No g8 university summit

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Torino, 17-18-19 maggio 2009 NO G8 UNIVERSITY SUMMIT

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Torino, 17-18-19 maggio 2009NO G8 UNIVERSITY SUMMIT

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INDICETorino, 19 maggio 2009: io c’ero! Onda Anomala_TorinoUn’altra volta, un’ altra Onda. Onda Anomala_TorinoLa governance universitaria è una tigre di carta. Sulla forza dell’Onda e la violenza della crisi. Gigi Roggero La rivolta di Torino. Francesco RaparelliGran Torino. Marco Philopat e Duka

CRONACHE E DOCUMENTI DELL’ONDA

Verso il g8 di Torino. L’università chiusa, l’Onda la riapre! 17 maggio 2009. L’onda rovina la visita dei rettori alla Mole! InOndata la celere, che carica18 maggio 2009. Città bloccata, cariche della polizia. 3 studenti fermati19 maggio 2009. Ecco l’onda perfetta…L’Onda non si arresta! Alessandro e Domenico liberi subito! Da Palermo a Torino contro i G8 dell’Università! Contro l’insostenibile G8 dell’Università. Insostenibilità del G8 University Summit. Un commento sulle proposte dei rettori al G8.

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el pubblicizzare la manifestazione nazionale dell’Onda di martedì 19 maggio avevamo creato un logo, diventato anche adesivo, che ha fatto il giro delle università italiane ed è stato inserito su ogni volantino che, in ogni città, rimandasse all’evento; c’era

scritto Torino, 19 maggio 2009: io ci sarò! Nelle settimane in cui costruivamo, come Onda Anomala Torinese, la mobilitazione contro il G8 University Summit, siamo stati a volte assaliti da dubbi sulla riuscita delle diverse iniziative, sulla portata e la partecipazione che avrebbero avuto, su quali risultati avremmo ottenuto, su quale fosse ancora la tenuta dell’Onda. Nulla era già scritto. Con il passare dei giorni e in climax sempre crescente ci siamo accorti che l’Onda c’era (eccome!), che da tutte le città italiane c’era una risposta forte, che la voglia di incontrarsi in dibattiti e assemblee, di confrontarsi sui percorsi intrapresi dopo la grande Assemblea Nazionale di Roma del 15-16 novembre scorsi, e soprattutto la voglia di scendere ancora in piazza era viva, reale, contagiosa. Che i tanti collettivi che si erano formati nell’autunno, che i seminari di autoformazione sempre più seguiti e di un livello qualitativamente sempre più elevato, che la dimensione politica e sociale dei mesi precedenti avevano sedimentato un terreno decisamente fertile per un ritorno in grande stile del movimento dell’Onda… E così è stato! Quel martedì mattina si respirava nell’aria una determinata voglia di ribellione, per l’ennesimo affronto che l’Università, nei suoi vertici, ci proponeva, ma anche tanta gioia, per l’essere di nuovo in tanti, e già per questo più forti. Insieme, passo dopo passo, si è deciso che non si sarebbero accettati divieti e zone rosse, che avremmo percorso quei metri in più per dimostrare che l’Onda non può essere imprigionata da griglie e cordoni di polizia schierati a difesa di coloro che, rinchiusi nelle loro Torri d’Avorio, si arrogano il diritto di parlare nel nostro nome e di scegliere per noi. Tutte le decisioni e le pratiche, prima e durante il corteo, sono state condivise e agite insieme, con quella consapevolezza e con quella fermezza che ci viene esclusivamente dalla volontà di non voler cedere di fronte ai ricatti di chi ci vuole imbavagliati e supini a regole del gioco decise solo da altri. Perché, come diceva lo striscione di apertura, noi possiamo realmente essere quell’anomalia che il futuro, oltre a riprenderselo in mano, forse può anche un po’ cambiarlo e lo vogliamo gridare (l’abbiamo gridato!) forte, in maniera assordante, a chi invece, dai rettori della CRUI ai grandi del G8, non rappresenta altro che il fallimento del presente. Mentre si tornava verso Palazzo Nuovo, ancora insieme, con un corteo che già nei numeri assumeva l’intera giornata come una scommessa vinta, c’erano solo migliaia di ragazzi e ragazze, studenti e studentesse sorridenti, emozionati e con gli occhi un po’ più lucidi del solito, perché coscienti di essere riusciti ad abbattere, non solo metaforicamente, quel muro di paura e arroganza dietro cui ci vorrebbero relegare. Per aver fatto capire a chi stava dall’altra parte che non è finita, anzi, che l’Onda si prepara ad un grande ritorno, più consapevole e più determinato. Perché, dopo quest’autunno siamo tutti un po’ meno ingenui, un po’ meno disponibili a farci raccontare favole o ammansire da improbabili promesse, e soprattutto abbiamo più chiaro chi e quanti sono i nostri avversari e quali i nostri obiettivi. E non saranno certo le cronache dei giornali lette a ridosso di quei giorni, incapaci (più o meno consapevolmente) di leggere quello che sta dietro (e davanti!) ad un corteo come quello di martedì, né tantomeno i piagnistei di chi, dietro un ideologico e mai problematizzato rifiuto della violenza pretende di inficiare la grande ricchezza che quella mattina è stata espressa, a rovinare quella giornata perfetta. Perché questa è la realtà. Perché a noi tutti viene davvero difficile leggere in quella giornata qualcosa che non sia un risultato grande per la città di Torino e per il movimento nel suo insieme, tale da far sorridere di un consapevole ed emozionato orgoglio nel pensare... bè, io c’ero!

Onda anomala- Torino

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e giornate torinesi contro il G8 University Summit hanno dato un segnale importante mostrando a precoci becchini quanto il movimento dell’Onda sia oggi vivo ed operante. Dopo le grandi mareggiate autunnali, tra percorsi di autoriforma e incursioni nei conflitti metro-

politani, il movimento ha saputo scavare carsicamente per tornare infine alla luce con la grande manifestazione di martedì 19 maggio, nella quale l’Onda si è fatta realmente anomala.Anomala perché differente, imprevedibile… e forte! I risultati di quella giornata e di quelle che l’hanno preceduta, nell’attivazione nazionale verso la mobilitazione, nei numeri e nella qua-lità dei dibattiti che l’hanno preceduta, nella definizione di uno spazio europeo della mobilitazione e della sua posta in gioco (visibile nell’assemblea del giorno precedente e nelle numerose presenze estere nel corteo) sono sotto gli occhi di tutti.Quantità e qualità della manifestazione hanno infine messo l’ultima parola su qualunque speculazione pessimistica. Chi pronosticava un ormai definitivo riflusso dell’Onda ha avuto il ben servito; chi ha voluto scommettere sull’Onda ha avuto ragione!

Noi la crisi ve la creiamo!

Quel corteo ha dato fastidio a molti; a quanti, soprattutto, coccolavano un’Onda ideale ed ammaestrata, da utilizzare come potenziale bacino di voti e indicare come nuovo e virtuoso soggetto di sostituzione formale dentro l’ormai dispiegata crisi della rappresentanza.Una meglio gioventù che al conflitto preferisce la proposta, all’intuizione di uno scontro più generale, il ripiegamento verso la sosteni-bilità da boyscouts, il tutto raccolto sotto l’egida ideologica della decrescita – in assenza di politicità – forma nuova della retorica dei sacrifici. Il movimento aveva del resto subito individuato il segno-crisi nella stessa intelaiatura discorsiva del vertice: qualche anno fa si sarebbe intitolato probabilmente «Università e mercato», oggi si preferisce parlare di «sviluppo sostenibile». Sostituzione lessicale che la dice lunga sull’orizzonte in cui siamo precipitati. La sostenibilità della quale parlano baroni e tecnocrati della governance non rimette in discussione nulla dell’attuale divisione sociale del lavoro e dei saperi. Dentro questo scenario le politiche della sostenibilità, dell’impresa verde e della convenzione ambientale segneranno piuttosto la reim-posizione della misura capitalista contro l’eccedenza dei bisogni collettivi.

Qualcosa è invece saltato! I numeri erano grossi e le pratiche messe in campo parlavano un linguaggio incompatibile con la governamen-talità politico-mediatica dell’italietta eterna provincia, dove l’amministrazione del consenso si fa, a destra, nei salotti televisivi di Bruno Vespa; a sinistra, nei pruriti voyeuristici di La Repubblica. Contro tutto questo l’Onda ha scelto di essere insostenibile e realmente fuori misura.Le migliaia di student*/precar* che si sono presi le strade praticando un conflitto non solo verbale ribadivano l’irrappresentabilità e non

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mediabilità delle loro istanze di riappropria-zione di saperi, reddito e welfare.Non c’erano buoni e cattivi in corso Marconi, né un manipolo di black blocs infiltrati che avrebbero surrettiziamente deciso di man-dare a monte una manifestazione altrimenti pacifica. C’erano migliaia di giovani uomini e donne che la concretezza di termini quali precarietà e flessibilità conoscono fin troppo bene perché la vivono quotidianamente sulla propria pelle, non come significante vuoto da spendere in qualche asfittica campagna elettorale. Un’intera generazione consa-pevole di avere di fronte un futuro che gli corre incontro sotto forma di debito, dove insopportabile è la sproporzione tra l’enor-mità della ricchezza sociale collettivamente prodotta e la violenza di un’appropriazione che beneficia pochi.Noi la crisi non la paghiamo! era stato il programma minimo e fondante dell’autunno dell’Onda. Uno slogan costituente capace di farsi sintesi e generalizzazione di bisogni di un ben più vasto corpo sociale.Noi la crisi ve la creiamo! era il grido di guer-ra che l’Onda ha iniziato ad urlare a parti-re dallo sciopero generale del 12 dicembre. Esso indicava il secondo passo di quel pro-gramma. Un passo che le giornate torinesi

hanno iniziato a mettere in pratica.

A perfect contradiction

Le giornate del contro-summit si sono arti-colate su più livelli, dalla riappropriazione di spazi negati al momento assembleare, dall’azione diretta ai seminari di auto-forma-zione. In uno di questi incontri, ragionando insieme sulla configurazione dell’università, un compagno austriaco ha evidenziato quella che ha definito come “perfetta contraddizio-ne”: “l’università è fabbrica” ha detto, ma anche: “l’università non è solo fabbrica”. In questo iato, nella compresenza impossibile di questa doppia verità, sta tutta l’apertura di potenzialità e forza su cui dovrà sviluppar-si il lavoro politico dell’Onda.Da anni, acquisizione condivisa, andiamo dicendo che l’università è fabbrica e che lo studente ne è l’operaio non retribuito. Dire questo non significa sovrapporre tout court sull’università e il lavoro cognitivo di oggi la forma e l’organizzazione del lavoro della fabbrica fordista di ieri. Significa però riconoscere come persistano inalterati (ad-dirittura intensificati) i processi di comando, sfruttamento ed estrazione di plus-lavoro

(per di più non pagato).L’università è oggi fabbrica nella misura in cui è ormai compiutamente massificata e si presenta come una delle principali agenzie di formazione, disciplinamento e riproduzio-ne di una forza-lavoro intellettuale e preca-ria sempre più ampia e centrale nel modo di produzione capitalista. Una fabbrica che ha per presupposto l’intellettualità di massa e per obiettivo la produzione della merce-sapere e la riproduzione della forza-lavoro che la produce. Lo studente ne è il lavorato-re non solo perché spesso è già al contempo impiegato in altre attività per procacciarsi reddito di sussistenza e per permettersi la frequentazione dell’università stessa. E’ la-voratore in quanto l’università ne sviluppa e raffina le doti di consumatore (oltreché essere consumatore della merce-sapere che esso stesso contribuisce a creare). E’ inoltre lavoratore riproduttivo in quanto riproduce costantemente se stesso come forza lavoro docile e precaria e il conseguente rapporto sociale che lo perpetua. Ed è lavoratore in quanto contribuisce direttamente alla produ-zione di questa merce particolare, non solo al livello più esplicito e visibile nelle forme moderne dello stage e dei tirocini, ma an-che come ingranaggio di produzione della più

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generale macchina-università, come produt-tore singolo del general intellect.

Il Bologna process istituito dieci anni fa non ha fatto altro che portare a definitiva rea-lizzazione questi percorsi, obiettivi che il Capitale persegue da qualche decennio, nel tentativo di svuotare gli atenei da qualsia-si funzione ad esso antagonista, de-localiz-zando verso l’alto la produzione delle élites dirigenti e trasferendo al loro interno un pezzo della più complessiva fabbrica socia-le. Il 3+2, il sistema dei crediti, l’obbligo di frequenza e la liceizzazione dell’università sono le forme odierne con cui l’università-fabbrica tenta di dividere al suo interno la forza-lavoro studentesca. Confini artificiali ma estremamente produttivi nel misurare gerarchicamente una merce intangibile e poco misurabile quale è il sapere.Diciamo questo senza alcuna venerazione sa-crale per un sapere che anzi assumiamo e riconosciamo nella sua forma di merce. Sap-piamo che questa merce non si forma oggi esclusivamente nelle università; che molte altre sono anzi (forse più efficaci) le agenzie di formazione e produzione di queste capaci-tà umane che il mercato cerca con rapacità. La peculiarità dell’università sta nella sua

estensione quantitativa, nel suo carattere industriale di omogeneizzazione-standar-dizzazione e anche – terreno poco battuto – in quel particolare status giuridico che gli permette d’essere produttrice di una merce strategica in condizioni di assoluto monopo-lio. De-valorizzata e in crisi, l’università con-tinua ad essere l’unico ente autorizzato ad emettere il pezzo di carta provvisto di valore legale su cui si organizza la gerarchizzazione salariale della forza-lavoro cognitiva (e non solo).

Ma se, come scriviamo più sopra, l’universi-tà non è solo fabbrica, ciò implica che essa è anche (almeno potenzialmente) qualcosa di altro e differente. La merce particolare che si produce tra le sue mura – il sapere – è dotata di un’ambivalenza costitutiva e ine-liminabile. Perché prodotto di una coopera-zione collettiva, perché la trasmissione-for-mazione di quelle capacità peculiari che la caratterizzano implicano una partecipazione attiva del soggetto-in-formazione. Perché queste capacità, quanto più sono possedu-te e rielaborate, possono infine essere usate pro o contro la riproduzione dell’esistente. Per questo l’università non è solo fabbrica. Per questo la tensione sempre irrisolta e

operante tra il suo essere fabbrica e il suo non essere solo fabbrica è così politicamente produttiva, centrale e strategica.

Qualche indicazione per continuare…

Ragionando sull’esperienza di costruzio-ne delle giornate contro l’insostenibile G8 dell’Università, ci sembra ora opportuno proporre alcune riflessioni su alcuni aspetti della mobilitazione che non tarderanno a ri-proporsi nei mesi a venire, tanto sul terre-no dell’università e dei conflitti sul sapere, quanto sui livelli più generali e metropolita-ni. Riflessioni che conduciamo proprio a par-tire dalla piena consapevolezza della doppia crisi in cui siamo calati, di sistema e dell’uni-versità in macerie.Detrattori più o meno prezzolati di quest’On-da – che per parte nostra non abbiamo esi-tato a definire “perfetta” – hanno insistito sul carattere minoritario e inautentico della composizione del corteo del 19. Noi credia-mo invece che proprio la volontà di forzatu-ra che l’Onda ha voluto esprimere contro un vertice ritenuto insostenibile ed illegittimo abbia segnato invece un punto di crescita soggettiva. E’ la parzialità espressa dal mo-

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vimento che ha fatto paura, ed è questa parzialità che crediamo debba essere valorizzata e incrementata.Dire che l’Onda del maggio non è l’Onda di novembre è una banalità che non aggiunge né toglie nulla allo spessore reale delle giornate torinesi. Il problema è semmai quello di togliere il velo a commentatori presuntamente “neutrali ed oggettivi” che perseguono invece finalità ed obiettivi chiaramente opposti ai nostri. L’Onda del maggio è quella che ha sedimentato numeri, intelligenza, politicità, forza e proposizione. Il nodo politico centrale per il fu-turo del movimento è allora quello del rapporto (sempre da ricostituire) tra qualità e quantità. Come costruiamo il circolo virtuoso tra la sedimentazione soggettiva e qualitativamente avanzata delle pratiche e delle riflessioni prodotte nelle giornate del Block G8 (sulla scia delle indicazioni uscite dall’assemblea nazionale di novembre) all’incrostazione populista di tante assemblee? Come curviamo la retorica meritocratico-giustizialista in prospettiva reale di trasformazione? Sono queste alcune delle domande fondamentali cui dovremo saper essere all’altezza a partire dal prossimo autunno.

Un’altra indicazione che ci sembra invece necessario sottolineare riguarda il metodo di costruzione della campagna primaverile di avvi-cinamento al contro-vertice. Tante volte, negli anni passati, i movimenti si sono spesso approcciati a questi appuntamenti più interessati a contenere che sviluppare le spinte conflittuali. A Torino si è provato tutti insieme a fare il contrario: la campagna di avvicinamento e le giornate che hanno preceduto la manifestazione di massa non hanno esaurito le possibilità conflittuali, segnando piuttosto tappe di un crescendo pogressivo verso l’appuntamento culminante della mobilitazione. Nella sua esplosione autunnale il movimento ha espresso un altissimo grado di spontaneità ma soprattutto - questo il dato inedito e fondamentale - una precisa volontà di autonomia, intesa come rifiuto della rappresentanza e respingimento di qualsiasi tentativo di stru-mentalizzazione politica istituzionale. Questi due attributi hanno costituito la superficie visibile della novità dell’Onda. Un livello meno evidente ma continuo ha tessuto la trama che ci ha permesso di arrivare numerosi, organizzati e determinati all’appuntamento del G8 University summit, coniugando insieme radicalità e costruzione di alternativa.Autonomia-(aut)organizzazione-rottura-costruzione dell’università comune. Su questa linea si deve continuare a progettare e sperimen-tare l’università di domani. Perché siamo convinti che tra le rovine dell’università in crisi, proporzionalmente alla nostra capacità di agirla, si apriranno sempre più spazi per la costruzione di una scuola di alta formazione del conflitto sociale.

Onda Anomala_TorinoGiugno 2009

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he i media non siano più semplicemente al servizio della politica ma facciano politica, è ormai una verità assodata. Ma che perciò debbano anche farsi rappresentanti della genuina essenza di chi si oppone allo stato di cose presenti, ovvero dei movimenti, questo è

un elemento nuovo. Così, dal Corrierone nazional-aziendale a «La Stampa», nota “busiarda”, nel grande spazio conquistato dalle mobili-tazioni contro il G8 di Torino i giornalisti non si limitano ad evocare i triti spettri maroniani del terrorismo e dunque ad invocare la mano pesante contro gli studenti, in quella spirale di “fobia anti-giovani” descritta da Lucia Annunziata proprio sul quotidiano di casa Fiat: si fanno interpreti del vero significato dell’Onda, tradito dal corteo del 19 maggio. Si mostrano addirittura dispiaciuti nel dover chiamare Onda quella manifestazione. Arrivano perfino a dichiarare una qualche proprietà sul logo, tale per cui possono attribuire l’etichetta a chi ne proseguirebbe il vero spirito: quello della proposta e non della protesta, della sostenibilità e non dell’incompatibilità, della rap-presentanza e non dell’autonomia. Poco conta se i “buoni” sono poche decine e i “cattivi” molte migliaia. Nelle forme della produzione contemporanea, si sa, non c’è più misura. E, soprattutto, non c’è nessun imbarazzo a parlare nel nome di un’Onda astratta e disincarna-ta, per poter controllare e reprimere quella reale.

Già, perché questa è la grande vittoria della mobilitazione di Torino. Aver finalmente messo a tacere chi da mesi si affanna a parlare di riflusso e di fine di un ciclo, con l’unico obiettivo – nella classica veste della profezia che si autoavvera – di poter scongiurare il pericolo e catturarne il portato politico nei meccanismi della rappresentanza. Ma lungi dalla risacca, negli ultimi mesi l’Onda ha sedimentato i per-corsi di autoformazione e costruito l’autoriforma, cifra paradigmatica di una nuova università. Sarebbe bastata un’occhiata all’età media estremamente bassa della composizione del corteo di Torino, con i molti studenti medi e dei primi anni di università arrivati da tutta Italia, per rendersi conto che autoriforma e conflitto non solo non sono alternative, ma sono una la condizione di possibilità dell’altro.

Ma chi esaurisce gli argomenti, è spesso costretto alla menzogna. A cui si aggiunge l’imbarazzo, in alcuni media di sinistra, per un’Onda che non si fa ridurre al vuoto simulacro dei buoni sentimenti, per incarnarsi invece in un desiderio collettivo e in un processo di lotta. Che rifiuta il ruolo di vittima, e afferma l’autonomia nel decidere sul proprio presente e sul proprio futuro. Che, in migliaia, resiste alle cari-che di polizia e carabinieri, e compattamente e gioiosamente torna all’università per continuare a praticarvi l’autoriforma. E perché non soffermarsi, ad esempio, sui tanti abitanti di Torino che hanno lanciato dai balconi acqua e limoni ai manifestanti per proteggersi dalla pioggia di lacrimogeni, e hanno aperto i portoni per offrire loro rifugio dalla brutalità vendicativa della polizia? Non si tratta di simpatia verso la “meglio gioventù”: è la percezione di una crisi che è solo all’inizio, della fine di ogni illusione di mobilità sociale ascendente, dell’intollerabilità dell’ulteriore attacco ai salari e ai redditi di lavoratori e precari per salvare imprenditori, baroni e banchieri. È il rifiuto della politica dei sacrifici. È la forza dell’Onda Anomala: farsi terreno comune di una composizione sociale che non vuole pagare la crisi.

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Ecco, è questo che spaventa governo e media di fronte a questo nuovo proletariato intellettuale: la capacità di parlare la lingua della par-zialità e della generalizzazione. Ed è questo che spaventa l’opposizione, che pervicacemente persevera negli antichi errori che l’hanno portata nel coma vegetativo in cui oggi versa. Così, il Pd piemontese esprime la sua solidarietà alle forze dell’ordine, incurante del fatto che a guidarle fosse Spartaco Mortola, uno degli impuniti carnefici dell’irruzione alla scuola Diaz il 21 luglio 2001, promosso a questore vicario di Torino. Se l’opposizione vuole parlare di regime berlusconiano, abbia il coraggio di dire che la sua data di inizio non è la cor-ruzione di Mills o la candidatura delle veline, ma il sangue di Genova. È quella la violenza da cui devono avere il coraggio di prendere le distanze, quella stessa violenza che Maroni e Pdl usano nei rimpatri dei migranti. La violenza di un sistema tanto più feroce quanto più è assediato in un castello medioevale. Se non troveranno questo coraggio, foss’anche quello della disperazione, dopo aver consegnato il governo del paese nelle mani della Lega e di Berlusconi, sono destinati a sparire.

«E quelle file e file di caschi che gli studenti avevano?», chiederà sicuramente un bravo giornalista. C’è una legge dello Stato che ne impone l’obbligo per salvarsi la vita, e fronteggiare le cariche selvagge e il gas CS delle truppe di Mortola è sicuramente più pericoloso di qualsiasi scooter. Ma con quei caschi le migliaia di studenti e precari a Torino hanno difeso qualcosa di ancora più importante: non la democrazia di cui si vorrebbe affidare ai giudici la restaurazione, ma la democrazia che l’Onda sta inventando e praticando. Quella che parla di nuovo welfare, di reddito, di riappropriazione della ricchezza sociale. Prendere le distanze dalla violenza, significa appoggiare la forza costituente dell’Onda. Tutto ciò prima che – almeno per loro – sia troppo tardi.

Gigi Roggero ricercatore presso l’Università di Bologna

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Onda Perfetta espressasi martedì 19 maggio a Torino ha fatto molto discutere. Ma anche le scelte di via Tomacelli... Difficile parlare di una vera e propria novità nella linea editoriale del “quotidiano comunista”, certo però ci si sarebbe aspettati, una volta di più,

una maggiore onestà e serietà intellettuale nel seguire non tanto l’intera tre giorni e la manifestazione (la cantonata non da poco presa domenica 17 maggio da Ravarino non faceva certo sperare in questo senso), ma almeno il dibattito politico-mediatico che ne è seguito, quando, alla prova dei fatti e dei numeri, poteva essere opportuno un certo ripensamento delle scelte fatte e una valorizzazione (perlo-meno ex post) della ricchezza espressa nelle giornate Block it! Certo, seppure in toni un po’ dimessi, quando non imbarazzati, un timido tentativo di rivalutare ogni cosa con il giusto peso (politico) mercoledì 20 maggio, con l’articolo di Stefano Milani, «il manifesto» l’ha pur fatto. Ma è bastato un editoriale di Uniriot nel quale ci si interrogava sul perché della mancata pubblicazione di un articolo di Francesco Raparelli, per offendere a tal punto la redazione di via Tomacelli da portarla ad accusare l’Onda, con un editoriale risentito uscito come Fuoripagina sul sito del giornale, di essere piuttosto in preda ad “attacchi di isteria” nell’aver giocato un “pessimo scherzo” al manifesto. Il dibattito che ne è seguito sul sito (tutti i commenti sono reperibili al link http://www.ilmanifesto.it/archivi/commento/anno/2009/mese/05/articolo/815/) e le tante prese di posizione sono la testimonianza più genuina della reale portata espressa dalle giornate di Torino.Se il manifesto vuole accusare noi perchè “in tempi di paranoia sociale, l’impazienza gioca dei brutti scherzi” (parole dell’editoriale del manifesto!), vorremmo perlomeno auspicare che, in tempi non sospetti o per così dire “a mente fredda”, il “quotidiano comunista” abbia ancora il coraggio di una sana autocritica…

I testi che seguono sono, nell’ordine, l’editoriale apparso su www.uniriot.org venerdì 21 mattina con annesso l’articolo di Fracesco Ra-parelli, La rivolta di Torino. Per ultimo, un commento della redazione di Infoaut_Torino (www.infoaut.org).

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“ “Martedì il gran momento, la mareggiata, finalmente Gran Torino...

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L’articolo che segue sarebbe dovuto uscire su «il manifesto» del 21 maggio. Una scelta op-portuna, di fronte al linciaggio mediatico su-bito dal movimento dell’Onda. A commento della straordinaria giornata di Torino, infat-ti, una sola voce, quella di Lucia Annunziata, ha provato a dire la verità. Per il resto, dal Corriere a La Repubblica, da La Stampa a Il Messaggero, uno sguardo omogeneo, tra con-danna e menzogna. A seguire omissione e si-lenzio, quasi a dire che neanche il linciaggio mediatico basta, è preferibile mettere tut-to a tacere. Forse per ingenuità, forse per serietà, ci aspettavamo qualcosa di diverso dal quotidiano «il manifesto». Eppure abbia-mo sbagliato. Avremmo dovuto capire, dopo l’ignobile articolo di Mauro Ravarino (do-menica 17 maggio), che anche al manifesto l’aria è cambiata e che al linguaggio della verità si preferisce la piccola bega di condo-minio (il condominio è un modo rispettoso ed elegante di definire la sinistra), al coraggio di raccontare il risentimento e il moralismo stizzito. Non sono bastate le dichiarazio-ni di Maroni e Mantovano, evidentemente neanche le minacce repressive impongono al manifesto la serietà che porta con sé la scelta di identità politica del giornale. Anzi, mentre Battista sul Corriere propone un al-leggerimento delle parole di Maroni, «il ma-nifesto», al pari di Repubblica, preferisce

far finta di nulla, far finta che non ci sia uno studente milanese arrestato, far finta che il governo non abbia intenzione di far procede-re un’inchiesta tutt’altro che leggera. Siamo davvero troppo ingenui... Ma forse è il caso di smetterla, forse è il caso di cominciare a replicare a scelte editoriali di merda! Forse è il caso di cominciare a far sentire il nostro dissenso! Non fosse altro perché i siti di mo-vimento in questa fase sono letti più «il ma-nifesto» e che «il manifesto» probabilmente non c’è davvero più bisogno. Non ci vuole un economista raffinato per capire che nell’au-mento di vendite dello scorso autunno c’è di mezzo l’esplosione dell’Onda, basterebbe un po’ di buon senso. Ma quando alla miseria politica si accompagna scarsità di buon sen-so non resta che prenderne atto e mollare la presa. Che il manifesto sprofondi nel suo destino, di certo l’Onda e i movimenti non lo soccorreranno!

Redazione Uniriot- 21 maggio 2009

La rivolta di Torino

L’Italia è davvero un paese insopportabile e questo non tanto perché a governarlo c’è una solida maggioranza razzista e neocon, una maggioranza radicata nel tessuto pro-

duttivo, imbattibile nella scena mediatica, ma soprattutto per la mediocrità della sua opposizione. Un’opposizione senza coraggio né passioni. Basta leggere i giornali di oggi, meglio «la Repubblica», o leggere le dichia-razioni di Franceschini per fare questa breve considerazione.

Quando sono esplosi gli studenti greci, al seguito dell’omicidio del povero Alexis, Ilvo Diamanti ha scritto per «la Repubblica» ana-lisi per nulla banali sul tratto comune del-la nuova generazione in lotta: dalla Francia all’Italia, dalla Grecia alla Spagna - parafra-sando le parole di Diamanti - una generazio-ne estranea al patto sociale alza la testa e pretende di riavere indietro il futuro che la precarietà le ha sottratto. Nelle scorse set-timane, mentre in Francia venivano seque-strati i manager, Bernardo Valli ha dedicato pagine importanti all’anomalia d’oltralpe.

Il radicalismo francese è una sorta di model-lo da coccolare per la sinistra italica, sempre utile per ricordare a Berlusconi che anche la destra neocon più raffinata, quella di Sarkò, è tutt’altro che al sicuro. Poi Londra e l’as-sedio della City: per la prima volta capita di leggere Ezio Mauro e Massimo Giannini che si spingono a giustificare la rabbia anti-banche. Certo entrambi condannano la violenza, ma

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“ “ Si svegliò con un pensiero ossessivo. Oggi o mai più. Era l’ultima spiaggia, da Genova 2001 gli scontri mancavano dall’agenda del movimento. Non cavalcare quest’onda sarebbe stato disertare la vita.

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ratificano la necessità di un nuovo patto so-ciale contro la crisi. Aggiungo infine un ele-mento non marginale. L’Italia è un paese in cui le sue sinistre celebrano da quasi mezzo secolo i fasti del sessantotto studentesco. Un sessantotto senza operai e senza rivolu-zione, indubbiamente, educato e pieno di buona società, comunque anno straordinario e senza pari. Nel sessantotto romano spicca un’esperienza che nessun politico della sini-stra italica ha mai ripudiato: Valle Giulia.

Quanto accaduto ieri a Torino non si disco-sta molto, nella sostanza materiale, dai fatti di quarant’anni fa, così come, seppur con molte differenze, dalle rivolte greche e francesi. Ma ripercorriamo, fuori dalle men-zogne giornalistiche, gli eventi torinesi. Al-meno 10.000 studenti si mettono in corteo, giunti da tutta Italia, oltre che dalle facoltà torinesi. Desiderio condiviso da tutti è quel-lo di violare la zona rossa, per dire basta a città militarizzate e per opporsi alle riforme universitarie. Migliaia di studenti dell’Onda hanno messo da parte la paura, quella pro-pria della solitudine, e con il coraggio inten-so dell’esperienza collettiva hanno provato a camminare, nonostante la polizia in assetto antisommossa cingesse d’assedio il castello del Valentino. Scudi di plexiglass e caschi a proteggere la propria testa dai tonfa. Poi le

cariche, già violente il giorno prima. Man-ganelli, ma soprattutto tanti lacrimogeni, quelli al Cs di genovese memoria, come Mor-tola. Poi la difesa, agita tutti assieme, senza alcuna separazione tra buoni e cattivi. Im-mediata la gestione giornalistica: no global e violenti prendono l’Onda in ostaggio. Corrie-re e Repubblica sostanzialmente omogenei, per la prima volta da settembre.

Occorre dirlo a voce alta, in questo paese di razzisti e codardi, ieri migliaia di studenti dell’Onda hanno alzato la testa, nei confron-ti di chi alla contrattazione sociale ha sosti-tuito l’autoritarismo. Dopo mesi di lotte gli studenti italiani hanno ricevuto porte chiuse e manganelli. Da che parte sta la violenza, quella vera, quella del potere cieco e sordo? Ieri a Torino c’era solo indignazione, forte e ragionevole.

Francesco Raparelli, Dottorando di ricerca in Filosofia politica

Potenza dell’Onda. Il conflitto picchia dove la sinistra trema!

Che la Sinistra non stesse troppo bene lo sa-pevamo da tempo; che «il manifesto» avesse scelto -non da ieri - di bocciare, occultare e (freudianamente) rimuovere ogni pratica ed

espressione di radicalismo che andasse aldilà dell’intenzione, anche. Certo non ci si pote-va aspettare che una critica un po’ più dura sulle sue scelte editoriali scatenasse un’of-fesa tanto solenne. L’isteria sembra molto più di casa in via Tomacelli che nella penna di Raparelli che ha espresso - senza troppi fronzoli - un sentimento condiviso dalla pres-soché totalità dei/lle partecipant* al corteo di martedì. Una riunione pre-corteo decide-va la volontà di violare la Zona Rossa. Un’as-semblea pubblica a fine giornata registrava l’assunzione complessiva (di tutte le città presenti) delle pratiche mese in campo.

Quello che il “quotidiano comunista” non riesce proprio ad ammettere è che un movi-mento sociale (se si preferisce, una parte di esso - ma quanto determinante?) si costitu-isca in soggetto che sceglie e pratica il pro-prio livello di conflittualità, senza chiedere il permesso alla sinistra casta dei moralizzatori della stampa radical italiana.

Le compagne e i compagni di Uniriot sa-rebbero quindi affetti da paranoia socia-le perché non si sarebbero accorti che l’articolo era stato inviato a redazione chiusa... Difficile crederci! La scorsa do-menica il giornale usciva con un articolo trito nella retorica e triste nella finali-

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tà. Un articolo che mirava a riproporre la (questa sì) rituale contrapposizione tra “buoni” e “cattivi”, appena velata nella riformu-lata dicotomia tra “vera” e “falsa” anima dell’Onda. «Il manifesto» ha letto il programma della 3 giorni Block It? Ne ha seguito i momenti di dibattito e assemblea? No! E ne eravamo certi! Bastava il reportage di Ravarino a dare l’ultima parola sul chi è legit-timamente Onda e chi no. Gli studenti e le studentesse dell’Onda Anomala torinese che hanno costruito (con tutte le altre artico-lazioni nazionali) la campagna e la 3 giorni contro il G8 si facevano, sotto sotto, grosse risate, chiedendosi: cosa scriveranno mer-coledì, dopo una manifestazione che porterà in piazza migliaia di persone...? Saranno in grado di correggere il tiro, ammettere di essersi sbagliati e ridare a ognuno peso, merito - anche le critiche, certo ma con un po’ di onesta intellettuale - che gli spettano? Il resoconto del giorno dopo certo non è stato “infame”. Non si poteva non notare però la difficoltà e l’imbarazzo della redazione nel trovarsi di fronte un risultato che essa non avrebbe mai voluto vedere, ma che è stato il prodotto della scelta consapevole dell’Onda. Non si riusciva proprio a prendere atto che quegli studenti e quelle studentesse, quei precari e quelle precarie, avessero optato per un segnale tanto forte! Da queste latitudini (torinesi) ci torna in mente una vicenda, differente per i soggetti coinvolti e le poste in gioco ma anche allora iden-ticamente affrontata con pregiudizio. Ci riferiamo alla campagna sul Salone del Libro contro la scelta d’invitare Israele come ospite d’onore. Già allora avevamo notato una certa faziosità di questo giornale. Un editoriale di Parlato pretendeva di chiudere la vicenda: non c’era critica possibile pena l’accusa di antisemitismo di sinistra. Salvo poi un reportage di Luca Fazio che aveva dovuto ammettere che si era trattato di una campagna (e di una manifestazione) gestita in maniera “pulita”.L’Onda non sembra nemmeno meritare un riconoscimento ex-post!

Con queste poche righe ci tenevano a rimettere alcuni puntini sulle “i” di fronte alle responsabilità politiche e culturali che un giornale come «il manifesto» dovrebbe preoccuparsi di osservare, a meno di scivolare nell’indistinta ricerca di un bon ton politico che non fa male - né serve - a nessuno. Senza risentimenti, sarebbe davvero il caso di riaprire il dibattito...La domanda pressante in fondo non è la lettura - positiva o negativa - che si vuole dare della manifestazione di martedì 19 maggio a Torino. La domanda, ben più pressante, è: perché il conflitto, tanto seducente quando si svolge in un altrove più o meno esotico, diventa tanto ostile e così ossessivamente da rimuovere quando si esprime nel qui ed ora delle nostre metropoli?

La redazione di Infoaut_Torino 22 maggio 2009

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“ “La crisi gliela facciamo pagare noi, questa volta!

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alcolm, un uomo alto e secco con il taglio a due lunghezze per mascherare i capelli già in caduta e due occhi da triglia, nella vita era uno sballato. Però sapeva benissimo che al salone del libro non avrebbe dovuto farsi le canne. Ma che cazzo! Quella fiera era fin troppo

celebrale, una noia che non riuscivi a schiodarti di dosso. Malcolm, aveva chiesto cambio di una mezzora allo stand e poi era uscito dai capannoni del Lingotto. Sotto un sole caldissimo raggiunse in pochi minuti il suo camper nel parcheggio. Dentro era un forno.

Quest’anno il suo editore non pagava l’albergo. Finalmente si accese un cannone di Temple Ball. Aveva in mano il libro di Alex Foti, Anar-chy in EU in cui aveva trovato degli steakers che ora si divertiva ad attaccare sulle pagine giuste. Un kit da comporre che mandava fuori di testa. La prima parte del libro era una specie di saggio cromatologico sui movimenti nel dopo Noglobal, nella seconda c’erano i diari psichedelici sulle trasferte europee dell’autore all’inseguimento della rivolta.

Purtroppo la Temple Ball gli faceva attaccare storti gli adesivi. Questo lo spinse a riflettere sul perché anche quella volta si era fatto convincere di tornare a Torino. Malcolm doveva lasciare Roma al volo, un cupido lo aveva trafitto il mese prima, ma come al solito si trattava di un colpo di striscio, l’innamoramento era d’un tratto sparito. Eppoi, un amico gli aveva detto del G8 degli universitari. Da un po’ di tempo alla parola G8 gli veniva un strano tremolio al braccio, ma non capiva se era l’adrenalina o il primo sintomo dell’Alzheimer. Perciò aveva accettato di partire con un vecchio camper che gli aveva prestato suo cugino piccolo, un ravaiolo un po’ stanco di fare il traveller.

Come molti amici e colleghi, Malcolm faceva parte di quella nuova professionalità che sta in mezzo tra lo scrittore e lo standista. Il suo editore era una brava persona, gli aveva pubblicato due libri da lui scritti che erano andati anche benino, poi però l’aveva coinvolto in tutto il resto... Da 8 anni si faceva un mazzo bestiale per 6 giorni senza quasi mai dormire. Montare il mercoledì, stand aperto il giovedì. Poi 14 ore filate a vendere, o meglio a tentare. Poi c’era l’obbligo di andare a tutte le feste già dalla prima notte, d’altronde al giovedì sono importanti i contatti, quando si è ancora freschi.

Imperativo: essere disinibiti dall’alcol ma non permettersi di biascicare e fare il simpatico con tutti i giornalisti che potrebbero recensire i tuoi libri. A letto ore 4.00, sveglia ore 8.00.

Venerdì era il giorno più importante, dove si inizia a sbattersi sul serio. Invece... Che palle! Erano appena le 15.00 doveva fare ancora otto ore di lavoro. Uscendo dal camper si era ricordato che doveva passare allo stand di A Est dell’Equatore, per prendere una copia di Milingo contro tutti, il romanzo più burroghsiano del momento, scritto da Filippo Anniballi. Qualche testo buono c’era ancora per fortuna. Ma intorno a lui sembrava un solo lamento, si vendeva meno, i conti non tornavano, i piccoli imprenditori inseguivano i propri creditori nel tentativo di sfuggire ai loro debiti.

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27“ “Davanti iniziava la zona rossa, con le sue barriere e i suoi cani in difesa del Palazzo del Valentino, la sede del G8 dell’università. Davanti a tenerlo unito c’erano i cordoni del servizio d’ordine con il compito di compattare.

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L’editoria era un settore nella merda e la vita di Malcom affondava sempre più nello ster-co. Quella notte avrebbe dovuto presenziare alla festa della Minimun Fax, la solita affol-latissima sala da ballo dove tutti confluivano alle due di notte. Era là che quelli reduci dal raduno d’elite all’Einaudi incrociavano i destini degli sfigati, tra questi gli scrittori/standisti come lui. Non aveva pranzato quin-di doveva stare attento pure all’ora, alle 17 in punto, come ogni anno, scattava il buffet offerto dalla regione Umbria. Era una del-le poche occasioni per mangiare qualcosa... L’effetto dello spinellone durò più del pre-visto, poi il vino dei diversi aperitivi aveva fatto il suo dovere portandolo in uno stato di apatia fino alla chiusura. Tutto come da programmi, senza nemmeno un’illusione.

Il sabato era scorso veloce al ritmo di un cannone fumato per ogni due libri venduti. Allo stand arrivavano le notizie sulla mani-festazione degli operai della Fiat e la pre-sunta aggressione a Rinaldini da parte dei Cobas. Pensando al G8 di martedì, un po’ di elettricità aveva scosso i nervi di Malcolm. A mezzanotte era passato dal campeggio degli studenti, lo Sherwood camp, per vedere che aria tirava. Aveva bevuto un bicchiere di vino biologico, a 50 centesimi e 50 di cauzione per il bicchiere di plastica, sentendosi un po’

meglio. Era una location della madonna. Il campeggio a impatto zero si trovava in un boschetto sulla riva del Po, dall’altra spon-da poteva vedere il molo dei Murazzi pieno di locali e la gente che si divertiva. Stava seduto con un paio di amici su panchette di legno autocostruite in mezzo al bar gestito da giovani universitari troskisti e da qualche pink. Malcom aveva cercato l’assemblea per capire le loro intenzioni, ma quegli attivisti sembravano ancora molto impegnati a capire se stessi, poi si faceva tardi e quella notte aveva ancora la testa nell’editoria. Allora via di corsa alla festa di Fandango, dove si era pure divertito, ma sul più bello, quando le danze e le birre gratuite si erano diffuse come un morbo e Malcolm stava scatenando-si in pista con la sua amica Cristina, proprio nel momento in cui stava per battergli i pez-zi, gli organizzatori avevano spento la musi-ca e acceso delle orrende luci al neon. Solo un istante prima si sentiva in forma e famoso come Bret Easton Ellis, subito dopo erano af-fiorati i visi, dei presenti, già segnati dalla stanchezza e dalla dura realtà. La crisi... E chi la paga? Cristina, una giornalista del quo-tidiano locale di Cremona che una volta gli aveva scritto una bella recensione, gli offrì un passaggio in auto. Giunti davanti al par-cheggio del lingotto, non trovando migliore battuta per fare lo splendido, gli disse che il

suo look gli ricordava Jane Fonda durante le lezioni di aerobica. Cristina non l’aveva pre-sa troppo bene, ma forse era davvero molto stanca anche lei.

Il bioritmo professionale imponeva quattro ore di sonno. La domenica ci si aspettava il pienone, Malcolm si addormentò pensando alle vendite del suo libro. Ma in fiera, inspie-gabilmente, c’era poca gente. Gli editori che contavano su quell’unico giorno per andare a pari con le spese, avevano la bava alla boc-ca. Gli standisti in paranoia nera. “Qui non ci scappa manco la paga giornaliera...”

Alle quattro del pomeriggio, chiese il cambio per due ore e si spostò alla manifestazione fluffy, in macchina con la sua amica Anto-nella che lavorava come ufficio stampa per un’altra casa editrice. Si congiunsero al pic-colo corteo che era appena partito. C’erano solo trecento studenti, più o meno il numero dei campeggiatori. Una delusione, malgra-do la trentina di pagliacci della Clown Army che con un ariete di polistirolo tentavano di sfondare gli scudi della polizia, Malcolm aveva capito che bisognava aspettare la ma-nifestazione spiky... Fluffy e spiky, ancora quelle parole assurde inventate da Alex Foti sul libro appena letto. Dopo poco decisero di riprendere l’automobile per tornare ai ri-

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“ “Lo scontro iniziò furioso. Fumogeni, gas lacrimogeni, manganellate, estintorate, ma soprattutto volavano pietre.

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spettivi stand. Passando per piazza San Carlo capirono perché al salone c’erano così po-chi visitatori. Decine e decine di migliaia di persone invadevano la piazza per le selezioni del Grande Fratello.

Il reality televisivo vinceva sulla letteratura e spazzava via saggistica e narrativa, nem-meno il fumetto di Watchmen reggeva al violento impatto, la moltitudine dei teledi-pendenti aveva disertato il salone del libro. La domenica sera andò a dormire presto nel suo triste camper, le feste erano finite, l’in-domani si era preso la mattinata libera per andare al secondo appuntamento anti G8 dell’università.

Le iniziative del lunedì erano state indette dai collettivi universitari autonomi, l’asse portante dell’onda torinese. Alla mattina presto Malcolm uscì dal camper per raggiun-gere un centinaio di manifestanti che stava-no effettuando un blocco stradale davanti la stazione di Porta Nuova. Gli studenti, prima dell’arrivo di Malcolm, erano stati caricati dalla celere comandata da Mortola, uno dei macellai messicani della Diaz.

Le guardie avevano ordinato di levare il bloc-co perché il traffico era paralizzato da più di un’ora. I manifestanti per non subire fermi

e per non prendere altre manganellate ave-vano deciso di mollare il colpo. Ma entrati in via Roma erano stati caricati alle spalle dalla sbirraglia. Altre botte, altri fermi, poi avevano proseguito per piazza Castello im-boccando via Po per finire con un sit-in sotto il rettorato. Malcolm era per la prima volta dopo anni in mezzo alle cariche della polizia! Aveva corso avanti e indietro senza capirci niente, però sentiva che il fisico reggeva an-cora e il fiuto tornava quello di una volta. Sì, la netta sensazione che l’unica difesa possi-bile, arrivati a quel punto della vita, con la crisi che gli divorava il già misero esistente, sarebbe stata quella di giocare in attacco.

Era ora di abbandonare i manifestanti e re-carsi a lavoro. Arrivato al salone per l’ultimo giorno di lavoro, gli editori, persino Feltri-nelli e Mondadori, facevano sconti fino al 50 per cento, molti erano i cartelli con le scritte cubitali a pennarello che dicevano: “Tutto a 5 euro”. Svendevano, pur di rime-diare qualche monetina, per non spendere troppo con i corrieri che dovevano riportare i libri a casa. Il primo padiglione dove stavano i piccoli editori si era trasformato in un suq. Gli standisti urlavano come pescivendoli o se ne restavano attoniti nella loro depressione, oppure attaccavano pippe sui contenuti fan-tastici dei loro libri, in breve cercavano di-

speratamente di racimolare la propria paga. Durò così fino alla chiusura, con un forte mal di testa e le orecchie in preda a un’allucina-zione uditiva.

Martedì il gran momento, la mareggiata, finalmente Gran Torino... Si svegliò con un pensiero ossessivo. Oggi o mai più. Era l’ul-tima spiaggia, da Genova 2001 gli scontri mancavano dall’agenda del movimento. Non cavalcare quest’onda sarebbe stato diserta-re la vita. Si rendeva conto che peggio di così non si poteva andare, il suo lavoro da stan-dista/scrittore glielo suggeriva, era l’incubo di una vecchiaia simile a quella di un barac-cato di Mumbai che lo muoveva. Era giunto il momento di tracciare una linea netta, far saltare tutte le mediazioni: gli amici da una parte, i nemici dall’altra.

Malcolm spense il mozzicone del suo can-none e iniziò la vestizione. Pantaloni neri, quelli militari con i tasconi, scarpe nere, etnies da skate, camicia nera, rigorosamen-te Ben Sherman a maniche corte. Scese dal camper, uscì dal Lingotto e si diresse alla fer-mata dell’autobus. Mentre viaggiava verso il concentramento, una paranoia lo investì: “Cazzo non ho un fazzoletto per coprirmi la faccia.” Arrivato alla fermata, prima di di-rigersi a Palazzo Nuovo, andò in via Po dove

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“ “Dopo il tentativo di sfondamento i cordoni d’attacco avevano ri-piegato dove si era attestato il corteo, che composto li aspettava.

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c’era un negozio di accessori gotici per dar-kettoni, lì comprò un’inguardabile bandana. Al concentramento, in attesa della partenza del corteo, pensò di farsi un’altra canna.

Se la fumò con Fritz, un vecchio amico di Bo-logna famoso per la logorrea da THC. “Vedi Malcolm, guarda cosa c’è scritto su questo volantino dell’onda di Camerino. Ci battiamo contro il potere dell’iniquità e della privatiz-zazione. Senti come gira bene, il linguaggio non è più quello del novecento... Iniquità, capito? Iniquità e privatizzazione...”. “Fritz non ci sto capendo un cazzo, fammi leggere come continua.” Con la canna in mano Mal-colm si sforzava di capire più che i linguaggi, i contenuti del nuovo millennio: È scoppiata la crisi. Dall’abbondanza delle merci alla ri-strettezza di vedute di ieri, dalla scarsità di merci agli orizzonti che si ampliano oggi. I comportamenti si radicalizzano. Le eresie si concatenano.

Le proteste si moltiplicano. In effetti non era male... Fritz tirò fuori un altro volantino con un collage di immagini, sembrava una pagi-na di una punkzine anni ottanta. “Leggi qui, questo non so nemmeno dove l’ho trovato, si firmano i Surfisti dello Tsunami.” Il testo era po’ confuso, quasi situazionista, forse l’aveva scritto uno studente di scienze della

comunicazione, ma il finale, per quanto biz-zarro, era una bomba: I capitalisti simulano la propria immolazione per evitare la deca-pitazione. Ci vogliono far diventare protago-nisti dei reality per non partecipare all’unico reality che sposta gli assetti di potere, quello del riot! La crisi gliela facciamo pagare noi, questa volta! A Malcolm scappò un sorriso. Dopo aver perso una parte del suo guadagno a causa delle selezioni del Grande Fratello, la metafora sul reality calzava a pennello sulla sua incazzatura.

L’entusiasmo contagioso di quasi diecimila manifestanti, il suo completo nero in simbiosi con molti altri e l’ennesima botta di Temple Ball, fece scattare in lui uno strano effetto che creò un vortice d’immagini epiche. Sentì una sensazione simile al mal di mare, come un marinaio di Kronstadt in attesa dell’insur-rezione, un brivido bollente come un bolsce-vico che aspetta il segnale della rivoluzione d’ottobre bevendo vodka.

Il corteo si mosse e si snodò per le vie della città, fino a giungere in via Marconi. Davanti iniziava la zona rossa, con le sue barriere e i suoi cani in difesa del Palazzo del Valenti-no, la sede del G8 dell’università. Davanti a tenerlo unito c’erano i cordoni del servizio d’ordine con il compito di compattare. Due

file di compagni avanzavano, frontali verso la celere, mentre altre due squadre chiude-vano le strade laterali fronteggiando polizia e carabinieri. Malcolm stava nei dintorni a guardare. Lo scontro iniziò furioso. Fumoge-ni, gas lacrimogeni, manganellate, estinto-rate, ma soprattutto volavano pietre. A lan-ciarle ragazze e ragazzi, lui era già mezzo intossicato, lo sguardo gli finì proprio sopra un bel mucchietto di sampietrini che sem-bravamo messi lì apposta.

Tra i conati di vomito e il respiro che man-cava, Malcolm ne aveva raccolti due, erano perfetti. Il cuore batteva a tremila, il lanciò fu come liberarsi dall’ossessione di voler di-ventare un nuovo Lucarelli. Che cazzo! È qui la vera paura... Dopo il tentativo di sfonda-mento i cordoni d’attacco avevano ripiegato dove si era attestato il corteo, che compo-sto li aspettava. La sassaiola non si fermava, nessuno la poteva fermare, si trovavano sassi ovunque e tutti li raccoglievano e li lancia-vano, non esistevano più buoni e cattivi, le pietre piovevano sulla polizia. I celerini pro-varono a entrare dal lato destro, ma non fu-rono abbastanza decisi, arretrarono e infine si ritirarono. I manifestanti si resero conto che non erano imbattibili, li caricarono e quelli fuggirono sotto i colpi dei sassi. La sin-drome di Genova era guarita. L’onda li aveva

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“ “ La sassaiola non si fermava, nessuno la poteva fermare, si trovavano sassi ovunque e tutti li raccoglievano e li lanciavano, non esistevano più buoni e cattivi, le pietre piovevano sulla polizia.

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travolti, una mareggiata li aveva spazzati via.

La sua camicia Ben Sherman si era sporcata del miscuglio d’acqua e malox che gli avevano rovesciato addosso per alleviare il bruciore agli occhi, forse era da buttare. Il cuore gli batteva ancora forte e la mancanza d’aria gli tagliava le gambe, ma Malcolm era contento, felice, cammina a testa alta con l’andatura dinoccolata. Dal sound del furgone echeggiavano i Body Count, purtroppo qualcuno s’era messo a cantare Non siam scappati più... “Socmel, ma che cazzo si mettono a cantare, il novecento è finito da un pezzo...” Fritz gli si era di nuovo avvicinato con altri volantini che aveva raccattato durante il corteo. “Leggi questo”. “Ma è in francese.” “Dai Malcolm, te lo traduco io”: L’ondata partita dalla Grecia e dagli atenei europei non si ferma. Il Piombo Fuso su Gaza l’ha radicalizzata e unita alla lotta dei migranti. Le proteste contro il G20 a Londra e la NATO a Strasburgo dove black e banlieue hanno stretto sodalizio, hanno segnato la dimensione pienamente europea e transnazionale.

Da Istanbul a Berlino, il primo maggio è tornato nelle strade e sulle barricate. E ora la lunga estate del G8 in Italia: Torino, Roma, Lecce, l’Aquila. “Hai visto che roba... Socmel, guarda come si firmano: Atelier Mille Plateaux - Saint-Denis, una figata pazzesca, casseurs che hanno letto Deleuze!”

Il mercoledì mattina Malcolm viaggiava sull’Aurelia a bordo del camper, al suo fianco c’era Fritz che gli aveva chiesto un passaggio perché non se la sentiva di terminare in Piemonte quel fantastico viaggio. “Questa nuova generazione, secondo me è proprio estranea al vecchio patto sociale, rivogliono il futuro che la precarietà gli ha portato via. Punto e basta.” Malcolm era stufo di sentire quelle svalvolate, perciò l’aveva stoppato. “A Fritz, il cadavere del futuro gli ritorna indietro...” La giornata era splendida, calda, sembrava già di essere nel pieno dell’estate. La strada correva lungo il litorale tirrenico, il mare laggiù in fondo era calmo e invitante. Decisero di svoltare verso la spiaggia e si fecero un bel bagno.

Mentre si asciugavano al sole Malcolm disse: “Ma tu hai visto il film Gran Torino?” “No! So solo che è di Clint.” “Neanch’io l’ho visto, però mi sembra un ottimo titolo per descrivere questi ultimi giorni”. Torino. Gran Torino. In effetti, per una settimana era stata il centro della crisi del mondo. “E adesso cosa si fa?” chiese Fritz... “Non so... Nel volantino di Mille Plateaux dicevano degli altri G8...” Nel pronuncia-re la parola G8, Malcolm sentì immediatamente lo stimolo per muovere il braccio nel gesto del lancio. Adesso ne era sicuro, si trattava proprio di adrenalina.

Marco Philopat e Duka, maggio 2009

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35“ “Questa nuova generazione, secondo me è proprio estranea al vecchio patto sociale, rivogliono il futuro che la precarietà gli ha portato via. Punto e basta

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asce il Block G8 Building!

Con un atto censorio e autoritario il rettore Pelizzetti ha deciso ieri, in tarda serata, con il solo coinvolgimento di 3 baroni, di chiudere d’imperio la struttura universitaria di Palazzo Nuovo adducendo fantasmagorici allarmi-sicurezza e motivi di ordine pubblico.

Con un’arroganza che non ha precedenti la normale vita dell’università è stata sconvolta dalla disposizione di un novello quadrunvirato che ha deciso la chiusura - fino al prossimo mercoledì - della principale sede universitaria cittadina, già preparata dagli studenti dell’Onda come sede operativa della 3 giorni di discussione, dibattiti e mobilitazione contro l’insostenibile G8 dell’università. Non si capisce perché un movimento che nell’autunno ha occupato per mesi, pacificamente, Palazzo Nuovo, dovrebbe costituire oggi un problema di “sicurezza “ e “ordine pubblico”. Crediamo invece che dietro la scelta di questi feudatari abituati a concepire l’università come un proprio esclusivo dominio ci sia invece la scelta politica di ostacolare lo svolgimento di una 3 giorni che si annuncia ricca di partecipazione confronto e sviluppo di un ragionamento a tutto tondo su cosa sia l’università oggi e su come invece potrebbe definirsi nel futuro, in accordo coi nostri bisogni e desideri. Paradossale che ad arrecare fastidio sia stata invece questa decisione arbitraria e profondamente anti-democratica del rettore. Non è stato un bello spettacolo vedere questa mattina centinaia di studenti e docenti ignari, sotto una pioggia battente, trattati come nullità cui non è stata neanche comunicata la decisione. Un bell’esempio di quale considerazione abbiano i vertici dell’Accademia per i loro “sottoposti”.

Un rettore che ha sempre sbandierato ai quattro venti la volontà di garantire spazi e possibilità di espressione democratica dentro l’ateneo, si rende così responsabile di un gravissimo ed irricevibile provvedimento liberticida e di chiusura di spazi che abbiamo sempre vissuto ed attraversato come aperti, liberi e plurali di discussione, confronto e cooperazione collettiva.

L’Onda ha però scelto di non accettare né divieti né imposizioni. Fin dal mattino abbiamo espresso tutta la nostra indignazione ed il nostro dissenso assieme a quei lavoratori che ieri si son visti recapitare un’inspiegabile mail di convocazione per “svolgere altrimenti le proprie mansioni lavorative”. Da Palazzo nuovo ci siamo dunque recati in Rettorato per chiedere spiegazioni su una decisione così dura e gravida di conseguenze.

Dapprima siamo rimasti arbitrariamente divisi dalle forze dell’ordine - chi dentro chi fuori il rettorato. All’esterno abbiamo quindi riattivato una pratica che tanto ci aveva contraddistinto nei mesi autunnali, bloccando per oltre un’ora e mezza via Po. Il Rettore ha quindi promesso un incontro - mai avvenuto- di ridiscussione sulle scelte prese. Scavalcando ancora una volta tutto e tutti ha quindi

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comunicato a mezzo stampa la sua decisione irrevocabile di chiusura ed indisponibilità verso gli studenti ed i lavoratori che l’Università la fanno vivere.

La risposta dell’Onda non si è fatta attendere, mettendo in pratica l’esempio mostratoci in questi mesi dalle lotte degli operai francesi: “Il rettore chiude l’Università, gli studenti sequestrano il rettore”. Questa scritta è stata la firma lasciata dall’Onda sull’ufficio del rettorato dopo averlo incatenato e barricato. Abbiamo quindi deciso di riprenderci quello che ci è stato tolto occupando la Palazzina Aldo Moro (vicina a Palazzo Nuovo) che da questo momento abbiamo ribattezzato “Block G8 Building”.

Gli studenti dell’onda si sono mobilitati per garantire gli eventi in programma, riallestendo il BG8B e garantendo gli spazi per il concerto degli “Assalti Frontali” di questa sera alle ore 22.00, il dormitorio, un’aula per lo svolgimento delle conferenze ed un media center. Confermando, quindi, anche gli arrivi degli studenti italiani ed europei previsti per i prossimi giorni.

La notizia non si è fatta attendere e, come dall’arco scocca, è volata di bocca in bocca: gli studenti dell’onda di Roma hanno occupato con un blitz la sede del Crui per chiedere conto al suo Presidente dei fatti gravissimi accaduti questa mattina qui a Torino.

Da domani e fino a martedì saremo più che mai presenti e attivi in questa città, attraversando gli spazi e i tempi di un evento che non ci appartiene e che, come dimostrano questi fatti, è pensato, voluto e organizzato contro di noi. Saremo al mattino a finaco dei lavoratori Fiom in mobilitazione ed il pomeriggio al gay Pride regionale. Soprattutto, non perderemo occasione per contestare e bloccare il vlostro insostenibile G8 dell’università.

L’Onda non si può arginare! L’Onda non vi sostiene, vi travolge!

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Rete contro il G8_Onda Anomala Torino,

venerdì 15 maggio 2009

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partita quest’oggi la 3 giorni contro il G8 University Summit di Torino. Dopo le

mobilitazioni delle scorse settimane, dopo la chiusura d’autorità di Palazzo Nuovo e la risposta dell’Onda torinese, che ha pertanto occupato la sede universitaria di palazzina Aldo Moro, il count-down verso il punto più alto della mobilitazione No G8, il corteo di martedi 19 maggio, è iniziato. Sono partite quest’oggi le azioni contro il G8 così come il contro-vertice dell’Onda.

Il via alla mobilitazione contro il G8 dell’università l’ha dato il corteo sfilato per le vie del centro cittadino nel pomeriggio, indetto a conclusione del campeggio “Climat Camp”, partito venerdi ed oggi conclusosi con la manifestazione. Oltre 500 studenti e studentesse sono partiti da piazza Vittorio con un corteo allegro ma determinato nella denuncia dell’inaccettabile G8 torinese. I manifestanti hanno provato ad effettuare due deviazioni rispetto al percorso autorizzato, nel tentativo di avvicinarsi il più possibile all’hotel dove albergano i 50 rettori e presidenti d’ateneo che partecipano ai lavori del summit. Il corteo è andato poi a concludersi al parco del Valentino.

Intorno alle 19 sono invece iniziate le azioni block it! contro il G8 dell’università, in una Torino blindata, in special modo il quartiere universitario, colmo di celere schierata e camionette di trasverso sulle strade. L’Onda, saputo della visita programmata per i rettori e i presidenti d’ateneo alla Mole Antonelliana, accompagnati in pompa magna dalle autorità cittadine, non si è fatta sfuggire la possibilità di recare disturbo e mostrare dissenso. Diverse decine di studenti e studentesse dell’Onda, partite da palazzina Aldo Moro, il Block G8 Building, centro nevralgico del No G8, hanno mandato in tilt tutta la zona universitaria intorno alla Mole Antoneliana. Sapendo dell’arrivo dei rettori scortati pullman riservati, l’Onda ha effettuato diversi blocchi del traffico, sfuggendo alla corsa della celere impegnata a cercare di arginare le repentine virate dell’Onda. Lungo corso San Maurizio, i pullman si sono visti costretti a fare inversione di marcia per sfuggire alla contestazione degli studenti. Traffico cittadino e impossibilità di trovare via accessibili hanno costretto i pullman dei rettori ad un carosello di oltre un’ora ai margini della zona dell’università.

Solo alle 20 la polizia è riuscita a trovare una via super-blindata per far passare i pullman

e consentire la visita della Mole Antonelliana ai rettori. Nel frattempo gli studenti riusciti ad accedere dentro la Mole hanno srotolato uno striscione dal balcone con su scritto: “block G8”. L’Onda ha poi improvvisato un corteo fino alla traversa che porta alla Mole, ma lì ha trovato nuovamente camionette e polizia. Quindi, dopo aver denunciato l’insostenibilità e l’illeggittimità di questo G8 dell’università, ha promesso nuove mareggiate inondando lo schieramento delle forze dell’ordine con decine di gavettoni d’acqua. La polizia ha risposto effettuando una prima carica, ma gli studenti e le studentesse hanno mantenuto la posizione. Successivamente ve ne è stata un’altra, più lunga, che non ha per nulla intimorito gli studenti che sono stati capaci di esigere che la polizia si ritirasse, per poi prendere la via del Block G8 Building.

Infine, in serata si è svolto il primo dibattito di discussione e confronto: beni comuni e movimenti a difesa del territorio, nel continuo dell’elaborazione di un discorso su ambiente sostenibilità sviluppo, con segno capovolto rispetto alla farsa laccata di verde in discussione nel G8 dell’università.

Block G8 Building, ore 23.

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on si ferma la mareggiata dell’Onda Anomala contro il G8 dell’università di Torino. Seconda giornata di mobilitazione contro il G8 University Summit, iniziato ieri, in parallelo con l’entrata nel vivo della contestazione degli studenti e delle studentesse al Block G8

Building, in giro per la città. Questa mattina l’Onda si è mossa dalla palazzina Aldo Moro occupata in direzione del parco del Valentino, all’interno del quale è situa-to il castello che sta ospitando il vertice dell’università. Gli studenti si sono divisi in 3 gruppi, effettuando diversi blocchi della viabilità cittadina. La polizia, presente in forze a protezione del summit, si è schierata ed è stata nuovamente “inOndata” da gavettoni d’acqua e uova. Da qui è scaturita la reazione della celere che ha caricato gli studenti, fermandone, 2 ragazzi greci ed 1 di Milano.

L’Onda ha quindi ripreso il suo cammino verso il centro cittadino, passando da corso Marconi, esigendo l’immediata liberazione dei 3 studenti fermati. E’ stato effettuato quindi un nuovo blocco in corso Vittorio Veneto, arteria cruciale del traffico cittadino, che è stato mandato nuovamente in tilt. Anche qui una polizia nervosa si è ri-schierata, pronta a riprender in mano i manganelli. L’Onda ha perse-verato nella sua principale pratica, il blocco dei flussi di viabilità metropolitana, che han caratterizzato tutto l’autunno di mobilitazione studentesca, dirigendosi e paralizzando il vialone antistante la stazione di Porta Nuova.

Nell’imprevedibilità che sta caratterizzando gli studenti e le studentesse in mobilitazione contro il G8 è proseguita l’azione di disturbo dell’Onda, che si è spostata all’imbocco di via Roma, corso-vetrina della città, continuando ad alimentare la situazione di caos della via-bilità che permane dal primo mattino. La celere ha qui nuovamente e violentemente caricato a freddo gli studenti dell’Onda, provocando diversi feriti ed effettuando alcuni fermi: grazie alla determinazione degli studenti, che hanno improvvisato una barricata lungo la strada con cassonetti e transenne, i fermati sono stati rilasciati in pochi minuti.

L’Onda si è poi diretta verso il Block G8 Building, sfilando in corteo per le vie del centro e fermandosi al rettorato dell’università di Torino, teatro l’altro giorno del sequestro del rettore Ezio Pelizzetti a fronte della chiusura d’autorità di Palazzo Nuovo, tornando a denunciare l’illegittimità e l’insostenibilità del G8 torinese, e rivendicando gli spazi universitari e cittadini come luoghi di giusta espressione del dissenso. Nel frattempo, i 2 studenti greci sono stati liberati e si sono ricongiunti al resto degli studenti.

La giornata di ieri ed oggi non sono che l’inizio di una mobilitazione contro il G8 University Summit, che è appena entrata nel vivo: nel pomeriggio proseguiranno i dibattiti a palazzina Aldo Moro occupata, in serata si svolgerà il confronto tra le esperienze di lotta studente-sca europee, in preparazione del corteo nazionale di domattina...!

Torino, Block G8 Building, ore 15

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omunicato dell’Onda Anomala dopo la manifestazione nazionale del 19 maggio.

L’onda perfetta è l’onda migliore, quella da cavalcare e che vale una vita per tutti i surfisti. Quella espressasi questa mattina a Torino è stata l’Onda migliore possibile. Abbiamo dimostrato, a mesi di distanza dalla mobilitazione dell’autunno, dopo che in molti già ci davano per morti, di esserci e di essere. Oggi siamo scesi in piazza per una nuova grande mareggiata, invadendo le strade di una Torino blindata per proteggere baroni e feudatari dell’università in crisi. Siamo giunti da tutta Italia (qualcuno anche da oltre confine) per esprimere tutta la nostra contrarietà a questo “insostenibile G8 dell’università”. Abbiamo respinto l’arroganza del G8 dei rettori, asserragliati al castello del Valentino, tentando di stanarli, provandoci, credendoci, con la determinazione e la partecipazione di chi sa che in ballo c’è il proprio futuro.

Abbiamo contestato l’illegittimità del G8 University Summit ribadendo che i rettori e la CRUI, che promuoveva il vertice, sono solo i rap-presentanti (il)legittimi di una università che sopravvive tra le macerie. Noi siamo invece l’espressione concreta di una rappresentanza impossibile che non delega a nessuno istanze, vertenze, progetti. 10.000 studenti da tutta Italia in una marcia veloce, gioiosa ma incaz-zata, determinata e convinta, che in fretta e furia hanno raggiunto la sede del summit, senza dimenticarsi di colpire i simboli della crisi (banche e agenzie del lavoro), per tentare di sfondare il muro di un esercito frapposto tra i propri bi-sogni e le autorità di un’università che di sostenibile non ha assolutamente nulla. Oggi abbiamo fatto presente, ancora una volta, che la crisi noi non la pagheremo e che anzi utilizzeremo ogni occasione per rovesciarvela contro. Sapendo che questo è solo un momento di passaggio, tra lo straordinario autunno che ci siamo lasciati alle spalle e quello a venire, denso di aspettative e nuovi spazi di azione dentro la crisi stessa.

A fine corteo, un’assemblea pubblica, collettiva e condivisa cui hanno partecipato tutte le articolazioni locali dell’onda nazionale, ha deciso di assumere nella totalità gli eventi e le pratiche messe in campo in questa giornata di conflittualità e riappropriazione di spazi e visibilità. L’assemblea ha inoltre espresso solidarietà ai due arrestati, Alessandro e Domenico, richiedendone l’immediata liberazione. Non li lasceremo soli!

Ecco l’onda perfetta…Onda Anomala_Italia,

Torino, 19 maggio 2009, Block G8 Building (h 16)

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Onda scesa in piazza martedì 19 maggio a Torino è stata l’Onda migliore che potessimo immaginarci. Oggi abbiamo ancor più la consapevolezza che il movimento nato quest’autunno, capace di coniugare il discorso sul progressivo depauperamento dell’università

come bene comune ad uno più ampio sulla crisi, i suoi costi ed i suoi responsabili, non si è ritirato nella normalità accademica, nella dimensione esente da increspature auspicata da molti, ma è anzi forte e capace di continuare nell’elaborazione di un discorso sulla realtà che la circonda, di surfare lungo le prospettive conflittuali che si aprono di fronte a lei.Un’Onda capace di individuare e perseguire i suoi obiettivi. Al corteo nazionale del 19 maggio l’Onda aveva l’intenzione di avvicinarsi il più possibile al Castello del Valentino, dove si stava svolgendo il G8 University Summit, voleva respingere e violare la zona rossa, riteneva necessario lanciare un segnale, parlando e praticando il linguaggio del conflitto. Così ha fatto in piazza e rivendicato, subito dopo il corteo, in assemblea nazionale.Quest’Onda Anomala, che si è guadagnata l’appellativo di perfetta, visti sia i numeri sia la qualità portata in piazza e durante la tre giorni di mobilitazione contro il G8 dell’università, segno inopinabile della vivacità e del fermento sedimentato in ogni ateneo d’Italia dal movimento, oggi porta la sua solidarietà ad Alessandro e Domenico, i due ragazzi arrestati che, insieme agli altri diecimila in piazza, hanno deciso di esserci e di respingere l’arroganza dei rettori e dei grandi del mondo. Anche in quest’occasione l’Onda sta mostrando tutta la sua potenza: ancor prima della conferma degli arresti per i due ragazzi in ogni ateneo d’Italia sono comparsi striscioni e scritte in solidarietà per Alessandro e Domenico, per la loro immediata liberazione. L’Onda li aspetta fuori, liberi, per continuare a immaginare e costruire insieme un futuro diverso... LIBERI TUTTI, LIBERI SUBITO!

Onda Anomala Torino Onda Anomala Roma- Sapienza in Onda

Onda Anomala Palermo Onda Anomala Padova

Onda Anomala Bologna Onda Anomala Trieste

Onda Anomala Genova-Aut Aut 357Onda Anomala Macerata

Onda Anomala Reggio CalabriaOnda Anomala Pisa

Onda Anomala Venezia Onda Anomala Napoli

Onda Anomala Cosenza Onda Anomala Milano-Network dei Collettivi Universitari per l’Autoformazione - Rete Studenti

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8-9 Maggio a Palermo si è tenuto il g8 University Students’ Summit, tappa di avvicinamento al Summit di Torino del 17-19 Maggio. Anche a Palermo la risposta dell’Onda è stata immediata, forte e determinata. Un migliaio di studenti e studentesse dell’onda ano-

mala palermitana ha travolto questo g8 dell’università riprendendosi le strade e le piazze della città. Una città blindata e militarizzata da centinaia di poliziotti e carabinieri in assetto antisommossa che hanno provato ad impedire agli studenti e ai precari palermitani, con reti e barricate, l’accesso a via Roma, una delle vie principali della citta, creando così una vera e propria zona rossa attorno alla piazza san Domenico in cui si trova “La societa’ siciliana di storia patria”, la sede del Summit.

La giornata, che è stata un successo sia per i numeri che per i contenuti che l’onda ha saputo portare in piazza, si è rilevata invece piuttosto grigia per chi pensava di dare a questo vertice l’immagine del coinvolgimento dal basso degli studenti nelle decisioni del g8. I temi affrontati dal vertice di Palermo erano lo sviluppo sostenibile e la legalità. Entrambe le questioni appaiono davvero grottesche nelle bocche di chi pratica modelli di sviluppo che si mostrano, giorno dopo giorno, sempre più insostenibili e per i quali legalità si tra-duce nella violenza che esercitano quotidianamente nelle città. Durante tutto il corteo, gli studenti hanno ribadito con forza di rifiutare questo modello di sviluppo che si basa su logiche di profitto e non tiene in nessun conto le esigenze delle popolazioni. La risposta che è stata data dall’onda è che solo attraverso percorsi di lotta che prevedano la riappropriazione di reddito e di spazi e sperimentando nuove forme di socialità e di produzione e condivisione dei saperi sia possibile riprendere il mano il proprio futuro e far pagare i costi di questa doppia crisi (sistemica e dell’università) a chi l’ha creata.

Appello dell’Onda Palermitana contro il G8 Students’ Summit

L’8-9 Maggio a Palermo si terrà il G8 University Students’ Summit. Il suddetto vertice rappresenterebbe il momento di confronto tra stu-denti provenienti dai paesi del g8 e non (Cina, Arabia Saudita, paesi del Mediterraneo...) e le istituzioni ministeriali; un appuntamento da cui dovrebbero uscire proposte e idee da traghettare al successivo momento torinese e quindi ai rettori e ai presidenti degli atenei degli stessi paesi; questi parteciperanno in quanto rappresentanti di quell’istituzione universitaria dal carattere “oggettivo e neutrale” riconosciuta come interlocutrice diretta, degli “8 grandi” che si riuniranno a luglio a L’aquila.

Il g8 University Students’Summit sarà aperto a delegazioni di rappresentanti da circa cinquanta atenei sparsi tra vari paesi. Dal summit uscirà l’immagine di un’università vincente, capace di dialogare con gli organismi sovranazionali in vista del superamento di problemati-che globali di enorme portata. C’è però una contestazione da cui vorremmo partire nell’analisi delle ricette anticrisi che il g8 ci propone: l’università è in crisi (e lo è a livello globale, basti guardare la tempistica con cui quest’autunno si sono sviluppati movimenti studen-

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teschi in Italia, Francia, Grecia...) e rettori e istituzioni quali il g8 ne costituiscono la causa profonda. Non possiamo infatti dimen-ticare il grave disagio attuale degli atenei schiacciati come sono da sempre più pesanti tagli dei fondi pubblici e di conseguenza, da una politica delle risorse che ne trasforma profondamente gli stessi principi costitutivi: un sistema che, adottando principi aziendali-stici, si rivolge oggi al mercato e alle logiche delle prestazioni e dei servizi alla ricerca di una legittimità ad esistere che non può più trovare all’interno della sua funzione socia-le; in conseguenza di ciò la formazione divie-ne bene d’acquistare e il sapere una merce da spendere sul mercato.

In quanto fruitori di un servizio ci ritrovia-mo perciò a dover convivere quotidiana-mente con aumenti delle tasse o, come nel caso di Palermo, con enormi buchi di bilancio, tagli al personale e al mondo del-la ricerca e persino con chiusure anticipate delle biblioteche causa mancanza di fondi. E’ di fronte a questo scenario che non ci re-sta che affermare l’insostenibilità di questo sistema universitario; ed è a quest’univer-sità della precarietà e dello sfruttamento dei soggetti della conoscenza che non ri-conosciamo alcuna legittimità di confronto

e proposta su tematiche quali lo “Sviluppo sostenibile” e la “Cultura della legalità”, ar-gomenti della due giorni.

La nostra critica è rivolta anche contro le modalità d’organizzazione dell’iniziativa in cui da un lato gli studenti “meritevoli” (Pa-lermo), dall’altro i rettori (Torino), dovreb-bero rappresentare l’intero mondo della for-mazione, celando quindi, dietro meccanismi di rappresentanza formale, tutta una serie di contraddizioni e conflitti interni al siste-ma di produzione e trasmissione dei sape-ri. Abbiamo più volte sottolineato, durante i mesi caldi di quest’autunno, come ormai si riproduca volutamente, dietro la retorica della “meritocrazia”, quella logica della to-tale compatibilità socio-politica che si confi-gura come potente strumento di controllo e disciplinamento delle forze sociali; forme di controllo che inevitabilmente passano per la chiusura di spazi e l’imposizione dei tempi di produzione individuale e collettiva.

Oltretutto il movimento dell’Onda ha sapu-to comunicare come la ricchezza e la com-posizione del precariato della conoscenza siano irriducibili in schematismi della rap-presentanza, mentre possano pienamente esprimersi in una quotidiana lotta dal basso capace di mettere in comune il lessico della

riappropriazione e di costruire conflittualià sui meccanismi di produzione del sapere. Sempre meno sostenibili...

Anche in questo vertice tema centrale dl confronto sarà quello della “sostenibilità”; a Palermo e Torino verrà lanciata l’immagi-ne di un g8 rivolto al cambiamento radicale delle forme di sfruttamento delle energie ambientali e di intervento sugli squilibri so-ciali come vie d’uscita dalla crisi economica globale. Nonostante l’apparente inconte-stabilità della tematica, riteniamo neces-sario prendere su questa posizioni nette in forte contrapposizione con l’attuale valore che identifica il concetto e l’idea di base, ripartendo nella critica dalla riproposizione di un assioma cardine: la totale mancanza di credibilità di questi soggetti istituziona-li vista la diretta responsabilità di organismi di tale genere nel perpetrarsi di disugua-glianze sociali e devastazione ambientale. In realtà, rifiutiamo l’idea stessa di “sviluppo sostenibile”in quanto la riteniamo inequivo-cabilmente subordinata al linguaggio retori-co del progresso di stampo liberista e perciò materialmente determinata solo dalle leggi del profitto e dell’accumulazione capitali-sta.

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Il tentativo di restyling, attualmente di moda a livello globale (da Obama alla Prestigiacomo), in senso “ecocompatibile” nasconde scelte operative ben precise: la “sostenibilità”umana e ambientale si risolve così nell’allargamento indiscriminato degli spazi di pro-prietà e profitto sulle risorse naturali (permettendo ad esempio la mercificazione delle energie rinnovabili) e sulle ricchezze sociali. Rifiutare politiche finalizzate alla costituzione di nuovi meccanismi di controllo e sfruttamento di territori e comunità ci sem-bra, al contrario, (in questo momento di crisi poi...) possa rappresentare un buon punto di partenza per sviluppare una pro-posta alternativa di sostenibilità, che passi attraverso il rispetto dei diritti all’autodeterminazione delle popolazioni, la valo-rizzazione delle vocazioni e peculiarità dei territori e la messa a punto di strumenti di garanzia e ridistribuzione delle ricchezze. Legalità e nuove forme del controllo

Secondo tema portante della due giorni sarà l’importanza nella formazione del cittadino del futuro della “cultura della legalità”. Se non casuale sarebbe quantomeno paradossale che una discussione di questo tipo venga affrontata proprio nella nostra città dove i limiti che differenziano ciò che è legale da ciò che non lo è diventano pressoché irrilevanti di fronte alle esigenze di ampi strati del tessuto sociale metropolitano disposti ad infrangerli, quotidianamente, se ciò vuol dire attenuare la propria condizione di sfruttamento e di precarietà esistenziale.

Da ciò parte proprio la nostra critica,incompatibilità e opposizione al concetto di legalità, in quanto stabilire ciò che si può o non si può fare, ciò che è giusto o sbagliato, definire la norma insomma non ha la sola funzione di creare i presupposti per una società totalmente normaliz-zata e asservita ai meccanismi di produzione e riproduzione sistemica (soprattutto in un un momento di recessione in cui una svolta troppo autoritaria e/o repressiva rischierebbe di moltiplicare effervescenze sociali già largamente dispiegate) ma, nell’immediato, di isolare e cri-minalizzare qualsiasi forma di lotta e di dissenso nonché ogni tipo di eccedenza o “devianza”dalla normalità imposta tramite repressione. Saturare sempre più di cultura legalista i luoghi di formazione e produzione del sapere, quindi, è sicuramente un obiettivo che gli apparati di governance globale portano avanti anche alla luce del dissenso potenziale che da questi può scaturire (come recentemente dimostra-to), in quanto luoghi di ricomposizione sociale ed elaborazione e costruzione di forti spinte antagoniste.

Di fronte alla criminalizzazione di forme di lotta, come le occupazioni delle facoltà, che propongono e sperimentano forme altre di so-cialità e condivisione dei saperi, e di fronte persino a protocolli legali (?) che vietano di sfilare in corteo nei centri cittadini, ci chiediamo che valore abbia (e per chi soprattutto...) il concetto di legalità rispetto alla legittimità ed al valore del dissenso politico contro chi leggi le fa.

Onda anomala- Palermo

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ra il 17 ed il 19 maggio di quest’anno si terrà a Torino, promosso dalla CRUI, il G8 University Summit, a cui parteciperanno i rettori ed i presidenti degli atenei degli stati membri dell’istituzione suddetta, insieme a quelli di molti altri paesi, dall’Arabia Saudita al

Vaticano, dalla Cina al Sudafrica; è la seconda volta che un’iniziativa del genere viene organizzata, dopo l’esordio a Sapporo, nell’estate dello scorso anno.

L’incontro si propone come interlocutore diretto del G8 dei capi di governo e di stato che si riunirà in Sardegna, quest’estate, e si è dato l’obiettivo, sulla base del carattere fondamentalmente neutral and objective che caratterizzerebbe l’istituzione universitaria e il sapere che produce e trasmette, di consigliare i “grandi del mondo” sui problemi dell’umanità e del pianeta.

Riteniamo inaccettabili le modalità di organizzazione dell’iniziativa, la funzione che si arrogano i rettori, la concezione dei rapporti tra mondo accademico e le dinamiche sociali ed il potere politico ed economico che viene proposta, sia in forma esplicita che implicita, e, ovviamente, l’interlocutore scelto. Quest’ultimo, il G8, ha rappresentato, nel corso dei decenni, uno dei pilastri dell’ordine neoliberista, oggi in crisi, grazie alle risorse ed al potere concentrati nei paesi membri ed alla sua capacità di essere parte di una articolata trama di re-lazioni con altri organismi sovranazionali, che operava attraverso una continua concertazione, più che con decisioni puntuali e specifiche, ma contribuendo in questo modo a sovradeterminare il sistema delle relazioni internazionali ed il complesso delle politiche economiche e sociali. Oggi l’istituzione vede il suo declino, già in atto da anni, accelerarsi nella crisi globale; la pretesa dei rettori di correre a rilegit-timarlo è da contrastare senza esitazioni, oltre ad avere un carattere perfino paradossale. Naturalmente è altrettanto inaccettabile che nel farlo essi si ripropongano come rappresentanti dell’intero mondo dell’università; a prescindere dall’importanza che si può attribuire all’iniziativa specifica, ravvisiamo in questo un’ulteriore conferma del processo in atto di concentrazione e verticalizzazione degli organi e degli strumenti decisionali in atto nel sistema accademico e che, per quanto riguarda l’Italia, ha trovato ampio riscontro nel recente documento della CRUI sulla governance .

I rettori ridipingono di verde il G8

Probabilmente ci sentiremo obiettare che il tema scelto dal summit non permette una contrapposizione netta: sulla base dei risultati del precedente G8 dei rettori, del luglio 2008 (www.g8u-summit.jp), i lavori saranno dedicati alla sostenibilità globale, sociale e umana o, per citare il rettore del Politecnico di Torino, Francesco Profumo, uno dei più attivi promotori dell’evento, alle “4E” (Energy, Economy, Ethics, Environment).

Noi siamo convinti, al contrario, che proprio la totale mancanza di credibilità di questi soggetti di fronte a questioni come la devastazione ambientale e le diseguaglianze su scala mondiale rafforzi in realtà le ragioni della protesta. Se il G8 è, semmai, uno dei principali re-

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sponsabili di quello a cui si dichiara di voler porre rimedio, dall’altro, anche gli organi di direzione degli atenei (sia pure in modi di-versi), hanno condiviso responsabilità su più livelli nei dispositivi della “globalizzazione neoliberista”, contribuendo alla rimessa in discussione del carattere di “bene comune” dei processi di produzione e trasmissione dei saperi, nell’accettazione dei meccani-smi e nell’impiego degli strumenti della fi-nanziarizzazione, nella promozione di modi di produzione e d’uso dei saperi in aperto contrasto con le sensibilità a cui si rimanda quando si discute di “sostenibilità”. Viene spontaneo pensare alle istituzioni accade-miche statunitensi che hanno convissuto con una gigantesca espansione del debito degli studenti e successivamente dei lavoratori laureati, costretti a ricorrere al sistema dei prestiti per poter sostenere gli studi, con la creazione, tra l’altro, di una vera e propria bolla finanziaria a rischio di esplosione; ai rapporti che esse hanno instaurato con il si-stema delle imprese, particolarmente condi-zionanti, per quanto riguarda la destinazione dei prodotti della conoscenza e la loro ac-cessibilità; e, ancora, non si può non citare l’invito dell’AAU (Association of American Universities), che raccoglie la maggior parte delle istituzioni accademiche nordamerica-ne, al presidente Obama, affinché continui

a sostenere la Minerva Initiative, per la mili-tarizzazione delle scienze umane e sociali, e rafforzi la cooperazione tra il Pentagono ed il Dipartimento dell’Energia (Policy Recom-mendations for President-Elect Obama).

Ma si tratta solo di alcuni esempi, perché l’elenco potrebbe essere molto più lungo.

L’università insostenibile

All’immagine dell’università che verrà pro-posta nel summit torinese, noi intendiamo contrapporre la descrizione e l’analisi della sua condizione reale, delle contraddizioni che la caratterizzano, delle dinamiche in essa operanti.

Intanto partiamo da una constatazione: l’università è in crisi. Crisi che si intreccia con quella globale e di questo troviamo un riscontro nel convergere, a partire da quest’autunno, in Italia, in Grecia ed in Fran-cia (ma a veder meglio, non solo in questi paesi) dei movimenti contro le riforme uni-versitarie e le politiche sulla formazione e la ricerca con le lotte contro gli effetti della crisi economica.

Il disagio profondo dell’università ha certo una prima, evidente ragione nei tagli dei

fondi pubblici, operanti ormai da anni, ma, intanto, bisogna leggere nella politica del-le risorse non solo gli effetti di più generali strategie del bilancio statale, ma anche lo strumento con cui imporre e accelerare le trasformazioni più complessive che hanno investito il mondo accademico. Qui ci tro-viamo di fronte al problema di dover parlare di processi che non riguardano solo l’Italia e che evidentemente, nei diversi contesti nazionali, hanno conosciuto modulazioni di-verse; eppure tratti comuni ci sono.

L’università sta mutando i propri principi co-stitutivi, i propri sistemi di finanziamento, l’organizzazione del lavoro della didattica e della ricerca, le “missioni” che si attribui-sce, il significato che conferisce alla forma-zione. Da un’istituzione che si organizzava su base soprattutto nazionale e trovava le ragioni della propria legittimazione al pro-prio interno, si sta passando ad un sistema dove gli attori sono i singoli atenei, strutture suscettibili di riconfigurazioni continue, in rapporto con l’ambiente esterno, che ammi-nistrano la penuria delle risorse adottando logiche organizzative aziendalistiche. La ri-cerca è indotta sempre più a mediarsi con il sistema delle imprese e con il mercato, la formazione si legittima come prestazione da acquistare e non come servizio pubblico.

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Ne deriva nel complesso un sistema instabi-le, che si scopre esposto a nuove fragilità, che impone costi sempre più pesanti a chi studia e a chi lavora al suo interno, in una parola: “insostenibile”.

Noi tuttavia vogliamo leggere questi proces-si da un determinato punto di vista, ovvero come l’esito, ancora aperto, di uno scontro sulle nuove qualità produttive dei saperi, sulle forme di controllo, di sfruttamento dei soggetti che li producono, li mettono in ope-ra, li trasformano. Due aspetti ci sembrano particolarmente importanti: l’impoverimen-to, il livellamento verso il basso dei saperi trasmessi e l’affermarsi di un’università della precarietà, sia nel senso che si basa su rapporti di lavoro (non solo di tipo contrat-tuale) caratterizzati da crescente instabilità e incertezza, sia nel senso che ad un futuro di precari prepara i suoi studenti.

Una particolare attenzione deve essere po-sta, soprattutto di fronte a iniziative come il G8 University Summit, alla questione dell’internazionalizzazione-globalizzazione dell’università, sempre più presente nei do-cumenti delle istituzioni accademiche e de-gli organismi sovranazionali, ma non facile da restituire nella sua complessità, poiché chiama in causa più livelli. Le forme di rego-

lazione e di indirizzo a livello sovranaziona-le o forme di “regionalizzazione”, come la creazione dello spazio europeo della ricerca e dell’insegnamento superiore. Ma anche le iniziative degli atenei, quali la crescita del numero di sedi aperte all’estero, l’avvio di joint-venture con altre università estere. Si esaurisce nei fatti il modello classico della cooperazione tra scienziati, che non conosce frontiere, si affermano modelli di crescente competizione per attrarre investimenti, stu-denti, ricercatori. Il singolo ateneo si pone come infrastruttura operante tra il mercato mondiale e il bacino dell’intelligenza socia-le metropolitana. Nello spazio globale ven-gono instaurate nuove forme del comando, di controllo sul flusso delle conoscenze e la mobilità degli studenti e di chi lavora con i saperi, si impongono nuove gerarchie e dif-ferenziazioni (si pensi all’ossessione per le graduatorie internazionali).

The need to restructure scientific knowl-edge

Nella discussione che si è tenuta Sapporo, lo scorso anno, e nella dichiarazione finale pro-dotta (Sapporo Sustainability Declaration), uno spazio significativo è stato dato all’esi-

genza, di fronte alle sfide della sostenibili-tà, di riorganizzare il sapere e la sua trasmis-sione, superando i limiti degli specialismi e sviluppando l’interdisciplinarietà; una delle proposte è l’organizzazione di “network of networks”, si afferma cioè che già da tem-po la ricerca scientifica si organizza su scala globale sotto la forma delle reti e si tratta, ora, di coordinare le reti, non solo, però, ai fini dell’accrescimento delle conoscenze, ma con l’obiettivo di sviluppare, attraverso la cooperazione con partner pubblici e pri-vati, innovazioni nelle politiche pubbliche in materia di sviluppo sostenibile. Queste questioni saranno anche al centro del sum-mit torinese e si inseriscono anch’esse in una più generale crescita di attenzione da parte degli organismi sovranazionali per quella che è chiamata Education for Sustanaible Deve-lopment.

Occorre subito osservare che però l’esigenza affermata di ristrutturare saperi e formazio-ne non si accompagna a nessun ripensamen-to sul processo di trasformazione dell’uni-versità e in particolare sulla sua internazio-nalizzazione, così come abbiamo tentato di ricostruirla prima, anzi, le proposte di me-rito adottano linguaggi, logiche e modalità operative di quei medesimi processi (si pensi alla riduzione alla figura di “stakeholder”,

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portatore di interessi, dei soggetti che en-trano in contatto con gli atenei, presa dalla letteratura manageriale).

Noi partiamo, invece, dall’assunzione che gli specialismi, ed il sacrificio della conoscen-za che comportano, sono il prodotto di un attacco alla ricchezza ed alla varietà delle capacità dei soggetti e non l’esito imprevi-sto e indesiderato dello sviluppo autonomo delle discipline scientifiche, che la rimessa in discussione di questa situazione passa at-traverso lo scontro per riappropriarsi di quel-le capacità; più in generale il superamento della frammentazione dei saperi non può che imporsi attraverso il conflitto su di essi, sulle forme con cui vengono gerarchizzati, mercificati, privatizzati (si tratta del resto di quelle questioni che l’Onda ha sollevato, quando ha definito la prospettiva dell’auto-formazione e dell’autoriforma).

Nella preparazione di quest’appello è emer-sa l’esigenza di approfondire le questioni le-gate allo “sviluppo sostenibile” e di costru-ire una critica non solo legata allo specifico universitario; riteniamo comunque, che si debba partire non tanto dalla discussione sul concetto in sé, ormai diventato un termine contenitore, utile per gli scopi più diversi, ma dai processi reali, dalle scelte operative

a cui rinvia.

Innanzitutto bisogna ricordare che nell’im-postazione degli organismi sovranazionali e degli Stati più sviluppati economicamente, serve per garantire ed estendere il regime della proprietà e del profitto sulle risorse na-turali, per permettere lo sviluppo di nuove merci e di nuovi settori (si pensi alla questio-ne delle energie rinnovabili). Inoltre, le po-litiche ispirate da quel concetto si integrano dentro processi più generali di flessibilizza-zione del potere e dell’amministrazione, che permettono la costituzione di nuovi disposi-tivi del controllo, in grado di coprire meglio, in modo più esteso e capillare, il terreno del-la riproduzione sociale, di mettere a valore ambienti considerati nella complessità delle loro interazioni.

Continuiamo a pensare che anche la lotta contro le devastazioni ambientali (e non solo perché le strategie della sostenibilità, come si è visto, non riguardano solo le risorse natu-rali) debba passare per la rimessa in discus-sione delle rigidità politiche, economiche e sociali che l’ordine neoliberista ha costruito e che il “sistema della crisi” oggi in fase di costituzione tenta di aggiornare.

L’agenda dell’onda

Contro il vertice di maggio intendiamo lavo-rare ad una serie articolata di iniziative di lotta e di dibattito; abbiamo l’esigenza di approfondire la critica dei processi di tra-sformazione che investono l’università, svi-luppando anche elementi d’inchiesta che si pongano sul crinale tra resistenza e sfrutta-mento. Nel contempo, sentiamo la necessità di mantenere l’attenzione su quello che sta accadendo, l’evoluzione della crisi, gli inter-venti del governo, che approfitta di questo contesto per approfondire la destrutturazio-ne delle condizioni di vita, lavoro, socialità, che attacca con sempre maggiore vigore gli spazi di agibilità politica e sociale.

È estremamente importante costruire le condizioni, fin da subito, per una manifesta-zione nazionale dell’Onda, in quei giorni, a Torino, con una netta caratterizzazione di contrapposizione al summit.

È altrettanto imprescindibile organizzare in quel medesimo periodo un momento di con-fronto con altre realtà e esperienze interna-zionali che si sono mosse sul terreno del rap-porto tra crisi globale e crisi dell’università.

Bisognerà, inoltre, continuare nella costru-zione di alleanze sociali e nell’interlocuzione con gli altri soggetti che si stanno muovendo

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contro la crisi, per la costruzione di elementi di piattaforma sui temi, che riteniamo uni-ficanti, del welfare e della riproduzione so-ciale; sarà inevitabile, inoltre, dato il tema al centro del vertice, costruire rapporti più approfonditi con i movimenti che si sono mossi nei territori per i “beni comuni” (No Tav, No Dal Molin, contro la privatizzazione delle risorse idriche, eccetera) e che hanno posto, a partire dal loro specifico, esigenze non mediabili ed hanno dimostrato di saper affrontare i tentativi di reprimere i conflitti o, in alternativa, di subordinarli dentro un quadro consensuale tipico delle retoriche sullo “sviluppo sostenibile” (o quantomeno, molto simile ad esso).

PROGRAMMA DELLA TRE GIORNI DI TORINO BLOCK IT!

DOMENICA 17

Ore 14 Assemblea block g8

Ore 21 A proposito di sviluppo sostenibile… dibattito su beni comuni e movimenti a di-fesa del territorio

Interverranno:

Claudio Cancelli (MOVIMENTO NO TAV)

Vincenzo Miliucci (NO NUCLEARE)

Francesco del movimento NO DAL MOLIN

Carlo (gruppo universitario beni comuni) e Livia (presidi di Chiaiano e Marano) per il movimento NO DISCARICA

LUNEDì 18

ore 8.00 :Assemblea block g8

In mattinata: azioni block G8

Ore 17, DIBATTITO su Trasformazione e crisi dell’università globale: le nuove lotte del lavoro cognitivo

Coordina e partecipa alla discussione il col-lettivo di Edu-Factory

Interverranno:

Gerald Raunig (collettivo editoriale delle riviste Transversal e Kulturrisse - Vienna)

Marcus Grätsch (Fels - Berlino)

A seguire, presentazione del libro La produ-zione del sapere vivo, Ombrecorte, 2009 di Gigi Roggero. Sarà presente l’autore.

Ore 21, 30 Lotte studentesche europee a confronto

Interverranno:

dalla Spagna: Annaïs Prat Marín, studen-tessa di Educación Social presso l’Universi-tat de Barcelona (UB), Asemblea Mundet e Clara Martínez Hernández, studentessa di Ciencias Políticas presso l’Universitat Pom-peu Fabra (UPF), Asemblea UPF

dalla Francia: Sasha Papazoff, studentessa presso l’Université Paris 4-Sorbonne

Patricia Tutoy, ricercatrice precaria presso l’Université Paris 13

dalla Grecia: Vassilis Kafetzopoulos, stu-dente di Medicina all’Università di Creta (Irakleion) - Chair of the Administration Board of the Students Union of Medicine Faculty e Mandy Laschou , studentessa di Economia presso l’Università della Macedo-nia (Thessaloniki) - Member of the Panhelle-nic Coordination of Students’ Left Unity

Parteciperà alla discussione PIERO BER-NOCCHI, portavoce dei COBAS scuola

MARTEDì 19 MANIFESTAZIONE NAZIONALE DELL’ONDA

ORE 10.30 CONCENTRAMENTO DAVANTI A PALAZZO NUOVO

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iò che più colpisce nel documento finale del G8 di Torino e di Sapporo è la bana-

lità. Sorprende che intelligenze (supposte) tanto alte si riuniscano con tanta pomposità, protetti (o presi in ostaggio?) dalla polizia, per partorire una dichiarazione degna di una ricerca da liceali. Sorprende o, meglio, inso-spettisce. E, come si sa, a pensar male spesso ci si indovina... Forse i rettori pretendono di entusiasmarci scrivendo che «la sostenibilità a livello umano, sociale e globale è una delle più importanti idee del XXI secolo» ? O che «I problemi di sostenibilità, inclusi i cambia-menti climatici, finora considerati prevalen-temente come questioni scientifiche, sono diventati urgenti questioni politiche» ? O, ancora, che «le università devono impegnar-si a costruire nuovi approcci allo sviluppo (sic!) sostenibile nei loro programmi e nella ricerca»? A dire il vero a noi sembra che que-sto sia il minimo che non potevano non dire per non essere ridicoli, non certo il massimo che avevano l’obbligo di dire per essere (una volta tanto davvero) “magnifici”.

Trent’anni di ritardo sul Club di Roma e pure ancora fermi all’idea di eco-sostenibilità come paradigma di compatibilità fra la ca-pacità di rigenerazione della natura e lo sfruttamento esponenziale delle sue risorse. Al di sotto della soglia del ridicolo, anziché

no. Proprio non possiamo entusiasmarci per questo. Anzi, ci conferma che avevamo ra-gione ad alzare la testa e a gridare la nostra sana rabbia ed indignazione mentre loro si nascondevano dietro la polizia per non dire quello che avrebbero dovuto dire.

Invece che perdere tempo a leggere amenità come quelle citate, è più utile impiegarlo a capire perché sono state scritte, partendo da un documento che è tutto tranne che ba-nale: il documento Education for Innovative Societies in the 21st Century (EIS), prodotto dai G8 a San Pietroburgo nel 2006 e alla base del Forum Mondiale, precursore dei G8u, organizzato a Trieste nel 2007 dall’ICTP (In-ternetional Centre for Theorethical Physics). Allora, un esponente dell’IPCC (Internatio-nal Climate Change Partnership) ricevette il formale divieto, da parte del direttore dell’ICTP, a partecipare ad una conferen-za parallela organizzata dai movimenti in quanto troppo palesemente “non neutrale”; è interessante ricordarlo perché invece le università del G8u si propongono ai gover-ni come partners ideali (si legga ricettori di fondi) proprio in quanto soggetti “neutrali ed obiettivi”, riproponendo la favola della scienza neutrale che evidentemente serve esattamente a non dire e a non schierarsi (e quindi costringe noi a considerare una corti-na di fumo anche le banalità di buon senso

minimale – ancorché impropriamente decli-nato – disseminate nei documenti citati).

Nonostante la retorica che si sprecò sui me-dia locali all’epoca del Forum di Trieste nel 2007 a proposito del fatto che la nostra sa-rebbe una “società basata sulla conoscen-za”, il documento preparatorio di quell’in-contro ci restituisce un impianto ideologico e programmatico assolutamente diverso e che parte dalla consapevolezza che sono invece l’economia ed il mercato ad essere basati sulla conoscenza che, messa a profitto, è utilizzata come strumento di dominazione e controllo anziché come potenziamento della democrazia e della cittadinanza.

Niente che non si fosse capito e che il movi-meno dell’Onda non abbia ben colto, ma i G8 ce lo porgevano scritto nero su bianco a partire dall’ incipit di quel documento: «We will promote the global innovation society [..] by supporting modernization of educa-tion systems to become more relevant to the needs of a global knowledge-based economy» (punto 1); «Education, the enhancement of skills and the generation of new ideas are essential to the development of human capi-tal and are key engines of economic growth, drivers of market productivity [..]» (punto 2).

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Naturalmente le esigenze di un’economia ba-sata sulla conoscenza richiedono una «strong protection of intellectual property rights» (punti 4, 8 e 9) e «[to] move technologies quickly from laboratory to the marketplace» (punti 5 e 6) in una cornice in cui si prevede di «leverage public expenditures strategically to attract private funding in R&D, including the education sector» (punto 7) sullo sfondo di una «university-based public-private part-nership» fondata su «exchange of ideas and expertise» (punto 10). Dal momento che le ideas and expertises dei privati sono pro-tette e chiuse dalla strong protection of intellectual property rights evidentemente il flusso del supposto scambio è tutto a sen-so unico: una conoscenza prodotta sostan-zialmente all’interno del corpo pubblico e grazie alla formazione pubblica (per di più probabilmente fortemente ri-plasmata nel-le sue strategie di ricerca della partnership con i privati), ma i cui risultati - tramite la proprietà intellettuale e il trasferimento ai mercati – appartengono inesorabilmente alla sfera privata, e ai quali la società può acce-dere esclusivamente attraverso i meccanismi di mercato. All’interno di un quadro attuale in cui le conoscenze specifiche (e in gene-rale la capacità diffusa e comune di creare conoscenze e metterle in relazione) sono un nuovo motore della produzione di ricchez-

za che si affianca al, e potenzia il, “lavoro vivo”, la necessità cogente è di trasformare le università, oltre che in efficienti opifici, in dispositivi di controllo e privatizzazione (tra-sferimento) piuttosto che punti di accesso, condivisione e diffusione.

Questo è l’impianto ideologico che i rettori del G8u assumono esplicitamente a partire da Sapporo 2008 e che non ritengono di dover in alcun modo discutere, correggere o critica-re. Ecco che i non detti pesano decisamente di più di ciò che di banalmente condivisibile è obbligatoriamente scritto. Come si può ri-tenere credibile il documento di Torino 2009 dove dice che i saperi sull’utilizzo efficiente delle risorse naturali dovrebbe essere resi accessibili a tutti (punto 1) se evidentemen-te tali saperi sono alla base del nuovo eco-compatibile green business di obamiana ispi-razione e quindi devono essere strongly pro-tected e quickly transferred to marketplace? Ovunque i documenti dei G8u confliggano apparentemente con il documento EIS dob-biamo concludere che prevalga quest’ulti-mo, essendo assunto dai primi ed essendo comunque di gran lunga il più performati-vo; e comunque tali occasioni di conflitto sono drammaticamente poche e la lieve genericità dei G8u cede il passo alla in-calzante precisione del linguaggio in EIS.

È appassionante notare che dove i G8u (SSD, punto 3) si propongono il ruolo delle univer-sità come increasingly critical in ragione del loro essere neutral and objective contempo-raneamente si precipitano a sostenere che per assicurare che le soluzioni alle sfide di sostenibilità siano practically applicable and appropriate è importante la collaborazione with a range of stakeholders including civil society and the private sector. Il fatto che l’appropriatezza di tali soluzioni o la loro ap-plicabilità (da quale punto di vista?) debba-no passare dalle forche caudine del profitto è una evidente dichiarazione di sudditanza al principio espresso in EIS per cui i bisogni della società tutta sono interpretati preci-puamente dalle necessità del profitto pri-vato («private sector involvement [..] is one of the main keys to achieving an effective linkage between higher education and the needs of the global innovation society»).

Ed infine, i G8u a Torino sottolineano la ne-cessità di superare approcci esasperatamen-te mono-disciplinari e la frammentazione dei saperi («reverse past tendencies toward mono-disciplinary approaches and fragmen-tation in education and research», sezione II, punto 2), ma non spendono una parola per commentare il fatto che tutta la ricerca è costitutivamente organizzata per separare e

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parcellizzare i saperi, che il termometro della produttività e del merito dei ricercatori è quasi puramente aritmetico e legato al numero di pubblicazioni – il che spinge inesorabilmente ad una iper-specializzazione. Non una parola a proposito della natura dell’attività di ricerca in un quadro dominato dalla protezione intellettuale e dal trasferimento ai mercati.

I G8u apparentemente insistono sulla necessità di un holistic approach e di affiancare il systemic thinking al disciplinary thinking, ma l’evidenza è che stanno parlando delle università per le élites (alla cui costruzione assistiamo anche in Italia): «Universities have a critical role to play in educating future generations, disseminating information about sustainability, and particularly by training leaders » (SSD, punto 7).

Quale sia la qualità necessaria della formazione per tutti gli altri è evidente: saperi incapsulati in unità standardizzate da (ri)”produrre” in tempi determinati, veicolo di una disciplina mentale e personale isomorfa all’alienazione della catena di montaggio; più che ad alta formazione assistiamo ad un addestramento mediante somministrazione di pillole di conoscenze propedeutiche alla capaci-tà produttiva piuttosto che alla “capacità di cittadinanza”. Le università - penetrate dai privati che in cambio di pochi investimen-ti potranno determinare linee di ricerca, materie di insegnamento e docenti, mentre agli studenti è tolto ogni margine di auto-formazione - diventeranno i dispositivi finali di disciplina e captazione della produzione di conoscenza per il profitto del mercato. Se questa è neutralità, noi siamo ben felici di scegliere altro e di schierarci, come abbiamo fatto a Torino e come faremo senza arrenderci mai “in questo paese di codardi”.

Uniriot Network

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www.infoaut.orgl’informazione autonoma

PREVEDENDO NUOVE MAREGGIATE E TRAVOLGENDO OGNI OSTACOLOSIAMO STATI CAPACI TUTTE E TUTTI DI SURFARE SULLA CRESTA DELL’ONDA PERFETTA...

MAI IN CERCA DI FACILI APPRODI IN PORTI SICURISFIDIAMO IL MARE APERTO, IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA

FACENDO ROTTA VERSO IL FUTURO...

UN GRAZIE A TUTT* QUELL* CHE HANNO CREATO, VISSUTO E ATTRAVERSATOLE GIORNATE DI TORINO E UN ARRIVEDERCI ALLA PROSSIMA ONDA...

A cura dell’Onda Anomala - TorinoCollettivo Universitario Autonomo- TorinoInfoaut.org

contributi di uniriot.org, network delle facoltà ribelliun ringraziamento ai fotografi dell’Onda M.B e I.A.

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6 EURO (SOLO IN LIBRERIA)