Il soldato capriccioso Davide Carella -2^ E Scuola ... · "Nel regno governato da Alessio 1°...

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Il soldato capriccioso Davide Carella -2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo "Nel regno governato da Alessio 1° c’era un esercito di soldati belli e forti. Un giorno ebbero il compito di andare a trovare il vecchio saggio, che viveva sulle montagne più alte, per sapere se quello sarebbe stato un inverno disastroso. I militari partirono per la missione e dopo qualche giorno furono ospitati nella casa di un ricco mercante. Tutti mangiarono quello che fu offerto, tranne uno che desiderava a tutti costi le fragole e continuava a ripetere come un bambino capriccioso: “Voglio le fragole, voglio le fragole!” Il mercante cercò di convincerlo: “Caro soldato, è inverno… Però se insisti e mi dai un po’ di tempo, te le posso procurare. Certo, non ti posso assicurare niente di squisito…” Il giovane accettò e smise di piagnucolare. Quando le fragole arrivarono sulla tavola, notò che avevano un colore strano; allora ne assaggiò qualcuna. Si rimisero in viaggio, ma dopo un po’ il soldato cominciò a sentire male alla pancia. I compagni lo portarono in spalla, maledicendo la sua stupidità. Quando arrivarono alla baita del vecchio saggio, costui gli disse: “Soldato caro, soldato mio, non si può mangiare sempre quel che si vuole. Bisogna accettare quello che la Natura ci offre per ogni stagione. Anche l’inverno ci porta qualcosa di buono…”. I militari, dopo aver appreso dal saggio che l’inverno non sarebbe stato disastroso, ritornarono in città a dare la notizia al Re e alla popolazione. Il soldato capriccioso da allora mangiò tutto quello che la Natura offriva e visse per tantissimi anni in perfetta salute. Morale: chi mangia cibo a “km 0” e di stagione, mangia sano e va lontano. Il pescatore infelice Jacopo Boccasile 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo In un piccolo paese di mare c'era un pescatore che con la sua barchetta a remi e le sue reti, di giorno e di notte, con il sole caldo e con la pioggia fredda, pescava il pesce migliore. Quando arrivava al porto tutti i grandi commercianti di pesce e i proprietari di ristoranti facevano a gara a chi doveva prendere il suo pescato. C'era chi lo congelava, chi lo vendeva ancora ad altri, ma nessuno lo mangiava appena pescato. Il pescatore era triste, pensava che tutta la sua fatica non fosse apprezzata e che il suo pesce meritasse di meglio. Un giorno, mentre era in mare, migliaia e migliaia di gamberi saltarono nella sua barca. Non credeva ai suoi occhi! Rientrò nel porto. Poiché pensava fosse un miracolo, decise di farli assaggiare a tutti, gratuitamente. Prese una gran pentola e dell'olio extravergine di oliva e iniziò a richiamare le persone che passavano di là. Tutti mangiarono il suo pesce appena pescato e furono molto contenti. Dopo un po' di tempo aprì una friggitoria, così tutto il pescato ogni giorno fu venduto e mangiato fresco. Il pescatore diventò un grande pescatore-friggitore a "km0": di notte pescava e di giorno cucinava. Era finalmente felice, perché tutte le sue fatiche erano apprezzate all'istante. La guerra dei Cibi Paolo Antonelli - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo

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Il soldato capricciosoDavide Carella -2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo"Nel regno governato da Alessio 1° c’era un esercito di soldati belli e forti.Un giorno ebbero il compito di andare a trovare il vecchio saggio, che viveva sulle montagne piùalte, per sapere se quello sarebbe stato un inverno disastroso.I militari partirono per la missione e dopo qualche giorno furono ospitati nella casa di un riccomercante. Tutti mangiarono quello che fu offerto, tranne uno che desiderava a tutti costi le fragole econtinuava a ripetere come un bambino capriccioso: “Voglio le fragole, voglio le fragole!”Il mercante cercò di convincerlo: “Caro soldato, è inverno… Però se insisti e mi dai un po’ ditempo, te le posso procurare. Certo, non ti posso assicurare niente di squisito…”Il giovane accettò e smise di piagnucolare. Quando le fragole arrivarono sulla tavola, notò cheavevano un colore strano; allora ne assaggiò qualcuna.Si rimisero in viaggio, ma dopo un po’ il soldato cominciò a sentire male alla pancia.I compagni lo portarono in spalla, maledicendo la sua stupidità.Quando arrivarono alla baita del vecchio saggio, costui gli disse: “Soldato caro, soldato mio, non sipuò mangiare sempre quel che si vuole. Bisogna accettare quello che la Natura ci offre per ognistagione. Anche l’inverno ci porta qualcosa di buono…”.I militari, dopo aver appreso dal saggio che l’inverno non sarebbe stato disastroso, ritornarono incittà a dare la notizia al Re e alla popolazione.Il soldato capriccioso da allora mangiò tutto quello che la Natura offriva e visse per tantissimi anniin perfetta salute.Morale: chi mangia cibo a “km 0” e di stagione, mangia sano e va lontano.

Il pescatore infeliceJacopo Boccasile 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-PalumboIn un piccolo paese di mare c'era un pescatore che con la sua barchetta a remi e le sue reti, di giornoe di notte, con il sole caldo e con la pioggia fredda, pescava il pesce migliore.Quando arrivava al porto tutti i grandi commercianti di pesce e i proprietari di ristoranti facevano agara a chi doveva prendere il suo pescato.C'era chi lo congelava, chi lo vendeva ancora ad altri, ma nessuno lo mangiava appena pescato. Ilpescatore era triste, pensava che tutta la sua fatica non fosse apprezzata e che il suo pesce meritassedi meglio.Un giorno, mentre era in mare, migliaia e migliaia di gamberi saltarono nella sua barca. Noncredeva ai suoi occhi!Rientrò nel porto. Poiché pensava fosse un miracolo, decise di farli assaggiare a tutti, gratuitamente.Prese una gran pentola e dell'olio extravergine di oliva e iniziò a richiamare le persone chepassavano di là. Tutti mangiarono il suo pesce appena pescato e furono molto contenti.Dopo un po' di tempo aprì una friggitoria, così tutto il pescato ogni giorno fu venduto e mangiatofresco.Il pescatore diventò un grande pescatore-friggitore a "km0": di notte pescava e di giorno cucinava.Era finalmente felice, perché tutte le sue fatiche erano apprezzate all'istante.

La guerra dei CibiPaolo Antonelli - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo

Un giorno sul pianeta Energon i ciccioni Burron di Cioccolaton stavano preparandosi ad attaccare ilmondo dei Fruttorios.I Burron erano così potenti perché avevano occupato tutti i campi dell'Universo seminati a cacao.I Cioccolaton avevano al loro servizio molti schiavi che avevano fatto prigionieri nella conquista dialtri pianeti: erano orchi, maghi, draghi. Costoro non potevano ribellarsi né fuggire, perché senzacioccolatina in corpo sarebbero stati disintegrati non appena uscivano da Energon.Per la conquista di Fruttorios cominciò la guerra più devastante dell'Universo, che durò due lunghianni.Gli abitanti di Fruttorios erano sull'orlo della sconfitta, quando arrivarono in loro aiuto gli amici delpianeta VitaminaC.Combatterono con coraggio, utilizzando starnuti e colpi di tosse che avevano raccolto durantel'inverno dagli ammalati di raffreddore di tutti i pianeti.Così dopo la sconfitta dei Burron di Cioccolaton in tutte le galassie ritornò la Pace Universale.Tutti ebbero una vita felice e sana e soprattutto non ci furono più schiavi.

IL CONTADINO USÒ LA CHIMICA E... (UNA STORIA AL CONTRARIO)Abouhamou Zakaria 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-PalumboC’ERA UNA VOLTA UN CONTADINO.MENTRE RACCOGLIEVA NEL SUO MELETO,TROVÒ CHE LE MELE ERANO DOLCI MADALLA BUCCIA RUVIDA E AMACCATA.PER STRADA INCONTRÒ UNO SCIENZIATO.IL CONTADINO DISSE:«HO DELLE MELE BUONISSIME, DOLCI MA VORREI CHEFOSSERO ANCHE BELLE, LUCIDE E CON I COLORI VIVACI. HAI DELLE SOSTANZECHIMICHE PER RENDERLE BELLE?»«CERTO! DOMANI ALLE 17:30 VIENI DA ME», RISPOSE LO SCIENZIATO.IL GIORNO DOPO IL CONTADINO ANDÒ DALLO SCIENZIATO CHE GLI DIEDE LESOSTANZE CHIMICHE. L’ANNO DOPO USÒ QUESTE SOSTANZE E LE MELE CREBBEROTUTTE LISCE E CON COLORI VIVACI.IL CONTADINO LE TROVÒ COSÍ BELLE CHE GLI VENNE IL DESIDERIO DIADDENTARNE UNA. ALL’ISTANTE MORÍ.ANCHE SE MANGI A “KM ZERO”E DI STAGIONE, CON IL VELENO NON VAI MOLTOLONTANO!!!

Il camaleonte golosoGiovanna Suriano - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-PalumboLeonardo,un camaleonte pugliese, un giorno si ammalò. La dottoressa gli disse di non mangiare cibicattivi e sofisticati, ma freschi e di stagione, possibilmente degli orti e delle campagne dei dintorni.Lui continuò ad ingannare gli altri e se stesso: cambiava ogni volta colore per rubare patatine fritte,merendine e bibite gasate.Un giorno ritornò dalla dottoressa e le disse: “Dottoressa, ho seguito i suoi consigli, ma il mal dipancia non mi è passato. Come posso fare?”La dottoressa gli rispose: “Segui la dieta che ti ho dato e soprattutto evita di prenderti in giro!”Leonardo si arrese: “Va bene, ora faccio sul serio, non mangerò più schifezze!”Cominciò a sentirsi meglio e a dimagrire. Cambiò anche aspetto, perché adesso si nutriva di cibigenuini.

Un giorno sembrava una cozza tarantina, un altro giorno che aveva bevuto vino nero di Troiadiventò alto come il cavallo di Ulisse, poi diventò una bomba a strisce verdi come un’anguria diBrindisi e ancora un re con una corona in testa come un carciofo di Trinitapoli.Fu sgamato - il lupo, pardon il camaleonte, perde il pelo ma non il vizio - a Risceglie, quando in unapasticceria diventò una collinetta bianca di ottimo giulebbe (glassa): Sua Maestà il Sospiro!Lo tradirono i suoi occhi dolci e le antenne tese per una crostata ai mirtilli friulana del banco vicino.

La superbia di una tartarugaCristina Vescia - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-PalumboIn una foresta viveva un coniglio che amava mangiare dolci a base di carote.Una mattina il coniglio incontrò una tartaruga, che cominciò a vantarsi: “Sono in grado di mangiarepiù di cento torte di carote in cinque minuti!”Il coniglio che non aveva alcuna voglia di sfidarla, le disse:“Cara mia, la strada della superbia è lunga e pessima. Abbandonala subito!”Sentendo queste parole, la tartaruga, colma di rabbia, sfidò il coniglio: “Domani alle 10,00 faremouna gara a chi mangerà più torte di carote in cinque minuti. Se non accetti sei un codardo!”Il coniglio non poté tirarsi indietro e il mattino seguente alle 10 in punto cominciò la sfida.La tartaruga si era procurata una cassa di carote importate a poco prezzo da Hong Kong; dopoqualche torta cominciò a sentire lo stomaco che brontolava, infine si sentì male e svenne.Il vincitore fu il coniglio, che mangiò in cinque minuti più di cento torte di carote di Zapponeta.La morale è: chi mangia cibo a “km 0” e di stagione, mangia sano e va lontano.

MOZZARELLA POMODORO E BASILICOStefania Morolla 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-PalumboC'erano una volta i mille soldati guidati da Garibaldi, che partirono alla conquista dell'Italia perunirla.Durante il tragitto incontrarono la signora Mozzarella che offrì loro tante piccole mozzarelline dagustare durante il viaggio. I soldati la ringraziarono e proseguirono il loro cammino.Uno dei soldati era ammalato. Mangiando queste mozzarelline fresche, cominciò a sentirsi meglio.Così scrisse la sua esperienza sul suo diario di viaggio.Proseguendo, i soldati affrontarono diverse difficoltà: freddo, tempeste o sole a picco.Ad u certo punto si trovarono su un monte dove, sperduti nella neve, incontrarono il signorPomodoro che stava tagliando la legna per il suo camino.l povero uomo vedendoli infreddoliti li invitò ad entrare nella sua umile casa e li fece sedere difronte al camino acceso. I soldati presto si addormentarono. Passata la notte, i militari presero leloro cose perseguire il cammino. Il signor Pomodoro regalò loro una cesta di pomodori a forma diciliegina.Assaggiando questi pomodori capitò che un soldato si sentì fortissimo.Il milite che scriveva il diario annotò anche questo episodio, esprimendo tutta la sua sorpresa.Arrivano in Basilicata. Stanchi per tutti i combattimenti e il lungo tragitto, decisero di accamparsi incampagna.Sentirono un intenso profumo e seguendolo trovarono una pianta di un verde splendente chechiamarono Basilico.Tornati a casa, i loro familiari li trovarono in forma.Quando annunciarono l'unità d'Italia, il. soldato del diario suggerì di creare una bandiera con i coloriverde bianco e rosso, in onore dei cibi salutari che avevano mangiato durante la spedizione

vittoriosa.Ecco come il nostro Paese fu unito.La morale mostra che chi mangia cibo a "km 0" e di stagione, mangia sano e va lontano.

Il nocino del ReRebecca Ferrante - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-PalumboC'era una volta un Re che governava la nuova Apulia, piccolo territorio della penisola italiana.Un giorno nel suo regno arrivò una vecchia signora che cercava lavoro. Il sovrano le offrì unposto come cuoca nelle cucine del castello; la donna cucinava ogni giorno patatine fritte, carnefritta, dolci ricchi di burro. Il Re avvertiva spesso mal di denti, mal di pancia, non riusciva più a dormire e si sentiva un"mattone" sullo stomaco. Ogni giorno che passava stava sempre più male ed era sempre piùnervoso con i suoi collaboratori.Un dì pensò: "Io sto così male da quando è arrivata la nuova cuoca."Allora ordinò di licenziarla, ma costei con un incantesimo lo fece diventare un fantasma.Ormai nessuno al castello è nel regno riusciva più a dormire per i terribili mal di pancia; così unanotte il Re fantasma fece visita ai suoi nipoti: "Ragazzi miei, se volete che tutto ritorni ad esserecome prima, dovete mangiare i cibi sani e genuini della nostra terra."Il giorno dopo i principini comprarono dal mercato olio extra vergine d'oliva pugliese, orecchiette diBari, mozzarelle di Andria, ortaggi di Zapponeta, cardoncelli della Murgia, carciofi di Trinitapoli,primitivo di Manduria e moscato di Trani.Il popolo era entusiasta e comprò gli "antichi buoni sapori" della terra pugliese.La signora fu costretta a fuggire lontano, forse in America, dove aprì un fast food.I principini trovarono un'antica ricetta e preparano un ottimo liquore digestivo, il nocino, con ilmallo delle noci raccolte il giorno di San Giovanni.Il Re fantasma lo bevve e fu sciolto l'incantesimo. Il sovrano tornò a governare, i sudditi tornarono adormire serenamente di notte e a lavorare di giorno. Tutti vissero felici e in salute.Questa storia ci insegna che chi mangia a "KM 0" e di stagione, mangia sano e va lontano. Eci insegna anche che mangiare è un diritto, ma digerire è un dovere!

Rubare è reato, avvelenare di piùDario Alfarano - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-PalumboUn giorno nel giardino del signor Carciofic nacque una chiocciola piccina, piccina; il suo nome era"BETTA".Ella era figlia di una famiglia di chioccioline, che viveva da molto tempo in una zucca, anche essanata nella terra coltivata dal signor Carciofic.Questi curava molto bene il suo orto, fino a quando all'alba di un mattino, guardando fuori dallafinestra, rimase sbalordito: l'orto del suo nuovo vicino era stracolmo di ortaggi grandissimi e daicolori sgargianti.Il signor Carciofic decise allora di spiare il vicino, il signor Patatovic, per scoprire che prodottousasse per far crescere degli ortaggi così belli. Mentre guardava fuori, notò un gran barile nero:sulla cima c'era una lunga pompa che spruzzava uno strano liquido verde. Il signor Patatovic lousava per innaffiare le proprie piante.Quella notte il signor Carciofic non dormì. Pensava continuamente dove potesse trovare quellostrano liquido verde. Decise che lo avrebbe rubato al suo vicino; così si addormentò.Il giorno seguente il signor Carciofic, approfittando che il signor Patatovic si era allontanato, siprecipitò nel giardino del suo vicino e rubò parte del liquido del grosso barile.Betta, che aveva vista tutto, gli disse: "Cosa hai fatto? Lo sai che non si ruba?"Il signor Carciofic udì questa voce, ma non vide nessuno in giro.

Ignorando il rimprovero di Betta, prese un bidone, versò il liquido e lo piazzò al centro del suo orto.Subito cominciò a sparare la sostanza verde sulle sue piante.Il signor Carciofic, pur di avere gli ortaggi grandi e dei colori sgargianti, decise di ignorarel'importanza della salute di tutti.

IL GUFO CHE MANGIAVA MALELuca Malcangi - 2^ E Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo”Un giorno mamma gufo diede alla luce un gufetto. Il suo nido era situato alla periferia di unagrande città. Ogni giorno per far crescere il suo gufetto, mamma gufo si aggirava per i vicoli dellacittà in cerca di cibo; ma quello che trovava era solo cibo che i fast food gettavano via. Il poverogufetto si vedeva recapitare dalla mamma cibo poco salutare quale resti di patatine fritte,hamburger, hot dog, pizze con vari condimenti e frittura di pesce.Il piccolo gufo giorno dopo giorno ingrassava sempre più. Fino a quando, improvvisamente, ungiorno iniziò a perdere tutte le sue preziose piume.Mamma gufo, preoccupata di quanto stava accadendo al suo “piccolo”, chiese aiuto al dott. Civetta.Dopo un’accurata visita il dottore dette il suo parere: tutto ciò che era successo, era dovuto al “cibo-spazzatura” che finora mamma gufo aveva dato al piccolo. Il gufo per riottenere il suo belpiumaggio doveva immediatamente smettere di mangiare quel cibo.Mamma gufo presa da un senso di colpa, decise di trasferirsi in un campo vicino a un lago con tantialberi da frutta e tanti orti coltivati a verdure.Ben presto il nuovo modo di nutrirsi del gufo fece sì che il suo piumaggio tornasse non solocom’era prima, ma ancora più bello. Quindi, tra un frutto di stagione, un bel pesce, un ortaggio e,perché no, anche con qualche succulento topolino, il nostro gufetto crebbe bellissimo in modo sanoe senza più alcuna malattia.Questa favola vuole spiegare che chi mangia cibo a “Km 0” e di stagione, mangia sano e va lontano.

Secchione o ignorante?Chiara Calò 1^F- ISTITUTO COMPRENSIVO SYLOS- BITONTOCiao, io sono Alessio ho 11 anni e vivo qui, a Milano, con i miei....in realtà io sono nato a Bitonto ,provincia di Bari e da poco mi son trasferito qui per problemi di lavoro. Sento molto la mancanzadei miei vecchi amici in particolar modo di Giulio(il mio migliore amico di penna), ci conosciamoda ben 11 anni. La sua mamma ha partorito con due settimane di differenza dalla mia. E’ statomolto difficile distaccarsi da un amico che si conosce da 11 anni, ma qualche volta ci sentiamo pertelefono o nei fine settima vado a fargli visita.... Ok, ora parliamo un po’ di me...Io ho 11 anni e fraqualche mese dovrò affrontare un nuovo cammino lungo e tortuoso: LE MEDIE. Sono un tipotimido, socievole, garbato ed ho un buon profitto a scuola . Appena la scuola primaria è terminataho domandato al mio papà: "Come saranno le medie?" . Ovviamente il mio papà di rimando si èmolto seccato: " O mio dio... SMETTILA DI PENSARE SEMPRE ALLA SCUOLA!" Ecco suquesto mi volevo soffermare. Lui, il mio papà è soprannominato da me 'Il senza problemi' perchénon ha mai nessun problema, anzi si lamenta se gli chiedo di dipanare un dubbio, unaquestione...Come quella volta in cui mi disse che il compito in classe non ci sarebbe stato solo che,alla fine, lui ha sempre torto! Per sicurezza son restato per tutta l'estate con la testa incollata sui libricome un mulo. Ho ripassato italiano: lettera per lettera, verbo per verbo, congiunzione percongiunzione.. e matematica: numero per numero, cifra per cifra, problema per

problema....insomma ho ripassato proprio tutto. Il giorno prima dell'inizio dell' anno scolastico horipetuto a 'Il senza problemi' il programma di tutti i 5 anni scolastici dalla cosa più banale alla cosapiù complicata. Però, dopo 30 minuti di un'esposizione senza mai un' interruzione, il papà diventatopiù pallido del solito, bianco come un mozzarella, come il latte e come la neve candida....ERAPROPRIO ESTEREFATTO! Per non farlo svenire ho esposto solo una parte della lezione... avevofatto proprio un bel lavoro, ero molto soddisfatto! Pensavo che così, essendo il più secchione, tuttisi sarebbero attaccati come colla su di me e che sarei riuscito così a socializzare ALMENO con unpaio di ragazzi. La sera feci sogni d'oro( nel vero senso della parola "ORO"!!). L'indomani mattinaero contentissimo all' idea che avrei reso felice i Miei e che sarei riuscito a fare amicizia con deiragazzi. Ero ben equipaggiato come un soldato, ogni arma era al suo posto, ogni dubbio eraevaporato; portavo sulle mie spalle un grosso "masso" colmo di libri, quaderni e tutto il materialenecessario per affrontare il pauroso e allo stesso tempo complicato anno scolastico, mentre i mieicoetanei disponevano di un peso "piuma" sulle spalle. Appena mi son accomodato c'erano tantissimiragazzi, ma il primo che ho guardato è stato proprio un ragazzo della mia stessa statura, biondinocon gli occhiali blu e la maglia rossa; anche lui fissava me e già sapevamo che eravamo in empatia.Dopo qualche istante ho visto un grosso bullo che sfilandogli i suoi occhiali gli ha detto : "Se lirivuoi devi diventar più alto..Hahah!" Io immediatamente sono intervenuto e l'ho spinto contro ilmuro. Il bullo con un forte dolore alla schiena mi ha detto" Solo per questa volta, ma non finiscequi..."Pericolo scampato!! Era passata ormai una settimana e neanche un amico..Dr..Drr..Drrr , ohscusate è suonata la campanella...Subito è arrivata la prof di matematica con dei foglietti che hafatto distribuire a Donato(il ragazzo che avevo salvato da quel bulletto): ERANO VERIFICHE...maio non avevo paura perché avevo studiato. Quando la prof, dopo qualche settimana, comunicò i votierano tutti pessimi, tranne il mio che era un 10 e lode. Ero molto lusingato dalle lodi della prof..tutti gli altri avevano meritato voti inferiori al 6.Percorrendo il tragitto verso casa(senza amici) tuttimi additavano e in coro dicevano "Ma è lui?"-"Eccolo"-"Si, ma guardalo". CHE STAVASUCCEDENDO?Sono scappato per paura e mi son barricato a casa. Il giorno dopo mi sono sedutosu una panchina e ho pianto a valanghe, Donato mi ha consolato dicendomi che nell'istituto ormaigirava voce che io fossi il più secchione. Mi diede un fazzoletto. "Spetta a te decidere se continuaread essere secchione o ignorante", ribadì. Io ho rimuginato per qualche giorno, dopo ho conclusodecidendo...... SECCHIONE PIUTTOSTO CHE IGNORANTE!!! Ho gridato a tutti la mia scelta!!Alessio con l'aiuto del suo nuovo amico Donato decise di intraprendere la strada della conoscenzaanche a costo di essere preso in giro dai compagni.....

Una vacanza da incuboMichele Riccardi 1^F- ISTITUTO COMPRENSIVO SYLOS- BITONTOSapete come è andate la mia vacanza? C'è solo una parola per descriverla "Da incubo". Ora ve laracconto.....Era un giorno come tanti ed io dovevo andare a scuola, mancavano pochi giorni altermine delle lezioni e tutti ormai pensavano a quei tre mesi, che sarebbero passati come un soffiodi vento. Entrando in classe la professoressa Toritto, che era la più cattiva e malvagia delleinsegnanti, doveva interrogare ed io come al solito non avevo studiato. Mi beccai una bella nota,con un grosso 2 sul quaderno. Al ritorno, mentre camminavo per raggiungere casa, pensavo a qualepunizione avrebbe avuto in serbo per me mia madre :"Niente playstation, niente cellulare, masoprattutto niente calcio". Entrai dentro casa e tutti avevano un' aria felice, piuttosto insolita. Chiesiloro cosa fosse accaduto, perché ragazzi dovete sapere che nessuno è mai stato così felice nella miacasa! Mi risposero che era una sorpresa, ma io piuttosto che aspettare tirai a indovinare :"Una nuovaplaystation, un....un nuovo telefono, oppure un nuovo pc". :"Ma no caro". Rispose mia madre:"Quest’ anno andremo in vacanza". :"Evvaiiiii!". Ero più felice che mai :"Andremo a Parigi".:"No". :"Andremo alle Hawaii". :"No". :"Ma si può sapere dove andremo allora?". "Andremoin.....in Molise". Al suono di quella parola la mia anima si spense come una candela, il mio cuore

smise di battere ed io non ero più così tanto felice ma ero talmente triste che sembrava avessi unvuoto nell' anima. Mia madre mi chiese cosa suscitava in me tanta malinconia, ma io la guardai conlo sguardo freddo, cupo e le dissi :"Ma vi rendete conto, siete davvero matti! Portare i vostri figli inMolise, cosa impareremo a parte annoiarci?". Mia madre mi rispose cercando di rassicurarmi sulbuon esito della vacanza. Tuttavia, la mia disapprovazione fece riflettere e intristire loro, per nonaver accontentato i propri figli. Io, pieno di risentimenti, dissi loro che forse mi sarebbe piaciuto lostesso…così mia madre alzò lo sguardo e mi sorrise. Sapevo che in realtà questa vacanza sarebbestato meglio evitarla. Arrivò il cosiddetto giorno del giudizio e dopo aver preparato le valigie,incastrato il mio fratellino in macchina e tentato di dar fuoco alla casa, per via di mia madre cheaveva lasciato il gas acceso, partimmo. Il panorama, non era un granché e invece di assistere allevomitate del mio fratellino che coinvolgevano pure me, preferì dormire. Ad un tratto, urtai la testaal sedile anteriore per via di una brusca frenata di mio padre e dopo essermi svegliato urlai asquarciagola :"Non si può neanche dormire! Ci mancava pure il bernoccolo adesso". E con tantacollera mi assopì. Dopo tre interminabili ore di curve a destra e curve a sinistra, giungemmo adestinazione. Le case erano un mucchio di detriti, edifici diroccati come se bombardati durante laseconda guerra mondiale. Mio padre, come è solito fare, non riusciva a trovare la strada e quindi, citoccò girare per tutta la città fantasma, dato che non c'era anima viva. Per nostra fortuna, trovammoun signore vecchio e goffo, l' unico, probabile, abitante di quella città. Ci indicò la strada e grazie alui raggiungemmo l' hotel, non molto distante dal mare, in una città chiamata Termopoli. Esso nonera una meraviglia, ma solo un piccolo bed and breakfast da due soldi che somigliava quasi ad unaccampamento militare. Eravamo molto stanchi, e dopo aver pranzato con un panino al cetriolo, cimettemmo a riposare per poi andare a cenare nell' osteria più conosciuta della zona. Al risvegliodalla pennichella ero più infuriato che mai. Avevamo dormito io, mia madre, mio padre e il miofratellino in un unico letto. E vi lascio pensare quanto sia stato faticoso e doloroso rimettere le ossain ordine!. Ci vestimmo molto in fretta, ci mettemmo in macchina e... Arrivati all' osteria lessi unagrossa insegna con scritto "Benvenuti nel locale di nonna Nuccia". A destra diedi una sbirciata almenù e mi accorsi che servivano solo cavatelli al sugo e cotoletta, avrei preferito qualcos’altro maper la fame, mi sarei accontentato. La mattina dovevamo andare al mare ma per via di mio padreche si svegliò tardi ci toccò restare all’alloggio. Mamma fece la spesa e cucinò riso patate e cozze,ma poiché non le era riuscito alla partenza, lei che è una strega dei fornelli, diede fuoco all'appartamento. Ci fecero evacuare il bed and breakfast e all' arrivo dei vigili del fuoco, la mammascaricò tutta la colpa su di me. Mio padre ignaro della situazione reale, mi inflisse una bruttapunizione: ripulire le pareti annerite. I miei genitori risarcirono i danni al proprietario, mentre il miofratellino rideva, mio padre piangeva dalla disperazione. Avevo ragione io!!!

IL FURTO IN CASA PERLETTISara Scoccimarro - 1^ B Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo”A Milano abita una signora di 56 anni, la signora Perletti.La signora Perletti abita in un attico in centro; fino a qualche anno fa la signora lavorava nel campodella moda, per cui ha sfilato per i più grandi stilisti italiani.La donna, ormai in pensione, abita da sola; ovviamente,essendo un’ex modella, in casa conservamolti beni acquistati durante la sua carriera. Fra questi ce n’è uno in particolare, a cui la signoraPerletti è parecchio legata: un rubino rosso da quindici carati, il più prezioso fra i suoi gioielli.I ladri hanno provato più di una volta a rubarlo, ma la signora è sempre riuscita ad impedirglielo. Fino a quando una notte di metà ottobre, la signora Perletti, dopo aver cenato, come ogni seraripose il suo prezioso rubino insieme ad altri gioielli in un vaso di cristallo sulla mensola più altadella cucina.La signora Perletti, dopo essersi accertata di aver inserito l’antifurto, andò a dormire.

Nel cuore della notte fu svegliata da alcuni rumori provenienti dalla cucina: un rumore di bicchierirotti e di una sedia spostata.La signora si alzò e andò a controllare in cucina. Aprendo leggermente la porta, si accorse chealcuni dei gioielli che aveva riposto nel vaso erano sparsi sul pavimento. La signora controllò meglio in cucina e vide che il suo rubino non c’era più e che la maniglia dellafinestra era stata forzata. Allora preoccupata chiamò subito il miglior investigatore della città, ilsignor Dan Din.L’investigatore si recò immediatamente nell’attico e si fece subito raccontare l’accaduto. Lasignora Perletti gli parlò i del suo rubino e degli altri gioielli trovati sul pavimento della cucina.L’investigatore li fece immediatamente analizzare per provare a risalire al colpevole attraverso leimpronte digitali, ma niente: il ladro era stato davvero bravo e non aveva lasciato tracce di DNA sunessuno dei resti trovati in cucina.L’investigatore a questo punto chiese alla signora Perletti chi era la persona che la invidiava di piùper quello che possedeva ed ella rispose che era il signor Francini.L’investigatore chiese alla moglie del signor Francini se la notte precedente, verso l’una, suo maritoera in casa. La signora rispose : “No! Mio marito a quell’ora era fuori con amici in una birreria pocodistante da qui.” L’investigatore a quel punto andò a parlare con il proprietario della birreria e glichiese se la notte precedente, verso l’una, il signor Francini era li’; il proprietario gli rispose di no. L’investigatore dopo aver raccontato tutto alla signora, mentre scendeva le scale dell’appartamento,sentì il signor Francini che stava parlando con un rivenditore di gioielli, a cui diceva: “Ecco, questoè un rubino da quindici carati, quanto può valere?”Il rivenditore gli rispose che poteva valere fino a 30.000 euro.Però il gioielliere non si spiegava perché sul rubino c’era incisa la lettera P.A quel punto l’investigatore intervenne e disse: “Si, è incisa la lettera P perché è un gioiello rubatoe appartiene alla signora Perletti,”Il rivenditore senza parole restituì immediatamente il rubino alla signora Perletti e il signor Francinivenne arrestato per furto.La signora da quel giorno capì che avrebbe dovuto sempre custodire i suoi gioielli in cassaforte enessuno riuscì più a rubarlo.

LA CONTESSA SOTTOMESSAClaudia Romano - 1^ B Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo”C’era una volta una contessach’era stata sottomessada una serva brutta e grossada una schiava tutta ossa.

Ora vi racconto dall’inizio…partì tutto da un pregiudizio:tutti credevan che la contessa,fosse una vera principessa.

Piena di diamanti e gemme,come i magi di Betlemme,tutta pizzo, tulle e fiocchettini,non mangiava mai panini:

La credevan sempre a dietaper mantenere una linea discreta.

In realtà era una ragazza carina,bella, simpatica, di nome Catrina.Si vestiva con pantaloni e camicia,sempre a spasso con la bella micia.

Adorava mangiare dolciumi, biscottini,torte e pasticcini…Le piacevano pizze e piadine,hamburger e patatine…

A lei la dieta non interessava,perché sapeva che non contava,se una era grassa o magra,l’importante è che fosse allegra.

Al contrario di altri, pregiudizinon ebbe sin dagli inizi.Tutti capirono che per giudicare qualcuno:“son buoni tutti e non avanza nessuno”.

LA BAMBINA AVVENTUROSAMartina Caressa - 1^ B Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo”C’era una volta una bambina di nome Laura; leggeva libri d’avventura e fin da piccolasognava di vivere un ‘ avventura in un bosco con molti alberi e piante. Laura un giorno, quando la madre uscì, prese il suo zaino, mise il materiale che serviva perandare nel bosco e salì su un autobus volante. In un lampo arrivò nel bosco e vide comeera bello sentire tutto quel silenzio; pian piano esplorava quel bellissimo ambiente.Dopo un’ora si preoccupò, perché la madre non avrebbe mai immaginato che fosse uscitaper andare nel bosco . Prima di andarsene, incontrò un cane abbandonato che stava piangendo:si vedeva che era ancora un cucciolo. Allora si sedette sul terreno vicino al cane perriposarsi. Dopo cinque minuti si alzò, prese quel bellissimo cagnolino e si incamminò; inun’ora arrivò alla fermata dell’ autobus volante.Lesse l’orario della partenza e vide che l’ autobus era passato un minuto prima e per questodoveva aspettare ancora un’ora per la successiva corsa. Fu allora che Laura vide la madre dalontano che stava uscendo dall’ auto. Corse da lei gridando : “ MAMMA, SONO QUI!” Lamadre la vide e con una faccia sollevata ma nello stesso tempo un po’ arrabbiata ledisse :” BASTAVA DIRLO CHE VOLEVI USCIRE DI CASA” .Laura fu felice perché la madre l’aveva perdonata; chiese se poteva tenere quel piccolo cane.La madre le rispose: “SE NE AVRAI CURA LO POTRAI TENERE .” Labimba ringraziò .Quando arrivarono a casa Laura scrisse sul suo diario l’ avventura trascorsa in quellagiornata e andò a dormire in allegria e stanchezza ...

Un giorno da zia PasqualinaMichele Montagna 1^F- ISTITUTO COMPRENSIVO SYLOS- BITONTOEra il ventitreesimo giorno di Luglio: il giorno del mio compleanno, quando ad un tratto sentìsuonare il campanello di casa: driin, driin. Erano i miei familiari che in coro mi auguravano buoncompleanno. Ognuno dei miei parenti, mi portò un regalo: quasi tutti mi omaggiarono con deldenaro. Così nel pomeriggio decisi di spenderli in sfizi, ma rientrando a casa mi accorsi che tutti imiei soldini erano svaniti, come per magia: avevo comprato solo qualche giochino! Arrivato sulpianerottolo feci un bel respiro, suonai il campanello e il mio papà mi chiese come fosse andata,cosa avessi comprato e quanti soldi mi fossero rimasti. Gli risposi che era andata molto bene, perchéavevo comprato ciò che avevo da tempo desiderato e che non mi era residuato nulla. Mio padre, aquel punto, mi sgridò, indicandomi subito la porta della mia camera…obbedì. Ero rattristato sì, maanche felice per i regali che mi ero fatto. Stando in camera mia, sul letto sentivo i miei genitoridiscutere all’inizio a bassa voce, poi in un continuo crescendo, papà alzò la voce dicendo: “Basta!Così non può continuare; è il caso di mandarlo per qualche giorno da zia Pasqualina”. Mamma ePapà mi ordinarono di preparare una valigia e con me portai gli unici spiccioli grattati sul fondo delsalvadanaio, ossia € 2,50. Durante il tragitto, mi accompagnavano entrambi i genitori…ruppil’assordante silenzio chiedendo loro dove abitasse la zia Pasqualina e loro mi risposero che abitavain Basilicata in un paesino sperduto in provincia di Potenza. Giunti dalla zia, chiesi a papà perché lacasa fosse così buia; lui mi rispose che poi avrei capito. Appena sull’uscio della porta, udii unavocina che mi diceva di entrare ed accomodarmi: era la zia Pasqualina, soprannominata in paese“zia risparmina”. Era una minuscola donnina, coperta di abiti fuori moda e lerci; dei suoi argenteicapelli fuoriuscivano solo due ciocche da un foulard e la sua postura era inclinata a novanta gradi.Sinceramente mi faceva un tantino raccapriccio! Feci un po’ di domande alla zia, in particolarevolevo sapere il motivo di tanto buio; lei mi spiegò che le luci erano spente per evitare bollette dellacorrente elettrica molto salate. Mi mostrò la mia camera… all’ oscuro sembrava molto carina maappena entrato, vidi ragnatele dappertutto e polvere sui mobili; anche il letto era orribile: si trattavadi un sottilissimo strato di paglia rivestito di un lenzuolo tutto rattoppato. Nonostante il tutto facessemolto ribrezzo, la zia mi informò che il costo del soggiorno era di € 1,00 al dì e io… ci sarei dovutostare almeno due giorni! Mio malgrado dormii la notte, anche se non ero molto rilassato. La mattinasuccessiva aspettavo che mi fosse servita la colazione, ma la sorpresa fu che non c’era il latte, caffèe biscotti ma pane raffermo, mooolto raffermo e salsa di lamponi e anche questo aveva un costo,ossia € 0,50. Il mio pancino brontolava e quindi fui costretto a pagare pur di mangiare qualcosa.Incamerati un po’ di carboidrati, iniziai a girovagare per la casa, volevo dire il rudere… e mi accorsiche nel giardino della zia si trovava un residuo di quello che un tempo era stato un campetto dacalcio ( la mia passione!), ora abbandonato, con terreno divelto, erbacce alte e persino le porte eranofatte da rami di albero. Durante la notte udii strani rumori, porte che scricchiolavano, stoviglie checadevano da improbabili piani d’appoggio, la zia che vagava sonnambula per tutta la casa. Dove erofinito! Mi sistemai sotto la coperta e supplicai che arrivasse subito l’alba. La mattina successivamamma e papà vennero a riprendermi , mi chiesero se mi fossi divagato! Risposi di no e che avevocapito che i soldi vanno custoditi e spesi in maniera oculata. Avevo davvero imparato la lezione!!

TEMPOCHEFU ALLA RISCOSSASCUOLA STATALE SECONDARIA 1°grado MICHELANGELO BARI ALLIEVA: PAGLIONICOMiriam classe 2ªC' era una volta, in un tempo lontano, una piccola sveglia rotta. Di quelle tonde con in cima duegrossi campanelli, somiglianti tanto alle orecchia di un elefante, che emettevano squillanti ....driiiin.....driiiin....driiiiin! Da anni ormai, ogni giorno la sveglia si impegnava a raccontare le sue

storie del passato, sempre le stesse. Il suo nome era TEMPOCHEFU. Una brutta mattina, all'alba, siera rotta precipitando da un vecchio comodino impolverato e sgangherato. Il suo assonnato padrone,come sempre, aveva una "fretta del diavolo" e così con un brusco gesto l'aveva buttata giù dalcomodino al suo risveglio. Quella caduta aveva fatto precipitare la sveglia in un buco nero e lì unvortice l'aveva risucchiata. Quanta paura ebbe Tempochefu! Quel vortice l'aveva fatta precipitare inuna discarica buia, dove erano accatastate tante lancette, ore, orologi, numeri e oggetti vari... tuttimalandati. Tutte cose ormai "passate" che erano state lì abbandonate. L'atmosfera era di tristezzaassoluta. Tempochefu notò subito un antico giradischi, accanto ad una polverosa macchina dascrivere. Si avvicinò loro e, con voce bassa, domandò: - Anche voi qui? Come mai?- I suoi duecompagni di sventura in coro risposero: - Come mai?! Noi tutti, qui, siamo vecchi secondo loro....secondo gli umani che......corrono, corrono, corrono. Corrono da una parte all'altra senza pause, dauna casa ad un ufficio, dalla tranquillità alla frenesia. Sono sempre e solo molto indaffarati! - -Ilmio ex padrone non mi è stato mai tranquillamente ad ascoltare! "Devo correre a lavorare" miripeteva come un disco rotto - soggiunse esperto e rammaricato il giradischi. - Ormai, ahimè, siamotutti obsoleti, "passati". Siamo solo MEMORIE inutili!- la macchina da scrivere subito aggiunserassegnata. Tempochefu non fece a tempo a rispondere. All'improvviso si levarono delle gridaacute, il cielo buio brillò di un oro splendente, la terra si fratturò di mille crepe. Un nuovo vorticesoffiò e risucchiò qualunque rottame, oggetto, ricordo ed ingranaggio presente nella discarica.Tempochefu e i suoi compagni furono precipitati in un luogo che a tutti sembrò subito averequalcosa di familiare. Era quella la "terra dei ricordi", dove era stato confinato almeno un ricordodella vita precedente di ciascun oggetto, dunque, di ogni abitante del mondo. Qui il cielo non eraazzurro, ma colmo di scene inanimate. Ognuna rappresentava di ciascun essere vivente un momentodella vita passata. Tempochefu, come tutti gli altri, era triste. Si sentiva davvero sola. Quel luogoera privo di allegria. La gente che abitava il mondo, infatti, l'aveva reso spento perché non ricordavapiù nulla. Non ricordando, annullava il proprio passato. Tutti gli elementi, appartenenti alla vitaprecedente, quindi, perdevano colore, calore, vividezza, energia. Più tempo passava e piùdiventavano deboli. Tempochefu sempre più disorientata notò la presenza di bambole di pezza, ditrenini elettrici a pezzi, di orologi a muro, di cavalli a dondolo in legno tarlato. Si avvicinò loro perraccontare ciò che le era accaduto e per essere da loro consolata e incoraggiata. Tutti ascoltaronocon attenzione:- ... ma io, mentre le forze mi abbandonavano, ogni giorno al mio padrone dicevo"Non buttare TEMPOCHEFU se tu nel Futuro vivere vorrai SICURO"!!! - Sempre più tristeaggiunse: - ... ma non mi ascoltava. E' stato tutto inutile. Sono diventata come il NULLA! - Tutti ipresenti annuirono e presero ciascuno a raccontare le loro storie. La bambola di pezza disse: -Sapete, anche io sono stata abbandonata. Un bel giorno la mia padroncina mi ha portata in soffitta,mi ha messa in uno scatolone e sono diventata anch'io il NULLA, un oggetto di cui nessuno più si ècurato. Come se non fossi mai esistita!! - Le storie degli altri, come per magia, ridiedero aTEMPOCHEFU la volontà di ritornare a far parte del PRESENTE e di combattere contro quegliumani che continuavano a ripetere "TEMPO DA PERDERE NON ABBIAMO, GLI OGGETTIROTTI NOI BUTTIAMO!" Fu proprio in quel momento che TEMPOCHEFU urlò: - Amici, ègiunto il momento della riscossa!!! - E così, in un batter d'occhi, tutti erano disposti in fila indiana.Pronti a marciare. Partirono e lungo la strada attirarono l'attenzione di un vecchio robivecchi ormaidisoccupato che, però, continuava a portare con sé i suoi fidati e arrugginiti ferri del mestiere.Affascinato da quegli oggetti, il robivecchi si mise subito all'opera. Aggiustò e riportò a nuova vitaquelle antiche e dimenticate meraviglie. La marcia verso l'umano presente riprese. Camminarono alungo, superando vortici e correnti d'aria contrastanti. Giunti alla meta, ogni oggetto antico ebbe ilcompito di rendere non funzionante l'oggetto ultramoderno che lo aveva sostituito: le macchine dascrivere i computer; le bambole di pezza le moderne Barbie; i giradischi gli stereo, le cornettetelefoniche resero inutilizzabili i superaccessoriati iphone. Esterrefatti e un po' spaventati da quelche succedeva, gli uomini si fermarono a riflettere sul da farsi. E ricordarono. Ognuno ricordò diavere in soffitta, nel ripostiglio, in un vecchio scatolone, in un cassetto altri utilissimi edimportantissimi oggetti......... vintage! Grazie a TEMPOCHEFU e ai suoi amici, gli umani

riacquistarono la memoria e il senso del tempo: impararono a fermarsi e a rivalutare le tracce delpassato. Da quel dì non gettarono più gli oggetti "vecchi", ma si impegnarono a ripararli o ariciclarli. Finì così l'ERA DELL'USA E GETTA. E tutti, uomini ed oggetti, tornarono a vivere felicidi essere utili testimonianze del tempo che fu.

LA POZIONE MAGICAGiuseppe Ressa - classe 1° G - Scuola media Michelangelo-BariC’era una volta un re che aveva tre figli. Uno si chiamava Giovanni, ed era arrogante, un altro,presuntuoso, si chiamava Antonio, invece il più piccolo si chiamava Marco, ed era il più umile. Il reun giorno si ammalò gravemente e allora disse ai suoi figli di andare a cercare una pozione che loguarisse. Giovanni e Antonio non vollero andare perché erano sfaticati, così toccò a Marco. Egli simise in viaggio e, superando monti e foreste , arrivò in un bosco. Camminò e camminò, quandofinalmente trovò una casetta abbandonata. Marco bussò alla porta e dopo un po’ gli aprì una vecchiache lo accolse in casa e lo fece sedere. Non gli chiese neanche perché fosse lì e gli diede da bere unasostanza nera. Gli disse che faceva bene, ma Marco rifiutò il bicchiere. Allora la vecchietta fece unincantesimo e lo immobilizzò. Ella però bloccò solo la sua testa, e quindi Marco le diede un calciofacendola cadere per terra e la minacciò con un coltello, dicendole: “Che cosa vuoi da me, bruttastrega!!”. Dopo aver sentito quella frase, la strega, si rialzò subito in piedi ed emise un urloraccapricciante. Marco scappò da quella casa e, correndo, arrivò ad un castello. Era enorme e fattodi cristallo; inoltre l’entrata dalla porta era davvero spaziosa. A fare da guardia c’erano due cavalieriarmati di spade. Marco disse che aveva bisogno di entrare per parlare con la regina. I cavalieri nonlo fecero muovere neanche di un millimetro e lo fecero ritornare da dove era venuto. Allora Marcoaveva un’unica soluzione: doveva arrampicarsi ad un albero più vicino al castello e con un ramodoveva darsi la spinta per introdursi da sopra. Marcò ci provò una volta, ma non ce la fece. Ci provòun’altra volta e, toccando filo filo il castello, cadde spiattellato per terra. Allora pensò di creare, contanti rami, una sponda per arrivare dall’altra parte. Così riuscì ad entrare nel castello. Arrivò in unasala in cui era seduta al trono la regina che si chiamava Ciliegina. Ella chiese a Marco perché fosselì e lui le rispose che aveva bisogno di due pozioni: una per uccidere la strega cattiva e una percurare suo padre. La regina gli procurò le pozioni e gli augurò un buon viaggio. Marco se ne andò eritrovò la solita casetta dove abitava la vecchietta, che aspettava Marco con una faccia spaventosa.Egli allora le lanciò la pozione e se ne andò via scappando. Finalmente ritornò a casa sua e fece berela pozione al padre, che subito guarì. Si festeggiò e Marco fu eletto erede al trono. E tutti visserofelici e contenti ancora per molto tempo.

L’ uovo d’oroAura Ceglie - classe 1° G - Scuola media Michelangelo-BariUna volta la Terra era popolata da soli uccelli che vivevano senza invecchiare e senza riprodursi,grazie ad un uovo tutto d’oro donato da una fata. Gli uccelli facevano di tutto per proteggerlo, maun giorno, la gazza ladra, invidiosa della maestosità di Padre Aquila, colui che proteggeva l’ uovo eche risplendeva della sua luce, rubò l’ uovo. Tutti gli uccelli erano spaventati ed avevano paura chela gazza ladra rompesse l’ uovo, ma la falchetta osservò: “La gazza ladra è un uccello come noi!Quindi anche lei ha bisogno dell’ uovo d’oro”. Tutti erano d’ accordo, però ancora spaventati.Padre Aquila mandò cinque uccelli in missione: per primo scelse suo figlio, Piuma di Vento, poiscelse il colibrì, dopo ancora scelse l’ usignolo. Infine era indeciso su chi scegliere e si propose lafalchetta, ma Padre Aquila replicò: ”Falchetta sei troppo giovane per un lavoro del genere!”

Falchetta, che un po’ se lo aspettava, rispose: ”Non vi deluderò!”. Padre Aquila si accorse della suadeterminazione ed accettò. I cinque partirono in cerca della gazza e volarono e volarono ancora,finché Falchetta, grazie alla sua vista molto acuta, intravide due piume: una bianca ed una nera,esattamente come quelle della gazza ladra; le indicò ai suoi compagni che si gettarono in picchiata.Quando atterrarono, si accorsero che vicino c’ erano delle impronte ed un incavo rotondo grandequanto un uovo , poi altre piume e impronte ed un altro incavo. La sequenza si ripeteva per un belpo’, poi spariva, e dopo ricompariva. Evidentemente la gazza si era stancata di volare, quindilasciava impronte e fu più facile trovarla. Infatti, poco dopo, scoprirono una grotta, da cui provenivaun gracchiare misterioso. Andarono tutti e cinque a rendersi conto di cosa fosse. Quando lo videro,non credettero ai propri occhi! La gazza ladra aveva le penne d’ oro e l’ uovo era bianco e nero.Piuma di Vento non resistette e si gettò sulla gazzaccia, ma la mancò e prese l’ uovo che si ruppe inmille pezzi. Si sentì un urlo e la gazza ladra morì.Dall’ uovo uscirono ogni sorta di animali e piante che oggi conosciamo. Tutti quanti sentirono lavoglia irrefrenabile di affondare il becco in quegli strani esseri. Falchetta stava per prendere untopo, ma lui gridò: “ Non mi mangiare! Se mi mangi morirai! Io porto malattie! La falchetta siarrestò e il topino disse: ”Dato che non mi hai mangiato, ti porterò un dono: la possibilità dirichiamare la fata che in passato vi ha creato e donato l’ uovo d’ oro! “. La falchetta accettò subito, il topo scomparve e al suo posto, riapparve quella fatina che lasciò lorocinque uova bianche di diversa misura, poi scomparve di nuovo e fece il giro del mondo,distribuendo uova. I cinque uccelli presero le uova e tornarono a casa. Tutte le femmine di ognispecie si accovacciarono sulle uova dando loro calore, mentre i maschi portarono provviste allefuture madri.Pochi giorni dopo le uova si schiusero e nacquero tanti uccellini della stessa specie dei genitori chediedero pace e prosperità al mondo intero.

Il prescelto dell’amiciziaAsia Filannino - 2^ F Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo”FireWood era un bosco molto pacifico e felice abitato da soli draghi, dove verdi colline e maestosialberi si liberavano verso il cielo l'infinito.Il fantastico bosco era abitato da diverse famiglie composte ovviamente da draghi dove ognunoaveva il suo nome in base alle sue origini alle sue capacità o ai proprio poteri.A capo di questo regno vi era un Re, un anziano drago immenso come una montagna con ali capacidi coprire un intera radura quando erano aperte. Questo drago era molto saggio ed anche moltobuono e se tutto funzionava nel regno era solo grazie al suo superbo modo di governare.Tutti i draghi avevano colori sfavillanti. Cerano draghi rossi come rubini altri azzurri come il cielo ogialli come il sole splendente.Era un giorno come tanti altri a FireWood quando da una famiglia composta da un drago di fuoco eun drago di erba nacque un draghetto tutto grigio come una nuvola di pioggia, senza alcunasfumatura di colore acceso o splendente. Quando nasceva un nuovo draghetto nel regno, i grandisaggi si riunivano per dar lui un nome che riuscisse a rappresentarlo nella società ma per il piccolodraghetto grigio non fu proprio così. Nessuno riusciva a dar lui un nome o a trovare in lui unqualcosa di particolare che potesse attribuirlo ad una razza magica o potente. Passarono i mesi ed ilpiccolo draghetto grigio senza nome era sempre tutto solo perché tutti lo razziavano e nessunovoleva mai giocare con lui.Per l'intero popolo era strano avere all'interno della comunità un drago che non brillasse o che nonavesse capacità o poteri, e per questo motivo il draghetto si chiudeva sempre solo in camera suamentre papà Fuoco creava medicine e mamma Erba faceva le faccende di casa.

Un giorno non molto lontano da questi ultimi l'intero popolo dei draghi subì un brutto colpo: il Remorì.Molti furono presi dalla disperazione e dal panico perchè il loro buon Re non c'era più ma,soprattutto, perché a sostituirlo sarebbe stato il suo erede ovvero un malvagio drago troppo sicuro disé che amava prendere in giro i più deboli e bruciare tutto ciò che lo circondava. Una volta salito altrono l' Erede, cioè il nuovo re, venne a sapere dell’esistenza di questo draghetto grigio senza nomeche egli con cattiveria soprannominò ''la macchia nera del regno''.Egli setacciò l’intero bosco pur di trovarlo e dopo averlo trovato lo prese e lo mise in una gabbianella parte più “non visitata”del bosco: praticamente in esilio.I genitori del piccolo erano disperati ma soprattutto molto tristi per aver perso il loro unico figliocosì partirono per cercarlo.Lungo la strada si incontrarono con una femmina di drago d’Acqua che, dopo aver sentito la lorostoria decise di aiutarli a ritrovare il figlio perduto.Insieme, si allenarono giorno e notte durante la strada per inventare una mossa sconosciuta all'Eredee liberare ciò che lui definiva ''la macchia nera del regno''.I giorni passavano ed il piccolo diventava sempre più debole e cresceva sempre più fino al punto dastare a fatica nella gabbia che ormai era diventata troppo stretta per lui.Vivere in quelle condizioni non era facile senza acqua, senza cibo, con le sbarre strette attaccate alcorpo che gli impedivano di muoversi e di respirare bene, la rabbia aumentava insiemeall'aumentare del suo corpo e la tristezza lo avvolgeva ormai più di quanto non lo avesse maiavvolto prima. Si sentiva troppo solo.Nel frattempo i genitori del drago grigio e la draghessa d'acqua riuscirono a trovare una nuovamossa super potente in grado di spazzare via 100 alberi in un solo colpo e, cosa molto importante,loro non lo sapevano ma erano ormai molto vicino al luogo in cui il loro figliolo era intrappolato.Il drago grigio stava per cedere e abbandonare del tutto le forze quando un mattino udì la voce disuo padre, sua madre ed una terza voce a lui sconosciuta gridare a squarciagola ''DOVE SEI?'' edopo pochi attimi un forte bagliore che per poco non lo accecava. Successe di seguito uno.., due...,tre volte e ancora e poi di nuovo i suoi genitori urlavano ed emanavano fasci di luce fino al puntoche lui in preda alla gioia più totale nel risentire le loro voci riprese le forze e con la stessa grintagridò per far capire loro la sua posizione.Si dimenò così tanto che la gabbia stava per esplodere quando ad un tratto una fiamma con i coloridell'arcobaleno uscì fuori dal suo petto all'altezza del cuore lo liberò e lo guidò verso la partecentrale del bosco dove gli alberi erano ormai radi e la prateria era tutta libera fino ad incontrare isuoi genitori e la draghessa che li aveva aiutati.La mamma ed il papà scoppiarono in lacrime nel rivedere il loro amato cucciolo ormai diventato ungiovane drago, passarono tanto tempo insieme e capirono che grazie all'amore che provavano gliuni per gli altri si erano dati forza ed erano riusciti a ritrovarsi e ad essere nuovamente una famigliafelice.I problemi non erano ancora finiti, Goccia, la draghessa di Acqua era intenzionata a trovare ilresponsabile della rovina del loro stupendo regno e distruggerlo una volta per tutte.Attraversarono diversi villaggi e conobbero nuove famiglie a cui raccontarono la loro storia e manmano che loro raccontavano i draghi si univano a loro per imparare la mossa speciale e aiutare lafamiglia del drago grigio e Goccia ad abbattere l'Erede.Intervennero i draghi più potenti che cercarono di fare apparire la mossa ma stranamente non ciriuscivano. Erano tanti si, ma non avevano armi da usare.All'Erede nel frattempo arrivò all'orecchio la voce di questo esercito che si stava creando e daamante del caos qual era non perse occasione per scendere in battaglia e scatenare il putiferio.Arrivati in una grande prateria i due eserciti si incontrarono per la prima volta e si scontrarono,molti morirono altri rimasero feriti ma ''la macchia nera del regno'' era carico di determinazioneperché sapeva che infondo la loro vera forza era l'amicizia, il legame che si era creato era troppoforte per essere distrutto da un drago così malvagio.

Quindi salì in superficie sopra le chiome degli alberi e con orgoglio si fece coraggio e attaccò ilnemico.Quando una sfuriata lo investì e venne stordito credeva di aver perso le speranze ma nel vedereGoccia correre in suo aiuto si caricò e quando gli altri si ripresero scaturirono l’energia della mossaspeciale che sconfisse l’Erede per sempre.Una volta tornati a casa l'intero popolo fece gran festa sgargianti fuochi colorati scoppiettavano quae là come fuochi d'artificio e il giovane drago grigio fu chiamato dinanzi a tutto il popolo alcospetto dei Saggi.La sala in cui si celebravano le nuove nascite era silenziosa fino al momento in cui tutto si illuminòe accanto al giovane drago grigio apparve uno stendardo con tanti draghi in cerchio con coloridifferenti che rappresentava l’amicizia.Al drago fu finalmente assegnato un nome: ''Il prescelto dell’Amicizia'' e da quel giorno la paceregnò incessante su tutto il bosco.

La pietra incantata e la foglia dispettosaFrancesco Marasciulo 1^ G – Scuola Media Michelangelo di BariC’era una volta un villaggio allegro e spensierato, ma un giorno ci fu un violento temporale. Sicrearono voragini e la gente scappava in cerca di riparo. Il figlio del re Aristeo, osservando latragedia, invece di chiamare soccorsi, pensava a un piano diabolico per avere il potere, anche acosto di uccidere il padre. Lui sapeva la cosa da fare, ma era anche presuntuoso e quindi credevache sarebbe stato semplice raggiungere il suo obiettivo. Tutto quel pasticcio era causato dall’eruzione del monte Arador che si trovava nella parte oscura del regno e avrebbe eruttato ancora piùforte, secondo i geologi locali. Si incaricò di risolvere il problema il figlio del re Aristeo cheovviamente non voleva aiutare nessuno, ma solo se stesso. Tutto il regno seppe la notizia ed esultò,accogliendolo con canti di lode, forse anche meglio di come accoglievano il re quando scendeva dalsuo castello. Erano tutti gioiosi, tranne un bambino, il più povero della città. Non aveva genitori e,dal giorno in cui erano stati uccisi, la sua vita era diventata molto triste. Era selvaggio e mangiavagli avanzi dei più nobili. Non si fidava del futuro re e quindi lo spiò nel suo cammino verso il monteArador. Mormorò tra sé e sé: - Eh, questi ricchi! -. Il bambino era onesto e coraggioso, al contrariodi Aristeo. Aristeo oltrepassò il confine del paese. Tutti quanti, ignari della sua cattiveria, loapplaudirono e si buttarono a terra per inchinarsi. Il principe fece un ghigno, consapevole che il suopiano stava andando alla grande. Nella folla, senza farsi vedere, il fanciullo oltrepassò il confine delpaese per capire i piani di Aristeo e, stanco di camminare, saltò silenziosamente sulla carrozza chetrasportava anche il principe. La strada era stranamente tranquilla, però, all’improvviso, comparveuno spaventoso drago, che lanciò qualcosa di invisibile e poi se ne andò. Il principe, sconcertato dalcomportamento della bestia, aggrottò le sopracciglia. In realtà il drago aveva dato una fogliapiccolissima al bambino con su scritto “Ti aiuterà”. Si chiedeva a cosa gli potesse servire, ma poicapì, perché, ogni volta che si avvicinavano a qualche mostro, questo si scioglieva e così pian pianoarrivarono al vulcano. Il principe doveva oltrepassare il confine dell’ interno del vulcano e l’incantesimo sarebbe finito. Scese dalla carrozza, mentre il bambino si nascose tra le rocce. Aristeoera anche un ragazzo colto e cercava di capire la causa dell’ eruzione del vulcano. Nel frattempo ilbambino era confuso, ma, senza accorgersene, mise a contatto la foglia con il vulcano e questocominciò a sputare lava dappertutto. Quella foglia era un inganno. Si formò un mostro di lava checorreva imperterrito verso il villaggio. Il ragazzino non sapeva cosa fare; si trattava di un casodisperato. Stava vagando senza una meta ma, ormai pentito del suo gesto, cominciò a leggere dellelettere in ordine casuale su una pergamena che aveva con sè e tutto quanto divenne, come d’incanto,verde com’ era una volta: il vulcano si trasformò in una collina piena di cespugli e il drago diventòuna graziosa farfalla. Era così felice che si dimenticò del mostro. In quell’ attimo anche la foglia,

ormai seccata e fusa al sole, ricominciò a splendere della sua luce dorata. La farfalla si mise in voloe lo trascinò con sé. Stavano viaggiando così veloce, che la luce sarebbe stata stracciata e affaticatanell’intento di seguirli. La foglia cominciò a parlare :- Tra poco arriveremo al villaggio! -. Ilbambino annuì, sorpreso dalla foglia parlante. Appena finì di dire “OK” si fermarono di colpo e conuna coda dell’occhio vide il mostro sciogliersi, con l’altra le persone che lo applaudivano. Futrasportato dalla folla verso il castello per essere proclamato principe e, in tono di ringraziamento,disse :- Ciao foglia, non ti scorderò mai! -. Soddisfatta e felice la foglia sparì in mezzo alle nuvolebianche. “Così stettero e godettero ed a me nulla dettero!”.

Maria, regina del paese delle ButterfliesII E – Scuola Media Verdi Cafaro - AndriaC’era una volta, in una piccola città, una ragazza di nome Maria. Maria frequentava la prima classedi una scuola media e viveva con i nonni poiché la sua mamma e il suo papà erano morti in unincidente quando lei aveva appena due anni. Maria indossava sempre un medaglione d’argento,appartenuto alla sua mamma; all’interno del medaglione era custodito il petalo di una rosa bianca, ilfiore simbolo della libertà, ed era incisa la frase “L’amore rende liberi”. I suoi nonni, purtroppo,erano poveri e dunque non potevano permettersi di comprarle vestiti nuovi, giocattoli, cellullari;inoltre, Maria non era molto bella e per queste ragioni tutti i suoi compagni di scuola la prendevanocontinuamente in giro. Senza amici, Maria passava le giornate nella sua camera a leggere libri. Eraquella l’unica cosa che le permetteva di dimenticare la cattiveria dei suoi compagni di scuola e allostesso tempo di sognare avventure fantastiche, visitare con la mente luoghi sperduti, reali eimmaginari. Un giorno, mentre percorreva la strada per raggiungere la scuola, Maria si accorse diessere seguita da alcune sue compagne di classe; fra loro c’era Jessica, la più bella e popolareragazza della scuola nonché quella che più di ogni altre le dava il tormento. Jessica e le altre finserodi non averla riconosciuta e mantenendosi a una distanza di circa un metro cominciarono a parlaremale ad alta voce di lei. Espressero giudizi crudeli sul suo aspetto esteriore e sul suo modo divestirsi finché Jessica concluse che una persona così non avrebbe mai avuto qualcuno al suo fianconella vita. Maria esplose in un pianto irrefrenabile e corse via, accompagnata dalle risate di schernodi Jessica e delle altre compagne di scuola. Tornò a casa per cercare il conforto dei suoi nonni e sicalmò solo nel pomeriggio. Pochi giorni dopo giunse il compleanno di Maria e suoi nonni nonebbero dubbi su cosa regalarle: un libro. Le comprarono un romanzo d’avventura, intitolato “Ilregno delle Butterflies”. Maria fu subito entusiasta del regalo: scartò il pacco, lesse la copertina einiziò a sfogliarne le pagine. Fu in quel momento che ella scomparve in un bagliore accecante,proprio dinanzi agli sguardi increduli dei suoi nonni che per lo spavento ebbero un lieve malore.Maria si ritrovò, di colpo, in un mondo magico, composto di immensi campi verdi, fiumi limpidi,case di marzapane e un cielo rosa. A un certo punto un canarino viola atterrò proprio sul suobraccio; il canarino era simpatico e chiacchierone e i due fecero subito amicizia; d’altronde Marianon vedeva l’ora di conoscere qualcuno a cui non importasse del suo aspetto esteriore. Ne approfittòper chiedergli dove si trovassero e il canarino le rispose che si trovavano nel paese delle Butterflies,un luogo che prendeva il nome dalle cinque fate degli elementi che là vivevano. Le fate, però, eranostate attirate con un inganno nel castello di una strega che grazie a un incantesimo le aveva privatedei loro poteri. Da allora erano prigioniere nelle segrete del castello, guardate a vista da un dragocattivo capace di pietrificare chiunque con il solo sguardo. L’unico modo per rompere il maleficio eliberare le fate era creare una pozione magica; in tanti ci avevano provato, ma senza successo,perché l’ingrediente principale della pozione non era ancora stato scoperto. Secondo una leggendaraccontata dagli abitanti del paese delle Butterflies un giorno sarebbe giunta una giovane ragazzache ci sarebbe finalmente riuscita. Maria, un po’ turbata, chiese al canarino se fosse lei la ragazzadella leggenda e il canarino le rispose che per scoprirlo dovevano iniziare a raccogliere tutti glielementi già noti della pozione. Si addentrarono in una foresta e da un albero antico cento anniMaria estrasse la linfa, il primo ingrediente della pozione. Camminarono ancora un po’ e giunsero

dinanzi alla fontana che gli abitanti del regno chiamavano “fontana dell’amore”, perché aveva laforma di un cuore, da cui presero dell’acqua. Infine colsero un piccolo ramoscello che sbucava dalterreno: sembrava essere lo stelo di un fiore mai sbocciato ma il canarino le spiegò che era unapianta che cresceva proprio in quel modo. Era l’ultimo degli ingredienti conosciuti. Adesso toccavaa Maria. Ella pensò agli ingredienti raccolti e capì: la vita, l’amore e un fiore imprigionato nel suobocciolo. L’ingrediente mancante era il petalo di rosa bianca che custodiva nel medaglione, ricordodell’amore dei suoi genitori che le avevano donato la vita e al cui interno era incisa quella frase chesolo adesso capiva in tutto il suo senso. Aprì il medaglione, prese il petalo e lo ripose in uncalderone insieme agli altri ingredienti. Le bastò pensare di liberare le fate per romperel’incantesimo e riportare la felicità in tutto il regno. Il canarino raccontò a tutti gli abitanti cosa erasuccesso e Maria fu proclamata regina del paese delle Butterflies. Proprio in quel momento unbagliore accecante la riportò nel mondo reale. Maria corse dai suoi nonni che quasi non lariconobbero perché Maria era diventata bellissima. Il giorno dopo Maria tornò a scuola e tutti icompagni si chiedevano chi fosse quella ragazza bellissima e carismatica. Durante l’intervalloJessica e le altre ragazze le si avvicinarono per fare amicizia. Le chiesero chi fosse, come sichiamava e da dove aveva comprato quegli abiti stupendi. Maria rispose con sicurezza: «Il mionome lo sapete già, sono Maria, ma in effetti è come se non mi conosceste. Siete sempre statecattive con me e adesso vorreste la mia amicizia solo perché esteriormente sono diventata bella. Inrealtà il mio cambiamento non è solo esteriore perché adesso sono anche una persona libera eliberamente sceglierò le mie amicizie, sulla base dei miei sentimenti e non dell’opportunità. Buonagiornata”. Le ragazze andarono via, umiliate da quella risposta. Mentre si allontanavano Maria sentìJessica dire alle altre: “ma chi si crede di essere quella? Una regina?”. Maria sorrise.

I ragazzi dell’isola di BukaII E – Scuola Media Verdi Cafaro - AndriaSull’isola di Buka, un piccolo atollo situato nell’Oceano Pacifico, ad est di Indonesia e PapuaNuova Guinea, sorgeva un villaggio in cui vivevano tre ragazzi curiosi e intraprendenti. I loro nomierano: Meissa, Ira e Fhala. Fin da piccoli i tre erano amici inseparabili e passavano le giornate arincorrersi sulla spiaggia, a inscenare avventure nella foresta e a costruire bizzarre imbarcazioni concui andavano a pescare nelle acque al largo dell’isola. La loro vita era sempre stata serena ma colpassare degli anni la voglia di fare nuove esperienze cresceva sempre di più e i ragazzi avvertivanola sensazione che l’isola fosse diventata troppo piccola. Un giorno il capo villaggio, uomo saggioche aveva intuito lo stato d’animo dei tre amici, decise di raccontare loro una leggenda sulla vicinaisola di Saint Isabel. Disse il capo villaggio che secondo la leggenda quell’isola era una miniera acielo aperto di oro e di diamanti; l’abbondanza di pepite e pietre preziose era tale che non c’eraneppure bisogno di scavare e dunque anche un bambino avrebbe potuto riempirne un sacco intero.A guardia di quel tesoro inestimabile, però, c’era una foresta impenetrabile abitata da creaturemisteriose pronte a sbranare ogni intruso e prima ancora una barriera corallina tagliente come lalama di coltello che impediva l’approdo delle barche sulla spiaggia e costringeva chiunque avessevoluto avventurarsi sull’isola a misurarsi con gli squali che popolavano le acque antistanti.Inizialmente Meissa, Ira e Fhala rimasero indifferenti a quel racconto ma poco dopo la curiositàebbe il sopravvento. Ben presto iniziarono a discutere di come raggiungere le coste dell’isola diSaint Isabel: avrebbero costruito una barca grande abbastanza per resistere agli attacchi delle squalie dei remi solidi, con cui scalfire la barriera corallina quel tanto che bastava per scavalcarla eraggiungere la spiaggia in sicurezza. Quanto alle creature misteriose che popolavano la foresta, sidissero che ormai erano grandi e che non credevano più a quel genere di storielle. Iniziarono aimmaginare i mille modi in cui avrebbero speso il tesoro raccolto. Ognuno aveva le proprie fantasiema su una cosa erano tutti d’accordo: lo avrebbero impiegato per lasciare Buka e visitare il mondo.

Decisero che il mattino seguente avrebbero iniziato a preparare la spedizione che avrebbe cambiatoper sempre le loro vite, si salutarono e andarono a dormire ma l’emozione era talmente forte chenessuno dei tre ci riuscì. Si incontrarono sulla spiaggia, alle prime luci dell’alba, per organizzare illavoro da fare. Meissa avrebbe disegnato le mappe per raggiungere l’isola, Ira aveva il compito diraccogliere il legname necessario per costruire la barca e Fhala quello di procurarsi cibo e acqua.Dopo di che tutti insieme avrebbero costruito la barca. Ovviamente nessuno avrebbe dovuto saperedella loro missione. Pochi giorni dopo ogni tessera del piano era al suo posto: i ragazzi salironosulla barca e iniziarono a navigare verso l’isola di Saint Isabel. Giunti in prossimità dell’isolascorsero le prime pinne di squalo che spuntavano dalla superficie dell’acqua ma non siintimorirono: costruivano barche da anni e sapevano che quella si cui si trovavano li avrebbeprotetti da ogni attacco. Arrivarono alla barriera e come previsto essa risultò friabile: con pochicolpi di remo ricavarono un varco ampio e profondo abbastanza da permettere il passaggio dellabarca. Erano finalmente sull’isola. Si avventurarono nella foresta, convinti di aver superato tutti gliostacoli che li separavano dal tesoro, ma proprio in quel momento suoni terrificanti iniziarono adalzarsi da ogni angolo. Urla strazianti e versi di animali feroci si fecero sempre più frequenti e nellementi di Meissa, Ira e Fhala si fece strada il terrore per le misteriose creature di cui parlava il capovillaggio. Presi dal panico i tre ragazzi decisero di abbandonare la ricerca del tesoro e iniziarono acorrere verso la spiaggia ma appena giunti videro che la loro barca era stata data alla fiamme. Eranoin trappola ormai. Si abbracciarono, spaventati a morte, e fissarono la foresta alle loro spalle da cuiprovenivano quelle urla ormai sempre più vicine. Proprio in quel momento dalla foresta sbucarono iloro padri e il capo villaggio: erano stati loro a produrre quei suoni e adesso ridevano a crepapelle eli prendevano in giro per il loro scarso coraggio. Meissa, Ira e Fhala tirarono un sospiro di sollievoper il pericolo scampato e allo stesso tempo pensarono che era ancora presto per lasciare l’isola diBuka e scoprire il mondo.

DALL’ESPERIENZA AL TESTONicola Elio Binetti – 1 B - Scuola Secondaria Statale di I grado "Bovio-Palumbo" - TraniSONO ANDATO AL CIRCO SABATO 31 OTTOBRE CON PAPINO, MAMMINA EVITTORIA.ARRIVATI AL CIRCO MI SONO SEDUTO VICINO A MAMMINA.HO VISTO LE ZEBRE, UNA GIRAFFA, UN IPPOPOTAMO, I CAVALLI,I DROMEDARI, GLI STRUZZI, I CAMMELLI, I LAMA, DUE YAK E IL PAPPAGALLOPOLLY.HO VISTO PEPPA PIG CON CUI HO FATTO LA FOTO.E’ STATO BELLO E MI E’ PIACIUTO MOLTO.E’ STATO MITICO VEDERE I CAGNOLINI SALTARE NEI CERCHI.Nota della segreteria alunno con sindrome autistica

La creatura magicaMartina Sicolo - Istituto C. Cassano de Renzio – di BitontoLa storia che sto per raccontarvi parla di una strana creatura: una stella che provvedeva allavita nella foresta incantata .Tanto tempo fa nella foresta magica, dove abitavano fate, elfi, nani e tanti altri, viveva una stella,non la solita stella che vediamo in cielo, bensì una stella acquatica che alimentava la foresta.Una notte improvvisamente il cielo si illuminò di una luce splendente ed apparve una cometa chesembrava un diamante esposto ai raggi del sole.Agli abitanti della foresta quel fenomeno sembrava normale ma in realtà provocò un cambiamento.

La stella si trasformò in una ninfa dai capelli lunghi e biondi e gli occhi di un blu sfolgorante. Ellaapparve davanti alle creature, ignara di quello che stava avvenendo. Fu circondata dagli abitantistupiti, ma prima che potessero dire una parola, la foresta iniziò a svanire. Mentre le creature sidileguavano terrorizzate e la loro magia si disperdeva nell’aria, la ninfa guardava stupefatta ladevastazione della foresta. Ogni cosa divenne grigia, polverosa, opaca. Ma…ad un tratto dalla terrasbocciò una rosa rossa talmente splendente da abbagliare la fanciulla, che si avvicinò tanto dapungersi un dito. Ella svenne e una goccia del suo sangue bagnò l’erba. Quando si risvegliò, vide iprati colmi di fiori e udì il fluire dell’acqua. Un piccolo torrente comparve tra l’erba e dissetò laninfa e… le acque ritornarono a scorrere nella foresta.Apparvero il sole e una stella, che, con il tocco della ninfa, ritornarono a splendere sulla forestaincantata .Apparve un girotondo di foglie di ogni forma e colore. Appena la fanciulla l’oltrepassò, ritornò l’autunno.Apparvero i fiocchi di neve e subito ritornò l’ inverno.Immediatamente dopo la nevicata, apparve uno sciame di rondini che cinguettando fecero ritornarela primavera .Per ultimo l’oceano con l’infrangersi delle onde diede il via all’estate.Con le quattro stagioni la foresta ritornò a risplendere. Mancavano solo le creature a riempire quelvuoto. Ad un tratto si udirono delle voci che provenivano da nord: tutte le creature erano tornate,prive di magia ma felici di essere a casa .Secondo voi manca qualcosa? Ecco… da una luce lontana arrivò un ragazzo che si innamorò dellaninfa, si sfiorarono le mani e con un bacio completarono l’incantesimo. La magia tornò e lorovissero sempre felici e contenti.Ascoltate le fiabe poiché ci raccontano quello che non ci aspettiamo ma l’importante è che sianosempre fantastiche.

Charlotte e il suo misteroGaia Acquafredda - Istituto C. Cassano de Renzio – di BitontoUna calda sera d’estate Charlotte, una ragazza diciottenne, rimase sola in casa, una casa lussuosa. Isuoi genitori erano usciti per una cena di lavoro. Aveva saputo da poco di essere stata adottata.Quella sera Charlotte fu sopraffatta dalla solitudine e dalla voglia di conoscere i suoi veri genitori.Per superare quel triste momento decise di rinfrescarsi tuffandosi in piscina, sulla cui superficie sirifletteva la luna piena. In acqua avvertì strani rumori che la resero nervosa. Ad un tratto si alzò unpotente vortice, Charlotte cercò di tenersi forte al muretto, ma invano. Nel giro di pochi minuti furisucchiata e catapultata su un’isola. Confusa e disorientata fu avvicinata da un ragazzo dai capellicastani e dagli occhi verde smeraldo che le chiese se avesse bisogno d’aiuto. Charlotte gli rispose dinon preoccuparsi, poi lo guardò più attentamente e si accorse che aveva sulla spalla la sua stessavoglia luminosa. I due si salutarono come se si fossero da sempre conosciuti.Charlotte girovagò per un po’ sull’isola che, le avevano detto, si chiamava Kascia. C’era nell’ariaun non so che di magico. Si avvicinò ad un fiume per dissetarsi ed ecco affiorare dalla profonditàdel fiume una sirenetta dai capelli dorati e dagli occhi azzurri come il colore dell’acqua limpida. Sichiamava Natascia ed era lo spirito del fiume; confessò di averla già vista quando era in fasceproprio lì in quel fiume, all’interno di una cesta, e di sapere chi fossero i suoi genitori. A quel puntole diede una collana con un amuleto dicendole che apparteneva a sua madre. Charlotte le domandòdove fossero i suoi genitori e Natascia le pose un indovinello: “A destra devi andare per poterliriabbracciare, sempre diritto, non girare, segui l‘orizzonte, non ti fermare! “ Dopo queste parole lospirito del fiume scomparve nei profondi abissi.Charlot, sconvolta da quello che aveva visto e sentito, seguì le indicazioni di Natascia e si ritrovò difronte ad una casetta color magnolia, l’unica sul viale. Suonò il campanello. Dopo qualche minuto

aprì la porticina una signora con un grembiulino grazioso legato in vita e con i capelli corti e ricci.Ella salutò Charlotte e la fece accomodare in casa: era fantastica, il pavimento era ricoperto ditappeti e tanti cuscini dai colori vivaci. “Come posso aiutarti?”domandò sorridente la signoraMariel. La ragazza, invece di risponderle, le chiese a bruciapelo se in passato avesse abbandonatouna neonata. La signora rimase sorpresa e, anche se le faceva molto male ricordare, le disse che inrealtà non era andata così. Sua figlia era stata risucchiata dalle acque del fiume e da allora l’avevacercata, ma invano. A lenire quel grande dolore ci fu la nascita di un altro figlio, Sam. IntantoMariel notò la collana che indossava Charlotte, era la stessa che aveva perso il giorno dellascomparsa di sua figlia. Fatta chiarezza sulla storia, la ragazza confessò di essere lei sua figlia,quella figlia che tanto aveva cercato. Mariel scoppiò in lacrime e corse ad abbracciarla. Entraronosuo padre e suo fratello, il ragazzo che Charlotte aveva incontrato appena arrivata sull’isola.Chiesero cosa stesse succedendo e Mariel spiegò tutto. La famiglia si riunì in un forte abbraccio e levoglie, che ciascuno di loro aveva sulla spalla, si illuminarono in segno d’amore. All’improvviso,però, si scatenò un forte temporale, un uragano travolse Charlotte strappandola dalle braccia dellamamma. La ragazza si ritrovò nuovamente nella piscina in cui si era tuffata. Non si scoraggiò…avrebbe raggiunto per sempre i suoi veri genitori.

IL TESORO MALEDETTOEugenia Barbone - Istituto C. Cassano de Renzio – di BitontoEra un pomeriggio tempestoso qui a Stirling, la pioggia batteva forte sul tetto del nostro maniero, lenuvole oscuravano il sole, talvolta i fulmini squarciavano quel buio pesto, provocando all’istante untuono assordante che ogni volta ci faceva sobbalzare sul divano.Io, Emy e John eravamo tutti e tre abbracciati, terrorizzati da quel tremendo temporale. All’epocaavevamo all’incirca dieci anni, capelli biondi, occhi azzurri e una voglia inesauribile di scoprirecose nuove sul mondo intorno a noi.La porta si aprì ed entrò la governante che ci accompagnò nella sala da pranzo. Aveva soloquarant’anni, eppure i suoi capelli erano completamente bianchi, il volto pieno di rughe e la voce diuna vecchina; così, certe volte o per scherzare o perché eravamo arrabbiati per una delle suesgridate, la chiamavamo “ vocetta stridula“.Dopo un’abbondante cena andammo a dormire; il temporale si era allontanato, ma noi eravamoconvinti che qualcosa di terrificante sarebbe presto accaduto. Tuttavia, ci addormentammoprofondamente, senza pensare a nulla. All’improvviso, nel cuore della notte, la finestra cominciò asbattere, facendo entrare una folata di vento gelido. Ci avvicinammo alla finestra per chiuderla, maproprio in quel momento scorgemmo Mr Sherman, il nostro maggiordomo, che si aggiravafurtivamente nel giardino. Spinti dalla curiosità, ci infilammo scarpe, cappotto, sciarpa e cappello,prendemmo delle torce e andammo giù a spiare Mr Sherman.A metà della scala sentimmo un rumore che ci fece rimanere paralizzati dalla paura per qualcheminuto. Proseguimmo. Giunti in giardino ci rendemmo conto che del signor Sherman non c’eratraccia, lo cercammo per tantissimo tempo, ma invano, si era come volatilizzato.“Venite, forza! Ho trovato qualcosa!” esclamò John. Ci fece notare un tunnel sotterraneo, buio etetro. Entrammo, le mie gambe tremavano e a malapena riuscivano a muoversi.Al buio rischiarato solo dalla fioca luce della lanterna, restammo immobili, pietrificati per un tempoche mi parve interminabile. Improvvisamente Emy ruppe quel silenzio tombale: “Andiamo avanti,forse dall’altra parte c’è l’uscita!”. Io e John ci guardammo negli occhi, meravigliati dalle parole diEmy, che fino ad allora avevamo soprannominato “la fifona”; in quel momento però non potevamopensare a soprannomi o cose del genere, dovevamo uscire di lì ad ogni costo. Ci incamminammonel buio, mano nella mano, in quella specie di caverna sulle cui pareti erano dipinte scene di guerra.

Improvvisamente ci bloccammo, avevamo sentito delle voci, sbirciammo da una fessura e vedemmodue uomini, gobbi e deformi, con il volto pieno di rughe e una barba folta e nera, che parlavano conMr Sherman. Non si capiva bene cosa dicessero, ma riuscimmo a sentire che parlavano di un tesoroe di una maledizione. Ci guardammo negli occhi e intuimmo che pensavamo la stessa cosa:dovevamo scappare.Mentre correvamo, però, Emy calpestò un rametto secco; i due uomini si girarono di colpo ecominciarono a inseguirci. John lanciò un urlo e io con lui, Emy invece piangeva e non riusciva amuoversi, così la presi per il braccio e riprendemmo la corsa. I due uomini ci stavano alle calcagnae non più di cinque minuti dopo ci agguantarono per i cappotti e ci portarono in una cella umida epiena di muschio.Qui ci raccontarono una storia del passato che ci fece gelare il sangue nelle vene.Tutto era cominciato duecento anni prima, in una notte di luna piena. Il primo proprietario delcastello, il conte Ernest Van Hover, fu assassinato da due uomini che stavano cercando di rubare ilsuo tesoro. Prima di morire, però, lanciò una tremenda maledizione sul suo gioiello più prezioso, unrubino che tutti chiamavano “teschio scarlatto”.Dopo aver raccontato quella storia terrificante, Mr Sherman e i due fantasmi presero uno scrigno dilegno antico con una serratura dorata e si avviarono verso l’uscita. Appena Mr Sherman si voltò,notammo che alla sua cintura di pelle nera era appesa la chiave della cella in cui eravamo rinchiusi.Allungai il braccio e afferrai l’oggetto che avrebbe rappresentato la nostra salvezza.Aspettammo che se ne andassero, infilammo le chiavi nella serratura e “TLACK!”, aprimmo laporta di quell’orribile prigione. Ci dirigemmo verso il giardino, dove trovammo i nostri nemici checercavano di scappare. In quel momento ci ricordammo della maledizione e cominciammo alanciare sassi, mirando sia agli uomini che al piccolo baule di legno. Lo scrigno si aprì e cadde il“teschio scarlatto”. Non avevo mai visto niente di più luminoso e appariscente. Rimanemmo tutti etre ad ammirarlo esterrefatti, ma dopo pochi secondi il teschio si mosse mordendo la mano di tutti etre gli uomini in fuga. Essi lanciarono un urlo, che solo per miracolo non ci ruppe i timpani, e sitramutarono in cenere, che poco dopo si posò sull’erba bagnata dalla rugiada del mattino e volò viacon una folata di vento gelido.Dopo quello spettacolo terrificante l’alba illuminò i nostri volti che da allora non furono mai più glistessi. Quella notte cambiò la nostra vita, chissà se in meglio o in peggio, ma la cambiò, così comecambiò il nostro destino.

La vecchia querciaAgata Santopietro - Istituto C. Cassano de Renzio – di BitontoCome sempre la grande quercia era lì, imperiosa e fiera, dominava la pianura, estendendo losguardo oltre l’orizzonte.Il suo tronco forte e robusto si innalzava nel cielo, oscurandone una parte con la sua ridente chioma.La vecchia quercia era la memoria di quei luoghi e di quelle terre baciate dal sole. Tanti i bambiniche aveva sostenuto tra le sue braccia, che aveva visto crescere e diventare uomini. La sua chiomaaveva accolto numerosi giochi, ascoltato racconti, conservato segreti, raccolto risate e pianti.Ora, con la costruzione delle industrie e la nascita della grande città, la vecchia quercia era rimastasola, altri i luoghi di divertimento e svago scelti da adulti e bambini. La tristezza prese il suo cuore enella sua verde chioma spuntò qualche filo di un grigio argenteo.Gli abitanti del paese si convinsero che la grande quercia fosse malata e che la sua malattia potessecontagiare tutti gli alberi della pianura. Pensarono così di abbatterla.

Un giorno passò di lì un ragazzino, era nuovo del posto e si fermò all’ombra della grande querciaper trovare ristoro. Aprì il suo zainetto e ne estrasse una foto che ritraeva una donna. Il ragazzobaciò la donna in foto, era sua nonna e iniziò a piangere così tanto da addormentarsi.La grande quercia capì e si commosse tanto. Avrebbe voluto consolare il piccolo, ma come fare?Toccata nel profondo del cuore, curvò la sua chioma sul ragazzo e lo avvolse, asciugandogli lelacrime.Quando il ragazzo si svegliò, guardò su e fu colpito da quel fogliame argenteo. Iniziò a toccaredelicatamente, quasi accarezzandole, quelle chiazze bigie che gli ricordavano il suo dolore e parlòalla grande e vecchia quercia:-Tranquilla, non preoccuparti, ora ci sono io qui con te. Non sei più sola. Non andare via anche tu.Io ti farò guarire. Ti curerò.Restò lì fino a sera e il giorno seguente ritornò in quel luogo a fare compagnia alla grande quercia ea guardare insieme l’orizzonte.Il ragazzo tornò all’ombra della grande quercia tante volte ancora; lì era libero di parlare eraccontare, si sentiva vicino a sua nonna, mentre la vecchia quercia aveva trovato un amico a cuioffrire ristoro e protezione proprio come una nonna sa fare.La grande quercia non si sentì più sola e le sue foglie tornarono ad essere verdi e ridenti.Quel luogo tornò a racchiudere la magia di un tempo, fatta di storie, canti, giochi …vita.Gli abitanti del paese non abbatterono più il vecchio albero che, fiero, è ancora lì che domina lapianura a segnare il tempo che fu e che sarà ancora.

Ritorno a casaAlessio Caldarola - Istituto C. Cassano de Renzio – di BitontoC’era una volta una casetta in mezzo a un paesaggio, pieno di gelati, cornetti e caramelle. In questacasa, isolata da tutte le altre, vivevano tre mashmellow.Un giorno, mentre cantavano la canzone della città, alla loro porta bussarono nove cornetti alcioccolato che portarono via i tre e li rinchiusero senza cibo in un pozzo.Dopo quattro giorni piovve così tanto che si aprì il pozzo e i tre amici furono liberi. Andarono dallapolizia per denunciare il rapimento, ma i nove assassini si trovavano lì per uccidere i poliziotti. Essiavevano un fucile e lo puntarono sulle vittime. I tre scapparono via e ritornarono a casa sani e salvima affamati.Mamma-caramella alla frutta era agitata perché da tempo non vedeva più i suoi cari mashmallow.Chiese al vicinato, ma niente. Le venne in mente che tempo addietro i figli avevano preso in affittouna casa isolata e pensò che qualcosa di brutto fosse accaduto. Salì sulla gelatomobile, attraversòtutto il paese e finalmente trovò la casa, ma…sulla porta era scritto “chiuso”. Non c’era più nulla dafare, quindi ritornò indietro.I mashmellow, intanto, arrivati da tempo a casa dei genitori, sentirono il rombo di una macchina checonoscevano e capirono che era arrivata la loro mamma. Aprirono la porta e felici l’abbracciarono.Ritornò anche papà-gelato, che appena li vide insieme alla mamma, depose la borsa e strinse tutticon un forte abbraccio. “Io e la mamma eravamo tanto angosciati. Adesso, vi prego, non andate piùvia, restate qui con noi”I tre mashmellow risposero in coro: “Sì!!!” .E così la famiglia Jans non si separò mai più.

L’ULTIMA SERATA IN FRACRebecca Leone - Istituto C. Cassano de Renzio – di BitontoNon sono sicura se Lolo indossasse uno smoking o un frac, ma il suo abito aveva due codeall’estremità che lo facevano sembrare un pinguino-cameriere. Inguardabile!Lolo, di giorno, era una semplice scimmietta acrobata del circo: faceva capriole, salti tripli, inpratica era il jolly e la preferita di Gerry, il capo del circo. Quest’ultimo aveva un non so che dilosco e oscuro, sembrava tanto uno di quei cattivi nelle fiabe, era bizzarro e sempre vestito di nero.Aveva inoltre una lunga barba come per nascondere qualcosa.Non riesco quasi a dirlo… Lolo di notte si trasformava: assumeva le sembianze di un uomopiuttosto peloso, con un frac argentato. Era il segretario/agente del principe azzurro (nome nonidentificabile), quest’ultimo era un tipo con i capelli biondo platino, magrolino, alto e atletico, con ilvolto coperto da un velo argentato.Torniamo alla nostra scimmietta in frac. Non so proprio come facesse a saltare, correre e fare tuttele cose da agente segreto con quella sottospecie di smoking con coda!!Lolo, la scimietta del circo, aveva tanti nemici e tra questi la più temibile era Jessy, l’aquila reale.Non chiedetemi come fosse, usciva dalla sua tana solo a mezzanotte ed io a quell’ora ero già nelmio lettino caldo immersa nei sogni. Per favore non giudicatemi!Adesso vi racconto una delle più famose, pericolose, agghiaccianti avventure di “Lolo in frac”Quella notte era tempestosa e oscura. Verso mezzanotte Lolo udì un verso stridulo… era Jessy,l’aquila reale, accompagnata da Gerry.“Guarda chi si rivede” diceva Gerry. Lolo lanciò un’occhiata fulminante ai due, scagliò uno dei suoicolpi di pistola al cielo come per dire: “I giochi sono aperti”.A quel punto Jessy, con il suo becco pungente, lanciò un fulmine, quasi sfiorando Lolo. Rischiòveramente grosso!! Poi giunse il turno di Lolo che, sfruttando il bagliore del suo frac e la luce dellaluna, quasi accecò i due cattivi. Quella era la sua mossa segreta che adesso non lo è più! Poi Gerry,che era ancora abbagliato da quella luce inverosimile, piroettando, colpì Lolo su quel faccino carinoche si ritrovava, cambiandogli i connotati. Lolo era sfinito...non ce la faceva più. Ma si fece forza ea stento tirò fuori il suo asso nella manica: doppio calcio, accompagnato da triplo pugno. Sichiamava tsunami… Non avrei voluto essere al posto di Gerry e Jessy! Lolo pregò in silenzio epoi… via, corse a più non posso e finalmente si lanciò con il suo tsunami sui due cattivi. Non soproprio come, ma l’aquila e Gerry si salvarono. Dicono che non si facciano più vedere, hanno persola loro dignità.Ormai Lolo ha conseguito il diploma come superagente segreto del principe azzurro e non fa più lascimmietta acrobata nel circo ma … indovinate …. ne e’ il capo!! Lolo è diventato adulto e hapreso moglie e ha due bellissime scimmiette a cui badare. Ovviamente, come tutti gli agenti segreti,non rivela mai le sue missioni top segrets. L’abbiamo intervistato: è felicissimo della sua vita. Daquando ha avuto dei figli ha purtroppo smesso di combattere il crimine… quindi quella pericolosabattaglia è stata l’ultima della serie “Lolo in frac”.

LA TANA DELL’ ORSOStella Valla - Istituto C. Cassano de Renzio – di BitontoChi l’avrebbe mai immaginato! Un giorno, mentre mi inoltravo con il mio amico Jake in unboschetto alla ricerca di un posto dove poter postare la tenda per il campeggio, intravidi una grandecasa che dall’esterno sembrava molto accogliente.“Potremmo chiedere delle informazioni” sussurrai al mio amico che mi rispose facendomil’occhiolino. Jake bussò e ci aprì una ragazza con capelli neri raccolti in uno chignon. Ci fece

accomodare. “Buon giorno, benvenuti nella famiglia Cavendish. Posso aiutarvi?” “Siamo degliesploratori e vorremmo avere delle indicazioni per poter campeggiare. Lei chi è?”“Io sono Laura sposata con un cacciatore. Ma… ragazzi mi permettete di offrirvi un tè?” Jake,stanco e assetato per il lungo percorso, accettò, io invece non volli assaggiare nulla. La ragazza ciconsigliò un posto chiamato “La tana dell’orso”, un luogo tranquillo e non pericoloso. Dopo aversalutato la gentile, ma misteriosa ragazza ci mettemmo in cammino per il luogo indicatoci. Duranteil percorso Jake si addormentava a tratti; inizialmente pensai alla troppa stanchezza, ma non eracosì. Arrivati a destinazione, accendemmo il fuoco, montammo le tende e gustammo qualchemaschmellow. Andammo a dormire. Io, a differenza di Jake, non riuscii ad addormentarmi, perquesto uscii.Nel buio si sentivano il frusciare delle foglie e il verso dei gufi. Ritornai in tenda, presi la torcia emi inoltrai nella foresta. Intorno a me sentivo volare uccelli notturni, ma non ero spaventato anzimolto incuriosito. Continuai a camminare quando andai a sbattere contro qualcosa di morbido ecaldo. Pensai fosse un albero, ma gli alberi non sono né morbidi né caldi. Alzai la torcia e vidi unagrande faccia che mi osservava. Era un orso! “AIUTOOOOO” urlai provando a scappare ma erosempre fermo lì. L’orso mi aveva afferrato dalla maglietta … accipicchia sarei potuto diventare unabuonissima salsiccia per lui. Mentre mi portava “probabilmente” alla sua tana pensavo: “Ma perchéquesto stupido mi vuole cucinare?” Forse avevo svegliato i suoi figli con la mia torcia e i miei passiche scricchiolavano sulle foglie secche? Ma non era quella la spiegazione perché … eccoci alla suatana. Tanti piccoli orsetti carini mi guardavano con occhi dolci dentro la caverna buia. “Che bello èallivato il nostlo nuovo flatellino” gridarono allegramente. “Piccoletto, domani mangeremo tantomiele!”. Oh no! Mamma orsa mi aveva confuso per un suo cucciolo. Durante la notte provai afuggire, ma lei aveva un udito molto acuto e quindi rimasi lì fino alla mattina seguente. A colazionemi rimpinzò di miele. Non ce la facevo più. Cercai in tutti i modi di farle capire che non ero suofiglio, ma un umano. Lei allora spaventata mi cacciò dalla famiglia mentre gli orsacchiottipiangevano disperati. Mentre finalmente libero ritornavo alla tenda, pensai a Jake. Beh forse nonera il caso di preoccuparmi per lui, in quanto lo trovai che dormiva ancora placidamente. E voletesapere come feci a svegliarlo? Gli portai un orsetto che gli fece il solletico sotto i piedi.

L’ARCOBALENO DELL’AMICIZIACorcella Debora classe III C - Istituto Comprensivo "Mariano-Fermi" - Andria

Tutti si chiedono cos’è l’amicizia, ma pochi sanno che l’amicizia è un mix di colori che insieme formanouno splendido arcobaleno colorato. Io sono Anna e frequento la terza media. All’apparenza sono una ragazzina normale, ma dentro mi sentodiversa e questo non l’ha mai capito nessuno … nessuno tranne Meredith. Quando mi guardo allo specchiospesso resto delusa nel vedere la mia immagine riflessa, perché lì dentro non appaio come sono realmente.Dentro mi sento allegra, solare e piena di energia mentre l’immagine che si presenta riflessa nello specchiomostra quello che appaio agli altri … un completo disastro!Quando Meredith è arrivata nella mia classe quest’anno, ho subito pensato che fosse una come tante,sempre ben vestita, in ordine,che si dava un po’ di arie e che fosse lontana dal mio mondo incantato nelquale mi piace rifugiarmi. Meredith era di una bellezza disarmante, alta, bionda e con due grandi occhioniazzurri che però avevano il “difetto” di non vedere, perché Meredith era cieca dalla nascita e si eratrasferita nella nostra città per sottoporsi ad un’operazione molto delicata agli occhi. Queste furono leparole con cui la prof.ssa di italiano ci presentò la nostra nuova compagna di classe. A quelle parole tutta laclasse rimase in silenzio e Lisa (la reginetta delle oche) guardava la nuova arrivata come un essere inutilee indegno di entrare nel suo “club delle piccole ochette”. La prof. accompagnò Meredith vicino a me e da quel giorno anch’io avevo una compagna di banco, cosainsolita per me visto che non avevo neanche un’amica. Nei giorni successivi Meredith continuò ad essere la

mia compagna di banco ed era sorprendente come una ragazzina non vedente fosse così in gamba comelei. Studiava su libri diversi dai nostri, ma conosceva tutte le risposte alle domande dei prof. e nonostante ilsuo “problema” svolgeva sempre il suo dovere. Fu lei un giorno a rompere il silenzio tra di noi e a chiedermi di accompagnarla in giardino per prendere unpo’ d’aria e fare una passeggiata. Meredith si serviva di un bastone per camminare, ma non si sentivaaffatto a disagio, anzi camminava fiera e sicura come una persona che ci vedeva benissimo. Ci sedemmosotto la “mia” grande quercia e mentre i timidi raggi del sole del mattino le illuminavano il volto, Meredithmi disse: «Grazie per avermi portato qui, è davvero molto bello!». «Come fai a sapere che è bello se nonpuoi vederlo?» le domandai curiosa. «La mia malattia mi costringe a vivere al buio, ma è proprio il buio che a volte mi permette di vederecose che nessuno riesce a vedere. Questo posto è bello perché sento il canto degli uccellini, il calore deiraggi del sole e sento te, Anna» mi rispose Meredith. «Ti fanno male i tuoi occhi?» le chiesi un po’imbarazzata. «No. I miei occhi non mi fanno male, ma mi piacerebbe tanto poter guardare i colori dellecose, chissà come devono essere belli!» mi rispose Meredith con un po’ di tristezza. A quelle parole rimanemmo in silenzio, un silenzio che però durò poco perché Meredith, come unuragano carico di energia, sorridendomi disse: «Ti va di fare un gioco con me e di insegnarmi a vedere icolori attraverso i tuoi occhi?» «Io? Ma io non ne sono capace! Non sono brava a scuola né brava nellosport e nessuno ha mai desiderato di essere mia amica. Stai chiedendo una cosa troppo grande a un grandedisastro come me …» le risposi tutto d’un fiato.Meredith ignorò la mia risposta e sembrava molto determinata nel farmi cambiare idea così all’improvvisomi disse:«Anche io non ho mai avuto amici, perché molti hanno paura di me e della mia diversità, ma tuhai deciso di portarmi qui nel tuo posto speciale e questo vuol dire che io e te possiamo essere amiche …» Non avevo mai sentito nessuno rivolgersi a me con delle parole tanto belle e ignoravo come Meredithsapesse della “mia” quercia e del mio posto speciale. Conoscevo quell’angelo biondo da così poco tempoeppure lei, per qualche strano motivo, si fidava di me e io, per la prima volta nella mia vita, mi sentivocoraggiosa e determinata. La guardai intensamente. Qualcosa dentro di me mi diceva che non potevo e che non dovevo deluderla.Così mi feci coraggio e le dissi:«Non so ancora come, ma ti insegnerò i colori. Ti avverto, però, che nonsarà affatto semplice signorinella perché io sono un’insegnante molto esigente!» «Esigente come il prof. distoria?» domandò Meredith divertita «Esigente come il prof. di storia elevato alla massima potenza delprof. di matematica!» le risposi io trattenendo un sorriso che non esitò ad esplodere. Quel giorno grazie aMeredith scoprii la bellezza e la forza di un sorriso condiviso. Tutti i giorni, dopo la scuola, io e Meredith ci fermavamo sotto quella che ormai era diventata la “nostra”quercia e parlavamo di tutto. Ci raccontavamo i nostri sogni, i nostri segreti, le nostre esperienze eMeredith mi raccontava della sua grande paura per l’operazione. Mi sentivo così piccola di fronte a lei.Parlare con Meredith faceva più bene a me che a lei, perché non avevo mai conosciuto una persona cosìtanto speciale. «Di che colore è la nostra quercia?» mi domandò un giorno all’improvviso. «La nostra quercia è verde …»le risposi. «E com’è il verde? È bello?» mi domandò Meredith sempre più curiosa. Mi alzai, staccai unafoglia dall’albero, poi ne presi un’altra da terra e le posai delicatamente tra le mani di Meredith:«Prendi!Questa foglia è più liscia e più bella perché non è ancora secca mentre questa è più ruvida e si sgretolafacilmente. La prima è verde come la speranza di una foglia che non vuole proprio staccarsi dal suo albero,mentre l’altra è marrone perché ormai è caduta giù e non spera più …» «Verde è il prato sulla quale ognigiorno spero di sedermi accanto a te, Anna» mi rispose Meredith lasciandomi senza parole. Mancava ormaipoco all’operazione di Meredith, ma ogni giorno continuavamo il nostro gioco e ogni giorno imparavamocose nuove l’una dall’altra. «Qual è il tuo colore preferito Anna?» mi domandò un giorno Meredith «Il miocolore preferito è il rosso perché è forte come l’amicizia e l’amore. Rosso è il colore del cuore, rosso è laforza che ogni giorno vedo nei tuoi occhioni blu, grandi e sconfinati come il mare …»le risposimostrandole tutta l’ammirazione che avevo per lei. «Che bello!» esclamò Meredith «Il rosso da ora in poisarà anche il mio colore preferito, mentre il colore che più detesto è il nero. Nero come il buio che vedo daquando sono nata e nero come Lisa che si crede tanto grande quando in realtà è piccola e fastidiosa come

una zanzara» «E come fai a sapere che le zanzare sono nere?»le domandai divertita «Gli insetti non misono mai piaciuti, hanno un ronzio fastidioso e tutto ciò che non mi piace è nero!» disse Meredithsorridendo. Meredith aveva la capacità di lasciarmi senza parole. Mi piaceva così tanto stare con lei e ognivolta il tempo in sua compagnia passava troppo presto. Un giorno Meredith mi sembrava pensierosa e cosìsenza esitare le domandai:«Che succede Meredith?» «Domani dovrò ricoverarmi per prepararmiall’operazione. Ho tanta paura Anna!» mi rispose tra le lacrime. «Io sarò qui ad aspettarti amica mia. Nonavere paura, ormai siamo in due e noi due insieme siamo una forza!»le dissi cercando di darle coraggio.«Se l’operazione dovesse andare bene, la prima cosa che mi piacerebbe vedere è la nostra amicizia…»disse Meredith lasciandomi senza parole «Mer, tesoro mio, l’amicizia non è una cosa che si può vedereo toccare …»le risposi io. «Anna …» proseguì Meredith «La nostra amicizia è un mix di colori che insiemeformano uno splendido arcobaleno colorato ed è proprio questo che voglio vedere, un arcobaleno grande ecolorato proprio come il bene che ci unisce …» concluse infine Meredith che ancora una volta era riuscitaad insegnarmi qualcosa.La pioggia ora sta scendendo più lentamente e mentre ripenso a quanto la mia amicizia con Meredith miabbia cambiato la vita, lei è in sala operatoria e sta combattendo la sua battaglia più dura,quella control’oscurità. La pioggia ha smesso di scendere, le nubi si diradano e il sole ha cominciato a splendere. Dallafinestra della mia camera vedo spuntare un magnifico arcobaleno e sul mio viso ora è comparso un radiososorriso, perché ho la certezza che un arcobaleno così grande e colorato, come la mia amicizia con Meredith,non può che vincere contro la buia oscurità del nero. Corro da lei in ospedale, ci affacciamo alla finestra efinalmente possiamo ammirare insieme il “nostro arcobaleno” che regna incontrastato nel cielo azzurrosconfinato.

The house1 F Istituto Comprensivo "Verdi-Cafaro" di AndriaSi narra che nel 1920 una famiglia sia stata uccisa e sepolta nel terreno della loro casa……Due gemelli,Elisabeth ed Erick, erano desiderosi di far parte di un gruppo di ragazzi perciò ilcapobanda disse loro: “ se volete entrare a far parte del nostro gruppo,dovete dimostrarci il vostrocoraggio ed entrare in quella casa abbandonata…”I due gemelli ,sebbene incerti,decisero di entrare….Appena entrati,la porta si chiuse all’improvvisoalle loro spalle. Si udivano dei lamenti e, con la luce fioca delle torce, intravidero alcune ombre chesfrecciavano velocemente davanti a loro. Spaventati,iniziarono a correre e si trovarono davanti aduna scalinata scricchiolante e impolverata. Iniziarono a salire quatti quatti ma la scala sembravainfinita,eterna…Ad un certo punto udirono uno scricchiolio molto più forte degli altri: una partedella scalinata era dissolta. I due fratelli finirono intrappolati nei gradini. Atterriti, chiusero gli occhie, sopraggiunto il mattino, si ritrovarono in un letto,posto in una stanza tetra, e davanti a loro unabambola , che chiudeva e apriva la bocca e gli occhi repentinamente, che sussurrava“Elisabeth,Elisabeth…” I ragazzi scapparono via e, vedendo una luce, cercarono di raggiungerla.Correvano,correvano ma Erick ad un tratto rimase impigliato nel pavimento:una forza lo tratteneva.Elisabeth raggiunse il fratello e urlò: “ Erick, come stai? Come posso aiutarti ?” .Erick le rispose: ”Non preoccuparti per me. Corri, vai via, la casa sta per crollare!” . Allora Elisabeth, con la mortenel cuore, si allontanò dall’amato fratello con cui aveva condiviso la sua vita per undici anni. Lacasa iniziava a crollare quando Elisabeth si precipitò alla porta e , miracolosamente, riuscì aschivare una trave enorme che proprio in quel momento cadeva davanti a lei. Chiamò Erick maquesti non le rispose. Apparve una fanciulla che le mormorò “I’ll help you” .La fanciulla edElisabeth spostarono la trave ma prima di congedarsi la fanciulla le disse “Vai, niente domande! “Elisabeth si allontanò e, ormai fuori, si voltò per l’ultimo sguardo….la casa era scomparsa come senon fosse mai esistita.

ALBERTO E IL PICCOLO NINJAGiuseppe Pacucci - Scuola Michelangelo –Bari - Anni 10Alberto era un bambino timido ed impacciato che frequentava la scuola media “GiuseppeGaribaldi”. Era spesso preso in giro perché gli piaceva studiare e perché era un timidone. Un giornoall’uscita, mentre la classe scendeva le scale, un bullo lo spinse giù e lui si fece un grande ruzzolonee BADABAM! Alberto tornò a casa con gran bernoccolo. Dopo il pranzo e i compiti, si buttò sulletto di camera sua e disse:- Uff!!! Non posso continuare così!- Sbottò e così facendo, prese una pallina e la scaraventò sulpavimento ma, proprio in quel momento, sentì una vocina provenire da dietro di sé:-Lascia perdere la collera! Non serve a niente! Allora si girò e vide un piccolo ninja e, subito, glicorse incontro e gli disse:- Come sei piccolo!E il piccolo ninja gli rispose:- Beh, modestamente …. ma poi il ninja si accorse di ciò che gli aveva detto e disse:-Ehi, come ti permetti!? E nonostante la noncuranza di Alberto, il ninja continuò a parlare:- Comunque sono qui per aiutarti a risolvere i tuoi problemi e per farlo ho dovuto frequentare perotto anni la scuola “Il mistico ninja”!Ma Alberto incalzò dicendo:- Ora è tardi, andiamo a dormire.E a quel punto il guerriero ninja aprì il suo tatami e si stese sopra:- Buona notte, Alberto.Ma Alberto si era già addormentato. Il giorno dopo andò a scuola con il piccolo ninja nascosto nellozaino e nell’ora di educazione fisica Gianni, il bullo, cominciò a prenderlo in giro, e allora,seguendo gli insegnamenti del piccolo ninja, andò da Gianni e … lo abbracciò! Allora Gianni sistupì e gli disse:- Come fai a farmi questo? Alberto gli rispose:- E’ stata l’amicizia a farmelo fare.

Quindi ricapitolando, la questione Gianni era risolta!Al ritorno dalla palestra entrò in classe la professoressa di matematica che chiamò Alberto persvolgere un’espressione algebrica. Allora egli si alzò con le gambe tremolanti e scrisse l’espressionealla lavagna e una volta terminata ,si soffermò. Ma ad un certo punto il piccolo ninja corse da lui econ l’aiuto di un siero speciale divenne invisibile e sussurrò all’ orecchio di Alberto:- Coraggio, forza, ce la puoi fare!Allora Alberto ci provò e ci riprovò e alla fine riuscì a portare a termine l’esercizio. Allora laprofessoressa lo premiò con un bel dieci sul registro!Appena Alberto tornò a casa, raccontò tutto alla sua mamma che lo abbracciò dicendogli:- Visto che quando ti impegni ce la puoi fare ?Il pomeriggio dopo aver svolto i compiti Alberto ed il piccolo ninja festeggiarono. Vi chiederete,come? Il piccolo ninja porse la sua katana ,tipica spada giapponese con la lama leggermente ricurvautilizzata da ninja e samurai, ad Alberto e gli spiegò che quella non era un’arma qualsiasi, ma unakatana molto particolare, era magica e permetteva di realizzare i sogni di tutti e gli disse :- E’ stata questa katana a farti vincere le tue insicurezze. Il piccolo ninja lo aveva ingannato a fin dibene. Da quel giorno Alberto si portò la piccola katana appesa al collo come una collana, anche senel profondo del suo cuore sapeva che non era quell’oggetto a permettergli di stringere nuoveamicizie, nuovi legami e anche ottenere voti migliori.Da allora Alberto non si scordò mai più i piccoli, ma fondamentali insegnamenti del piccolo ninja.

UN SOGNOAlessandra Cassano - 1^A - Michelangelo- Bari - Anni 11La strana storia di Giovanni...Giovanni, aveva vent'anni la prima volta che tentò di volare, ma non con le sue braccia! Non era unpazzo scatenato, non era un folle sognatore, era semplicemente un giovane appassionato di velivolia motore.Tra quest'ultimi il suo preferito era l' aereo, ma in particolarel 'elicottero. Amava il rumore delle eliche che giravano veloci, il vibrare dell'elicottero in volo, ilsoffio potente del vento. Il giorno più importante della vita intera del giovane Giovanni, fu il 27dicembre 1969, il giorno in cui per la prima volta prese un volo aereo da Bari a Tokyo. Eraemozionato all'idea di volare, gli sudavano le mani, gli tremavano le gambe. Aveva passato tutta lanotte agitato, ma felice e fiero del sogno che finalmente si stava realizzando. Salì le scalettedell'aereo a due alla volta, veloce, con il cuore in gola, ascoltò tutte le informazioni in caso diemergenza. Giovanni voleva godere il suo primo volo fino in fondo.Ora era certo: i sogni si potevano avverare! Giunto a destinazione, ancora non credeva ai suoi occhi,aveva volato ed era atterrato dopo ore e ore di viaggio. Dopo alcuni giorni di divertimento,imparando una nuova lingua, visitando e fotografando monumenti di grande bellezza, notò unvolantino a colori vivaci. Era scritto in giapponese e lui, non lo capiva ovviamente. Ma ciò checomprese chiaramente era il disegno di un uomo felice che si lanciava con il paracadute da unelicottero. Da quel momento il suo nuovo obbiettivo era raggiungere questa nuova avventura. Era il31 dicembre 1969, il mondo intero era impegnato per festeggiare il capodanno del 1970, tutto ilmondo tranne lui. Giovanni era impegnato a trovare l'elicottero e le indicazioni su comeraggiungere la pista di volo del velivolo con cui si sarebbe potuto lanciare con il paracadute.Seguiva i volantini per le strade, finché non trovò un vecchio italiano di Bitonto che viveva a Tokyoda molti, molti anni. L'anziano signore lo aiutò e fece in modo che in tarda serata Giovanni potesseraggiungere la sua destinazione. Infatti il ragazzo alle 23,48 notò un palazzo con il disegno identicoa quello che aveva visto sui numerosi volantini raccolti.

Giovanni iniziò a saltare di gioia e a gridare: - Evviva, finalmente userò il paracadute, che mi faràabbracciare le nuvole.- Un giapponese lì vicino, notò Giovanni e disse: - Yoko no, ma Kuyy-(Auguri anche a te). Giovanni pagò subito la cifra richiesta per lanciarsi con il paracadute. Seguì ilpilota dell'elicottero sul tetto del palazzo e insieme si accomodarono sul velivolo.Il pilota diede un foglio a Giovanni, che il giovane provò a leggere... ma fu un’ idea inefficace, noncapiva neanche una lettera!!L'elicottero iniziò a muoversi, la serata era fredda e nuvolosa, in lontananza si vedevano i lampi e sisentivano i tuoni. Le istruzioni che il pilota urlava nell'orecchio di Giovanni erano in giapponese. Fuallora, che per la prima volta Giovanni ebbe paura, ma aveva un sogno da realizzare.Inutile chiedere al pilota di atterrare, lui non avrebbe capito, ovviamente!Così Giovanni iniziò a spiegarsi a gesti, muoveva le braccia come una papera, con i gomiti attaccatial petto, indicando il suolo.Nel buio della notte, un fulmine colpì l'elicottero, furono fortunati perchè non successe nulla digrave. Il velivolo iniziò a traballare, così il pilota diede una spinta a Giovanni, facendolo cadere dalportellone.Giovanni aveva freddo, ma con coraggio chiuse gli occhi e si lasciò andare. La grandepreoccupazione di Giovanni era che non aveva capito le istruzioni descritte sul paracadute e fornitedal pilota. Dopo un sospiro, tirò l'unica corda che gli avevano dotato e … Boom! Il paracadute siaprì: proprio alle 23,59 del 31 dicembre 1969. I fuochi d'artificio appena esplosi diedero colore allaserata e fuoco al paracadute. Giovanni era quasi atterrato, non c'era pericolo, cadde solo nella piazzaprincipale di Tokyo, tra tanti giapponesi che aspettavano qualcosa di bello per il nuovo anno e siritrovarono il giovane Giovanni caduto dal cielo.Tutti i sogni possono essere realizzati, Giovanni era contento di aver realizzato il suo.

INSIEME... IN VOLO!Roberta Di Giesi 2^A Michelangelo anni 11C’era una volta una bambina, di nome Maria Sole, che sognava di poter volare, per poter capire dipiù su quello che sarebbe stato il futuro. Da quando frequentava la scuola elementare aveva giàscoperto un po’ come funzionava quel misterioso “mondo degli adulti”. Voleva arrivare più afondo, però. Un giorno prese la sua lente d’ingrandimento, il suo mantello nero, e subito scappò via!Ancora oggi il suo viaggio non è terminato, ma sta facendo un bel lavoro, o almeno è quello pensa!Quando iniziò la scuola media era spaesata: non sapeva come procedere il suo cammino. A causadel suo comportamento vivace e un po’ ribelle, ogni giorno ascoltava un bel po’ di prediche, madiciamo che non le servivano a niente! Ma continuava a camminare, camminare e ancoracamminare. Voleva crescere, infatti si sentiva già grande, finché arrivò ad un incrocio. Vide duescritte: a destra “Le scorciatoie, camminare 2km”, a sinistra “La retta via, camminare 15km”. Presadall’enorme stanchezza, scelse la scorciatoia, senza sapere cosa l’avrebbe aspettata. Mentreprocedeva, s’imbatté in un grande mostro dalle sembianze amichevoli che le disse: ”Senti, carina, ioti posso aiutare, ma in cambio mi devi dare la tua libertà!”. La nostra piccola investigatrice avevapaura e pensò bene di correre indietro, ma le grandi porte che separavano l’incrocio, si chiusero.Doveva affrontare quel mostro. Ritornò da lui a testa alta e gli disse: “Ritorna da dove sei venuto. Ioqui devo continuare la mia strada e lo voglio fare da sola!”. Ora, sul volto del mostro, regnava lapaura!

La ragazza era felicissima di esser riuscita a battere quel cattivone. Camminava ancora tutta felice,ma allo stesso tempo aveva ancora una paura pazzesca: “...e se ci fossero stati altri mostri... e seavessero voluto vendicare la morte del loro amico?” pensava tra sé. La sua mente era affollata da unmucchio di dubbi. Dopo un tempo breve, purtroppo, quei dubbi diventarono certezze... Incontrò lasuperbia, regina del Male. Anch’essa era avvolta nelle vesti angeliche di un amico, ma stavolta eraun amico bisognoso. Il buon cuore della ragazza non resistette e gli diede il grande mantello nero.La superbia si alzò dal letto polveroso e disse: “ Ehi Ciccetta, ora siamo amiche e nessuno potrà maidividerci”. Maria Sole era quasi disgustata da quella persona così appiccicaticcia che le disse: “Amica, potresti starmi leggermente lontana per favore?” “Ma certo, cara”, rispose l’altra. LaSuperbia proseguì il viaggio con Maria Sole che si sentiva quasi soffocata dalla presenza della suanuova falsa amica: la superbia la pervadeva. Capì subito che l’avrebbe dovuta lasciare per potercontinuare a sorridere, e dopo un lungo discorsetto, Maria Sole, riprese il suo cammino da sola. Siaprì davanti a lei un’altra via che diceva: “ritorna sulla via del Bene”. La piccola era felicissima.Ormai non aveva più dubbi, seguì subito quella via. Lì era tutto fantastico. Non appena arrivò ametà della strada, conobbe una nuova vera amica di nome Luna. Sole e Luna proseguirono insiemeil lunghissimo viaggio finché uno strano animaletto diede un grande dono a Maria Sole: le ali. Leaveva desiderate fin da piccola, ma quel desiderio era ancora in lei. Però c’era un problema: MariaSole

non poteva abbandonare proprio lì Luna. Decise di dividerle a metà e tenere per mano la sua amica.Fu davvero una buona idea! Le due volarono e volano ancora insieme!P.S. Se vedete qualcosa che svolazza beatamente nel cielo, non preoccupatevi, sono le nostre duesimpatiche amiche!

UN MONDO NUOVO PER CLAUDIAFrancesco Alfonso - 2^A Michelangelo Bari - Anni 12Claudia, una bambina di città, non riusciva ad apprezzare la natura perché, secondo lei, la campagnaera un luogo isolato, privo di divertimento e senza amici. Ma una sua scoperta le farà cambiare ideae riuscirà a farle apprezzare la natura con tutte le sue meravigliose creature. Bastava soltantochiudere gli occhi e ascoltare…Claudia, come ogni anno, passava tutta l’estate in campagna dai suoi nonni perché i suoi genitorierano al lavoro in città. Con loro si divertiva, anche se in realtà avrebbe desiderato passare un po’ ditempo in più con i suoi genitori, che le mancavano da morire. Ogni giorno si svegliava con calma e,dopo aver fatto colazione come al solito, usciva nel giardino della villa, si stendeva sotto una grandequercia con il suo gattino Sky, unico suo vero amico e si rilassava a sentire quel bel silenzio intornoa lei. Quella mattina, dopo essere stata in giardino, mentre stava per rientrare in casa, sentì unostrano rumore. Si voltò e vide un varco nel tronco della quercia. All’ inizio pensò di andare in casa edi chiamare i suoi nonni, ma la sua curiosità era troppo forte. Allora si fece coraggio e iniziò adaddentrarsi in quella lunga galleria. Dopo un po’ trovò un bivio. Non sapeva dove andare, maall’improvviso il suo gattino andò a destra e allora lei decise di seguirlo. Dopo un po’ arrivaronodavanti a un grande portone, come quelli dei castelli medievali. Claudia con un po’ di incertezzabussò. In quel momento, allo spioncino del portone si affacciò un piccolo gnomo. Le chiese chifosse, ma prima che lei gli potesse dare una risposta guardò il suo gatto e le aprì subito.Evidentemente il gattino conosceva già quel posto e con lui tutti gli abitanti. Quando il portone siaprì, Claudia rimase estasiata, colpita e piena di stupore per quello che vide: un mondocompletamente nuovo, ma totalmente diverso da quello che lei conosceva, prati, boschi e campi perla coltivazione. Vide gli animali di tutti i tipi che vivevano pacificamente e armoniosamente e tuttili rispettavano, li amavano e si prendevano cura di loro. Quando il popolo del villaggio la vide, sinascose perché era la prima volta che vedevano una persona umana. Anche Claudia era moltotimida, ma poi con voce incerta disse qualche parolina che potesse rassicurare gli gnomi. Sipresentò e poi si fermò aspettando la seconda mossa dai suoi piccoli amici. Dopo un po’ il capo delvillaggio le si avvicinò e le disse che la guardiana di quel mondo sconosciuto, la quercia nelgiardino dei suoi nonni, faceva entrare soltanto le persone pure di spirito e che sapessero custodire ilsegreto di quel mondo sconosciuto. Dopo quel discorso ogni abitante, uno dopo l’altro, si presentò aClaudia, e quella sera festeggiarono tutti insieme. In quel momento Claudia si sentì per la primavolta nella sua vita “amata”. Dopo i festeggiamenti ci fu un grande banchetto, ma non con cibodannoso per la salute, ma soltanto con cibo naturale e sano. A un certo punto però Claudia si ricordòche ormai erano trascorse quattro ore dal suo arrivo in quel mondo e che i suoi nonni di sicuro sistavano preoccupando tantissimo per la sua assenza. Allora si precipitò dal capo del villaggio e glidisse che doveva andare via. Ma a quelle parole questi sorrise e le disse che in quel mondo il temposcorreva diversamente dal suo e che più si divertiva, più lentamente scorreva il tempo, così potevarestare tutto il tempo che voleva. Da quel giorno, nelle vacanze estive Claudia non passò mai più ungiorno da sola… ogni volta che desiderava andare dai suoi piccoli amici, poteva farlo. E quando lascuola ricominciava lei aspettava con ansia di poter tornare nel suo nuovo mondo libero e puro.

UN SOGNO PER TUTTIAngelica Gorgoni - Classe 1^A - Scuola Michelangelo – Bari -Anni i 11Tanto tempo fa c’era una città segreta chiamata Bimbilandia che non veniva sottovalutata perchécome una città vera c’erano concerti,negozi, teatri…Era riservata a tutti i bambini che avevano unsogno. Gaia era una bambina allegra e ottimista. Il suo sogno era quello di diventare una scrittrice eallargare la sua fantasia solo con una semplice penna ed un foglio. Aveva un peluche preferito cometutti i bambini della città, era una scimmietta che si chiamava Cita. Gaia era così fantasiosa cheriusciva a sentire la sua voce e tutti i giorni con lei andava a Bimbilandia. I bambini si erano dati unorario per tutti i giorni, ma Gaia con Cita ci andava sempre un’ora prima per stare con il suo foglioe la penna. Sicuramente i genitori di Gaia e di tutti gli altri bimbi si insospettirono, così in un solitogiorno Gaia entrando con Cita a Bimbilandia, sentì dei rumori dietro di sé. Si girò e trovò i suoigenitori che la seguivano. Gaia si arrabbiò tantissimo, così tanto che li cacciò e andò subito adavvisare i suoi amici. Si aprì un grande battibecco che venne subito interrotto da una bambinachiamata Carola che sosteneva che non bisognava più tenere segreta Bimbilandia, anzi farlaconoscere a genitori e parenti, perché anche loro avevano dei sogni come i bambini.Siorganizzarono e il giorno dopo vennero tutti quanti. La gente era sorpresissima dalla bellezza diquel luogo meraviglioso. Gaia sorpresa dalle reazioni, propose che Bimbilandia diventasse un luogodi ritrovo anche per gli adulti. Il nome Bimbilandia diventò Sognilandia , perché tutte le persone lìpresenti avevano un sogno ,come il sogno di Gaia che continuò a sviluppare fino a realizzarlo.

UN AMICO SPECIALEElena Solfarelli - Classe1^A Michelangelo Bari - Anni 11Oreste è il mio amico speciale! Ci conosciamo da ben otto anni. E’ un ragazzo con problemi didisabilità, è più alto rispetto alla sua età, è snello, ha tutto un suo modo per comunicare e anche senon parla molto, si fa ben capire. Non mi era mai capitato di avere un amico così affettuoso e nellostesso tempo generoso. Ricordo che un giorno io piansi perchè mi feci male,Oreste si avvicinò e michiese:- Perchè piangi ?A quel punto lo guardai negli occhi e sorridemmo insieme. In quel momentocapii la sua estrema sensibilità soprattutto nei miei confronti. Ricordo che mi prese per manoportandomi fuori dall’aula e facemmo un giro di tutta la scuola e come per magia non pensai più aldolore. Oreste ogni giorno all’uscita da scuola, sia che facesse tanto freddo, sia che piovesse, sia checi fosse il sole, doveva comunque accompagnarmi a casa. Oreste è un ragazzo speciale anche sottoaltri aspetti e non è stato sempre semplice che tutti accettassero il suo modo diverso di fare le cose.Ciò che noi facevamo con facilità e leggerezza, per lui era sempre una conquista importante efaticosa. Quando pensavo a cosa potesse provare, sentivo una grande tristezza, ma poi lo guardavo eil suo sorriso mi faceva capire che era felice e così lo ero anch’io. Oreste vive la sua vita come tuttinoi e sembra che abbia le idee molto chiare su ciò che vuole, anche sul fatto che io non possa esserela sua fidanzata,ma solo la sua migliore amica, perchè è innamorato di un’altra!Fortunatamenteabbiamo deciso di frequentare la stessa scuola media così il 10 Settembre 2015 è iniziata questanostra nuova avventura. E’ stato un cambiamento importante per tutti e due e i primi giorni Oresteera un po’ disorientato perchè aveva perso i suoi punti di riferimento,ma pensandoci bene anch’io.La scuola media è molto diversa dalle elementari, ma ne abbiamo passate tante insieme esicuramente supereremo anche questa. Ormai sono passati più di due mesi dai primi giorni di scuolae ogni giorno i suoi piccoli progressi, sono i suoi grandi passi. Vederlo partecipare durante leinterrogazioni e svolgere dei conticini di matematica, mi rende sempre orgogliosa di lui. Oreste daquest’anno appartiene alla 1^A , viene trattato come un fratello da tutti noi e tutte le mattine cialterniamo per accoglierlo e accompagnarlo in classe. Tutte le professoresse hanno un rapportodiretto con Oreste, interessandosi al suo stato fisico, progettando momenti di relax durante la

giornata. So bene che arriverà il momento che le nostre strade si divideranno, ma per ora sono felicedi percorrere la mia strada insieme a lui.

NOI E I BAMBINI SPECIALI…Eleonora Rita Maria Carrassi - Classe 1^ A Michelangelo Bari - Anni 10Un tempo viveva a Bari una bambina di nome Angela, nata in una famiglia ricca. Purtroppo, all’etàdi dieci anni, cadde e batté violentemente la testa. Chiamarono subito l’ambulanza e la portarono inospedale. Qui stette per due mesi e più, poi la dimisero. Non poteva del tutto guarire, perché, alcunecellule del cervello erano state danneggiate, quindi aveva dimenticato tutto e non riusciva a parlarebene. Ma Angela, nonostante la caduta, era rimasta la stessa Angela di sempre: sensibile, affettuosa,premurosa… Non sapeva dire di no e perdonava sempre tutti. Era diventata anche più sensibile diprima, perché aveva un dono: saper guardare nei cuori.A scuola l’accolsero tutti con calore, abbracciandola. A sua volta Angela era molto contenta dirivedere i suoi amici. Solo un bambino non era contento del suo arrivo: Luigi. Era invidioso diAngela perché era circondata dall’affetto e dalle attenzioni di tutti. Luigi aveva un carattere moltoparticolare: sapeva riconoscere i suoi errori, ma non aveva il coraggio di chiedere scusa e, inoltre, isuoi più grandi difetti erano la difficoltà a perdonare e voler stare al centro dell’attenzione. Ungiorno, mentre giocava a pallone, Luigi cadde e si infortunò la gamba destra. Passò due settimane inospedale con controlli e tantissimi baci e abbracci dai genitori che dicevano:- Proprio a nostro figliodoveva capitare!-In ospedale Luigi ebbe l’opportunità di riflettere sul suo comportamento nei confronti di Angela e sirese conto di essersi comportato veramente male.Non la doveva ignorare, anzi, doveva starle vicino e soprattutto essere un amico sincero! Cosìpromise a se stesso che avrebbe chiesto scusa ad Angela. Tornato a scuola, con la sedia a rotelle, lesi avvicinò, poiché il suo handicap era momentaneo. Lei vide che le sue scuse erano sincere e leaccettò e da quel giorno divennero grandi amici.

La felicità non è virtualeValeria Insabato - 1^ A Michelangelo Bari - Anni 11Camilla era una ragazzina di 11 anni, solare ed intelligente, adorava la fotografia e la tecnologia,forse troppo.Infatti credeva che la felicità si esaurisse tutta nel possesso di un cellulare e di un paiodi auricolari per ascoltare la musica. La sua vita era una routine che girava intorno alla tecnologia,che non le permetteva di vedere il mondo com’era in realtà. Una mattina di settembre fu costretta adiniziare la scuola media, fra noia e indifferenza perché per lei tutto era uguale. Come ogni giorno,Camilla prese il cellulare costantemente carico e iniziò ad ascoltare la musica, salì in macchina conla madre alla guida :- Oh, insomma Camilla, perché non lasci il cellulare e guardi la natura, il sole?!Diventerai rimbecillita!- le ripeteva sempre la madre quando, puntualmente, la figlia prendeva inmano il telefono. Quando Camilla entrò in aula, dopo l’elenco degli alunni e delle classi, si sedetteaccanto ad una ragazzina di nome Giorgia. Alla ricreazione Camilla non si alzò dal banco, marimase in silenzio a mangiare, ormai non le importava di fare amicizia:- Camilla, perché nonparliamo un po’ così ci conosciamo meglio?- le chiese Giorgia, quando entrambe finirono dimangiare. Camilla le rispose con un “no” mimato con le labbra. Entrò la professoressa subito dopola ricreazione, tutti si alzarono in piedi compresa Camilla di malavoglia. La prima cosa che dissel’insegnante fu : - Allora ragazzi,prima di presentarci volevo chiedervi : Siete felici, ma soprattuttosiete felici di essere qui? Provate a scrivere un testo parlando del vostro stato d’animo! Tutti

obbedirono e dopo aver concluso il tema, un alunno alla volta andò a leggere il proprio racconto.Quando fu il turno di Camilla lei lesse ad alta voce:- Io mi chiamo Camilla ed ho 11 anni, adoro lafotografia, il mio colore preferito è il blu. Non mi piace stare all’aperto, preferisco stare sul divanoad ascoltare musica o giocare al computer.Io sono felice perché ho un cellulare e posso fare quello che mi piace.

La professoressa una volta ascoltato il racconto disse:- Camilla, lo sai che la tecnologia non èl’unico svago? Impara a guardarti intorno, ma soprattutto ascolta il tuo cuore! Parla con i tuoicompagni, fai amicizia, staccati anche per un giorno da quel cellulare e guarda qualsiasi cosa ticircondi. Fai vivere il tuo corpo, i tuoi occhi,le tue gambe, il tuo cervello! Scopri Bari,la tua città epoi mi dirai se hai mai visto qualcosa di così reale e stupendo in un mondo virtuale!La ragazzina rimase molto stupita da quella risposta. “ Magari la professoressa ha ragione, ed anchemia mamma! Tentar non nuoce” pensò Camilla. Una volta terminato il suo primo giorno di scuola,la bambina non prese in mano alcun aggeggio elettronico osservando tutto con curiosità emeraviglia.Da quel giorno Camilla capì che il divertimento non era rappresentato da megapixel su unoschermo. Fece tante amicizie, imparò a conoscere la città e finalmente conobbe la vera felicitàperché la felicità non è virtuale!

IL MAGICO PELUCHEGiulia Dipace - Classe1^A Michelangelo -Bari - 10 AnniMario era ancora un bambino, amava giocare con tutti e divertirsi in qualsiasi modo. S’inventavagiochi con la sua fantasia, era un pozzo di idee e di risorse. Mario avrebbe compiuto 11 anni proprioquel giorno. I suoi genitori erano felici per il loro bambino che stava diventando grande e ormaifrequentava la scuola media. Per festeggiare il suo compleanno insistettero perchè invitasse uncompagno di classe a casa, ma lui rifiutò, non voleva nessuno, non li conosceva ancora. I suoigenitori rimasero sorpresi e domandarono come mai questa decisione e Mario disse che lui nonaveva ancora amici. Arrivò il momento di aprire il suo regalo. Mario era emozionato, a luipiacevano molto ancora gli orsacchiotti di peluche e ne voleva uno nuovo da aggiungere alla suacollezione di 149. Aprì con ansia il pacco regalo, ma nella scatola non c’era il solito orsacchiotto,ma un gufetto di peluche tutto marrone con occhioni neri e ali ampie. Sarebbe stato il suo nuovoamico. Mario iniziò a portarsi il gufo ovunque. Passarono i giorni, da quando aveva quel pelucheaveva iniziato ad avere tanta fortuna: aveva preso 9 nella verifica di storia, un bel 7 in quella diinglese, era stato lodato dalla professoressa di Italiano, insomma qualcosa era cambiato. Pensò cheil suo amico fosse veramente magico. Ogni giorno che passava si convinceva sempre più del suopensiero riguardo al suo amico che aveva chiamato Cucciolo! Ormai viveva in simbiosi con lui, maosservandolo meglio, notò un pulsantino in rilievo. Lo spinse per vedere cosa succedesse. Guardògli occhi di Cucciolo, vide che iniziarono ad illuminarsi di una strana luce blu. Scoprì ancora altrodi lui, ad esempio sapeva parlare e ogni volta che si trovava in difficoltà, gli suggeriva cosa fare!Anche durante le verifiche lo usava. La professoressa gli chiedeva come mai lo tenesse sempre consé, ma lui intimidito non rispondeva, anzi lo stringeva ancora più a sé. E la professoressa quasirassegnata diceva ad alta voce che aveva di fronte ancora dei bambini e non dei preadolescenti!Quanta strada avrebbero dovuto fare i suoi allievi per crescere! Mario in silenzio la ascoltava.Nessuno poteva capire il suo mondo, ma a lui non interessava. In quel momento con il piccolomagico peluche si sentiva felice, più sicuro. Sarebbe stato ancora per un pò un amico fedele che loavrebbe aiutato a lasciare l’infanzia per sempre senza nostalgia!

DUE BAMBINE SENZA ETA’Giorgia Como - 1^A Michelangelo Bari - Anni 11Era un giorno come tutti gli altri ed io stavo giocando alla Wii, ovviamente dopo aver finito icompiti, altrimenti chi se li sentiva i miei genitori, quando suonarono alla porta. Erano due bambine

della mia stessa età circa, una con i capelli biondi-castani e occhi marroni, e l’altra con i capellibruni ed occhi scuri…. Mi sembrava di averle già viste, pensai tra me e me.Le due bambine subito mi dissero: - Ciao, come ti chiami ?Noi siamo Franca e Velia. Io, anche seperplessa, risposi: - Giorgia - e pensai: - Strano! Si chiamano proprio come le mie nonne! - Le duebambine si guardarono sorridendo e affettuosamente mi chiesero: -Che stai facendo? Io risposi:- Stogiocando alla Wii, ho avuto un gioco nuovo e strepitoso - e subito aggiunsi: -Volete giocare conme?- pensando che ad una proposta del genere nessun bambino avrebbe potuto dire di no! MaFranca e Velia nuovamente si guardarono tra di loro, e sorridendo mi chiesero: -Wii ? Per caso è ungioco in cui si lanciano i dadi e vince chi fa il punteggio più alto?- Io allibita risposi :- Ma certo cheno, è un gioco elettronico, è l’ultimo uscito!- Loro, un po’ deluse e scontente mi risposero:- No, nonvogliamo giocare con la Wii- E continuando, con tono quasi di rimprovero, mi chiesero comefacessi a stare tante ore in panciolle sul divano a giocare in questo modo, così mi domandarono: -Perché non vieni con noi, a giocare all’ aria aperta al parco, sapessi quanti giochi si possono fare! -Non mi diedero neanche il tempo di riflettere che mi trascinarono con loro dicendo a mia madre distare tranquilla. Stranamente mia madre disse subito di sì! Tutto questo mi sembrava strano, ma nonso perché Franca e Velia mi davano fiducia e mi sentivo già loro amica. Arrivate al parco miproposero giochi di cui avevo sentito parlare dalle mie nonne, ma che in realtà non sapevo fare,come ad esempio il cavalletto… ah, no, no, la cavallina!

Franca e Velia, continuavano a ricordarmi qualcuno, ma non riuscivo a capire chi, ma cheimportava, tanto mi stavo divertendo un mondo!Il tempo passò e arrivò l’ora di rientrare. Tornate a casa, chiesi a Velia e a Franca di rimanere a cenacon me , ma loro risposero, con tono dispiaciuto, ma deciso: - No Giorgia, non possiamo, il tempo èscaduto e dobbiamo tornare nel nostro presente - Io pensai che forse erano stanche e strampalate perla giornata trascorsa assieme, e così le rassicurai dicendo che mia madre avrebbe avvisato le loro, distare tranquille, ma niente, Franca e Velia, cocciute come muli, mi dissero che non era possibile ecosi mi salutarono. Io ci rimasi molto male ed ero assorta nei miei pensieri quando un abbaglio diluce mi fece notare che erano scomparse nel nulla… ma erano fate o streghe? Non ne avevo la piùpallida idea ....o sì?!Il giorno dopo, non vedevo l’ora di raccontare alle mie nonne i giochi fatti al parco con le duebambine che si chiamavano proprio come loro, ma con sorpresa, loro mi anticiparono chiedendomi:- Giorgia, ti sei divertita, ieri al parco con Franca e Velia?- e all’improvviso tutto mi fu chiaro.

Che fatica essere adolescenti!Giovanna Nitti - Scuola Michelangelo Bari – Anni 10Era una fredda mattinata d’inverno, Adriana stava andando a scuola.Pensava che sarebbe stata una giornata normale, ma si sbagliava...Arrivata a scuola, salì in fretta le scale, svoltò a sinistra ed entrò in classe. La professoressa la punìper il ritardo e subito la fece sedere al suo posto senza dire una parola.Adriana pensò: -Ma cosa vuole da me? Sono arrivata solo con cinque minuti di ritardo e la colpa èanche di mia madre che ha voluto che riordinassi la mia scrivania all’ultimo minuto!Così una volta seduta aprì lo zaino, prese il quaderno, il libro e l’astuccio. Le sei ore passarono infretta, ma Adriana era stanchissima, la scuola media non era uno scherzo! Ma la cosa peggiore erache le prof. avevano assegnato tantissimi compiti per il giorno dopo e Adriana, con i tanti impegniche aveva, non sarebbe mai riuscita a finirli tutti.Tornò a casa a piedi come ogni giorno e distratta e sovrappensiero, cadde rovinosamente facendosimale alla mano e alla caviglia destra. Questo incidente proprio non ci voleva! Tutta dolorante einfastidita raccontò alla mamma cosa le fosse successo. Ma la madre le disse:- Adriana, quante volte ti ho detto di non guardare il cellulare mentre cammini! -Ma Adriana replicò: - Ma mamma, il telefono l’ho lasciato qua! --Sì, certo, certo, poche scuse! Adesso fila subito a mangiare e poi appena finisci, senza perderetempo vai subito a studiare!-Ok, mamma ! – a quel punto era inutile ogni replica e lo sapeva bene per averlo sperimentato tantevolte.Adriana, come un soldatino, finì subito di pranzare e andò a studiare. I compiti erano veramentetanti e infatti li finì alle 19:00.Dopo ore e ore di studio era veramente sfinita, allora andò in salotto e accese la tv. La mamma lavide e le disse:-Adriana, non hai fatto niente da stamattina e adesso ti metti anche a guardare la tv?! Adriana cercòtimidamente di replicare:- Ma mamma, non è vero! Ho fatto sei ore di lezione e poi ho dovuto studiare tantissimo persvolgere tutti i compiti! La mamma la rimproverò:

-Alla tua età io studiavo in poco tempo e prendevo voti molto alti. Sei tu che perdi tempo! Non haiimparato ancora ad organizzarti!! Bisogna sbrigarsi, essere veloci ed efficienti! Ad Adriana amalincuore non restava che ubbidire, spense la tv e andò in camera sua a leggere. Intanto pensava: -Mamma crede che io sia una nullafacente! A dir la verità quella che lavora di più sono io: ilpomeriggio studio e faccio sport. Lei invece cosa fa? Va dall’estetista a farsi mettere lo smalto!Sono sicura che lei al mio posto non resisterebbe neanche un giorno! Oh, ma guarda che ora si èfatta, è meglio andare a letto. Così si addormentò. Dopo un po’ anche la madre andò a dormire. Lamattina dopo successe qualcosa di incredibile: la mamma si trovava nel corpo della figlia e Adrianasi svegliò nel corpo della madre. Così la madre fu costretta ad andare a scuola e Adriana a lavoro.Arrivata a scuola, subito iniziarono le lezioni. Non pensava che fossero così difficili, ma soprattuttonon pensava che i compiti fossero così tanti… A lavoro invece le cose non andavano meglio,Adriana non capiva proprio niente di quel mondo! Finalmente arrivarono le 14:00 e le dueritornarono a casa sfinite. La madre disse ad Adriana che la sua condizione era difficile, rivoleva lasua vita, lo stesso disse Adriana. Così, come per magia, la madre ritornò nel suo corpo e Adriana nelsuo. Ripresero le loro vite come se non fosse successo niente, ma finalmente ognuna rispettava ecomprendeva l’altra.

UN LETTO PIENO DI SOGNICLAUDIA LOSURDO - CLASSE 1^ A - SCUOLA MICHELANGELO – BARI – anni 11Marco, da bambino, frequentava la scuola elementare del suo paesino di montagna. Era un bambinomolto timido e dal carattere chiuso, infatti dopo l'uscita da scuola restava sempre in casa.Frequentando la scuola a tempo pieno, non gli venivano assegnati mai i compiti per casa, per cui,avendo molta fantasia, disteso sul suo letto, immaginava spesso come sarebbe stato il suo futuro.ll suo sogno più frequente era quello di vivere a Candylandia, una città speciale: i palazzi erano fattidi caramelle, le strade di tavolette di cioccolata alle nocciole, i lampioni della luce di bastoncini diliquirizia, l'erba dei parchi era fatta di fili di zucchero colorato di verde, mentre le cascate erano dicioccolato fuso. Marco avrebbe voluto essere sindaco di Candylandia per poter risolvere il problemadello scioglimento della città, dovuto al caldo estivo. Immaginò di convocare tutti i cittadini perdiscutere il problema e cercare una soluzione. Durante l'assemblea il signor Bevemolto si alzò inpiedi e propose: - ABBATTIAMO LA CITTA' E COSTRUIAMONE UNA DI CEMENTO!- Ma aquesta proposta tutti i bambini si opposero urlando, mentre la signora Mangiabene propose: -RIEMPIAMO LA CITTA' DI CUBETTI DI GHIACCIO – Ma qualcuno le fece osservare cheanche il ghiaccio si sarebbe sciolto. Una bambina di nome Chantilly, infine, propose:- IL MIONOME DERIVA DA UN DOLCE! NON POSSO CAMBIARLO! INSTALLIAMO DEIVENTILATORI GIGANTESCHI E DEI PANNELLI PROTETTIVI!- L'idea piacque a quasi tuttiper cui venne messa al voto e alla fine venne approvata. Questo sogno, ovviamente, non si realizzòma Marco, che oggi è adulto, ha realizzato un parco giochi molto simile alla città dei suoi sognirendendo così felici tutti i bambini e gli adulti sognatori del suo paese.

Ero sola nel desertoCOLACICCO FRANCESCA - RAKAJ LOREDANA - ROMANO LENA - SURICO CLAUDIAClasse III A della Scuola Secondaria di I grado F.P. Losapio di Gioia del Colle facente partedell'Istituto Comprensivo Losapio San Filippo Neri di Gioia del Colle (Bari)Il caldo iniziava a diventare insopportabile e le risorse di acqua scarseggiavano e Carmelita, il miocammello cominciava a rallentare il passo. Il sole mi penetrava gli occhi. Le dune sembravanosempre uguali e mi stava venendo un certo languorino e Carmelita mi sembrava appetitosa. Ognisorso di acqua che ingoiavo era come avere sabbia in gola.

Il sole era rosso e caldo come non mai e, a dire la verità, pareva sempre più vicino. Iniziavo aperdere conoscenza. Non sapevo ciò che mi aspettava ma non ero troppo preoccupata dato che erosempre stata sufficientemente sicura di me. Non mi sarei mai aspettata di fare un viaggio nel desertononostante abitassi in una delle città lì vicino dalla quale ero fuggita e nella quale non potrò tornare.Proprio quando stavo per svenire sentii un sibilo ma non sapevo se fosse il frutto della miaimmaginazione o fosse reale. Sta il fatto che Carmelita dopo essersi immobilizzata per un attimo, siagitò e dopo avermi fatto cadere sulla sabbia cocente, fuggì via fino a diventare un puntino sullalinea irraggiungibile dell’orizzonte. Iniziai a vedere tutto in modo non nitido... quasi indistinto. Lamia attenzione si rivolse a un bagliore dal quale mi sentii quasi catturata... sembrava che mi stessechiamando. Mi avvicinai lentamente, barcollando; mi chinai e vidi che il bagliore proveniva da unamuleto. Lo raccolsi e trasalii per la sensazione gelida che avvertii tra le mani. Sull'amuletocampeggiava un cobra dall'aspetto inquietante e malvagio. Ahaii!! Sentii un brivido lungo la mano evidi il segno di un morso e subito dopo il serpente che mi si attorcigliava intorno al braccio. Mentreparalizzata cercavo di mettere insieme le idee per capire cosa fare, il cobra con un balzo si lanciò aerra e cominciò a strisciare, sibilando in modo sinistro. Benchè spaventata lo seguii istintivamente emi condusse in un oasi dove la mia gola riarsa trovò sollievo. Il serpente mi aveva atteso ed ebbi lasensazione che volesse essere seguito. Mi ritrovai di fronte a delle sabbie mobili nelle quali si tuffòed io, non so spiegare ancora oggi spinta da quale forza misteriosa, mi tuffai con lui. All'internodelle sabbie mobili fui accecata da una luce quasi irreale a causa della quale chiusi gli occhi.Riapertili trovai delle scale che mi portarono davanti ad enorme forziere. A questo punto notai chesulla parte frontale c’era una incisione particolare che ricordava la forma circolare dell'amuleto cheavevo raccolto poco prima sulla sabbia del deserto. Provai ad infilarlo e quasi magicamente ilforziere si aprì. Non so rendere con le parole il mio stupore nel contemplare tutte quelle moneted'oro e l'immensa gioia provata al pensiero che avrei potuto finalmente salvare la popolazione dellamia città dalla miseria e dalla guerra. Potevo e dovevo tornare a casa.Autori del racconto:

IL “MAIADIETOLOGO”LOPETUSO FLAVIA (I E) - Scuola Secondaria di I grado F.P. Losapio facente parte dell'IstitutoComprensivo Losapio San Filippo Neri- Impossibile!- Scommettiamo?- Ok! Allora, se entro una settimana riuscirai a dimagrire di 9/10 Kg, ti darò tutte le mie provvisteper l’inverno, ma, se vinco io, tu dovrai donarmi tutti i tuoi beni più preziosi! - disse convinta lavolpe furba al maiale obeso.

Allora il maiale si rimboccò “le maniche” e ….. in tre giorni riuscì a dimagrire di ben 4 Kg; ilquarto giorno, invece, si lasciò tentare e mangiò qualche quadratino di tavoletta di cioccolato. Sipentì subito e decise di rimediare all’accaduto evitando, per i giorni successivi, di mangiare lecca-lecca, caramelle e altri dolciumi, visto che ormai la settimana volgeva al termine.Arrivò la domenica e il maiale era molto dimagrito, così la volpe perse la scommessa e dovettedonare molte delle sue provviste al vincitore.E sapete che cosa straordinaria accadde al maiale?Diventò addirittura un “maiadietologo” ed ebbe molta fortuna.La favola ci insegna che, se ci si impegna, si riesce a raggiungere l’obiettivo prefissato.

L’ASINO CHE DECISE DI ANDARE A SCUOLA

CLASSE I - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO - ALUNNO: LOCONTE RICCARDOE (a tempo prolungato)Un giorno lontano, agli inizi di settembre, un asino, affaticato per il peso della soma che portava ingroppa e assetato, andò a bere ad un ruscello e vide molte volpi che correvano tutte in unadirezione, con uno zaino sul dorso.Una di loro chiese all’asino, per prenderlo in giro: “Ascolta, quanto fa uno più uno?”L’asino, meravigliato per la domanda, rispose: “No, non credo di saperlo! Forse cinque, forse sette,forse tre. Non lo so!”La volpe saccente scoppiò a ridere: “Ah, ah, ah, ah! Sei proprio un ignorante! Sei buono soltanto atrasportare carichi pesanti!”Allora l’asino pensò di cambiare mestiere e, per diventare anche lui uno studente, decise di recarsialla scuola degli animali per iscriversi e frequentare le lezioni. Arrivato in segreteria, la segretariagli chiese: “Mi dica il suo nome”. “Ciuchetto” rispose l’asino.“Cognome”.“De Asinelli”.“Ok. Venga domani sempre qui e si ricordi di portare il materiale necessario”, puntualizzò lasegretaria.Così Ciuchetto tornò a casa e si procurò tutto l’occorrente, tranne lo zaino! Allora andò in cantina etrovò un bello zaino, di color rosso fuoco.Il giorno successivo andò a scuola e, proprio nella sua classe, c’era la volpe che lo aveva insultato.Si chiamava Pelorosso.Allora Ciuchetto la sfidò: “Scommettiamo che divento più sapientino di te?” La volpe, molto sicuradi sé, accettò dicendo: “Va bene, scommettiamo pure! Se vinci tu, non ti insulterò più, ma se vincoio tu dovrai servirmi e riverirmi!”“Ok. Ci sto” confermò l’asino.Il giorno dopo, a scuola, fu interrogata prima Pelorosso e riuscì a superare brillantementel’interrogazione. Poi arrivò anche il turno di Ciuchetto che, non avendo mai studiato e non essendoneanche abituato a studiare come si deve, non era preparato per niente.Infatti, poverino, non riuscì ad aprire bocca e dovette accettare l’amara sconfitta.Avendo perso la scommessa, l’asino dovette servire e riverire la volpe per un bel periodo di tempo.Successivamente Ciuchetto tornò ad essere un animale da soma e si dedicò di nuovo al trasporto dicarichi pesanti.La favola ci insegna che ognuno si deve dedicare a ciò che sa fare bene.

SCAMBIO DI RUOLII - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO" - ALUNNE: DI CHIO GIOVANNA,SACCOTELLI MARTINA E (a tempo prolungato)C’era una volta, in un castello, una principessa molto cattiva di nome Crudelia che, fin da piccola,sognava di diventare una strega maligna e giocare con i filtri magici. Invece, in una piccola casasituata in una radura del bosco, abitava una strega di nome Flora, molto brava e gentile, che sognavadi diventare una principessa e vivere in un bel castello.Un giorno Crudelia ricevette da sua madre l’ordine di andare nel bosco a recuperare un fiorespeciale, riconoscibile per i suoi mille colori; così si avviò sperando anche di incontrare qualchemago o strega che potessero istruirla sulle pratiche di magia.Durante il suo viaggio, la principessa Crudelia per caso incontrò la strega Flora e cominciò aparlarle del fiore che stava cercando. Flora le propose: “Principessa, io posso aiutarla perché so

dove si trova questo fiore, ma in cambio vorrei che lei esaudisca un mio desiderio, che io non ho ilpotere di realizzare”.La principessa rispose con aria prepotente: “No, voglio prendere io il fiore, dimmi solo dove sitrova, subito! Questo è un ordine! Altrimenti ti farò giustiziare dal re mio padre”. Flora si accorsedell’animo malvagio di Crudelia e ribatté convinta: “Io so che il fiore che lei sta cercando è magico,possiede il potere di scambiare i ruoli delle persone che lo desiderano e fare in modo che vivanofelici”.La principessa sorpresa ordinò alla strega: “Be’, ci ho ripensato, vienimi ad aiutare e, se questo èanche il tuo desiderio, ci scambieremo di ruoli: io prenderò il tuo posto e tu il mio”. Flora accettòentusiasta e subito le due fanciulle si diressero al luogo in cui si trovava il fiore magico. Non appenavide il fiore tra l’erba, Crudelia lo staccò violentemente dalla terra; subito dopo entrambe lefanciulle lo toccarono e di colpo si scambiarono le sembianze ed i ruoli e diventarono “principessa”Flora e “strega” Crudelia. “Ora saremo felici per sempre!” esclamarono all’unisono.Allora si diressero l’una alla casa dell’altra tutte eccitate per la loro nuova vita.Quando Flora arrivò al castello, cominciò a esplorare tutte le stanze, a colorare e decorare la stanzatriste di Crudelia, quando, ad un tratto, la regina madre entrò e le disse: “Principessina, sei inritardo! Lascia tutto e scendi per le riunioni reali, devi firmare documenti e svolgere tutti gliimpegni previsti per la giornata di oggi”.“Ma non è giusto! Quando potrò divertirmi, leggere tutti i libri della grande biblioteca reale oppureprovare tutti i vestiti che desidero?” chiese la principessa.E la madre ribadì: “Non c’è tempo ora per divertirsi! Prima viene il dovere e dopo il piacere!” Laprincipessa obbedì, ma non immaginava di dover svolgere tutti questi compiti così gravosi.Intanto la strega Crudelia, giunta nella casetta nel bosco, si creò un nascondiglio sotterraneo tuttosuo, si sistemò a suo piacere gli ingredienti delle pozioni sugli scaffali, i libri di incantesimi e adottòun gatto nero come animale da compagnia. Poi cercò tanti piccoli insetti e teschi umani, tutte coseinquietanti e terrificanti che ai suoi occhi avrebbero reso il nascondiglio più bello e misterioso.Dopo aver organizzato tutto, decise di eseguire l’incantesimo che più di ogni altro aveva sempresognato, l’invisibilità. Quando però aprì un libro di magia e girò le pagine, si accorse che eranoscritte in una lingua strana, a lei del tutto sconosciuta, e non c’erano disegni illustrativi, niente diniente.Crudelia provò in tutti i modi a decifrare i testi, ma non ci riuscì, quindi tutta sconsolata, decise diandare a trovare Flora al castello.Quando arrivò da lei, le disse: “Io non riesco a fare la strega e non credo che sarò mai capace difarlo. Voglio assolutamente tornare principessa come prima”.Allora anche Flora le confessò: “Veramente anch’io non riesco a fare la principessa, ci sono troppidoveri e troppe regole. Anch’io voglio ritornare ad essere una strega libera e tranquilla”.Per la seconda volta le due fanciulle erano d’accordo, raccolsero il fiore magico che era statopiantato nel giardino del palazzo reale e lo toccarono contemporaneamente. Allora ripresero le lorosembianze, tornarono ciascuna nel proprio ruolo e nel proprio mondo ed impararono che è megliovivere la propria vita che non quella degli altri.

UN NUOVO CASO PER BRUCECLASSE I - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO" - ALUNNO: STRIPPOLIFRANCESCO E (a tempo prolungato)È tutto lì che iniziò, a Londsville, quando, in un appartamento della contea, ci fu un omicidio asangue freddo.

Era una notte fredda e tenebrosa, in una città fantasma. E un uomo di mezza età, capelli scuri, occhineri, vestito di stracci, stava colpendo ripetutamente, con un piede di porco, la porta d’ingresso diun palazzo al centro della città.L’uomo dopo tantissimi colpi riuscì ad entrare e, con sguardo sveglio, impugnò la sua revolver eincominciò a salire per le scale.Tutti ormai dormivano ed egli allora colpì con la sua pistola la maniglia della portadell’appartamento 1 B della scala A. Una volta entrato, fece più in fretta che poté, ma il proprietarioera ancora sveglio in cucina e, sentendo i rumori, si armò di coltello e, mentre il ladro stavafrugando tra la roba, urlò e lanciò il coltello contro di lui.L’uomo però si ferì solamente, perché, appena sentì l’urlo, si spostò e non esitò a premere ilgrilletto e uccidere il proprietario, poi rovistò ancora e scappò con quel poco che aveva preso.Il giorno dopo la notizia dell’assassinio arrivò al commissariato di polizia che subito affidòl’indagine a Bruce, il miglior investigatore del dipartimento.Bruce accettò l’incarico e subito si recò sulla scena del crimine. Arrivato alla porta d’ingresso delpalazzo, vide delle impronte sulle scale: erano sicuramente dell’assassino. Poi entrònell’appartamento e vide vasi rotti, muri crepati e, insomma, tutta la stanza a soqquadro. C’eranoanche delle tracce di sangue su una parete, allora chiamò subito la scientifica. Nel frattempocontinuò a perlustrare il resto della casa e, poco tempo dopo, arrivarono tre uomini del RIS cheprelevarono alcuni campioni, li misero in alcune bustine e se ne andarono.Erano circa le 18:00. Bruce era ancora lì e non aveva ancora ricostruito la scena del crimine,quando, a un tratto, scovò un coltello macchiato di sangue in un angolo del piccolo balconedell’appartamento. Com’era finito lì quel coltello?Con questo nuovo indizio si recò dagli uomini del RIS per far esaminare la macchia di sangue edentro di sé promise che avrebbe catturato l’omicida. Il mattino seguente, mentre Bruce facevacolazione, gli arrivò una chiamata della centrale che lo informò di una rapina che si stava svolgendoin una banca proprio accanto al bar dove lui si trovava.Allora, assicuratosi che il rapinatore fosse uno solo, Bruce si appostò in un luogo strategico, dovenon poteva essere visto. Appena il rapinatore si apprestò alla fuga, l’investigatore, cogliendolo disorpresa, lo atterrò e lo ammanettò.Arrivati in centrale, Bruce cominciò ad interrogare l’uomo e notò una macchia di sangue checontinuava ad allargarsi sulla maglietta.A quel punto scoprì una profonda ferita di arma da taglio, ma, dato che in banca non c’era statacolluttazione, quella ferita risultò strana ai suoi occhi. “Tra l’altro”, pensò, “la ferita doveva essererecentissima, se sanguinava ancora in quel modo!”. Così Bruce cominciò ad interrogare ilrapinatore sull’origine di quel taglio e, vedendo che lui si agitava e non spiegava nulla, decise diprelevargli un campione di sangue e lo fece rinchiudere in cella.Successivamente la scientifica, a proposito del caso del ladro omicida, affermò che il sangue trovatosul coltello non era della vittima, ma probabilmente del suo aggressore.A quel punto Bruce consegnò il campione di sangue del rapinatore della banca e lo fececonfrontare: aveva il forte presentimento che l’aggressore – ladro entrato nell’appartamento e ilrapinatore di banca fossero la stessa persona.Dopo alcuni giorni, l’esito degli uomini del RIS confermò il sospetto di Bruce, così, grazie anche alconfronto tra la pallottola che aveva ucciso l’uomo nel suo appartamento ed il revolver requisito alrapinatore di banca, si scoprì che l’omicida e il rapinatore erano la stessa persona.Quella sera Bruce, giunto a casa e distesosi sul letto, si godeva il meritato riposo dopo tante ore diduro lavoro e di indagini serrate. Intanto pensava: “Un altro caso è stato risolto, un altro delinquenteè stato consegnato alla giustizia”.Subito dopo, di colpo, si addormentò.

Viaggio nell’OlimpoSeconda - Maria Teresa Di Cosola 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II -BariBilly sbrigati a fare i compiti!! Era la frase che sentivo pronunciare da mia madre la maggior partedei pomeriggi, come in quel lunedì15 febbraio del 2014 in cui feci tutto velocemente perché dovevovedermi con i miei amici Luca, Rosella e Clara. La mattina avevamo avuto un diverbio con deiragazzi di un’altra classe che ci avevano voluto mettere in ridicolo di fronte al preside affermandoper discolparsi falsità su di noi. Erano andati a dirgli addirittura che avevamo rubato loro il cellularee fatto girare delle foto scattate all’interno della scuola. Erano le 17 circa e per dimenticare la bruttamattinata stavo sul mio letto sdraiato a leggere Percy Jackson. Non tardò lo squillo del campanellodella porta, erano loro, i miei inseparabili amici. Appena entrato Luca mi chiese con ariaimbarazzata: - Posso andare in bagno? Mi scappa! - Divertito lo accompagnai, dopo ci rifugiammotutti e tre in camera mia a parlare dell’accaduto. Poi per rasserenarci incominciammo a pensare ache gioco fare per combattere la noia di un triste lunedì pomeriggio. Dopo qualche animatadiscussione scegliemmo, tra le tante opzioni possibili, il Cluedo. Cercai a lungo la scatola checonteneva il gioco, ma ogni tentativo fu vano, il gioco sembrava scomparso. Mi ricordaiall’improvviso che era stato messo nello scantinato e chiesi subito a mia madre se poteva andare aprendermelo, ma lei mi rispose con aria stressata: - Nooo, non vedi che sono indaffarata!?! Vaccitu! - Sinceramente contavo sulla sua disponibilità, non perché non volessi andare io, ma perché miterrorizzava il pensiero di andarci da solo. Raggiunsi i miei amici e senza far capir loro che avevopaura dissi: - Ragazzi vi piacerebbe giocare a caccia al tesoro? Chi trova prima Cluedo potràdecidere chi di noi dovrà offrire il gelato a tutti. Con gran entusiasmo i miei amici accettarono, unavolta entrati in cantina tutti si misero alla ricerca del gioco. Ad un certo punto Rosella trovò unamappa con su scritto ‘Olimpo’, la prese, e ce la mostrò. Clara con fare scherzosamente misteriosodisse che si trattava certamente di un passaggio segreto per poter accedere all‘Olimpo, una sorta diingresso per un viaggio nel passato. Così giocando con la fantasia ci mettemmo a cercare il portaledi passaggio, dopo più di mezz’ora di ricerche immaginammo di trovarlo: l’armadio tarlato di mianonna. Aprimmo l’anta e sempre scherzando dicemmo in coro: - Se nell’Olimpo vorrai arrivarequeste parole dovrai pronunciare. - Dopo pochi secondi l’armadio con nostro grande stupore sitrasformò davvero in un varco. Noi, un po’ spaventati, ma tutti eccitati lo attraversammo e senzarenderci conto venimmo catapultati in un luogo fantastico.Eravamo diversi, indossavamo abiti tipici della Grecia antica e giravamo in una sorta di labirinto incerca di una via di uscita. Si udivano voci di donne che ripetevano in coro parole in una lingua a noisconosciuta e poi voci di uomini vigorosi come quella di Ades, re del mondo dei morti, che ciinvitava al silenzio durante il passaggio nei sotterranei del tempio. Continuando il viaggio ciritrovammo in un grande salone dove danzatrici, musici e poeti facevano festa e dove su un tronosedeva Apollo, dio del sole e protettore delle arti. Eravamo sconvolti da questo improvviso tuffonella classicità, ma fortemente incuriositi da voler a tutti i costi continuare il nostro viaggio.Proseguendo in uno stretto corridoio giungemmo in una grande stalla dove animali di ogni specieprosperavano, una sorta di arca di Noè. Lì, una bellissima donna, Artemide, la dea degli animali edella luna, vigilava su di essi.Il nostro viaggio continuava e noi ammutoliti ed estasiati allo stesso tempo ci preparavamo ad altresorprese, come accadde nella sala dei prestigiatori, dove il dio Ermes in persona ci consegnò unmessaggio, purtroppo incomprensibile perché scritto in greco antico.Dopo un tempo interminabile, stanchi di camminare e abbastanza desiderosi di tornare a casa incoro dicemmo: -Se a casa vorrai tornare queste parole dovrai pronunciare. – e magicamente ciritrovammo nella fredda cantina di casa. Mia madre ci aiutò a tornare alla realtà con il richiamodella sua voce acuta che ci invitava a cena per mangiare una profumatissima e fumante pizza.Allora tutto quel viaggio era solo frutto della nostra fantasia?

Quando ecco cadere dalla tasca di Luca un biglietto con un messaggio dai caratteri incomprensibili.Mio padre, amante della lingua greca, lo guardò incuriosito e lo tradusse all’impronta: - L’antidotoper cinquanta nemici è un amico – Aristotele

TUTTO NERO, TUTTO BIANCOLuana Milella 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II - BariAvevo in mente una cosa, una cosa che nessuno avrebbe fatto al posto mio. Volevo ritornare inquella piazzetta, dove avevo incontrato quell’uomo. Lo so quella poteva essere la mia ultimapossibilità di vita, ma volevo capire se c’entrava lui con la mamma, e così feci.Arrivai nella piazzetta e come sempre, non c’era un anima viva, non c’era assolutamente nessuno.Gridai “hei tu, vieni qui se…” non riuscì a finire in tempo la frase che, ancora quello strano ventomi sfiorò le gambe, e mi salì un brivido lungo la schiena e si propagò su tutto il corpo. Ecco, migirai e me lo ritrovai davanti, sempre così, sempre com’era. Non so perché ma non avevo paura, eracome se stessi parlando con una persona “normale”. Volevo trovare un modo per vedere la suafaccia, e non c’era altro modo che togliergli il cappuccio, ma non sapevo come, se sbagliavo unsingolo passo, sarei stata fregata. Pensai al metodo più classico, e mi dissi fra me e me “ o la va o laspacca”, gridai “oddio che schifo” puntando il dito sul pavimento e l’uomo ovviamente abbassò latesta e io riuscì a togliergli il cappuccio, si girò mi guardò in faccia e… non potevo crederci, stavoquasi per avere un collasso e cadere a terra, era la mamma. Volevo sapere il perché di tutto questo,come avesse fatto a far comparire quel campo di forza, come avesse fatto da casa, in pochissimotempo ad arrivare qui, per giunta anche travestita. Non avevo la forza di parlare per la tanta rabbiache mi inondava, e fu lei a far uscire da quella sua bocca una parola, “scusami”. Io le risposi “scusadi che, ma lo sai che per colpa tua se io non avessi scoperto chi eri tu avresti potuto ancheuccidermi!”, mi rispose “Lo so, ma non è stata colpa mia”. Io infuriata le gridai “Ma cosa dici! Ècolpa tua eccome, e la cosa che mi fa più star più male è che io vivevo in casa con qualcuno che mivoleva vedere morta!” Mamma incominciò a piangere, non so se era una strategia per confondermi,o era seriamente addolorata, ero troppo confusa, non sapevo cosa fare. Per il troppo dolore con ildito le asciugai una lacrima, e guardai a terra, non riuscivo a guardarla in faccia. Poi di scattosollevando il viso le domandai con le lacrime che mi tremavano negli occhi “perché?” Lei sussurrò:“non sono io, è un altro corpo che mi comanda, e… fra poco devi scappare amore, perché…” io giàcapii cosa stesse per accadere, ma non scappai, rimasi lì per far capire anche a quel corpo dentro dilei che non avevo paura, poteva anche uccidermi, ma non me ne sarei andata. Guardai dritto negliocchi la mamma o chiunque fosse, e… vidi qualcosa di veramente raccapricciante, gli occhidiventarono tutti neri, e quel nero dagli occhi si espandeva su tutto il corpo. Rimasi sempre lì,immobile, direi paralizzata, avevo gli chiusi perché non volevo vedere più niente e mi aspettavo ilpeggio. Sentii un grido, aprii gli occhi e vidi che la strana creatura si stava avventando su di me. Ionon riuscivo a muovermi, mi venne addosso e… mi risvegliai, mi guardai attorno era tutto bianco,ero seduta su un pavimento che sembrava fatto di cotone, era tutto completamente bianco, da cielo aterra. Mi girai e vidi la mamma, le corsi subito incontro e la abbracciai con forza. Forse sapevodove ero finita, e non me ne sarei andata più da quel posto. Sì, è vero, non me ne sarei più andata daquel posto…

UN BEL SOGNO

Francesco Hotca - 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II - BariNella città di " Caio", in una campagna, c'era una piccola catapecchia mal ridotta dove, quandopioveva, entrava l'acqua. Alcune volte scricchiolava addirittura nel pavimento e spesso vi sitrovavano dei topi morti. In quella catapecchia viveva un bambino orfano di sei anni: aveva occhicelesti come il mare, capelli biondi come il girasole ed era magro come un laccio di una scarpa.Questo bambino si chiamava Adriàn. I suoi genitori erano morti in un incidente stradale e lui vivevacon sua nonna paterna che si occupava soltanto delle pulizie. Adriàn andava tutti i giorni in città echiedeva l'elemosina mentre cantava con una voce melodiosa. Un giorno un signore con il cappellonero, una giacca di colore beije e un paio di occhiali neri, sentì una voce e pensò :- da dove verràmai questa soave e gentile voce ?- Cosi questo signore proseguiva dove lo portava la musica .Questo signore quando vide Adriàn si rese conto che era un povero bambino bisognoso d'aiuto ,così fece un video di nascosto ad Adriàn. Il giorno dopo questo signore ritornò nel postoin cui avevavisto Adriàn e, rivedendolo, gli disse :- salve io sono un produttore della casa discografica e il mionome è John Vrestler e ieri non ho potuto fare a meno di ascoltare la tua canzone perchè neancheun cantante professionista saprebbe cantare così,per questo ieri infatti le ho fatto un video dinascosto, mi scusi se non le ho chiestoil permesso, e l'ho fatto vedere ad altri produttori della casadiscografica e le parlo a nome di tutti,se non le dispiace le vorrei fare una proposta: potrebbe averetutto quello che desidera a patto che venga con me! Allora si o no? Deve decidereimmediatamente!- E Adriàn gli rispose : - si, ma come faccio per mia nonna?- E John gli rispose:-non ti preocupare, verrà con te nella tua nuova casa-. Così John portò Adriàn e anche sua nonna nelsuo studio dicendogli di cambiare nome, e Adriàn decise di chiamarsi: Zaf.Un ora dopo Gion portaad Adriàn e sua nonna nella nuova casa. Adriàn scopio a piangere dalla gioia e dalla tristeza: dallagioia perchè aveva una nuova vita davanti a sè, e dalla tristeza perchè voleva condividere tutta lasua felicità con i propi genitori. La nuova casa era di colore beige e nero, un cancello automaticocon il codice, tante siepi, un garage dove c'erano una machina, un motore ,un motorino a cross e unabicicletta elettrica e il resto della casa era coperta da un muro di colore bianco, mentre dall' altraparte della casa c'era un lago dove poteva andare con il suo yacht personale a pescare. All'internodella casa c'erano due bagni patronali, due saloni , due camere da letto, tre stanze per gli ospiti einfine una tavernetta dove c'erano tutte le attrezature per fare i pesi .Poi c'erano tre camerieri, tremaggiordomi , cinque giardinieri , sette chef ,una governante e una badante che si occupasse di suanonna. Adrian infine ebbe un premio: avrebbe ricevuto 100.000 euro se avesse composto ogni anno30 canzoni. A dodici anni Adriàn vide arrivare i suoi genitori. I genitori gli spiegarano tutto: chepraticamente durante l'incidente erano soltanto svenuti non morti e in quel momento quattro uominili avevano tenuti prigionieri e dopo sei anni erano riusciti a scappare e poi avevano saputo di lui. Ilgiorno dopo Adriàn si svegliò e si accorse che tutto questo era solo un bel sogno. E Adriàn speròche quel sogno un giorno si saprebbe avverato! ....

UN MARE PER AMICOErika Ciarfaglia 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II - Bari

Maddy, una ragazza bella, forte. Una piccola ragazza così forte da riuscire a mantenere il suo corpocon due piccole braccia.Capelli biondi e lunghi che danno colore al suo pallido viso;naso a patata e labbra a cuoricino colorate sempre da un rosso scarlatto.Maddy, una ragazza simpatica e amichevole.Ama il mare, le onde, il surf e il vento bestiale!Un giorno surfando tra le onde del mare si sente osservata, quando improvvisamente un'onda dadietro la travolge e la butta in mare. I bagnini la raggiungono tra le onde e subito la portano in riva

tutta sanguinante.Lì l'ambulanza l'aspetta e la porta velocemente in ospedale. Appena tutti quei signori dal camicebianco la vedono capiscono subito che uno squalo l'ha attaccata e ferita gravemente.D'urgenza la operano.L'intervento dura diverse ore e al suo risveglio con i volti affranti i medici le spiegano quello cheera successo. Non potrà più viversi il mare come prima, non potrà usare le gambe.Maddy stravolta dall' accaduto inizia a piangere forte come una bambina e ringrazia i dottori peraverle salvato la vita. Si riaddormenta con gli occhi allagati dalle lacrime e il cuore sommerso daldolore.Il tempo passa e Maddy non perde la passione per il mare. Trova lavoro in uno zoo acquatico doveincontra Sofia, una ragazza con la quale fa subito amicizia. Non si separano mai, fanno tuttoinsieme: escono, mangiano e abitano insieme. E insieme decidono anche di lavorare di più perguadagnare più soldi e adottare un delfino.Un giorno mentre Maddy stava lavorando incontra un ragazzo, Antony con il quale nasce subito unabellissima intesa. Antony con il passare del tempo inizia a provare più di un'amicizia per Maddy,ma lei sembra non provare gli stessi sentimenti.Anche Antony ama molto il surf, il mare e tutti i suoi abitanti vegetali e animali e proprio di questomessagiano sempre su whatsapp. A lui non importa non poter condividere con Maddy la passioneper il surf, si è perdutamente innamorato di lei e non gli importa che non abbia più le gambe.A Maddy le attenzioni di Antony iniziano a piacere e si accorge di provare qualcosa per lui. Coltimore di non essere accettata per il suo problema Maddy però si fa coraggio e fa capire al suoamico che anche lei non prova solo amicizia, ma qualcosa di diverso, difficile da descrivere.Con leggerezza, tra una chiacchiera e l'altra i due giovani si mettono insieme .Sofia ed Antony per il compleanno di Maddy organizzano una grande festa e le fanno un regalodavvero speciale: una nuova tavola da surf e delle protesi. Ora Maddy sarebbe tornata a giocare conle onde come un delfino e avrebbe potuto solcare il suo amatissimo mare.NON SMETTERE MAI DI CREDERE NEI TUOI SOGNI, ANCHE QUANDO SEMBRANOIMPOSSIBILI, E INSEGUILI FINO ALLA FINE

LA MACCHINA DELLO SPAZIOGabriele Tedesco - Francesco Troccoli - 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni PaoloII - BariSam era un ragazzo tredicenne che si era trasferito da poco nella Carolina del Nord. Sam non era unragazzo timido e nemmeno introverso, era uno di quei ragazzi che non hanno paura di niente.Quella notte stava messaggiando con il suo amico Luke, che l’aveva aiutato ad ambientarsi in quellacittà a lui nuova e parlavano dei nuovi professori e di come avevano trascorso la giornata. Dato cheil telefono si era spento, decise di spegnere la luce e mettersi a dormire. Ad un tratto, sentì deirumori strani provenire dal giardino e decise di prendere la torcia che era nel comodino e andare acontrollare; ma non andò come previsto... Puf! All’ improvviso cominciò a non sentire più la mano,ma che strano! Poi cominciò a non sentire più il braccio, e poi l’altro e infine tutto il corpo! L’ unicacosa che riuscì a fare fu prendere il suo telefono ormai scarico.All’improvviso si ritrovò in un luogo a lui familiare: era ritornato nella sua vecchia città. Ma quellacittà, che lui conosceva molto bene, aveva qualcosa di strano, infatti in giro non c’era nessuno aparte la deprimente natura appassita. Ma a quel punto gli squillò il cellulare: era Luke! Rispose esentì una voce cupa e tremante dire: ”VIENI SUBITO AL MAGAZZINO ABBANDONATODOVE GIOCAVI QUANDO ERI PICCOLO.” Sam era sorpreso ma soprattutto perplesso e

spaesato. Qualcosa gli diceva che sarebbe stato un azzardo accettare l’appuntamento, ma nonrifiutò.Si recò immediatamente all’appuntamento. Arrivato al magazzino incontrò il suo amico Luke chegli diede importanti informazioni su come erano stati catapultati in quella città. La macchina dellospazio era finita in mani sbagliate e solo ritrovandola sarebbero potuti tornare nella loro città e tuttosarebbe ritornato come prima. Luke aveva avuto queste informazioni da Robert, detto Bigbrain, ilcervellone, lo scienziato che aveva contribuito a costruire la portentosa macchina dello spazio. Egliera stato raggirato dal suo ex socio, lo scienziato “Crazy”, soprannominato così per la sua idea folledi voler essere contemporaneamente in più luoghi. Bigbrain, non ritenendo saggia questa idea,pensando alle conseguenze disastrose che avrebbe potuto avere, cercò di farlo ragionare, ma senzasuccesso. Così Crazy rubò, di nascosto la macchina al suo collega e iniziò ad usarla in manierasbagliata.Sam e Luke si recarono immediatamente nello studio di Bigbrain per pianificare insieme alloscienziato una strategia e recuperare la macchina dello spazio.Il piano prevedeva di studiare la mappa della città, trovare un’entrata secondaria nel maleficolaboratorio di Crazy e rubare furtivamente il marchingegno straordinario. Quindi la sera successivasi recarono nel laboratorio; tutto procedeva secondo i piani quando all’improvviso una sirenaassordante prese a suonare e da un corridoio spuntò con in mano la macchina dello spazio Crazyche disse con tono minaccioso: ”Non riavrete la macchina così facilmente. Dovrete impegnarvi dipiù.”Così i tre tornarono al laboratorio per pianificare un’altra strategia, si spremettero le meningi finoall’inverosimile, a Bigbrain addirittura quando rifletteva si vedevano gonfiarsi e pulsare le venedelle tempie. Pensarono così di sfruttare non solo il passaggio via terra, ma anche quello via aerea:crearono una macchina silenziosa che gli consentisse di saltare direttamente nel laboratorio delloscienziato pazzo.La seconda parte del piano prevedeva di arrivare nella sala dove Crazy custodiva gelosamente lamacchina, di lanciarla per poi subito riafferrarla con una rete e riportarla indietro a casa.Tutto pronto per il lancio! Sam doveva essere furtivo e tenace per raggiungere lo scopo. 3,2,1...lancio! L’ebbrezza del volo a tutta velocità sul viso non capita tutti i giorni, ma il ragazzo dovevaconcentrarsi sull’obiettivo. Ma ad un tratto sentì una voce femminile gentile e dolce chiamarlo, aprìgli occhi e si ritrovò nel suo caldo lettuccio.TUTTO, TUTTO CIO’ CHE AVEVA VISSUTO ERA SOLO UN SOGNO?!!! Sam aveva fattoquel sogno probabilmente perché provava un po’ di nostalgia per la sua “vecchia” città gli spiegò inseguito il padre.Arrivato a scuola raccontò tutto a Luke e i due scoprirono di aver fatto lo stesso sogno! Durante lalezione di scienze, il professore, che per combinazione si chiamava Robert, spiegò che era stataappena inventata una macchina che poteva trasportare da un luogo all’altro, da una dimensioneall’altra le persone. Continuando a descrivere l’incredibile invenzione, il professore mentre stavaper aggiungere il nome dell’inventore di quella straordinaria macchina, i due ragazzi lo anticiparonoin coro dicendo: ‘Crasy’. Il prof. Robert si ammutolì perplesso.

FRANCIC NEL REGNO DI TREMONTINOFrancesco Lanzolla - Vincenzo Tenerelli - 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni PaoloII - BariNel lontano medioevo esisteva su un’isola in mezzo all’oceano un regno chiamato “Tremotino”.Questo regno era governato da una regina il cui marito era morto tanto tempo prima. La regina

aveva una figlia, molto bella e molto giocherellona, di nome Serena. Un giorno la regina morì pervia di un cancro ai polmoni e la principessa Serena per potere diventare regina doveva trovare al piùpresto un degno consorte che avrebbe governato insieme a lei.Non sapendo scegliere chi sposare, e siccome amava sempre in ogni cosa divertirsi, inventò ungioco di nome “Eredum” che nella loro lingua significava l’erede. In questo gioco si entrava in unastanza dove c’erano 50 porte. Solo una di queste però portava nel castello al trono, invece le altre 49conducevano le persone che le avevano scelte fuori dal castello e non sempre l’uscita era dellemigliori. Chi si trovava in una discarica di rifiuti medievali, chi tra i sotterranei pieni di rattiaffamati, chi immerso nei liquami dei castellani, chi tra i poco ospitali animali e pesci del fossato.Parteciparono al gioco 50 ragazzi tra cui un ragazzo di nome Francic. Egli proveniva da unafamiglia povera, ma che da generazioni custodiva segretamente un potere speciale. I suoi genitoripotevano infatti diventare invisibili: la madre, battendo tre volte forte le mani; il padre, schioccandotre dita. Francic pensava però di non avere ereditato alcun potere, aveva provato tante volte a faretre gesti consecutivi con il suo corpo, ma non gli era mai capitato niente di prodigioso.Arrivò il giorno del gioco e il giovane era già nella stanza ed era indeciso su quale porta imboccare.Ancora nessuno prima di lui era riuscito a trovare quella giusta. Francic sperava solo di evitare ilpeggio e ne scelse una a caso. La aprì e attraversò un lungo corridoio. Era arrivato davanti un’altraporta. La spalancò e trovò con grande sorpresa davanti a sé 2 troni: uno su cui era seduta Serena el’altro era vuoto. Aveva vinto! Ma come dice il proverbio, mai gridare vittoria troppo presto, ilpeggio doveva ancora accadere.Il giorno dopo venne proclamato nuovo re del regno di “Tremotino”, il popolo gli fece un grandeapplauso e Francic fece 3 inchini. Sentì delle voci che dicevano –Ma dove è andato a finire? - Siguardò i piedi, ma non li vide. Subito capì: lui aveva il potere di diventare invisibile dopo essersiinchinato tre volte. Cinque minuti dopo tornò visibile. Al gioco aveva partecipato anche un magomalvagio che avrebbe voluto diventare re per governare l’isola, e poi, si sa, arrivare da lì a dominareil mondo. Non gli era certo andato giù che Francic avesse avuto la meglio su di lui, così inventò unpiano per liberarsi dell’intruso prima delle imminenti nozze. Doveva fare prigioniero Francic eportarlo nella “foresta di dolci”, una foresta fatta interamente di dolci dove vivevano però orsi ferocidal nome bizzarro, Orsetti Botti. In mancanza di un re a Trementino avrebbero ripetuto il gioco econ i suoi poteri sarebbe riuscito senza alcuna difficoltà a scegliere la porta giusta. Quella nottementre Francic dormiva arrivò il mago che lo imprigionò in un sacco. Lo depositò nella foresta didolci e il giovane si trovò con grande sorpresa sotto un albero fatto di gelato al cioccolato. Mentrestava per assaporare quel gigantesco e gustoso albero gelato, gli si avventarono gli orsetti Botti. Locondussero in una cella fatta di inquietanti ossa zuccherate. Gli dissero che avrebbe dovuto superareuna prova per essere liberato, in caso contrario l’avrebbero mangiato. Passarono i giorni e Francicera chiuso ancora nella cella dove si consolava mangiando ogni giorno un sacco pieno di torte edolci: gli orsetti volevano farlo ingrassare perché se non avesse superato la prova avrebbero avutouna preda più abbondante da mangiare. Dopo due settimane Francic ingrassò di ben dieci chili e gliorsetti Botti erano pronti a sottoporlo alla prova. Nel frattempo la regina, persa ogni speranza diritrovare il legittimo erede al trono, aveva detto che il gioco si sarebbe ripetuto proprio quel giorno.Gli orsetti allora porsero a Francic una domanda: - Se un gallo fa un uovo in una pianura, rotolaverso nord o verso sud? - poi continuarono: -Dacci una risposta, questa è la tua prova! - Il ragazzoci rifletté un po’ su e poi disse a caso: - L’uovo cadrà a sud!-. Gli orsetti allora gli si avventaronosopra e Francic e a lui fu evidente che la risposta non era quella giusta. - Esprimi il tuo ultimodesiderio - gridarono gli orsetti pregustando il gustoso pasto.- Prima di morire vorrei fare un piccolo spettacolo in vostro onore, in fondo per tutti questi giornimi avete nutrito di dolci così gustosi che non avevo mai assaggiato prima. – Gli orsetti incuriositiacconsentirono. Alla fine della sua esibizione gli orsetti Botti molto divertiti applaudirono. Francicallora si inchinò tre volte e diventò invisibile. Il ragazzo di corsa si diresse verso Tremotino. Intantoil mago stava partecipando al gioco ‘Eredum’. Francic corse a tutta velocità verso la sua amata isolae la sua desiderata futura regina.

La principessa Serena era molto preoccupata, lei in realtà non voleva un nuovo re e un nuovo maritoma aveva scelto di far ripetere il gioco perché da sola non poteva governare, era necessario unconsorte per accedere al titolo di regina.Il mago usò i suoi poteri per trovare la porta giusta, ma all’ultimo istante mentre stava perraggiungere la maniglia dell’ultima porta gli comparve davanti Francic. La regina fece salti di gioianel vederlo, ma...Il principe, guardando lo sguardo torvo del mago, comprese il pericolo e cercò di neutralizzarlo.Egli però subito iniziò a sparare fulmini e ogni cosa dalla forma appuntita contro il giovane.Francic, inchinatosi tre volte diventò invisibile, corse alle spalle del mare, prese una spada appesasul muro del castello e lo trafisse al cuore, dal quale sgorgò, invece di sangue rosso, una melmamaleodorante verde, forse tutta la sua cattiveria.Francic divenne degno re di altrettanto degna regina. Ebbero un figlio che si divertiva a fare moltischerzi e quando talvolta veniva sgridato per le sue marachelle ad un certo punto ….Gli orsi Botti? Bè, loro, morto il malefico mago cattivo che esercitava certamente una cattivainfluenza su di loro, divennero grandi amici del re, della regina e del loro piccolo e di tanto in tantosi recavano nel regno di Tremontino portando alla allegra famigliola reale in dono i lorogustosissimi …

Il mistero del furto al museoSimona Lepore - Annarita Torres - 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni Paolo II -BariIn Inghilterra, per l’esattezza a Londra vivevano due ragazze, Anne e Kate, in due quartieri diversi.Kate aveva conosciuto Anne un gelido inverno, quando la sua cagnolina Lily si era trovata indifficoltà nel laghetto ghiacciato e Anne, senza conoscerla, l’aveva aiutata a soccorrere il poveroanimale spaventato ed intirizzito.Fu così che le due ragazze fecero amicizia e cominciarono a frequentarsi.Anne era triste perché aveva perso il lavoro da poco e temeva di non poter più aiutare la suafamiglia economicamente; Kate, che proveniva da una famiglia più ricca, le offrì, comericonoscenza per l'aiuto prestato alla sua adorata Lily, un viaggio.Decisero insieme di visitare la Scozia. Partirono dopo due settimane in aereo ed arrivarono adEdimburgo dove Kate aveva prenotato una camera in una pensioncina modesta ma assaicaratteristica. Lasciarono i loro bagagli in camera e decisero di andare a visitare la città e il museo“The People Story”. Volevano sfruttare ogni minuto della loro permanenza lì.Al museo fecero amicizia con i due custodi Peter di 30 anni e Wiliam del doppio. Visitarono granparte del museo e trovandolo immensamente grande e interessante decisero di ritornarci anche ilgiorno dopo. E cosi fu...Il giorno dopo però appena solcarono l’ingresso, William raccontò loro concitato della sparizione dimolti oggetti preziosi appartenuti ai sovrani scozzesi custoditi nel museo. Quella sera Peter si eraammalato ed aveva saltato il turno, quindi solo lui poteva essere incolpato dell’accaduto. Il custodetemeva per il suo posto di lavoro...era lui l’unico responsabile e se non si fossero trovati i gioielli...Le ragazze decisero di dargli una mano e perlustrarono ogni singolo centimetro del museo senzatrovare nulla.Restava da perlustrare il cimitero dove era stato sepolto il famoso criminale inglese John Brodic,vissuto a Londra tanti anni prima. Lo esplorarono prestando attenzione ad ogni zolla di terrenosmossa di recente. La giornata fu lunga, faticosa ma soprattutto infruttuosa. Tornarono in albergo...la notte avrebbe portato loro consiglio...Ma nulla... Avevano bisogno di distrarsi un po' e decisero di recarsi a visitare il famoso castello diEdimburgo e vedere dalle sue torri il panorama mozzafiato.Dall’alto lo sguardo si soffermò su una persona dai tratti familiari, era William nel parcheggio cheparlava con alcuni strani ceffi e consegnava ad uno di loro una strana busta, molto sospetta agli

occhi delle due ragazze.Il custode allora non era cosi innocente come sembrava e doveva dar loro molte spiegazioni. Forseera complice nella sparizione dal museo... ma dove aveva nascosto i gioielli?All'improvviso un lampo di genio balenò nella mente della riflessiva Kate...Quando erano giunte troppo vicine alla tomba di Brodic avevano notato che la lapide sembravaspostata ma William aveva detto loro che Peter aveva tumulato il suo cane proprio lì. Tuttosembrava molto sospetto...Corsero al cimitero e giunte alla tomba cominciarono a scavare trovando infatti la refurtiva. Maqualcosa ancora non quadrava, perché William aveva voluto coinvolgerle nella ricerca? E se ilresponsabile non fosse stato lui?” pensarono entrambe.Prima di recarsi alla polizia decisero di parlargli a quattr’occhi e verificare la sua eventualecolpevolezza. Sembrava un brav'uomo, incapace di azioni criminali, ma se vi fosse stato costretto?Infatti quando Anne e Kate riferirono al custode le conclusioni alle quali erano giunte, egli scoppiòa piangere, rivelando di essere nelle mani degli usurai. Lui aveva chiesto aiuto a suo fratello chefortunatamente gli aveva dato i soldi necessari per saldare il suo debito. William aveva sbagliato amettersi nelle mani di così brutti ceffi, ma era innocente e non era coinvolto nel furto.Le ombre della sera calavano sul bianco e imponente edificio del museo, quando ad un tratto alleloro spalle le due ragazze e William sentirono un rumore strano e videro la sagoma di un uomodietro un albero che impugnava una pistola. Era Peter, l'altro custode, che aveva sentito tutto e cheora minacciava tutti e tre di morte se non gli avessero consegnato i preziosi che le ragazze avevanoritrovato.Impauriti e tremanti dissero che non li avevano con loro, ma che glieli avrebbero restituiti subito.Fortunatamente nel frattempo si sentì il rassicurante suono di una sirena della polizia.Da giorni controllava i custodi ed anche loro due erano sotto sorveglianza senza saperlo. Per fortunatutto si stava concludendo per il meglio.Ad Anne e Kate, per il coraggio e l’onestà dimostrate, le autorità scozzesi offrirono un'altrasettimana di permanenza ad Edimburgo tutta spesata. Le ragazze però a questo punto non vedevanol'ora di fare ritorno in patria, il viaggio era stato indimenticabile, ma troppo estenuante per loro...Le vere vacanze sarebbero iniziate tornando a casa...

Zombie apocalypseAlessandro Losacco - Francesco Nuzzs - 2° D - Istituto comprensivo De Marinis - Giovanni PaoloII - Bari-Ehi Ras come stai? -Domanda Misty....Ma non è ancora arrivato il momento di parlarne. Tutto iniziò il due marzo, quando due scienziati,Maxis e Richtofen, decisero di giocare con il tempo attraverso il teletrasporto. Ma questo giochettocomportò un inconveniente, cioè che i due scienziati a causa di un errore di calcolo rimanesserobloccati nello spazio-tempo in un luogo infestato da zombie. Gli zombie sono esseri non morti cheescono dalle tombe e dalle nostre paure più profonde, i loro corpi si lacerano e poiché si trovano inun avanzato stato di decomposizione emanano un odore di putrefazione. Si aggirano per tutta lanotte in cerca di carne umana fresca di cui potersi nutrire.L’errore ebbe però alcuni risvolti positivi: Richtofen inventò un congegno geniale con il qualeriusciva a controllare gli zombie e Maxis con la sua teletrasmittente riuscì a comunicare con isopravvissuti, Rasman, Misty, Stunlinger, Marlton.A un certo punto i sopravvissuti iniziarono a sentire nella loro mente una strana voce che imploravadi essere ascoltata. Quella voce apparteneva a Maxis. Iniziata la comunicazione con gli umani,Maxis chiese loro di lanciare i “missili Nova” sulla Terra per eliminare l’invasione zombie. Per

avvicinarsi agli zombie Maxis doveva però attivare la torre di Babele che serviva a dare energia alteletrasporto.I sopravvissuti dettero ascolto a Maxis e sganciarono i tre missili Nova, proprio dove Richtofenschierava orde di zombie che lanciava poi contro i sopravvissuti stessi. Distrutte le inquietanticreature della notte i due scienziati tornarono sulla Terra. Rasman e gli altri notarono però che ilproblema zombie persisteva, decisero allora di vivere e combattere fino alla fine per distruggerli.Per fortuna vennero altri soldati in aiuto dei sopravvissuti. Indossavano due ginocchiere e al centrodel torace portavano un’enorme piastra rotonda color oro che serviva per abbagliare gli zombie epoterli colpire. Erano armati di un KA-64 un’arma mai vista sul pianeta Terra, tanto potente che unsolo colpo era capace di sterminare migliaia di zombie. Siccome molto tempo prima il loro pianetaaveva subito lo stesso attacco, usarono contro gli zombie una tecnica molto astuta, quella di fare unamiscela con varie parti del corpo degli zombie uccisi, e quindi avere il loro stesso odore per nonessere attaccati. Questa tecnica la fecero usare anche ai sopravvissuti.Marx e Richtofen, inavvertitamente per sfuggire dagli zombie, anche avendo il supporto di questisoldati, si trovarono vicino ad un’altra torre di Babele che inavvertitamente si mise in funzione lorosi trovarono fuori dallo spazio-tempoDa allora sfortunatamente più nessuno controlla più gli zombie.

UN NUOVO MONDO PER MICHELLEdi Di Gregorio Alessandro, Filomena Alessia e Sicolo Luana-IA Scuola Secondaria di PrimoGrado “Cirasole” di Poggiorsini - di Gravina di PugliaNella lontana Africa settentrionale, a Bengasi, viveva una meravigliosa principessa di nomeMichelle. Era una ragazza gentile e intelligente con occhi grandi e curiosi, una pelle nera come ilcioccolato e amava la natura e il mondo che la circondava. La sua vita trascorreva lieta e serena finoa quando, un giorno, il suo paese venne attaccato dai francesi che volevano conquistare il territoriolibico. La residenza reale fu la prima ad essere espugnata dai nemici, ma il re e la regina riuscironoa mettere in salvo la loro amata Michelle, che dovette lasciare la Libia in gran segreto. Si imbarcò,così, con altre 500 persone su una nave di fortuna diretta in un paese che tutti ammiravano: l'Italia.Il viaggio fu rischioso e pericoloso, vissuto tra la fame, il freddo, la sporcizia e la paura; ma, dopotre giorni, la nave fu colta da una tempesta improvvisa, urtò uno scoglio e iniziò ad imbarcareacqua. Tutti i passeggeri furono scaraventati in mare: molti non riuscirono a salvarsi, mentre altri,tra cui Michelle, riuscirono a nuotare arrivando su un' isola sconosciuta dove si accamparono. Alrisveglio, dopo una notte terribile, Michelle iniziò ad esplorare il territorio alla ricerca di qualcosada mangiare e, mentre girovagava, venne illuminata da una luce abbagliante nella quale distinsechiaramente una bellissima fata dalle ali brillanti e un vestito scintillante. Michelle rimaseaffascinata dalla bellezza e dallo splendore della fata che, però, era in grave difficoltà, poichèincastrata in una trappola creata dagli uomini e la sua preziosa bacchetta magica era caduta tra icespugli. Michelle decise di aiutare la fata, la liberò dalla crudele trappola e la aiutò a ritrovare labacchetta magica. Le due iniziarono a fare amicizia:Michelle raccontò alla piccola fatina lasituazione drammatica del suo paese e delle difficoltà affrontate durante il viaggio. Il tempotrascorse velocemente, ma la principessa ricordò che doveva riprendere il suo cammino. La fatina ledisse che avrebbe potuto contare sul suo aiuto ogni volta che si fosse trovata in difficoltà. Michellecontinuò l'esplorazione di questa nuova terra e, dopo aver attraversato ponti e salite, arrivò all'ingresso di una caverna buia. All'inizio ebbe un po’ paura, ma era allo stremo delle forze e avevabisogno di riposarsi. Così decise di farsi coraggio ed entrare per poter schiacciare un pisolino…Siaddormentò esausta ma, dopo poco tempo, fu svegliata da un rumore improvviso. Andò a

controllare e scorse, in un angolo, un enorme drago che sembrava piangesse. La ragazza si avvicinòcautamente e si accorse che il povero animale si lamentava per una zampa ferita da una lancia.Michelle non esitò ad aiutarlo e, con coraggio ed estrema calma, estrasse la lancia dal piede dell'addolorato drago. Anche lui era in debito con lei e le chiese cosa avrebbe potuto fare per ricambiaretanta gentilezza. La ragazza gli chiese di poter salire sulle sue spalle ed essere condotta in volo nellatanto ricercata Italia, dove avrebbe potuto rifarsi una vita. Il drago la accontentò e, in men che nonsi dica, Michelle raggiunse le coste di questa penisola a forma di stivale. Ringraziò il drago, losalutò e, piena di tante speranze, raggiunse il villaggio più vicino . Quando gli abitanti la videroebbero paura di lei, perché fisicamente era diversa da loro e pensarono che Michelle fosse portatricedi male e sventura. Così non si preoccuparono di chiederle come stava o quali sogni avesse….lediedero solo del cibo e poi la allontanarono. La povera principessa andò via amareggiata e si sentìimmersa in una grande solitudine. Giunse presto la notte e trovò riparo in una casetta sulla spiaggia:osservava il cielo stellato, quello stesso cielo che tante volte si era soffermata a guardare con i suoigenitori. Ma ora le sembrava diverso e non poté fare a meno di pensare a loro, alla sua terra, a tuttociò che aveva lasciato e non riuscì a trattenere le lacrime. Il suo pianto però, dolce e sincero, volòlontano per richiamare il drago e la fatina che subito apparvero dinanzi a lei. Michelle fu felicissimadi vederli e capì che con loro sarebbe stata contenta perché la vera amicizia è quella che sa accettartiper come sei senza limiti o compromessi.

L’amico vero (racconto felice)Di Genuario Felice-IA Scuola Secondaria di Primo Grado “Cirasole” di Poggiorsini - di Gravinadi PugliaIn un piccolo paesino situato tra le colline, vivevano un gruppo di ragazzi che amavano andarsenein giro a divertirsi.Avevano undici anni e frequentavano la prima media.Si conoscevano fin da piccoli perché, nel paesino, i bambini erano così pochi che anche la scuolaera unica e con un un’unica classe per ogni età.Tutti gli anni trascorsi insieme, dalla scuola dell’infanzia fino alle scuole medie, non erano bastati acreare un gruppo unito e compatto.Nella classe i ragazzi erano quindici, di cui otto maschi e sette femmine.Tra le femmine non c’erano grossi problemi: fin da subito erano diventate amiche e andavano tutted’accordo, a parte qualche piccolo litigio ogni tanto che era normale vista la loro età. Giocavanosempre tutte insieme e si riunivano pure per studiare o per guardare un film. Mentre, tra il gruppodei maschietti si erano create subito delle rivalità.Michele era un ragazzino timido e riservato, basso e grassottello e, per via del suo aspetto, era statopreso di mira dai suoi compagni che lo prendevano in giro e gli facevano sempre dispetti.E poi c’era Nicola, che tutti chiamavano Capo: arrogante e prepotente e con un vocione che solo asentirlo metteva timore.Il resto dei ragazzi erano tutti seguaci di quel bullo e dispettoso solo per paura di ritrovarselocontro.Ben presto, quindi, Michele si ritrovò solo contro tutti.Ogni giorno che passava, Nicola si sentiva sempre più forte e diventava ancora più cattivo neiconfronti di Michele perché con lui si sentiva invincibile.Gli rubava la merenda, lo picchiava, gli nascondeva lo zaino…insomma ne combinava di tutti icolori. Michele, poverino, piangeva e soffriva, ma nessuno lo aiutava, anche se, in realtà, aqualcuno dispiaceva vederlo piangere.Nessuno, però, aveva il coraggio di andare contro Nicola.Un giorno , mentre il gruppo era in giro a combinare le solite marachelle, Nicola tentò di scavalcareil cancello della scuola e, preso dalla fretta, scivolò e si ritrovò a terra ferito. I suoi compagni,

spaventati, scapparono via per non essere scoperti e lasciarono solo Nicola che era steso sulpavimento e si stringeva forte la caviglia.Nicola piangeva per il dolore, ma in cuor suo era anche dispiaciuto perché lui ,il capo, era rimastosolo.Per caso, in quel momento, passò di lì proprio Michele e, vedendo Nicola in difficoltà, decise diaiutarlo. Nicola però non ne voleva sapere di essere aiutato proprio dal suo peggior nemico e locacciò via insultandolo. Michele si allontanò dispiaciuto ma solo per andare a chiamare qualcuno.Infatti fermò un passante e Nicola fu portato in ospedale.Michele ogni giorno andava a trovarlo e gli portava i compiti che avevano fatto a scuola, dei giochie anche delle merende, ma Nicola, per orgoglio, rifiutava la sua amicizia.Gli altri ragazzi che Nicola considerava suoi amici non si fecero nemmeno vedere.E fu così che, finalmente, Nicola si rese conto di quanto stesse sbagliando e iniziò a vedere conocchi diversi il suo compagno Michele.Quando finalmente tornò a scuola, il primo che abbracciò davanti a tutti fu proprio Michele e daquel momento divennero grandi amici e lo sono ancora oggi più di prima.Michele divenne più tranquillo e sereno e Nicola non fu più il dispettoso e arrogante che tutticonoscevano. Divenne un bravo ragazzo e tutti iniziarono a volergli bene per davvero.

AMICHE PER CASODi Marrulli Giulia IA Scuola Secondaria di Primo Grado “Cirasole” di Poggiorsini – di Gravinadi PugliaIl giorno del suo battesimo, la dolce bimba Sofia ricevette in dono uno specchietto particolare che isuoi genitori conservarono. Tantissimi anni dopo, quando Sofia aveva già 13 anni ritrovò quelpiccolo dono in un vecchio baule in cantina. Si specchiò e, involontariamente, pigiò un pulsantino e,come d'incanto, al suo interno apparve una ragazza. Sofia rimase stupita e dopo qualche attimo diesitazione disse: "Come ti chiami ?"ed ella rispose: "Mi chiamo Aurora".Sofia rimase sbalordita e le chiese come mai si trovasse nello specchio. Allora Aurora cominciò araccontare la sua storia:"Tredici anni fa, durante una festosa serata di Halloween con le mie compagne, successe qualcosadi assurdo: una mia amica pronunciò delle strane parole a voce alta e, dopo pochi secondi, io erointrappolata in questo specchio. I miei genitori mi hanno cercata invano ovunque e la mia amica,terrorizzata dalla mia improvvisa scomparsa e dalle possibili conseguenze, non ha mai raccontato anessuno l’accaduto. Ma d’altro canto neppure lei sa dove mi trovo".A quel punto Aurora pregò Sofia di aiutarla ad uscire da quello specchio che non le permetteva divivere la sua vita . Sofia decise di accettare e cominciarono a studiare cosa fare. Passarono giorni egiorni, ma non trovarono alcuna soluzione. Sofia ricordò che in cantina erano conservati tanti libriantichi, tra cui uno di streghe e incantesimi. Con lo specchio in tasca trascorse in cantina ore e oresfogliando qua e la e, quando oramai aveva perso tutte le speranze, trovò il libro adatto e lo portò incamera sua alla ricerca di una formula che potesse liberare la povera Aurora. All’ora di cena Sofia dovette smettere di leggere , si svegliò all'alba e riprese la lettura del libro.Fortunatamente trovò una formula che sembrava perfetta per il suo casoed ,entusiasta, svegliòAurora dicendole di aver trovato la soluzione. Provò a pronunciare quelle parole tantissime voltema... niente, nessun risultato: Aurora era ancora dentro quello specchio.A quel punto Aurora pensò che forse l’unica soluzione poteva essere di far pronunciare quelleparole alla stessa persona che tredici anni prima le aveva fatto, senza volerlo, quell’incantesimo. .Infatti, Sofia dopo aver riletto attentamente il libro scoprì che era così. Come potevano rintracciarequell'amica di cui non sapeva più niente? Entrambe erano demoralizzate e disperate! Tra loro eranata un'amicizia particolare e sincera che sarebbe stata ancor più bella se Aurora fosse stata fuori

dallo specchio. Passarono alcune settimane durante le quali la loro amicizia si rafforzò ed ebberomodo di conoscersi meglio raccontandosi l'una dell'altra. Erano già diventate inseparabili. Una mattina Aurora suggerì a Sofia di fare una ricerca ,fornendole le informazioni che ricordava suquella bambina e, così, riuscirono a risalire finalmente all'indirizzo della vecchia amica che, conloro grande meraviglia,viveva a sette isolati da casa di Sofia e con lo specchietto corse aquell’indirizzo.La bambina, che ormai era una ragazza, la fece entrare e subito Sofia le mostrò lo specchio eAurora. La ragazza ne fu sorpresa e allo stesso tempo contenta: dai suoi occhi scendevano lacrimedi gioia, perché per tanto tempo aveva cercato di capire dove fosse finita la sua amica e da quelgiorno aveva vissuto con un gran senso di colpa. Aurora, allora le chiese di annullare l'incantesimopronunciando le parole magiche ed ella accettò con piacere Finalmente con la formula magicapronunciata Aurora si materializzò venendo fuori da quello specchio che per anni era stato la suaprigione.Tra loro nacque un'amicizia profonda basata sulla sincerità e lealtà, che durò nel tempo eda quell'esperienza impararono che bisogna sempre riflettere prima di dire o fare qualcosa chealtrimenti potrebbe danneggiare chi ci sta vicino.

LA PRINCIPESSA SOFIADi Silvestri Donatella-IA Scuola Secondaria di Primo Grado “Cirasole” di Poggiorsini - diGravina di PugliaC'era una volta una principessa di nome Sofia che abitava in un castello con i suoi genitori e i suoidue fratelli. Il castello si affacciava su uno splendido giardino con una fontana e la casetta del magodi corte Felix. Un giorno arrivò una maga di nome Milù portando con sé numerosi regali per lafamiglia reale e,così, riuscì ad entrare nella corte della principessa Sofia. Ma dopo qualche giorno lasua fidata rosa Amelia le chiese quali fossero le sue reali intenzioni. Milù rispose: “Intendo rubare l'anello magico di Sofia. Durante la cena farò delle magie per distrarli e poi ruberò l' anello. Ma tudovrai, con le tue radici, chiudere tutte le porte e finestre dopo la mia fuga”. Detto questo si recòverso la casetta del mago Felix e, approfittando della sua distrazione, fece un incantesimo alla suabacchetta magica per impedirgli di fare magie. Durante la cena di gala, come di consueto, Felixdoveva tenere il suo numero di magia, così comiciò il suo spettacolo, ma la bacchetta non diedegrandi risultati. Milù si vantò di essere più brava e lo sostituì,incantando tutti gli ospiti. Felix,offeso, se ne andò e Sofia lo seguì. Milù scomparve e la rosa Amelia, come da accordi, sigillò tuttele finestre e tutte le porte. Ad un certo punto dalla collana di Sofia venne fuori la bellaCenerentola. Sofia, sbalordita, le chiese come fosse arrivata, ma Cenerentola le rispose: “Io sonovenuta per dirti che Milù non è la persona che credi, ma si chiama Strega Orchidea e vuole rubare iltuo anello. Alcune volte fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio”. Cenerentola scomparve e Sofiadisse tutto subito a Felix. Ma Felix non aveva potere nella sua bacchetta! Allora Sofia chiamò i suoiamici: Fufi il coniglietto e Carmen la cornacchia. Sofia ordinò loro di rubare la bacchetta dellastrega Orchidea, essi seguirono gli ordini e Felix riuscì a salvare tutti gli abitanti del castello evissero tutti felici e contenti.

Un sogno da pauraII C - I.C. Balilla-ImbrianiJames,viveva con i genitori,nella periferia di una città americana e aveva un'unica passione...giocareai videogames.

La sua camera era piena di apparecchi elettronici: tv, console, tablet e computer. Inoltre aveva tuttigli accessori possibili e immaginabili come il suo monitor touch, accompagnato da quasi trecentogiochi per le varie console.La giornata di James era un po' monotona perchè, appena sveglio, si lavava, si vestiva e andava ascuola. Non andava molto bene perchè non voleva studiare e, quando tornava a casa non facevaaltro che giocare ai videogames.A volte pranzava in fretta e furia, sempre nella sua stanza, perchè voleva finire il suo gioco allaplaystation.Il suo genere preferito era l'horror e aveva giochi come Outlast o Slender e non vedeva l'ora di finireil gioco della sua serie preferita per andare subito a comprarne un altro.Quando qualcuno gli faceva notare che spendeva troppi soldi per questi giochi, rispondeva:”Sono isoldi miglior spesi della mia vita!”Una notte sognò di essere il protagonista del gioco Slender, il suo preferito.L'inizio della sua avventura cominciava con un biglietto che diceva:”Hai trovato me ma non tutti glialtri”e, in basso a destra c'era scritto 1/8.Capì subito che c'erano ancora sette biglietti da trovare in una fredda notte, in una vasta foresta conalberi fittissimi e con l'erba alta.Inoltre James nel sogno reggeva un telecamera che aveva le pile, così quando si scaricava dovevacercarne altre per farla rimanere accesa, ma non era affatto semplice.Prima di fare qualsiasi cosa,James, furbescamente cercava le pile per fare il pieno così poi non sisarebbe distratto nella ricerca dei biglietti.Le pile non furon facili da reperire, ma in mezz'ora, circa, trovò 3 pile.Ora bastava cercare i biglietti che era attaccati agli alberi.Armato di torcia e telecamera e qualche pila James, partì.Egli camminò per quasi due ore ma di biglietti ne aveva trovati solo quattro.Non si perse d'animo, continuò a cercare e ne trovò un altro.Intanto, la telecamera stava per scaricarsi e gli rimaneva una sola pila.I biglietti ora erano sei, mac'era scritta sempre la stessa cosa. James era sempre più curioso.“Dai dov'è il settimo!”esclamava nella foresta James.Proprio non lo trovava.James stava per mollare tutto quando ad un certo punto vide su un albero, anziché un foglio, comeal solito, una scritta direttamente incisa:”Te ne manca solo uno...”Intanto la telecamera era praticamente scarica, perchè era a metà dell'ultima pila.James si affrettò, cominciò a correre come se un pitbull affamato lo stesse inseguendo.La telecamera si era scaricata e si spense, ma si accorse che aveva un'altra pila in tasca...forse avevaancora una speranza...anzi no, perchè James fece cadere la sua ultima possibilità in un piccololaghetto di sabbie mobili.Provò a prenderla prima che cadesse, ma una mano lo toccò da dietro.James si girò in un millesimo di secondo, ma ormai era troppo tardi:un uomo con il visoscarno,bianco e senza naso, bocca e occhi, lo spinse nelle sabbie mobili, insieme alla pila.“James, James, svegliati”disse la madre.”Svegliati, è ora di andare a scuola”.James si svegliò di colpo e subito si toccò, come per controllare se fosse ancora tutto intero.“Ah, meno male, mamma ho fatto un sogno che mi ha spaventato a morte: ero il protaganista di...” -”Su dai fai colazione e riprenditi, sei a casa”.James si rasserenò, perchè quello era stato solo un sogno e andò, non molto pimpante, come alsolito, a scuola.

Billy Bella, prof. … di cuori!Lomuscio Rebecca, Piccolo Christian, Piccolo Elena (I E) - ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO" - AndriaMancavano solo pochi minuti al suono della campanella.“Uffa… il prof. Bella ci ha assegnato tantissimi compiti per domani…” disse Ken (il LATINLOVER della classe) accarezzando il suo folto ciuffo di capelli.“Lo sapete che si fa chiamare Billy Bella? Ma il suo vero nome è Capra Bella. Come avete potutodedurre, è un gran bugiardo!” disse Barbie (l‟eterna ragazza di Ken).“Sapete che abita in Via De Ciuchini, 17 nella città di Bibi? E‟ una casa decrepita, piena diragnatele, libri vecchi, cartacce e abiti disseminati dappertutto. È di un colore indefinito… direiborgogna!” commentò Matt (il figlio del cappellaio).“Pare che sia stato eletto il peggior professore dell‟anno, per giunta non sa cosa sia la pulizia!”disse Ermione (lettrice sfegatata di Harry Potter).“Indossa sempre jeans anni ottanta, calze spaiate, la sua camicia rosa shocking, piena di toppe emacchie di vario genere, le sue orribili scarpe!” intervenne, inorridita, Boutique (lei vive solo dimoda).“Ha parlato la fashion blogger „de no artri‟! „Nun hai ancora capito che quelli so zoccoli, nunscarpe. Me pare proprio un ciociaro!‟” fu il pensiero „ispirato‟ di Borbotticus (un romanotrapiantato nella città di Bibi, campione di borbottio estremo).Boutique riprese imbarazzata: “Quelle bretelle grigie sono sbiadite! La sua giacca non ho capito chetaglio abbia, ha i bottoni gialli e per giunta è piena di macchie d‟unto!! Forse sarebbe stata di modavent‟anni fa, ma sono vent‟anni che non si indossa più quel verde!! Ha un cappello scolorito,probabilmente risale all‟epoca della giacca, forse era sui toni del rosa! Che orrore!!”“È così miope che senza occhiali non distinguerebbe un topo da un elefante. A stento si distingueche ha gli occhi color ardesia” sentenziò Quattrocchi (l‟intelligentone della classe).Boutique ormai parlava da sola… “Ma non saprei dire neanche che taglia indossa!! E quei capellibiondi e ricci … ma dove si è visto mai!! Lo devo mettere subito in contatto con il mio centroestetico: bisogna subito far qualcosa per quel naso a patata

pieno di germogli…” Stava per svenire dall‟orrore se non fosse intervenuto Willy (il figlio deldentista): “Tranquilla, lo porterò subito dal mio papà. Solo lui saprà dare un aspetto passabile aquella specie di sorriso…”Intellectual (la ragazza “intellettuale” della classe), ormai annaiata da tante ovvietà, sostenne contrasporto: “Secondo me non è in grado di spiegare proprio niente! Odia la matematica, è certo.Perché la insegna, allora!?!”“È acido come un limone e poi dà troppi compiti e pretende troppo da noi, dice che dobbiamo stareattenti e che non bisogna dormire in classe, ma … è lui il primo che lo fa! Dice che non dobbiamochiacchierare e che non bisogna uscire senza permesso, ma proprio lui alla prima occasione esce achiacchierare con chiunque gli capiti a tiro. Si arrabbia subito e trova sempre un motivo per metterciuna nota o darci un‟insufficienza, dice di rispettare il materiale scolastico, ma lui è il più sciatto ditutti. Lo dico sempre: „La legge è uguale per tutti‟!” fu l‟opinione di Art (il figlio del sindaco).“Un giorno studierò la sua scrittura per fare un murales!” disse Graffito (l‟artista di Street Art).“Però, tutto sommato è un buon prof.” concluse Honest, il più onesto e il più sincero di tutti.Tutti si guardarono, allora, negli occhi … e si resero conto di aver esagerato un po‟ … o forse unpo‟ troppo.Allora scoppiarono in una sonora risata ed esclamarono all‟unisono:“Mai senza il nostro Billy Bella!!!”

TRA STREGHE E FATECLASSE I E - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO" - ALUNNE: BRUNO MARIAPIA,DI BARI SIMONA, MELO FEDERICA - ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" -SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO" - AndriaC’era una volta, in una piccola città lontana, nei pressi dell’antico vulcano di nome Lavafungo, unafamiglia di streghe, formata da mamma Bollita, papà Magma e loro figliola Fuocolinda.Fuocolinda non aveva tanti amici, perché, essendo una strega, i ragazzi del villaggio pensavanofosse maligna. In realtà era molto buona, era di gran lunga più buona della fata Fatalinda, suacugina.Fatalinda viveva dall’altro lato del villaggio, in un bel castello con mamma Magica e papà Bengi.Le due cugine erano rivali, perché ad entrambe piaceva lo stesso giovane, Jack, un elfo affascinantee generoso con tutti, che abitava tra due colline, non molto lontano dal villaggio.Le due fanciulle e il giovane andavano tutti insieme a Scuola di Magia, ma frequentavano corsidifferenti.Jack era molto attratto dalla bellezza e dalla bontà della strega Fuocolinda ed un giorno la incontrò efinalmente ebbe il coraggio di dichiararle tutto il suo amore. La fanciulla, che non aspettava altro, fufelicissima ed accettò subito di diventare la fidanzata di Jack.Ma, proprio quando i due erano sul punto di baciarsi, apparve Fatalinda che non volevaassolutamente che Jack si fidanzasse con sua cugina ed era disposta a fare di tutto per ostacolare illoro amore.Allora Fatalinda con un incantesimo trasformò Jack in un’oca, poi sparì.Fuocolinda disperata cercò di trovare una soluzione, sfogliò i libri di magia che possedeva ma nontrovò un contro-incantesimo adeguato. Allora per salvare il suo Jack decise di rivolgersi ad unapersona veramente esperta in stregoneria, sua nonna Curvetta che abitava a Streghelandia.

Quella notte Fuocolinda pose in una gabbietta Jack-oca, lo prese con sé e si incamminò verso lacasetta della nonna; il mattino dopo bussò alla sua porta e tutta agitata e preoccupata le chiese aiuto.Curvetta invitò la nipote ad entrare e a spiegarle con calma l’accaduto. Dopo aver ascoltato tutto ilracconto, condusse Fuocolinda e Jack-oca nella misteriosa sala di magia, preparò la pozione magicaappropriata e la fece bere al giovane.In un attimo l’incantesimo si spezzò e Jack ritornò al suo aspetto normale. Fuocolinda e Jackfinalmente si abbracciarono, ringraziarono la nonna Curvetta e ritornarono al villaggio, dove tutti listavano aspettando, soprattutto i loro genitori e i loro amici.E che fine fece Fatalinda? Fu punita da nonna Curvetta che con un incantesimo la trasformò ingallina e la chiuse in gabbia.Jack e Fuocolinda, che ormai non correvano più alcun pericolo, dopo alcuni anni si sposarono evissero felici e contenti.BRUNO MARIAPIA, DI BARI SIMONA, MELO FEDERICA (I E)

IL CAVALIERE MINATORE JAMESDomenico Centrullo - Jacopo Messeni Petruzzelli - Francesco Sisto2°D – Scuola secondaria di 1° grado De MarinisC’era una volta, in un’isola lontana, un giovane minatore, che era stato vittima di una maledizioneperché aveva distrutto la casa di una strega cattiva mentre stava cacciando un creeper, una creaturaostile che si fa esplodere quando meno te l’aspetti. La strega quando tornò lo rese “sfigato”, cioècontinuamente causa o vittima di piccoli incidenti e per questo sempre disprezzato da tutti. Ilminatore sfortunato si chiamava James e lavorava nelle miniere giorno e notte senza mai perdere lasperanza di diventare un giorno qualcuno da ricordare non solo per la sua “sfiga”. Un giorno, mentre scavava con il suo piccone di ferro, in lontananza vide una strana luce, troppoaccecante per essere quella del Sole. Si avvicinò furtivamente per capire da dove provenisse: guardòin lontananza e notò che si trattava di un bellissimo PEGASO✈ ALATO BIANCO con delle alimaestose che splendevano alla luce del Sole. Il suo bagliore derivava dalla criniera cheFIAMMEGGIAVA☀ GRANDIOSA .James, a prima vista, si spaventò e lo fece ancora di più quando il PEGASO si avvicinò a lui e gliiniziò a parlare con voce imponente: “Ciao James, ti starai chiedendo perché sono qui. Bè, volevoavvisarti che, grazie al mio aiuto, potrai diventare un eroe. Montami in groppa.”James ancora incredulo salì sul suo dorso, PEGASO nitrì e in un attimo si aprì un portale chetrasportò cavallo e cavaliere in un’altra dimensione. James cadde in un sonno profondo e al suorisveglio si ritrovò in una dimensione diversa da quella terrena in cui non c’erano altro che fiammee mostri orribili.La voce del PEGASO rimbombava dall’alto: “Questa dimensione sarà il tuo centro diaddestramento per diventare un vero eroe. Ti fornirò delle armi e degli strumenti e ti insegneròcome usarli e costruirli”.Comparvero così davanti a lui: una spada e una pala, tutti incastonati e costruiti con diamanti. Ilgiovane istintivamente prese gli oggetti e incominciò a esplorare quel nuovo MONDO chedall’aspetto assomigliava tanto all’Inferno. Salì su un’alta collina e il suo stupore raggiunse leSTELLE❇✴: da quell’altura si osservava un enorme lago di lava circondato da migliaia di mostri:zombi armati di cervelli esplosivi, creeper kamikaze, scheletri arcieri e infine quello che sembrava ilre di quel MONDO: L’ENDER DRAGON, il dittatore di quel Mondo.Era un’enorme drago dalle possenti ali scure che sputava fiamme per incenerire chiunque come sitrattasse di una formica.Il nostro eroe si fece animo e scese nella mischia: grazie alla sua spada dalla lama affilata e al suocoraggio distrusse e annientò tutti i mostri; davanti alla sue armi e la sua determinazione le creaturesi scioglievano davanti a lui come burro.Finalmente, dopo ore di duro combattimento, James arrivò ai piedi dell’ENDER DRAGON.

Costui si alzò nel cielo buio e cominciò a volteggiare nell’aria con aspetto minaccioso.Tutt’a un tratto delle palle di fuoco uscirono dalla bocca del mostro, ma James con dei fulminei saltile schivò con la sua pala. L’eroe salì sulla montagna e colpì il drago con un fendente.L’enorme bestia indietreggiò per un attimo, ma contrattaccò sputando fuoco a più non posso.Quando tutto sembrava ormai perduto, intorno al giovane minatore si formò una luce abbagliante,era la protezione del Pegaso.Il fuoco raggiunse quasi la sua faccia, ma la luce come uno scudo respinse l’attacco con il doppiodella potenza distruggendo il drago che stramazzò al suolo con un urlo soffocato.Al termine del combattimento James era distrutto dalla fatica e sembrava aver cambiato il coloredella pelle tanta era la fuliggine che lo ricopriva. Pegaso, però soddisfatto, gli si avvicinò e sicongratulò con lui per aver avere completato l’addestramento a pieni voti.Il giovane ritornò così nel suo MONDO per combattere da vero eroe ogni MALEEEE!!!!Anche il suo MONDO a ben vedere sembrava un inferno, non c’erano draghi sputa fuoco madittatori spietati circondati da uomini vestiti di nero e imbottiti di tritolo disposti a farsi esplodere inmodo imprevedibile. Volevano distruggere tutti quelli che la pensavano diversamente da loro e chevolevano essere felici e vivere serenamente: i bambini che giocavano a palla, i fidanzati mentre siabbracciavano, mamma e papà che discutevano dei figli, i nonni che raccontavano storie.Snidare il male nel suo mondo era difficilissimo, ma il cavaliere minatore James ci riuscì senzaspada e senza pala, grazie solo a quello strano dono che gli aveva dato la strega, la “sfiga”.Gli capitava di trovarsi sempre quando c’era qualche cattivo che voleva terrorizzare o uccidere lagente. Il cavaliere minatore che aveva imparato con Pegaso cosa deve fare un vero eroe in ognicircostanza, riusciva sempre a sventare ogni attacco del nemico. Tutti grazie a lui nel suo MONDOda allora vissero felici e sereni.

IL MISTERIOSO FANTASMAGUGLIELMI ILENIA (I E) - ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLASECONDARIA DI I GRADO "CAFARO"Una volta un bambino di nome Charlie e sua sorella maggiore Isabel dovettero rimanere da soli incasa per una settimana, perché i loro genitori furono costretti ad andare fuori per lavoro.La prima sera, arrivata l’ora di andare a dormire, Isabel rimboccò le coperte a suo fratello e dopoanche lei andò a letto.Charlie era ancora sveglio e, non avendo sonno, cominciò a guardare fuori dalla finestra la pioggiache cadeva senza sosta.D’un tratto un fulmine si scagliò contro il terreno e mandò una luce bianca. Charlie guardò bene evide sul vetro della finestra il riflesso di un viso bianco, che sembrava invocare il suo nome. Ilbambino terrorizzato lanciò un urlo fortissimo. Isabel corse da suo fratello e, entrando nella suastanza, lo trovò rannicchiato sotto le coperte. Impaziente di sapere che cosa fosse successo, disse:“Charlie, sono io! Vieni fuori dalle coperte e spiegami che cosa è successo!”“Ho ho ho visto una spe spe specie di fa fantasma dalla fi finestra che chiamava il mio no nome….”a stento riuscì a dire Charlie spaventatissimo.Isabel andò vicino alla finestra, guardò bene fuori, ma non vide proprio nulla e allora rassicurò suofratello: “I fantasmi non esistono e qui non c’è nemmeno l’ombra di un fantasma! Sarà stato solo unbrutto sogno, anche perché si sta scatenando un temporale così forte da far spavento. Adessodormi”.Charlie però non era tranquillo e chiese a sua sorella di dormire accanto a lui. Così dopo un po’ idue riuscirono finalmente ad addormentarsi.Il mattino dopo Charlie per passatempo decise di andare in soffitta per prendere un suo vecchiogioco e per caso inciampò in un vecchio baule. Incuriosito, lo aprì e al suo interno trovò uno stranolibro scritto a mano, intitolato guarda caso “La futura apparizione del fantasma”. Subito portò in

camera sua il libro e cominciò a leggerlo e, con sua grande meraviglia, scoprì che apparteneva aduna vecchia proprietaria di quella casa, morta senza avere figli.

Lei scriveva che cinque anni dopo la sua morte sarebbe ritornata in quella casa, ma a fare che cosa?Che intenzioni aveva? Era forse lei il fantasma che Charlie aveva visto dalla finestra? Era tutto unmistero.Charlie raccontò tutto a sua sorella e le fece vedere il libro, ma Isabel cercò di tranquillizzarlodicendo: “Non preoccuparti, sono tutte sciocchezze, sicuramente sarà una storia inventata, magarianche da una nostra bisnonna! Non ci pensare più”.Quella stessa sera Isabel e Charlie si misero a dormire insieme nello stesso letto per farsi compagniaa vicenda. Il vento era forte e i vetri della finestra sbattevano, facendo dei rumori spaventosi.Ad un tratto alla finestra comparve una figura bianca che sembrava davvero un fantasma. SiaCharlie che Isabel la videro e presi dallo spavento urlarono e si strinsero forte. Avevano il cuore ingola e il sangue ghiacciato.Ad un tratto la finestra si aprì e la figura entrò in camera e si avvicinò a loro dicendo: “Non doveteavere paura di me! Non voglio farvi del male, non cacciatemi via!” Isabel e Charlie non sapevanoche cosa pensare e quasi non credevano che tutto questo stesse succedendo proprio a loro.Il fantasma scoppiò a piangere e spiegò: “Quando ero in vita volevo tanto avere dei bambini propriocome voi, ma ho vissuto sempre sola in questa casa e nessuno è mai venuto a farmi compagnia. Oranon riesco a trovare pace … Vi prego, aiutatemi!”Isabel e Charlie ancora increduli cominciarono a calmarsi, parlarono con quella strana figura e siresero conto a poco a poco che era davvero una donna fantasma buona. Così accettarono la suarichiesta.Da allora in poi la strana donna fantasma diventò una loro amica di giochi ed anche il loro piccologrande segreto. E tutti e tre furono sicuramente più felici di prima.

IL SOGNO DI BEATRICENAPOLITANO ROBERTA (I E) - ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLASECONDARIA DI I GRADO "CAFARO"C’era una bambina di nome Beatrice che aveva un sogno, quello di diventare cantante.La famiglia della bambina non aveva possibilità di mandarla a lezione di canto.La bambina era sempre triste quando era a scuola perché i compagni raccontavano le loro lezioni dicanto, di ballo, di calcio, mentre lei ascoltava, piangeva e si rattristava sempre di più.Un bel giorno la maestra si avvicinò a Beatrice e la bambina le raccontò del suo sogno. La maestrale disse: “Non disperare, arriverà il giorno che realizzerai il tuo sogno!”La signora maestra era una persona benestante e senza figli così prese una decisione ed iscrisse labambina a lezione di canto, pagando tutto con i suoi soldi.Dopo un anno i genitori della bambina vennero a mancare per un male incurabile e la bambina fuadottata dalla maestra.La bambina fu contentissima di questo e continuò a studiare canto.Quando diventò grande, Beatrice fece tanti concorsi di canto, ma senza risultati positivi.Dopo anni di delusioni e porte chiuse in faccia, decise di lasciar perdere e non studiare più, ma lamamma adottiva la convinse a non abbandonare il suo sogno, a stringere i denti e andare avanti.Beatrice allora cambiò idea e continuò a studiare.Alla fine diventò una grande cantante e ripagò la sua mamma adottiva per tutti i sacrifici fatti.

IL CANGURO SBRUFFONEATTIMONELLI ROBERTA (I E)ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO"CAFARO"

C’era una volta in una foresta un leone molto generoso con tutti ed anche un puma molto forte,agile e bravo nella corsa.Un giorno il leone, da bravo re della foresta, aprì un centro di beneficenza per tutti gli animali cheavevano bisogno di aiuto, invece il puma, da bravo atleta, proprio lì nelle vicinanze, aprì unapalestra per tutti gli animali che volevano fare degli allenamenti.Un bel giorno giunse da quelle parti un canguro forestiero che, davanti a tutti gli animali, cominciòa vantarsi di essere il miglior atleta (visto che sapeva fare dei salti incredibili) e soprattutto ilmiglior lavoratore del mondo, tant’è vero che lui era capace addirittura di lavorare tutto il giorno edi gestire contemporaneamente un centro di beneficenza ed una palestra.Allora il leone e il puma dissero al canguro che era impossibile lavorare tutto il giorno e ogni giornoin due luoghi diversi, ma il canguro continuava a ribadire la sua idea. A quel punto il leone e ilpuma si accordarono per mettere alla prova il canguro sbruffone e davanti a tutti gli animali losfidarono: “Vediamo se davvero ce la fai a gestire le due attività. Vieni domani mattina da noi ecomincia subito a lavorare al posto nostro. Noi ti guarderemo e ci godremo un meritato relax”.Il canguro non era per niente sicuro di riuscire nell’impresa, ma pur di non fare una brutta figuradavanti a tutti, accettò la sfida.Il mattino dopo si presentò nel posto stabilito e cominciò a lavorare, con tanta fatica, sia di mattinanel centro di beneficenza sia di pomeriggio e di sera in palestra.Il primo e il secondo giorno andò più o meno bene, ma il terzo giorno il canguro, pur essendo unanimale resistente alla fatica, era già distrutto e non ce la faceva più.Gli animali della foresta cominciarono a lamentarsi perché le cose non funzionavano bene. Allora,quando il leone e il puma si presentarono dal canguro e gli chiesero il resoconto della situazione,l’animale dovette ammettere che aveva perso la sfida perché non riusciva più a gestire le due attivitàinsieme. E inoltre fu cacciato via da tutti gli animali della foresta.

Soltanto allora il canguro imparò la lezione e capì che è meglio non vantarsi e “non dire ceci perfagioli” e che, a voler saltare da una attività ad un’altra, non se ne fa bene neanche una.La favola ci insegna che è meglio non dire quello che non si sa fare, altrimenti si rischia di fare unabrutta fine.

L’UOMO DALL’OCCHIO DI VETROSACCOTELLI MICHAEL (I E) ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLASECONDARIA DI I GRADO "CAFARO"Iniziò tutto quella notte, il memorabile 19 settembre 2001, quando Mike e Jack, due abili ecoraggiosi generali, armati di tutto punto, furono mandati ad indagare e a perquisire il quartiereamericano più malfamato ed infestato da delinquenti di ogni genere. La loro missione era scovareun uomo dall’occhio di vetro, il mandante di una serie di omicidi.Questo luogo era pieno di strani e terrificanti giardini, di paludi nere, di tombe e lapidi e tutti quelliche lo attraversavano si pentivano di esserci passati.Ma tutto questo non spaventava affatto i due amici per la pelle Mike e Jack, abituati com’erano amissioni di questo genere.Arrivati sul posto, i due si avvicinarono alla prima casa decrepita e, nella stanza semibuia, viderocomparire una strana donna, avvolta da una nuvola di fumo nero. Indossava un abito nero di vellutolungo fino ai piedi, aveva denti affilati, guardava loro con occhi rossi ed era pronta ad aggredirechiunque.Jack e Mike non ebbero paura e l’affrontarono in un testa a testa che durò pochi secondi. Dopoalcuni colpi di proiettile, la donna cadde a terra senza vita.I due andarono avanti ed entrarono in uno strano labirinto che sembrava senza via d’uscita. Sisentirono intrappolati e fecero tanti tentativi per uscire, ma all’inizio senza risultato. Cominciaronoa pensare che la loro vita era appesa ad un filo, quando dall’alto piombarono vicino a loro staffe dilegno, chiodi e altri materiali.Così costruirono una scala molto lunga e scavalcarono un alto muro: finalmente erano fuori da quellabirinto intricato.Camminarono a lungo su per i tetti e a un certo punto furono colpiti da uno strano luccichio cheproveniva da una piccola finestra. Si avvicinarono e guardarono dentro: c’era una stanza inaspettata,molto illuminata e lussuosa.Seduto su una poltrona, di spalle, c’era un uomo. Ad un certo punto l’uomo si girò e Mike e Jackintravidero il suo occhio di vetro. I due girarono intorno alla stanza e riuscirono ad entrare dentrosilenziosamente. Pian piano arrivarono sempre più vicino all’uomo che non si accorse di nulla e perloro fu facile catturarlo.Mike e Jack con l’uomo dall’occhio di vetro riuscirono a venir fuori da quel quartiere con facilità.Ancora una volta, grazie alla loro esperienza e alla loro bravura, la missione era stata compiuta.

Un diavoletto in testaValeria Insabato - Michelangelo 1^ A - Anni 11C’era una volta un bambino di nome Alessio, era biondo con occhi neri come la notte, era alto emagro, aveva 11 anni ormai.Alessio era dispettoso, ma quasi sempre, non per colpa sua: un diavoletto comandava le sue azioni eviveva nella testolina del ragazzo. Gli ordinava infatti, di buttarsi a terra a scuola, di non obbedire aigenitori e agli insegnanti, di non studiare, di fare scherzi a tutti. C’era però nella testolina di Alessioun angioletto, che aveva subito un maleficio dall’essere maligno, che lo obbligava a dormire senzapoter obbiettare di fronte alle azioni ordinate dal diavolo. Il maleficio si sarebbe spezzato solo se il

bambino non avesse compiuto le azioni ordinate dal diavolo. Una mattina, un venerdì di marzo, ilsole splendeva, il caldo primaverile iniziava a farsi sentire e i prati si coloravano di fiori. I genitoridi Alessio la sera prima avevano regalato al figlio un portafortuna con le piume colorate. Alessio sialzò dal letto, assonnato, e il diavolo già sveglio da un po’, gli impose con tono maligno:- Alessio, vai in cucina e svuota tutto il latte che sta in frigo sul tappeto prezioso della mamma! – Ilpovero ragazzino, non sapeva che fare, se ascoltare al diavolo o fare di testa sua. Il tappeto piacevaanche a lui e non voleva ricevere una punizione. Così decise di lasciar perdere il diavolo e andò afare colazione tranquillo, pronto per andare a scuola. L’angioletto iniziava a svegliarsi, pianpianino. Una volta a scuola il diavoletto gli disse:- Prima non mi hai ascoltato ,ma ora lo farai: prendi le penne dall’astuccio del tuo compagno ebuttale in faccia alla professoressa!-Alessio anche questa volta non voleva farlo, così pensò che se lo aveva ignorato a colazione, lopoteva fare anche a scuola! Così riprese ad ascoltare la spiegazione non curandosi dell’obbligoimposto dal diavolo. A sera si ripresentò di nuovo quel rompiscatole del diavoletto: - Ora bastaAlessio! Non fare i compiti e gioca! Ti sei comportato bene tutta la giornata!- Il ragazzino si eradavvero stufato, così rispose al diavolo :- Adesso basta lo dico io! La vita è mia e decido io! Vaivia! D’ora in poi non ti ascolterò più!- L’angioletto si risvegliò completamente e con un tocco dimagia fece fuori il diavoletto. Alessio diventò un bambino simpatico, amato da tutti, che rispettava igenitori e le persone che lo circondavano, amante del gioco e dell’allegria!

LA GRANDE VITTORIAETTORE SANTARCANGELO - 1^A MICHELANGELO BARI - ANNI 10Mario era un bambino con un grande sogno: diventare un calciatore di serie A.Era anche un grande appassionato di videogiochi e il suo gioco preferito era, ovviamente, “Fifa 16”… ci giocava tutti i giorni. Una sera, era così stanco che si addormentò sulla tastiera, mentre stavagiocando la partita per la promozione in serie A con il Bari e si risvegliò nel gioco. Era al centro delcampo quando sentì l’allenatore gridare : -Muoviti, Mariooo … ma in quel momento il centravantidella squadra avversaria gli fece fallo facendolo cadere sul campo dolorante. -Come farò? … PensòMario , e subito in soccorso arrivarono i medici che con uno spray miracoloso gli fecero passareogni dolore. Era l’ottantesimo minuto e la partita stava finendo con un 2-1 per il Bari, ma subito ilcentravanti della squadra avversaria fece un goal all’ottantottesimo. Mario aveva perso ognisperanza, ma il mister gli lanciò una bibita miracolosa, lui la bevve tutta in un sorso e corse dritto afare goal scartando tutti gli avversari. L’arbitro aveva fatto i tre fischi finali e la partita siconcludeva con un bellissimo 3-2! Finalmente la sua squadra del cuore era in serie A grazie a lui,ma mentre veniva portato in trionfo dai compagni di squadra, si svegliò e si accorse che eraritornato alla realtà . Guardò lo schermo e vide il suo nome lampeggiare sul gioco … la sua squadraera veramente stata promossa in serie A !

I L M O N D O S E N Z A C O L O R IS e c o n d a D - G a b r i e l l a G r a s s i n i - A n n a l i s a L i b e r i o - I s t i t u t oc o m p r e n s i v o D e M a r i n i s - G i o v a n n i P a o l o I I

In una mattina d'estate, Miriam e Narciso passeggiavano nel bosco, vicino a casa loro.Camminavano con lentezza, patendo il caldo che colpiva la loro pelle, penetrando anche nelle ossa.La ragazza esclamò: “Guarda, Narciso, c'è un fiumiciattolo dove possiamo rinfrescarci!”.I due fratelli si tolsero le scarpe, e misero i piedi in ammollo. Il ragazzo, vanitoso com’ era, guardòil suo riflesso nell' acqua limpida del torrente ed intravide un luccichio violaceo. Narciso calò lamano nell'acqua fresca e prese il misterioso oggetto che emanava quella luce. Un'espressione digioia gli si stampò sul viso. Era una pietra strana e luminosa vagamente somigliante ad una foglia,la fece vedere alla sorella, che rimase stupita. Narciso rimise i piedi nell'acqua e continuò aspecchiarsi. Notò un altro bagliore provenire dallo stesso punto del primo. Calò di nuovo la manonell'acqua e recuperò una pietra identica a quella trovata prima. La regalò alla sorella. Tornarono acasa con le belle pietre e ne fecero una collana. Volendo scoprire che strana pietra fosse quella siricordarono che i loro genitori avevano nella libreria un manuale sui minerali, che loro avevanosempre trovato noioso, ma che ora sembrava li stesse chiamando. Lo presero e cercarono unapagina nella quale ci fosse un disegno simile alle pietre che avevano trovato loro. Non ne trovarononessuna, ma proprio quando stavano ormai perdendo le speranze, cadde sul pavimento un foglioripiegato più volte. Lo aprirono… era una mappa della casa, vecchia e tutta piena di polvere grigiache fece starnutire a lungo i ragazzi.Si fece notte e tutti andarono a dormire, tranne i due bimbi, svegli perché erano ansiosi di scoprire isegreti di quella casa, nella quale vivevano. Si alzarono dal letto in cui fingevano di riposare pernon dare sospetti e seguirono le indicazioni della mappa. Si fermarono in un punto cieco, dove,secondo la pianta, ci doveva essere una specie di porta, con intorno tante stelline. Pensarono subitoche quella mappa fosse solo una burla, quando le due pietre si illuminarono e apparve un buco nelpavimento. Magicamente iniziarono a volteggiare in aria e poco a poco, la fossa si illuminò di uncolore violaceo come quello delle pietre. Oltrepassarono il portale e, dopo essere scivolati lungo untunnel melmoso, si ritrovarono seduti su una specie di fungo gigante, morbido e comodo come lapoltrona del loro papà. Si guardarono attorno. Si trovavano in una specie di foresta piena di enormifunghi giallastri e di strani alberi tutti attorcigliati fra loro. Scivolarono via dal fungo cadendo perterra. Ad un certo punto videro una fitta nebbia che piano piano ricopriva il bel prato verde. Per lapaura si presero per mano, continuando a camminare. D’improvviso andarono a sbattere contro unaspecie di masso nero e pieno di cenere. MA ERA DA LI' CHE PROVENIVA LA NEBBIA! Ad uncerto punto il masso iniziò a tremare, come succede nei terremoti. Miriam e Narciso caddero a terra,sentendo un ruggito, un ringhio… non si sapeva bene cosa fosse. La nebbia si dissolse e la sagomadivenne perfettamente chiara ai bambini…era un enorme DRAGO e sembrava anche moltoarrabbiato. I bambini erano terrorizzati, e non riuscivano a muoversi per la paura, come se fosseropietrificati. Il drago era squamoso, e non aveva colore…. Ciò appariva molto strano ai ragazzi iquali erano abituati ad un mondo a colori, ma la loro paura sovrastava la loro curiosità. Miriam, che era una bimba molto ingegnosa provò subito a cercare un modo di sfuggire da quellasituazione…ed ecco qui!!! La ragazza vide in lontananza un grande ceppo di albero. Forse conquello sarebbe riuscita a colpire il drago per distrarlo e scappare.Per sollevare il grande ceppo Miriam chiese aiuto al fratello…ma appena sfiorarono il tronco, ildrago inizio subito a sputare una enorme cascata di fuoco, anch’esso privo di colore. I ragazziriuscirono giusto in tempo ad afferrare il ceppo e a difendersi con esso…poi, per provare a salvarsi,gettarono contro il drago il legno infuocato. Il drago, impaurito dal suo stesso fuoco, scappo via. Iragazzi erano impauriti ma allo stesso tempo stupiti perché non avevano creduto mai all’esistenzadei draghi, ma soprattutto dei draghi senza colore!!!Ora camminavano soli e sperduti in mezzo a quella foresta che non conoscevano. Ma ecco che d’untratto si ritrovano davanti un qualcosa o un qualcuno che sembrava fosse un albero…ma non lo era!I ragazzi, che ormai non ne potevano più di creature mostruose, notarono che quella strana creaturasembrava proprio essere un miscuglio genetico tra un uomo ed un albero, con foglie al posto deicapelli e braccia e gambe al posto di rami e radici. Nonostante questo, però, sembrava esseregentile.

L’unico problema era che anche questa strana creatura era priva di colore. L’uomo-albero iniziòimprovvisamente a parlare: ”Ciao” disse timidamente. “Salve!” risposero in coro i due. I ragazzi dalsolo tono di voce avevano capito che quella creatura non era malvagia.Ma una domanda venne naturale da fare a quella strana creatura:” Ma perché qui nessuno è coloratocome noi?” La creatura, che ormai aveva già fatto amicizia con i ragazzi, fece un sospiro diamarezza e raccontò:” Vedete, tempo fa questo posto era diverso, era pieno di allegria, feste efelicitàma soprattutto pieno di colori. Tutto questo però solo prima che accadesse la tragedia…”“Quale tragedia?” chiesero in coro i due. La creatura rispose tristemente: ”La nostra vecchia regina,morì…ma non si sa ancora bene come perché ci sono varie leggende. La più famosa narra che lasorella malvagia della regina, che ora è al trono, uccise la sorella, per divenire regina, colpendolacon un enorme masso sulla sua delicata testa. Il masso, si sarebbe distrutto in mille pezzi e l’animadella regina si sarebbe rifugiata in questi frammenti assieme a tutti i colori delle creature di questomondo. Ora secondo la leggenda i frammenti dovrebbe custodirli la regina per fare in modo che lacara sorellina non esca più e che tutto rimanga scuro e triste proprio come piace a lei”. I ragazzisentendo quella storia si rattristarono. Ma d’un tratto ecco che l’uomo-albero lanciò un enorme urlofissando attentamente le collane dei ragazzi. ”Ma quelli sono i frammenti…”.i ragazzi dubbiosi siopposero:” Ma sono semplicemente pietre che abbiamo trovato in un fiumiciattolo. E poi non avevidetto che era solo una leggenda? ”La creatura, ancora sorpresa, a stento riusciva a parlare :”Sì, sì èvero, ma ci sono centinaia di libri che sono stati scritti su quella storia e tutti rappresentavanoimmagini delle stesse pietre che portate al collo!!!”I ragazzi rimasero stupiti, insomma si ritrovarono in un batter d’occhio dal volersi solo rinfrescarsiun po’ al portare al collo i colori delle creature di un intero mondo!!I ragazzi si guardarono e poi dissero all’uomo-albero di voler fare qualcosa per aiutare il suomondo.Alla creatura si spalancarono gli occhi ed il suo sorriso arrivava fino alle orecchie dalla felicità.I ragazzi si diressero verso il castello reale con l’aiuto della loro fedele guida-albero.In questo cammino notarono come tutto senza colori poteva essere triste. Per “tutte le creature diquesto mondo” si intende creature viventi, quindi anche alberi e prati e fiori e fiumi erano privi dicolore, solo qualche sfumatura di grigio. I fratelli si sentivano quasi in imbarazzo perché in mezzo aquella tristezza, i loro colori spiccavano tantissimo.Arrivarono al castello: era una fortezza altissima, colorata di nero e ricoperta totalmente da rovianch’essi privi di colore. L’uomo-albero si fece strada in mezzo ai rovi ed arrivarono al cancello,che la gentile creatura sfondò. Entrati con violenza nel castello, i ragazzi videro la regina checercava di rendersi ancora più bella, o meglio, brutta di quanto già non lo fosse: aveva dei capelliricci e rossi raccolti da un orribile pinza di ferro, portava un vestito senza colore e senzadecorazioni, come una tunica. Sul viso, proprio sotto le labbra aveva un enorme neo nero e poiaveva addirittura il doppio mento!!! I ragazzi, senza aspettare ulteriormente, fecero quello chepensavano fosse giusto fare: staccarono le pietre dal loro collo e le spezzarono sbattendoleviolentemente al suolo.Le pietre sprigionarono milioni di colori che avvolsero la regina cattiva facendola sparire in unvortice-arcobaleno. Poi i colori presero possesso di tutte le creature ma anche di tutti gli oggetti checircondavano i ragazzi. Ed alla fine dalle pietre uscì anche la cosa che tutti attendevano di più.Eccola qui la bella e buona regina avvolta da un manto viola e dai suoi amati colori. La regina potéfinalmente risiedersi sul suo legittimo trono. Una volta comoda sussurrò ai ragazzi un semplice“grazie”.Due giorni dopo i ragazzi furono eletti “ I PROTETTORI DEL REGNO”.Poi la regina si avvicinò ai ragazzi e, spargendo loro in testa una strana polverina, essi si ritrovaronocome per magia a casa nel loro letto. Era appena mattina e tutti ancora dormivano.“Era solo un sogno?” esclamarono in coro sussurrando, “ Eppure sembrava così reale.” DisseMiriam.

I ragazzi allora, convinti che quello fosse stato solo semplice frutto della loro immaginazione,tornarono a dormire, quando notarono una strana luce viola provenire da sotto il loro letto.Guardarono. C’era un bigliettino tutto colorato su cui c’era scritto: GRAZIE O MIEIPROTETTORI.I ragazzi si scambiarono un sorriso e tornarono alla loro vita quotidiana, aspettando altre avventuracome quella.

UNA SCIOCCANTE RIVELAZIONECLASSE I E - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO - ALUNNO: CICCO RICCARDO - ISTITUTOCOMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLA SECONDARIA DI I GRADO "CAFARO"Iniziò tutto quella notte, il 17 settembre 1968, quando io, William, e i miei due amici Jack e Luke,ormai maggiorenni, ci aggiravamo per un quartiere alquanto malandato e abbastanza sinistro dellacittà di Blacktown.Sì, eravamo maggiorenni ed anche molto coraggiosi e determinati, ma quel posto ci inquietavaugualmente, non solo perché era deserto e spaventoso, ma anche perché si narrava questa leggenda:chiunque fosse passato lì avrebbe portato per tutta la vita un peso così grande da non riuscire più avivere serenamente come prima.Noi avevamo deciso di sfidare la leggenda. Eravamo incoscienti? Non lo so, so soltanto che quelposto esercitava su di noi un fascino irresistibile.Andavamo avanti cauti, deglutivamo la saliva e tutto ci sembrava quasi “normale”, date lecircostanze. Ad un certo punto Luke cominciò a dire: “È un posto insolito, buio, ma non cosìterribile come riferiscono. Forse la leggenda è soltanto una presa in giro…..”Non fece in tempo a finire la frase che sentimmo un urlo agghiacciante, allora, senza pensarci duevolte, presi dal panico, cominciammo a correre lontano da lì fino a perdere il fiato. Imboccammodirezioni diverse e ci disperdemmo.Per fortuna ad un certo punto io vidi Jack che si era fermato e lo raggiunsi. Tirammo un sospiro disollievo, ma subito dopo ci rendemmo conto che Luke era sparito. Lo chiamammo a gran voce ecominciammo a cercarlo, ma di lui non c’era alcuna traccia.All’improvviso sentimmo dei rumori, come se qualcuno stesse graffiando dall’interno la portasocchiusa di un magazzino abbandonato e ci avvicinammo.Aprimmo la porta cigolante ed entrammo, quando ad un tratto si accese, non sapevamo come, unacandela che illuminò l’ambiente e ……. davanti ai nostri occhi increduli e sconcertati comparve unessere spaventoso ….. un lupo mannaro!!!Eravamo paralizzati dalla paura, le nostre gambe non riuscivano a muoversi e le nostre boccheneanche ad urlare. Io e il lupo mannaro ci fissammo per qualche secondo e mi sembrò diriconoscere nei suoi occhi uno sguardo familiare. Poi Jack mi distrasse e mi tirò dicendomi chedovevamo scappare via per metterci in salvo, perché il lupo mannaro stava cominciando adinnervosirsi e poteva farci del male.

Corremmo a perdifiato, ma il lupo mannaro fu più veloce, in un lampo arrivò davanti a noi e cisbarrò la strada. Ci fissava con quei suoi occhi cupi, dolci e tristi nello stesso tempo, come se nonpotesse evitare di fare qualcosa che in realtà non voleva fare. Io e Jack però lo capimmo troppotardi.Il lupo mannaro ci bloccò, ci afferrò per il collo e noi con le mani inerti non riuscivamo a muoverci.Ad un certo punto io con le poche forze che mi rimanevano, colpii il lupo così lui ci lasciò e caddeper terra mettendo un arto sul suo cuore.Pian piano il buio della notte stava scomparendo ed il sole stava sorgendo all’orizzonte.Il lupo mannaro sotto i nostri occhi cominciò a riprendere le sue sembianze umane ………Noi osservavamo scioccati e increduli ….. e lui si trasformò poco alla volta in …… Luke, proprio ilnostro caro amico Luke.Io e Jack eravamo senza parole e ci avvicinammo a Luke per capire se fosse davvero lui in carne edossa. Quando lui ritornò in sé, gli raccontammo l’accaduto ed anche lui rimase sconcertato daquesta rivelazione. Si era avverata la leggenda del quartiere malfamato di Blacktown? O si trattavadi due cose completamente distinte? Non sapevamo rispondere.Tutti e tre ci recammo subito da un dottore specialista per analizzare l’accaduto e trovare una cura,un rimedio per questa specie di “malattia”.Il dottore ci procurò un antidoto che era in grado di impedire la trasformazione di Luke in lupomannaro solo per 36 ore.La notte seguente sperimentammo l’antidoto che si rivelò efficace, ma sulla nostra pelle esoprattutto sulla pelle di Luke confermammo che la famosa leggenda di quel posto raccontava laverità.Luke avrebbe portato il peso di questa “malattia” per tutta la sua vita.CICCO RICCARDO (I E)

SOGNO BIANCOROSSORaul Dicarlo - 1^A Michelangelo Bari - Anni 11Raoul era un ragazzo sportivo, dinamico, atletico per i suoi 11 anni. Tutti glielo dicevano sempre,ma lui non si montava la testa. Viveva a Bari vicino alla sua scuola calcio. Aveva un grande sogno euna forte passione che voleva coltivare: diventare un calciatore del F.C. BARI 1908. Dopo annidurissimi di allenamenti riuscì con la sua squadra a qualificarsi per la finale del torneo degliesordienti 2004. Ed ecco il gran giorno della finale era arrivato. Raoul vide l'allenatore del Bari checercava qualche giocatore per la sua squadra. Pensò che quella fosse la giusta occasione per farvedere chi fosse, ma doveva assolutamente fare almeno un gool, altrimenti l'allenatore non loavrebbe mai preso nella squadra. Ecco il fischio di inizio dell'arbitro, la palla era della squadraavversaria, ma nessuno riusciva a far gool. Finì il secondo tempo e le squadre erano ancora zero azero. Raoul si disse:-Come è possibile? Siamo ancora zero a zero! Devo impegnarmi di più sevoglio realizzare il mio sogno. Iniziò il secondo tempo, la palla era per Raoul, corse nell'aria dirigore, tirò in porta, ma niente, la palla non entrò. Arrivò inesorabilmente il fischio finale, la partitadoveva continuare con i calci di rigore. Purtroppo la squadra di Raoul perse e la sua occasionesvanì. Raoul tornò a casa e raccontò tutto alla mamma e lei si dispiacque. Il giorno dopo andò ascuola e raccontò il fatto accaduto alla prof e lei disse :-Non devi scoraggiarti, ci sarà pure un‘altraoccasione se tu non ti arrenderai e se saprai coglierla.- Raoul ci pensò a lungo e disse: - E’ vero,devo continuare a impegnarmi per avverare il mio sogno. Suonò la campanella e Raoul andò adallenarsi. Il mister gli disse :- Il coach degli esordienti del Bari vuole che vai ad allenarti da lui,sono molto felice per te. Raoul, esterefatto, balbettando qualcosa timidamente, lo ringraziò, non

poteva credere all’occasione che gli stava capitando! Il suo sogno era nelle sue mani. Arrivatoall'età di sedici anni venne contattato dal mister del F.C BARI 1908 per giocare una partita. Raoulne fu molto felice, il suo ormai non era più un sogno, ma una realtà! Ormai col suo talento avrebbecorso in ogni partita per la sua Bari, per la sua magica città, portando con orgoglio la magliabiancorossa!

LA MUTAZIONELOCONTE RICCARDO (I E) - ISTITUTO COMPRENSIVO "VERDI-CAFARO" - SCUOLASECONDARIA DI I GRADO "CAFARO"Lo scienziato famoso Rodsvil stava lavorando su una nuova medicina per poter curare dei pazzi chesi trovavano nel suo istituto “Sanitas”.Una sera, mentre stava versando un composto molto pericoloso in alcune provette, sbagliò ildosaggio e mise una dose elevata di medicina che fece scoppiare una provetta.Una parte del composto colpì la testa dello scienziato che si trasformò in un mostro dall’aspettoterribile.Il giorno dopo i collaboratori entrarono nel laboratorio e chiamarono Rodsvil, ma non lo trovarono,anzi trovarono finestre rotte, scaffali all’aria, libri strappati e un mostro disteso per terra. Non cicredevano, ma alla fine dovettero accettare che quel mostro spaventoso fosse proprio lo scienziatofamoso.Lo portarono subito in ospedale e, dopo tante diagnosi, i medici dissero che non potevano fareniente e che Rodsvil doveva rassegnarsi a passare il resto della sua vita da mostro.Lo scienziato, tornato dalla sua famiglia, divenne la “pecora nera” di casa: i figli lo scansavano e lamoglie arrivò quasi a chiedergli il divorzio.Il povero Rodsvil rimase da solo, per strada, senza niente e soprattutto rimase …un mostro.Un giorno però in un bosco lo scienziato fu trovato morto, ma mentre chiamarono qualcuno dellapolizia, il corpo sparì.Dopo questo episodio, nella città stranamente ci furono molti omicidi. Allora fu ingaggiato uninvestigatore, chiamato Inxtrem, che subito si mise all’opera e arrivò alla conclusione che il mostroRodsvil era ancora vivo!Il colonnello Thomas decise di mettere all’opera i suoi soldati, ma fu ucciso da Rodsvil. A quelpunto l’investigatore Inxtrem decise di attirare l’attenzione del mostro per catturarlo e ci riuscìperché il mostro abboccò all’amo e cercò di uccidere anche Inxtrem.

L’investigatore fu più furbo del mostro e riuscì a catturarlo e a imprigionarlo.Ora non si sa più niente né dello scienziato-mostro Rodsvil né dell’investigatore Inxtrem: c’è chidice che siano morti di vecchiaia, c’è chi dice che in età avanzata siano stati uccisi entrambi da unpazzo appartenente all’ex-istituto “Sanitas”.

UN MISTERO DA SALVAREdi Altieri Angelica, Caputo Alessandro, Castoro Giorgia, conca Pasquale e Geminario Giuseppe-IA Scuola Secondaria di Primo Grado “Cirasole” di PoggiorsiniC’era una volta una ragazza di nome Janette che viveva in una campagna che distava pochichilometri da Parigi. Questa ragazza era isolata da tutto ciò che la circondava e si sentiva moltosola. Così, un bel giorno, decise di uscire fuori casa per vedere com’era fatto il mondo. Dopo unalunga passeggiata per le vie di Parigi, tornò a casa per raccontare ciò che aveva visto ai suoigenitori, ma, stranamente, non li trovò ad aspettarla impazienti. Vide dappertutto: nello stanzino,nelle camere, nel bagno, nelle stalle, nella cucina, nel giardino…Non li trovò da nessuna parte. Eradisperata. In cucina si accorse di un biglietto sul tavolo su cui era scritto: “Se vuoi rivedere vivi ituoi genitori, dovrai cedere la tua preziosa collana” Erano anche indicati l’orario e il luogodell’appuntamento in cui si sarebbe effettuato lo scambio. La ragazza accettò il patto e il giornodopo preparò il necessario per il viaggio. Ad un tratto, mentre stava per uscire di casa, dalla suacollana apparve una fata che le disse: “Durante il tuo viaggio incontrerai due amici che tiaiuteranno a raggiungere facilmente il luogo dell’incontro. Ricorda che la tua colla naha un potere magico in grado di sconfiggere chi ha rapito i tuoi genitori .”Immediatamente si mise in viaggio. Dopo tanto tempo incontrò i due amici di cui la fata avevaparlato e fecero conoscenza. Si chiamavano: Rex, il cane e Roxana, la fata. Si misero in camminoe la mattina seguente arrivarono a destinazione. Videro una grotta ed entrarono. Trovarono unagrossa pentola piena di un liquido verdastro, delle colonne su cui vi erano delle incisioni terrificantied un trono d’albero centenario color argento su cui era poggiata una bacchetta. Sentirono dellegrida provenire da un ambiente vicino, si avvicinarono, aprirono una porta e videro i genitoriintrappolati. Dal nulla apparve una signora dall’aspetto di una strega:un cappello a punta , capelligrigi e ricci fino alle spalle ,un naso lungo con un brufolo enorme, i denti gialli, un vestito nero condelle toppe, una cintura color argento e degli stivali neri a punta. La strega prese la sua bacchetta econ una magia catapultò i genitori di Janette vicino ad un pentolone enorme posto sul fuoco. Laragazza, in preda al panico, disse ai suoi amici di fare un incantesimo e loro ubbidirono. Miserotutte le loro forze per sconfiggerla, ma la strega, molto più furba di loro, immediatamente pronunciòqueste parole: “ Io mi proteggerò e alla fine vincerò”. Gli amici di Janette non riuscirono adannientarla ma, all’improvviso, la collana di Janette si illuminò , lei se la strappò dal collo e lasollevò in aria dicendo: “Alla fine vincerò e i miei genitori salverò”. Janette, con tutta la sua forza,sconfisse la strega e liberò i suoi genitori. Tornarono a casa e vissero per sempre felici e contenti.

La polvere del boscoBenincasa Jada- classe III A- Scuola Secondaria di I grado F.P. Losapio facente parte dell'IstitutoComprensivo Losapio San Filippo Neri - Gioia del Colle – BariLa quercia alta si muoveva e si sentiva forte nell'aria il fruscio di ogni estate. E' strano ma ogniestate, ogni pomeriggio, ogni mattina, i rovi che si arrampicavano su quel cancello erano sempre

uguali; mi sembrava che aspettassero lì ogni estate, come se fossero un festeggiamento per la finedell'anno scolastico.Quando li rivedevo ero tranquilla e sicura; ero tranquilla, senza i compiti, senza lo studio, senzaorari. Finalmente non avrei sentito la sveglia di mio padre e la voce di mia madre che mi ricordanoche è ora di aprire gli occhi e darsi la carica.Ma niente era così: ero finalmente libera! Ma più mi avvicinavo all'enorme albero, più vedevo unapolvere bianca che cadeva giù. Inizialmente pensavo che fosse il polline; poi mi sono avvicinata edho visto le sue foglie piene di polvere giallastra, ma lo erano anche il tronco e la terra; un tappeto dipolvere.Poi ho sentito un rumore fortissimo, quasi un'esplosione. Ho fatto un po' di strada e sono arrivatadavanti ad un cancello; si sentivano voci di uomini, rumori di macchine al lavoro, scarico di pietre.Beh, non era la centrale del latte! Si trattava di una cava di tufo dove campeggiava un cartello: Cavadi estrazione “pietre vive”; un nome un po' strano, visto che la pietra o il tufo o qualsiasi altromateriale venivano staccati dalla loro sede, spaccati, frantumati e sparpagliati.Sono salita allora su un albero per guardare meglio e si ho

visto questo enorme buco che aveva diversi colori, dal marrone al giallo scuro e si notavano diversistrati. Ricordo di aver studiato in scienze che si trattava delle diverse ere geologiche, dello scorreredel tempo, quindi di un gran pezzo di storia. Mi sono sentita un po' scoraggiata e delusa. Pensavo sisapessero queste cose; qualcuno doveva sapere... il sindaco, la scuola, i contadini.Gli alberi e le piante non si riconoscevano più perché non erano più naturalmente verdi, ma bianco-giallastre. Sembrava uno strano zucchero a velo e il tutto mi ricordava il presepe di mia nonna, chea Natale sulle rocce di carta spolvera sempre la farina. Ma non si trattava di questo, perché non erafarina, né zucchero a velo, ma un'orrenda polvere che soffocava le piante uccidendole lentamente.Ero triste e così presi la mia bicicletta e andai verso casa. Mentre pedalavo ero arrabbiata e volevopiangere, perché non mi sembrava giusto e più andavo avanti più osservavo tristemente questestrane piante spolverate. Possibile che nessuno se ne fosse accorto? Sentivo che stavo per esplodere;non riuscivo a sopportare che quella strada che amavo, la strada del bosco, i colori delle piantine,delle cicorie, dei carciofi non si vedessero più; che gli alberi di fico e di ciliegie, non avrebbero piùrespirato. Era come se avessero l'asma come mio cugino e servisse loro uno spray speciale perrespirare.Sentii che la natura era in pericolo, che qualcuno voleva impedirmi di sentire il profumo delle fogliedella menta selvatica e di vedere quei colori bellissimi che erano sempre uguali. Sentii le lacrime,sentii che la natura aveva bisogno di me. Ed è questo avvenimento che ha trasformato la mia vita.

LE AVVENTURE DI WILLYClaudia GuarnieriSCUOLA SECONDARIA DI 1° CLASSE 2^ISTITUTO COMPRENSIVO “MINZELE-PARINI”VIA VINCENZO 28 PETRUZZI,1870017 PUTIGNANO (BA)In una foresta equatoriale, viveva un cagnolino di nome Willy; non stava mai fermo, voleva giocaree divertirsi, ma i suoi genitori non volevano che andasse nella zona più fitta della foresta.Tutti gli abitanti sostenevano che, proprio in quel luogo, ci fossero gli animali più cattivi chepotessero esistere.Willy però, amava le avventure e non si lasciava condizionare dalle dicerie popolane. Così, in unafredda notte d’inverno, senza fare rumore, uscì dalla sua cuccia e s’incamminò verso il punto criticodella foresta.Giunto nel luogo fitto e buio, fu colpito da tanti occhioni gialli che lo fissavano.Iniziò ad avere paura. Si udivano versi strani mai sentiti prima; Willy, allora cercò un nascondigliosicuro in cui rifugiarsi.La mattina seguente, i genitori non lo trovarono nella sua cuccia e, preoccupati, lo cercarono.Willy, intanto, si fece coraggio e affrontò gli esseri misteriosi che popolavano il bosco.Erano dinosauri, piccoli e innocui, con i quali Willy iniziò un rapporto di amicizia.Essi erano orfani, dovevano proteggersi a vicenda e rocurarsi del cibo per vivere.28Nel frattempo, i genitori di Willy, disperati, continuavano a cercarlo in lungo e in largo, senzaimmaginare dovefosse andato.Pensa e ripensa il papà ebbe un’idea illuminante!All’alba del giorno dopo, partirono alla volta della foresta impervia. Finalmente, dopo ansie edisperazioni, ritrovarono il loro figliolo in compagnia di alcuni dinosauri! Che emozione potersiriabbracciare!

I genitori strinsero amicizia con i dinosauri e quando decisero di tornare a casa colsero nei lorograndi occhi e inquelli di Willy tristezza e sconforto, fu così che decisero di accoglierli in casa.Ci fu immensa gioia e allegria! L’amicizia e il rispetto vincono sempre!

IL SEGRETO DELLA PICCOLA BICEClaudia Mirizzi “SCUOLA SECONDARIA DI 1°” CLASSE 2°ISTITUTO COMPRENSIVO “MINZELE-PARINI” VIA VINCENZOPETRUZZI, 18 70017 PUTIGNANO (BA)Da quando é morto il nonno, spesso faccio compagnia alla nonna.Mia nonna é una sopravvissuta alla Seconda Guerra Mondiale, questo le ha causato un traumaindelebile.Oggi sono a casa sua e ho deciso di curiosare in cantina tra i ricordi della sua vita. Ho trovatovecchie fotografie, oggetti vari , tanti ricordi accumulati negli anni e poi… un baule di legnointarsiato, bellissimo, ma chiuso a chiave. La mia voglia di aprirlo cresce a dismisura!“Tesoro, è pronta la merenda! Vieni su!” grida nonna Adelina. Corro immediatamente.Terminata, mi congedo da lei, con una scusa, e mi fiondo in cantina. Ed ecco i vecchi dischi invinile, fantastici! E quanti vestitini di seta, della nonna, nel vecchio armadio! E poi, unmappamondo! Sin da piccola, mi ha sempre affascinatoviaggiare…Ho trovato una chiave, forse aprirà il baule?Sono ansiosa e curiosa di scoprire il contenuto di quel baule! Con mano tremante, inserisco lachiave e sollevo il coperchio: ai miei occhi appaiono lettere d’amore, vecchi disegni e fotografie cheritraggono due innamorati che si tengono la mano…non so per quale motivo, ma la ragazza miricorda la nonna. Mi colpisce una catenina con un ciondolo a forma di cuore sulla quale sono incisele iniziali BI&BI.Non riesco a capire chi fossero i due ragazzi del ritratto, non restava che chiedere alla mia caranonnina.Ho timore di come possa reagire e che ricordi le tornino in mente. Prendo tutto ciò che ho trovato esalgo.“Vieni cara. Ma cosa nascondi?” mi sussurra dolcemente. Con titubanza, le mostro i cimeli ritrovatinel baule. Non so quanto sia durato quel momento, a me sembrarono ore. La nonna era di fronte ame, immobile, con lo sguardo fisso sul ciondolo, intanto i suoi occhi verdi, pian piano, siriempivano di lacrime.“Nonna, non volevo”. Le dico supplicandola. Ma lei, si asciuga le lacrime, mi abbraccia forte e midice: “Non ti preoccupare piccola Bice, non è successo nulla, è solo un po´d´emozione”. Ci sediamouna accanto all´altra e, come un fiume in piena, nonna Adelina inizia a raccontarmi tutto conpazienza certosina e trepidazione.“Cara Beatrice, questi oggetti non appartengono a me, ma alla mia sorella gemella Bianca”La nonna continua il suo racconto, dal sapore d´altri tempi. “ Tua zia era una bravissima e raffinatasarta e, all'età di diciassette anni, conobbe un ragazzo, tra i due nacque…l´Amore, quello con la “A”maiuscola, quello puro, romantico, quello vero.Il ragazzo si chiamava Biagio e non perdeva occasione per incontrare mia sorella, anche solo con unsguardo. Trascorso qualche tempo, Biagio decise di parlare al nonno per dichiarare il suo amore perBianca. Purtroppo, proprio il giorno in cui ci sarebbe stato l´incontro, il povero Biagio, ricevette lalettera per andare a combattere al fronte. Mia sorella era disperata e così anche il suo amato.Riuscirono a vedersi una sola volta prima che partisse e fu allora che le regalò la catenina con il

ciondolo a forma di cuore con su incise le loro iniziali Bi&Bi, Bianca e Biagio, in ricordo del loroamore unico ed indissolubile. Prima che lui partisse, i due innamorati si scambiarono una promessad’amore: avrebbero coronato il sogno appena possibile. Continuarono a scambiarsi lettere, luiviveva per lei e lei per lui: era un amore intenso. Tutto, sembrava andasse bene, purtroppo la guerranon fa vincitori, ma semina solo dolore e morte… Un giorno arrivarono a casa dei militari con inmano una scatola di latta, chiesero di parlare con Bianca e gliela consegnarono. Mia sorellacapì tutto, non disse nulla, ringraziò e si chiuse nella sua camera per giorni. Furono anni difficili perlei e per noi che le volevamo bene. Non si è più ripresa da quel grande lutto! Si lasciò morirelentamente per amore. Mi avvicino alla nonna, laabbraccio mentre lacrime silenziose rigano il nostro volto. Tornata a casa ripensai a Bianca e allasua storia e a quanto, la forza straordinaria dell´amore, può fare anche morire.

LILI E IL MISTERO DELLE LUCCIOLENaira Miccolis: Mariachiara Serio:ISTITUTO COMPRENSIVO “MINZELE-PARINI”SCUOLA SECONDARIA DI 1° CLASSE 2°VIA VINCENZO PETRUZZI,18 70017 PUTIGNANO (BA)In una foresta incantata regnava l’inebriante profumo di muschi e di salici antichi.Prati immensi, con distese di fiori colorati, creavano un luogo magico. In realtà, quel bosco eraveramente incantato e abitato da creature sconosciute all’ uomo: le fate.In quel mondo tutto era perfetto e in armonia con la natura, numerosi erano gli animali che civivevano: farfalle, chiocciole e lucciole. Tra le tante, una era veramente speciale, la più luminosa, lapiù bella, quella che riusciva a vedere solo il lato positivo della vita e si chiamava Lili.I suoi occhi erano azzurri come la sorgente d’acqua che dava vita ad uno spettacolare gioco di luci ecolori che gli umani chiamavano arcobaleno. Le sue ali, nelle quali ci si poteva addiritturaspecchiare, erano affusolate e lucide!La sua particolarità era la luce, una luce che trasmetteva felicità a tutti gli abitanti della foresta.La mattina riposava sulla sua adorata foglia; quando il sole tramontava, lei osservava il paesaggiomeraviglioso e ogni giorno trovava qualcosa di nuovo da apprezzare e questo la rendeva orgogliosadel suo piccolo grande mondo.La sera, quando tutti gli abitanti della foresta si addormentavano in un piacevole sonno, le luccioleerano sveglie e pronte ad affrontare una notte lunga, intensa con balli sfrenati e spirali di luce cheilluminavano il buio, come fossero fuochipirotecnici.Con il passare del tempo, le lucciole cominciarono a diminuire e con loro la vitalità del bosco.Lili ben presto si ritrovò sola e si sentì persa nella sua solitudine; non capiva perché le sue sorellelucciole fossero sparite e aveva paura che prima o poi sarebbe scomparsa anche lei.Non le andava di lasciare il mondo che, con fatica, era riuscita a costruirsi; voleva continuare ascoprire quello che a lei era sconosciuto; non accettava di veder scomparire le sue compagne senzapoter fare niente. I giorni trascorrevano incessanti,i secondi erano, ormai, scanditi come il ticchettio dell’orologio; Lili aveva capito che non servivapiangersi addosso, ma che bisognava lottare per quello che era davvero importante.I suoi occhi erano diventati grigi, spenti, le sue ali deboli e opache, la coda non trasmetteva più unaluce forte che illuminava la foresta nella notte buia.L’unica lucciola rimasta con Lili, era Cobo, la più saggia della foresta. Anche lei voleva capire cosastesse accadendo: ad un tratto, si ricordò della rivalità tra le fate e le lucciole…Da sempre, le fate avevano provato grande invidia per la luce prodotta dalle lucciole, ragione percui le avevano rapite tutte per attirare su di sè le attenzioni delle creature del bosco.

Il giorno della verità arrivò. Lili si avviò verso la dimora delle fate, mentre una scia di luceilluminava il suo cammino: erano le sue amiche lucciole rinchiuse in barattoli.Lili non riusciva a credere ai suoi occhi: come avevano potuto, delle creature così pure ed eteree,rovinare l’armonia che, da sempre, caratterizzava la foresta?Con grande dispiacere, da quel momento, le fate e le lucciole vissero in due luoghi diversi; ancoraoggi, Lili spera che le fate abbiano capito che, per mantenere la foresta viva e sprizzante di magia, ènecessario che tutte le creature siano in armonia tra loro, senza rivalità e conflitti inutili.

SEMPLICEMENTE CLARISSAII C - I.C. Aldo Moro - S.S. I Grado – di Stornarella (Foggia)Vagava da sola per la città, cuffie nelle orecchie, sguardo perso nel vuoto e labbra increspate in unasmorfia provocata dall'aria densa e dallo smog di Milano. Nonostante tutto a lei piaceva la sua città.Ma non la Milano del Duomo, la Milano caotica. No. A lei piaceva la Milano delle stradine strette,dei negozi di artigianato e dei mercatini dell'usato. Le persone la consideravano un po' strana questacosa. In realtà credevano che proprio lei fosse strana, ma non dicevano nulla, perché su Clarissa nonc'era da dire niente, né di bello né di brutto, assolutamente niente. E per questo lei non ci stavamale, perché lei era d'accordo, lei lo sapeva e non aveva paura di sprofondare nell'oblio.Semplicemente on le interessava, anzi aspettava ogni giorno la sua dose di niente a braccia aperte.Credeva anzi che, se la sua vita fosse stata costituita dal niente, non sarebbe servito essere ricordata.Perché essere ricordata? Da chi? Non ce n'era bisogno. Lei non era felice, non era triste, non erabella, non era brutta, non era simpatica. Lei era solo ed esclusivamente Clarissa. Non le interessavamostrarsi alla gente con una maschera messa su la mattina e poi tolta la sera, nel crepuscolo di unavita che non ti appartiene, quando ormai non c'è più nessuno pronto ad alzare il dito e a giudicarti.Anzi una cosa che aveva imparato era la totale indifferenza verso tutto e tutti che le dava una certalibertà. Una libertà a modo suo. Chi la conosceva appena pensava che fosse timida, chiusa in sestessa e che nella realtà avesse un carattere allegro e solare o il contrario. Invece, Clarissa eraproprio così come si mostrava: non le piaceva parlare e amava stare sola. La vita di Clarissa eramonotona, ma quella monotonia che la rassicurava, che le dava certezze e non la lasciava con ilfiato sospeso tutto il tempo. Ora stava camminando per i vicoletti di Milano, come faceva quasi tuttii giorni e ovviamente abituata alla sua monotonia un cambio di programma non le avrebbe fattobene, avrebbe sconvolto la sua vita, per quanto possibile. Durante la sua solita passeggiata, quelgiorno, notò distrattamente un ragazzo e focalizzò la sua attenzione su ciò che teneva in mano: unabomboletta spray. Stava disegnando linee sovrapposte e confuse, illeggibili, lettere di un alfabetoinesistente. Ma Clarissa lo sapeva. Sapeva che una volta terminato il disegno, sarebbe stato perfetto,si sarebbe aperto un nuovo mondo, sarebbe stato comprensibile.Il ragazzo intanto si girò in fretta e guardò la ragazza, che subito dopo iniziò a parlare. -Cosa fai?-chiese Clarissa. -Eh?- si girò confuso il ragazzo che intanto era come ritornato dal suo mondo. -Cosa fai?- ripeté calma. -Cosa ti interessa?- parlò lui un po' infastidito. -Non si risponde ad unadomanda con un'altra domanda- disse furbescamente Clarissa. -Lascio un segno- sospirò il ragazzo.Clarissa rise con tono sarcastico, non ci poteva credere... -Tempo sprecato, nessuno si ricorderà dite, arriverà un tempo in cui le persone non ricorderanno più personaggi importanti che hannocostituito la storia del mondo, figuriamoci di un ragazzino che scrive frasi sui muri- disse Clarissa.Il ragazzo rimase leggermente sconcertato da ciò che gli aveva detto la ragazza. Ripeté mentalmentequel discorso, senza rendersene conto poi le parole scivolarono fluide:

-Non voglio che la gente si ricordi di me. Se avessi voluto questo, avrei fatto qualcosa di veramenteimportante. Tutto ciò che voglio è che la gente come te, come me, come noi, la gente che amapasseggiare, che ama leggere i libri invece di uscire con gli amici, la gente a cui piace stare sola, ungiorno, quando vedrà questo murales, penserà di non essere sola, saprà che c'è stato un tempo primadi loro in cui qualcuno il coraggio di lasciarlo il segno l'ha trovato-.Clarissa non disse niente. Prese la bomboletta dalle mano del ragazzo, si girò di spalle e scrissequalcosa sul muro: una piccola e semplice "C". Si girò. Sorrise al ragazzo e andò via.

La violenza nel mondoFrancesco MagroneII A Scuola Media Carducci – BariÈ da un po’ di tempo che guardo la TV o leggo un giornale mi rendo conto di quanta violenza c’ènel mondo. Oggi, tuttavia rispetto a tanti anni fa il livello di civilizzazione è pi alto: grazie anchealla tecnologia siamo più intelligenti, ma a volte la causa della violenza è proprio questa. Mispaventa il telegiornale perché le notizie sono sempre cattive, sento che ci uccide ha una penaridotta perché non è capace di intendere e volere, mentre chi ha ucciso per difendersi dai ladri, incasa propria, vien condannato al massimo della pena, perché per la giustizia è omicidio volontario.La violenza dei minori mi fa ancora più paura; ragazzi che uccidono i loro genitori o i loro coetaneiper motivi futili fa rabbrivdire. Spero che la legge dia pene più giuste e severe, veramente per tutti,perché solo così sarà possibile salvare la società, il nostro futuro.

Invasione nello spazioGiovanni BartoloniII A Scuola Media Carducci – BariÈ l’anno 2137 e il pianeta Spank, che si trovava in una lontana galassia, diventò a poco a pocoinabitabilem perché colpito continuamente da un milione di asteroidi. Prima il pianeta Spank erapieno di gente e vi splendevano continuamente varie costellazioni. Gli abiti, stufi del loro pianeta,decisero di partire con le loro navicelle spaziali, tutte colorate a forma di sfera. Durante il viaggionel cosmo, gli abitanti intravidero il pianeta Terra, un’enorme palla con delle macchie di coloremarrone, verde e blu e rimangono incantati della grandezza e dalla bellezza degli oceani. Gliesploratori felici di aver scoperto un nuovo pianeta, ritornarono alla base e raccontarono agli altriabitanti la bellezza e l’immensità della Terra e che gli esseri umani erano delle persone con la pellebianca che vivevano in maniera frenetica.Gli extraterrestri si trasferirono sulla Terra, andando ad occupare i fondali dell’oceano abitandonella barriera corallina e portando con se i pezzi di magma per nutrirsi. Alcuni terrestri che sitrovavano in spiaggia rimasero a bocca aperta nel vedere alcuni degli strani oggetti volanti che siimmergevano nel mare. Una spedizione di scienziati scoprì gli alieni in fondo all’oceano; i terrestrivennero a conoscenza di questa notizia e rimasero terrorizzati e decisero di cacciarli.Uno scienziato famoso studioso di extraterrestre, di nome Justin riesce a comunicare con gli alieni,attraverso un sommergibile di media dimensione. Lo scienziato comunicò all’umanità che gli alienierano venuti in pace, per trovare un nuovo posto dove abitare, perché il loro pianeta era invivibile. Iterrestri accettarono la convivenza con i nuovi abitanti, così avrebbero potuto conoscere i misteridell’Universo.

Rifugiarsi nel mondo dei sogniAlessia CaputoII A Scuola Media Carducci – BariPer George era difficile affrontare la vita di tutti i giorni; era un ragazzino di appena 11 anni ed,purtroppo, era sulla sedia a rotelle a causa di un incidente stradale accaduto circa tre o quattro anniprima.Era una domenica di ottobre e fuori c’era in bel sole; quel giorno George e la sua famiglia deciserodi andare a fare una passeggiata nel bosco per raccogliere castagne. Non riuscirono tuttavia, adarrivare al bosco. Un pirata della strada causò un brutto incidente. I genitori di George non si feceronulla ma lui si. Rimase con le gambe paralizzate.Quel giorno li cambiò la vita per sempre. I suoi genitori stavano malissimo, nel vedere George sullasedia a rotelle, ma dovevano nascondere il loro dolore, la rabbia, per dargli la forza di andare avanti.George, per non far preoccupare i genitori, celava il dolore che aveva nel cuore e sorrideva.Solo una cosa lo rendeva felice: allontanarsi dalla realtà. Come? Rifugiandosi nel mondo dei sogni.Si rifugiava in un mondo tutto suo dove non era paralizzato, ma aveva piena libertà di movimento.Diventava dando un senso alla sua vita, un eroe che aiutava la gente e gli animali in difficoltà.

Una strana dimensioneCaterina LombardiII A Scuola Media Carducci – BariEra un bellissimo giorno d’estate il sole era già alto splendente. Ero sveglia da pochi minuti easpettavo una cara amica che conoscevo da tempo. Stavo preparando il latte e, ad un certo punto,sentii il campanello suonare. Era Sandy, la mia cara amica.Ero sorpresa perché non era quella l’ora dell’appuntamento ma non importava perché averla a casaLa feci accomodare e andai subito a vestirmi: indossai i pantaloni neri con le striature bianche e lamaglietta a monospalla bianca con sopra la giacca nera con striature bianche, abbinata ai pantaloni.Presi la borsa e insieme andammo al centro commerciale perché lei aveva bisogno di un nuovotelefono, l’altro telefono, infatti, sfortunatamente, era caduto nel lavandino pieno d’acqua.Al centro commerciale ci dirigemmo verso un negozio di telefoni. Ci sembrò molto strano: ilcommesso, anche se l’avevamo chiesto non ci mostrò nessun tipo di telefono, forse non capiva lanostra lingua nonostante fosse italiano.L’atteggiamento mi insospettì e in quel momento uscii subito il distintivo e il commesso capì la miarichiesta, e mi diede i documenti ed ebbi la conferma che era italiano. Aveva una malattia allalaringe non molto grave ma in fase di guarigione; feci un’ispezione generale del negozio e trovaiuna strana porta che emanava una strana luce violacea. Aprii decisa la porta e entrai lì dentro: subitomi travolse un’ondata di caldo e mi ritrovai in un’altra dimensione. Mi sentivo calma e avvertivouna sensazione di libertà, era bella ma non durò tanto perché ritornai indietro e mi ritrovai nella miasolita dimensione. Non raccontai mai niente a nessuno, per me era un segreto, un bel segreto.

C’era una volta….Maria ProtopapaII A Scuola Media Carducci – BariC’era una volta…. È l’inizio di tutte l fiabe e le favole sdolcinate, vero?

Questa, tuttavia, non è né l’una né l’altra. Questa storia ha come protagonista una principessadiversa. La principessa Camille, non era una principessa super agghindata e raffinata come le suemigliori amiche: Jo, Stephanie, Alexa e Lucy.La principessa Camille era definita una ribelle. A quei tempi le ribelli non erano ben accette, evenivano definite streghe, se non obbedivano e discutevano i comandi degli uomini.La nostra principessa viveva nel Rinascimento e come si sa, le principesse, a quei tempi, ad ognifesta erano costrette, ad imparare a ballare bene.C’era il matrimonio della sua migliore amica Jo, principessa del Portogallo, e il principe Carlosprincipe di Spagna. Tutti sapevano che quel matrimonio sarebbe, solo servito ad unificare lapenisola iberica, perche tra i due non c’era mai stato amore.La cerimonia era andata perfettamente, ma la principessa Nexa aveva cercato di impedire ilmatrimonio poiché non accettava quell’unione. La giovane, fu accusata di “blasfemia”, e fucondannata alla decapitazione sulla pubblica piazza.La principessa Camille stava assistendo alla punizione e, non ritenendola giusta, prese un arcoscagliò una freccia che bloccò il boia. Non appena tutti ebbero la sua attenzione si alzò in piedi suun tavolo con le lacrime agli occhi gridò a squarcia gola:”Siete contenti?” e ripeté: ”Siete contenti?”Tra i singhiozzi e con la voce tremante continuò: “Sono stanca, capito?! Stanca! Voi uomini, nonavete il diritto di ucciderla; una donna è una donna, è un essere umano, e nessun uomo può decideredi ucciderla.” Si fermo un attimo, respirò forte e riprese a parlare con voce ferma e decisa,rivolgendosi alle donne: “Signore donne, chi è stanca della prepotenza degli uomini, dica NO evenga con me, con coraggio a testa alta.” La maggior parte delle donne seguì il suo consiglio, e gliuomini, impauriti, accettarono di essere rispettosi delle donne.Tutto questo, accadde, grazie ad una ribelle.Ed ecco ora si può dire… …c’era una volta, ….c’era una volta una ribelle.

RobertoLaura AmorusoII A Scuola Media Carducci – BariUn giorno Giorgio stava camminando e ad un tratto vide un bambino tutto sporco con un saccopieno di mele. Stava correndo perché aveva fatto dei danni e aveva rubato le mele. Giorgio lo vide elo fermò dicendogli: “Perché stai correndo?”; e il bambino rispose: “No, niente.” Giorgio insistè egli chiese nuovamente ma il bambino non rispose. Insistette, gli chiese come si chiamasse e perchérubasse il cibo Roberto rispose: “Sono povero, non ho casa, non ho amici non ho niente.”Giorgio commosso parlò: “Non ti preoccupare, ci sono io con te”, e poi i due ragazzi siabbracciarono.Giorgio sorridendo disse: “Visto che tu e io siamo amici, e questo l’ho raccontato a tua madre e miopadre, vuoi venire a vivere a casa mia?”Roberto tutto contento rispose di si. Quel bambino da quel giorno fu il bambino più felice delmondo.

Il syncro è il mio sport!Giorgia LopezII A Scuola Media Carducci – BariIo pratico nuoto sincronizzato, ormai da sette anni, ho partecipato a tante gare e quasi tutte sonoandate male. Quando tu credi che ce la puoi fare, solo in quel momento puoi farcela davvero: è

importante per me essere ottimisti, il syncro è lo sport più bello e più elegante; è anche moltostancante.Voglio raccontare, la mia emozione più forte quando ho visto per la prima volta Giorgio Minisini eSusanna De Angelis. Giorgio è l’unico sincronetto maschio d’Italia e Susanna, sua madre, è una excampionessa mondiale di sincro. Il figlio, ai mondiali di sincro Karan 2015, ha riconquistato il titolodella madre. Lui è il mio idolo è bravissimo, io l’ho conosciuto in piscina dove vado. Sia Giorgioche Susanna sono molto severi, ed io sono migliorata molto da quel giorno: è stato il migliorweekend della mia vita.È stato molto bello ma faticoso, e da quel giorno ci sono stati molti cambiamenti nella mia piscinami alleno tutti i giorni e ripeto gli stessi esercizi noiosi e stancanti.

Paese fantasiaNicola CasalinoII A Scuola Media Carducci – BariIn un paesino chiamato fantasia, il tempo scorreva con grande lentezza per i cittadini che avevanotanta fame.I questo paesino c’era molta povertà: i terreni dei contadini non erano più fertili, i mercanti urlavanotanto in modo che qualcuno comprasse i loro articoli e i bambini giocavano in modo da dimenticaredi avere fame.Solo uno di loro se ne stava in casa seduto in un angolo a pensare… avrebbe voluto vivere in unmondo incantato dove fosse tutto commestibile.Un giorno decise di andare in cerca di qualcosa da mangiare e si incamminò verso un bosco.Dopo un po’ vide un cervo e decise allora di seguirlo.Il bambino si nascose dietro un cespuglio per non far impaurire il cervo, aspettando…. Vide chequest’ultimo prima si guardò intorno e subito dopo si addentrò in una grotta scura… Il bambinocontinuò a seguirlo e “BUM” cadde in una fossa. Si sveglio e non potè credere ai suoi occhi: itronchi degli alberi erano di liquirizia, un po’ più in la scorreva un fiume di cioccolato bianco, ipetali dei fiori erano fatti di tante caramelle gommose di diversi gusti. Rimase perplesso, si strofinògli occhi pensando di sognare ma nulla cambiava, allora si insospettì; si abbassò e prese un filod’erba, lo assaggiò, era al gusto di menta!!! Una nuvola, in quel momento scese dal cielo, laassaggiò ed era fatta di zucchero filato, le stelle erano fatte di latte di cocco e la luna e il soleavevano un gusto di fragola.Il bambino corse subito a chiamare tutti gli abitanti. All’inizio lo presero per pazzo, ma quandoanche loro videro quel mondo zuccherato lo ringraziarono.Alla fine il fantastico paese si espanse, e , fu da allora che venne chiamato “Paese FANTASIA”

AMICI E MISTERIII B - I.C. Aldo Moro - S.S. I Grado – di Stornarella (Foggia)Tutto iniziò quella maledetta notte, a casa di Simone, dove i ragazzi avevano dato inizio al party difine anno scolastico, per festeggiare, come scelto da Angelica, l'inizio dell'estate.Il primo anno di scuola secondaria era terminato e i ragazzi erano eccitati all'idea di avvicinarsi alsecondo anno che, come detto dagli studenti più grandi, era il migliore tra tutti.Il loro era un gruppo completo, uno di quei tipici gruppetti di amici in cui era presente Simone, unragazzo con i capelli castani e le lentiggini, il solito ragazzo con i piedi per terra, quello

appassionato di cultura; Pia, la solita ragazza modaiola, attenta al suo aspetto, senza peli sulla linguache, con i suoi capelli bruni e la pelle olivastra, era molto carina; Mirko, il tipico ragazzo strambo,dallo stile dark, l'unico ragazzo biondo del team e anche l'unico ad avere occhi con sfumature verdie marroni; Roberta, una ragazza timida e sportiva, amante del nuoto, con una bellezza semplice,con i lunghi capelli castani e gli occhi verdi tendenti all'azzurro; poi, la paladina di tutti, Angelica,una ragazza amata da tutti per il suo aspetto fisico e il suo carattere, molto bella grazie ai suoicapelli biondi, gli occhi azzurri, le labbra rosa, il viso a cuoricino e un fisico statuario.Tornando a quella notte, Mirko, Pia, Simone e Roberta aspettavano Angelica per dare inizio allefeste. Aspettavano seduti sulle poltroncine dell'accogliente salotto di Simone, quando sentirono unrumore, come un graffiare, alla porta di casa. Avvicinandosi cautamente, Pia disse: “Chi c'è?”. Pertutta risposta, ci fu un altro graffio e poi un urlo. Improvvisamente, la porta si aprì, con un tonfo, iragazzi, spaventati, urlarono e poi...spuntò il viso di Angelica che disse: “Vi ho spaventati?”. Iragazzi la assalirono affettuosamente. La adoravano.Allora Roberta sbottò: “Allora, qual è la pazzia di quest'anno?”. I ragazzi, alla fine di ogni annoscolastico, facevano qualcosa di folle. L'anno precedente si erano rotolati nel fango con addossosolo la biancheria intima, l'anno prima ancora avevano fatto una gara a chi mangiava più banane,con la buccia. Il vincitore fu Pia.“Fumeremo dei semi di papavero” rispose Angelica con aria maliziosa.“Ma non hanno un effetto simile alla droga?” chiese Simone sconvolto.“Beh, c'è qualcuno qui che ha paura” disse Angelica con cattiveria.“No, voglio solo sapere a cosa andremo in conto e vogliono saperlo anche gli altri”.Simone e Angelica erano grandi amici però litigavano spesso per il potere. In effetti i ragazzi eranoleggermente succubi della ragazza bionda, ma era impossibile resistere al suo sguardo quando liimplorava. Angelica sapeva esattamente con quale parola e con quale gesto convincere i ragazzi,così pronunciò quella magica ed efficace parola: “Per favore” disse spalancando gli enormi occhiazzurri, sbattendo le ciglia e cacciando il labbro in fuori. Poi aggiunse: “Su, ragazzi, saràdivertente!”. Roberta fu la prima ad accettare, dicendo: “In effetti mi sono sempre chiesta come ci si sentequando si è drogati”. A lei si aggiunsero subito Pia e poi Mirko, che si espresse dicendo: “Io lo faròperché anche io sono curioso, ma ho un brutto presentimento...”. A malincuore anche Simoneaccettò. Allora Angelica cacciò dalla tasca un sacchettino di plastica contenente dei semini simili asesamo, ne prese una manciata e la gettò su una fiammella, poi disse: “Forza, iniziate prima voi”.I ragazzi si avvicinarono, con un'aria un po' incerta e annusarono profondamente. Entrarono subitoin trance e Mirko, Roberta e Pia ebbero una specie di colpo di sonno, ma Simone, anche senarcotizzato, esplose: “Ora basta! Vedi cosa è successo agli altri! Svegliali!”.Angelica rispose di botto: “Cosa vuoi da me? Loro hanno voluto farlo!”.Simone guardò gli altri, che sembravano svenuti, e adirato disse: “Vai subito via di qui!”.Angelica, profondamente offesa, prese il cellulare appoggiato sul tavolino e se ne andò. Simone,colpito dal senso di colpa, cercò di raggiungere l'amica, ma quando si affacciò sulla strada, non videnessuno, né a destra né a sinistra.Intanto, nel capanno, Mirko si era svegliato e cercava di svegliare anche Pia e Roberta. Quando tuttisi ripresero, anche se molto confusi e scombussolati, ricordarono un' ultima cosa. Una frase diSimone che era tornato in casa, una di quelle frasi che, anche se composte da poche parole, ticambiano la vita. La frase di Simone fu: “Angelica è scomparsa”. Poi il vuoto. Fu l'ultimo ricordodi quella serata.Nei primi giorni della scomparsa i ragazzi si tenevano ancora in contatto, anche con la madre diAngelica, alla quale avevano promesso che, se avessero avuto notizie della figlia, glielo avrebberodetto. Dopo un paio di settimane i ragazzi smisero di contattarsi. Mirko si trasferì in Francia e glialtri proseguirono le loro vite, con i vecchi amici che non ne facevano parte,UN ANNO DOPO

Mirko era tornato dalla Francia. Lui più che un cittadino italiano si sentiva un cittadino francese atutti gli effetti. Lo stile francese rispecchiava moltissimo il suo modo di essere, cosa che nonaccadeva in Italia. Mentre sistemava i suoi vestiti nell'armadio, pensavano al suo grande segreto chesolo Angelica conosceva: Mirko aveva spesso rubato nei negozi, dalle caramelle ai capi diabbigliamento, e una volta quando era con Angelica in un negozio, aveva adocchiato unmaglioncino nero che gli piaceva molto; decise bene quindi di prenderlo e infilarselo sotto l'enormefelpa bordeaux che indossava. Appena usciti dal negozio, Mirko mostrò il maglioncino ad Angelica,ma purtroppo il proprietario del negozio se ne accorse e lo raggiunse. Quando fu scoperto, fuAngelica a pagarlo poiché il ragazzo non aveva soldi a disposizione. Anche se ad Angelicaquell'episodio passò inosservato, dopo un po' di tempo cominciò a rinfacciarlo. Ad un certo punto ilcellulare squillò, era un messaggio. Diceva:“So come ti senti. Tornare nella città dei tuoi antichi furti non deve essere facile. Ma nonpreoccuparti, ci sarò io a consolarti. N”.Intanto Roberta nella sua camera rileggeva le vecchie pagine del suo diario segreto. Aveva trovatouna vecchia pagina, di quando Angelica non era scomparsa. La pagina diceva: Sabato 21 maggio,ore 20.45. Oggi ho fatto ciò che ho sempre desiderato: sono riuscita a baciare Angelica. Lei, nel suogarage, stava parlando di un ragazzo carino del terzo anno, a quel punto io sono esplosa e l'hobaciata. Dopo il bacio lei mi ha semplicemente guardata e mi ha sorriso. Poi ha ricominciato aparlare. Non so cosa provo per lei, forse è solo la mia manifestazione di affetto.Poi sotto la pagina c'erano dei cuoricini colorati con la penna. Roberta ricordò che Angelicaalludeva spesso a questo fatto, senza dirlo direttamente. Improvvisamente il cellulare di Robertafece un trillo. Il messaggio che le era arrivato era: “Hey Rob! Non hai più un'amica da baciare! Masta tranquilla, ci sarò io a farti compagnia. Baci. N”.Nel frattempo Pia era con Marina, la sua migliore amica, al bar, a chiacchierare tranquillamente.Marina era sempre stata, quando c’era Angelica, una ragazza sfigata senza amici, particolarmentepresa di mira da Angelica e il suo gruppo, ma quando la ragazza bionda sparì, Pia fece amicizia conlei e la fece diventare fantastica e insieme si trasformarono nelle ragazze più popolari della scuola.Marina aveva detto: “Sai, Pia, tu non mi hai ancora detto come hai fatto a dimagrire cosìvelocemente. Allora Pia rispose: “Oh, sai, una dieta equilibrata affiancata da tanta attività fisica”. Inrealtà non era così. Pia sapeva la verità. E la sapeva anche Angelica. La verità era che Pia era statauna ragazza anoressica. Angelica l'aveva scoperto per sbaglio, infatti l'aveva sorpresa mentre siinduceva il vomito con uno spazzolino da denti. Come un messaggio subliminale in un film,Angelica ricordava spesso e rinfacciava spesso l'accaduto. Poi Pia ricevette un messaggio: “Credoche il cappuccino che hai ordinato sia buono. Bevilo senza vomitarlo. Buon appetito (per semprespero). N”.Simone era alla scrivania, pensando ai vecchi periodi, ai segreti... anche al suo grande segreto.Infatti Angelica aveva visto Simone baciare la nuova fidanzata del fratello, Matteo. Non era maistato in ottimi rapporti con il fratello, la loro competizione ad essere il migliore in tutto portava agrandi litigate. Erano sempre stati gelosi l'uno dell'altro, eppure ognuno di loro aveva ottime qualità.Angelica aveva sempre ricattato Simone che, se non avesse detto tutto ciò al fratello, l'avrebbe dettolei, non solo a Matteo, ma anche a tutti gli altri. All'improvviso Simone ricevette un messaggio daun numero privato: “Chissà cosa direbbe tuo fratello se venisse a scoprire certe cosette...vorrà direche manterrò io il segreto, probabilmente! N”.I ragazzi, sconvolti da quei messaggi, decisero di non parlarne con nessuno, per prepararsi allagiornata di scuola che si sarebbe tenuta l'indomani.La mattina successiva Roberta incontrò Mirko nel corridoio della scuola e gli corse incontro persalutarlo, proprio come fanno i cuccioli dopo il lungo viaggio dei padroni. Mirko era felice del fattoche qualcuno lo ricordava, una cara amica per giunta. Dopo aver parlato un po', ai due ragazzi siaggiunse Simone. Mirko chiese ai suoi vecchi amici: “Ragazzi, ci sono state notizie di Angelica?”. Iragazzi guardando l'amico fecero no con la testa. Magari avevano paura di rispondere, magariavevano paura della verità, magari avevano paura che ormai la loro amica non si sarebbe mai più

fatta vedere, magari avevano paura di ciò che sarebbe successo, magari avevano paurasemplicemente di loro stessi, dei loro segreti, dei loro casini. Ma per Roberta, Simone e Mirko fusicuramente molto più spaventoso vedere la loro ex amica Pia con una non più sfigata Marina,camminare lentamente, come fanno i famosi di Hollywood sul Red Carpet, indifferenti degli altrialunni, continuando a guardare avanti, con il volto in alto e uno sguardo pieno di orgoglio. Pia nonnotò nemmeno i ragazzi tanto era presa a fare star con la sua nuova amica.La campanella era suonata e solo quando furono in classe i ragazzi capirono di essere capitati in dueclassi diverse. Infatti Simone e Roberta frequentavano la sezione C, Mirko e Pia la A. Purtroppo perPia, Marina era invece capitata nella sezione B.Le lezioni passarono velocemente, tipico del primo giorno di scuola d'altronde. All'uscita di scuolaRoberta, Simone e Mirko decisero di incontrarsi al parco per fare una passeggiata e parlare un po'.Come prestabilito, i ragazzi si erano incontrati al parco e, dopo qualche passo, incontrarono Pia che,probabilmente, se ne tornava a casa. Quando vide Mirko si avvicinò velocemente dicendo: “Ciao,tesoro! Da quanto tempo! Ti ho intravisto oggi in classe ma poi ho ricordato che tu eri in Belgio, ogiù di lì, e invece sei veramente tornato! Mirko, leggermente imbarazzato disse: “Beh,sì...comunque noi stiamo facendo una passeggiata, se vuoi puoi aggiungerti a noi”. Pia annuì e iquattro vecchi amici si incamminarono verso una panchina. Appena arrivati alla panchina, il grupporicevette, nello stesso momento, lo stesso messaggio. Capirono subito chi era. Prima di leggere ilmessaggio, Roberta disse: “Ragazzi, non mi dite che anche voi avete ricevuto...-Messaggiminatori”. La interruppe Pia. “…riguardanti Angelica...”. Aggiunse Simone per poi essere seguitoda Mirko: “...e i nostri segreti”. Ognuno di loro aveva capito che non erano soli, non più, e questacosa diede loro molto coraggio. Ora però dovevano avere anche il coraggio per leggere ilmessaggio. Mirko si fece avanti e, con la sua voce profonda, lesse il messaggio: “I cretinetti si sonoriuniti una volta per tutte. L'unione fa la forza, ma i segreti la scompongono. Potreste fare la finedella vostra amica scomparsa. Vi chiedete mai cosa succede quando siete di spalle? N”.Spaventati, i ragazzi si guardarono intorno, poi si abbracciarono per farsi forza a vicenda. I ragazzipoi parlarono dei loro segreti, era la cosa giusta da fare. Parlarono dei taccheggi di Mirko,l'anoressia di Pia, la probabile omosessualità di Roberta e del bacio che Simone aveva dato alla exfidanzata del fratello.Intanto le giornate scolastiche passavano velocemente a scuola, e i ragazzi si incontravano tutti ipomeriggi.Ma poi ci fu il caos. Una domenica mattina, nel giardino di Angelica, venne ritrovato il suocadavere. I ragazzi credevano che “N” potesse essere Angelica, ma non era così. Quel giornoMirko, Simone, Roberta e Pia lo passarono sul letto, con la faccia sprofondata nel cuscino apiangere.Il giorno del funerale fu un giorno particolarmente triste. Eppure c'era qualcosa che li rincuorava. Iloro segreti erano in una tomba che nessuno avrebbe riaperto. Appena usciti dal funerale il lorotelefono squillò all'unisono. Era arrivato un messaggio. A tutti. I ragazzi lessero insieme: “Sonoancora qui, cretinetti. E so tutto. N”. Subito dopo ricevettero un altro messaggio:“Se vi state chiedendo se io sia l'assassino di Angelica, la risposta è no, sebbene io l'avrei uccisavolentieri”.I ragazzi passarono alcune settimane infernali, durante le quali tutte le persone che incontravano ascuola o per strada, li adocchiavano, si zittivano, e poi dicevano quella frase ormai così comune:“Quelli sono gli amici della ragazza morta... I ragazzi sapevano perfettamente che la loro amica eramorta, ma non c'era bisogno di ricordarlo sempre. La gente non fa altro che ricordarti ciò che haiperso. Qualcosa comunque era chiaro: “N” non era l'assassino di Angelica e, anche se liperseguitava (infatti ricevevano spesso messaggi da lui), probabilmente avrebbe aiutato il gruppo ascoprire il colpevole dell'omicidio della loro amica. Per quanto potesse sembrare folle, potrebbeessere anche probabile. “N” aveva già lasciato un indizio, aveva infatti dichiarato a loro che nonera lui l'assassino. Quindi decisero di investigare sul loro ricattatore, su Angelica, iniziando proprioda casa sua.

Quando bussarono alla porta della casa della loro ormai defunta amica, venne ad aprire sua madre,la signora Tieri (il cognome di Angelica). Aveva un'aria distrutta, come se fosse stata sbattuta centovolte contro un muro. Gli occhi azzurri, che la figlia aveva ereditato, erano gonfi e arrossati dalpianto. Tuttavia, quando vide il gruppo di ragazzi, si sforzò di sorridere e dire: “Ciao, ragazzi, cosavi porta qui?”. “Buonasera, signora Tieri. Mi sono ricordato di aver dimenticato nella stanza diAngelica un mio libro durante un pigiama party. Potrei riprenderlo?” mentì Mirko. “Certo, caro.Accomodatevi ragazzi” rispose gentilmente la mamma di Angelica.Appena entrati nella sua camera, i ragazzi fecero come un salto nel tempo, quando la loro amica eraviva. Improvvisamente ricordarono la lucentezza dei suoi capelli, lo sguardo che avevano i suoiocchi quando voleva convincere i suoi amici a fare qualcosa di folle, il suo profumo, i suoi gustimusicali, la sua andatura da personaggio famoso...sentirono come se Angelica fosse lì. Beh,dopotutto lei era ovunque, sulla bocca di tutti. Bisbigli, bisbigli... era come se Angelica fosse ancoraviva. Comunque i ragazzi si misero alla ricerca di qualcosa che potesse far capire se qualcuno laminacciasse, le avesse fatto o quantomeno avesse cercato di farle del male... ma niente, niente sullascrivania, niente nella libreria, niente sotto il letto, niente nei cassetti, niente negli armadi...insommaniente di niente. Fino a quando sullo scaffale sopra il letto, trovarono il suo diario segreto. Deciserodi portarlo da Simone per poterlo leggere tranquillamente, così presero il diario e salutaronoquell'atmosfera magica che riportava alla luce tanti bei ricordi. Dopo aver salutato la madre dellaloro amica, si diressero a casa di Simone.Arrivati, i ragazzi si accomodarono nel famoso soggiorno, dove avevano visto Angelica per l'ultimavolta e, quando tutti furono seduti, Roberta iniziò a leggere una pagina di diario:Lunedì, 19 febbraio.Caro diario,oggi ho fatto visita a Beatrice, Sta bene, però starebbe meglio fuori dal carcere minorile. Dopotuttoio l'ho perdonata, non capisco perché non debbano farlo anche gli altri...Pia chiese: “Chi è questa Beatrice e perché è in un carcere minorile?”. La domanda era più chepertinente, poiché anche Angelica aveva i suoi segreti, infatti parlava pochissimo di se stessa e dellasua vita personale, ma di sicuro non aveva mai parlato né di questa Beatrice né di un’amica incarcere.Simone prese il diario, lo sfogliò e ne lesse un'altra pagina.Giovedì, 12 aprile.Pigiama party con Mirko, Simo, Rob e Pia. Ad un certo punto ho pensato di dover dire di LUI, poiho pensato che avrebbe potuto fare del male anche a loro o di iniziare a ricattarli. L'ultima cosache voglio è vederli soffrire...Ad un certo punto il telefono squillò a tutti, sapevano già chi era. Il messaggio era:“Dovreste smetterla di cercare, basta vedere che fine ha fatto la vostra biondina... baci e abbracci.N”.I ragazzi si guardarono intorno e videro dalla finestra una figura incappucciata. Lasciarono tutto lì,uscirono e corsero dietro quella figura incappucciata, ma purtroppo riuscì a seminarli. Una cosa erachiara: la figura incappucciata era “N”. Mandò un altro messaggio ai ragazzi:“Correre non basterà a scappare dal vostro passato e dai vostri segreti.N”.

La mattina dopo i ragazzi si incontrarono, come sempre, a scuola. Mirko vide, sotto al suo banco,un pacco legato con lo scotch. Strappato lo scotch e aperto il pacco, un brivido percorse la schienadi Mirko. Fortunatamente non c'era nessuno in classe, altrimenti qualcuno si sarebbe avvicinato acuriosare. Il pacco conteneva una bambola con la testa staccata, che reggeva in mano, ma, cosaancora più inquietante, la testa della bambola aveva lunghi capelli biondi e occhi azzurri. C'era unbiglietto sul collo della bambola con su scritto: “I cretinetti curiosi muoiono.N”.Appena in classe entrò la professoressa di letteratura, che era la materia preferita di Mirko, odiata

invece da Pia, e gli altri studenti, tra cui appunto Pia, Mirko chiuse il pacco e decise di mostrarglieloa ricreazione.Intanto, anche Simone aveva ricevuto un "souvenir" altrettanto macabro, ossia la cartolina che iquattro ragazzi avevano infilato nella tomba di Angelica. Essendo il compagno di banco di Roberta,gliela mostrò: era di sicuro la loro cartolina, dietro c'era anche la frase che Mirko aveva scritto daparte di tutti: “non ti dimenticheremo mai. Con affetto i tuoi migliori amici Mirko, Roberta, Pia eSimone”.Quando anche Roberta la riconobbe, fece una faccia spaventata e sussurrò sottovoce all'amico:“Simone, hai capito cosa significa?”. Ma Simone sapeva perfettamente ciò che significava:qualcuno aveva profanato la tomba di Angy.Dopo scuola i ragazzi si incontrarono a casa di Pia, per parlare dei macabri regali che avevanoricevuto sicuramente da “N”, del fatto che sempre “N” aveva profanato la tomba di Angelica e cheprobabilmente era un loro coetaneo, un loro compagno di scuola, in modo che non avesse avutodifficoltà a lasciare ai due ragazzi quei doni spaventosi. Ma parlarono anche della festa in mascherache si sarebbe tenuta quel sabato. Pia e Roberta, improvvisamente, ricevettero un messaggio:“Scusate ragazze, se non ho lasciato dei regalini anche a voi! Ma niente paura, ho un indizio ancheper voi! Ci sarò anche io al ballo in maschera. E il mio costume sarà da... cigno nero.N”.Le ragazze fecero vedere il messaggio agli amici e Simone commentò: “Ragazzi, mi è venutaun'idea! Se “N” verrà alla festa vestito da cigno nero non basterà che trovarlo, raggiungerlo esmascherarlo!”. “Oh andiamo, avrai idea di quante persone saranno vestite da cigno nero?”commentò Pia. “Pia, stiamo parlando di un cigno nero, non un cretino vestito in smoking! Di sicuronon è un costume facilmente reperibile!” rispose leggermente acido Mirko.Arrivò il sabato, il giorno della festa in maschera. I ragazzi si incontrarono un quarto d'ora primadella festa, quando ancora non c'era nessuno, per pianificare la cattura di “N”. I ragazzi erano quasiirriconoscibili mascherati in quel modo. Mirko era vestito con giacca, pantaloni e scarpe nere conun maglioncino bordeaux e indossava una maschera anch'essa bordeaux e bianca, che gli coprivametà del volto. Simone aveva anche lui giacca, pantaloni e scarpe nere, ma abbinate con unacamicia blu; inoltre indossava una maschera come quella di Mirko, solo che era blu e bianca. Piaindossava un bellissimo vestito giallo con una maschera che le copriva la fronte e il naso, di colorenero, con delle piume gialle. Roberta indossava un abito verde acqua e portava una maschera ugualea quella di Pia, se non fosse che la sua aveva piume del medesimo colore del vestito.Il piano era che si sarebbero divisi in due gruppi: Mirko avrebbe cercato “N” nella parte menoprobabile, quella meno affollata, nei luoghi più nascosti; Pia, Simone e Roberta avrebbero cercatoinvece nei posti in cui c’erano più persone, dove sarebbe stato più facile mimetizzarsi.Appena iniziata la festa, i ragazzi si divisero come prestabilito. Cercarono per mezz'ora, fino aquando il gruppo di Roberta, Pia e Simone avevano avvistato una ragazza con i capelli rossicci(probabilmente una parrucca) e un vestito tempestato da piume nere: era il cigno nero ovvero “N”.A giudicare dai capelli lunghi “N” era una ragazza. A nessuno del trio venne in mente di avvisareMirko, così iniziarono a raggiungere “N”, che si era accorta che i ragazzi la stavano seguendo, cosìiniziò a cercare di seminarli. Proprio quando i ragazzi insieme alla loro ricattatrice uscivanodall'edificio, Mirko li notò e decise di seguirli, ma senza farsi accorgere né dagli amici né dalnemico, decise di seguirli silenziosamente. “N” condusse Pia, Roberta e Simone in una vecchiachiesetta. Quando furono dentro non ricordarono nulla, solo che erano stati colpiti così fortementein testa che avevano perso i sensi. Quando rinvennero, erano legati ad un palo di legno delcampanile, Mirko non c'era. Poi videro una figura che indossava un vestito pieno di piume consopra una giacca con il cappuccio che le copriva il capo. All'improvviso ricordarono tutto: la festa,“N”, il fatto che era una femmina, l'arrivo alla chiesetta, il colpo in testa...ad un certo punto la figuraincappucciata abbassò il cappuccio, si voltò, e fu rivelato che il cigno nero, ovvero “N” era niente dimeno che... Marina. Sì, Marina! La migliore amica di Pia, fino a quando Mirko non era tornato e ilgruppo si era ricomposto. La stessa Marina che da sfigata era diventata una delle più popolari

persone a scuola. I ragazzi erano sconvolti, soprattutto Pia, la quale esclamò: “Marina, perché ci haifatto questo?”. E Marina rispose: “E' molto semplice il perché, mia cara. Quando Angelica eraancora viva, voi mi rendevate la vita impossibile. Ero sempre la sfigata presa di mira, quella piùsnobbata da tutti. Finalmente avevo trovato una nuova amica, che mi ha fatto diventare la piùcelebre ragazza della scuola. Sono venuta a conoscenza dei vostri segreti quando mia madre ed ioeravamo andate a trovare la signora Tieri, questo prima della scoperta del cadavere di Angelica.Con la scusa del bagno, mi sono introdotta nella sua camera, ho preso il suo diario e l'ho letto.Quando ho letto i vostri segreti ho capito che c'era gente che era molto più disperata di me. Perquanto riguarda Angelica, come vi ho già detto, non l'ho uccisa io, io ho ucciso Beatrice.Scommetto che vi starete chiedendo chi sia questa Beatrice. Beh, Beatrice è la sorella gemella diAngelica, chiusa in un carcere minorile perché aveva cercato di uccidere la sorella, da piccola. Perquesto avete letto nel diario che lei l'aveva perdonata. La sera della scomparsa di Angelica,facevano una passeggiata nel bosco insieme e io, pensando che fosse Angelica, l'ho colpita in testacon una pietra. Ed è morta. Qualcuno aveva occultato il cadavere, non so chi. Intanto Angelica erascappata. Allora Roberta chiese: “Quindi Angelica è ancora viva?”. E Marina rispose: “Non lo so,non credo. Ma ora, ragazzi sono costretta ad uccidervi, voi sapete troppo ormai... beh chissà checosa farà da solo il vostro amichetto...” “Perché non glielo chiedi tu stessa?” chiese furbescamenteSimone. “Cosa?” chiese perplessa Marina. “Hey, Marina!” disse Mirko, uscito furtivamente dalnulla. Detto questo colpì Marina con la pala, lei perse l'equilibrio e cadde giù dal campanile. Lavisione fu orribile. Videro Marina in una pozza di sangue, stesa sul terreno, morta. Mirko avevaucciso Marina. I tre ragazzi si slegarono e andarono incontro all'amico che era rimasto sconvolto.Ad un certo punto il cellulare squillò. A tutti il messaggio diceva:“Credete di potervi liberare di me? Marina sarà pure stata nel “N team”, ma ha svolto il suo lavoroda schifo. C'è un nuovo terrore in città. Buona fortuna, cretinetti”.

IL MIO PAESE, OGGIII C - I.C. Aldo Moro - S.S. I Grado – di Stornarella (Foggia)Che emozione! Dopo anni trascorsi nella grigia Milano, sto per rimettere piede nel mio piccolo esolare paesino pugliese … Già, solare! Mi vien da sorridere quando sento mio padrescherzosamente denominare il nostro paese: "La città del sole", facendo riferimento, se non erro,all'opera di un certo Campanella (non so chi sia!), per sottolineare come il clima mite e solare, chesi ha per gran parte dell'anno da queste parti, sia effettivamente un'utopia per la fredda e grigiaMilano.Con nostalgia ricordo il mio paesino, con la sua piazzetta raccolta, dove mi incontravo con gliamici, anche se ciò è un po' riduttivo: in un paesino del sud, dove ci si conosce un po' tutti quanti,alla fine si può affermare che tutti sono amici con tutti.La piazzetta, appunto, dove ci si riuniva e si trascorreva molto tempo a chiacchierare, a raccontarestorie nostre e di altri, seduti su una panchina o su degli scalini, oppure passeggiando per ore su egiù, il cosiddetto "struscio", come si soleva chiamare queste passeggiate.Per il rientro in paese papà ha preferito entrare da est e già noto i cambiamenti: sia a destra che asinistra una serie di piccole attività artigiane, prima di arrivare ad un grande incrocio regolato da unenorme rotatoria con a sinistra un grosso viale, teatro oggi, lunedì, del mercato settimanale, mentreprima il mercato si teneva "abbasc a u r'p'r" (al "riparo"), ed a destra un viale lungo e stretto con filedi cipressi su entrambi i lati, che sembrano vegliare i nostri defunti al loro passaggio verso ladimora eterna.Chiedo a mio padre di non fermarsi a casa, ma di proseguire per dare un'occhiata in giro.Proseguendo diritto ci rechiamo al centro del paese, non prima di aver notato sulla destra unagraziosa casa, casa nostra, su tre livelli con la facciata del piano terra in pietra, che rievoca leantiche costruzioni rurali tipiche della zona.

Arrivati al centro del paese ci accorgiamo che la piazza, un tempo percorribile anche con leautovetture, è stata definitivamente chiusa al traffico: ci troviamo davanti ad un’enorme isolapedonale, dove è possibile scorgere una serie di piccole attività commerciali, bar alternati anegozietti, circoli politici e un bazar.Noto con dispiacere che all'appello manca il Bar "Fausto", bar storico nonché miglior gelateria delpaese se non addirittura della provincia.Pochi metri più in là, in maniera un po’ sfalsata, si trova a destra il Municipio con al suo fianco ilMonumento ai Caduti, e a sinistra la Chiesa con il suo immenso sagrato.Come ho già detto sopra, la piazza è stata in passato realmente il fulcro della vita quotidiana di tuttii cittadini; oggi, invece, noto con disappunto che, pur chiusa al traffico e migliorata nell’ arredourbano, è quasi sempre deserta, se non fosse per qualche passante solitario e per i soliti gruppi dipersone dedite, a loro modo, alla politica del paese: mosche bianche circondate da folti gruppi diextracomunitari che da circa quindici anni hanno letteralmente invaso questa comunità, o quel chene è rimasto.Comunità, infatti, rimasta orfana di tanti giovani che sono dovuti emigrare, in taluni casi con interefamiglie al seguito, al nord e all’estero in cerca di lavoro e affermazione.Oggi, quindi, mi rendo conto che ci troviamo a condividere i nostri luoghi con persone di etnia e direligione diverse dalla nostra; persone, che pur riuscendo a lavorare e a tenere casa, non sono deltutto integrate nella comunità.Basta osservare appunto i numerosi gruppi di queste persone, che riempiono la piazza dalla mattinaalla sera, gruppi che restano a numero chiuso a mo’ di piccole fortezze inespugnabili.Ormai, anche qui, tra l’ altro, si assiste a episodi di degrado, come bambini stranieri che rovistanonei bidoni dell’immondizia, adulti che lasciano i propri bisogni qua e là per il paese, gruppi diragazzi che si ubriacano, sporcano e rubano; certo non bisogna far di tutta l’erba un fascio,considerando che anche tra di noi non mancano persone poco rispettose.Certo queste situazioni rispecchiano ciò che accade nei paesi limitrofi così come in tutta Italia.Ciò che non voglio è che il lettore pensi a me, autrice del testo, come a una razzista . . .Ciò che penso e che voglio dire è che forse la situazione sia sfuggita di mano, che le istituzioni, daquelle locali a quelle centrali dello Stato, non riescono a regolare un graduale inserimento degliextracomunitari nella nostra comunità, facendo loro accettare e rispettare la nostra identitànazionale.Il timore di chi scrive è proprio quello di vedersi in futuro appunto non accettata e rispettata comeitaliana e cattolica in “casa propria”.Ciò non toglie, che mi auguro che la situazione possa migliorare quanto prima nel rispettoreciproco, con spirito di libertà, legalità e fraternità; il mio pensiero in questo momento è andato allevittime del terrorismo di Parigi, persone che hanno perso la vita in casa propria, nella propriaquotidianità, uccise da coloro che hanno accolto.Con un po' di tristezza, malinconia e nostalgia della giovinezza trascorsa in questo paese, chiedo amio padre di andare a riaprire la nostra vecchia casa, per disfare le valigie, pranzare e provare arintracciare amiche e amici che non vedo da anni.

QUATTRO AMICHE SPRINTII B - I.C. Aldo Moro - S.S. I Grado – di Stornarella (Foggia)Eravamo quattro amiche inseparabili. Io, Maria, Silvia ed Emanuela eravamo unite come sorelle eavevamo fondato per questo motivo il Club delle Piccole Donne. A seconda del carattere, ognunaprendeva il nome di una delle quattro sorelle. Io ero Amy, la vanitosa; Maria era Beth, la piùtranquilla e dolce; Silvia era Meg, la più matura e giudiziosa; Emanuela era Jo, la più coraggiosa eribelle. Il nostro Club aveva anche una sede: un vecchio casale, ormai abbandonato, che si trovavapoco distante dal paese e con vista mare. Lo avevamo chiamato il Casale delle Piccole Donne. Ciritrovavamo lì quasi tutti i giorni e organizzavamo attività come canti e balli. A volte parlavamoanche di ragazzi. Un giorno Maria ci disse che si era innamorata di Valerio, un ragazzo che viveva

in un paese vicino al nostro. Ci parlò a lungo di lui e ci mostrò una sua foto, chiedendoci un parere.Silvia ed io, vedendola presa da questo ragazzo, le consigliammo di stare con lui, se lui glieloavesse chiesto. Emanuela invece sembrava cupa e triste. Le avevamo fatto ricordare la suadelusione d’amore con Alex, un ragazzo milanese che era sceso al sud a trovare i suoi parenti. Alexed Emanuela si erano conosciuti al mare e il loro era stato amore a prima vista. Quando eranoinsieme, Emanuela era sempre raggiante e felice. La loro storia durò circa un anno, fino al giorno incui Alex lasciò Emanuela per la sua migliore amica Stefania, che da allora divenne la peggiornemica di Emanuela. Da allora non si salutarono neanche. Avevamo vissuto questo brutto momentotutte e quattro insieme, che per fortuna era passato. Ritornava a volte la rabbia per quel che Alexaveva fatto ad Emanuela. Decidemmo di andare in riva al mare a respirare libertà. Faceva così caldoche decidemmo di fare un bagno per rinfrescarci. L’acqua era fredda, ma a noi piaceva immergerci,scendere giù e riemergere più forti, raggianti e unite che mai. Tornata a casa, avevo come un bruttopresentimento. Il giorno dopo andammo a casa di Emanuela, ma lei non c’era. Era partita perMilano e non ci aveva detto niente. Diventammo tutte tristi e camminavamo per strada pensando aibei momenti trascorsi insieme. Passarono i mesi ed Emanuela ancora non tornava. Un giorno i mieigenitori mi dissero che ci saremmo dovuti trasferire a Ravenna per un po’ di tempo. Dovetti salutareMaria e Silvia, lasciare il mio paese e partire. Dopo dieci anni sono ritornata e ho riabbracciatoMaria, Silvia e ho ritrovato Emanuela, raggiante come sempre. Ci siamo raccontate degli annipassati e abbiamo iniziato subito a fare progetti per il futuro, promettendo di restare sempreinsieme.