G8 Opinion Leader Michela Carella Marco Binotto

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OCP – G8 :: Opinion leader 1 Opinion leader Michela Carella e Marco Binotto Quasi mai l’attenzione per il G8 e per le iniziative dei manifestanti si sono tradotte in una discussione dei temi in campo e delle soluzioni proposte. Gli opinionisti dei quotidiani, i direttori, gli “esperti” hanno combattuto il match dei giudizi, delle posizioni, del confronto sui temi in agenda: il giudizio sul movimento antiG8, la posizione sulla globalizzazione, il pericolo delle manife- stazioni. Le posizioni dei giornali confermano ciò che era emerso durante l’analisi dell’agenda mediale, cioè che nel primo periodo, compreso tra la metà di maggio e la metà di giugno, compaiono ancora pochi editoriali e commenti. Nel secondo mese, in concomitanza con gli episodi occorsi durante il vertice di Göteborg, la situazione cambia. Nasce la necessità per le testate nazionali di esprimere posizioni e pareri su quel movimento che inizia a diventare sem- pre più notiziabile. Una situazione che va a confermare i dati contenuti nella Tabella dei generi degli articoli pubblicati. Nel periodo di pre-vertice si passa da un solo edito- riale presente nella fase Timori, ad otto compresi in Preoccupazione fino a toccare il primo picco numerico nella fase Allarme in cui rientrano i giorni di Göteborg, per un totale di 21 editoriali; nelle fasi Trattativa, Intervallo e Ulti- mi giorni si sale ancora fino a raggiungere il picco massimo, equivalente a 85 editoriali che dimostrano un trend crescente nell’attenzione giornalistica. La minore o maggiore esposizione delle tematiche individuate come centrali permette di analizzare le posizioni assunte dalle testate italiane in quei giorni. E’ possibile, infatti, leggere il contenuto degli editoriali rispetto a due chiavi di lettura: l’opinione espressa sia nei riguardi dei movimenti e sia della globaliz- zazione. Due momenti di gioco non sempre suscettibili di una divisione netta: spesso alle argomentazioni legate alle istanze storiche e sociali del movi- mento di contestazione, si associano giudizio e preoccupazioni per i possibili atti violenti. Aspetti su cui opinionisti, direttori e commentatori saranno chiamati ad esprimersi, mescolando i temi della protesta ai rischi concreti o prospettati di atti di violenza, il dibattito sui “mali della globalizzazione” e la reale composi- zione dei movimenti. Il dibattito sui contenuti della protesta non si è mai se-

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Progetto di ricerca dell'analisi dell'OCP sul G8 di Genova 2001 pubblicato nel volume "Violenza Mediata" (Editori Riuniti).

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Opinion leaderMichela Carella e Marco Binotto

Quasi mai l’attenzione per il G8 e per le iniziative dei manifestanti si sonotradotte in una discussione dei temi in campo e delle soluzioni proposte. Gliopinionisti dei quotidiani, i direttori, gli “esperti” hanno combattuto il matchdei giudizi, delle posizioni, del confronto sui temi in agenda: il giudizio sulmovimento antiG8, la posizione sulla globalizzazione, il pericolo delle manife-stazioni.

Le posizioni dei giornali confermano ciò che era emerso durante l’analisidell’agenda mediale, cioè che nel primo periodo, compreso tra la metà dimaggio e la metà di giugno, compaiono ancora pochi editoriali e commenti.Nel secondo mese, in concomitanza con gli episodi occorsi durante il verticedi Göteborg, la situazione cambia. Nasce la necessità per le testate nazionalidi esprimere posizioni e pareri su quel movimento che inizia a diventare sem-pre più notiziabile.

Una situazione che va a confermare i dati contenuti nella Tabella dei generidegli articoli pubblicati. Nel periodo di pre-vertice si passa da un solo edito-riale presente nella fase Timori, ad otto compresi in Preoccupazione fino atoccare il primo picco numerico nella fase Allarme in cui rientrano i giorni diGöteborg, per un totale di 21 editoriali; nelle fasi Trattativa, Intervallo e Ulti-mi giorni si sale ancora fino a raggiungere il picco massimo, equivalente a 85editoriali che dimostrano un trend crescente nell’attenzione giornalistica.

La minore o maggiore esposizione delle tematiche individuate come centralipermette di analizzare le posizioni assunte dalle testate italiane in quei giorni.E’ possibile, infatti, leggere il contenuto degli editoriali rispetto a due chiavi dilettura: l’opinione espressa sia nei riguardi dei movimenti e sia della globaliz-zazione. Due momenti di gioco non sempre suscettibili di una divisione netta:spesso alle argomentazioni legate alle istanze storiche e sociali del movi-mento di contestazione, si associano giudizio e preoccupazioni per i possibiliatti violenti.

Aspetti su cui opinionisti, direttori e commentatori saranno chiamati adesprimersi, mescolando i temi della protesta ai rischi concreti o prospettati diatti di violenza, il dibattito sui “mali della globalizzazione” e la reale composi-zione dei movimenti. Il dibattito sui contenuti della protesta non si è mai se-

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parato dalla strettissima attualità. Le notizie più importanti dei giorni di mag-gio e giugno 2001 e i fatti dei giorni caldi – subito prima del vertice e durantelo stesso – hanno caratterizzato senza via di scampo questi confronti.

Le testate

Il contenuto degli editoriali si rivela, così, un valido strumento di supportod’indagine che aiuterà a delineare lo schema di gioco e la composizione delleparti in campo.

Repubblica assume un atteggiamento duplice, sul tema “movimento” daspettatore piuttosto che da attore coinvolto, mentre appare interessataall’approfondimento e all’analisi del fenomeno globalizzazione. Sceglie di de-stinare spazi, che risulteranno maggiori rispetto a quelli riservati dalle altretestate, ad interventi esterni. Parallelamente Il Manifesto ha optato per unospazio maggiore da destinare all’analisi delle maggiori componenti del feno-meno globalizzazione (tematiche, movimenti, fenomenologie) cercando di la-sciare in secondo piano la diatriba sulla violenza, una caratteristica che diffe-renzia questa testata dalle altre in maniera sostanziale.

Nel caso del Corriere della Sera, attraverso le posizioni assunte dai suoimaitre à penser si delinea un atteggiamento di critica radicale al movimento,per la sua composizione, per la sua leadership e per la vulgata ideologica dicui sarebbe portatore.

Dalle pagine del Giornale ha preso forma un’iperbole estrema: il movi-mento è accusato di apologia della violenza, le voci ospitate dal quotidianohanno costituito un coro impegnato nella ripetizione litanica di violenze e at-tacchi. La condanna è senza incertezze o perplessità: i “teppisti di professio-ne” (Mario Cervi) devasteranno la città.

Anche per Messaggero e Stampa sembra che non possa esserci via discampo, l’attacco ad oltranza verso le tesi “anti-global” diventa una costanteche si articolerà attraverso varie figure politiche e non. Spesso intransigenti,colpite anch’esse da un clima di allarmismo contagioso, le opinioni espressein fondi ed editoriali si omologheranno costantemente alla tematizzione dellepagine dedicate all’informazione. Ancora una volta, prevale la questione vio-lenza.

Il giudizio complessivo della stampa italiana, attraverso i maggiori com-mentatori, è inequivocabile. Gli editorialisti di punta di Giornale, Corsera,Stampa e Messaggero hanno riservato una critica severa al movimento che siapprestava a manifestare contro il G8. Spesso questa critica nasceva e siconfigurava come analisi della sua composizione politica, come disamina coltadelle sue proposte. Il punto di attacco comune sarà in ogni caso quello delleaccuse all’«anima violenta» celata dietro ai suoi portavoce e alle sue organiz-zazioni. Solo Il manifesto e in parte la Repubblica hanno adottato posizioni dimaggiore benevolenza se non addirittura di appoggio esplicito.

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In ogni caso ripercorrendo una vecchia abitudine del pensiero occidentale,e del linguaggio dei media le questioni complesse divengono alternative bina-rie. Di volta in volta si cerca di operare una scelta stringente tra due posizionicontrapposte: pro o contro, sì – no. Tutte le questioni dovranno così ruotaresu queste alternative, su questi discorsi: pro o contro il movimento, pro ocontro il G8, pro o contro la globalizzazione1

Pro NoGlobal – Contro NoGlobal2

Presentazioni negative. Il primo compito del commentatore appare quellodi definire – far conoscere al lettore – i contorni di quel “Popolo di Seattle”allora pressoché sconosciuto. Questa particolare definizione del movimentodiventa anche occasione di giudizio.

Ad esempio il sociologo Domenico De Masi sul Messaggero 3 e FrancoVenturini4 sul Corriere sottolineano la eterogeneità del movimento antiG8. Ilprimo evidenzia come il popolo di Seattle sia composto

da una variegata mousse sociale fatta di verdi e cattolici, di vetero-comunisti e di neoconservatori,di disoccupati organizzati e di protestatari confusi, di volontari consapevoli e di facinorosi infiltrati[…]. Tutti uniti sotto un solo marchio […]: l'antiglobalizzazione militante, che non vuole farsi omo-

logare senza vendere cara la propria pelle.5

Venturini appare più orientato a porre l'accento sulla funzione di coperturadel movimento “no-global” "sulle frange più anarcoidi".

Salvatore Scarpino sul Giornale si spinge ancora più avanti, con un ineditoparagone storico: il “popolo di Seattle” diventa una Vandea di giacobina me-moria. Infatti, secondo l'autore,

anche il mondo di Seattle presenta la confusione e le mescolanze proprie di ogni Vandea. Coc-chieri e marchesi, antimodernisti di destra e di sinistra, mistici e vegetariani, contadini conservatorie scienziati eccentrici, affamati e soggetti afflitti da malattie del benessere, tutti desiderosi di uno

scontro radicale. 6

Il ritratto viene completato da Mario Cervi (sempre sul Giornale) secondocui i “giovani no-global” restano semplicemente dei 1 Sono moltissimi gli autori che affrontano questa questione dai filosofi Deleuze eGuattari (1987) al sociologo Jean Baudrillard (1976) e al semiologo Roland Barthes(1957). Per un applicazione al sistema dei media e ai fatti recenti cfr. Canevacci,Binotto 2000 e M. Pasquinelli, Guerre di vuoti e immaginario, Rekombinant.org,5/11/2001.2 Vorremmo chiarire che riprendiamo queste dicotomie solo per chiarire meglio edevidenziare l’uso che né è stato fatto dai commentatori delle testate analizzate enon perché ne condividiamo l’uso.3 Domenico De Masi, “ Un copione che si ripete puntuale” , Messaggero, 16 giugno,p.1.4 Franco Venturini, “Assalto al palazzo globale” , Corsera, 16 giugno , p. 1.5 Domenico De Masi, “ Un copione che si ripete puntuale” , Messaggero, 16 giugno,p. 1.6 Salvatore Scarpino, “ Strategia dell’imboscata” , Giornale, 17 giugno, p. 1.

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contestatori di professione […] legioni di scalmanati che seguono con zelo il calendario dei summitinternazionali per cercare lo scontro e la visibilità mediale, privi oltretutto di idee credibili su come

« cambiare il mondo ».7

Panebianco sul Corriere utilizza una nuova scelta binaria: “il conflitto fra ifautori della società aperta e i fautori della società chiusa” che ha avuto tral’altro come espressione “il totalitarismo nazista e quello sovietico-comunista”.In questo schema i sostenitori della società chiusa diventano adesso seguacidel «popolo di Seattle». La rappresentazione del movimento, e dei suoi por-tavoce, diventa quindi inequivocabile:

Non colpisce il semplicismo del pensiero di certi portavoce del movimento antiglobalizzazione (cheimmaginano il mondo retto da un governo occulto delle multinazionali). Colpisce che ci siano cosìtante persone adulte disposte ad assecondarli. Non vedono che, al di là delle pur legittime sensibi-lità per i guai della parte povera del mondo, il motore politico del movimento è fatto da protezioni-

sti alla Bové8.

Alla presentazione del movimento e dei suoi componenti si associa la rap-presentazione delle posizioni politiche, che diventano ideali e ideologiche. Vi-sioni del mondo completamente antagoniste di volta in volta all’Occidente, alCapitalismo o “all’omologazione planetaria”.

Il 9 giugno sul Corriere della Sera interviene Indro Montanelli, dalla suaquotidiana “stanza”. L’occasione è offerta dalla lettera di un attivista del mo-vimento “no-global” che, sottolineando la coesione interna del “popolo diSeattle”, invitava il giornalista a

smettere di giudicare dal comodo della sua imponente e milionaria poltrona e a visitare perlomenoi siti che daranno prova del collegamento” tra le varie componenti che convivono all’ombra del

“popolo di Seattle”.9

La risposta di Montanelli glissa sulla critica specifica allargando il discorso.La questione diventa la solita scelta dicotomica. Pro o contro l’Occidente?

Questo mondo materialista, edonista ed esibizionista non entusiasma [ma] l'unico sistema socialeed economico oggi accettabile in Occidente è quello basato sul mercato (ibid.).

Allo stesso modo, di nuovo Angelo Panebianco (Corsera) sostiene che il«popolo di Seattle» è composto da frange della Chiesa cattolica convergenticon posizioni “rivoluzionarie” e “reduci del comunismo” che cercano di rilan-ciare “l’antioccidentalismo di un tempo”10.

Il direttore del Messaggero ricollega invece la contestazione dell’odiernaglobalizzazione al SIM (stato imperialista delle multinazionali) dei volantiniterroristi negli anni ’70”. Marcello Veneziani che invece punta su un’obiezionepiù locale e situata: la reale rappresentatività dell’intero popolo di Seattle,paragonandone i leader ad amministratori di condominio.

7 Mario Cervi, “ I contestatori di professione” , Giornale, 23 giugno, p. 1.8 Angelo Panebianco, “Vantaggi globali e la società chiusa” , Corsera, 23 giugno , p.1.9 Indro Montanelli, dalla rubrica “La stanza” , Corsera, 9 giugno.10 Angelo Panebianco, “Un avanguardia e molti reduci” , Corsera, 8 luglio, p.1.

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Ancora più profonda l’azione di Biancheri. La iniziale comprensione per leragioni dei manifestanti, la benevolentia riconosciuta alla positivitàdell’impulso democratico e libertario (“L’antiglobalizzazione è l’ultimo nato deimoti anti-autoritari”) lascia il posto ad un improvviso cambio di tono:

Guardando però le manifestazioni di questi giorni – gay a Parigi, un milione di tifosi a Roma in unsabba che ha il suo acme in Sabrina Ferilli – mi chiedo se il vero senso di questi raduni, e di quelloche minacciosamente si profila a Genova, non sia altro che il raduno stesso: manifestare non perottenere qualcosa ma per sentirsi diversi. Per mostrare quanto si possa essere diversi in questo

grande, piatto, anonimo mondo globalizzato.11

Arrivato a questo punto il significato del pezzo subisce uno stravolgimento,le intenzioni iniziali si trasformano in frasi di dura condanna. Le imperscruta-bili ragioni della protesta sono svelate in un eterno, banale e umano bisognodi differenza. “L’entusiasmo antiglobalizzazione” diverrà allora “qualcosa dipatetico”. “La repubblica degli scrittori” (Abruzzese 2001) riprende il controllosulle masse, sul popolo disordinato, triviale, non alfabetico di qualsiasi movi-mento.

Rappresentazioni positive. La difesa del movimento spetta a GiuseppinaCiuffreda che, dalle pagine del Manifesto, contrappone un’altra rappresenta-zione dei contestatori: “un movimento planetario di milioni di persone” chelancia campagne comuni a partire da realtà locali e trae espressione visibilecome “popolo dei controvertici”12.

La difesa di Giorgio Bocca appare meno convinta: è in realtà un attacco agliavversari, ai rappresentanti del G8.

Abbiamo la fondata impressione che la protesta del popolo di Seattle sia, tutto sommato, il menopeggio per il nuovo potere mondiale, ridotta com’è, o come si vorrebbe che fosse, a un problemadi ordine pubblico, di poliziotti in piazza contro teste matte. Una questione di ordine pubblico bi-lanciato dalla nuova ondata di beneficenza impudica in cui si prodigano gli esponenti mondiali delglobalismo sfruttatore e irresponsabile, stilisti, politici esibizionisti, organizzatori di pubblici scroc-

chi.13

Di fronte a tali potenti, anche il movimento sembrerebbe farci una bella fi-gura.

Più esplicito il contrattacco di Curzio Maltese, per Repubblica:le opinioni pubbliche hanno intuito che il senso della contestazione, pur con le sue mille contrad-dittorie anime, risiede in una democratica ribellione all’idea di un supergoverno della terra che nonrisponde ad alcun controllo. Non dunque una rivolta contro la globalizzazione […] ma contro un

preciso tipo di globalizzazione. Un modello di globalizzazione che peraltro è entrato già in crisi.14

È esattamente ciò che teme Panebianco.

11 B. Biancheri, “Le parate dei diversi” , La Stampa, 25 giugno, p. 1.12 Giuseppina Ciuffreda, “ Il movimento dei movimenti” , Il manifesto, 19 giugno, p. 2.13 Giorgio Bocca, “ Il male minore è la protesta” , Repubblica, 23 giugno, p.1.14 Curzio Maltese, “ I nemici nascosti del movimento” , Repubblica, 17 luglio, p. 1.

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Un’idea pericolosa si va diffondendo. È l’idea che i contestatori della cosiddetta «globalizzazione».

abbiano più ragioni che torti: nel criminalizzarla, nell’imputarle tutti i mali del mondo.15

La posizione dei contestatori ridiventa chiara, inequivoca.

Violenza – Nonviolenza

Altro tema su cui schierarsi ed emettere giudizio è la diatriba sulla naturaviolenta del movimento e sulle sue reali intenzioni bellicose.

Il Giornale grazie alla penna di Guarini16 denuncia una presunta “impunitàdegli ecoteppisti”. L'editorialista non riesce a capire perché

i capi delle bande antiglobali possano impunemente, senza rischiare nemmeno un rabbuffo, an-nunciare coram populo di volere molestare per più giorni una grande e operosa città, magari spac-cando vetrine

Il ritratto è completo. Vi sono “i capi”, “le bande”, l’annuncio di voler spac-care vetrine. Se questi sono i fatti l’impunità dei “No global” appare alloraevidente, quanto assurda la mancanza di sanzione penale.

In questo clima si inseriscono gli interventi di Graldi17 e Baget Bozzo18. Ilprimo paragona il movimento no-global a quello del '68 e a quello degli annidi piombo. Secondo Graldi, l'accostamento non è azzardato. Infatti

la capacità di mobilitazione dei «giottini» (da G8) è simile se non superiore a quella dei loro ante-nati di trent'anni fa. Sbucano dal nulla, distruggono e svaniscono.

Il secondo, con la stessa decisione e forza del suo collega, riferendosi agliscontri che hanno sconvolto Göteborg sostiene che

l'Intifada contro l'Occidente è cominciata. Non è possibile non cogliere con lo sguardo l'affinità trail lancio di pietre a Gerusalemme e il lancio di pietre a Göteborg.

Sulla stessa scia Igor Mann, con un editoriale sulla Stampa:Vogliono, fortissimamente vogliono, una globalizzazione: però buona. Quella dei No Global vuoleessere – e forse lo è già – una intifada universale. I No-Global scagliano contro chi gli è controparole che, giusta la sentenza di Carlo Levi, “sono pietre”. Loro i Cavalieri dell’Utopia, sanno benis-simo che il kit antimanganello non li risparmierà dalle mazzate dei coetanei in divisa; hanno messo

nel conto che può “scapparci il morto”19

.

15 Angelo Pianebianco, “Vantaggi globali e la società chiusa” , Corsera, 23 giugno,p. 1.16 Ruggero Guarini, “L’impunità degli ecoteppisti” , Giornale, 12 giugno, p.817 Paolo Graldi, “Non servono spranghe per dire che non piace il mondo globaliz-zato” , Messaggero, 17 giugno, p. 1.18 Gianni Baget Bozzo, “La nuova intifada del “Popolo di Seattle” , Giornale, 19 giu-gno, p. 4.19Igor Mann, “ I Robin Hood in piazza che salveranno il mondo” , La Stampa, 14 lu-glio, p. 1. La tesi dell’efficacia delle parole nel caso di conflitti o metafore belliche èinteressante per gli studiosi della comunicazione. Rispecchiano infatti una conce-zione potente degli effetti dei media ormai relegata ai manuali storici della sociolo-gia delle comunicazioni, immaginano un effetto immediato, direttamente correlatoalla sua causa, dei messaggi. Causa in ogni caso non univoca o necessaria, pergiunta non esclusivamente prodotto dai soli interventi degli avversari.

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Lo spettro della violenza, sempre più concreto, agevolato dall’uso semprepiù constatato di metafore belliche, diventa allora il tema centrale di ogni di-scorso, persino della possibilità di aprire un negoziato con le organizzazioni“non violente”: Sergio Romano20 (Panorama) ritiene infatti impossibile il dia-logo tra le istituzioni e un movimento di protesta troppo eterogeneo per poterpresentare un programma unitario e credibile. Si boccia così implicitamente lalinea governativa: anche il negoziato sulle modalità delle manifestazioni vienedefinito inopportuno per il rischio di infiltrazioni dei “violenti” involontaria-mente coperti dai contestatori “buoni”.

Rischio di infiltrazioni e di degenerare delle manifestazioni sentito da alcunicommentatori tra i quali Geronimo nelle pagine del Giornale, Stefano Rodotàsulla Stampa e dagli stessi interventi di Casarini e Agnoletto.

Globalizzazione: si o no?

Per comprendere un fenomeno complesso come quello della globalizzazio-ne, l’interesse degli opinionisti si è diretto verso l’analisi di alcuni degli aspettidi questo vasto fenomeno. Di conseguenza, le posizioni assunte non esauri-scono il discorso. Come spesso avviene si delineano le caratteristiche del te-ma, evidenziando e sottacendone aspetti e problemi, o meglio definendoaspetti e problemi al solo fine di costruire una argomentazione convincente.

Sul tema globalizzazione gli schieramenti sono rimasti pressoché invariati:ordinati e compatti hanno sostenuto tesi “filo-global” testate quali Giornale,Corsera, Stampa e Messaggero (questi ultimi talvolta ospitando tesi diverse).Su un versante più critico Repubblica (con posizioni articolate) e ipercritico ilManifesto.

La globalizzazione inevitabile. Già all’inizio del mese di giugno il Corrieredella Sera assume una decisa posizione sul tema globalizzazione; dalla primapagina Ronchey ripercorre le tappe che hanno sancito l’affermazione del mo-vimento da Seattle alle prove di Genova e sottolinea “ragioni e torti” dellaprotesta globale approdando ad una personale conclusione:

La Globalizzazione ormai è tutto. Si può condannare tutto, anziché denunciare con fatti e cifre sin-gole degenerazioni del sistema? In un simile scenario, i contestatori oltranzisti, che vorrebbero un

mondo egualitario d'incanto, possono solo rievocare l'ideologia surreale di Mao Zedong 21

.

La critica alle posizioni “antiglobalizzazione” è qui già perfettamente deli-neata. La “costruzione del nemico” assume i tratti di un movimento che con-danna tutto il sistema con una precisa ed inequivocabile parola d’ordine: “unmondo egualitario”. Costruito tale nemico è mossa agevole contrastarlo assi-milandolo all’ideologia comunista.

Dalle pagine culturali di Repubblica spunta un confronto tra il semiologoUmberto Eco e l’economista Jeremy Rifkin moderato da Vittorio Zucconi. Un 20 Sergio Romano, “G8, no ai diktat dei dimostranti” , Panorama, 6 luglio.21 Alberto Ronchey, “Protesta globale. Ragione e torti” , Corsera, 4 giugno, p. 1.

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incontro avvenuto a Modena e che ha visto le due personalità confrontarsi sualcune tematiche collegate alla globalizzazione. Il pensiero di Eco può esseresintetizzato in una frase: “La globalizzazione non è né un valore né un disva-lore: è un fatto”22. La trasformazione dell’oggetto del contendere in unarealtà incontrovertibile.

I difetti della globalizzazione. I quotidiani forniscono spazio a diverse posi-zioni critiche più vicine al movimento anti-G8. Jaremy Rifkin, Hans MagnusEnzensberger, Noam Chomsky pongono l’accento sugli aspetti critici – dalpunto di vista ambientale, culturale e dei processi democratici – della globa-lizzazione. Pur nell’altro schieramento anche Biancheri23 condivide i limiti e idifetti della democrazia globale:

Antiglobalizzazione è in parte il frutto del disagio in chi confusamente sente che l’esercizio dellademocrazia, così come ci viene offerto a livello nazionale, non incide sulle grandi forze che domi-nano il mondo – la finanza, le multinazionali – che rispondono del loro operato non ai parlamentima a se stesse.

A completare il quadro delle opinioni critiche si esprime deciso il Cardinaledi Genova Dionigi Tettamanzi con interviste e interventi: la globalizzazione hain sé sia aspetti positivi che negativi. Però, riprendendo un leit motiv del Vati-cano, "la persona umana, con i suoi valori e le sue esigenze, deve essere del-l'attività economica il fondamento e il fine"24.

Lievemente diversa è la strategia attuata dall’allora ministro degli EsteriRenato Ruggiero. Il problema posto dal movimento diventa uno: i poveri delmondo. L’issue diventa determinante e rende secondario ogni dissidio sullepossibili soluzioni. Il “comune” problema permette il dialogo e questo basta,per ora.

Inequivocabile la soluzione proposta da Tommaso Padoa Schioppa25: la cri-si della globalizzazione si supera con più globalizzazione. Mentre il sociologoUlrich Beck26 dalle pagine del Corriere delinea la prospettiva di uno Stato co-smopolita “fondato sul principio dell’indifferenza nazionale” quale risposta allesfide poste dalla globalizzazione economica, della crisi degli stati nazionali edel mancato rispetto delle differenze locali.

Semplice la soluzione proposta dal segretario generale dell’Onu appenaconfermato per un secondo mandato. Kofi Annan si augura che le

manifestazioni apriranno un dialogo e non uno scontro frontale. Molti dei contestatori credono inciò che dicono […] si sentono minacciati da quella che noi chiamiamo globalizzazione. Il fatto è

22 Vittorio Zucconi, “ Il futuro è già qui” , Repubblica, 07 giugno, p. 45.23 B. Biancheri, “Le parate dei diversi” , La Stampa, 25 giugno, p. 1.24 Dionigi Tettamanzi, “ Il mondo globale a misura di uomo” , Repubblica, 23 giugno,p. 1.25 Tommaso Padoa Schioppa, “Globalizzazione? Purtroppo è troppo poca” , Corse-ra, 19 luglio, p. 1.26 Ulrick Beck, “ Investitori al posto dei crociati” , Corsera, 2 luglio, p. 1.

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che non la comprendono, la vedono come una minaccia […] spetta dunque ai politici spiegare me-

glio il senso della globalizzazione27

.

I contestatori protesterebbero contro la globalizzazione semplicementeperché non l’hanno capita(!).

Completano il campo le opinioni di Jose Ramos-Horta28 (Premio Nobel perla pace e dirigente del movimento indipendentista di Timor Est) che avanza larichiesta di “un piano Marshall mondiale per i paesi poveri” e di Jack Green-berg (Presidente e Amministratore Delegato di McDonald’s sul Corsera) chetenta un’arringa difensiva della multinazionale del cibo standard.

G8 – Anti-G8

La diatriba su natura, limiti e rischi della globalizzazione non può che con-durci alla disamina dell’ultimo asse discorsivo: il G8 stesso.

Spettacolare. Sulle pagine della Stampa Rusconi29 pone il problema delcambiamento d’identità e della virtuale fine dei G8 attuali. Una formula criti-cata anche da commentatori non certo vicini al movimento.

É l’identità stessa dei G8 che è cambiata, appuntamento dopo appuntamento. Prima perl’ingenuità e la presunzione degli organizzatori di dare in 48 ore una risposta a gravissimi problemiplanetari, giocando su un forte impatto simbolico. Poi per l’incapacità di dialogare con i contesta-tori.

Giulietto Chiesa30 profetizzando per i prossimi vertici degli “incontri in tele-conferenza” afferma che la conseguenza delle manifestazioni sarà che

come in un vecchio racconto di fantascienza, i reggitori del mondo ricco e «civilizzato» si dovrannonascondere al mondo per scambiarsi impressioni e prendere decisioni che dovrebbero influenzareil mondo, senza chiederne il parere.

La critica al ruolo spettacolare di questi vertici è ripresa dalle pagine dellaStampa da Leonardo Zega31 rispondendo alla domanda: “Chi sono i veri pro-vocatori?”.

La politica dei «grandi» e dei «forti» ha bisogno di spettacolarizzare il suo ruolo, sperando di trar-ne una legittimazione popolare, senza dover fare i conti con quanti direttamente o indirettamentesono coinvolti nelle sue strategie

Legittimo. Il punto diventa, anche per le pagine dei giornali oltre che per“le piazze” dei manifestanti, la “legittimità” di questi governi mondiali. Dinuovo dalle pagine della Stampa l’ex capo di stato Gorbaciov32 rileva, infatti,

la sostanziale inefficacia e la mancanza di legittimità di istituzioni come il Fondo Monetario, la Ban-ca Mondiale e il WTO, cui andrebbe preferito l’Onu. Il tema principale è dunque rappresentatodalla governance mondiale, che richiede il dialogo con la società civile, i grandi movimenti sociali.

27 Arne Perras, Stefan Kornelius, “ La globalizzazione va corretta e guidata” , La Re-pubblica, 14 luglio, p. 11.28 Josè Ramos Horta, “Un piano Marshall mondiale” , Corsera, 26 giugno, p. 1.29 G. Enrico Rusconi, “Genova per noi e per loro” , La Stampa, 5 luglio, p. 1.30 Giulietto Chiesa, “Otto grandi fantasmi” , Manifesto, 19 giugno, p. 1.31 Leonardo Zega, “Lo show dei potenti” , La Stampa, 20 giugno, p. 1.32 Gorbaciov M., “Chi elegge i summit?” , La Stampa, 27 giugno 20, p. 1.

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Condivide queste preoccupazioni il direttore di Repubblica Ezio Mauro33:di fronte ad una partita di queste dimensioni, è evidente che Genova rischia di passare alla storiacome la sede dell’ultimo G8. E’ inevitabile organizzare un tentativo di governance per la globalizza-zione, per trovare un sistema di regole. Ed è evidente il deficit di democrazia e di rappresentanza,dunque di sovranità, che i grandi portano con sé nelle stanze sbarrate di Palazzo Ducale.

Ernesto Galli Della Loggia34 sarà quindi costretto nell’estrema difesa dellalegittimità dei vertici degli otto capi di stato:

Quella di Genova non sarà la riunione di otto satrapi agenti in nome e per conto di un pugno dioligarchie planetarie. Sarà invece la rappresentazione di una civiltà che ha unificato il mondo cre-dendo di padroneggiarne per sempre il futuro, ma oggi è costretta ad interrogarsi sulle amaresmentite che la storia potrebbe dare, o forse sta già dando, alle sue speranze.

Pareri, come si nota, decisamente divergenti.

33 Ezio Mauro, “La posta in gioco nelle piazze di Genova” , La Repubblica, 18 luglio,p. 134 Ernesto Galli Della Loggia, “ Il peccato originale” , Corsera, 9 luglio, p. 1.