GCS News Gennaio 2012

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1 SOMMARIO: Meditazione: Noi....come Isaia 2 Attualità: Chi se n'è andato nel 2011 3 Speciale: Giorno della Memoria 4 Riunione delle donne: Un patrimonio da custodire 5 Il Tempio di Salomone 7 Io eDIO: Nunzia Zappalà 8 Impresso nel cuore 9 Recital bambini 10 La Festa degli anziani 10 Il Natale secondo Nicola Legrottaglie 11 GESU’ e il suo tempo 6 GENNAIO 2012 NUMERO 1 ; ANNO 3 Mensile di informazione Notiziario gratuito ad uso interno Lun Scuola Biblica Corsi Biblici Ore 19:30 Ore 20:00 Mar Riunione di preghiera Ore 20:00 Sab Riunione adolescenti Riunione pre-teens Riunione giovani Ore 18:00 Ore 18:00 Ore 20:00 Dom Culto Mattina Culto sera Ore 10:00 Ore 18:00 Programma mensile

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GCS News Gennaio 2012

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SOMMARIO: Meditazione: Noi....come Isaia 2

Attualità: Chi se n'è andato nel 2011 3

Speciale: Giorno della Memoria 4

Riunione delle donne:

Un patrimonio da custodire

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Il Tempio di Salomone 7

Io e… DIO: Nunzia Zappalà 8

Impresso nel cuore 9

Recital bambini 10

La Festa degli anziani 10

Il Natale secondo Nicola Legrottaglie 11

GESU’ e il suo tempo 6

G E N N A I O 2 0 1 2

N U M E R O 1 ; A N N O 3

Mensile di informazione Notiziario gratuito ad uso interno

Lun Scuola Biblica Corsi Biblici

Ore 19:30 Ore 20:00

Mar Riunione di preghiera Ore 20:00

Sab Riunione adolescenti Riunione pre-teens Riunione giovani

Ore 18:00 Ore 18:00 Ore 20:00

Dom Culto Mattina Culto sera

Ore 10:00 Ore 18:00

Programma mensile

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Isaia 6:1-13. Molto spesso mi sono ritrovato a riflettere su questo testo e sempre mi incute un senso di timore. Isaia fu chiamato alla profezia dopo che ebbe questa visione? Può accadere il fatto che un discepolo o servo o ministro o come dir si voglia possa espletare il suo servizio o mandato senza avere una chiara visione della maestà e santità di Dio? Perché questa “visione - chiamata” non ci viene raccontata all’inizio della sua profezia – per dirla in breve al cap. 1 - come succe-de con gli altri profeti come per esempio con Amos o con Geremia o Ezechiele ed altri ancora? Con l’aiuto del Signore cercheremo di dare una risposta. Chi era Isaia? Era di stirpe sacerdotale ma era anche apparte-nente alla famiglia reale cosicché si trovava a suo agio sia nel tempio di Salomone così come nei palazzi del potere. Di sicu-ro visse a lungo cosicché profetizzo nell’arco della vita di ben cinque re giudei -1:1 (Azaria o Uzzia, Jotham, Achaz, Ezechia e Manasse) l’uno figlio dell’altro. Così come succede con quasi tutti gli altri profeti, il suo messaggio contiene sia moniti che incoraggiamenti, guai e promesse, rimproveri ma anche parole di consolazione; a ragione viene considerato, sia per lo spes-sore del suo messaggio oltre che per la mole, il maggiore fra i profeti. Meravigliose frasi care al cuore di noi figli di Dio, alcu-ne delle quali riportate nel Nuovo Testamento, sono tratte dal suo libro; Isaia 1:18 Venite quindi e discutiamo assieme, dice l'Eterno, anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana Isaia 40:3 …ma quelli che sperano nell'Eterno acquistano nuove forze, s'innalzano con ali come aquile, corrono senza stancarsi e camminano senza affaticarsi. E tante altre ancora come Isaia 2:4, Isaia7:14 e Isaia 26:3. Ma ad un certo momento la sua vita viene turbata profondamen-te da un triste evento: la morte del suo amato sovrano (anche cugino) Uzzia. Uzzia governò saggiamente in Giuda, era timo-rato del Signore e fu amato dal suo popolo e Dio lo benedisse in maniera particolare, ma negli ultimi anni si inorgoglì e Dio lo dovette punire: divenne lebbroso, per cui fu allontanato dalla corte e suo figlio Jotam regnò al posto suo; quando morì tutto il popolo lo rimpianse, ed anche, appunto, Isaia. Ma l’E-terno non poteva permettere che il suo profeta si lasciasse andare dal sentimentalismo, ed i motivi erano seri. La sedu-zione dell’idolatria (dilagante nei paesi circonvicini) era sem-pre alle porte, ai confini di Giuda si affacciavano sempre più minacciose potenze straniere avide del benessere di questo piccolo ma prospero regno, per conto loro il popolo, plagiato dal proprio benessere, si allontanava sempre di più dall’adora-zione; era importante in questo contesto che la voce autore-

vole di Isaia si facesse sentire ora più che mai. Per questo Dio decide di rivelarsi in maniera oltremodo sorprendente al pro-feta, la sua missione era molto importante. Isaia comprende e si lascia vincere dalla maestà di quella visione consacrandosi, come si suol dire, “anima e corpo” all’impegno preso per l’Altissimo. Egli viene così temuto e rispettato dai vari re che succedono al trono di Uzzia, ma anche odiato a motivo del suo messaggio “nudo e crudo” da chi – come i malvagi re Achaz e Manasse – bruciarono persino i loro figli in onore del dio Moloc! La storia ebraica ci dice che morì molto vecchio, purtroppo in modo atroce per mano del re Manasse, ma non prima di aver portato a compimento il suo mandato. L’apo-stolo Paolo dice a Timoteo Quanto a me, sto per essere offerto in libagione, e il tempo della mia dipartita è vicino. Ho combattuto il buon combattimento, ho finito la corsa, ho serbato la fede - 2Ti-moteo 4:6-7 Ritornando a quanto fatto in premessa voglio fare alcune con-siderazioni, spero utili e condivise da tutti. Anche noi, come Isaia, siamo chiamati a profetizzare la Parola ad un mondo che percorre sempre di più una strada senza ritorno. Oggi come non mai vediamo i valori etici e morali “messi alla berlina” da chi vorrebbe sostituirli con i propri, oltremodo abominevoli agli occhi di Dio, e non ho bisogno nemmeno di menzionarli perché sono palesi agli occhi di tutti noi. Le varie divinità di allora ritornano in auge ai nostri giorni con nomi e “facce” diverse, ma sempre provocanti disgusto da chi ama le vie del Signore. Se vogliamo rimanere integri in un contesto del ge-nere anche noi dobbiamo avere e dico avere necessariamente la stessa esperienza-visione meravigliosa dell’amato Isaia. An-che noi dobbiamo “camminare per le vie del mondo” con le cicatrici sulle labbra causate dai carboni ardenti. Anche noi dobbiamo dire “Signore manda me”, anche se non ci ascolta-no, cercando di strappare dalle fiamme eterne quanti più pec-catori è possibile. Le parole dell’Apostolo Pietro pronunciate nel suo primo messaggio “Salvatevi da questa malvagia genera-zione” devono echeggiare con forza dalle nostre labbra, confi-dando nel fatto che “Dio aggiunge la sua testimonianza alla no-stra con segni, prodigi e dispensazioni di Spirito Santo”. Dio ama questa umanità e “vuole che tutti arrivino al ravvedimento” , dob-biamo veramente credere che, citando ancora Isaia al cap. 59:1 “Ecco, la mano dell'Eterno non è troppo corta per salvare, né il suo orecchio troppo duro per udire”. Sono arrivato alla fine di questa mia riflessione, sperando che vi abbia portato beneficio ed abbia destato la vostra attenzione prego affinché lo Spirito Santo ci illumini al fine di darci una completa rivelazione della sua volontà. Vi benedico con la pace del Signore.

Salvatore Foti

MEDITAZIONE DEL MESE

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Noi....come Isaia

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Chi se n'è andato nel 2011. Come è cambiato in un anno il nostro mondo.

Fine di un anno: tempo di bilanci. Ci siamo lasciati il 2011 alle spalle con le sue gioie, i suoi dolori, le piccole conquiste quotidiane, gli eventi che ci han-no cambiato. Inevitabile fare la conta degli eventi importanti, personali certamente, ma soprattutto degli eventi che hanno segnato il nostro mondo, che hanno causato modifiche notevoli alla nostra società e ci hanno aiutato a riflettere. Un feroce dittatore come Gheddafi. Un terrorista pazzo co-me Bin Laden. Ma anche un ragazzo amato da tutti come Simoncelli e un genio visionario come Steve Jobs, e infine una diva infelice come Amy Winehou-se. Queste secondo il settimanale l'Espresso sono le persone che più hanno segnato la storia del no-stro 2011, con la loro vita e con la loro morte. Osama Bin Laden, 54 anni, il terrorista più sangui-nario del 21esimo secolo, è morto il 2 maggio del 2011 ad Abbottabad, in Pakistan. Ideatore e finan-ziatore dell'attacco alle Torri Gemelle in cui perse-ro la vita più di 3000 persone, a dieci anni anni di distanza è stato localizzato, ucciso e poi gettato in mare per impedire ai fanatici di avere un luogo do-ve celebrare il suo mito. Aveva tenuto la Libia sotto il suo pugno di ferro per 42 anni, instaurando una dittatura e spargendo il sangue dei suoi oppositori. Muammar Gheddafi è morto il 20 ottobre, all'età di 69 anni nella sua Sir-te, mentre cercava di resistere alla rivoluzione del suo popolo. A soli 27 anni si autoproclamò Colo-nello e presto volle essere chiamato "fratello lea-der" di un Paese in cui credeva di essere l'unico dotato di raziocinio e l'unico degno di esercitare il potere. Poche settimane prima della morte, col Paese in fiamme e e gli insorti vicini alla vittoria, ancora ripeteva: "Il mio popolo è con me". Il destino ha voluto che la sua biografia ufficiale uscisse poche settimane dopo la sua morte, mo-strando quanto è difficile fare progetti per il futuro: Steve Jobs se n'è andato a 56 anni, lasciando quell'enorme libro a cui aveva collaborato quasi come un testamento. La sua vita è l'esempio delle più grandi contraddizioni umane: il genio visionario unito alla debolezza, la ricchezza insieme alle picco-le bugie e all'egoismo. Steve Jobs ha migliorato il mondo senza mai riuscire a migliorare se stesso, nonostante i viaggi in India, il buddismo, la medita-zione e poi la malattia, che alla fine ha vinto spe-gnendo la sua breve vita. Marco Simoncelli, giovane, pieno di vita e incurante

del pericolo. Sono state le ruote di due suoi amici incolpevoli, ad ucciderlo lo scorso 23 ottobre nel circuito di Sepang, in Malesia. Di lui non resta che il ricordo del suo sorriso e dei ricci che scendevano dal casco della moto. E l'amara consapevolezza che 24 anni sono troppo pochi per lasciare questa Ter-ra. E per finire Amy Winehouse, sregolata cantante inglese scomparsa a 27 anni a causa di un overdose di droga. Non era bastato il talento, nè le lusinghe del successo, nè l'adorazione dei fan per sconfigge-re quella depressione che come un veleno aveva intossicato la sua anima. La fragilità emotiva e le delusioni amorose avevano lasciato delle ferite che alla fine l'hanno portata a mettere fine alla sua vita. "La musica è l'unica terapia che ho a disposizione per trasformare il fallimento in vittoria", diceva lei. Ma evidentemente non è bastato. Forse questo lungo elenco è triste abbastanza da essere scoraggiante. Tutti gli uomini di cui abbiamo parlato hanno cambiato il mondo, nel bene e nel male, ma non hanno messo nella giusta prospettiva lo scopo della loro vita. Nel Vangelo di Matteo, al capitolo 6 si legge: <<Non fatevi tesori sulla terra, dove la tignola e la ruggine consumano, e dove i ladri scassinano e rubano; ma fatevi tesori in cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove i ladri non scassinano né rubano. Perché dov'è il tuo tesoro, lì sarà anche il tuo cuore>>. Inutile cercare la gioia e la soddisfazione personale nel successo, nella fama, o peggio ancora nel potere esercitato con la coercizione e la violenza. Inutile cercare pa-ce ai moti dell'anima affidandosi alle cose corruttibi-li di questo mondo, vivendo una vita che come dice l'apostolo Paolo è "senza Cristo, senza speranza e senza Dio nel mondo" (Efesini 2,12). Noi che abbia-mo creduto in Cristo sappiamo che il Lui la nostra vita ha un senso, i nostri successi hanno uno scopo e la nostra anima può riposare al sicuro, nella cer-tezza che la nostra vita terrena è solo un passaggio verso la vita eterna con il nostro Signore.

Anna Maria Cantarella

ATTUALITA’

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Il 27 Gennaio di ogni anno si celebra una giornata in commemorazione delle vittime del nazionalsocialismo e del fascismo, dell’Olocausto e in onore di coloro che, a rischio della propria vita, hanno protetto i per-seguitati. Questa festa è stata istituita con una legge del 2000. Origine E’ stata scelta la data del 27 Gennaio perché proprio in quel giorno dell’anno 1945, le truppe sovietiche dell’Armata Rossa arrivarono presso la città polacca di Auschwitz, scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi su-perstiti. Prima dell’arrivo dei sovietici, circa 10-15 giorni prima, i nazisti si erano già rovinosamente riti-rati portando con sé in una “marcia della morte” tutti i prigionieri sani, molti dei quali morirono durante la marcia stessa. Questo evento rivelò compiutamente al mondo l’orrore del genocidio nazista. Shoah Il termine “Shoah” è stato adottato più recentemen-te per descrivere la tragedia ebraica di quel periodo storico, per sottolinearne la specificità rispetto ai molti altri casi di genocidio. “Shoah” significa “desolazione, catastrofe, disastro”. Questo termine viene utilizzato per la prima volta nel 1940 dalla co-munità ebraica in Palestina, per designare questo evento doloroso. Olocausto Olocausto è una parola derivante dal greco e significa “bruciato interamente”. Oltre al significato noto di sacrifici rituali di animali uccisi e bruciati sull’altare del tempio, il termine Olocausto, dalla metà del XX se-colo è divenuto il termine con il quale ci si riferisce al genocidio compiuto da Hitler e quindi dal “Terzo Reich” a danno degli Ebrei, ma anche nei confronti di altri gruppi ritenuti “indesiderabili” dalla dottrina nazi-sta: omosessuali, Rom, zingari, testimoni di Geova, pentecostali, malati di mente, portatori di handicap, etc. Gli Ebrei, comunque, giudicano offensivo parago-nare o associare l’uccisione di milioni di Ebrei ad una “offerta a Dio”. Descrizione Descrivere la drammaticità di questo genocidio, aiuta tutti a non dimenticare gli orrori perpetrati verso gli Ebrei. Infatti il giorno della Shoah ci vuole dire di “non dimenticare”. Queste eliminazioni di massa veni-vano condotte tramite uccisione, per la maggior parte per avvelenamento tramite monossido di carbonio. Inoltre i nazisti condussero molti esperimenti medici sui prigionieri. Questi venivano portati o nei campi ci concentramento, adibiti a campi di lavoro, o nei cam-

Giorno della Memoria – In ricordo della Shoah

pi di sterminio dove l’uccisione era immediata. Una volta morti venivano bruciati, oppure messi in grosse fosse comuni e poi arsi. Hitler, il Mein Kampf e la persecuzione Il” Mein Kampf” ( La mia battaglia ) è il libro di Hitler che venne definito il catechismo della gioventù Hitle-riana. In esso è contenuto tutto il pensiero di Hitler che reputa la sua razza come pura e superiore a dan-no delle razze inferiori come quella degli Ebrei. Si dice che nella stesura di questo libro Hitler fu aiutato da un amico, il sacerdote cattolico Bernhard Stempfle. Infatti, nel libro, è presente una diffusa enfasi sul Cri-stianesimo quale base ideologica della dottrina hitle-riana; Hitler, nella sua delirante visione, paragona l’a-scesa del Nazismo a quella del Cristianesimo origina-le, ed equipara se stesso a Gesù nella sua opposizione alle istituzioni ebraiche. Mike Brown è “Le nostre mani sono bagnate nel sangue” Mike Brown, conosciuto e stimato predicatore e pa-store, ha voluto dare un contributo in materia essen-do lui stesso coinvolto in prima persona, essendo un ebreo. Nel suo libro “Le nostre mani sono bagnate nel sangue” tratta in maniera approfondita la descri-zione del genocidio ma soprattutto mette in risalto le colpe e le influenze che la chiesa, e il Cristianesimo in particolare, ebbero nell’adempimento di queste triste pagina della storia. Infatti nel libro lui parla delle origi-ni del pensiero nazista che pone le sue radici nelle leggi razziali promulgate nel Medioevo proprio dai cristiani. Infatti i Cristiani hanno ritenuto gli Ebrei co-me gli assassini di Gesù e quindi si sono sentiti auto-rizzati a perpetrare verso di essi tante angherie tra le quali conversioni forzate e in alternativa la tortura o la morte. Nell’ultimo capitolo Mike Brown chiede perché tra tutti i popoli proprio il popolo di Dio e, tramite un arguta ed attenta analisi mette in luce co-me il tutto non puo’ essere altro che un piano diabo-lico. Infatti scrive “…perché satana disprezza tanto gli Ebrei? Perché è un riflesso del suo odio per Dio. Gli Ebrei sono il popolo eletto di Dio! Facendo del male a loro cerca di far del male al Signore e di prendersi la rivincita della sua condanna a morte”.

Alessia Lavore

SPECIALE

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Riunione delle donne: Un patrimonio da custodire

Oratore: Cettina Lavore Leggendo Giudici 6:1-10 ci troviamo di fronte l’im-magine del popolo d’Israele oppresso da un popolo nemico: i Madianiti, nel periodo in cui regnavano i Giudici. La mano di Madian, si fece forte contro di loro tanto che il popolo di Dio, per paura, si co-struì caverne scavate nei monti e spelonche, per-ché succedeva, che ogni volta che Israele seminava, i Madianiti e gli Amalekiti, loro alleati, si accampava-no di fronte al popolo e distruggevano tutti i pro-dotti del paese, lasciando Israele senza mezzi di sussistenza, né pecore, né buoi, né asini. Erano così numerosi quei Madianiti, che vengono paragonati a locuste; infatti quando arrivavano nel paese, deva-stavano tutto riducendo il popolo in grande pover-tà. Israele, in quella occasione, non aveva saputo custodire ciò che aveva, anzi di fronte a quella ma-rea di nemici che li assaliva, probabilmente indie-treggiava, fino a lasciare i campi nelle mani dei deva-statori che facevano razzia, lasciando solo desola-zione e distruzione Ognuna di noi ha un campo da custodire, che comprende tutto ciò che abbiamo acquisito nel momento in cui abbiamo ricevuto il diritto di essere divenute figliuole di Dio. Ho cerca-to il significato della parola “deposito”: affidare qualcosa alla custodia di qualcuno perché la conser-vi e custodisca. Nel momento in cui abbiamo rice-vuto per grazia la salvezza, abbiamo ereditato in Cristo beni incommensurabili: la salvezza, l’adozio-ne (il diritto di essere diventate figliuole dell’Altissi-mo), la giustificazione per fede, la vittoria (solo per-ché Lui ha vinto per noi sulla croce). Tutti questi sono beni spirituali, ma assieme ad essi abbiamo ricevuto in custodia altri beni terreni. E su questi dobbiamo vegliare, se vogliamo che questa eredità sia gestita al meglio, e soprattutto non ven-ga guastata. A volte le cose che possono sembrare meno importanti, le meno visibili, possono essere dannose per il nostro bagaglio spirituale; queste cose fanno parte della nostra sfera emotiva e sono i sentimenti che non sempre sono buoni, proprio perché sono espressioni della nostra anima, della parte più umana e possono essere dannosi per la nostra salute spirituale e di cattiva influenza, o addi-rittura di sofferenza, per coloro che ne sono l’og-getto: la gelosia, la critica infondata, le rivalità, le contese, l’ipocrisia; queste sono come delle tarme

minuscole, invisibili, che rodono giorno dopo gior-no tutto quel patrimonio prezioso che il Signore ha messo in noi. Un altro campo prezioso su cui il Signore ci chiama a vegliare è la nostra famiglia, i nostri figli e i nostri mariti. La conversioni dei nostri figli o mariti non avvengono tutte allo stesso modo e non tutti fanno lo stesso percorso. A volte si imbattono in vie tor-tuose e dolorose, attraversano certi tunnel da cui sembra difficile uscirne fuori, cadono, inciampano e noi madri e mogli spesso ci sentiamo impotenti, crediamo di avere sbagliato tutto. Bisogna vegliare con la preghiera, riconosciamo quando è il momen-to opportuno per dire una parola che arrivi al loro cuore e cerchiamo di interpretare anche i loro si-lenzi. Chiediamo al Signore saggezza, intelligenza per capire i loro stati d’animo, i loro pensieri e af-ferriamo il cosiddetto “attimo fuggente”.Uno degli obiettivi preferiti del nostro avversario è proprio il nucleo famigliare, ricordatevi che il nemico viene per distruggere e rubare ciò che Dio ci ha dato. Un’ultima esortazione riguarda la chiesa di cui fac-ciamo parte, la nostra seconda e grande famiglia. Anch’essa è un dono di Dio, con i suoi pregi e i suoi difetti, con i suoi momenti difficili e quelli più felici, anche su questa parte di eredità che abbiamo ricevuto dobbiamo vegliare, come le sentinelle po-ste sulle mura di Gerusalemme. Non fraintendiamo il verbo vegliare che non significa curiosare, o sape-re ad ogni costo cosa succede all’uno o all’altro, vegliare significa custodire gelosamente qualcosa che si ama, perché, se tu ti senti parte di questa chiesa, se la ami come la tua stessa persona, quan-do essa riceve una ferita, quella ferita la senti quasi fisicamente sulla tua pelle ( II Corinzi 11:1-3).

Cettina Lavore

EVENTI DEL MESE

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Dopo la morte di Erode il Grande, il re che, dopo la nascita di Gesù aveva ordinato la strage degli In-nocenti, Maria e Giuseppe lasciarono l’Egitto e ri-tornarono a Nazaret dove, secondo l’evangelista Luca, Gesù “cresceva e si fortificava”. Da ragazzo, Gesù osservò attentamente la vita della campagna che ispirò le immagini e gli esempi dei suoi futuri insegnamenti. Nazaret e i villaggi Nel sec.I d.C. la popolazione della Galilea viveva per lo più in piccoli villaggi di campagna dove l’agri-coltura determinava pressochè ogni aspetto della loro esistenza quotidiana, tradizioni e abitudini, fe-stività religiose e credenze. Così doveva essere an-che Nazaret, dove Gesù trascorse l’infanzia, un paesetto che sorge in una conca riparata a circa 400 mt. di altitudine. La fertile e verde campagna che circonda Nazaret ancora oggi appare molto suggestiva. Lo storico Giuseppe Flavio ne esaltò la bellezza in toni lirici: “Dovunque la terra è così ric-ca e i pascoli così rigogliosi e vi è tale abbondanza di alberi d’ogni genere che perfino i più indolenti sono invogliati…a dedicarsi all’agricoltura. E, a dire il vero, non si trova angolo di terra che non sia sta-to coltivato dagli abitanti”. Il cuore di un villaggio tipico era la piazza del mercato e una via di botte-ghe dove gli artigiani producevano e vendevano i loro manufatti. Il fabbro e il falegname, che contri-buivano entrambi alla costruzione e riparazione de-gli attrezzi agricoli di solito erano situati poco lon-tano l’uno dall’altro. I villaggi avevano, inoltre, fab-bricanti di stuoie, vasai e canestrai, che esponevano la loro merce nelle strade. E quindi, come era usan-za nei villaggi della Palestina d’allora, anche i nazare-ni dividevano il loro tempo tra la piazza del merca-to e i campi e i vigneti che circondavano il villaggio. La popolazione della Bassa Galilea Benchè gli abitanti della Galilea ai tempi di Gesù fossero in maggioranza Ebrei, tra di essi viveva un piccolo numero di pagani, sia schiavi che liberi. Vi si trovavano Siri, Greci e anche Romani arrivati verso la metà del I sec. a.C. Gli Ebrei erano piccoli di sta-tura e, sebbene di carnagione chiara, erano sempre abbronzati per gran parte dell’anno, a causa della loro vita passata all’aria aperta. I loro lineamenti marcati erano quasi sempre incorniciati da capelli neri o castano scuro, che sia gli uomini che le don-ne portavano naturalmente lunghi. Per rispetto del-la tradizione, quasi tutti gli uomini si facevano cre-

scere la barba. I Galilei parlavano un dialetto ara-maico che suonava rozzo e incolto, e agli occhi de-gli abitanti di Gerusalemme apparivano gente rusti-ca.

La vita di famiglia La vita sociale della Galilea era imperniata attorno alla famiglia. Le famiglie rurali erano solitamente numerose, solidali e molto industriose. Il marito era il capo spirituale e legale della famiglia, l’arbitro finale in tutte le questioni familiari. Non era insolito che la donna di rivolgesse al marito chiamandolo baal ( “signore”) oppure adon ( “padrone”). In cam-bio il marito provvedeva alle necessità della fami-glia. Secondo la legge, se la moglie non trovava più “grazia ai suoi occhi, perché” questi aveva “trovato in lei qualcosa di vergognoso”, il marito aveva il di-ritto di trasmetterle un atto di divorzio. Se la cosa “vergognosa” non sconfinava nell’adulterio, il matri-monio veniva sciolto ed entrambi i coniugi poteva-no convolare a nuove nozze. Se la moglie invece era sospettata di adulterio, il sacerdote locale la sottoponeva al giudizio di Dio: infatti la donna do-veva bere una pozione amara, e se si sentiva male era considerata colpevole e lapidata o messa a morte in altro modo. Se invece non mostrava al-cun effetto nefasto, si pensava fosse innocente e quindi restituita al marito. Ciascun avvenimento, dalla nascita al matrimonio, dalla procreazione alla morte, era stabilito dalla tradizione, dalle sue rego-le e riti immutabili accompagnati dalla preghiera. L’abitazione L’abitazione tipica di un villaggio era poco più di un riparo rudimentale eretto con mattoni di fango e composto soltanto da uno o due locali adibiti a tut-ti gli scopi. Le porte erano strette e basse e co-stringevano a chinarsi. I letti erano pressochè inesi-stenti e per dormire ci si sdraiava di solito sulle

La vita nei villaggi – Parte I

GESU’ E IL SUO TEMPO

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stuoie, ricoprendosi con le tuniche o i mantelli. In quanto agli effetti personali, essendo poca cosa e di scarso valore, trovavano posto in un’unica cassa-panca. La “cucina” di solito si limitava semplicemen-te a un fornello, a qualche vaso di coccio, pochi utensili e una piccola provvista di cibarie. L’unica luce proveniva da una lampada ad olio poggiata so-pra una mensola o dentro nicchie scavate. Non esi-stevano bagni e l’igiene personale era svolta all’e-sterno della casa, nel cortile e nella strada. Il tetto di una casa era di solito a “terrazzo”, costruito in-trecciando rami e sterpaglie che venivano poggiati sulle travi e coperti con uno spesso strato di argilla che sigillava le fessure. E per evitare che si scio-gliesse dopo gli acquazzoni aveva necessità di una buona manutenzione. Al tetto si accedeva tramite una scaletta a pioli o una gradinata esterna. Le sere di afa, la gente dormiva sui tetti; ma il tetto serviva anche per mangiare, per meditare, per svolgervi

La vita nei villaggi – Parte I

colloqui privati, per ballare e far festa. Se la famiglia cresceva di solito si aggiungeva una stanza sul tetto. Dentro questo tipo di abitazione vivevano i genito-ri, i figli piccoli e grandi, quelli sposati con le loro mogli, senza nessuno spazio per la riservatezza. Il marito e i figli grandi andavano per i campi a lavora-re, mentre la donna si occupava di diverse mansioni come ci delucida il libro dei Proverbi ( Pr.31:10-27).Le case più agiate erano solitamente costruite in pietra, e comprendevano diversi locali, a volte anche di due piani. Le porte erano in legno, dotate di chiavi e serrature ed erano affisse con cerniere di cuoio. Inoltre erano dotate di chiavistelli per sbarrare le porte. Queste abitazioni, di solito di due piani, ospitavano sotto gli animali e sopra ci stava la famiglia per dormire e mangiare. Essendo case di famiglie più agiate dentro si poteva trovare anche arredo e mobilio di un certo valore.

Cettina Lavore

GESU’ E IL SUO TEMPO

Alla morte di Davide, suo figlio Salomone decise di realizzare l’opera tanto desiderata dal padre, ovve-ro un tempio da dedicare al Dio d’Israele. Salomo-ne stipulò con il re Hiram di Tiro un accordo in base al quale quest’ultimo avrebbe fornito i cedri delle foreste, legno da sempre pregiatissimo, unita-mente a tutto il materiale necessario per la costru-zione della struttura, non trascurando che Davide, comunque, aveva messo da parte parecchio mate-riale. Ci vollero non meno di tre anni solo per i preparativi della costruzione che avvenne con la supervisione di architetti fenici fra i quali lo stesso Hiram; la manodopera venne reclutata fra esperti ebrei e prigionieri di guerra, questi ultimi usati so-prattutto per i lavori pesanti come lo squadramen-to e il taglio dei blocchi di pietra che avrebbero fat-to parte della base del tempio. Il luogo scelto da Salomone era la sommità del monte Moriah, spia-nato per l’occasione e acquistato da suo padre sul quale offrì spesso sacrifici. Dopo oltre sette anni, l’avveniristica costruzione era pronta. Salomone in rispetto della volontà del padre, decise di erigere il tempio in onore a Dio anche per custodirvi l’Arca dell’alleanza nella quale erano custodite le tavole della legge, quelle che Dio in persona aveva scolpi-to nella roccia per darle a Mosè e al suo popolo e che avevano sancito l’alleanza con Israele, la verga

fiorita di Aronne ed il vasetto di manna. Questo tempio era composto da tre ambienti principali: -Il vestibolo (ULAM) o cortile interno, qui vi era l’altare degli olocausti, il lavacro bronzeo, e i dieci lavatoi. In questa grande corte si univa il popolo per pregare. - l’aula (ECHAL) o luogo santo, dove vi erano l’alta-re d’oro per bruciare l’incenso, la mensa di cedro su cui venivano posati i pani da offrire a Dio e dieci candelabri d’oro. -la cella (DEBIR) detto anche “Luogo Santissimo”, costituiva una specie di palco per l’Arca dell’Allean-za che aveva la forma di una cassa rettangolare. Era un ambiente privo di finestre completamente buio e l’ accesso era consentito solo al Sommo sacer-dote, che poteva visitare l’arca nel giorno dello Yom Kippur, pronunciando il tetragramma sacro, il nome di Dio in ebraico. Per più di 350 anni Il tem-pio, a parte brevi periodi di apostasia, fu il centro religioso e d’identità nazionale del popolo d’ Israe-le, ma alla fine fu distrutto da Nabucodonosor, re di Babilonia nel 587 a,C,, anno in cui conquistò Ge-rusalemme, dopo l’ennesima ribellione. Resti degli arredi in bronzo, oro e argento furono portati a Babilonia.

Annarita Manzari

Il Tempio di Salomone

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IO E… DIO

Nunzia Zappalà

Quando mi si chiede di raccontare come é iniziato il mio rapporto con il Signore, ho difficoltà a stabilire un preciso momento, benchè il battesimo, come mol-ti di noi hanno sperimentato, costituisca una delle tappe fondamentali della vita cristiana. Il cammino che mi ha condotto al Signore è durato trent'anni circa, seppure avessi ricevuto un' educazione religiosa mol-to rigida ed una formazione molto in linea con gli in-segnamenti del Vangelo, avendo vissuto, per quindici anni della mia vita, in un istituto di suore, dopo la tra-gica morte di mio padre, ventiduenne, in un incidente stradale con la moto. Seppure con esagerato rigore, negli anni trascorsi in collegio, le suore mi hanno di-mostrato con le loro azioni, che Dio é il Padre che si prende cura dell'orfano, attraverso l'impegno di colo-ro che lo amano ed hanno disposto la loro vita al suo servizio, tanto che spesse volte, durante l'adolescen-za, ho contemplato la possibilità di andare in missione nel sud del mondo. Non sapevo cosa chiedere a Dio per il mio futuro, perché per me non vedevo alcun futuro. Completamente estranea a qualunque forma di vita sociale ed affettiva, priva di reali prospettive e di progetti per il futuro, ho cominciato a presentare a Dio i miei sogni, che Lui, fedelmente, ha realizzato al momento opportuno. Avevo sviluppato il terrore di commettere degli errori, (avevo visto troppe vite di-strutte all'interno dell'orfanotrofio), consapevole delle conseguenze che questi possono avere per la nostra vita e per quella di coloro che ci vivono intorno, e pur non avendo fiducia nel genere umano, chiedevo a Dio un compagno per la vita che temesse il suo no-me, pensando che se entrambi avessimo avuto il Si-gnore come guida della nostra vita, non avremmo potuto fallire. Ed è proprio ciò che ho ricevuto! In un'altra città, il mio futuro marito aveva fatto la stessa richiesta a Dio e i nostri destini si sono miracolosa-mente incrociati. Nella nostra vita di coppia abbiamo ricevuto tanto dal Signore, perchè abbiamo confidato in Lui per ogni cosa, ma mentre Egli era fedele e pre-sente, noi sentivamo di non avere una vita spiritual-mente appagante. Nessun vuoto dell' anima, nessun bisogno materiale, nessun problema di salute ci hanno spinto a cercarlo più profondamente, solo la consape-volezza di contraddizioni molto forti che trovavamo tra la Parola di Dio e lo stile di vita che si conduceva all'interno della comunità parrocchiale. Tante doman-de che avevo rivolto a suore, a sacerdoti, al vescovo, non avevano trovato risposta e stava serpeggiando in me l'idea che "Dio fosse un grande bluff"e che per questo la gente e perfino alcuni ecclesiastici si pren-devano gioco dei suoi Comandamenti. Insieme a mio

marito, abbiamo così deciso di cercare, presso altre confessioni religiose, se per caso esistesse qualche altra realtà, più vicina alla Parola di Dio. Sono seguiti anni di ricerca, abbiamo frequentato per sette anni, senza mai condividerli i Testimoni di Geova, i Mor-moni, perfino qualche mussulmano: ascoltavamo tutti, escludendoli inevitabilmente perché non innalzavano Gesù quale Dio. Durante l'estate del 1990, mio mari-to fu invitato da un collega ad andare in una Tenda di Evangelizzazione che si trovava in Piazza Europa. Mentre, al mare, discutevamo della possibilità di ri-nunciare alla solita pizza del sabato sera per andare in questa tenda, un nostro carissimo amico ci mise in guardia dal fare tale cosa, perché lui conosceva bene questi evangelici pazzi, di cui anche un suo cugino fa-ceva parte. Incuriositi da questa affermazione gli chie-demmo di quali pazzie si trattasse. Il nostro amico ci raccontò che il cugino si svegliava spesso nel cuore della notte per pregare e questa per noi fu l'ulteriore spinta per recarci in Piazza Europa. Benedico ancora il Signore per quel meraviglioso 29-Agosto-1990, in cui per la prima volta ho sentito annunciare il grande mi-stero della salvezza. Proprio per me, una salvezza personale per me, che invece pensavo di essere per-fetta, che Gesù fosse morto per i peccatori (gli assas-sini, i ladri e ogni altro malfattore) ma non per me che lo conoscevo e non facevo niente di male, autoe-scludendomi con questo ragionamento dalla sua gra-zia e dalla sua salvezza. E mentre realizzavo il mio bi-sogno personale di salvezza, il pastore Filippo Wiles ci invitava ad alzare la nostra mano, e penso proprio che da quel gesto che per me significava: -"Presente, Signore eccomi anch'io ho bisogno di te, salvami" la mia vita prendeva una nuova eterna traiettoria. Nei successivi venti anni, il Signore è stato per me il padre che non ho mai avuto: ha rivoltato le zolle dure della mia vita, ha lenito i dolori che negavo a me stessa, mi ha ridato fiducia nel genere umano perchè Lui stesso ha avuto fiducia in me, mi ha guarito dalle mie malat-tie e mi ha prospettato la certezza della mia vita futu-ta con Lui. Lo ringrazio perchè, insieme al meravi-glioso marito che mi ha donato, abbiamo potuto tra-smettere questa grande eredità, non solo alle nostre figlie, ma a tanti amici e conoscenti che si sono ag-giunti alla grande famiglia di Dio.

Nunzia Zappalà Cantarella

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IMPRESSO NEL CUORE

Pastore Ottavio: La preghiera è il respiro del vero cristiano

Un altro anno volge al termine. Fuori, i ra-gazzi salutano il nuovo anno tra schiamazzi, urla e abbracci: chi gioisce in dolce compa-gnia sulle note di una canzone romantica, chi cerca di nascondere le lacrime dietro un sorriso appena accennato, chi sguinzaglia messaggi d’auguri a parenti ed amici, chi pie-ga le proprie ginocchia e prega Dio dicendo “Venga il Tuo regno”, quel regno che non avrà mai fine, dove non vi sarà tristezza, do-lore, malattia, ingiustizia, fame, odio, sofferen-za. I maya predicono quest’anno la fine del mondo; gli economisti sospettano una cata-strofe economica; le nazioni si preparano a una guerra mondiale; i politici si affaticano, la gente mormora ma Dio parla alla Chiesa e la rincuora con la Sua Parola. Dio ci chiede di non essere ansiosi circa quello che man-geremo o berremo, né per il nostro corpo di che ci vestiremo. Gli uccelli del cielo non seminano, non mietono eppure il Padre li nutre. Tanto più noi che siamo figli Suoi non ci farà mai mancare nulla. Lui è un Padre e un padre sa di cosa hanno bisogno i propri figli. Quest’anno il nostro primo pensiero al mattino sia quello di invocare il nostro Dio in ogni momento della giornata e non solo quando le circostanze attorno a noi si fanno buie e tenebrose e bramare una relazione d’amore più profonda con il Padre, Colui che ci ama di un amore incondizionato, vero e sublime. Se iniziamo a profetizzare positi-vamente edificheremo la nostra vita sin dalle prime luci dell’alba e questo parlare ci arric-chirà, ci incoraggerà, ci benedirà poiché an-che la Bibbia lo attesta, la lingua è un picco-lissimo membro, equiparato al timone di una nave: possiamo benedire o maledire, sta’ a noi la scelta. I greci erano convinti che le pa-role ferissero più di uno schiaffo o di una spada affilata; la gente e ancor più spesso i

credenti, ne portano ancora le cicatrici. Possiamo esprimere tutti i giorni la preghie-ra che si trova nel Vangelo di Matteo al capi-tolo 6, considerata da tutti la preghiera mo-dello o sacerdotale che indistintamente cre-denti e non, recitano in maniera più o meno spedita e disinvolta ma senza avvertire real-mente il senso di quelle frasi che si susse-guono l’una dopo l’altra, oppure possiamo viverla, riconoscendo Dio come Yahweh “Io Sono”, Yahweh Jiré, “L'Eterno Provvederà”, Yahweh Rafa “L'Eterno che ti guarisce”, Yah-weh Nissi “L'Eterno mia bandiera”, Yahweh Shalom “L'Eterno è Pace”, Yahweh Raah “L'Eterno è il mio Pastore”, Yahweh Tsidkenu “L'Eterno nostra Giustizia”. Il mio e il tuo Dio è il Re dei re e il Signore dei si-gnori e nonostante tutto attorno a noi cer-ca di scoraggiarci e deprimerci parlandoci di miseria, crolli della borsa, aumento delle tas-se, annullamento delle pensioni, noi siamo ricchi perché Lui ci ha fatti sacerdoti e re per regnare insieme a Lui per l’eternità. Egli è il nostro soccorso e il nostro aiuto sem-pre pronto nelle avversità, sotto le Sue ali noi ci sentiremo al sicuro. Sforziamoci di entrare ogni giorno nella cameretta per rita-gliarci del tempo prezioso da spendere da-vanti alla presenza di Dio. Non occorrono tanti giri di parole, ma una preghiera sempli-ce che arriva a toccare il cuore di Dio. Dio ci benedica!

Sara Torrisi

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EVENTI DEL MESE

Con grande gioia, il 22 Dicembre 2011 in occasione delle feste natalizie, la scuola do-menicale ci ha reso partecipe di un musical creato interamente da loro: “La Natività”. Ad aprire la serata è stato il coro di bambini della classe 3-5 anni, che hanno proposto la canzone “Goccia d’amore” e, al termine di questa, si è dato inizio al musical. Sebbene già dal titolo “La Natività” si poteva intuire di cosa si trattasse, era altresì poco probabile immaginare “come” era stato rea-lizzato. Il palco, completamente libero , si prestava ad accogliere un piccolo coro di bambini e due voci principali che ci avrebbero accom-pagnato per tutte le scene; un video iniziale, a luci spente, apre il “sipario” della Natività. Il musical si compone di alcune scene parla-te, tra cui il discorso tra Maria e l’angelo Gabriele, e quello tra Giuseppe e Maria alla ricerca di un posto dove alloggiare, e di sce-ne ballate, dove osserviamo un coro di an-

geli eseguire virtuosismi, accompagnati da un mix di canzoni armoniose e melodiche, eseguite dai coristi. E chi se lo aspettava! Non era dunque la so-lita scena già vista e rivista. La creatività, la dinamicità e la gioia di ogni singolo bambino impegnato nella propria parte, fanno da pa-drone nelle scene. Tutto era perfetto! L’al-ternarsi di luci e video, il ballo degli angeli assolutamente coordinato, voci straordina-rie e recitazione perfetta: non erano dei professionisti ma solo bambini! Una perfor-mance straordinaria che non ha deluso ma affascinato tutti. Complimenti a tutti i bambini, piccoli e gran-di, e a tutti coloro che hanno collaborato nella realizzazione e creazione di questo musical, ma soprattutto complimenti al Creatore per eccellenza: il nostro grande Dio.

Torrisi Federica

Poco prima del musical si è tenuta anche la festa degli anziani. E’ sempre un piacere ve-dere gioire fratelli e sorelle più anziani della nostra chiesa e, come tutti, anche loro han-no diritto ad avere una serata interamente dedicata a loro.

E’ doveroso ricordare a tutta la chiesa che anche gli anziani sono parte di essa e pro-prio per questo meritano un rispetto mag-giore, soprattutto da chi è più giovane. Un saluto o anche un gesto d’affetto metteran-no gioia nei loro cuori.

Impariamo ad apprezzarli sempre più, e sti-marli poiché sono fonte di saggezza per tutti noi.

Ringraziamo Dio per i nostri anziani e li be-nediciamo in salute!

Dio ci benedica: piccoli, giovani e anziani!

Torrisi Federica

La Festa degli anziani

Musical Bambini

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L’attesa è febbrile. Tutti attendono con aspettativa l’inizio della serata. La sala è gremita. E finalmente tutto comincia. Il Pastore Ottavio apre l’evento ringraziando Dio e il gruppo mu-sicale suona alcune

canzoni accompagnata da una imponente corale. E poi è l’ora dell’intervista: due sgabelli troneggiano sul palco e mentre si attende l’ospite, un video traccia un breve resoconto della vita calcistica dell’ospite. Sergio Recupero entra in scena e an-nuncia l’entrata tanto attesa di Nicola Legrottaglie, ad oggi calciatore del Catania, che fino a Domenica scorsa ha segnato un gol importante contro l’Ata-lanta. Nicola però è, soprattutto, un uomo che, con la sua profonda esperienza di conversione, porta, attraverso gli strumenti che gli sono a disposizione grazie alla sua fama, il vangelo in maniera semplice, fresca ed attuale. Durante questa serata, avvenuta il 14 Dicembre, ha avuto modo, ancora, di fronte ad una sala piena di persone convertite e non, di parla-re di lui, della sua esperienza, della sua profonda conversione. La cosa che ha colpito molto è pro-prio il suo amore verso Dio così profondo e senti-to che non riusciva a non parlare di Lui. Durante l’intervista gli sono state mostrate diverse slide che, a tappe, gli hanno dato lo spunto per raccontare le diverse fasi della sua vita. La prima parlava della sua

famiglia, punto fondamentale della sua vita, dal mo-mento che lui è cresciuto in una famiglia cristiana, che gli ha inculcato i giusti principi biblici; poi siamo passati ad una slide che mostrava il lusso, la fama, e quindi il suo rapporto con essi che fondamental-mente non hanno cambiato il suo modo di essere e quindi la sua coerenza con Dio, bensì magari gli ha potuto dare più possibilità per portare il messaggio di salvezza. Poi si è arrivati alla croce, momento fondamentale della sua vita che ancora oggi è vivo nella sua vita. Le ultime due slide mostravano uno dei suoi libri “Ho fatto una promessa” e il significa-to del Natale secondo il calciatore. Quello che ha colpito comunque è stata la semplicità di questo ragazzo, una persona che non si è lasciato sopraffa-re dalla fama e che in ogni discorso o domanda par-lava sempre e solo di Gesù, come qualcosa di vivo che gli pulsava dentro e che non poteva essere ta-ciuto. E alla fine ha voluto lasciare un messaggio leggendo una lettera che ha inserito nel suo secon-do libro, dove parlava appunto del Natale. Viene descritto un Natale abbondante, con una tavola imbandita, cibi squisiti, bambini felici, regali sotto l’albero. Ad un certo punto suona il campanello ed entra Babbo Natale. Tutti sono felici e gioiosi. Il campanello suona di nuovo: è Gesù, ma stavolta viene lasciato fuori. Nicola chiude con un appello a non dimenticarci che il vero protagonista del Nata-le è Gesù, il nostro Salvatore e quindi lascia un ap-pello a coloro che volevano realizzare il “vero” Na-tale, incentrato sulla meravigliosa figura di Cristo.

Alessia Lavore

Il Natale secondo Nicola Legrottaglie

EVENTI DEL MESE

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