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135 FUORI CONTROLLO A cura di Pino Roveredo e… gli amici di scritture Mal-educate

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FUORI cOntROllOA cura di Pino Roveredo e…

gli amici di scritture Mal-educate

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FUORI cOntROllOA curadi Pino Roveredo e…

Alessandra Perlitz

Alessandro de Comelli

Andrea Faggiana

Antonella De MartinoAndrea Pisano

Antonella e Marco

Antonella Vento

Claudia Smillovich

Cristia

no Stea

Diego Menegon

Gigliola Bagatin

Lella

Maria Fuchs

Maria NegliaMaria Teresa Scremin

Paola Coloni

Pier

paol

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ssia

n

Teresa Casagrande

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E INVECE …4SCRITTURE MAL-EDUCATE … 6SUPEREROI … 9QUI ED ORA … 16OGNUNO DI NOI … 18L’INSOSTENIBILE PESANTEZZA DELL’ESSERE DIVERSI … 19LETTERA A MIO PADRE … 20LA PAURA … 21LETTERA … 22CAFFè E PIPì … 24LA VECCHIA GUARDIA … 26CASA STIPANCICH “I ribalta vapori” … 28PER ALESSANDRA … 30LA GUERRA DELLE PAROLE … 31HEROINE JUST FOR A MOMENT … 32LETTERA A POLDO … 34EL GATO, LA FOIA E LA BORA … 34STORIA DI UNA SPUGNA CHE VOLEVA ESSERE UNO SPAZZOLINO … 35QUAND’ERO BAMBINA … 38HALF MOM … 41CASA STIPANCICH “Sotto lo scaglio” … 42ANTO BABY SITTER FUORI NORMA! … 44TUTTO QUELLO CHE… 46

Indice

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L’AMOR NON XE PASTA E FASOI … 48CASA STIPANCICH “Un giretto a Barcola” … 49IN VIAGGIO … 50TRE GOBBE IN BURUNDI … 52IL BUCATO … 53IL BAMBINO E IL LIBRO … 56CASA STIPANCICH “Pulizie di primavera” … 57LEI … 59DOMANI – BlueDee … 60VOLARE OH OH OH… !!! (la Bora) … 61AL MARE … 63HOLIDAY ON ICE (SBRISSADA – Pavimento lucido) … 66NON PERVENUTO … 69EMOZIONI … 69IL CORSO … 71… DOPO LO SPETTACOLO... DOPO LE PAROLE … 73IL SOLE INATTESO … 76ALLE 15 SULLA 12 … 79LELLA, MAMMA DI ANDREA PISANO … 82PRIGIONERA DI ME STESSA … 84VIENI VIA CON ME … 95Da “FUORI CONTROLLO” a… “FUORI PERCORSO” … 97

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E InVEcE…di Pino Roveredo

Dico la verità, quando ho comin-ciato a collaborare con la dotto-ressa Emanuela Fragiacomo e lo psicoterapeuta Cristiano Stea del Distretto 4, al corso di scrittura di “Scritture mal – educate”, ho pensato: Bene, sarà come uno dei tanti corsi di scrittura che faccio da anni. Conoscenza del gruppo, discussioni, incroci, e la raccolta di tante parole da mettere su carta e da trasformare poi in motivo di

conoscenza e lettura.Ripeto, un corso come tanti. Il contratto, la sua bella con-ferenza stampa per annunciare alla città la possibilità di coinvolgimento nell’attività, le date degli appuntamenti, gli scopi, obiettivi, traguardi etc etc… Insomma, insisto, un normale corso di scrittura! E invece…

E invece sono entrato in un corso/percorso di vita, che ha regalato al mio sapere e alla mia memoria la bellezza emo-zionante della sorpresa.Ricordo lo stupore dei primi ingressi: i fogli bianchi, le penne sparse, l’immenso tavolo e intorno un girotondo di sedie e carrozzine, e dentro una folla di dolci schiaffi per distogliermi da un’abitudine.Ricordo, perfettamente ricordo… gli occhi belli di Maria, occhi pieni di parole, pensieri, baci, malinconie. Poi lo sguardo curioso e veloce di Andrea/Isacco, la rivoluzione di Antonella, i sorrisi nascosti di Claudia, la battuta fulmi-nante di Pierpaolo, e poi ancora, la timidezza musicale di

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Diego, la guerra di Paola, i silenzi di Teresa, la compagnia di Antonella e Marco, la certezza di Gigliola, i puntuali ritardi di Maria, l’espressione furba e compiaciuta di Alessandro buona di sottolineare un: “E adesso voglio proprio vedere cosa combini…”, e poi l’agitazione senza freni e soluzione di Andrea Pisano, eletto seduta stante e senza votazione Segretario del gruppo, Segretario per sempre.Ripeto, sembrava un normale corso di scrittura, e invece…Quante parole, quanti colpi sul petto, carezze sul cuore, quanto amore… Quante parole dentro quegl’incroci di umori, rumori, colori. Quante voci scritte, parlate, vissu-te, respirate, e quante calligrafie capaci di costruire storie senza urlo da infilare nelle assenze del non sapere. Quan-te pagine da stivare dentro la presunzione frettolosa di chi guarda senza vedere, ascolta senza sentire, e racconta la superficialità di una verità senza averla mai sfiorata, toc-cata, abbracciata.

E allora io ringrazio tutti gli scrittori/scrittrici mal – educa-ti, li felicemente ringrazio per tutto quello che sono riusci-to a sfiorare, toccare, abbracciare, guadagnare, e gli sono grato perché in tutta la durata del corso/percorso non mi sono mai sentito un docente, ma piuttosto un allievo che ha avuto lo straordinario privilegio d’imparare lezioni d’e-mozione da grandi, meravigliosi maestri di vita.  Con tutti i muscoli che posso vi abbraccio e… grazie di tutto.Dal cuore…. Pino Roveredo

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ScRIttURE MAl-EDUcAtEdi Emanuela Fragiacomo

Scritture Mal-Educate è un percorso di scrittura creativa, di riconoscimento delle abilità, di partecipazione, aperto a tutti.

Nasce da una collaborazione tra il gruppo di lavoro di TriesteAbile (Progetto Motore di Ricerca: comunità attiva) e la cooperativa Reset, con Pino Roveredo come strepitosa guida in questo percorso che poteva essere

periglioso ed è stato invece ricco di gioia.

Uno dei molteplici obiettivi di TriesteAbile è cercare di sensibilizzare le realtà della nostra città che si occupano di tempo libero, di sport, di attività artistiche o semplicemente ludiche ad elaborare progetti che possano coinvolgere nelle loro attività persone con e senza disabilità. L’obiettivo è duplice aprire spazi di inclusione nella vita cittadina alle persone con disabilità e far pensare in modo “accessibile”, per tutti, chi non ne ha avuto ancora l’occasione.

In questo caso l’intento era utilizzare un veicolo creativo, un mezzo espressivo e di comunicazione come la scrittura, quale strumento per favorire l’incontro, la relazione, per scambiare esperienze, per condividere uno spazio aperto sull’immaginario, ma soprattutto portare alla luce il tesoro di sensibilità e ricchezza interiore che molti possiedono, magari senza saperlo. Il valore aggiunto di questo progetto è stata la guida di una persona come Pino Roveredo. Ha

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contribuito a far emergere attraverso la scrittura percorsi interiori di grande spessore, ha dato sicurezza ai novelli autori, visibilità all’esterno al loro lavoro e ha reso possibile il riconoscimento delle loro abilità.

Il gruppo non ha solo scritto: ha promosso l’iniziativa “FUORI PERCORSO” con l’obiettivo di far sperimentare alla gente “normale” le difficoltà di andare in giro in carrozzina nei percorsi cittadini partendo da Piazza Unità; ha realizzato due spettacoli di “lettura” e recitazione dei brani scritti dal gruppo, dal titolo: “FUORI CONTROLLO” che si sono tenuti all’Auditorium del Museo Revoltella e in uno spazio all’interno del Parco di San Giovanni con una incredibile partecipazione di pubblico.

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Ho partecipato ai due spettacoli, come tutti i presenti mi sono divertita ed emozionata fino alle lacrime e ho trovato sorprendente non solo la profondità di pensiero ma anche la particolare ironia degli scritti che potrete leggere. Voglio ringraziare Pino Roveredo e Gigliola Bagatin per l’impegno che è andato ben oltre la conduzione del progetto e tutti i partecipanti al gruppo che si sono messi in gioco, augurandomi che proseguano questa splendida avventura e che altre persone possano condividere questa esperienza, e non ultimo Cristiano Stea che ha contribuito a pensare e realizzare questo percorso.Desidero inoltre citare i partners del progetto TriesteAbile che sono l’Azienda per i Servizi Sanitari n°1 Triestina, il Comune di Trieste, la Provincia di Trieste, il Comitato Unitario Provinciale per l’Handicap (CUPH) e Televita che lo gestisce e la Regione Friuli Venezia Giulia che lo cofinanzia. Il motore di TriesteAbile è un gruppo di lavoro molto impegnato, coeso e motivato che si è speso e si spende per la buona riuscita di tutti i progetti e le iniziative: Anni Gatti, Louise Marin, Vincenzo Zoccano, Rossana Formentin, Nunzia Manfredonia, Elisabetta Sanpietro Calderon ma una menzione speciale va al suo coordinatore, artefice principale, alla sua anima: Stefano Marchesoni. E’ grazie alla sensibilità e alla partecipazione di tutti che dobbiamo la realizzazione di questo progetto. Un particolare ringraziamento va a Nicola Delli Quadri Direttore Generale dell’Azienda per i Servizi Sanitari N°1 Triestina e Laura Famulari Assessore alle Politiche Sociali, Interventi e Servizi a favore delle Persone con Disabilità che hanno sostenuto e partecipato a questo progetto.

Emanuela FragiacomoDirettore del Distretto Sanitario n°4

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SUPEREROIdi Cristiano Stea

Per tutto il periodo che ci ha portato a questa splendida pubblicazione ho partecipato a questo progetto. Siamo passati dallo scrivere, alla dimostrazione in città con le car-rozzine, allo spettacolo teatrale in un crescendo di entu-siasmo. Non ho mai scritto nulla, non era il mio “compito”, però volevo respirare l’atmosfera che si stava creando, vo-levo vedere questa “creatura” che prendeva corpo, qualco-sa di concreto qualcosa che si stava realizzando, qualcosa di buono. Alla fine, mi fa piacere esserci e condividere.

Ero un adolescente quando i miei genitori mi iscrissero ad una scuola media piuttosto “diversa” dalle altre. Si tratta-va di una scuola a tempo pieno dove i cosiddetti ragazzi normodotati studiavano assieme ai ragazzi non vedenti, e non solo, parte del corpo insegnante era ipovedente o to-talmente non vedente!

A dir la verità tutto sembrava molto normale perché i ra-gazzi ed i professori erano eccezionali, in certi casi, se non avessero portato dei grandi occhialoni neri, a malapena mi sarei accorto di questa diversità.

In un pomeriggio scolastico venni attratto dalla musica di un pianoforte che proveniva dalla palestra della scuola, dietro un palco. Seguii il suono incuriosito, mi avvicinai di spalle al pianoforte... un ragazzo suonava “Per Elisa” di Beethoven, se-minascosto dal tendone di stoffa che scendeva dal soffitto, il suono fluente, le dita danzavano sul pianoforte, io lo guarda-vo affascinato. Mi sedetti vicino a lui, e scoprii che era cieco. Lui poi me la insegnò.

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Io credo che il pensiero di lavorare in questo campo abbia pre-so corpo in quella testa matta di adolescente che ero, non ero consapevole totalmente di cosa avrei voluto essere o fare, ma di sicuro avevo un gran rispetto delle persone che, nonostante le difficoltà, con grande coraggio affrontavano la quotidianità.

Quando mi sono iscritto all’Università (Psicologia), è cambia-to tutto fin dal primo giorno.

Nonostante siano passati quasi 25 anni (un quarto si secolo!) ricordo 300 studenti stipati nel teatrino dei via dei Fabbri, il professore di Psicologia (oggi Preside di Facoltà), chiese agli studenti se ci fosse un volontario per accompagnare alle le-zioni un ragazzo disabile, mi offrii e così iniziò la mia espe-rienza che ad oggi non si è mai fermata né conclusa.

Lavorando insieme a queste persone in questi anni sono cre-sciuto professionalmente ma prima di tutto dal punto di vista umano. Molto credo di aver dato, ma moltissimo, di sicuro, ho ricevuto.

Lo stare accanto, l’accompagnamento, il sostenerle in tutte le fasi della vita, anche quando, purtroppo, la vita si conclude, mi ha fatto introiettare in modo profondo il loro vissuto.

L’impegno mio, dei colleghi del Distretto 4 in cui lavoro e del Comune, hanno sempre avuto l’obiettivo comune di realiz-zare progetti di vita che consentano alla persona, anche con disabilità gravissima, di essere riconosciuta come tale e di avere pari opportunità, di vivere una vita con il massimo gra-do di autonomia e partecipazione possibile. Questo libro è, non il culmine, ma un passaggio di un altro importante pro-getto che è iniziato alla fine del 2013. Un progetto di scrittura creativa arrivato come si dice come il cacio sui maccheroni! Mentre noi della “Riabilitazione” stavamo covando l’idea di

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raccogliere degli scritti delle persone portatrici di una diffi-coltà che, in questi anni avevano già dimostrato che la scrit-tura fosse una espressione realmente terapeutica, la Coope-rativa Reset proponeva un progetto di scrittura creativa poi condotto da Pino Roveredo (che non ha bisogno di presen-tazioni). Grazie quindi alla collaborazione (partnership) della Cooperativa Reset di “Trieste Abile” della Azienda per i Servizi Sanitari N°1 Triestina e del Comune di Trieste, si è potuto ini-ziare questo corso aperto a persone con disabilità ed anche a persone “normodotate”. Percorso che non finirà con la pub-blicazione di questo libro e che si ripeterà anche nel 2015.

Il gruppo che è andato via formandosi e che si incontrava ogni martedì (presso il distretto sanitario N° 4), ha assunto via via l’aspetto di una comitiva imbarcatasi per un viaggio a cui mano a mano si univano nuovi ed interessanti personaggi, Pino Roveredo affiancato dalla instancabile Gigliola e dalla efficientissima Kassandra, suonava il suo “tamburo” e dietro a stile “musicanti di Brema” si univano le persone, creando una atmosfera densa di emozione, dove il giudizio e il pregiudizio si sono sciolti come neve irradiata da una fiamma ossidrica e dove sinceramente non sono mancate risate e lacrime.

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Quando leggerete i racconti di questo libro vi sembrerà di en-trare nel Nautilus e partire per un breve ma intensissimo viag-gio, ci saranno momenti dove l’aria vi mancherà, l’immersione negli abissi delle emozioni umane vi sorprenderanno, ci saran-no scoperte inaspettate, ma anche paura. Guardare, aprirsi, “sentire” l’altro è cosa assai difficile, questi racconti vi apriran-no la porta su un mondo, che molte persone non conoscono, e darà l’occasione di riflettere, e di porsi delle domande.

Se alla fine di queste letture, guarderemo la diversità con altri occhi, se ne avremo meno timore, se le parole di queste per-sone apriranno (ed accadrà di sicuro) un varco a nuove possi-bilità ed a nuovi incontri, allora avremo fatto centro davvero.

Questo libro vi farà piangere (io ho pianto), questo libro vi farà ridere (io ho riso), questo libro scalfirà delle certezze ed approfondirà la vostra conoscenza su cosa significhi “convi-vere” con una disabilità. Un mio paziente chiama la malattia: “la mia maledetta compagna”.

Ho l’onore di conoscere molto bene tutte le persone che han-no scritto i racconti che leggerete, voglio solo ringraziarli ed esprimere il grande affetto, stima e rispetto che nutro per loro, per me sono dei veri supereroi. I supereroi, a mio parere, non sono quei personaggi dei fumetti, anche se alla fine spesso anche loro vivono sotto una maschera e sono pieni di proble-mi, ma sono persone che riescono a superare prove impos-sibili che un uomo “normale” non potrebbe mai superare... citando una famosa frase nel film BLADE RUNNER: “ho visto cose che voi umani non potreste immaginare...”, forse parafra-sando potrebbero dire: “abbiamo provato cose che voi umani non potreste mai immaginare. Ne capire…”.Nella notte dei desideri (citando Jovanotti) esprimo un desi-derio: che ci siano più diritti ed opportunità per tutti, punto. Buona lettura.

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RINGRAZIAMENTI

Pino “The Master” Roveredo, prima di tutto uomo, poi scrit-tore e docente del corso. Una vera scoperta. Bravo, anzi bra-vissimo a tirare fuori il meglio da tutti, dando il 300% sempre. Grazie di cuore PINO!

Grazie a Gigliola, ha dimostrato se ce n’era bisogno, che esi-stono ancora persone di gran cuore.

Grazie a Trieste Abile ed in particolare a Stefano Marchesoni che considero far parte del gruppo di supereroi già citati.

Colgo l’occasione per dire Grazie a tutti i miei colleghi della SSD Riabilitazione del Distretto Sanitario N° 4 per il fanta-stico lavoro che svolgono quotidianamente, quindi grazie a: Lucia, Elena, Maurizia, Fernanda, Giusi “logo”, Giusi “fisio”, Elisa, Lisa, Teresa, Desirèe, Luca, Manuela, Giorgio. Un grazie particolare ad Angela e Giuditta, persone speciali, hanno se-minato ed ora si comincia a raccogliere.

Cristiano SteaPsicologo-Psicoterapeuta

SSD Riabilitazione Distretto Sanitario N°4

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QUI ED ORAdi Andrea Faggiana

Perché sono qui? Non intendo con questa domanda cercare di rispondere al classico interrogativo “chi sono, da dove vengo e dove vado?”. No, non è questa la domanda che mi sto ponendo, questa è meglio lasciarla alla filosofia o alla religione. L’interrogativo mio personale è più limitato, forse meno ambizioso, ma non meno importante. Per me.

Perché qui?

Una risposta forse l’ho trovata. Forse.

Questa esperienza è nata per essere aperta a tutti, alle persone con “problemi” ed alle persone “normali”. E’ questo che volevo, desideravo lacerare quel velo che separa la diversità dalla normalità e volevo scoprire cosa fosse la normalità.

Normalità è solamente una parola, spesso vuota e priva di qualsiasi sostanza, almeno ai miei occhi. Dando per scontato, nella mia ingenuità ed esperienza, che l’assenza di dolore (fisico soprattutto) equivalesse alla normalità e quindi alla felicità mi ha portato a supporre che tutte le persone che vedevo “normali” fossero anche felici. Non era così. Sbagliavo grossolanamente.

Allora, forse quel velo che ho cercato di lacerare, partecipando a questo cammino iniziato con tutti Voi, forse non esiste, è una mistificazione. Credo che più che di contaminazione, portare cioè

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l’esperienza della disabilità nella normalità e viceversa, si possa parlare di riconoscimento. Incontrarci, narrarci, ascoltarci, per prendere atto che non siamo, in alcun modo, diversi. Anzi che siamo esattamente la medesima cosa: persone umane da scoprire.

Ammettere che nelle diversità (che sono tante, di vari gradi e severità) siamo esattamente la medesima espressione della vita. Siamo tutti, per motivi diversi, per esperienze dissimili, con modi diversi, alla ricerca della felicità. A fronte dello stesso insopprimibile desiderio, qual è la differenza tra noi?

Il velo, se esiste, è costituito proprio dalla mancanza di riconoscimento reciproco di questa comunione d’intenti. Certo, il tutto appare utopico, ingenuo ma è questo per me lo scopo del percorso che abbiamo iniziato assieme, vedere noi stessi nel prossimo.

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OGnUnO DI nOIdi Maria Fuchs

Ognuno di noi ha molteplici sfaccettature create dal nostro vissuto, creato da mille immagini impresse in un unico volto sorridente, come un arcobaleno colorato da innumerevoli riflessi, e tinte.Le nostre esperienze, modellano la nostra maschera che indossiamo per renderci più forti.Siamo tutto e il contrario di tutto in un turbine di flash back.Indossiamo una maschera, liscia e fredda, che copre, sapientemente,il nostro volto solcato dalle rughe .Una maschera incapace di ridere e piangere sembra, quasi, un’altra persona.Ma capace di vivere parallelamente tutte le realtà che ci passano accanto.Imperturbabile.Capace di insegnarsi a lasciare la nostra mente libera di volare nella fantasia, come in un sogno, che si materializza.Siamo di base, tutti uguali.Pensiamo di essere dei pezzi unici. Ognuno di noi pensa che la normalità è basata su se stessi con tutte le nostre caratteristiche, sbalzi d’umore. Fuori dalla normalità banale in una integrazione globale fatta di riflessi e rimbalzi di stati d’animo in una realtà disegnata su noi stessi.

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l’InSOStEnIBIlE PESAntEZZA DEll’ESSERE DIVERSI di Antonella Vento

è l’insostenibile pesantezza dell’essere diversi.Quando senti le tue gambe così pesanti che ti sembra di indossare dei pesanti anfibi modello ignifugo ai piedi…Quando cammini e ti senti di farlo goffamente ma non ne sei proprio sicura.Quando incroci lo sguardo della gente e non sai se ti guardano perché cammini strano o perché il fato ha fatto sì che i nostri sguardi si incrociassero…Lo sguardo sconosciuto spesso mi agita, mi causa imbarazzo e senso di vergogna…Fino a pochi anni fa capitava anche a me di soffermarmi con gli occhi sul diverso…Certo, cercavo di farlo con la massima discrezione perché non volevo assolutamente esser scortese o risultare curiosa…Ma oggi mi rendo conto che, anche se sono solo sguardi, si sentono addosso come una zanzara che si poggia sulla pelle...Lo sguardo ti tocca l’anima…Chi ti penetra e chi invece ti accarezza dolcemente…Spesso vivi lo sguardo come un giudizio di colpevolezza da cui non hai scampo, da cui non puoi difenderti…... e provi la vergogna e l’imbarazzo della pubblica gogna.Questa è quella che io chiamo l’insostenibile pesantezza dell’essere diversi... essere diversi, essere diversi...

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lEttERA A MIO PADREdi Diego Menegon

4 marzo 2014Caro papà,

Ormai sono passati quasi nove anni da quando non ci sei più. Ne potrebbero passare altri mille, ma il ricordo dentro di me non può svanire così facilmente.

Ti scrivo questa lettera per raccontarti un po’ come sono cambiate le cose nella mia vita di questi ultimi anni. E’ un po’ una mia riflessione, guardandomi indietro, ma con la consapevolezza dei passi avanti fatti.

La mia strada, seppure in apparenza tortuosa e impraticabile, non lo è stata. Ho abbandonato tutte quelle abitudini, quelle frequentazioni di “amici” che non lo erano affatto. Ho smesso di fare radio, ma ho anche cominciato a muovermi da solo, a prendere gli autobus, a prendere treni… E da solo sono arrivato fino a Torino!

Non era così impossibile come credevi tu, che mi accompagnavi in macchina ovunque io dovessi andare…

Ho conosciuto tante persone nuove, alcune non proprio affini a me, altre migliori… (...)

Nonostante tutto, tutti i miei problemi e le mie difficoltà, la mia salute e tutto… posso dire di essere felice!

Grazie, papà! Ti voglio tanto bene!

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lA PAURAdi Antonella Vento

Inizia ad instillarsi dentro di me piano piano.La paura di esser donna.Una donna diversa.Una donna più debole delle altre. Una donna che non può correre come le altre donne.Una donna che non può difendersi come le altre donne.Una donna consapevole di esser tuttavia una donna come tutte le altre donne. Una donna che ha paura di far trasparire troppo la sua femminilità fatta di forme.Una donna che ha paura degli uomini e di quello che potrebbero fare.Una donna che si sente debole.Una donna che si sente indifesa.Una donna più vulnerabile delle altre.Una donna consapevole della sua paura.Una donna che sa che non deve farsi travolgere dalla paura dell’esser donna.

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lEttERAdi Paola Coloni

Caro Pino,cari organizzatori, di questo percorso,carissimi amici partecipanti, innanzitutto mi scuso per non essere venuta le settimane scorse: mi siete in vario modo mancati!Ho seguito comunque le mail e sinceramente speravo, almeno oggi, martedì grasso, di incontrarci altrove, in città, in un caffè, o a guardare insieme la sfilata dei carri di carnevale, tanto per stare assieme sì, ma anche per mescolarci tra la gente, essere almeno per un’ora e mezza una dei tanti, pur nella mia/nostra diversità. E invece no!Ancora qua, sempre qua: Azienda Sanitaria, Distretto 4, stanza 145 e, aggiungo io brutalmente, nel comprensorio dell’ex manicomio.

Amici cari, quante volte ancora ci incontreremo qua, luogo “protetto” , ma in cui si respira un’aria piuttosto stantia che mi rievoca memorie angoscianti, memorie di riunioni adolescenziali in ospedale?

Siamo nel 2014, a meno di 800 km da qui, persone con patologie classificate gravissime guidano l’automobile e si muovono, pur con difficoltà, liberamente.Per quanti giorni, settimane, mesi, continueremo a darci appuntamento qui da dove è pur sempre partito “Marco cavallo”. Simbolo rivoluzionario che ha rappresentato una svolta epocale nell’inserimento nella società di persone con disagio mentale di diversa gravità e l’affermarsi di un altro approccio degli operatori ai pazienti che, finalmente da allora, vengono presi in considerazione innanzitutto

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come persone e poi come persone con disagio psichico/malattie mentali?

Non doveva essere un percorso itinerante? Posso capire la necessità di incontrarci un paio di volte sempre allo stesso posto per conoscerci meglio e per evitare complicazioni di vario tipo, ma non è che stiamo perdendo di vista uno degli obiettivi principali, ovvero l’idea base che il corso non sia immobile in un solo luogo?Bellissimo dar spazio e respiro ai nostri diversi stati d’animo, geniale l’idea di andare a teatro con Pino, l’idea di scrivere un pezzo assieme e di rappresentarlo ed infine l’idea di concludere questo corso-percorso sul palcoscenico di un teatro e condividere le nostre emozioni con le persone del pubblico.

Tutto questo ha un senso se approfitteremo di questi incontri per esercitarci a vivere, nel senso più completo della parola, anche nel diventare una delle tante persone che si muovono, che vanno al bar, che assistono ad uno spettacolo teatrale piuttosto che ad un film al cinema, piuttosto che...

Con affettoPaola

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cAFFè E PIPìdi Pierpaolo Russian

‘Ventura de un ciompo per poder far pipì.

- “Maria, varda che giornada, che bel sol e che bela temperatura; cossa te disi, andemo in cità a far un giro?”

Se vestimo, la me cariga sul careto a baliniere e partimo.

- “Maria, andemo zo pel viale che xe più facile, xe meno scalini e busi.”

Maledeta l’ora, la parte alta del viale xe tuto un buso, machine che intriga e altro (carigo de roba che fa i cani…). Maria, ocio al buso, sta ‘tenta alla m…. In più el viale xe fato come el ponte de una nave, el xe alto al centro e ’l cala de parte, servi per far scolar via l’acqua, ma son sempre a meza nave, sbandà de parte, me par de far el “camel trophy”, mia moglie xe tuto un sudor, mi son terorizado de cascar. Finalmente rivemo là del Nazionale, la strada se indriza, sparisi le machine, i busi e la m….., comincia la nova pavimentazion; sai bela e comoda, ma ‘bastanza diuretica per uno in sedia a rodele, ‘sto continuo ”dun dun” su le piastre de piera, rivemo in fondo al viale, bel caldo.

- “Maria, ciolemo un cafè?“

Se sentemo soto un ombrelon, mi son za sentà, useleti che canta e quela bela fontana che fa fresco e tuta ‘sta acqua che cori e dopo quel continuo “dun dun” sulle piastre de piera, el tuto xe altamente diuretico.

Aiuto devo andar in bagno, pipì, teror! Come femo?

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- “Prego?” disi el camerier.Ghe rispondo:- “Un cafè e un gingerino”. Penso tra de mi: “speremo che i me porti salatini e altra roba cussì me posso incoconar”. Ghe domando al camerier: - “Scusi, avete il wc per disabili?” Risposta: - “Certamente, appena ristrutturato, lo trova entrando in fondo a destra”.Penso: “ovvio, el cesso xe sempre in fondo a destra…”, ringrazio.

- “Maria, andemo veloci se no credo che femo el dano”.

Partimo! Per entrar in bar… primo scalin, fatto! Lungo trato dove schivemo tavoli, sedie, cani, muleti, camerieri; vedo el cesso finalmente. Porta grande, rivo passar! Aprimo la porta, entremo; bel scovazon grande in mezzo che intriga. Spostilo , seconda porta piccolo scalinetto (secondo scalin), entremo! Cesso bellissimo tuto bianco, tazza enorme… e le maniglie? Eccole, bele bianche solo le xe messe dela parte sbagliada, el cesso a sinistra le maniglie a destra, distanti. Devo pisar…

- “Maria, ‘iutime ad alzarme… “

Zuca/tira metime drito; son in pie, me guanto sule piastrele, son tuto sudà, sbrissa tuto, tegno el fià, convinto che cussì stago in pie meio; son come l’omo ragno, calo le braghe, piso… bellisimo, xe come “le pioggie de Rancjpur”, le cascate del Niagara. Me libero de una marea de liquido, me tiro su le braghe me sento sulla carega con le rode. E anche questa xe fatta!Tornemo al nostro tavolin, bevemo, me incocono de schifeze, pago.

- “Maria andemo, continuemo el nostro gireto!”

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lA VEccHIA GUARDIAdi Andrea Faggiana

Quando ho riletto per la prima volta queste pagine, ho pianto. La gola mi si è chiusa e sono stato travolto dal desiderio di quel bambino di essere riscoperto e di essere finalmente parte integrante del mio passato ma anche del mio presente. Parte del presente, non come ospite indesiderato, ma come indispensabile parte di colui che sono diventato.In fondo la “nuova” malattia, con tutto l’orrore che essa porta, è stata anche l’occasione per richiamare al fronte e al mio fianco un giovane/vecchio soldato, per arruolare un veterano, per ritrovare un amico. Un soldato che ha avuto il coraggio di sconfiggere moralmente l’Osteogenesi Imperfecta. Ho odiato quel bambino dalle ossa troppo fragili, ho odiato il suo piangere, ho odiato la sua paura, ho odiato il suo corpo.

Se non avessi scoperto di avere una nuova “compagna” di viaggio probabilmente quel bambino sarebbe rimasto nascosto alla mia coscienza per sempre, salvo farmi visita nelle mie paure urlandomi in faccia la rabbia per esser stato abbandonato.

Diversamente, come strumento per aiutarmi a combattere l’angoscia originata dalla nuova diagnosi, ho potuto/dovuto/voluto scrivere del passato e l’ho ritrovato; quel bambino con i capelli biondi (che crescendo sono divenuti rapidamente castani e che ora inesorabilmente tendono al bianco…) e con il sorriso sulle labbra, con il suo orgoglio di essere in piedi nonostante il gesso, con la memoria delle corse a perdifiato, con i suoi preziosi modellini, con il suo

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amore per la prima carrozzina, con la fierezza di essersi rimesso in piedi da solo in più occasioni (in realtà molto poche…) e con l’aiuto dei terapisti in altre circostanze (troppe)…Ora più che mai ho bisogno, per affrontare le battaglie contro questo nuovo nemico, della forza e dell’esperienza di quel veterano di guerra, di quella parte di me che è sopravvissuta a tutto ciò che avete letto nella prima parte di questo scritto.Ognuno di noi difronte alla notizia di una malattia incurabile, di una menomazione, della sofferenza, dovrebbe potere aver la forza di guardare il proprio passato, non per rimpiangerlo, non per desiderarlo ma per vedere chi siamo stati e scoprire chi siamo e cosa siamo in grado di fare. Alcune persone lo fanno per istinto, hanno la forza innata per farlo; altri, come me, devono costringersi a guardare e faticare per riuscire a vedere quanto di buono si è fatto e quanto forti siamo stati.

Ora so che non sarò mai solo difronte alle sfide che dovrò affrontare. Non sarà facile, l’esito della nuova guerra non è scontato, la sofferenza sarà forse enorme, le sconfitte brucianti e umilianti.

Se avrò la possibilità e la forza di tenermi stretto a quel piccolo ma tenace soldato, che ha affrontato mille e più battaglie, almeno non alzerò bandiera bianca senza aver combattuto…

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cASA StIPAncIcH “I ribalta vapori”di Diego Menegon

Ciano: Ooh, eccoci! Brian, come c’è?Brian: Mmmh…Ciano: Ah, addirittura? Orca, cussì ben… Buono, ma adesso vieni a tavola, dai, che tra poco riva nonna!Brian: Ma dov’è nonna adesso?Ciano: è in cusina che sta prontando di magnare…Brian: Ah… e cosa mangiamo?Ciano: Ah, sta facendo una bella fritta di ribalta vapori!Brian: Eh… di …Ciano: Eh, ti piacciono i ribalta vapori?Brian: I ribalta… cioè… cosa sono?Ciano: Sono dei pesci! Buoni, sai!Brian: Ma ribaltano… cosa sono tipo balene?Ciano: Ma no! Cosa balene… Sono piccolini! Pessetti…Brian: Ah… e… vabbè…Ciano: Ma sì, vedrai che ti piacciono!Marisa: (da lontano) Metto in tavola!Ciano: E quà siamo!Marisa: Ah! Eccoci! Ecco pronto qua, adesso, un poco per uomo, adesso vi ciolete giù!Ciano: Ooh, che buoni! Proprio gli voleva, sai!Marisa: Eh sì, ah! Era proprio da tanto che non facevo i … girati!Ciano: I… i… girati… Scusa, Marisa, puoi un attimo?Marisa: Sì, Ciano, rivo! Ma veloce, che se no si raffredda!Ciano: Sì sì, solo un attimo, dai…Marisa: Eccome, dimme!Ciano: Scusa, sa, ma come te ga dito? I gi… girati?Marisa: Sì, ah! I girati! Perché?Ciano: Perché… cossa saria, scusa?Marisa: Xe i girai!

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Ciano: Eh… E cossa xe i girai?Marisa: I pessi che go fatto! Dai, che se sta raffreddando, anche!Ciano: Eh sì, go capì, ma xe i ribalta vapori!Marisa: Eh no, ah! Se ciama girai! E per talian se disi girati!Ciano: Ma no, ah, scusa… Ribalta vapori xe ribalta vapori, ah!Marisa: Sì, che però se ciama girai!Ciano: Bon bon, i te ga imparà proprio de tutto a scola, no?…Marisa: Eh sì! Dai, tornemo de là che se iaza el pranzo!Ciano: Eh sì…Marisa: Eccoci, Brian! Scusa, sai!Ciano: Sì, scusaci! Buono, allora possiamo anche magnare questa bella fritta di GIRATI!Marisa: Ecco, sì, girati, bravo! Eh sì, buono, ciolti in piatto un pochi!Ciano: Un pochi? Solo un pochi? Cossa, adesso, dieta?Marisa: Ma no, dai, un pochi, tanti, quanti che vuoi!Ciano: Aah, buono!Marisa: Ah, Ciano! Sai, no, che stamattina ero con Bruna in città, no?Ciano: Con Bruna? ( mangiando ) Ah, sì! E buono, e … ‘lora?Marisa: Fai conto che erimo che camminavimo, no? E a un certo punto, ci riva uno che ci tambascava come non so cosa…Ciano: Ah! E cosa voleva?Marisa: Ah, non so io… Era là con libri, parlava di robe strane che non capivimo…Ciano: Ah! E buono, e come…Marisa: Vara, non so, voleva vender qualcossa, sicuro!Ciano: Ah!Marisa: Sì sì, ma l’ho nasato subito! E tira, para e molla lo abbiamo impiantato là e siamo scampate!

(Per ascoltare Casa Stipancich: https://www.facebook.com/casastipancich)

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PER AlESSAnDRA…di Andrea Pisano

Non disprezzare il mio grande amoresenza te non vive il mio umile cuoreda te io voglio una sola carezzadel domani ahimè non vi è certezzatu sei per me la mia unica lucetu sei quella che il mio cuor seduceio ti desidero e ti voglio benesenza te mi taglierei le venearde nel cuore la grande fiammacome il dolce canto della mia mammasei per me il mio unico beneper te mi sono ridotto in catenebrilli lassù come la mia vera stellatu sei solo per me affascinante e bellanei miei pensieri ci sei solo tunon è davvero la più bella virtùtu devi essere per me la mia rosasarai per me la mia unica sposail mio grande amore a te confessoti prego, ti supplico non trattarmi da fessose un giorno il tuo cuore da me verràcome una potente fortezza mai crollerà

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lA GUERRA DEllE PAROlEdi Claudia Smillovich

La guerra è un avvenimento che qualcuno vuole,ma questa volta a farla sono le parole.Prima sono scritte ordinatamente sul quaderno,ma poi non riesce a tenerle unite nessun governo.Pugni, insulti e schiaffoni,ognuna vuol far valere le proprie ragioni.Una è lunga, l’altra è corta.La prima è messa dritta, l’ultima storta.Lunedì, il primo giorno del calendario,si azzuffa con l’ultimo termine del dizionario.Ma all’improvviso questo baccano,finisce in una grande stretta di mano.Le parole allora capisconoche tra loro ci deve essere unione.Per permettere agli uomini,una buona comunicazione.

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HEROInE JUSt FOR A MOMEntdi Antonella Vento

E oggi inizio a sentirmi davvero senza forze.Restare a casa con la bimba a occuparmi di Lei mi fa capire che sono senza forze e mi stanco “tempo zero”. Guardo e penso agli altri come super eroi che riescono a completare la missione di giornata fatta di lavoro, figli, casa e spesa.Io faccio fatica anche per le cose apparentemente più semplici.Quello che mi costa ancora di più fatica è chieder aiuto. Dire “ehi, voi esseri speciali dell’altro mondo, ho bisogno di aiuto, non ce la faccio proprio!!” Non so perché ma non ci riesco.Ho paura di esser considerata un peso…Mi sento io un grande peso sulle spalle ogni giorno e l’idea di farlo sentire pure agli altri mi crea disagio.Già il condividere il mio peso con il mio compagno mi fa sentire in colpa perché so che lui avrebbe potuto trovare una compagna normale.Lui sì, è talmente speciale che avrebbe meritato il meglio, di godere della sua completa autonomia di vita nei tempi e negli spazi: cosa che una compagna living limitante, ahimè, non gli permette.Certo, sono conscia che se lui mi è vicino un motivo c’è…Tanti sarebbero scappati davanti ad una compagna malata.Nel passato c’è stato chi mi ha detto “io un futuro con te non me lo vedo”.Ma lui invece c’è e so che ci sarà sempre.Ma… ho la sensazione spesso di avergli castrato la vita.Sensi di colpa.Mentre gli altri mi vedono sempre sorridente e sempre con una parola di sostegno per i problemi altrui, non condivido

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con loro gli stati emotivi e fisici peggiori che provo spesso.Li tengo per me, forse per un senso di vergogna e di protezione di chi mi vuole bene.E quando sono in quei momenti in cui mi manca la forza anche solo per pensare a cosa farò domani il mio “me” più profondo emerge e mi fa ricordare che c’è anche chi sta peggio di me… molto peggio ancora.

Questo mi dà la forza per capire che la vera eroina del quotidiano sono io…Un’illusione che dura giusto il tempo di pensarlo…Quel che basta.

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lEttERA A POlDOdi Teresa Casagrande

Ciao amico, sarebbe troppo facile dirti semplicemente grazie ma io ho solo le parole per esprimermi (e non scrivo neanche molto bene, dato che avevo insufficiente in italiano).Grazie di quell’amore troppo grande per essere contenuto in un cuore umano, grazie di difendermi e di scaldarmi i piedi alla sera.Sei fatto male; vorresti essere più magro e alto; anche io, ma qualcun altro ha deciso per noi e ci ha fatto così.Sei buffo… ma simpatico e soprattutto non giudichi!

El GAtO, lA FOIA E lA BORAdi Andrea Faggiana

De fora sufia forte la Bora.El Gato el varda fora come che sufia la Bora.Come mato diventa el gato, co’ la foia che ghe ga regalà la Bora.El cori avanti e ‘ndrio che par che el fazi un desìo.Ma el se varda ben de andar fora, el gato, con ‘sta Bora.Mato sì, ma sempre gato.De dentro al caldo el ‘scolta la Bora che la sufia e canta… de fora.Ma ‘desso el gato dormi sognando el de fora, una foia che cori co’ la Bora.

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StORIA DI UnA SPUGnA cHE VOlEVA ESSERE UnO SPAZZOlInOdi Antonella Vento

C’era una volta una spugna che viveva appoggiata sul bordo della vasca da bagno.La spugna era molto triste perché non si piaceva.Si sentiva grossa, con i buchi, di un colore giallo spento e spesso si dimenticavano di sciacquarla quindi pure sporca...Guardava sempre con molta invidia lo spazzolino da denti che stava in un bellissimo bicchiere di vetro trasparente sul lavandino.Sognava di essere bella come lui!Lui era alto, sinuoso, con dei colori accesi e allegri, con delle setole morbide e delicate. Il suo padrone se ne prendeva sempre cura perché lo lasciava sempre pulito e in ordine nel suo bicchiere.Lei invece stava male perché non si sentiva amata dai suoi padroni. Veniva strizzata, lanciata, immersa in tonnellate di sapone che quasi non respirava.

Un giorno, la mamma decise di lavare la spugna nel lavandino e la lasciò ad asciugare vicino allo spazzolino.E così la spugna timida si fece coraggio e lo salutò con voce tremula...- Ciao Spazzolino...Lo Spazzolino le rispose a sua volta:- Ciao Spugna!… e le fece pure un bel sorriso!!La Spugna dal tono intuì che lo Spazzolino sarebbe stato gentile con lei e decise di raccontargli quello che sentiva e che teneva da troppo tempo dentro. - Sai Spazzolino, io t’invidio tanto... sei così bello, elegante,

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alto, magro e il tuo padrone ti rispetta... io invece... vengo maltratta... forse perché non sono bella come te... anzi sono proprio brutta...- Ma Spugna cara, non devi invidiarmi... Pensi che sia poi così bello lavare i denti sporchi dei miei piccoli padroncini? Non è poi così gratificante andare nelle bocche tutte sporche e piene di pezzi di cibo da spazzolare via…

… semmai sono io che invidio te... lavori con il profumato e pulito sapone... e non dimenticarti che sei fatta di natura... Io non sono altro che un pezzo di plastica creato artificialmente da e per l’uomo... E il mio padrone non avrà la minima remore a gettarmi nella spazzatura quando non gli servirò più perché avrà già preso uno spazzolino nuovo!!Tu sei figlia della natura. Ricordati che arrivi da un mondo incantato: il mare!!- Ohhh, Spazzolino! Ed io che pensavo che tu fossi felice e appagato del tuo lavoro… Mi ero fermata solo al tuo bell’aspetto e ho data per scontata la tua felicità... Ho pensato solo a me e al mio sentirmi brutta e triste... – disse la Spugna tutta arrossita e imbarazzata per le belle parole dello spazzolino...- lo so Spugna cara, può capitare di vedere i propri come gli unici problemi… Ma quando ci sembrano così insormontabili e grandi come le montagne, dobbiamo fermarci per fare un bel respiro e pensare se davvero lo sono...- Spazzolino caro, grazie per avermi ricordato le mie origini, la mia provenienza, il mio mare... ora rivedo tutti i colori, le immagini e sento i profumi del sotto mare che avevo quasi dimenticato!

Disegno di Giada Sancin

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- Spugna cara, sono felice che le mie parole ti abbiano fatto pensare e aperto lo sguardo sul tuo mondo incantato!- Ho un’idea Spazzolino!!!! Andiamo a vivere nel mare!!- Ohhh, che bella idea Spugna, ma come facciamo?!? - Facile!! Ci buttiamo giù dal tubo di scarico e ci arriviamo!!- Vedi Spugna, oltre che naturalmente bella, sei proprio intelligente!!- Ma cosa può fare uno Spazzolino in fondo al mare?!?- Ma è logico! Potresti pulire i denti ai pesci dentoni!- Hai proprio ragione! Andiamo Spugna, andiamo!

E con un sorriso enorme di entrambi, si afferrarono per mano e si lanciarono giù dallo scarico per raggiungere il tanto atteso mare.Dopo alcuni minuti di scivolo come quello dei tronchi nell’acqua del luna park, arrivarono in fondo al mare... e molto divertiti dalla fuga avventurosa!

Finalmente liberi e felici.

Ora potevano finalmente decidere loro cosa fare!!Dopo qualche mese, la Spugna e lo Spazzolino aprirono un pesce-lavaggio per pesci sporchi, macchiati e maleodoranti.Spugna si era specializzata nel lavaggio squame e branchie.Spazzolino nel lavaggio denti aguzzi.La voce in fondo al mare si sparse così tanto che anche gli squali, i delfini e le balene venivano per farsi coccolare e lavare... Ma loro solo su appuntamento perché grandi da pulire!!Fu un successo sotto marino!Ogni giorno c’era la fila di clienti acquatici.

Spugna e Spazzolino avevano realizzato il loro sogno.Insieme.Erano diventati i più grandi migliori amici del mare.

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QUAnD’ERO BAMBInA…di Paola Coloni

Quand’ero bambina e sentivo il peso della mia solitudine o il cuore avvolto nella tristezza, come gli alberi in certe giornate grigie e uggiose di novembre o dicembre, o quando provavo tanta malinconia, una malinconia pesante, struggente e dolorosa, mettevo in moto la mia fantasia e sognavo cose belle, leggere, soavi, cose da bambini insomma…

Altre volte invece, soprattutto in inverno, guardavo fuori dalla finestra gli alberi spogli, l’erba gialla, i passeri che venivano a beccare qualche briciola di pane sul poggiolo e tentavo di inseguire le stilettate di dolore che sentivo dentro, quasi a voler capire da dove provenivano; in queste situazioni avevo un’immagine, nella mia fantasia, abbastanza precisa di me: mi vedevo bambina, con bel vestitino ed i capelli fermati con due fiocchi a formare due codine laterali, correre dietro ad una nuvola di nebbia, io che non ho mai potuto correre….

In primavera, avendo la fortuna di avere un giardino, quando le giornate erano ormai tiepide e lunghe, andavo fuori, a volte spontaneamente, spesso portata perché “un poco de aria te fa ben”. Ricordo in particolare un tardo pomeriggio di maggio, quando aspettavo con ansietà mia mamma. Ero in giardino, in ginocchio, accanto a mia nonna che curava l’orto: era tanto indaffarata, tanto china sulla terra, che sembrava così assorta e pienamente soddisfatta di ciò che stava facendo, da dimenticare quanto la circondava e non badarmi. Ad un certo punto, si raddrizzò leggermente, alzò gli occhi, si volse verso me e vide che guardavo il cielo terso, senza nubi, di un celeste

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intenso indimenticabile. Dovevo avere un aspetto molto soddisfatto, quasi felice perché lei aveva un’espressione tra l’incredulo, l’appagato ed il preoccupato, come se non capisse cosa mi rendesse tanto allegra nello stare con il naso in su e, allo stesso tempo, fosse contenta di vedermi sorridente. Con questa espressione sul volto mi chiese ridendo: “ma cosa fai?!?” “Guardo” risposi. Lei, sempre con la stessa espressione ma più leggera ed un sorriso appena accennato, aggiunse non appagata dalla mia risposta “Che cosa guardi?” “le rondini” risposi.

Le rondini di L.DallaVorrei entrare dentro i fili di una radio E volare sopra i tetti delle città Incontrare le espressioni dialettali Mescolarmi con l’odore del caffè Fermarmi sul naso dei vecchi mentre Leggono i giornali E con la polvere dei sogni volare e volare Al fresco delle stelle, anche più in là (...)

PS: Quando sentii la prima volta questa canzone, mi sembrò che Lucio Dalla fosse riuscito a mettere in musica i miei pensieri, i miei desideri da bambina, i miei sentimenti: amo le rondini, amo l’odore del caffè, amo le persone anziane: mi piace ascoltarle e mi fanno particolarmente tenerezza quando leggono i giornali con curiosità ed un fatto di cronaca serve loro da spunto per raccontare i loro ricordi.

Amo il profumo del caffè ed il suo gusto, annuso ovunque il suo aroma ed ancora oggi mi ritrovo, nei momenti di solitudine che possono essere anche momenti di gioiosa

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malinconia, ad ascoltare il mio cuore, nel tentativo di capire “da dove viene ogni tanto questo strano dolore” che insorge come un’emicrania e che, a volte, diventa quasi insopportabile e concreto.

Tante volte, quando vedo l’imbarazzo negli occhi della gente o delle singole persone, mi chiedo, quasi senza accorgermi, “che cos’è l’amore?” Dove si prende, dove si dà?

Avrei potuto dare una spiegazione molto più semplice e lineare sui motivi per cui “Le rondini” sono la mia canzone preferita, ma ci tenevo a condividere con voi che capite con il cuore non solo il perché, ma anche le mie emozioni, i miei ricordi, le mie sensazioni.

Grazie ed un abbraccio ad ognuno di voi!

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HAlF MOMdi Antonella Vento

Vedere le altre mamme camminare tenendo a manina i loro cuccioli nella loro quotidianità mi fa sentire una mamma a metà perché io non posso come loro. Io non posso portare mia figlia a giocare al parco perché se mi scappa io non posso rincorrerla.Io non posso portarla a spasso in città, al centro commerciale o semplicemente in riva al mareIo non posso portarla in spiaggia d’estate.

Io devo spesso declinare inviti a festicciole per bimbi perché non riesco a star dietro a mia figlia…… perché se è uno spazio aperto so che scapperà e non riuscirò a rincorrerla … perché se non c’è un parcheggio vicino non riesco ad arrivare a piedi da sola con lei…Io sola con mia figlia è impegnativo.Io sola con mia figlia al di fuori delle nostre mura è difficile. Cose così semplici che si danno per scontate.Cose che praticamente tutte le mamme riescono a fare.Sembrano semplici attività di routine, ma non sono così semplici per chi vive con qualche tipo di difficoltà. E gli altri non capiscono perché si fermano prima di capire.Forse non vogliono capire.Capire richiede cuore e cervello.

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cASA StIPAncIcH “Sotto lo scaglio”di Diego Menegon

Ciano: E buono… ma… Marisa… Marisa, dove mi hai sconto il telecomando?Marisa: (da lontano) Desso rivo! Un attimo, Ciano!Ciano: Ah! Buono, buono…Marisa: Eccoci! Dimmi tutto! – Oh, Brian, eccoci! Come c’è?Brian: Mmmh…Ciano: Uff! No pol ‘ndar meio, proprio!Marisa: E bon... Dimmi, ‘lora, cosa c’è?Ciano: Eh, volevo impicciare la televisione, ma no trovo il telecomando… Dove lo hai sconto?Marisa: Ma no, dai, cosa, no lo ho sconto! L’avrò imbucato da qualche parte, mentre che facevo pulizie, non so…Ciano: Aah, ecco! Porca madre, co’ serve, no si trova mai niente in sta casa…Marisa: Eh, dai, zerca un attimo, sarà quà in giro… Brian, ma che bella maietta che hai! Cosa, è nova?Brian: Eh… sì!Marisa: Bella bella, proprio bella!Ciano: Ah sì sì, bei colori, bei pupoti, tutto…Marisa: Eh sì! Ma… scusa, ma… cosa hai, un buco sotto lo scaglio? Fammi vardare un attimo…Ciano: Eh… sotto… Marisa, scusa un attimo, vieni di là?Marisa: Sì, rivo!Marisa: Dimme, Ciano, cossa xe?Ciano: Scusime tanto, sa, ma… Eh… Dove te ga dito che ga el buso?Marisa: Sulla maietta, Ciano, no te ga visto? Xe cussì bella, nova… Xe proprio un pecà!Ciano: Sì, go capì, ma… te ga dito “sotto lo…”, sotto cossa?Marisa: Aah! Sotto lo scaglio!Ciano: Eh… E cossa saria, scusa?

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Marisa: Sotto el scaio, ah, scusa!Ciano: Ah… E come se disi per talian? Sca.. scaglio?Marisa: Ma sì, Ciano! Scaglio! Dai, xe sempre quele le regole, no xe difficile!Ciano: No no, beh… Ti te sa sicuramente meio de mi! Te ga fato scole…Marisa: Eh sì, dai, ndemo de là!Ciano: E bon, ah…Ciano: Eccoci, Brian!Marisa: Sì, eccoci quà!Ciano: E buono, alora, vediamo cosa che si può fare con questo buco, sotto lo SCAGLIO!Marisa: Ecco, sì, scaglio, bravo! Eh, sì, adesso ciogo ago e filo e mi metto a strapongere, un attimo…Ciano: A … a strapongere… E cussì magari dopo gli puoi dare anche una scurtata alle mie brache!Marisa: Eh no adesso però! Dai, Ciano, è quasi pronto di magnare!Ciano: Sì sì, buono, posso spettare, non c’è furia!Marisa: Oh, bon! Scolta, intanto che vado di là, tu butta un occhio se boglie l’acqua, che dopo è di mettere il sale e buttiamo le cacoglie!Ciano: Le cacoglie? E buono ah… Brian, ma dove ti portano in ferie sto anno mamma e papà?Marisa: Ah sì, giusto! Dove?Ciano: Cosa, ti portano in campeggio, a Grado o a Lignano?Brian: Eh, no, andiamo 3 settimane a Mykonos!Ciano: A do..? E cossa xe sta roba? No no, mi no conoss!Brian: è un’isola delle Cicladi, in Grecia, nonno!Ciano: Un’isola? Ah! Non avevo mai inteso prima…Marisa: Ah, gnianche io… Sarà vicino a Lussin, no so…Ciano: Ah, beh, sicuro! A un tiro di schioppo!

(Per ascoltare Casa Stipancich: https://www.facebook.com/casastipancich)

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AntO BABY SIttER FUORI nORMA!(liberamente tratto da pensieri, parole, opere e omissioni di Antonella De Martino e dedicato con affetto ad Elisa)

Qualche anno fa ho festeggiato le mie nozze d’argento. Agli amici più cari ho regalato bomboniere colorate con fiocchetto rosso, un cornetto scaramantico appeso e un bigliettino augurale: “ANTONELLA + CUORE + SM: 25 ANNI INSIEME!”: i miei primi venticinque anni con la Sclerosi Multipla!SM mi è sempre stata fedele, persino quando, dopo tanti anni, ero stufa di lei e avrei voluto liberarmene ed esplorare nuovi orizzonti al posto di un amore divenuto ormai abitudinario. Ma “amor xe amor no pasta e fasioi”…me lo ha sempre detto anche il medico.

Così, dopo venticinque anni di matrimonio consolidato, io pensavo di godermi la pensione anticipata e le nozze d’argento in pace e invece mi ritrovo a fare quotidianamente la baby sitter a Isabel e Sofia, le mie splendide ed energiche nipotine di tre anni!

Alla faccia della disoccupazione!

Mi fanno la festa di compleanno ogni giorno, cosicché per loro dovrei avere almeno duecento anni e neanche SM potrebbe resistermi tanto allora! Ma se ne infischiano dei vincoli matrimoniali, le due, e si fiondano sulla carrozzina: una a cavalcioni sulla mia gamba destra, l’altra a cavalcioni su quella sinistra e via, bisogna guidare, sterzare, frenare, correre…in giro per il mondo. Per non parlare della cura cui mi sottopongono, sapendo che sono un po’ malmessa, a forza di gocce e pastiglie immaginarie che devo ingurgitare davanti alle due infermiere, o dottoresse…

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… perché ogni cosa si può curare con la fantasia!

Così il tempo scorre dolcemente, per niente noiosamente, le mie nozze d’argento forse diventeranno d’oro e Isabel e Sofia sono i gioielli che le coroneranno, penso!

Alla fine della giornata mi crederete stanca, ma mentre loro si addormentano beate sul mio lettone attrezzato a talamo nuziale, Isabel da una parte e Sofia dall’altra, io mi godo cinque minuti di solitudine e mi sento una baby sitter fuori norma, ma mai fuori forma!

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tUttO QUEllO cHEdi Andrea Pisano

Tempo fa, no se sa quando, ghe iera un signorino de nome Gigi, che zercava disperatamente la mula, ma, nonostante le sue asidue ricerche, no ’l rivava a trovarla. Cussì el gaveva ciapà la decision de coparse.

Ma el problema che lo preocupava iera: come coparse?

(Andrea, un po’ più avanti, mima): Sule prime el gaveva pensà de butarse zo del monte ma nol ga rivà rampigarse su perché el sofriva de vertigini; dopo el ga provà a sofigarse ma quei de l’Acegas i ghe gaveva serà el gas perché no ‘l gaveva pagà la boleta dato che’l iera, come sempre, senza bori; e per ultimo, el ga provà a tegnir el fià ma…., no ‘l ga rivà.

Appare Gigeta che guarda ripetutamente l’orologio e stufa, va via mentre Aless. continua a raccontare, indossa bus e berretto, Andrea si lancia.

Un giorno, sempre no se sa quando, imbriago disfà, col motorin el coreva zo per via Giulia in direzion de Campi Elisi dove che lo spetava sua cugina Gigeta, ma, in Piaza Goldoni, andando contro man, el se ga scontrà co’ la 16 guidada de Iole, (che ghe ga zigà): “Bruto mona, te son forsi bevù!?”

And: “Scusa, scusa, Gigi (porgendole la mano)”.Aless: (seccata e altezzosa) “Iole!”And: “Te vegneria a bever un cafè?......(ammiccante) In cafè Speci !!”

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Aless (incredula) “Al Specchi??! Sempre mia mama me gaveva parlà del SPECCHI, (con aria mesta) ma ierimo poveri e no la me ga mai portà…”(Ride con entusiasmo, butta via bus e berretto) “Sì, sì, vegno!!!!” (Confidenziale) Dovè saver che lui inveze iera sì quasi sempre senza un, perché se ‘l gaveva zento el spendeva dozento, ma no ‘l stava mal de famiglia.

(Festone natalizio, And. mima scrittura) El giorno de Nadal Gigi el se decidi de scriverghe un bilieto, a Iole:

“Go provà a scriver tuto quel che ghe xe tra mi e ti, tuto quel che penso, che provo, che sento, che spero, che giuro, che voio, che imbroio, che credo de gaver capì, che so de no gaver capì e che comunque che. Dopo go cavà tuto quel che no xe essenzial, quel che fa paura, che no xe sincero, che no xe vero, tuto quel che no importa, che no conta, che pol esser stracapì, dimenticà, perso: insoma tuto quel che. / Ala fine xe restà questo: son felice quando che te son felice, son triste quando che te son triste. E quando che no te ghe son te me manchi.”

Iole no la saveva cossa dir!

L’ano dopo (Aless. fa un giro a 360° indossa velo e And. la bombetta, si danno il braccio) ghe xe stadi i “fiori d’arancio”, e gavemo avù tre fioi.

Me dimenticavo: Gigeta ne ga fato de santola. (Gigeta appare di corsa e li abbraccia da dietro mentre tutti e tre in coro) :

“E VISSERO FELICI E CONTENTI !!!”

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l’AMOR nOn XE PAStA E FASIOI di Antonella Vento

L’amor no xe brodo de fasoi e gnanche una minestra de bobici,Ma xe quela roba tra de noiChe xe quasi come tornar fioi piciXe el cuor che bati forte e le farfale in stomigo, che svolaE no veder l’ora de rivederte ancoraE go capì che xe proprio quel amor che null’amato nessun perdona,Che come te vedi nol me abandona,E con una citazion de alto livel piano danteVoio dirte che de aventure insieme a ti ne voio passar ancora tante!Ma te amo sempre e forsi più de prima ancora,Quando te me tien strenta de ti nei giorni de bora,E per farte questa mia publica dichiarazion,Te sa che te son ti el mio unico amor..El mio, el tuo e el nostro non ga più sensoDato che ‘desso te son solo ti nel mio universoDopo tanti ani go capì che l’amor xe come un panin de cotto senape e kren,Ogni tanto piziga e brusa, ma se se continua sempre a voler sai ben!!!

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cASA StIPAncIcH “Un giretto a Barcola”di Diego Menegon

Marisa: Eccoci, Brian! Spettami un salto, che vado in pergolo a impiccare che si sughi la roba, sai? Anche perché ho pena finito la lavatrice… Senò dopo si mastrucchia tuto! Dopo vengo a zogare con te, sai?Brian: Mhh…Marisa: Solo che non trovo dove ho imbusato i ciappini…. Ufff…. Non ho proprio alba, ara… E dopo, se hai za fatto la lezione, ‘ndiamo a fare un giretto a Barcola! Ti va bene?Brian: Mhh…Marisa: Ciappiamo la corriera e smontiamo là di Pipolo…Ciano: Eccoci, Brian, come c’è? Orca, ti cascano le braghe! Hai le braghe tutte a pindolone! Te le sei strente ‘bastanza? Ocio che dopo ti fanno intopare quando che camini, eh!Brian: Sì, scusa, nonno, mi metto subito a posto!Ciano: Ecco, bravo! E cosa fate di bello?Marisa: Guarda, Ciano, adesso anderemo a fare un do passi a Barcola…Ciano: Ah sì? E come ‘ndate fina Barcola? Colla filovia?Marisa: Eh, sì, ciappiamo la 6 là della luminosa, no?…Ciano: Eh, ma varda che oggi c’è siopero delle corriere, eh!Marisa: Ah sì? Orca! E ‘desso, come ‘ndiamo alora?Ciano: Eh, se volete, vi compagno io in auto, però anche no! Oggi sarà pupoli in città, perché sarà tutti coi auti in giro… Za che no girano le corriere…Marisa: E bon, alora ciamiamo un tassametro, ah!Ciano: Eh… Se proprio bisogna ‘ndar a Barcola oggi…

(Per ascoltare Casa Stipancich: https://www.facebook.com/casastipancich)

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In VIAGGIO…di Andrea Faggiana

Nel 1998 avevo ipotizzato di fare un viaggio. Una mia cara amica si era trasferita per lavoro in Sudafrica, precisamente a Capetown. C’eravamo lasciati con l’impegno da parte mia di andare a trovarla. Da bravo potenziale turista mi ero quindi munito di una guida di quel paese. Una guida turistica che mi facesse conoscere un po’ meglio le caratteristiche del Sudafrica, che mi consentisse di apprendere nozioni sulla popolazione, sulle sue tradizioni, abitudini, sul patrimonio storico e naturalistico. Una guida per conoscere.

Una guida, questo racconto. Un’esplorazione del dietro le quinte di un teatro di posa. Uno strumento che consenta al lettore di vedere al di là di ciò che appare. La mia speranza, senza alcuna presunzione, è che questa narrazione porti le persone a percepire i disabili in modo diverso. Vedendo una persona in carrozzina, con le stampelle, con una deformità desidererei che si andasse oltre ciò che viene percepito visivamente, ma si considerasse anche quello che si nasconde dietro a quella forma. Vorrei che si riflettesse su ciò che quella persona è stata costretta a subire. I disabili sono persone come tutte le altre e meritano di essere percepite non per come appaiono, ma per quello che sono. Persone con un passato complesso, difficile. Non voglio essere frainteso, i disabili non sono persone che hanno solamente sofferto.

Mi capita spesso, ad esempio entrando in un locale pubblico, di attirare gli sguardi delle persone. Le persone mi vedono, alcuni mi fissano insistentemente, come se vedessero qualcosa di bizzarro e per certi versi

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imbarazzante. Desidero che questo non accada più, io non voglio essere percepito solo per il mio aspetto. Vorrei essere percepito come una persona, da subito, senza dover attendere di parlare con chicchessia, dimostrando in questo modo di essere più di ciò che appaio. Il mio racconto vorrebbe essere solamente uno spunto affinché tutti noi si “andasse oltre”, si superasse la prima impressione e si riflettesse che colui che vediamo è il risultato di una vita difficile, al pari e diversamente da quella di tutti.

Solamente considerandoci reciprocamente per quello che siamo e non per quello che sembriamo, riusciremo a rispettare ed essere rispettati.

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tRE GOBBE In BURUnDIdi Andrea Pisano

Tanto tempo fa c’era un cammello che si chiamava Marcello e viveva con suo fratello che si chiamava Antonello. Marcello e Antonello andavano d’accordo, forse anche perché erano vicini d’età (15 e 13 anni).

Marcello aveva una graziosa fidanzata cammella che si chiamava Camilla. Ad Antonello invece non interessava ancora fidanzarsi e, di solito, rimaneva a casa ad aiutare mamma Iolanda e a giocare con le macchinine e/o i soldatini.

Un giorno Antonello incontrò una dromedaria e, solo a vederla, era di una bellezza incommensurabile. Antonello se ne innamorò perdutamente e pieno di gioia che gli sprizzava da tutti i pori la invitò a cena.

Mamma Iolanda, quando venne a sapere che suo figlio Antonello voleva fidanzarsi con Rosaria la dromedaria, a malincuore spiegò loro che non era possibile che un cammello e una dromedaria si fidanzassero poiché lui aveva due gobbe e lei una sola e la legge proibiva ciò.

I due innamorati scapparono nel Burundi ove incontrarono lo struzzo sacerdote a tre teste che senza problema alcuno li sposò. E vissero felici e contenti.

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Il BUcAtOdi Maria Neglia

è uscito il sole, fuori, finalmente. Ha piovuto tutto il giorno. Apro la finestra per un piccolo break, una sigaretta. Giù, sull’asfalto, la pioggia ha lasciato il bagnato che sfuma, col calore del terreno, in piccole volte di umido. Si alzano e immediatamente si dissolvono. Come il fumo lieve della mia sigaretta. Dove getterò il mozzicone, ora che non so dove ho ficcato il portacenere? Con gesto noncurante e poco ecologico lo getto giù, tra l’erba dell’aiola a fianco della casa e chiudo la finestra.

Dunque, ho già impacchettato tutte le posate. Ho avvolto i bicchieri nella carta da giornale. Solo i piatti, ormai fuori dall’armadio, aspettano di essere impilati nello scatolone. Nel soggiorno, la libreria e i due tavoli sono già venduti o regalati.

La lavatrice la vengono a prendere tra due giorni, benissimo, ho il tempo di lavare le ultime cose, gli strofinacci, le lenzuola, così me le porterò via pulite.

Il pensile del bagno verrà con me nella casa nuova. è leggero, neutro e sta bene in ogni arredamento.

Qualche lampadario è già smontato, nello studio e nei corridoi. In cucina non serve farlo. Lo lascio ai nuovi inquilini, assieme ai mobili, come pattuito. Se lo cambino loro, se non gli piace.

Ora resta la camera da letto. Era nuova. L’armadio guardaroba l’ho regalato a Martina, tre settimane fa. Metteva su casa, anche se l’abitazione non le piaceva. è stata felice di avere l’armadio praticamente nuovo in regalo

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da un’amica. Gliel’ho dato nella speranza che la nuova casa le piacesse di più. Qui sono rimasti il cassettone ed i comodini, le tende, da smontare, il lampadario ed i quadri. Non sarà difficile, non c’è più tanta roba. Ah, c’è anche il letto. Io mi prendo il materasso per la casa nuova. Qualcuno si porterà via la rete e se non la vuole nessuno, la butto.

Comincio a disfarlo. Tolgo il copriletto bianco, i cuscini. Quattro. Li avevo comprati perché lui doveva stare su, ben alto. Il reflusso esofageo è antipatico, soprattutto in certi momenti. Due federe sono bianche, dello stesso tessuto del copriletto, le altre due di percalle, rosa antico, unici rimasugli di un completo di lenzuola, distrutto da anni, ormai. Le sfilo dai guanciali con un po’ di difficoltà. Poi è il turno della coperta. Ormai da buttare, così infeltrita dai troppi lavaggi.

Le lenzuola di sotto sono quelle di raso nero. Mi ero concessa una piccola civetteria, un piccolo premio alla sensualità di una donna matura, ma ancora piena di passione. Non c’è mai stato tempo per capire se gli piacevano. Troppo in fretta, gli incontri, per capire se erano di suo gusto.

Avevo scelto quelle lenzuola con cura, senza badare a spese, perché la stoffa doveva essere morbida, come sarei stata io, come sarebbe stato lui. Avrebbe dovuto avvolgerci come una carezza nuova, come avrei fatto io, come avrebbe fatto lui. Avrebbe dovuto amarci, come avrei fatto io, come avrebbe fatto...

Tolgo il lenzuolo di sopra. Lo piego velocemente. Lo appoggio sul cassettone. Ora devo sfilare quello di sotto, quello con gli angoli. E’ troppo ben tirato, faccio fatica, infilo la mano di traverso nella tasca dell’angolo e l’unghia mi si impiglia nella piega dell’elastico. Mi faccio male. La

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ritraggo e la porto alla bocca, per darmi un poco di sollievo al dolore acuto del polpastrello. Un lieve gusto metallico si diffonde sulla lingua. Tolgo il dito dalla bocca per guardare cosa è successo. Una piccola goccia di sangue emerge dall’angolo destro dell’unghia. Non ho più disinfettante in casa, ormai. Stringo forte il dito nel fazzoletto che avevo in tasca e aspetto. Si rimarginerà in qualche minuto.

Mi siedo sul letto, dalla parte dove dormivo io. Questa zona sembra intonsa, volavo quando stavo qui? L’altra, dove stava lui, è piena di piccole cellule morte. Si notano molto, sul nero del raso. Qua e là qualche pelo bianco. A guardar con attenzione, si potrebbe riconoscere ancora la sua sagoma, come se si fosse alzato a poco. Invece, quanto tempo è passato? Qualche mese, eppure sembra una storia lontana, lontana... Sorrido, mentre mi si formano in mente queste parole. Non è mica una storia per bambini. Non è mica una storia da bambini...

Accarezzo con la mano buona il letto dalla mia parte, poi dalla sua parte. Mi distendo di traverso, mi immergo nell’odore dell’amore che sprigiona questo letto da me tanto desiderato. Una buona energia mi avvolge ancora, è quella dell’attesa, dell’abbraccio, dell’intesa totale, come è stato. Non un amorino qualsiasi. Amore e dolcezza veri, tenerezza totale, di entrambi. Poi le cose cambiano, finiscono. Ma il ricordo di quei bei momenti resta indelebile.

Mi alzo, sfilo il lenzuolo con accortezza, adesso. Non voglio più farmi male. Lo ripiego piano, lo ripongo delicatamente sopra quell’altro, sul cassettone. Non voglio perdere subito quelle cellule morte piene della vitalità del mio amore. Non adesso, non oggi.

Il bucato lo farò domani.

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Il BAMBInO E Il lIBROdi Claudia Smillovich

Un bambino trova un libro che piange e sta male,abbandonato sullo scaffale.

Lo prende delicatamente dicendo: - Cosa c’è che ti fa disperare? Forse ti posso aiutare.- Sono vecchio, polveroso, le mie pagine svolazzano qua e là; ridotto così conservarmi che senso ha?

Il bambino incuriosito dopo averlo aperto risponde entusiasta: - Ho un’idea: con i tuoi bellissimi disegni di stupendi paesaggi e simpatici personaggi tante storie divertenti si possono inventare!

Il libro allietato dall’idea sorridendo dice:- Sarà un’avventura fantastica, non vedo l’ora di cominciare!

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cASA StIPAncIcH “Pulizie di primavera”di Diego Menegon

Marisa: Ooh, eccoci!Ciano: Eh sì, eccoci quà!Marisa: Brian, come c’è?Brian: Mmmh…Ciano: Uuh, vara! El sta saltando, proprio!Marisa: Eh, cosa vuoi... è andata bene a scuola?Brian: Sì sì!Ciano: Ah beh! E quando mai gli va male a lui??Marisa: Ah, non so io… è bravissimo il nostro piccolo!Ciano: Ah sì sì... Ma Marisa, cosa è nato, che è tutto questo scandallo in casa?Marisa: Eh, sai, era tutto un remituro e allora sono dietro mettere in ordine un poco…Ciano: Ah! Però mi pare ancora peggio ‘desso!Marisa: Eh, ma perché sono dietro fare! Non ho ancora finito!Ciano: Sì sì, buono… Ma il pranzo?Marisa: Il pranzo … adesso facciamo, dai! è solo di buttare la pasta e buono!Ciano: Sì sì, beh, ma anche pel piccolo, no?Marisa: Ma sì, dai, adesso… Brian, cosa hai za fame?Brian: Mmmh…Ciano: Ah beh, me par proprio che el mori de fame!Marisa: Dai, ‘desso finisso un saltino di mettere via un do robe e dopo magniamo!Ciano: Oh, buono! Ah, ma ecco perché, allora, hai il traversone indosso…Marisa: Eh sì, perché stavo ciolendo dentro un poche di robe dal pergolo, che è di buttare via…Ciano: Eh... Ma ma, di buttare via? Ma … ma cosa?Marisa: Eh beh, dai, Ciano! Ormai siamo in primavera, è

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anche ora, no?Ciano: Sì, è anche ora di magnare... Pulizie de primavera allora… Eh buono ah…Marisa: Beh, ma sì, insomma… è di avere un pergolo tuto bello netto, con tanti fiori, le piante, le robe tute in ordine…Ciano: Sì sì, quello, giusto…Marisa: E anzi, è anche di dare una mano di bianco al muro, che è tutto petacciato!Ciano: Petacciato? Eh beh, coll’inverno che era…Marisa: Ah, tu sai, sì! E intanto gli ho dato una slavacchiata par terra, così giusto per resentare, e dopo…Ciano: Dopo? Dopo cosa, scusa?Marisa: Eh, dai, Ciano! Cosa hai di rugnare ‘desso? Tu potessi anche darmi una mano, no?Ciano: Sì sì, sicuro! Dopo facciamo, dai!Marisa: Eh sì, perché è anche di sburtare in là il scafetto dei ordegni per pitturare!Ciano: Ah! E… buono… Faremo, ah!Marisa: Sì, insomma, è di fare! Ma perché non si russi le piastrelle, è di mettergli sotto una stracchia!Ciano: Un … una stra.. stracchia…. Eh buono, ah…Marisa: Ma sì, ah! Non si fa così? Giusto, no?Ciano: Sì sì, ma scusa… Magniamo direttamente la cena o pensi che potessimo anche pranzare??

(Per ascoltare Casa Stipancich:https://www.facebook.com/casastipancich)

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lEIdi Antonella Vento

Quando si ama e vuoi proteggere chi ti è vicino da Lei e inizi a pensare che tutte le colpe sono tue perché sei tu ad averla sulle spalle.

Quando nel rapporto di coppia si insinua Lei, con tutte le sue sfaccettature, si sfocia spesso nelle incomprensioni.

Quando si chiede scusa o ci si giustifica perché a causa Sua non sei più come prima e ora è tutto cambiato.

Quando sei stanca che non ce la fai più senza aver fatto niente di particolarmente stancante ma capisci che dietro all’incomprensibile fatica c’è Lei.

Quando ti dimentichi cosa devi fare o quello che ti han detto prima e sei in difficoltà sociale perché Lei ti ha fuso le connessioni.

Quando pensi che dire come ti senti veramente non viene compreso ma hai bisogno di condividere quello che Lei ti sta facendo.

Quando inizi a pensare che quello che fai è sbagliato perché non si trovano mai le parole giuste per spiegare agli altri cosa sta succedendo.

Quando al posto di una discussione vorresti un semplice abbraccio e sentirti dire andiamo avanti, supereremo anche questo.

Quando capisci che la Stronza Maledetta ha attaccato anche la tua vita privata oltre che il tuo sistema nervoso.

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DOMAnI – BlueDee di Diego Menegon

Ogni notte vedrai il destino rivivràSilente e forte pare l’estrema oscuritàNel buio pesto di un cammino è come seInimmaginabile il perché

Possa durare a lungo, ma per questo non finire maiDall’orizzonte azzurro poi vedraiUn altro sol, un altro sole ancorRidarà luce ad anima e cuor

Domani un nuovo sole sorgeràPiù in alto e dentro meLa luce del mattino risplenderàE l’universo che...

La notte finisce ed è come incredibile quanto colorePossa creare ora l’immagine dell’amoreDella magia impensabile in quell’occasioneGià poi intanto nascerà

Domani un nuovo sole sorgeràPiù in alto e dentro meLa luce del mattino risplenderàE l’universo che...

(Per ascoltare la canzone: https://soundcloud.com/bluedee04/bluedee-domani)

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VOlARE OH OH OH… !!! (la Bora)Incubo in strada di Pierpaolo Russian

Xe matina, sona la sveia, sento fis’ciar le finestre, alberi che scricchiola, aiuto la Bora!

Me alzo, se fa per dir, mia moglie con abili mosse de sumo e lotta libera la me riva a metter sula sedia a rodele, vado in finestra: terror!

Xe bora forte, tutto che svola, alberi che se piega, scovaze per tuto, scartozi come aerei.

- “Maria, come femo ad andar a lavorar?”

- “Non preocuparte gavemo fato de pezo”.

Me lavo, la me vesti. Rivemo in porton, suffia la bora, i vetri del porton se gonfia, spiferi vari; in strada svola de tuto, vedo la mia auto difronte al porton. Come rivo fin là?

- “Maria coragio andemo, guantite ben e zerchemo de andar fora.”

La apri el porton, subito un bel refolo jazà me riva in viso, intanto entra in porton scovaze, foie, stechi e un gato tuto spaurì che me varda (come per dirme: “dove va sto grembano con ‘sto tempo?”) e de balin el fila su per le scale.

Maria va fora e la vedi come che xe. La apri l’auto, guantada sulla portiera la me fa moto che xe longhi, la torna dentro la me varda e la me disi: - “Provemo ma la gavemo dura, spetemo la calma tra un

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refolo e l’altro e zerchemo de andar in auto”.

Semo quasi fora, son guantà sul porton come un paracadutista, spetemo la calma de Bora: eccola! Partimo veloci, se fa per dir… rivo sull’auto, verzo la portiera, me guanto.

- “Maria metime la man sul cul e ‘iutime ad alzarme”, son in pie guantà strento sulla portiera.

Taca el refolo, prima pian poi forte, mi sempre guantà a mia moglie che me tien forte, son iazà, me sento come el capitano Accab sul ponte de la nave, in quel vedo che la sedia parti via; Maria, ghe digo “lassa che la vadi, che se parto mi xe pezo!”Cessa el refolo, rivo entrar in auto, sero la porta.Maria intanto xe andada a ingrumar la carega con le rode, la iera finida tra i scovazoni, la la cariga in bagagliaio e la monta in auto.Son tuto iazà e spetinà, carigo de fredo e de paura, Maria xe sconvolta, par che la gabi scalà el K2. Se vardemo nei oci e tutti e due disemo:

- “Mai più!“

- “E ‘desso come tornemo a casa stasera?“

- Vederemo…

Giro le ciave, se impiza la radio e un, tuto contento, disi: “vi auguro una bellissima giornata”. Penso tra de mi: comincemo ben… lo mando a remengo… impizo el motor e andemo via.

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Al MAREdi Maria Neglia

Scendi la scaletta quasi orgogliosa. Nell’acqua tutto è facile, lo sai. All’ultimo scalino i piedi si immergono e un piccolo brivido ti percorre la schiena. Ma sai che l’acqua è calda e ti tuffi senza paura. Ti piace come ti avvolge, come la carezza di una mano grande. Con bracciate lunghe e calme te ne vai fuori dalla calca, ad ascoltare il tuo corpo nel liquido chiaro, a tratti più scuro, quasi denso, a seconda del fondale. Le tue braccia sono forti, sono loro che guidano, le gambe solamente seguono. Ad un tratto incontri una strisciolina di mare più fredda, una piccola corrente che si insinua nel tepore dell’acqua. Ti scuote gentile, donandoti energia frizzante sulla pelle. I tuoi muscoli li senti flessuosi ed allo stesso tempo tenaci. Adesso lasci andare le braccia. Estendi le caviglie, irrigidisci lieve le ginocchia, poi le pieghi e le lasci andare. Nuoti veloce, via dalla riva, leggera come un cormorano. Ormai, dalla vita in giù, ti senti la pinna di una sirena. Ora ti fermi. Ti distendi “a morto” e puoi contare sul viso i caldi raggi del sole. Sotto, il mare che rinfresca. Senti la sua forza che ti sorregge, ti culla le gambe e la mente e tu puoi godere la vita. Niente a che vedere com’era stato un’estate di tanti anni fa, quando eri bambina.La sua malattia era oramai conclamata. Evidentissima. Quella mattina le gambe se le era trascinate dietro, tremolanti, insicure più del solito. Ogni passo una sfida alla gravità, che avrebbe potuto vincerlo e buttarlo a terra. Un equilibrio instabile, traditore. L’avevi visto andare verso la strada grande. Procedere per quei cinque, forse dieci metri di straducola con un falsopiano di venti centimetri, al massimo. Nessuno, con gambe buone, poteva accorgersi di quel ridicolo dislivello. Per lui era la scalata dell’Everest, da un sacco di tempo ormai. Aveva raggiunto la fermata dell’autobus come fosse l’arrivo di una maratona olimpica, vittorioso ed esausto. Tu lo guardavi

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da dietro, non sentivi emozione, ci eri abituata. Dovevi solo controllare che ce la facesse, aveva detto la mamma, e aiutarlo a rialzarsi in caso di bisogno. Una volta salito sul mezzo che l’avrebbe portato al lavoro, salutavi il suo sguardo muto agitando poco la mano.

Nel pomeriggio, col sole cocente e un vestitino fatto in casa, di cotone chiaro, eri andata a prendere il pane, al negozio di Pina, nella strada grande. A volte correvi, per gioco e far prima, nella fretta gioiosa dei tuoi dieci anni, ma quel pomeriggio l’umore era triste. Qualcosa, alla bocca dello stomaco stagnava dalla mattina, senza che tu potessi saperne il motivo. E sulla stradina, su quel pendio così poco scosceso, le tue gambe si erano fermate. Perché? I sandaletti bianchi, di colpo, ti erano sembrati insicuri, la suola troppo scivolosa. La fatica mattiniera di tuo padre, su quel falsopiano, nel pomeriggio era diventata la tua, tracimando dal tuo stomaco, raggiungendo le gambe, avvolgendole in un groviglio inestricabile. Andare avanti, ma come? Quelle che fino ad un attimo prima erano gambe vivaci di bambina, si erano tramutate in due travi pesanti e senza snodi su sandali infidi. Con fatica enorme ed una rabbia pulsante nello stomaco dolente, decidi che anche tu, come tuo padre, devi vincere quella maratona. Sbatti con forza una gamba in avanti, ci riesci e fai subito lo stesso con l’altra. Il bacino però barcolla, in preda ad un hula hop sconosciuto. Finisci a terra. Ti spuntano le lacrime. Hai perso con ignominia. Non sai nemmeno come tirarti su. Non c’è nessuno vicino. Una gamba è stesa diritta, in avanti. L’altra è rannicchiata verso dietro. Ti guardi il vestito: la caduta ha stampato sulla gonna tre baffi neri, tre ditate, tre segnacci di carboncino. Per fortuna nessuno strappo. Riesci a tirarti su. Ora, pensando al vestito, le gambe si muovono come se nulla fosse successo e un dolore alla coscia lo senti appena. Non ti accorgi nemmeno del piccolo rivolo di sangue alla caviglia. Passi una mano sporca sugli occhi per

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cancellar via le lacrime. Vai a comprare il pane. Tiri fuori dalla tasca le monete contate che avevi prima della caduta. Ci sono ancora tutte, per fortuna. Pina, dandoti il cartoccio ti guarda in viso di sottecchi, senza dir nulla. Avrà visto le ditate sul vestito? Avrà capito che sei caduta? Ma no! Quella, quando ha in mano i soldi non si accorge di niente. Torni a casa. Vorresti essere consolata e abbracciata da tua madre, che non c’è, fino a stasera, quando tornerà anche lui. Meno male, perché sai che non avresti avuto carezze, ma due bei ceffoni per essere stata in qualche modo incauta e aver rovinato il vestito. Vai in bagno. Ti tamponi la piccola ferita alla caviglia, la botta violacea che ti fa male alla coscia è ben in alto, nessuno la vedrà. Lavi le macchie del vestito che rapidamente finiscono nello scarico del lavandino. Nel caldo dell’estate si asciugherà per tempo. Poi alzi la testa e lo specchio rimanda l’immagine di un viso sporco di terra. Tre baffi neri pure lì. Lavi anche quelli. Tutto a posto per quel giorno. Ma una settimana dopo, Pina racconterà l’accaduto a tua madre, che subito concretizzerà i paventati ceffoni. Più volte in quell’estate ti sei trovata a subire il tradimento del tuo corpo. Accadeva sempre quando eri da sola, iniziava mordendoti la bocca dello stomaco e ti lasciava solo quando finivi a terra. Poi, a settembre, il ricominciare della scuola ti ha allontanato da quella dimensione, inconsciamente, così come era venuta, permettendo che tu ti specchiassi nei compagni di classe sani e spensierati, con risate argentine e corse allegre nel giardino della scuola.Ritorni verso la scaletta, risali dall’acqua. Gioisci per quella nuotata in totale sintonia col tuo corpo, con le tue gambe. Ti distendi sulla brandina e lasci che il sole asciughi lacrime antiche così come le mille piccole gocce che ti ricoprono la pelle, abbandonandoti all’abbraccio consolatorio della vita.

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HOlIDAY On IcE (SBRISSADA – Pavimento lucido) di Pierpaolo Russian

Torno casa dopo una dura giornada de lavor e merende. Xe temporal, piovi roba de mati.Postegio soto casa, telefono:- “Maria vien a ingrumarme che son qua e continua a piover”.

Se verzi el porton, vien fora Maria tuta bardada per la piova: giuboto, capucio e l’imancabile careto (sedia a rodele) per ingrumarme.Smonto de l’auto sotto el diluvio universal, me sento in careto. Entremo in porton, son bagnà come un pulisìn. Maria me varda e la me disi: - “Qua semo rivai, andemo avanti e zerchemo de andar a casa”.

Ciamo l’ascensor, verzo la porta. Devo entrar, ma la sedia non entra, quindi devo meterme in pìe… come sempre. No perché ogi piovi e la sedia se ga slargà o l’asensor se ga strento.

Me punto su’la porta, grondo acqua:- “Maria metime le man soto el cul e aiutime a alzarme”.

Son in pìe guantà su le paredi in formica, sbrissa tuto, ma son abituado. Con la coda de l’ocio vedo che el pavimento xe strano, sai neto e lustro. “Aiuto, qualche grembano ga messo la cera!”

Oramai son in pìe.Come tuti sa, e anche la chimica lo disi, cera e acqua cosa fa? Fa sbrissar!

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Parti l’ascensor, comincio a sentir i pie che se movi, le man che sbrissa. - “Maria, stago sbrissando!” Maria me disi:- “Zerca de resister che semo quasi rivadi”.

Lentamente ma inesorabilmente continuo a sbrissar e pian pianin comincio a vèder el pavimento sempre più vizìn. Con una rapida mossa e un guizzo, me trovo de colpo in tera, distirado in ascensor.

Maria me varda e con calma la me disi: - “Te son rivà, più zo de là non te va”. Ghe digo: - “Cosa femo ‘desso?” Maria la me disi con gran calma: - “Ghe penso mi!”

Rivemo al pian. Se verzi le porte, son distirado in tera anche un poco ingropado perché l’asensor xe picio. Maria me beca per le gambe e la me zuca fora, la me strasina a mo de “mocio vileda”; son bagnà e cussì lavo pertera con la maia e sugo coi cavei. In ‘sto ordine, puliso: ascensor, pianerotolo e andito.Maria la chiudi la porta de casa. Mi son distirà in tera, in mezo a l’andito e vardo e plafon. Go la maia che, avendome strasinado, la xe vegnuda su e ‘desso go schena e panza (el bulbo) de fora; non xe un bel veder. Me par de esser una balena sula spiagia. Non rivo moverme, poso solo lamentarme, parlar e spudar, niente che posi servir. Bon che casa xe solo i fioi.Riva mia fia e la me varda con curiosità. La me domanda: - “Papà cosa fai disteso a terra mezzo nudo?” Ghe rispondo che: - “Stago vardando se iera de piturar el plafon de l’andito”.

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- “Va bene…” la me disi; la me passa sora e la va via.

Intanto, Maria xe andada a cior l’“Ursus”, el paranco che go a casa per ingrumarme de pertera co’ casco.

Dopo varie mosse e movimenti, la me imbraga e la comincia a tirarme su.

Sul più bel el paranco se ferma, se ga scarigà la bateria. Son a meza alteza, ne alto bastanza per sentarme ne in tera per restar distirà. Metemo in cariga la bateria, stago quasi un’ora a spetar che la se carighi. Son impicà come un salame o altro; stago comodo, la vita in famiglia continua normalmente con mi impicado in andito. Tuti me gira intorno e i me sposta se intrigo, i pulissi con l’aspirapolvere. Son diventado una parte del aredamento, come un “pica tabari” o un “armeron”.Finalmente se cariga la bateria. I finissi de alzarme e i me meti sentado sul careto. Son tutto slavazado, mezo nudo ma in compenso gavemo ascensor, pianerotolo e andito neti e lavadi. Mi son ridoto de butar in scovàze.

Maria anche.

Grazie

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nOn PERVEnUtO… di Alessandro de Comelli

Il nostro orso Baloo in questo periodo è stato impegnato nella raccolta delle sue famose briciole, dello stretto indispensabile. La sua frase “Sì, certo, la prossima volta” ci costringe ad attendere la prossima pubblicazione per avere finalmente il piacere di leggere le sue parole. Per intanto lo immaginiamo intento a raccogliere placidamente l’indispensabile. Un grandissimo abbraccio al nostro Baloo, presenza silenziosa ma straordinariamente preziosa.

EMOZIOnI di Antonella De Martino

La sera dello spettacolo ero un turbine di emozioni!

Era la mia prima volta sul palco di un teatro, non sapevo cosa aspettarmi, non sapevo come sarebbe andata, ma eravamo tutti lì, a darci man forte l’un con l’altro.

E poi c’è stata l’immagine proiettata sullo schermo!!!

Una ragazza in carrozzina in riva al mare con le braccia spalancate, come ad aspettare che l’acqua le venisse addosso, sembrava un gesto di libertà, e lì mi sono sciolta in un pianto liberatorio, sarà per il desiderio di immergermi nell’acqua salata, o per non so che cosa e Pierpaolo accanto a me che mi dice: “se te cominci cussì a posto semo”.

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Da quel momento è andato tutto bene, vuoi per l’essere lì tutti assieme, per Pino che più di una volta mi ha messo la mano sulla spalla, per il ridere nei cambi scena quando una carrozzina andava e l’altra tornava, e poi gli applausi del pubblico a cui eravamo piaciuti, forse abbiamo trasmesso qualcosa!

Non sapevo, quando ho iniziato questo corso-percorso, cosa avremmo fatto, dove ci avrebbe portato, so solo che sono contentissima di esserci stata e di quanto mi ha dato questa bellissima esperienza.

Grazie

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Il cORSOdi Antonella e Marco

“Veloce, veloce sbrigati dobbiamo andare al corso di Pino e Stea”.

Era un martedì come tanti di gennaio 2014, io e Marco, il mio compagno, avevamo deciso di accettare l’invito della mia collega Gigliola di partecipare ad un corso di scrittura organizzato dallo scrittore triestino Pino Roveredo e dallo psicologo Cristiano Stea. Non sapevamo bene di cosa si trattasse, sapevamo solo che il corso era aperto a tutta la città e si teneva presso il distretto 4.

Eravamo emozionatissimi, non so perché tanto, ma lo eravamo. Ricordo la giornata freddissima di pieno inverno, reduci da una mattinata passata a visitare una casa in vendita nel cuore di Opicina.

Quel giorno ero in ferie mentre Marco era in cassa integrazione da qualche giorno.

Poverino, era ancora scioccato dal telegramma ricevuto un sabato mattina che comunicava che dal lunedì successivo “signoria vostra non dovrà presentarsi al lavoro per un periodo non ancora stabilito”.

Ecco anche perché ho accettato l’invito di Gigliola, per stimolare Marco con “altre cose”, oltre alla curiosità di conoscere Pino, di rivedere Stea e di capire cosa questo corso potesse offrirci.

Stea, Cristiano, nostra vecchia conoscenza durante i mesi bui di Marco avuti a causa degli attacchi di panico. Ci è

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rimasto nel cuore, ci ha aiutato a superare un momento difficile, e ogni volta che sentiamo il suo nome ci viene il sorriso e il desiderio di rivederlo.

Ok siamo pronti sono le 15, i bimbi sono sistemati, oggi li andranno a prendere agli asili i nonni paterni. Possiamo partire.

Ripeto emozionati da morire, chissà perché tanto, mah………

Arriviamo. Avevamo appuntamento con Gigliola in atrio. Non la vediamo e allora saliamo alla stanza dell’incontro. Vediamo gente, chi in piedi, chi seduto… in carrozzina… Scendiamo di nuovo. Ormai è ora. Saliamo nuovamente.Da lontano vedo un volto conosciuto… si è lei… è Claudia, l’amica di mia sorella !

Evviva sento subito che essere lì è giusto, è un segno.

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… DOPO lO SPEttAcOlO... DOPO lE PAROlEdi Maria Teresa Scremin

Sono Maria Teresa, una presenza molto silenziosa del gruppo: non mi capita spesso!

Quanto vorrebbero i miei figli, amici, colleghi conoscermi così!!!!!!!!!

E invece no, inaspettatamente proprio qui, nel gruppo che mi sono scelto, in qualche modo, e dove potevo essere “libera” di esprimere le mie emozioni, gli intenti, i pensieri, qui sono stata finalmente in silenzio, un silenzio attento, partecipato, ma in silenzio. Forse potrebbe durare ancora a lungo, forse finire così.

Mi sono sentita nel/del gruppo come potevo, come ho saputo stare: esistenza vicino ad altre esistenze. Forse non so bene neppure io cosa volessi prendere o dare, non ricordo quali aspettative o nessuna aspettativa accompagnassero questa decisione di partecipare se non la voglia di partecipare.

Tante volte questo desiderio resta inespresso, generico, disincarnato, barricato in qualche nuvoletta astratta sospesa come un grido “voglio esserci”, e forse lo è stato ancora una volta, ma non si pensi ad “una occasione sprecata” Sono stata contenta di essere finalmente una fra tanti, non “protagonista prevaricante”, “presenza arrogante”, “infantile”, “disturbante”, “imprevedibile”, “disarmonica”. ma protagonista - ospite, partecipante/collaboratrice di una piccola realtà “in movimento” dove spero di non aver fatto sentire nessuno a disagio e dove non lo sono stata io.

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Ho ricevuto un sacco di complimenti per questo spettacolo, per questo gruppo, di cui ho poco parlato a colleghe ed amici, un po’ per una forma di discrezione, un po’ per salvaguardare uno spazio quasi privato, come si fa per un setting terapeutico, che non può essere sempre e tutto raccontato e condiviso, ma di cui si vuole trattenere qualcosa per sé.

Ho ricevuto i complimenti per tutto il gruppo: per i testi, e la produzione in genere, anche per i canti e le danze e per me, Mariateresa, ed io ho risposto che quando si hanno testi e un contesto come quello che questo gruppo, un po’ alla volta, ha saputo diventare ed esprimere, bisogna essere dei cani per non dare il massimo, per non sentirsi coinvolti, ognuno a suo modo e con il proprio stile, col proprio desiderio di dimostrare cosa si può essere, fare e dare…

Era tanto tempo che non provavo questo tipo di “sentido” ed è avvenuto tutto senza che me ne accorgessi, come un bambino che trattiene il segreto di una relazione, per poi mostrarla quando è matura, come da una pianta maturano foglie e boccioli e poi fiori e frutti e infine semi.

Finalmente sono riuscita a leggere questo pezzo: bellissimo Andrea.!!!!

A quel grigiore ci si abitua non solo se si vive una condizione più difficile, ci si abitua perché la battaglia per la vita, per mantenere la vita viva è una battaglia difficile, che ti lascia molto solo/sola che costringe alla resa chi la affronta e si illude di affrontarla da solo.

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Insomma veramente tante volte mi chiedo se mi sono arresa o se sono qui proprio perché arresa, non mi sono!!!

è così, proprio così: quel sole appare inaspettato e dal grigiore nascono i colori, ancora e di nuovo a te come a me che da una distanza apparente di età (beh, questa non tanto apparente) e di condizione (più apparente che reale, questa sì) ci guardiamo non più attraverso un vetro, uno specchio, ma direttamente fianco a fianco in un gruppo bello e vario, bello perché vario, in un contesto che è stato un dono, una opportunità che abbiamo colto… un po’ per caso, ma anche no.

Ciao Andrea, grazie per parlare, ... ops! non tanto parlare, … per scrivere … … … … per molti.

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Il SOlE InAttESOdi Andrea Faggiana

Capita a tutti di vivere momenti nei quali si ha la sensazione di essere in una prigione.

Non sapendo neppure chi ha le chiavi di questa prigione.

Noi non le abbiamo.

è una prigione priva di luce, ma non nel senso normale della definizione; non è nera come la notte, ma più semplicemente è priva di colori. Tutto è grigio, privo di vitalità.

Ogni giorno scorre uguale al precedente, sappiamo che il domani sarà la ripetizione dell’oggi, dello ieri. Nulla cambierà. La prigione ha le pareti del colore della routine, dell’inerzia. Le cose non vanno come vorremmo che andassero. Tutto sembra cospirare affinché la luce rimanga bandita dalle nostre giornate. Non è un dramma, ma ci rendiamo conto che abbiamo bisogno di qualcosa. Abbiamo bisogno di qualcosa di più. Di cosa? Saperlo ci aiuterebbe a cercarlo. A trovarlo.

All’improvviso una persona amica ci propone un’idea, un progetto. Improvvisamente nella nostra prigione sentiamo la carezza di un soffio d’aria sul nostro volto. Una crepa nelle sue grigie pareti? Un’idea. Un progetto. Allora, attratti da quella promessa di libertà che proviene dalla misteriosa e invisibile incrinatura nei muri noi accettiamo di partecipare a quell’idea. A quel sogno. Sì, ad un sogno, perché nel grigiore della prigione tutto assume l’aspetto onirico di un miraggio.

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Posso uscire dalla prigione…L’idea di seguire un corso di scrittura, di fare qualcosa assieme agli altri. Di non gettare il nostro/mio passato alle ortiche della dimenticanza. Non disperdere ciò che sono.

Ho accettato di partecipare al progetto che Cristiano mi ha proposto quasi un anno fa e che Pino ha reso concreto con la sapienza di un alchimista che sa quali ingredienti mescolare per ottenere una straordinaria “pietra filosofale della vita”. Scrivere di me, scrivere per me, scrivere per gli altri. Leggere ed ascoltare. Soprattutto, per me, ascoltare. Ascoltare la voce degli altri, ascoltare i preziosi frammenti di vite che non conoscevo. Narrare di idee e fantasie, filastrocche e poesie, di trascorsi, di paure, di gioie. Narrare… ascoltare… ascoltare e narrare.

All’improvviso la carezza di quel soffio d’aria che ho sentito rinfrancare il mio spirito si è trasformata in un turbine. La prigione ha cominciato a tremare. I giorni non erano più così grigi. Ho iniziato a rivedere dei colori attorno a me. I colori della vita degli altri che si mischiavano al grigiore del periodo che stavo vivendo. Colori. Poi dallo scrivere siamo passati alla realizzazione di uno spettacolo. Una narrazione di noi stessi di fronte ad un pubblico. Di fronte a quest’idea, alla prospettiva di raccontarmi ad un pubblico più vasto ho avuto paura. Ma la paura non ha avuto il sopravvento sulla mia volontà giungere al termine di questo sogno. Quasi inconsapevolmente mi sono ritrovato su di un palco a leggere di me e dietro le quinte ad ascoltare incantato ed entusiasta gli altri.

Essere sul palco è stata un’esperienza elettrizzante, un’esperienza che non avrei mai creduto di vivere.

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Un’esperienza che è stata possibile solo grazie alle eccezionali persone con le quali io ho percorso questo straordinario cammino. Queste persone hanno un nome: Maria Teresa, Claudia, Teresa, Virginia, Antonella, Diego, Maria, Gigliola, Antonella, Andrea, Alessandra, Alessandro, Antonella e Marco, Paola, Pierpaolo, Maria, Silvia, Kassandra, Cristiano e Pino.

La prigione non esiste quasi più. Ormai è rimasto poco delle sue grigie mura, essa tenta sempre di ricostruirsi ma per quanti sforzi possa fare, per imprigionarmi nuovamente, essa fallirà. Ormai una fenditura ci sarà sempre nelle sue pareti. Fallirà perché in modo inatteso, sorprendente e straordinario il sole ha riempito nuovamente di colori la mia vita.

Il sole ha tanti nomi, essi sono quelli che voi avete letto poc’anzi.

I nomi di persone che non dimenticherò.

Mai.

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AllE 15 SUllA 12di Alessandra Perlitz

è martedì. Siamo sul piazzale, guardiamo un po’ più avanti di noi. Siamo in tre: Andrea, io e la carrozzina.

L’attenzione, per questo, è massima. Per Andrea, incaricato di tenere d’occhio l’arrivo dell’autobus e di non farcelo scappare sotto il naso; per me, nello sforzo tutto fisico di manovrare la sedia sull’impervio selciato tutto buche e marciapiedi.

Dobbiamo prendere il numero 12, anzi “la 12”, perché qui a Trieste anche l’appuntamento con il mezzo di trasporto è quasi carnale. Quando finalmente sali, ti impossessi della tua linea come chi aspetta il proprio amato per ore e alla fine lo fa suo.

Arriverà non solo una scatola di ferro su quattro ruote ma, speriamo anche il nostro autista preferito: Silvio. La scatola e l’uomo sembrano nati insieme. Piccoli e compatti, chilometri carburati sulla strada e nella vita, vanno dritti allo scopo: accompagnare variegata umanità su per la ripida strada che conduce a Borgo San Pelagio dove, in tempi recenti hanno costruito alcune palazzine di edilizia popolare e poi giù lungo i tornanti del parco di san Giovanni. Qui ci aspettano Pino e soci per l’attesa lezione di “Scritture” del martedì.

“Alora, te son pronto?” - esclama Silvio sporgendosi dal finestrino e rivolgendosi ad Andrea mentre fa il curvone finale prima di accostarsi al marciapiede. Ha un’espressione buffa e divertita e sorride con gli occhi. Uno semicoperto dal frangione rosso, l’altro gli serve per guidare.

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è incredibile vedere come questo giovane uomo sia riuscito a diventare un emblema di questo posto.

Tutti lo conoscono e Andrea ed io non siamo i soli ad aspettarlo in trepidante attesa. Lui, come il pifferaio della nota favola, arriva festoso, neanche il suo turno di servizio non dovesse mai finire, ma è sempre là, a caricare la squinternata compagnia che provvisoriamente si forma.. A parte qualche compunto dottorino con l’i-Phone che deve raggiungere il comprensorio di san Giovanni, ad accalcarsi nell’esiguo abitacolo non ci sono che signore anziane col bastone e la sporta della spesa che tornano a casa, ragazzini chiassosi ed imprevedibili in libera uscita ormai in zona coprifuoco, mesti tossici in trattamento che vanno al Centro Dipendenze per la terapia giornaliera. Oppure improvvidi frequentatori del salotto intellettuale del Distretto 4 pronti solo a far caciara quali siamo noi.

Silvio il Rosso ha in serbo una parola gentile per chiunque, delle piccole attenzioni che per qualcuno fanno la differenza. “Ocio el scalin, Maria!” - indica premuroso. “Speta che sbaso l’autobus cussì carighemo l’omo” - e fa salire Andrea.Con i “muleti” del quartiere è una specie di padre putativo. Apparentemente incurante, sorveglia sornione, pronto ad intervenire in caso di necessità. “Sta bon, ara che so tuto!”.

Lo osservo dallo specchietto interno del bus e sento che gli sono grata. Non solo per l’aiuto che ricevo ma anche per come riesce ad alleggerire un pezzetto di giornata di molte solitudini. Mi confida, avvicinando le labbra al vetro della sua postazione: “Nisun vol far ‘sta trata perché i sa za coss’ che ghe speta. Solo che casini!”.

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A volte non parla, come quando fa salire il grassissimo ragazzone cinquantenne, disabile psichico, presenza fissa del viaggio di ritorno e in trasferta per il gelato. Noto, tuttavia, come ci sia un composto riguardo che si adagi completamente sul sedile con il suo corpaccione. Un piede sul freno, le ruote decelerano, l’indice pigia il pulsante che apre e richiude le porte. Lento muove il volante con la mano destra e con la sinistra scosta indietro il frangione. Ripartiamo.“Ocio che rivo e ve compagno!”, mi par di sentire.

Va bene, Silvio, alla prossima. Sì, puntuali come sempre, di martedì alle 15 a prendere la ormai anche “nostra” numero 12.

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lEllA, MAMMA DI AnDREA PISAnOdi Lella

Quando ho letto sul Piccolo di questa iniziativa ho pensato subito ad Andrea, ero quasi sicura che l’idea gli sarebbe piaciuta. A casa gliel’avevo esposta quello stesso giorno. Infatti lui ne fu entusiasta. Dopo un paio di incontri scrisse una storiellina molto tenera e delicata: sotto un tono apparentemente scherzoso che dava allo scritto un aspetto divertente si nascondeva una realtà autobiografica: la sua dolce storia con Alessandra.

Poiché né l’uno né l’altra si possono definire triestini patochi, mi fu richiesto un aiuto nel tradurre in dialetto triestino il racconto. E’ stato così che, se pur dietro le quinte, sono stata risucchiata nel piacere della partecipazione all’iniziativa.

Dopo la traduzione e le prove di lettura nel salotto di casa, mi venne l’idea di rendere la storia più vivace mettendoci alcuni dialoghi che la movimentassero. Un’idea vincente. Andrea è un mimo formidabile e adora stare sulla scena, Alessandra è un’attrice nata, con una bella voce chiara e possente.

Mentre quasi ogni giorno si susseguivano le prove “domestiche” e ritrovavo la mia passione per l’organizzazione e la regia, si sviluppavano limature e abbellimenti. Jan, l’assistente di Andrea, che in realtà è un grafico, preparava due scenari molto azzeccati: l’autobus n. 16 e il motorino; io cucivo il velo da sposa, un cugino offriva la tuba, la casa era un fermento di prove. Sul nostro stesso

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pianerottolo inoltre, c’è la Scuola di musica, così abbiamo coinvolto anche Matteo, che la dirige. Mi sono proprio divertita. Durante la rappresentazione poi, non riuscivo a stare fra il pubblico, non riuscivo a stare ferma.

Ecco qui come ho fatto parte, e con entusiasmo, di un pezzetto di “Scritture mal-educate”, dove mi si sono rivelate tante persone amabili, spontanee, piene di entusiasmo e di capacità ed ho avvertito empatia. Sono felice che mio figlio e Alessandra frequentino queste persone.

Vorrei aggiungere che, pur se è vero che ho lavorato piuttosto dietro le quinte, un paio di volte mi sono anche fatta vedere ma, malgrado quello che ho detto sopra, mi sentivo, come sempre, un poco un pesce fuor d’acqua perché ora sono un po’ “orso”. Questa però, come si suol dire, sarebbe un’altra storia, la mia.

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PRIGIOnERA DI ME StESSAdi Maria Fuchs

Dedicato ai miei genitori, per avermi dato, sempre, tantissima, forza.

L’immaginazione non va usata per evadere della realtà ma per crearla!!!Non bisogna opporre resistenza, ne fuggire dal problema, ma entrare in esso!

Passeggiavo tra sconfinate prospettive, sconfinati mari e sconfinati monti.Le bandiere in piazza grande, a Trieste, sventolavano sopra la prefettura circondata dalle mille luci di una piazza invernale in festa.Sono solo i riflessi colorati di una quotidianità di passaggio, passi normali di una ragazza versatile, sempre in giro.Eclettica, lavoravo in mille attività; il lavoro fisso, oggi, è un’utopia!Recitavo in teatro, specialmente presso il “Teatro Lirico di Trieste” e in vari film. Ero sondaggista per una famosa società specializzata in sondaggi. Facevo la PR per importanti manifestazioni e l’organizzatrice di vari eventi. Oltre, naturalmente, a essere una giornalista per varie testate e scrittrice cosa che, grazie alla tecnologia, posso continuare tuttora a fare usando un emulatore del mouse e una tastiera a video.Il mio evento più amato era il “DOG’S FESTIVAL” perché nato per caso. Volevo solamente presentare in società e ai miei amici, sempre importantissimi, la mia amata chihuahua. L’avevo chiamata Telele, che nella lingua messicana luogo della sua origine, significa simpatica.

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Poi, al “DOG’S FESTIVAL”, sono intervenute importanti associazioni animaliste che hanno saputo dare molto prestigio e hanno aiutato a realizzare varie sfilate e molte esibizioni canine (dancing dog, agilità e tante altre….); il tutto, presso l’Arco di Riccardo, antico testimone di eventi tra le case variopinte.Mi piace essere sempre elegante, sexy e alla moda, indossare abiti aderenti, specialmente in quegli anni, perché stavo con Emanuele (nome, ovviamente, inventato).Quando, causa il suo lavoro, passavo una giornata senza vederlo, per me era una giornata completamente inutile, un giorno da cancellare dal calendario. è incredibile come le cose normali diventino importantissime quando non le abbiamo.Per passare più tempo con lui avevo comprato, con i miei risparmi, un SAX, strumento che lui suonava da anni. Era una fortuna che avessimo le stesse passioni e gli stessi gusti.Amavamo leggere i libri di poesia. MUTIS e LONGO tra gli autori preferiti. Per quanto riguarda la narrativa, amavamo moltissimo i libri scritti da YOSHIMOTO e da ALLENDE; era bello leggere stando abbracciarti davanti al caminetto.Emanuele era un buon amico e un bell’amante; moro, alto, spiritoso. Amavamo le stesse cose. Mi piaceva perdermi dentro il suo sguardo. Mi guardava con quei suoi occhi verdemare.Quei suoi occhi grandi e profondi erano per me un oceano di sentimenti caldi e avvolgenti.Quando lui mi abbracciava, mi sentivo onorata. Ero inebriata dal profumo dei suoi capelli. Dal calore del suo corpo.

Ero una ragazza allegra, felice. Correvo con i miei due piccoli cani a perdifiato nei prati inseguita solo dalla mia ombra, che a volte, mi superava

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complice il sole che veniva lasciato alle mie spalle.

Un brutto giorno, il 1 ottobre 2009, a seguito di un malessere rimasi immobile in un letto.Durante la corsa in ospedale avrei voluto sentire il medico dire all’infermiere: “La ragazza Maria ha un’ischemia cerebrale causata dal dispiacere di essere stata lasciata dal suo ragazzo, perciò, lei è in un momento fisicamente e psicologicamente molto difficile; tu sai quanto il nostro fisico dipenda dalla nostra psiche… ”Giunta in ospedale io fui subito sedata per essere operata al cervello. Mi avevano fatto anche la “tracheo” per darmi modo di respirare meglio. Gli inquietanti e opprimenti tubi appesi al soffitto mi hanno accompagnata a subire la prima delle tre operazioni che ho patito.

Sembra impossibile come la vita possa cambiare radicalmente, da un momento all’altro.

In quei lunghi giorni, il mio unico passatempo era vedere scendere, goccia dopo goccia, la mia flebo e ascoltare il suono dell’allarme una volta terminata. Mi dava fastidio anche il tintinnio della forchetta sul piatto della mia compagna di stanza, che poteva mangiare normalmente. Io non potevo, avevo la flebo per nutrirmi.E mi davano fastidio anche i rumori che faceva la donna delle pulizie; soffrivo di mal di testa a sentire i discorsi dei miei vicini di camera.

Sognavo di essere morta.Sognavo il mio funerale. Suonavano una bella canzone. A suonare era la banda di cui facevo parte.

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Due righe sul giornale locale.Il dolore di amici e genitori.Il mio brutto sogno sembrava proprio essere la realtà e la mia realtà sembrava un incubo. Mi sentivo impotente, proprio come una bambola rotta; inutile, abbandonata in un cassetto nel mercato dei ricordi mai avverati, ma solo immaginati.E mi chiedevo: “Come posso aver fiducia in me stessa se neppure il mio corpo mi ubbidisce?”Nella mia camera, nella struttura di riabilitazione dove mi trasferirono dopo due mesi di ricovero all’ospedale di Cattinara a Trieste, c’erano un coniglio bianco e un piccolo cane di peluche che mi guardavano con occhi fissi; la foto dei miei cani. Unici punti di riferimento di una realtà quotidiana.Proprio in quei giorni e in questa situazione, mi sono resa conto che tutto era maledettamente vero e non un incubo, come pensavo...Mi dispiaceva, specialmente per i miei genitori; loro meritavano da me solamente soddisfazioni, non problemi.In quel periodo provavo molta, inutile, invidia per gli amici, i parenti, le OSS, gli infermieri e i medici.Perché loro non soffrivano cosi?Perché loro potevano parlare ed io no?Perché loro potevano camminare ed io no?Perché loro potevano stropicciarsi gli occhi ed io no?Perché loro potevano accavallare le gambe ed io no?Spesso ero attanagliata da tremendi crampi alle gambe che, data la mia immobilità, non passavano. Allora, ho deciso di piangere per richiamare l’attenzione dell’infermiera che, con un tocco magico, mi ha fatto stare subito meglio. A volte, quando avevo sete, l’infermiera mi dava dell’acqua o attraverso la PEG o con una garza bagnata, poi, silenziosamente, usciva dalla mia stanza.Non deve essere facile per gli infermieri, rapportarsi con

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gli ammalati, che sono nervosi per le situazioni che stanno vivendo. In questi momenti tutto è amplificato; un sorriso, una battuta, un regalo così come una malagrazia.Come infermiera, in questo luogo di riabilitazione a Udine, lavorava anche la mamma di una mia ex collega comparsa al teatro lirico della mia città. Certo che il mondo è proprio piccolo!E’ strano anche il fatto che io sia divenuta molto più sensibile. Lo sono sempre stata ma ora ancor di più.Sembra incredibile come un evento improvviso possa cambiare la tua vita, e come di conseguenza il tuo carattere magicamente si adatti alla condizione in cui devi vivere.Non stavo mai ferma, ora sono immobilizzata.Viaggiavo molto, ora sono sempre a letto.Lavoravo tantissimo, ora mi annoio.Mi vestivo e mi truccavo da sola, ora devo farmi aiutare sempre da estranei.Dovevo farmi aiutare dalla mattina alla sera, fra OSS, fisioterapisti ed infermieri. S’iniziava alle ore 9 con un accurato lavaggio, poi la vestizione. Le OSS più gentili mi truccavano e mi mettevano gli orecchini regalatimi dai miei genitori.è proprio tristemente buffo il fatto di essere paralizzata.Io, nella mia vita, ho sempre pensato che la mente è padrona del proprio corpo. Che quando stavi poco bene significava che avevi bisogno di riposo o di maggiore attenzione. Al contrario, ora potrei fare una classifica dei vari dolori che ho, e mi sono resa conto che il corpo è più forte della mente.Nel frattempo infinite lacrime scivolavano sulle mie guance, come pioggia improvvisa. Avevo nostalgia di un passato che non tornerà, neppure simile, mai più. E avevo una struggente nostalgia dei piccoli gesti quotidiani come: fare la colazione, il sapore del latte, fare la spesa, il contatto con gli oggetti, parlare con gli amici, esprimere i propri pensieri.

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Grazie alla collaborazione e la complicità con la mia logopedista, ho trovato il coraggio di esprimere le mie opinioni e di esternare le mie emozioni attraverso l’utilizzo del computer e di una tabella trasparente (Etran). Tutti hanno iniziato a comprendermi perché potevo in qualche modo parlare, riuscivo a comunicare. Anche con la mia fisioterapista si è creato un rapporto speciale, quasi di simbiosi. Il fatto che conoscesse sapientemente il mio corpo mi dava una sensazione di estrema fiducia. Ora che devo aver massima fiducia nel prossimo, sia per mangiare sia per lavarmi, per vestirmi, per muovermi... già, “muovermi” con la sedia a rotelle, mia croce e delizia. Croce perché mi fa ricordare che non posso più camminare, delizia perché mi permette di spostarmi.

Sono diventata un confessore. Infatti i miei amici, gli operatori socio sanitari, i medici, le infermiere, le fisioterapiste, le logopediste, tutti si confidano con me, complice il fatto, che non posso parlare immediatamente e quindi rispondere o giudicare. Mi fa sentire utile alla società.Un bel giorno entrò nella mia stanza un medico, giocherellava con il suo stetoscopio; mi disse: “Immagino quanto sia frustante non poter parlare; ma ora tu puoi comunicare col PC e con la tabella “Etran”, tuttavia manca l’immediatezza che abbiamo dialogando”.Il medico proseguì cambiando discorso: “Tra una settimana vado in vacanza al mare! Già, al mare dalle mille luci come un brillante. Sai, andrò cinque giorni a Marina di Grosseto, cittadina della Maremma Toscana, e cinque giorni a Parigi”Marina di Grosseto e i suoi dintorni sono luoghi a me famigliari avendovi passato buona parte della mia infanzia e dove ogni suo filo d’erba ha la sua storia. Parigi, invece, non la conosco, ma la immagino con grandi strade costeggiate da palazzi in stile liberty.

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Il medico continuò a raccontare: “Un giorno andai in barca in Dalmazia. Il tempo era brutto, lo scirocco stava girando in Bora, 35 nodi di vento, difficile governare la barca. Ci fermammo nella prima insenatura che trovammo. Ormeggiare in quelle condizioni era difficilissimo allora svegliamo un povero vecchio pescatore che doveva aver passato una nottataccia e probabilmente si era appena appisolato. Lui ci aiutò a ormeggiare. Il mio amico ed io allora in segno di gratitudine gli demmo una stecca di sigarette. Lui ci guardò con profonda sorpresa e ci disse: “ Mirno vam more!” cioè letteralmente... “che il mare vi sia calmo”, insomma ci augurò un mare propizio. E così poi fu. La stessa cosa io auguro a te Maria, dal profondo del cuore: “Mirno ti more”, che il mare della vita ti sia propizio!”Il medico continuava a confidarsi: “molti sono inconsapevoli di quanto sono fortunati. Ora tu sei come un fiore, che deve sbocciare. La tua malattia favorisce e da più forza alle tue emozioni, per questo piangi o ridi con estrema facilità. Oltre, naturalmente, al fatto, che non potendo parlare, esprimi piangendo o ridendo il tuo stato d’animo; in fondo tu l’hai presa molto bene.”

Dentro il mio cuore io pensavo tutt’altro:Se ora stessi bene, farei delle passeggiate.Se stessi bene, guiderei la mia macchina.Se stessi bene, farei bella la mia casa.Se stessi bene, viaggerei.Se stessi bene, entrerei nei negozi che più m’interessano.Se stessi bene, mi truccherei.Se stessi bene, farei mille cose.Vorrei toccare il mio corpo.Vorrei accarezzare la mia pelle.Vorrei sfiorare i miei capelli ma non posso. Sono prigioniera di me stessa, non riesco a muovermi.è quasi buffo, drammaticamente buffo, essere bloccati da

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se stessi, non riuscire a fare neanche le cose più comuni.In futuro certamente non posso sapere come sarà, so che il presente è fatto solo di dolore fisico e psicologico.Ora non mi resta che dormire e sognare del bel passato, di quando stavo bene, di quando camminavo, parlavo, muovevo mani e braccia.Mi sento come un fantoccio senza colonna vertebrale né ossa. Sono vuota dentro, mi sembra di non avere il filo di ferro capace di tenermi dritta. Il mio corpo oscilla e non sa restare seduto e in piedi.Di buono qualcosa c’è, è migliorata la mia memoria; sarà forse perché, ho meno cose da pensare!!! Alterno a momenti di pessimismo estremo a momenti di estremo ottimismo.Quando sono ottimista e mi sento superiore, ho nostalgia del passato sapendo che il futuro sarà diverso, ma forse, lo stesso bello. Voglio riprendere a lavorare, a scrivere innumerevoli LIBRI, scrivere vari ARTICOLI, realizzare molte interviste... penso al mio futuro che sarà, sicuramente, diverso ma probabilmente lo stesso bello… per cominciare vivrò in una casa “domotica”.

Abiterò in una casa “domotica” messami a disposizione per alcuni mesi dal Comune e dall’Ater di Trieste. Una vera e propria palestra, per ritornare alla mia vita. L’appartamento è interamente creato con tecnologie moderne e arredi tecnici nell’ambito del progetto “PRESTO CASA” un abitare possibile, grazie al miglioramento dell’accessibilità, fruibilità degli ambienti e ottimizzazione degli spazi.Le porte e le finestre si aprono semplicemente premendo un bottone, la tapparella della finestra della mia stanza da letto si chiude automaticamente non appena il tempo metereologico peggiora. Il tavolo della cucina è anatomico come, molti altri mobili, e le luci automatiche. Sembra che la casa sia abitata da maggiordomi invisibili!

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Gli ambienti di vita diventano magicamente attivi e le particolari soluzioni offrono un grado accettabile di autonomia alle persone che hanno, come me, grosse difficoltà fisiche. Ed è proprio in questa situazione che ho anche scoperto quanto può essere utile la tecnologia.Ora io esco da casa almeno una volta la settimana. Amo andare in città, entrare in vari negozi! In queste uscite, vivo in prima persona il tanto chiacchierato, parlato problema delle barriere architettoniche. Basta uno scalino per impedirmi di accedere dove voglio! A mio avviso tutti i negozi dovrebbero avere una pedana, da utilizzare all’occorrenza, per permettere l’accesso a chi è costretto a utilizzare una sedia a rotelle. E’ ingiusto e umiliante non poter entrare dove vogliamo a causa di uno o due gradini.Quello che mi è successo ha cambiato sicuramente il mio modo di vivere. Poter rivedere i luoghi che frequentavo prima della malattia, poter risentire i suoni che udivo di certo non mi farà tornare com’ero, ma renderanno migliore il mio modo di vivere ora, la mia qualità della vita!Ho provato la carrozzina elettronica. E’ una figata! Ti permette di fare mille cose, ti dà libertà e una ritrovata indipendenza! In futuro avrò una centralina a infrarosso e potrò regolare, autonomamente, la televisione, che per me è molto importante.Alla mia attuale carrozzina, sarà installato un “tablet” capace di parlare così potrò di nuovo comunicare quando voglio, indipendentemente dalla stanza nella quale mi troverò (anche, se sarò fuori di casa), in modo rapido. Inoltre, mi darà la possibilità di poter continuare a fare il mio lavoro principale, cioè la Giornalista\scrittrice e anche a fare le mie adorate interviste tramite l’email. E’ veramente decisivo l’apporto fornito, oggi come oggi, dalle tecnologie avanzate.

In seguito a tutto quello che ho passato, il mio carattere è cambiato.

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Molte delle mie abitudini sono state modificate.Prima dormivo senza guanciale o con quello basso, per i bimbi, che è bassissimo; ora dormo con due cuscini.Potrei fare altri mille esempi.

Suona veramente buffo ma mi ha aiutato molto il fatto di pensare di non essere in una situazione d’inferiorità ma di essere superiore a tutto ciò che mi accade.Immagino di essere una regina, o una personalità di spicco.La regina che è accompagnata su di una portantina... in realtà, una sedia a rotelle.Come Regina ho la mia segretaria personale, perché non riesco a firmare... in realtà una “Amministratrice di sostegno”.Le mie “stiliste regali”... sono in le O.S.S. (Operatrici Socio Sanitarie) che mi lavano e mi vestono ogni mattina; sono loro, che assecondando la mia volontà, a scegliere che look avrò e se indosserò un completo elegante o sobrio.

Credo che siano verissime le parole che ha pronunciato Papa Francesco: “Quando tocchi un ammalato è come se toccassi Gesù!”.Le persone più belle che, se abbiamo fortuna, incontriamo sono quelle che hanno conosciuto la sconfitta, la sofferenza, lo sforzo, la perdita e che hanno trovato la loro via per uscire dal buio. Molti dicono che queste persone hanno una stima, una sensibilità e una comprensione della vita che le riempie di passione, gentilezza e di un profondo amore. Le persone belle non capitano per caso…Sono molto riconoscente e grata a tutti coloro i quali mi hanno aiutato. Grazie alle varie forze messe in campo e alle varie risorse attivate, ora ho molta più voglia di fare gli esercizi di logopedia o di fisioterapia, e un estremo entusiasmo di riprendere in mano le redini della mia propria vita sotto

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un’ottica nuova!Nulla deve essere scontato!Ogni piccolo grande gesto diventa una conquista da festeggiare.

Alla fine di questa storia mi rendo perfettamente conto che l’essere umano è estremamente adattabile. Oggi la mia situazione mi sembra del tutto normale e le persone che possono parlare, camminare e gesticolare sono ai miei occhi le “diverse”.

E’ proprio vero che bisogna aver vissuto la tristezza per poter apprezzare la felicità.Ci vuole il rumore per apprezzare il silenzio.Ci vuole l’assenza, per apprezzare la presenza di una persona cara.

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VIEnI VIA cOn MEdi Gigliola Bagatin

Un lutto da elaborare. Non respiro. Tachicardia. Aiuto. A chi posso chiedere aiuto. A un amico, solo a un amico. Così chiamo Pino. Pino Roveredo, scrittore, Premio Campiello, libri a go-go di successo, ma per me è un amico, un fratello. Gli spiego il problema e immediatamente mi dice: “Vieni con me. Sto seguendo dei ragazzi portatori di handicap con lo psicologo Cristiano Stea. Te lo presento, accompagnami”.

Il giorno dopo sono lì, al Distretto 4 di San Giovanni. Parlo con Stea. Due minuti, mi piace, ho fiducia e già questo è strano. Ho un rapporto conflittuale con gli psicologi. Pino e Cristiano mi invitano a rimanere al corso di scrittura per i ragazzi. Mi butto sempre, senza paracadute, nei progetti di Pino. In genere a scatola chiusa, non so mai nulla di quello che succederà. E mi fermo. Quanti ragazzi e meno ragazzi nella sala. Con gli occhi curiosi e la parola fluida. Si leggono i primi scritti. Poetici, dolorosi, anche polemici. Mi colpiscono la miriade di idee, la voglia di confutare una società non pronta ad accogliere chi è in carrozzella, la voglia di parlare, di trovare soluzioni. Sono anni che lavoro nel sociale. In genere all’inizio regna un silenzio imbarazzante. Un rispetto che confina con il timore di esprimere un’opinione. Invece il coraggio che ne viene fuori è a dir poco insolito. Quasi tutti desiderano esprimere i propri stati d’animo, raccontare le loro infinite battaglie, urlare le ingiustizie con la forza dell’ironia. Mi siedo vicino a Maria. Una ragazza bella e dolce. Seduta su una carrozzella scrive con gli occhi su un computer collegato agli occhiali. Non parla, non si muove, ma la sento. Mi parla con l’anima e con lo sguardo. Sono conquistata. Dimentico il mio problema. E martedì dopo martedì la mia presenza è

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fissa. Emozioni forti, infatuazioni intellettuali che cerco di controllare, ma non ce la faccio.

In pochi mesi si è realizzata una rappresentazione teatrale, un libro e una passeggiata indimenticabile tutti in carrozzella. Ma non è solo quello che è stato realizzato che per me conta. Abbracci, sguardi, sensazioni, ricordi. Non ho più preso un appuntamento con lo psicologo. Non ne ho avuto bisogno. La terapia mi è stata donata da anime, autentiche. Vorrei descrivere uno ad uno tutti gli amici che si sono seduti con me nello scompartimento di questo treno, in un viaggio durato un anno. Dal finestrino si sono visti paesaggi luminosi e notti meno illuminate, deserti di solitudine e catene montuose difficili da scalare.

Un viaggio nel tempo. Ritorno adolescente e questa è la mia classe, i miei compagni di banco. C’è chi mi suggerisce la lezione con sguardo complice, chi alza la mano per dire la sua. Sbircio sul computer di Maria per cercare una suggestione. Mancano i professori. Non ci sono ruoli. Pino potrebbe rappresentare il demiurgo, ma lui è uno di noi, con la semplicità dei grandi uomini. Cristiano tenta di mettersi sempre nell’ultimo banco e con il suo sorriso e la vivacità dei suoi occhi diventa il leader di noi “studenti”. La gita scolastica è d’obbligo, e allora via, tutti in carrozzella per la città sotto gli occhi dei passanti divertiti, Sì, divertiti, perché c’è gioia, anche se per salire su un marciapiede si rischia di capottare la carrozzella.

Non vedo l’ora di rientrare dalle vacanze e ritrovare il mio banco.

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Da “FUORI cOntROllO” a… “FUORI PERcORSO”di Maria Fuchs

Siamo a fine primavera.

Organizziamo, insieme ai miei amici in carrozzina, una “passeggiata” in centro, da piazza Unità a Piazza Ve-nezia passando per Cavana e quindi ritorno per le “Rive”.Percorriamo il lato destro, affiancando i palazzi, nes-suno vuole finire in acqua poiché la pavimentazione a mare delle “Rive” è dissesta-ta, quindi sarebbe sin trop-po facile ritrovarsi in mare!

Anche chi non è disabile, grazie alle carrozzine messe a disposizione dal Distretto 4, può partecipare alla NOSTRA “passeggiata” e provare, in prima persona come si ci muo-ve in carrozzina. Il clima è allegro, si ride, anche se una car-rozzina ha difficoltà a salire un marciapiede in via Torino. In realtà un gradino può essere un dramma e ricordo che siamo in pieno centro città, zona pedonale e di recente ri-strutturazione.

Proporrei, per il prossimo anno, di andare da Piazza Gol-doni a Piazza Unità; ci sarà da ridere per non piangere! Interessantissimo sarebbe tentar di andare dall’Ospedale Maggiore al Viale XX settembre, ma… è una “mission im-possible”.

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AlessandraPerlitzIl mio nome è Alessandra ma, va-riando le condizioni, i luoghi e le persone, è (è stato e sarà sempre) anche Ale, Alex, Axel, Sandra, San-drina e Titti (la mamma). Appartengo al genere femminile ma mi piacerebbe essere un gatto per farmi coccolare ed a volte poter graffiare.. Ho superato i 40 anni ma a volte potrei averne 5 o 60, dipende dallo stato d’animo, ma comunque sono sempre stupenda.Vivo nella mia città ma mi adatto bene altrove.Paura e coraggio in me si confon-dono, però non posso sfuggire a me stessa e la vita mi chiama.Dovevo solo accompagnare il mio amico Andrea a un incontro ed in-vece mi sono ritrovata in una selva oscura popolata da varie creature fantastiche, da incubo o incredibili che mi hanno aperto la porta di un mondo a me sconosciuto, e senza poter decidere mi sono ritrovata su un palco a recitare.

E questo mi ha fatto molto felice.In questo gruppo vi è uno strano tipo ruotato (munito di ausili con ruote sedia a rotelle) che non sta mai zitto e mi fa ogni volta arrabbiare perché dimentica o storpia il mio nome, ma con calma e pazienza metterò in riga pure lui, oppure dovrò trasfor-marmi in gatto e graffiarlo.Spero che tutto questo continui per-ché ha creato un momento irripeti-bile nella mia vita.

Antonella VentoUna ragazza, 23 anni allo specchio, mi guardo, sono bella ben fatta e sulle punte so star, ho un compagno meraviglioso, una figlia bellissima, un lavoro, tanti amici. Mi piace molto scrivere favole per bambini, ho vari tatuaggi ed infine una malattia che mi accompagna e non mi abbandona mai, in poche parole non mi faccio mancare nulla.

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Alessandrode comelli“MI BASTAN POCHE BRICIOLE, LO STRETTO INDISPENSABILE …” eccomi, a prima vista assomiglio all’orso BALOO del libro della giungla, solamente che io ho le ruote.Non offritemi pasticcini, ho la capacità e la velocità di mangiarne a decine.Sono abbastanza silenzioso, attento, ma non troppo, a volte parto con le mie battute crude, freddure puntuali senza maschere e ipocrisie. Se mi annoio mi autospengo e mi concedo un pisolinoSono sempre allegro senza disturba-re, indosso dei guanti da pilota, per avere sempre un ottima presa e fare dei veloci scatti con la mia sedia. Pigro come una ricca matrona alle insistenze del gruppo di scrivere qual-cosa rispondo seraficamente. “Sì, certo, la prossima volta”. è quasi un anno che tutti aspettano un mio scritto, ma non c’è fretta nessuno mi corre dietro e se mi inseguono gra-zie ai miei guanti “delle sette leghe” sono più veloce.

AndreaFaggiana(Robocop)

Eccomi, mi presento: folta capiglia-tura, sempre sorridente ed allegro, anche se la natura costantemente mi attacca io mi difendo; un mio amico mi dice sempre che nel mio corpo ci sono così tante viti e placche che con una chiave inglese mi può smontare e rimontare con facilità. Non supe-rerei il metaldetector… sono come robocop, non fatemi arrabbiare.Mi piace molto scrivere e riportare sulla carta tutte le mie sensazioni ed esperienze.Classe V E… ehm, no… classe 1970… ragioniere, quando la na-tura me lo consente costruttore per passione di modellini in scala; ho su-perato il punto di non ritorno dei 40, quindi mi toccherà diventare serio.

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Andrea Pisano Mi chiamo Andrea, a 15 anni ho avu-to un brutto incidente e sono rimasto in coma per 4 mesi. Ma l’aiuto del Buon Dio e la mia vo-glia di vivere mi hanno fatto rialzare presto. Gli amici mi chiamano il prestigiato-re perché sono sempre che gesticolo con le mani e non le tengo mai ferme, tocco tutto e tutti.Ho una folta capigliatura sempre arruffata che sembra che mi pettini con i petardi.Parlo lentamente ma con costanza e se comincio un discorso non lo mollo e devo finirlo altrimenti mi arrabbio.Le mie passioni sono: il nuoto (ho vinto il premio “Spitz” alle clanfe di quest’anno), il ballo e recitare. In ottobre si è avverato un mio gran-de sogno ho abbracciato Papa Fran-cesco. Attualmente frequento il centro diur-no dell’AISM, ho una ragazza e vivo con mia madre.

Antonella De MartinoGiovane ma pensionata.Malata di sclerosi multipla da molti anni, ma ogni anno con costanza festeggio il giorno che mi hanno dia-gnosticato la malattia.Mi muovo su una stupenda carroz-zina color rosso Ferrari, sono un’ot-tima babysitter per le mie adorate nipotine.Non volevo scrivere nulla, perché credevo di non esserne capace, ma un mio compagno di malattia, testa di legno (ndr Pierpaolo Russian), ha tanto insistito e mi ha fatto portare su carta le mie esperienze ed ora sta a voi giudicare.

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Antonella e Marco Spugna e Spazzolino attori in Teatro. Mamma Antonella detta “Gran Sorri-so” e papà Marco detto “Manolesta”.Futuri marito e moglie.In un quotidiano meraviglioso con un giardino dove i nostri bimbi giocano, ridono e si sporcano di erba e terra.Il sorriso è aperto e gratuito per tutti.Liberi di scoprire il mondo e come Spugna e Spazzolino spesso rag-giungiamo il mare mano nella mano.Ogni tanto ci svegliamo dal torpore che ci avvolge e ritorniamo nella re-altà per cercare di cambiare il mondo a nostra immagine.Per ora non ci siamo riusciti, ma non ci arrendiamo!

Maria FuchsMaria del Rosario Fuchs, classe 1972, nata e vivo a Trieste, gior-nalista pubblicista, ho frequentato l’accademia d’arte moderna e ho recitato in teatro e film, sono orga-nizzatrice di eventi.Il primo ottobre 2009, sono stata colpita da un ictus, che mi ha im-mobilizzata e resa muta.Ho sempre al mio fianco la mia accompagnatrice, come un fido scudiero, che parla anche per me e per tanti altri.Mi muovo su una specie di carro armato (carrozzina a motore) che comando con il movimento della testa, parlo utilizzando un compu-ter che si esprime con una voce metallica; mi fa sembrare uno dei personaggi di “GUERRE STELLA-RI”, nonostante tutto ho sempre un sorriso per tutti. Scoprirete di più leggendo “PRIGIONIERA DI ME STESSA”. Buona lettura!

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cristiano SteaMi piacciono talmente tante cose che non posso elencarvele proprio tutte, ma se devo farvi un piccolo riassunto potrei dirvi che mi piace suonare la mia chitarra. Più di tutto mi piace mia figlia. Non mi piac-ciono altrettante cose, ma essen-do anche questa una lunga lista la riassumo in non mi piace il “no se pol” e nemmeno la trippa! Porto il 43 e quando giocavo a pallone il mio numero preferito era l’8 ma mi davano sempre il 2! Anche a Natale quando giocavo a tombola i numeri non erano mai dalla mia parte.. se avevo il 6 usciva il 5 o il 7.. Forse per questo motivo inconscio non mi iscrissi a fisica o statistica all’università!

Scherzi a parte di mestiere faccio lo psicoterapeuta, e non è capitato per caso, me lo sono scelto, faccio quel che faccio perché era quello che volevo fare [a parte l’attore ;) ]

Diego Menegon (Occhio di lince per gli amici)

Sono un tipo particolare. Amo la musica e tutto ciò che le ruota attorno. Mi piace comporre canzoni, suonarle, cantarle… e mi definisco un “musicisto”. Sono l’autore, interprete e regista di “Casa Stipancich”, parodia di una famiglia tipo triestina. La mia più grande soddisfazione è creare nell’ambito artistico in ge-nerale. Mi fido ciecamente di tutti e mi basta un’occhiata per capire chi mi sta davanti, anche se una talpa vede meglio di me. Spesso non vedo l’ora e così ho deciso di prendere un orologio con numeri più grandi. Non guido, per vostra fortuna. Non ho peli sulla lingua, ma nem-meno in testa. Sono abbastanza malfermo sulle gambe, “barcollo ma non mollo!” Quindi, sempre avanti fino alla pri-ma curva!

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Maria negliaMaria Neglia vive a Trieste. Lavora nel reparto di Medicina Riabilitati-va da tanti anni che nemmeno lei riesce più a contare. Fonti ben in-formate le dicono però che non è arrivato ancora il tempo di andar in pensione e ciò non le dispiace trop-po, solo poco. Da ragazza sognava un lavoro che avesse a che fare con la scrittura, sogno che puntualmen-te è rimasto nel cassetto. Ultima-mente il marito e i due figli non la assillano più per ragioni varie, così ha deciso di cimentarsi, per diver-timento, con la scrittura, se le capi-tano le occasioni. “Fuori controllo” è una di queste.Ho frequentato per un periodo il gruppo, poi mi sono eclissata ma ogni tanto mi faccio vedere, per questo motivo nel gruppo m’iden-tificano con il nome di “fantasma”, una presenza costante ma che non sempre è visibile.

claudia Smillovich (detta Bryan dagli Amici)

Sto volentieri in compagnia sia delle persone sia dei libri.Apprezzo il cibo, in particolare la carne... non avvicinatevi nelle ore di pranzo perché mordo!Musicalmente parlando ascolto pre-valentemente musica italiana, can-tautori.Sono munita di carrozzina e motore e quindi difficile da prendere.Sembro una persona taciturna, ma se mi date il via, comincio a parla-re ed è difficile spegnermi, perciò attenzione!

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Maria teresa ScreminSono Maria Teresa, per una parte della mia vita sono stata Teresa, per l’ana-grafe solo Maria; oggi sono Maria Te-resa. Nata in casa a Venezia segno di fuoco tra acqua e terre. Per molti anni ho capito tutto senza conoscere nulla, successivamente ho conosciuto un po’ di tutto, senza capire più niente.Ho avuto tre splendidi figli ed ho sempre vissuto da sola.“Inseguiva l’ignoto senza raggiungerlo” scriveva in un rapporto un poliziotto, per descrivere la rincorsa di uno scip-patore: sono stata scippatore e scip-pata, inseguito e poliziotto, ma il mio personaggio rimane tuttora oscuro.Per questo mi sono iscritta a questo percorso di scritture mal/educate, e ne sono uscita pesta, pardon, persa!Nel gruppo sono conosciuta come “TERESA acqua” non perché faccio l’idraulico, ma perché sono sempre in compagnia di una bottiglietta.Faccio domande e voglio spiegazioni finché non mi convinco non mollo.

Gigliola BagatinSono Gigliola. Gi.Incontro gente, vedo posti, luoghi e non luoghi e lì mi fermo, curiosa.Appena apro la porta di casa mi succedono cose straordinarie, rie-sco a vederle.Affamata di emozioni, le colgo e le ripongo con cura a casa, le stanze non sono mai piene, c’è ancora tan-to posto.In poche parole sono perfetta ma per un altro pianeta.

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lella Mamma di Andrea Pisano

Sono Mariavaleria, per gli amici Lel-la. Perché Lella? Quando ero piccola, ed ero veramente uno scricciolo, per un periodo fui ospite di uno zio. “Ma come – commentò ben presto – un nome così lungo a una bambina così piccola!” Fu da allora che fui e sono Lella. Cresciuta, ho avuto cinque figli e, per ora, ho quattro nipoti. Ho fat-to l’insegnante come avevo sempre desiderato. Ci sono state molte cose, più o meno belle, nella mia vita che posso definire ricca, avventurosa, alquanto romanzesca. Cosa mi riser-verà il futuro, chi lo sa?

Paola coloniNata nel 1967, fatta male dalla testa ai piedi, cresco, soprattutto in larghezza, e divento caratterial-mente complessa. In seguito a va-rie prove di vita non sempre facili, sono di scontrosa schiettezza tanto da apparire addirittura polemica ed antipatica, rigorosa ed austera qua-si quanto la signora Rottermeier di Heidi, forse contaminata dalla mie lunghe e ripetute permanenze in Germania, ove ho assimilato usi e costumi ed imparato la lingua dei Barbari. Sono un “cugno”, ma qual-cuno mi definisce deliziosa… Dopo varie esperienze lavorative in cam-po linguistico, sono attualmente im-piegata in un’azienda privata. Moti-vata e sensibile, nonostante quanto sopra, mi piace da sempre scrive-re, ma non ho mai coltivato questa passione. Dimenticavo: qualche vol-ta so anche scherzare e mi scappa addirittura di ridere, fino al punto da “capottarmi” dalle risate.

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Pierpaolo RussianClasse 1962, disabile dal 1994 im-piegato, nessuna esperienza nello scrivere, nel teatro od altro.I miei peggiori amici mi conosco-no come Poldo, da non confon-dersi con il Poldo di pagina 34. Vorrei poter dire che le donne cadono ai miei piedi, ma spesso, invece, accade che loro faccia-no cadere qualcosa ai miei piedi! Dalla mia prospettiva vedo orizzonti orografici (rilievi montuosi) che voi in piedi non potete nemmeno im-maginare.Ho scritto (in triestino, ma in lingua mi rangio comunque niente malac-cio), sotto minaccia, in chiave co-mica esperienze di vita vissuta da disabile. Mi diverto a “massacrare” gli altri, ma qualche volta si ven-dicano... Mi sposto in carrozzina, dove mi mettete, lì sto; non sporco ma mangio, bella presenza, milite esente ed automunito.

teresa casagrande la cocciuta Silenziosa

Conseguo i miei obiettivi con il sor-riso, sono sempre in compagnia della mia agendina, prendo nota ed inglobo dati, ti guardo ti scruto e poi ti parlo.Qualcuno mi ha chiesto: “visto che scrivi spesso, dai anche le mul-te?!?” … sarebbe una bella idea.Attenti a come vi muovete, come parlate, come vi comportate, a dove posteggiate (anche la vostra sedia a rotelle!), sono sempre in agguato io, con la mia matita.Non mi sfuggite.

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Progetto grafico e impaginazione

Chiara Moretuzzo LA COLLINA

Società Cooperativa Sociale Onlus

FotografieLuca Gabrielli

Alessandro MendizzaClaudio Tommasini

StampaPixartprinting SpA - Quarto d’Altino (VE)

Un ringraziamento particolare ad Alessandro Mendizza per l’immagine di copertina

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Percorso di mani che scrivono, storie che

raccontano, sorrisi che sollevano…