagne boscose e percorsa da torrenti e ruscelletti che bagnano i prati e irrigano i campi.

E lo vedete quel paesino stretto attorno a un tozzo campanile? Quelle trenta case in tutto che si crogiolano felici sul fianco soleggiato della valle, stiracchiandosi di quando in quando e cercando l’ombra fresca del Bosco delle Venti Querce? Quello è un villaggio un po’ speciale, sapete? È un villaggio che ha pure un nome speciale: è il “Villaggio degli Spaventapasseri”!

Ci vivono, infatti, trenta spaventapasseri, piantati ognuno nell’orto di ciascuna delle trenta case: spaventapasseri in tutto e per tutto uguali a quelli che conoscete anche voi – un vecchio cappello o un fazzoletto in testa, un grosso turacciolo al posto del naso e addosso un vestito rat-toppato e di fantasia… – tranne che sanno anche parlare, camminare, ballare, ridere e scherzare! Ognuno con la sua storia, ognuno con il suo passato, ma tutti amici che assieme fanno un bel gruppo.

2

Nel Bosco delle Venti Querce, poi, nel grosso tronco della quercia più vecchia, vive un altro esserino, che ben presto diventerà vostro amico di fantasia, ne sono certo: è lo scoiattolo Gellindo – “Gellindo Ghiandedoro” è il nome col suo cognome, – uno scaruffetto di animale sempre allegro, dormiglione al mattino, sbadato di giorno e fracassone di sera, sempre in giro a pensarne una e a combinarne cento…

Gellindo Ghiandedoro: il nome Gellindo gli è stato dato perché lo scoiattolo impiega almeno mezz’ora buona, tutte le mattine, a impoma-tarsi la grande coda usando un intero tubetto di “gel”. Gel potente, eh!, non so se mi spiego: proprio quel gel che scolpisce i peli della coda e li rende duri, lucidi e sottili come tanti aghi! A Gellindo piace così: noi non possiamo farci nulla!

E il cognome “Ghiandedoro” da dove viene? sta chiedendo qualcuno di voi. Ehi, ma volete sapere tutte le cose in un colpo solo! La storia di quel cognome così strano ve la racconterò al momento giusto…

Che ne dite, intanto, di fare una capatina nel cuore del Bosco delle Venti Querce per andare a vedere che cosa sta combinando il nostro scoiattolo? Chiudete gli occhi, accen-dete la luce della fantasia e… venite con me!

MattinaOgni mattina ci vogliono sette sveglie, per tirar giù dal letto il povero Gellindo! Sette sveglie che si mettono a suonare una dietro l’altra.

La prima sussurra con voce melodiosa e dolce “Buon giorno, mio caro scoiattolino… Buongior noooo!”.

Niente! Gellindo sbuffa inquieto e infila la testa sotto al cuscino.La seconda comincia piano piano a ticchettare impertinente e leggera,

poi sempre più forte, sempre più veloce… tick… tick… tick!… tick!… tick-tick-tick-tick-tick-tick-tick-tick-tick-tick!!!!!!

– Sgrumpf! – è l’unica risposta di Gellindo, che corre a rifugiarsi sotto le coperte.

La terza sveglia ha il suono di una tromba che trombetta allegra e sba-razzina in giro per la stanza… peppereppeppèèèè! peppereppeppèèèè!…

3

– Lasciatemi dormire! – si lamenta Gellindo, sbucando da sotto la coperta con gli occhi chiusi.

La quarta ha il suono delle campane che chiamano alla festa… Dinn Donn Dann… Dannnn Dinnn Donnn... Dannnn Dannnn Donnnn…

Gellindo allora afferra l’enorme coda, se la mette a mo’ di sciarpa attorno alle orecchie e si tuffa sotto al letto per poter trovare un po’ di pace e continuare a dormire.

La quinta sveglia duetta con la sesta… grancassa da un lato, piatti d’ottone dall’altro… ma solo quando entra in campo la settima… Bata-

tataBàmmm! BatatataBàmmm!… con tuoni e fulmini d’un temporale che pare abbattersi proprio sulla quercia di Gellindo, lo scoiattolo

emerge da sotto il letto con gli occhietti socchiusi e assonna-ti…

– Ho capito, ho capito… uaaaauuummmm! Bastaaaa, fate silenzio, adesso mi sveglio!

A quel punto il più è fatto. Adesso basta far colazione sgranocchiando un bel mucchietto di noci accompagnate da una tazza di latte tiepido, risciacquarsi il musetto con l’acqua fresca e dedicarsi finalmente al primo divertimento

della giornata: l’impomatamento della bella coda!– Oggi voglio darmi alla pazza gioia – disse Gellindo

il mattino di questa nostra storia, guardandosi allo specchio e aprendo l’armadietto dei tubetti di gel. Lì dentro ce n’erano stipati

almeno cento, di tutti i colori, di tutte le forme, di tutte le qualità e di tutti i profumi:

gel per la sera e gel per il pomeriggio,gel per scolpire e gel per ammorbidire,gel per farsi bello e gel per far volume,

gel per peli delicati e gel che pare cemento,gel che incolla e gel che inumidisce,gel coi lustrini e gel che scurisce…

– Ecco, oggi scelgo questo! – esclamò Gellindo dopo lunga attesa, afferrando il tubetto del “Gel Primavera” (“il gel Dei mille fiori”, si leggeva sull’etichetta) e strizzandone la metà direttamente sulla coda.

4

6

Impiegò tre quarti d’ora a lisciare e ad accarezzare, a tirare e a stendere, a pizzicare e ad attorcigliare, ma al termine eccola lì, la sua enorme estremi-tà: oggi avrebbe avuto la forma di una bella campanula di primavera!

Con il cuore gonfio di gioia (e il pancino di latte e noci), Gellindo uscì dalla tana, salutò la talpa Melesenda immersa nella lettura della “gaz-zetta Degli SpaventapaSSeri”, diede una grattatina alla civetta Brigida, addormentata sul ramo più basso di una quercia… “Buona giornata, Bri-gida, dormi bene…” e s’avviò fischiettando in direzione del Villaggio.

Ma c’era qualcosa di strano, nell’aria, c’era il peso di quel sasso sullo stomaco che impediva a Gellindo di fare un bel respiro profondo.

“È come se mi dovessi ricordare qualcosa, qualcosa di importan-te, ma più ci penso e più non riesco a ricordare che cosa possa

essere!” si disse Gellindo, rallentando la corsetta allegra e grattandosi la zucca. “Oggi devo ringraziare qualcuno? Boh! C’è qualche amico del Bosco che si aspetta qualcosa da me? Nooo! Ho promesso di fare qualche lavoretto per uno degli spaventapasseri?… ehm, mi pare proprio di no…”

Solo quando uscì dal Bosco delle Venti Querce e giunse all’imbocco del Villaggio, Gellindo alzò gli occhi, lesse e si

ricordò!

Tisana La Dolce

BUON COMPLEANNO, PAGLIAFRESCA!

...E CENTO DI QUESTI GIORNI!

Ecco cos’era quel sasso pesante sullo stomaco che non lo lasciava respirare! Gellindo se lo ricordò immediatamente e…

“Ma che sciocco sono! Come ho fatto a dimenticarmene: oggi è il compleanno di Pagliafresca, lo spaventapasseri più allegro del Villag-gio!… E io sono senza regalo!”

Gellindo si bloccò in mezzo alla strada: senza un regalo, era meglio non farsi nemmeno vedere, al Villaggio degli Spaventapasseri! Lo scoiattolo si guardò in giro e di lontano notò Tisana La Dolce, che se ne stava come

7

sempre piantata al centro del suo orto d’erbe medicinali.– Ciao, Tisana – sussurrò Gellindo, sbucando con la coda e con il

musetto da dietro al muro di cinta dell’orto.– Ehilà, Gellindo – bisbigliò la spaventapasseri, chinandosi sul piccolo

amico. – Parli sottovoce perché stai facendo un gioco, oppure perché non vuoi che qualcuno ti senta?

– La seconda va bene! – rispose lo scoiattolo sbrigativo. – Il fatto è che mi sono cacciato in un guaio…

– Uh, che bella novità – canterellò Tisana La Dolce, – il nostro pic-colo Gellindo è nei guai… Ma quando mai Gellindo non è in qualche guaio? Quando mai non hai nessuno che ti insegue con la scopa per aria?

– Sssshhh, ti prego: parla sottovoce – la supplicò Gellindo. – No, non ho fatto nulla di male, questa volta…

– Niente sale nel caffè, così, tanto per fare uno scherzetto al vecchio Empedocle?

– Nooo!– Niente trecce di capelli annodate, questa mattina?– No, non ne ho avuto il tempo…– Niente stracci attorno al battacchio della campana del

campanile?– No, quello l’ho fatto l’altro giorno e m’è bastato il castigo di

Din Dòndolo, lo spaventapasseri che tiene pulita la chiesetta… No no: il fatto è che oggi è il compleanno di Pagliafresca…

– Sarà una gran bella festa, quella che gli abbiamo preparato per questa sera! – lo interruppe Tisana La Dolce.

– …e io mi sono dimenticato di preparargli un regalo!– Noooo!– Sìììììì!– Non mi dire…– E io invece ti dico! Non ho pensato a un regalo per Pagliafresca…

Cioè, a dire il vero io un regalo ce l’avevo in mente, ma fino a ieri sera…

– E che cos’era?– Volevo regalargli una pipa!

– Una pipa? – esclamò Tisana. – Ma Pagliafresca non fuma… e poi il fumo fa male, lo sanno tutti!

– Io non voglio regalargli una pipa per farlo fumare – spiegò Gellindo, – ma solo perché non c’è al mondo un vero spaventapasseri maschio che non abbia una pipa in bocca. Questo lo sanno anche i sassi!

– È vero, hai ragione: sei proprio in un bel guaio. E come fai a procu-rarti una pipa? Non se ne trovano mica, di pipe, per terra o sugli alberi. Esistono gli alberi delle pipe? Gli alberi “pipai”? No, non mi pare… Ah, che guaio… che grosso… guaio… roooonnnn... Bzzzzz

E Tisana La Dolce si addormentò!

GuardostortoSuccedeva sempre così: quando Tisana cominciava a pre-occuparsi per qualcosa, per il sole troppo forte oppure per quella nuvola che impediva all’erba medica del suo orto di crescere bene, senza accorgersene scivolava piano in un sonno placido, dolce, leggero leggero…

Gellindo lo sapeva: si guardò bene dallo svegliarla, la sa-lutò con un sorriso e si girò per andarsene. Fece solo un passo e andò a sbattere contro il palo che teneva in piedi Guardostorto, lo spaventapasseri più scorbutico e scontroso del Villaggio.

– Che fai, da queste parti, microbo d’uno scoiattolo? – sibilò cattivo Guardostorto. – Sei venuto a fare qualche scherzo alla povera Tisana La Dolce? Non vedi che sta dormendo?

– Sì, cioè, no: non sono venuto a fare scherzi – farfugliò Gellindo, che per la paura tremava come una foglia al vento. – E sì: ho visto che Tisana s’è addormentata, ma io non volevo…

– E pensi che io ti creda? Pensi che Guardostorto sia così sciocco da non sapere che dove passa Gellindo, l’odore dei guai diventa insoppor-tabile?

– Ma no, dai – lo supplicò allora lo scoiattolo, – io non sono così cattivo. Sono solo un po’ marachellone, questo sì, ma cattivo no!

In fondo Guardostorto non era poi quel mostro di spaventapasseri che voleva sembrare: aveva anche lui un cuore grosso così, sotto la paglia, e

9

poi gli occhietti di Gellindo erano sinceri, almeno quella volta!– D’accordo, ti credo. Allora perché sei venuto a far visita a Tisa-

na?– L’ho incontrata per caso e le ho confidato un problema…– Posso saperlo anch’io, questo problema? Come sai, appena Tisana

La Dolce si preoccupa per qualcosa o per qualcuno, s’addormenta di botto e nessuno riesce a svegliarla minimo per due ore!

– Oggi è la festa di Pagliafresca – ricominciò Gellindo…– Vent’anni di spaventapasseri è un bel traguardo, no?– Certo, e io volevo fargli un bel regalo… una pipa!… ma me ne sono dimenticato, questa notte ho dormito troppo fisso e…

– Non cercare scuse, piccolo mio – lo rincuorò Guardostorto, – perché tutti possono dimenticarsi di qualcosa e non muore nes-suno se un compleanno passa senza un regalo. Una pipa, poi! Volevi regalargli una pipa? Ma Pagliafresca non fuma…

– Anche tu! – esclamò Gellindo con le zampette sui fian-chi. – Mettetevi in testa che regalare una pipa non vuol dire che uno sia poi obbligato a fumare! Il fatto è che non esiste

al mondo uno spaventapasseri maschio che non abbia una pipa in bocca, un turacciolo al posto del naso e un vecchio

cappello in testa! Allora: Pagliafresca il turacciolo ce l’ha e il cappellaccio pure. Gli manca solo la pipa… e io volevo regalargliela.

Tutto qui!– Hai ragione – rispose Guardostorto. – Vedi? Pure io non fumo, ma la

mia pipa ce l’ho qui, nel taschino della giacchetta. E allora sai cosa ti dico? La festa di compleanno di Paglia fre sca è fissata per questa sera e quindi ti rimane tutto il giorno per procurarti il regalo che desideri.

– Ma per riuscirci devo scendere in città – piagnucolò lo scoiattolo, – e non ce la farò mai ad andare e a tornare in tempo…

– A questo possiamo trovare subito un rimedio! – disse lo spaventa-passeri, che infilò due dita di legno in bocca, fischiò forte e…

E dal cielo scese a grandi cerchi l’aquila reale Cassandra, che andò a posarsi sul muro di cinta dell’orto di Guardostorto.

– Problemi? – chiese Cassandra, lanciando sguardi torvi e severi all’indirizzo dello scoiattolo.

10

– Vorremmo chiederti un favore, noi due – disse Guar dostorto, – un solo piccolo favore. Saresti così gentile da accompagnare in volo il mio amico, lo scoiattolo Gellindo, fin giù in città? Deve fare una commissione ed essere di ritorno prima di sera: solo tu, Cassandra, puoi aiutarci…

– E secondo te questo sarebbe un piccolo piacere? – esclamò l’aquila arruffando le penne. – Secondo te io dovrei prendere questo scoiattolo, che detto tra parentesi potrebbe benissimo essere la mia colazione di oggi!, spupazzarmelo fino in città, fargli da taxi, insomma, per riportar-telo qui, integro e felice entro sera?

Guardostorto sapeva che Cassandra era fatta così: un’aquila in tutto e per tutto, feroce e sempre affamata, ma anche grande amica degli

spaventapasseri, specie di quelli che abitavano in quel Villaggio. E aveva un debole particolare proprio per Pagliafresca…

– Stiamo parlando di Pagliafresca – disse allora Guardo-storto, parlando sottovoce. – Oggi compie vent’anni…

– Perché, credevi che non lo sapessi? Gli ho anche prepa-rato un bel regalo…

– Ecco, si tratta proprio di un regalo: il qui presente Gel-lindo Ghiandedoro, il suo regalo s’è dimenticato di comprarlo.

E deve provvedere all’istante, altrimenti Pagliafresca ci rimarrà male.Cassandra squadrò lo scoiattolino dalla testa alla punta della coda

a forma di campanula di primavera. Poi sbuffò e…– D’accordo, monta in groppa e partiamo. Ma lo faccio solo per Pa-

gliafresca, e se qualcuno va a dire in giro che Cassandra ha messo su una ditta di taxi, allora m’arrabbio sul serio!

Fu così che l’aquila e lo scoiattolo si alzarono in volo e in pochi minuti sparirono al di là dell’orizzonte, verso la grande città in valle.

In città– Vorrei una pipa! – esclamò Gellindo tutto baldanzoso, arrampicandosi su per il bancone del negozio e sistemandosi fra una scatola di caramelle alla liquirizia e un plico di giornali piegati e pronti per essere venduti.

Il fatto che nessuno si fosse messo a urlare di terrore nel vedere

12

entrare lo scoiattolo nel negozio, dopo aver “parcheggiato” l’aquila in cima al palo di un segnale stradale, e nel sentirlo parlare come fosse un bambino, la dice lunga su quanto strana fosse la gente di quella città in valle. Comunque…

– Una pipa da scoiattolo? – rispose il negoziante, come se stesse di-cendo la cosa più naturale di questo mondo.

– No, voglio una pipa da spaventapasseri!– Allora stai cercando una pipa… finta!– Io non lo so, veda un po’ lei – rispose Gellindo, osservando goloso

le caramelle nere poco distanti.– Forza, prendine una! – lo invitò il negoziante, e lo scoiat-tolo non se lo fece ripetere due volte. – Allora vediamo: pipe…

pipe… pipe da spaventapasseri, ma dove le ho messe? Ah, eccole qui – esclamò l’uomo tirando fuori da sotto al bancone una grossa scatola che pareva da scarpe, piena zeppa di pipe di ogni tipo. – Guarda qua: pipe “finte” di plastica, di gesso, di ceramica, anche di ferro…

– Io ne vorrei una bella, però!– E allora questa fa per te: una finta pipa in vero legno

di ciliegio è il massimo, per uno spaventapasseriGellindo prese la pipa fra le zampe: ne ammirò il colore, il

cannello lungo e diritto, il fornello tondo, ben tappato ma leggero. Annusò il profumo del legno e lo trovò delizioso: era proprio il regalo

che cercava e Pagliafresca sarebbe stato senz’altro contento.– Va bene: grazie, la prendo! – esclamò Gellindo saltando giù dal

bancone e avviandosi alla porta del negozio.– Ehi, piccolino! – esclamò il negoziante precipitandosi a sbarrargli la

strada. – Non ti ha insegnato nessuno che, per avere le cose che desideri, bisogna pagare?

– Pagare?… Che cosa? – chiese Gellindo col cuore che per lo spavento s’era messo all’improvviso a battere come un tamburello. – Che cosa significa, “pagare”?

– Vuol dire che questa pipa finta da spaventapasseri ti costa quindici euro. Se li hai, non c’è problema: me li dai e io in cambio ti do la pipa; ma se non li hai, allora la pipa rimane qui in negozio, in attesa che tu

14

16

ritorni con i quindici euro in mano!– Ma si può sapere che cosa sono, questi euro? – strillò Gellindo in

lacrime. – Io non ho mai sentito parlare di queste cose, di euro, di “pa-gare”… Sono parole che non capisco!

Proprio in quel momento nel negozio entrò un’elegante signora…– Valentino – disse rivolta al negoziante, – vorrei sei candele rosse

per la cena di questa sera… e che siano molto belle, mi raccomando.Valentino, allora, per prima cosa si riprese la pipa finta che lo scoiat­

tolo teneva stretta fra le zampe; aprì poi la porta del negozio, spinse Gellindo all’esterno e…

– Sono da lei, signora contessa. Queste candele da cinque euro l’una, possono andarle bene?

Che umiliazione, per il nostro amico! Sbattuto fuori dal ne-gozio, solo perché non sapeva che cosa fossero quegli “euro” e quel “pagare”!… Per fortuna aveva come “taxi” un’aquila esperta del mondo. Non appena Gellindo ebbe raccontato quel che gli era successo…

– È evidente, è chiarissimo… Mamma mia, che figura hai fatto! – esclamò Cassan dra. – Ma come fai a non sapere

che, per poter prendere una cosa qualsiasi da un negozio, devi dare in cambio qualcosa di altrettanto prezioso!– Ah!

– Certo! Una pipa ha un suo valore: se la vuoi, se vuoi portartela a casa per regalarla a Pagliafresca ad esempio, devi dare in cambio al negoziante l’equivalente di quel valore…

“Quello lì dentro ha detto che per la pipa finta voleva quindici euro – pensò allora lo scoiattolo. – Io non so che cosa siano, questi euro, ma mi arrangerò comunque!”

– Cassandra, riportami al Bosco delle Venti Querce, ma stai tranquilla, ché poi torniamo subito qui in città…

PagamentiQuando furono di ritorno, di lì a un paio d’ore, Gellindo fece il suo

secondo ingresso nel negozio di pipe trascinando un sacco misterioso.

17

– Ecco qua, signore – disse lo scoiattolo quando venne il suo turno al banco. – Una mia amica mi ha spiegato tutto: mi ha detto che per poter avere la pipa finta, devo darle qualcosa di altrettanto prezioso, non è così?

– A dire il vero a me bastano quindici euro!– Ecco, io ancora non so che cosa siano, questi “euro”, e allora le ho

portato… quindici mele gialle e mature! Per noi, su al Villaggio degli Spaventapasseri, quindici mele mature sono molto, molto preziose. Per la mia amica talpa Melesenda, poi, che è golosissima di mele, sono una vera e propria ghiottoneria da leccarsi i baffi…

– E invece io non mi lecco un bel niente! Qui da noi, bello mio – rispose il negoziante con fare scortese, – quindici mele valgono solo alcuni euro, troppo pochi per poter avere la pipa che desi-deri; perciò vattene, ché c’è gente che sta aspettando d’essere servita!

– Ma che cosa c’è, di più prezioso delle mele? – si lamentò Gellindo, dopo che fu tornato da Cassandra.

– C’è, caro mio – disse allora l’aquila, – che tu devi pagare con qualcosa che è prezioso non solo per te, ma per tutti!

– Hai ragione, Cassandra! – esclamò Gellindo smettendo di punto in bianco di piangere. – Hai ragione e sai che cosa ti dico? Ti dico che io, a casa, ho qualcosa che piace proprio a tutti e, quindi, dovrebbe servire per comprare ciò che desidero. Vieni, torniamo al Bosco…

– Senti, piccolino – sbuffò il negoziante, appoggiando i gomiti sul ban-cone e chinandosi a parlare diritto negli occhi allo scoiattolo, – forse non ci siamo capiti. Adesso dimmi tu: cosa vuoi che me ne faccia di dieci tubetti già aperti e mezzo strizzati di gel ultra-rinforzante? Eh? Rispon-dimi! Lo vedi quanti capelli ho in testa, io? – esclamò quel pover’uomo, mostrando al mondo la sua zucca pelata e lucida. – Pensi, allora, che questo gel sia per me così prezioso, da farmi privare di una bella pipa finta da spaventapasseri? Non ci siamo: tu non hai il senso del valore del danaro! Noi uomini abbiamo stabilito che per le vendite e gli acquisti, dobbiamo scambiarci un qualcosa che abbia un valore riconosciuto da tutti. E abbiamo deciso di scegliere una moneta particolare: l’euro, ad

esempio. In una grande banca, in un edificio gigantesco come un palazzo da venti piani, è depositato tutto l’oro che abbiamo saputo raccogliere in anni e anni di lavoro. L’equivalente del valore di questa enorme massa d’oro è stato poi messo in circolazione sotto forma di tante, tantissime, di milioni e milioni di monete di ferro e di ottone, o di banconote in carta, perché l’oro è un po’ scomodo da portare in giro: è pesante e lo si può facilmente perdere, e sarebbe un vero guaio. Allora la vedi, questa pipa? Vale quindici euro, vale quindici pezzettini piccolissimi di quella montagna d’oro. Se tu hai in tasca quindici euro, non c’è problema: vuol dire che sei proprietario di quei pezzettini piccoli d’oro e te ne privi

per avere in cambio la pipa finta. Se non li hai, puoi portarmi tutte le mele, le pere, le fragole e i tubetti di gel di questo mondo, ma

io non potrò mai darti quella pipa. Hai capito?Forse sì!Gellindo Ghiandedoro non era uno scoiattolo stupido: bi-

sognava, è vero, spiegargli le cose magari due o tre volte, ma alla fine la luce gli si illuminava negli occhi e la vita poteva riprendere ancor più bella di prima.

Nell’ascoltare la spiegazione del negoziante, a Gellindo era venuto in mente qualcosa che poteva risolvere il suo problema.

Uscì allora sulla strada, corse da Cassandra e…– Non dirmi che devi tornare di nuovo al Bosco delle Venti Querce

e poi rivolare un’altra volta in città, perché io non ti seguo più! – esclamò l’aquila incrociando le grandi ali.

– No, sì, anzi… certo: devi accompagnarmi al Bosco, là devo prendere una cosa importante e poi mi riporti qui in città, ma per l’ultima volta, te lo assicuro! E facciamo presto, ché sta per calare la sera…

Non fu breve, quella volta, il viaggio, anche perché, giunti alla quercia più vecchia di tutto il Bosco, Gellindo si fiondò nella sua tana e si mise in cerca di chissà che cosa, senza più uscirne. Rivoltò come un calzino la cucina e la dispensa; entrò in camera da letto e poi nel bagno e ne uscì poco dopo lasciandosi alle spalle un campo di battaglia di cose in disordine; scese di un piano e perquisì il magazzino “Uno”, quello in cui teneva la frutta secca; poi scese al “Due”, in cui erano ammassate

18

20

le noci, e al “Tre” in cui c’erano le nocciole … Niente da fare, quel che stava cercando non voleva saltar fuori. Giunto al magazzino “Quattro”, però, quello delle ghiande…

– eccolaaa! lo Sapevo che c’era! Cassandra – strepitò come ossesso uscendo di casa e saltando in groppa all’aquila, – forza: vola veloce in città e portami da un gioielliere!

Quando l’anziano gioielliere ebbe tra le mani l’oggetto misterioso che Gellindo gli aveva consegnato, arricciò le labbra, si grattò la punta del naso e…

– Non ho mai visto una cosa del genere – borbottò. – Una ghianda tutta d’oro zecchino! Ma dove l’hai trovata? – domandò rivolto

allo scoiattolo.– Oh, su da me ci sono molte querce, sa? Querce giovani

e robuste, ma anche querce vecchie, molto vecchie. E una di queste, quella in cui io ho scavato la mia casetta, be’, ogni anno produce migliaia e migliaia di ghiande normali e una, una sola ghianda… d’oro zecchino! Sembra quasi che me la regali perché le faccio compagnia durante l’inverno e le

tengo al caldo il cuore del suo tronco… Se io le lascio questa ghianda d’oro, lei mi può dare quindici euro? – bisbigliò timido

Gellindo.– Quindici euro? – esclamò il vecchietto. – Tu vorresti quindici

euro per questa ghianda d’oro zecchino? Ma da dove vieni…– Be’, se me la vuole pagare di meno, me ne dia almeno dodici, che

forse il negoziante della pipa…– Ma io te ne do cento, di euro, caro mio… Ecco qua: due biglietti da

cinquanta euro l’uno, e la ghianda d’oro diventa mia. Allora, ci stai?Gellindo avrebbe voluto dirgli che lui, di quei cento euro, tolti i quin-

dici per la pipa finta da regalare a Pagliafresca, non sapeva proprio cosa farsene, ma poi gli venne in mente che di lì a due settimane sarebbe stato il compleanno di Tisana La Dolce, poi di Palocurvo, di Mangiatorte, di Passion di Fiaba, del vecchio Empedocle e via via di tutti gli altri spa-ventapasseri del Villaggio…

– Va bene, prendo i suoi cento euro e le lascio la ghianda d’oro – escla-mò Gellindo, che ancora non si era reso conto di avere, per la prima volta

21

in vita sua, venduto qualcosa a qualcun altro! E che di lì a poco avrebbe, sempre per la prima volta, comprato qualcosa pagando col danaro!

E infatti tornò di filato dal negoziante, che impallidì impercettibilmente quando se lo vide entrare per la quarta volta, ma che impallidì del tutto quando Gellindo gli mise sotto al naso un bigliettone da cinquanta euro e ne pretese ben trentacinque di resto.

– E la pipa, per favore, me la incarti in un pacchetto da regalo, col fiocco rosso!

Fu una festa indimenticabile, quella per i vent’anni di Pagliafresca, che ricevette una montagna di regali bellissimi: una vecchia cravatta; una camicia sbrindellata; un nuovo cappello tutto sporco e sfon-dato; un paio di guanti ai quali mancavano tre dita; un paio di scarpe, la destra di cuoio marrone, la sinistra da ginnastica bianca e blu; un paio di occhiali senza lenti, un nuovo turac-ciolo sporco di vino da sostituire al suo naso ormai vecchio… Ma quando venne avanti Gellindo Ghiandedoro, che strin-geva in mano un prezioso pacchetto avvolto in carta dorata e infiocchettato di rosso, i trenta spaventapasseri, l’aquila Cassandra, Bri gida la civetta e Melesenda la talpa trattennero il fiato: “Chissà che regalo c’è, in quel pacchetto – pensarono quasi tutti, – ma soprattutto speriamo che non ci sia un petardo o un palloncino gonfio d’acqua o una termite mangia­legno!

– una Bella pipa Da SpaventapaSSero! – fu invece l’urlo commosso di Pagliafresca, che una pipa finta così bella non l’aveva mai avuta! – Questo il regalo di Gellindo! grazieeee!

Smack!Si dice che il bacio di uno spaventapasseri porti molta, molta fortuna.

Be’, con tutti i baci che Gellindo ricevette quella sera, da Pagliafresca ma anche da tutti gli altri, di fortuna dovette accumularne per almeno cinque vite!

E le danze, nella piazzetta del Villaggio, ebbero inizio…

fine della prima puntata(nella prossima puntata

“Gellindo Ghiandedoro e il cattivo consigliere”)

24

Per i suoi primi commerci l’Uomo, più di duemila anni fa, si serviva del baratto, scambiava cioè una merce con un’altra che gli mancava; col tempo, questa moneta “naturale” andò a limitarsi a tutto ciò che poteva avere valore perché utile o raro, come il bestiame, le calde pellicce, le pre-ziose conchiglie… Anche i Romani, all’epoca dei sette Re, nei pagamenti usavano pezzi di rame pesati o capi di bestiame: pecunia, termine antico per dire denaro, deriva infatti da pecus, pecora, mentre capitale viene da caput, che è il numero dei capi di bestiame. Ovviamente molti oggetti-denaro risultavano assai scomodi, perché troppo ingombranti per essere trasportati o perché poco divisibili e

quindi poco adatti per “acquistare” merci di minor valore.

1. Moneta e denaro

(Roma, il Colosseo raffigurato sulla moneta da 5 eurocent. Già nell’80 d.C, quando fu terminata la costruzione di questo famoso monumento dell’impero romano, la sua immagine compariva sulle monete.)

“Ripagare con la stessa moneta”: significa riservare a qualcuno il medesimo trattamento ricevuto

25

Le prime monete, dall’aspetto simile a quelle attuali, risalgono al 500 pri-ma di Cristo e vengono dalla Lidia, una regione oggi appartenente alla Turchia, allora governata da Creso, un re ricchissimo che ha dato appunto origine al detto “ricco come Creso”. Quelle monete erano piccoli dischi fatti di una lega d’oro e d’argento con impresso il valore corrispondente al loro peso e un simbolo rivolto alle di-vinità. Sempre i Romani invece, molto autoce le bra tivi, coniavano le monete imprimendovi il volto dell’imperatore di volta in volta in carica.Se il valore della moneta, per gli anti-chi, corrispondeva dunque al metallo stesso con il quale erano state fuse (oro, argento, rame), oggi il valore è

quello inciso sul metallo delle monete o stampato sulla carta delle bancono-te.Viaggiare con tante monete preziose coi secoli divenne rischioso per le incursioni di briganti. I mercanti, allora, cominciarono ad affidare agli orafi il proprio denaro in cambio di una ricevuta con scritto “certificato di deposito”. Col tempo, per effettuare un pagamento, bastava che il mer-cante inviasse all’orafo una lettera, la “promessa di pagamento”, per pagare una data persona. Gli orafi erano così diventati dei banchieri che custodi-vano e prestavano l’oro chiedendo in cambio una quota in più, l’interesse; in questo modo, per gli affari di una certa entità la moneta aveva lasciato

Il popolo degli Aztechi, nell’antico Messico, utilizzava come denaro i semi di cacao, mentre gli Indiani del Nord America usavano le perline, cucite anche come cintura; nello stato africano dell’Etiopa, fino agli inizi del secolo scorso la popolazione si serviva delle barrette di sale come mezzo di pagamento oltre che, ovviamente, come alimento; altri popoli africani, invece, preferivano i cauri, conchiglie infilate in uno spago e indossate come collana. Oggi questo sarebbe senza dubbio rischioso!Nel suo viaggio in Cina, compiuto sul finire del XIII secolo, Marco Polo aveva già notato l’uso della cartamoneta; qui, nel lontano Oriente, vennero stam-pate le banconote più grandi del mondo, 23 centimetri di larghezza per 32 di lunghezza, e sempre qui, ancora nell’Ottocento, al posto delle pesanti monete venivano lavorate, con incisi i corrispondenti valori, le canne di bambù. In Giappone, invece, dove il baratto con il riso e la seta durò a lungo, sono circolate monete col foro centrale, quadrato o tondo, come l’attuale yen; in Inghilterra il pence, la moneta delle nazioni alglo-sassoni, ha quasi sempre mantenuto una forma esagonale.

“Ripagare con la stessa moneta”: significa riservare a qualcuno il medesimo trattamento ricevuto

Ma che strano denaro!

26

Quando Vittorio Emanuele divenne re d’Italia, nel 1861, decise che la valuta nazionale sarebbe stata la lira, la moneta che – nelle sue varianti geo-grafiche e cronolo giche – circolava già dal Medioevo nella Pe nisola. Il nome deriva dalla parola latina libra, che era l’unità di peso con cui si s’era stabilito il valore delle prime monete romane in rame. E la lira rimase in circolazione fino al 1 gennaio 2002, quando l’Italia,

assieme alle altre Nazioni europee di Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Lussem-burgo, Olanda, Portogallo, Spagna (nel gennaio 2007 si è aggiunta la Slovenia), decise di accordarsi sulla creazione di una moneta unica, l’eu-ro appunto: da allora, viaggiando in Europa, non occorre più cambiare il proprio denaro passando da uno di questi Stati all’altro.

Se il recto (una delle due facce) delle otto monete dell’euro (1 cent, 2 cent, 5 cent, 10 cent, 20 cent, 50 cent, 1 euro, 2 euro) è identico in tutti i Paesi, vi compare infatti l’Europa con il valore della moneta, il verso (l’altra faccia) è differente, ad esclusione del particolare che vede tutti i simboli nazionali circondati dalle stelle europee. Ogni Stato, infatti, ha scelto immagini rap-presentative della propria nazionalità: la Germania, ad esempio, sulle monete da 10, 20, 50 cent mostra la porta di Brandeburgo, mentre l’Olanda riprende il profilo della regina Beatrice. E l’Italia? Prova a scoprirlo da solo: intanto, possiamo anticiparti che sulla moneta da 2 cent è raffigurata la cupola della Mole Antonelliana, simbolo di Torino.Se osservi invece le banconote – tutte con colori vivaci, cifre gradi e dimen-sioni in proporzione al valore – qui il verso è uguale su quelle di tutti gli Stati: vi compaiono un ponte a simboleggiare l’unione dei popoli europei, anche qui la cartina dell’Europa e le stelle, il numero di serie perché tutte le banconote prodotte vengono numerate e infine, ovviamente, la cifra cor-rispondente al valore. Sul recto, per sottolineare l’unione dell’Europa nella storia, è segnato l’elemento architettonico che ha contraddistinto il continente in un dato periodo storico: partendo dall’epoca greco-romana (colonne di tempio), visibile sulla banconota più piccola da 5 euro, si passa al periodo gotico (finestre ad arco acuto) su quella da 20 euro, a quello barocco (portale con sculture) su quella da 100 euro, all’epoca moderna (palazzi con vetri specchianti) su quella da 500 euro.

26

Uguale ma... diverso

1. Moneta e denaro

27

Fin dalla sua comparsa il denaro è stato oggetto di falsificazioni: quando le monete erano in metallo prezioso, i falsari limavano i bordi per recupe-rare l’oro o l’argento che serviva poi a rivestire quelle di rame. Per questo motivo ben presto le monete vennero coniate con la “zigrinatura”, cioè con righe visibili sul bordo esterno, mentre quelle d’oro, prima d’essere accettate, venivano “testate” con la pietra di paragone per misurare i carati

(o morse con i denti per saggiare che l’oro fosse vero!). Anche gli spiccioli di euro e le sue frazioni si presentano oggi, oltre che con monete di diverso diametro e spessore, anche con differenti zigri-nature; i disegni sulle facce sono poi riconoscibili al tatto per agevolare i non vedenti. Le cronache del passato raccontano di ingegnosi falsari di banconote che, rischiando la galera (talvolta anche la pena di morte o il taglio delle mani), riproducevano artigianalmente i sin-goli biglietti. Oggi un filo metallico nascosto nella banconota, il “filo di sicurezza”, leggibile solo da apposite macchine, ne verifica l’autenticità. Questo non è però il solo stratagemma per ostacolare eventuali truffatori: i colori sono in rilievo e, se metti qual-siasi euro-banconota in controluce, noterai il disegno della filigrana della carta e, magia, un altro disegno che altrimenti è invisibile. Provalo!

1

4

3

2

a

d

c

b

(Risposte esatte: 1-d; 2-c; 3-a; 4-b.)

27

Riesci a collegare con una matita i disegni ai rispettivi euro italiani in moneta?

Quando nel 2002 l’Europa passò all’euro, delle lire, dei franchi france-si, scellini austriaci, peseta spagnole, dracme greche, marchi tedeschi e delle altre banconote ancora le ban-che fecero “coriandoli”, resero cioè inutilizzabile sia il denaro su carta sia quello in metallo. Chiedi comunque ai tuoi genitori o a nonni e zii se qualche anno fa hanno pensato di raccogliere le vecchie lire per collezionarle, ag-giungendole magari alle loro raccolte di monete di altri Paesi europei o extraeuropei. Lo stesso puoi fare oggi tu, con l’euro: verifica, quando fai qualche spesa, le monete di resto che ricevi e prova a catalogarle per valore, suddividendole nei tredici Paesi che fanno parte della moneta unica. Per conservarle e farle vedere agli amici basta prendere dei

fogli di cartone molto grossi e pra-ticare dei fori nei quali incastrare le monete, oppure acquistare dei racco-glitori in legno o in plastica rigida.Se la tua collezione comprende anche monete antiche o semplicemente vecchie, con un batuffolo di cotone imbevuto di alcool metilico è pos-sibile pulire l’inevitabile patina di sporcizia; se ancora questa non viene via, puoi provare con uno spazzolino morbido da denti, ma mai con spaz-zole abrasive in metallo. Una volta pulita la moneta, servendoti di una lente riuscirai ad analizzare le sue raffigurazioni, che ti aiuteranno a conoscere meglio il Paese di prove-nienza, a imparare quale re o impera-tore vi ha regnato in passato.

Capitale: patrimonio di beni e de-naro di una persona o azienda.Coniare: imprimere sul tondo di metallo (la moneta), tramite due matrici (i conii), l’immagine e il valore stabilito.Contante: è la moneta “visibile”, il denaro circolante emesso in un periodo storico dallo Stato.Liquidità: quantità disponibile di denaro contante. Moneta “invisibile”: sono le carte di credito, i bancomat, gli assegni… strumenti che consentono spese grosse senza portare con sé tanto denaro.

Un modo divertente per catalogare le monete è quello di riprodurle: sulla moneta si appoggia un foglio di carta e, tenendolo ben fermo, si strofina sopra la mina della matita, magari colorata.

28

Vocaboli

1. Moneta e denaro

Usando la plastilina colorata divertiti a fare il calco di qualche euro moneta.

Non si può andare a Roma senza gettare nella fontana di Trevi, vol-tàti di spalle, una monetina quale segno beneau gurante per ritornare in questa meravigliosa capitale europea. Il Comune della capitaleda anni ha affidato a una associazione di assistenza sociale il compito di recuperare dall’acqua i soldi lanciati, anche se si trova sempre qualche furbetto che, di nascosto, cerca di anticipare i raccoglitori ufficiali impadronendosi dei sogni degli altri.

Riempi con colori diversi gli Stati europei con l’ex moneta corrispondente.

29

La fontanadi Trevi