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 1 Psichiatria e psicoanalisi: una nuova esperienza ANNA FERRUTA Questo numero di  Psiche si apre sull’orizzonte della domanda di come rendere possibile una nuova esperienza nell’incontro tra psichiatria e psicoanalisi. Un nuovo inizio, si potrebbe dire, utilizzando le parole di Balint (1967) nel suo saggio sulla regressione. Per rendere possibile una regressione feconda che permetta di liberarsi degli stereotipi imprigionanti, occorre un contesto favorevole, un terreno sicuro su cui camminare tranquilli, un’aria non inquinata per allargare il respiro della mente. È questo l’intento del numero di  Psiche su «Psichiatria e Psicoanalisi», un intento insieme modesto e ambizioso. Il terreno su cui camminare e l’aria da respirare che costituiscono l’ambiente comune a tutti coloro che si occupano di psicopatologia è rappresentato dalla consapevolezza condivisa della consistenza della realtà psichica, anche a livello della propria personale esistenza, in continua relazione unitaria e trasformazione dialettica con la realtà biologica e sociale. Tutti,  psichiatri e psicoanalisti, conosciamo fin troppo bene, sulla base dell’esperienza della nostra stessa vita, la potenza straordinaria della realtà psichica, conscia e inconscia, una realtà a cui Freud ha dato uno statuto formale, tracciando una linea di continuità tra il normale e il  patologico e aprendo una strada per future ricerche in questa direzione. Ogni professionista che si occupa di sofferenza psichica sa sulla propria pelle quanto facile è essere colti di sorpresa da una frase o anche solo da una parola di un paziente completamente immerso nella sua psicosi e di soprassalto riconoscervi qualcosa di proprio, di simile, di perturbante. Così vicini e così lontani, come con gli extraterrestri. Potremmo dire che il terreno comune su cui camminare concerne le teorie complesse che configurano dinamiche multiple continuamente in via di trasformazione tra aspetti bio-psico- sociali del soggetto umano, e l’aria che respiriamo riguarda la consapevolezza del vissuto di sostanziale continuità tra quello che percepiamo come normale e patologico. Eppure questo ambiente condiviso non ha favorito incontri tra psicoanalisi e psichiatria negli ultimi decenni, che tendenzialmente, tranne significative eccezioni, hanno finito per arroccarsi nelle proprie teorie e pratiche. Come se la specificità di ciascuna potesse cancellare la specificità dell’altra, in un tendenziale riduzionismo. Ritengo che questo fenomeno per il quale le nuove acquisizioni in un campo possano venire usate per annullare quelle dell’altro (es.: importanza delle esperienze traumatiche infantili nei borderline, efficacia dei neurolettici per consentire un approccio dialogante con lo psicotico, importanza dell’ambiente di cura nei soggetti con patologie antisociali e di dipendenza) sia strettamente connesso con l’oggetto di cui ci occupiamo: la sofferenza psichica profonda.

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Psichiatria e psicoanalisi: una nuova esperienza

ANNA FERRUTA

Questo numero di  Psiche si apre sull’orizzonte della domanda di come rendere possibileuna nuova esperienza nell’incontro tra psichiatria e psicoanalisi. Un nuovo inizio, si potrebbedire, utilizzando le parole di Balint (1967) nel suo saggio sulla regressione. Per rendere possibile

una regressione feconda che permetta di liberarsi degli stereotipi imprigionanti, occorre uncontesto favorevole, un terreno sicuro su cui camminare tranquilli, un’aria non inquinata perallargare il respiro della mente. È questo l’intento del numero di  Psiche  su «Psichiatria ePsicoanalisi», un intento insieme modesto e ambizioso.

Il terreno su cui camminare e l’aria da respirare che costituiscono l’ambiente comune atutti coloro che si occupano di psicopatologia è rappresentato dalla consapevolezza condivisadella consistenza della realtà psichica, anche a livello della propria personale esistenza, incontinua relazione unitaria e trasformazione dialettica con la realtà biologica e sociale. Tutti,

 psichiatri e psicoanalisti, conosciamo fin troppo bene, sulla base dell’esperienza della nostrastessa vita, la potenza straordinaria della realtà psichica, conscia e inconscia, una realtà a cui

Freud ha dato uno statuto formale, tracciando una linea di continuità tra il normale e il patologico e aprendo una strada per future ricerche in questa direzione. Ogni professionista chesi occupa di sofferenza psichica sa sulla propria pelle quanto facile è essere colti di sorpresa dauna frase o anche solo da una parola di un paziente completamente immerso nella sua psicosi edi soprassalto riconoscervi qualcosa di proprio, di simile, di perturbante. Così vicini e cosìlontani, come con gli extraterrestri.

Potremmo dire che il terreno comune su cui camminare concerne le teorie complesse checonfigurano dinamiche multiple continuamente in via di trasformazione tra aspetti bio-psico-sociali del soggetto umano, e l’aria che respiriamo riguarda la consapevolezza del vissuto di

sostanziale continuità tra quello che percepiamo come normale e patologico.Eppure questo ambiente condiviso non ha favorito incontri tra psicoanalisi e psichiatria

negli ultimi decenni, che tendenzialmente, tranne significative eccezioni, hanno finito perarroccarsi nelle proprie teorie e pratiche. Come se la specificità di ciascuna potesse cancellare laspecificità dell’altra, in un tendenziale riduzionismo. Ritengo che questo fenomeno per il qualele nuove acquisizioni in un campo possano venire usate per annullare quelle dell’altro (es.:importanza delle esperienze traumatiche infantili nei borderline, efficacia dei neurolettici perconsentire un approccio dialogante con lo psicotico, importanza dell’ambiente di cura neisoggetti con patologie antisociali e di dipendenza) sia strettamente connesso con l’oggetto di cuici occupiamo: la sofferenza psichica profonda.

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Ed è di questo che intendo parlare: esiste una specificità dell’oggetto, che rende l’incontrotra psichiatria e psicoanalisi difficile, anzi sollecita ad intraprendere strade differenti, proprioallo scopo di non incontrarsi?

Esemplare di questa difficoltà è una pagina che ritengo significativo citare, di Dario DeMartis. uno psichiatra, uno psicoanalista, un professore universitario, un cittadino socialmente

impegnato. De Martis (1982) in questa pagina, sulla propria pelle di soggetto che possiede tuttele competenze indicate, manifesta la complessità dell’incontro con un paziente grave in curanell’istituzione psichiatrica:

«La persona che mi sta davanti con il suo comportamento ‘diverso’ induce in primoluogo un movimento di fascinazione, ove si intrecciano curiosità e simpatia, bisogno ditestimoniare in una qualche maniera significativa il mio desiderio di avvicinamento, dicomprensione e di aiuto, anche se so che mi chiederà molto di più di quanto non siadisponibile a dargli. Desidererei comunque che si rendesse conto che è possibile avere, sul

 piano dell’incontro, nei confronti di un altro essere umano, sentimenti di spontaneità e disolidarietà tali da rompere la stereotipia asimmetrica del rapporto paziente-esperto. Vorrei

garantirgli che sono dalla parte sua, non da quella degli altri. Sono però respinto, inchiodato almio ruolo. Intuisco che la paura e la diffidenza del soggetto lo inducono a vivermi comenemico, anche se per avventura mi dice “per carità, dottore mi aiuti!”. Sento che al di là diogni mia intenzione cosciente una parte di me risponde con una paura e una diffidenzasimmetrica. […] Mi ritrovo così ad un certo momento nella posizione tradizionale neiconfronti della follia. Cerco di tranquillizzarmi dicendomi che è lui che mi costringe, che nonaccetta la mia mano tesa, il mio sincero interesse, che mi spinge dall’altra parte vicino ai suoi

 persecutori. Ma subito dopo mi domando se non abbia proprio ragione il mio interlocutore,che è stato capace attraverso un lungo viaggio in un’esperienza di avvilimento e di sofferenza,di arrivare al fondo delle cose, di smascherare le ipocrisie e le false apparenze in cui ciavvolgiamo tutti per mettere impietosamente a nudo il fondo di angoscia e di vuoto distruttivo

che sta al fondo della natura umana. È un’esperienza di cui lui è stato capace e io no. Quindiun abisso ci separa ed al di là di ogni dichiarazione di intenti, io sono proprio nella mia naturadi tecnico la controparte, in base ad una antinomia insuperabile. Mio è il potere mutuato dallafamiglia, dall’organizzazione sociale, sua è l’impotenza, sua la rivolta e la sfida, anche sequesta si esprime prevalentemente in forma autodistruttiva» (167-168).

Di questo incontro-non incontro voglio mettere in evidenza due fenomeni che ritengoimportanti per entrambe le discipline, che riguardano proprio l’oggetto di cui si occupano e chele costringono a mantenere salda la barra del timone della propria solitudine mentre viaggianocercando di raggiungere altre isole piene di doni ricchezze tesori (the bounty,  come le Isole

Samoa di Stevenson, la Tahiti di Gaugin, la Santa Lucia di Walcott), ben differenti da quegliisolamenti costruiti come rifugi, dallo psicotico nella chiusura nel suo mondo autistico odelirante, e dal borderline nel comportamento ricorsivamente claustrofilico-claustrofobico.

I due fenomeni riguardano: 1) la costante ricerca di stabilità  nelle teorie, nelleclassificazioni, nelle diagnosi, a scapito della capacità descrittiva e interpretativa delle vicende

 psichiche individuali; 2) la qualità della risposta  da dare alla sofferenza psichica: se la curadeve intervenire con diversi apporti specialistici da applicare a una condizione patologica data, ose interviene per favorire un processo di cambiamento e di crescita psichica di cui è attore ancheil paziente.

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Ricerca di stabilità

La sofferenza psichica profonda, quella dello psicotico e del borderline, è attraversatadalla ricerca di un approdo stabile, risolutivo di un’angoscia invivibile, e al tempo stesso ècaratterizzata da rotture, break down, interruzioni della durata degli assetti raggiunti, operate dai

soggetti stessi o indotte/necessitate dai familiari o dall’ambiente di vita.Da un lato si stagliano le mura asilari, le inaccessibilità al rapporto, le chiusure barricate in

una stanza, dall’altra le esplosioni pantoclastiche, le fughe, le interruzioni, i rifiuti improvvisi dirapporti cura individuali o di comunità, anche a lungo accettati e apprezzati.

La continuità dell’essere nel tempo e nelle relazioni è messa alla prova, sia dalle tappeevolutive della vita (ingresso nella scuola, pubertà, relazioni amorose, fallimenti lavorativi o distudio, nascita dei figli, malattie, pensionamenti, vecchiaia ecc.), sia dai cambiamenti del viveresociale (emigrazioni, famiglie multiple, differenze di genere, benessere e malessere sociale). Altempo stesso, i modi di manifestazione della sofferenza psicopatologica mostrano costanza econfigurazioni stabili, tanto da sembrare scritte sulla pietra: voci, deliri, comportamentianoressici, sindromi maniaco-depressive, autolesionismi, depressioni malinconiche.

Per fare fronte a questa situazione proteiforme, descriverla, comprenderla, prenderla incura, abbiamo assistito in psichiatria allo sviluppo, come osserva Rossi Monti (2012), di una«nosografia statica e fissista», e al moltiplicarsi delle configurazioni patologiche, conun’attenzione alla diagnosi, che da convenzione pragmatica utile per comunicare ha finito perdiventare una sostanza da cui fare discendere condotte terapeutiche (DSM). La costruzione

 psicopatologica del soggetto individuale a cui il paziente ha dedicato tanta fatica finisce peressere trascurata a favore della categorizzazione, che coglie senza dubbio un’esigenza distabilità, ma perde la dimensione comunicativa e implicitamente trasformativa inclusa nel

sintomo.In psicoanalisi, l’attenzione si è concentrata sul lavoro dell’inconscio nella relazione

terapeuta-paziente, con un’apertura all’ascolto degli aspetti della psiche non ancora entrati a fare parte del pensabile, non rimossi ma in attesa di incontrare una mente aperta ad accoglierli e a procedere a una costruzione comune e condivisa, a partire dalle comunicazioni non verbali e procedurali, (Mancia, Racalbuto, Searles), dalla rêverie dell’analista (Ferro, Ogden), dallafigurabilità (Botella), dal conosciuto non pensato (Bollas), e così via. Questa aperturadell’ascolto in seduta delle varie forme del divenire della mente in relazione, se da un punto divista euristico, di conoscenza di tutto ciò che non è coscienza, è stato di grande interesse, è

 proceduto mantenendo come elemento di stabilità e ancoraggio la metapsicologia freudianaclassica (Es, Io, Superio), arricchita dagli sviluppi kleiniani e bioniani (posizioneschizoparanoide e depressiva, dinamica contenitore-contenuto).

L’allargamento del contatto con la patologia grave e con le modificazioni di questa inrapporto ai cambiamenti sociali ha comportato un moto di autoconservazione istituzionale perentrambe le discipline, una ricerca di tenere fermo il radicamento nella propria specificità,sostanzialmente isolandosi. Ma i pazienti vanno contemporaneamente dallo psichiatra e dallo

 psicoanalista, e ci interrogano; noi stessi li mandiamo ora dall’uno ora dall’altro, comemessaggeri portatori di una domanda, un go-between che loro fanno al nostro posto.

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La qualità della risposta

 Nella sofferenza psichica del paziente grave c’è la richiesta di una risposta risolutiva, chedissipi la sua angoscia ed elimini la necessità di continuare a modificarsi in relazione allevicende e agli incontri della vita. L’attenuazione della sofferenza, sia con prescrizioni

farmacologiche, sia con un ascolto empatico e accogliente, è un dovere del medico. Ma la curadeve comportare anche una possibilità di crescita psichica, di uscita da un pattern-fantasma chesi ripete in tutte le relazioni e nel quale il soggetto si trova imprigionato.

Con i pazienti gravi ci si trova di fronte a un crocicchio diverso da quello tra Tebe eCorinto in cui Edipo uccise il padre Laio, dove si manifestò la difficoltà ad accettare laresponsabilità dell’odio e della rivalità tra genitori e figli insieme all’amore, senza rimanere

 bloccati e bloccarli in una posizione infantile (la configurazione dello sviluppo evolutivo che vasotto il nome di complesso di Edipo oggi è generalmente accettata). Il bivio nel caso del

 paziente grave è piuttosto tra cronicità (rimanere, sedati, prigionieri di un pattern dominante: «infondo è il meno peggio», e rassegnarsi a vivere una vita figlia di un dio minore), oppure tentare idolori e le vicissitudini di una crescita psichica, di un viaggio, con i suoi fallimenti, gli alti e

 bassi, gli esiti non conosciuti.Il problema della qualità della risposta, sia in psichiatria, sia in psicoanalisi, è complesso, e

riguarda diversi livelli della questione: le conoscenze del funzionamento mentale, i legami

reciproci tra terapeuta e paziente, i criteri di valutazione. Per quanto riguarda le conoscenze del funzionamento mentale, sia l’esperienza

 psicoanalitica, specie della cura dei bambini, anche dei primi anni di vita, sia lo sviluppo delleneuroscienze, ci hanno sempre più aperto orizzonti relativi alla plasticità del funzionamento

 psichico mente-cervello e alla rapidità e molteplicità con la quale si formano strutture elementari

di comunicazione tra soggetti in età evolutiva e oggetti con cui sono in relazione. Da questo punto di vista, la dotazione di base del bambino viene sviluppata, o utilizzata in modi ristretti eripetitivi a seconda della risposta dei caregiver. La diagnosi può perdere la sua qualità didefinitività e assumere quella di strumento utile per intraprendere con il paziente un percorsotrasformativo, che tenga conto proprio di quei pattern o fantasmi dominanti che si sonoconfigurati fino a quel punto della sua storia. Si tratta di pensare alla cura come a un percorso,del quale fanno parte gli insuccessi (frutto di un desiderio di rimanere nella stabilità statica delfantasma?) e le rotture degli assetti faticosamente raggiunti (un desiderio che va oltrel’appagamento del bisogno, che rappresenta una tensione verso l’altro, comunque?).

Per i legami che si intrecciano tra terapeuta e paziente, le trappole della cronicità, permotivi diversi, si aprono sia per lo psichiatra sia per lo psicoanalista. Davanti ai miei occhi vedoalzarsi di nuovo, come in un video di Bill Viola, le mura asilari, costituite da relazioniinterminabili che legano terapeuta e paziente, per un bisogno l’uno dell’altro, per unavalutazione errata di indispensabilità, per negazione fantasmatica del tempo e della morte, persottovalutazione degli aspetti evolutivi insiti nel soggetto umano. Lo psichiatra ha il vantaggioche può per motivi istituzionali cambiare servizio; lo psicoanalista invece deve fare i conti con ilsuo controtransfert.

Per i criteri di valutazione dell’efficacia del trattamento, che è l’aspetto per il quale gli psicoanalisti sono ritenuti spesso estranei alla verificabilità scientifica dei risultati della cura, laquestione è quella del percorso, cioè del tempo necessario per lo sviluppo di un trattamento. E’

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difficile isolare items veramente significativi per valutare una cura che ha le caratteristiche dellacomplessità e che propone trasformazioni profonde che riguardano un soggetto in relazione conl’ambiente, al di là di elementi macroscopici (es. numero dei ricoveri) o delle espressionisoggettive di benessere/malessere (questionari etero e autosomministrati). Questo non per lalabilità della condizione di buona salute psichica difficile da formalizzare, ma per il tempo di

sviluppo che richiede una cura che ha per oggetto la crescita psichica e la possibilità disoggettivizzare il proprio essere nel mondo e che, al di là della diminuzione della sofferenzaacuta, è un percorso i cui tempi hanno un andamento del tutto irregolare: a grandi stasi seguonomomenti di accelerazione improvvisa, di insight, di emersione gestaltica di nuovi pattern.

La questione della qualità della risposta  da offrire al paziente grave, intesa comunquecome percorso di crescita psichica, anche minimo, ma sempre possibile, costituisce un altroelemento che ha contribuito all’isolamento reciproco di psichiatria e psicoanalisi: l’una,concentrata sul sintomo e sul suo ridimensionamento, l’altra, attenta al percorso nelle suedimensioni temporali non lineari, perturbate dalle irruzioni in stanza di analisi di un inconscioche tra passato e futuro scavalca spesso il momento presente.

Un territorio di incontro: le relazioni primarie

In questa dimensione di reciproco isolamento attraversata da psicoanalisi e psichiatria,esiste un territorio che entrambe ritengono di grande importanza ma che al tempo stesso rimaneai margini del dibattito: lo sviluppo dello psichesoma nelle prime fasi di vita del bambino nellasua relazione con i caregivers. In questo ambito la psicoanalisi ha senza dubbio esercitatoun’influenza fondamentale nell’indicare la centralità delle cure primarie, sintetizzate nellaformula winnicottiana: non c’è un bambino senza una madre. Ma a partire da questa

condivisione del vertice psicoanalitico si sono ramificate due tendenze critiche. Da un lato uneccesso di indicazioni di stampo direttivo-pedagogico a genitori e insegnanti e neuropsichiatriche hanno finito per oscurare quello che invece la ricerca psicoanalitica aveva scoperto: non solol’importanza della relazione col caregiver per il bambino piccolo, ma anche la sua competenzarelazionale autonoma, il suo desiderio-capacità sin dall’inizio di dare una forma immaginaria alsuo essere del mondo. Dall’altro l’attenzione dedicata alle angosce abbandoniche ha rischiato dimettere in ombra il bisogno di separatezza e di individuazione e di elaborazione personale che èuna forza psichica del bambino, concedendogli poco spazio per essere solo in presenza dell’altro(Winnicott,1965). Senza dubbio è molto importante non medicalizzare le manifestazioni di

soggettiva appropriazione personale del mondo da parte dei bambini, anche quando siricollegano a inadeguatezze e difficoltà dei genitori (non possiamo non ricordare il titolo di unlibro divulgativo di un grande neuropsichiatra infantile e psicoanalista come Bollea  Le mamme

hanno sempre ragione), ma tale isolamento dell’area delle prime cure rispetto al rapporto tra psichiatria e psicoanalisi può diventare una perdita sul piano delle conoscenze delfunzionamento mentale in relazione con l’altro, perdita che va recuperata in quanto territorio daattraversare per incontrarsi.

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L’Io-pelle

Pensando a qualcuno che ha sviluppato nella sua pratica clinica e nella sua ricerca teoricaelementi di incontro fecondo tra psichiatria e psicoanalisi, penso a Didier Anzieu, per diversimotivi. Il suo testo fondamentale l’Io-pelle (1985) trasmette l’importanza concettuale, biologica

sociale, di quella stabilità che i pazienti gravi cercano, a costo di fare vacillare i curanti: la pellefisica e la pelle psichica come un contenitore del sé che deve garantirne la sufficiente coesione

 perché al suo interno avvengano dei metabolismi vitali. La stabilità tanto ricercata è quellacoesione del sé che una pelle psichica riesce a tenere insieme, con le sue doppie funzioni di

 protezione e di comunicazione. Ecco un modello semplice fondato nello psichesoma che ci permette di comprendere le chiusure in casa di certi pazienti, le esplosioni di violenza contro chisentono perforare una pelle psichica esile e ristretta, le rotture dei border che si sentono come iserpenti dentro a un pensiero terapeutico e sociale troppo stretto nel quale non riescono a stare, ilsudore che esce copioso dai pori della pelle di qualche mio giovane paziente che si sente

 bloccato ma non si lamenta, non sa non vuole non protesta, anche se qualcosa comunquetrabocca dai pori della pelle, comunica, vuole uscire. Un contenitore somatopsichico ènecessario per tenere insieme le esperienze emotivo-cognitive di ogni soggetto e per

 permettergli scambi e arricchimenti. Lo sviluppo e la salvaguardia di questo involucro protettivo-comunicante costituisce la prima preoccupazione terapeutica di un curante. È quelcerchio che Eugenio Gaddini (1985) ha indicato come il primo disegno che un bambino faquando la sua soggettività incomincia e esprimersi in modo più differenziato e integrato rispettoa una fase precedente in cui si sentiva indistinto, fuso-confuso con il caregiver. Il cerchio, uncircolo, qualcosa che tiene insieme, una pelle psichica.

Anzieu si è occupato ampiamente di psicotici e gruppi. Ha messo in evidenza che

l’inconscio è un’istanza e un processo di trasformazione e non solo di ripetizione. Ha visto nellafunzione comunicativa della pelle psichica lo strumento per uscire dall’isolamento individuale ecomunicare con l’altro, sentire l’esigenza di un continuo passaggio di sensazioni emozioni ecomunicazioni con tutto ciò che l’individuo non è, un’uscita dal rassicurante isolamento pernavigare nel mondo degli altri e farli diventare parti di sé.

Quindi, assumendo, a titolo esemplificativo e non di modello, il concetto dell’Io-pelle diAnzieu, tentiamo di pensare a uscite dall’isolamento reciproco di psichiatria e psicoanalisi,senza che ciascuna perda la sua pelle psichica, ma anzi per utilizzarne le capacità dicomunicazione e tenuta per una crescita della conoscenza e della cura della sofferenza psichica.

C’è un grande bisogno di incontri, che permettano di dare luogo a un nuovo inizio diesperienze comuni. Gli incontri possono avvenire in diversi ambiti: la formazione, la professione, la ricerca, la cultura.

Incontri tra psichiatria e psicoanalisi

Nella formazione

Il fatto che la formazione in psichiatria e in psicoanalisi abbia preso strade divergenti è unaquestione fondamentale, presupposto necessario da modificare per un nuovo incontro. Le scuole

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di specialità in psichiatria, nel programma e nei testi, trattano prevalentemente gli aspetti biologici della questione, con solo una piccola finestra aperta verso la grande tradizione della psicopatologia fenomenologica. Gli altri aspetti che entrano a costruire la complessità della patologia mentale (ambiente sociale, prime vicende evolutive, dinamiche e strutturazionidell’inconscio) sono lasciati ai margini, come strumenti subordinati e di contorno alla questione

centrale: diagnosi e terapia farmacologica, strettamente unite in un nesso inscindibile. Negliistituti di training psicoanalitico è posta al centro della formazione l’analisi accurata delledinamiche consce e inconsce della relazione analista-paziente, con la possibilità di cogliere erivivere nel transfert-controtransfert le prime vicende strutturanti il sé e i traumi che hannolasciato il segno nell’organizzazione mentale. Gli agiti e le manifestazioni patologiche che nonvengono contenute e elaborate nel setting analitico sono lasciate ai margini, affidate al bracciosecolare dell’intervento farmacologico e assistenziale, nonostante gli sviluppi che via via sifanno strada nelle conoscenze portate dalle neuroscienze e dall’infant research.

Eppure là dove la formazione era stata unitaria, con docenti, testi, tirocini senza barriere,qualcosa di nuovo era nato, che ha lasciato una traccia ancor oggi visibile. Nomino solo tre

situazioni, a titolo esemplificativo di quello che nel futuro prossimo si potrebbe alimentare.La Scuola di Specialità in Psichiatria di Pavia che, iniziata da Dario De Martis, continuata

da Fausto Petrella e ora da Francesco Barale, è stata ed è un centro di cura e di pensiero che hasempre rifiutato l’isolamento, nonostante il rischio di scomuniche da tutti i versanti, e hacontinuato a ricercare nella direzione del biologico, del sociale, dello psicoanalitico. I frutti sivedono: gli allievi psichiatri e psicoanalisti usciti dalla scuola di Pavia hanno una marcia in piùrispetto alla routine presente nelle università e nei servizi e anche nel mondo psicoanalitico.

Così pure una funzione formativa straordinaria è stata svolta dall’Istituto di Neuropsichiatria Infantile dell’Università La Sapienza di Roma, là dove Giovanni Bollea,

Adriano Giannotti e Renata De Benedetti Gaddini hanno aperto le ricerche sulle relazioni primarie e sulla cura unitaria della coppia madre-bambino, dando vita a una scuola di pensieroche a partire dalla traduzione e diffusione dei testi di Winnicott costituisce ancor oggi un puntodi riferimento fondamentale nel campo della neuropsichiatria infantile e della psicologia dell’etàevolutiva. A questo Istituto non a caso si è poi collegata la Neuropsichiatria Infantile di Monza,anch’essa un centro di formazione di giovani neuropsichiatri e psicologi, con Mario Bertolini

 prematuramente mancato.Il coraggioso pionierismo di Marcella Balconi a Novara ha lavorato nella direzione della

 prevenzione del disturbo mentale, costruendo servizi territoriali materno-infantili decentrati

nelle campagne, volti a conoscere ed ascoltare in loco le angosce delle relazioni primarie incontesti socialmente svantaggiati. Questa sensibilità sociale, quest’opera di costruzione diservizi nel materno infantile, per i quali operò congiuntamente con Maria Elvira Berrini aMilano, andò insieme con un’iniziativa formativa importante nell’istituzione ospedaliera: iseminari di psicoanalisi di Marta Harris e di Donald Meltzer, che, con i loro picchi di profondità

 psicoanalitica kleiniana nell’interpretare le dinamiche profonde tra terapeuta e paziente,sembravano così lontani eppure così vicini alle patologie delle campagne delle risaie novaresi,diventarono un polo di attrazione formativa anche per molti giovani professionisti di altre città.

 Nell’istituzione psicoanalitica la ricchezza di pensiero e di pratica clinica di questi e dimolti altri psicoanalisti che hanno lavorato contestualmente in Università, in Ospedale, e in

stanza di analisi (Fornari Zapparoli Ferradini a Milano, Sacerdoti a Venezia, Rossi a Genova,

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Carloni Spadoni Zucchini a Bologna, Magherini, Hautmann e Pazzagli a Firenze, Perrotti eTagliacozzo a Roma, Corrao a Palermo, e tanti altri ancora) si è espressa nella trasmissioneteorica, tramite l’elaborazione concettuale e la scrittura di testi, e la profondità prospettica nellasupervisione dei casi in analisi dei candidati in training. Invece, la trattazione specifica dellequestioni extrasetting psicoanalitico poste dalla patologia grave è stata fatta in altri ambiti,

costituti perlopiù dall’organizzazione di scuole o gruppi psicoanalitici destinati alla formazionedi terapeuti di specifiche serie di pazienti (bambini, adolescenti, gruppi, coppie, famiglie, borderline), anche se da alcuni anni la situazione va cambiando, ad esempio con l’apertura delnella SPI del Corso di perfezionamento in psicoanalisi del bambino e dell’adolescente.

Un riflesso di autoconservazione istituzionale ha contribuito a isolare la formazione psichiatrica e psicoanalitica, in particolare nelle loro sedi ufficiali più formali: le scuole dispecialità universitarie e il training delle società psicoanalitiche aderenti all’InternationalPychoanalytical Association.

Bisogna pensare che ogni prospettiva di nuovo incontro necessita di momenti formativicomuni, difficili, a cominciare dalle diversità di linguaggi, ma non impossibili. C’è una

domanda di formazione ampia a cui rispondere: pensiamo al fenomeno imprevedibile costituitodalla straordinaria diffusione in Università e nelle scuole di psicoterapia del testo   Psichiatria

 psicodinamica  di uno psicoanalista psichiatra professore universitario, Glen Gabbard, che,ritengo, ha risposto a un bisogno che resta aperto: fare dialogare psichiatria biologica e sociale e

 psicoanalisi. In questa direzione vanno le iniziative di nuove classificazioni su base psicodinamica della psicopatologia, nel manuale PDM, e poi nell’OPD 1, che propone modelli«tagliati su misura» del paziente, alla cui costruzione hanno collaborato in prima persona

 psicoanalisti.

Nella professione clinica

 Nell’ambito della clinica l’incontro è stato più continuativo e si è espresso attraverso unostrumento che ha mostrato tutta la sua fecondità prospettica: la supervisione istituzionale. Èaccaduto che un elemento del modello del training psicoanalitico classico dell’InternationalPsychoanalytical Association, che includeva nella formazione la supervisione dei casi trattati, hacontaminato il campo psichiatrico, e ha portato a considerare la supervisione del caso clinico da

 parte di uno psicoanalista esterno all’équipe istituzionale un elemento importante del processo dicura. Anche qui alcune iniziative pionieristiche hanno contribuito a configurare e a diffondere il

modello della supervisione di un caso clinico istituzionale da parte di uno psicoanalista:l’Ambulatorio di Psicologia Clinica fondato da Zapparoli con Ferradini all’interno dell’OspedalePsichiatrico Paolo Pini a Milano, nel quale psichiatri e psicologi in formazione trattavano con

 psicoterapie psicoanalitiche pazienti gravi, a cui questi analisti esperti fornivano la supervisionein gruppo con tutti i collaboratori; il lavoro di supervisione istituzionale di Giovanni Hautmannall’Istituto di ricovero e cura Stella Maris di Calambrone Pisa; l’attenta collaborazione alla cura‘quotidiana’ di casi difficili, messa a disposizione da psicoanalisti come Roberto Tagliacozzonell’area dei Servizi psichiatrici di Roma e da Gino Zucchini e Alberto Spadoni in quella di

1 PDM (2006), Manuale Diagnostico Psicodinamico. Raffaello Cortina, Milano, 2008; Task Force OPD (2006), Diagnosi psicodinamica operazionalizzata. Angeli, Milano, 2009.

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Bologna. Alcuni di questi psicoanalisti nel corso del loro lavoro di supervisione hanno elaboratouna metodologia specifica. Zapparoli ha utilizzato lo strumento psicoanalitico della supervisionedel caso clinico in gruppo per elaborare un modello di cura integrata della psicosi, alla quale concompetenze e vertici diversi collaboravano varie professionalità (assistenti sociali, educatori,infermieri, psichiatri, psicologi) che trovavano nella supervisione di équipe il luogo mentale nel

quale integrare le emozioni provate nel rapporto con il paziente e le iniziative terapeuticheconseguenti: un lavoro basato sull’uso del controtransfert individuale e gruppale. Hautmann(2005) andava trasformando, alla luce del pensiero bioniano sulla mente gruppale e sulla

 pellicola di pensiero come contenitore di aspetti scissi e dissociati, la supervisione del casoclinico nel «seminario analitico di gruppo», uno strumento nuovo, per costruire attraverso leemozioni dei partecipanti, anche non implicati direttamente nella cura del paziente, i diversi

 personaggi oscurati rimossi censurati mai venuti alla luce, costituenti il mondo psichico del paziente presentato e diventato presente nella mente del gruppo. Su questo sfondo di ricerche illibro di Correale Il campo istituzionale (1991) ha segnato una svolta, dando voce e forma a unastrumentazione concettuale e tecnica che si era andata sviluppando, nel lavoro istituzionale dei

Servizi e nel Gruppo sulle patologie gravi dell’istituzione psicoanalitica.2 La supervisione delcaso clinico, la conferenza clinica, il seminario analitico di gruppo, il campo istituzionale, sonocosì diventati un autentico luogo di incontro tra psichiatria e psicoanalisi, un gruppo di lavoroalla Bion, che ha continuato negli anni a procedere e a svilupparsi con interessanti contributi dimolti psicoanalisti (Bolognini, Barnà, Berti Ceroni, Conforto e altri), specialmente nellecomunità terapeutiche e nelle strutture residenziali, sviluppatesi dopo la 180 in un regimeconcettuale e clinico debole e perciò tanto più necessitante momenti di riflessione teorico-clinica, che servissero da traccia (Riefolo, 2001; Foresti-Rossi Monti, 2010), oltre le esperienzeesemplari nate intorno all’opera di figure di eccellenza come Racamier. Anche in questo ambito

tuttavia, i fecondi incontri tra psichiatria e psicoanalisi hanno prodotto un’associazione a parte,che si è occupata in specifico della formazione degli operatori che lavorano nelle strutturecomunitarie.3 

Un esempio nuovo e per questo interessante, è l’iniziativa del Centro Milanese diPsicoanalisi “Ripensare il caso clinico”: si tratta di seminari di supervisione clinica di gruppotenuti da psicoanalisti nella sede dell’istituzione psicoanalitica rivolti a psichiatri e psicologidelle istituzioni, per sostenere e approfondire l’approccio psicoanalitico di chi vi si riconosce elavora in quei contesti. I seminari funzionano da due anni, a titolo praticamente gratuito (vienechiesto all’iscrizione solo il pagamento delle spese di segreteria) e hanno come idea il progetto

di tenere insieme nell’incontro tra professionisti le diverse risorse tecniche ed emotive che lacura istituzionale implica, attraverso l’approfondimento del caso clinico da un punto di vista psicodinamico (Ferruta, 2008).

Nella ricerca

L’ambito della ricerca è quello che presenta importanti diversità metodologiche e che

2 Correale A., Berti Ceroni G. (a cura di). (1999). Psicoanalisi e psichiatria. Cortina, Milano.Correale A., RinaldiL. (1997). Quale psicoanalisi per le psicosi? Cortina, Milano.

3 Mito&Realtà. Associazione per le Comunità Terapeutiche e Residenziali: Ferruta A., Foresti G., Vigorelli M.(2012). Le Comunità Terapeutiche. Cortina, Milano.

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quindi ha comportato una maggiore tendenza all’isolamento di psichiatria e psicoanalisi,ciascuna nei propri ambiti. Le difficoltà sono state anche determinate a livello universitario dallanecessità di pubblicazioni che corrispondessero ai criteri richiesti dall’impact factor, e in campo

 psicoanalitico dalla questione di individuare unità nucleari minime come oggetto della ricercaempirica, il che ha indirizzato la scelta verso la ricerca concettuale (Leuzinger Bohleber-Target,

2002; Centro Nazionale per la ricerca SPI, 2002; Dazzi Lingiardi Colli, 2006).Le difficoltà da superare per realizzare incontri non solo a livello delle idee, ma anche deiconcreti progetti di ricerca comune sono note: su questo Maria Ponsi ha aperto un interessantedibattito nel settore di spiweb da lei curato (Contributi per la ricerca in psicoanalisi). Tuttavia, atitolo di esempio, per testimoniare la fecondità di un approccio comune a questa tematica, vorreicitare due esperienze.

L’articolo di Gabbard e Westen (2003) «Ripensare l’azione terapeutica» ha suscitato unampio e vivace dibattito sui diversi metodi di cura, in tutto il settore, a cominciare dal confrontoaperto tra diverse voci su Gli Argonauti, dando luogo a una riflessione su che cosa si intende per

 processo di cura, il che è preliminare a un confronto tra modelli e risultati diversi. La specificità

dell’articolo stava non solo nell’attualità del tema trattato, ma anche nelle diverse e multiplecompetenze degli autori che erano stati capaci di affrontare insieme un’area così problematica econflittuale.

L’altro esempio è una ricerca integrata condotta in collaborazione tra le équipes di VittorioGallese neuroscienziato e Filippo Maria Ferro (2011) psichiatra e psicanalista, relativamente agiovani soggetti seguiti dai servizi, ritenuti a rischio di scompenso psicotico per la lorovulnerabilità emozionale, riscontrata in specifiche situazioni relazionali riproducibili (es.:reazioni emotivamente significative al touch  che segna i confini tra sé e altro) e registrabilitramite la FMRI.

Il terreno di ricerca nel quale questo incontro può più fecondamente realizzarsi ritengo siaquello che riguarda la prevenzione e quindi l’area evolutiva. Non è un caso che a livello della

 psichiatria siano stati messi a disposizione fondi per le ricerche riguardanti la questione degliesordi della patologia mentale grave e che in psicoanalisi la ricerca e la pratica clinica si sianorivolte in modo elettivo verso l’area dei rapporti primari (Salomonsson, 2007; Tronick, 2008).

Alcune sperimentazioni istituzionali potranno dare indicazioni interessanti, come quellaintrapresa dalla Comunità Ripa Grande di Roma, che fa parte della ASL e del dipartimento, una«Struttura residenziale ad alta intensità terapeutica» (SRAIT) che offre un’ospitalità a tempodefinito a giovani al primo scompenso, allo scopo di evitare con il ricovero in SPDC l’ingresso

in un percorso di potenziale cronicizzazione, di fare un approfondimento diagnostico psicodinamico in contesto relazionale e dare indicazioni terapeutiche efficaci e personalizzate.L’équipe, diretta da una psicoanalista, Maria Grazia Capulli, vede presenti professionalitàdiverse e si avvale della supervisione esterna di uno psicoanalista, sia per i casi singoli, sia per illavoro di gruppo.

Nella cultura

Si tratta di sviluppare una cultura comune sulla sofferenza mentale grave, dei luoghi diincontro e di scambio, di convivenza, prima di arrivare a ibridazioni, e ad affrettate

semplificazioni riduttivistiche, a sostegno o a svalutazione di una posizione o di un’altra. Il

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 punto comune è quello con cui ho iniziato questa riflessione: la constatazione relativaall’immediata e spontanea identificazione che psicoanalisti e psichiatri hanno almeno una volta

 provato con la follia dell’altro che sta loro davanti: «mon hypocrite lecteur, mon semblable, mon

 frère», per dirla con le parole di Baudelaire.Una tappa nella direzione di sviluppare un cultura comune senza affrettate ibridazioni è

stata la pubblicazione di  Psiche. Dizionario storico di psicologia, psichiatria, psicoanalisi,neuroscienze (2006) da parte di importanti studiosi delle discipline che si occupano della psiche(Barale, Bertani, Gallese, Mistura, Zamperini), con contributi di qualità di esperti del settore,collocati uno dopo l’altro, come segno dello stato delle cose, base e sfondo da cui ripartire per

 progetti possibilmente integrati.Il richiamo che Correale fa spesso all’importanza dell’uso di un linguaggio condiviso nella

relazione col paziente e con i colleghi di altre specialità mi sembra che vada raccolto con particolare attenzione. Correale (2012) ritiene che i nuclei psicoanalitici fondamentali possanoessere tradotti nel linguaggio della vita ordinaria senza perdere di rigore: con Wittengsteinsostiene che il linguaggio ordinario abbia delle potenzialità comunicative potentissime (come

quello dei poeti testimonia, aggiungo io), ma che tali nuclei vadano profondamente elaborati, inmodo da perdere la veste scolastica o accademica e diventare «vere idee fecondatrici».

Del resto, Musatti con la sua alta divulgazione ha permesso di far conoscere i territoridell’inconscio freudiano a una popolazione non specialistica4, senza mai diventare un assertoredi verità assolute, e mantenendo il suo marker di origine di scienziato, con cui si era avvicinatoalla psicoanalisi all’Università di Padova, da studioso di matematica prima, poi da ricercatoresperimentale dei meccanismi della percezione insieme al suo maestro Vittorio Benussi, e infineda curatore e divulgatore della traduzione delle opere di Freud.

Una cultura comune si va costruendo anche in occasione di incontri su temi non

direttamente professionali, come ad esempio nei cicli di film seguiti da commenti e discussionisu situazioni psicopatologiche, che ormai sono una tradizione, in collaborazione con cineteche ocentri culturali di molte città (Roma, Milano, Firenze, Padova, Bologna, l’iniziativa Cinema e

 psicoanalisi al Festival di Spoleto, la rassegna Cinemente al Palexpo di Roma ecc.). Questeiniziative sono utili perché permettono di incontrarsi avendo in comune un oggetto di interesse,intorno al quale costruire emozioni e pensieri.5  Certo, c’è il rischio della superficialità,dell’approssimazione, della chiacchiera. Ma occorre tenere conto anche dell’altro rischio, quellodi parlare solo con chi condivide il proprio vertice osservativo e la propria metodologia e diisolarsi rispetto al contesto condiviso utilizzando linguaggi criptici specialistici.

Avveniristiche sono le osservazioni di Sivio Merciai (2012) che guardano lontano, versouna cultura comune, che registra la tendenza in alcuni settori della medicina a impostare terapiesu misura come avviene in psicoanalisi, non per mancanza di una base scientifica, ma per lenecessità della cura di soggetti che funzionano secondo parametri comuni ma ancheidiosincratici in una dinamica dialettica di aspetti biopsicosociali.6 

4 La Casa Editrice Bollati Boringhieri ha di recente pubblicato una raccolta di scritti di Musatti Sulla Psicoanalisi

(2012), in cui si ha la possibilità di conoscere questa sua capacità di essere insieme comprensibile e rigoroso nellavoro di analisi con i pazienti.5 Come hanno mostrato anche l’European Film Festival di Londra, organizzato dalla British PsychoanalyticalSociety www.psychoanalysis.org.uk/epff6/ , arrivato alla sesta edizione, e il successo di visite allo spazio cinema

del sito della SPI (www.spiweb.it).6 «Si aprono a questo punto, evidentemente, delle strade importanti di ricerca, anche clinica: non solo nei termini di

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L’unicità del soggetto umano e quindi la necessità di tenere conto delle specificità di ogniindividuo nel contesto relazionale e sociale in cui vive è un elemento che appartiene alla cultura

 psicopatologica della grande fenomenologia, che tutti, psichiatri e psicoanalisti, hannoattraversato, e che non a caso si è spesso congiunta, come nell’opera di Eugenio Borgna, conl’attenzione alle condizioni sociali in cui vivono le persone sofferenti, e quindi con l’emergenza

interiore che mosse Basaglia a porre fine a un deterioramento così estremo della dignità umanaquale vigeva nel sistema manicomiale .Sul Domenicale de  Ilsole24Ore  del 21 febbraio 2010, ricordando i trent’anni trascorsi

dalla morte di Basaglia, Eugenio Borgna intervenne a nome de  L’anima perduta della

 psichiatria: «La legge di riforma psichiatrica consente, ora, di svolgere la migliore delle psichiatrie possibili; ma, perché questa si realizzi fino in fondo, una cosa è necessaria: che ci siconfronti con la sofferenza dei pazienti, con il loro lancinante dolore dell’anima, con le lorodisperate richieste di aiuto, le loro e quelle dei loro familiari…».

La psicoanalisi invita ad ascoltare, ciò che è stato rimosso, ciò che non è mai emerso allaluce della coscienza, ciò che è stato cacciato via nel sintomo, o scisso e proiettato in altri mondi,

extraterrestri. Ascoltare è doloroso e difficile, crea problemi, invece di risolverne, ma costituiscela premessa di qualsiasi cura della sofferenza, anche di quella mentale.

La decisione di chiudere i manicomi ne è stata la premessa indispensabile, perricominciare a occuparsi del soggetto umano e delle cure più adatte ad attenuare la suasofferenza e quella dell’ambiente in cui vive. Il coraggio e la visionarietà di Basaglia sono statisenza paragoni.

Le critiche su come è stata finora realizzata la riforma psichiatrica, con gli strumenti delricovero in reparto ospedaliero e la cura sul territorio, hanno senso e devono essere utilizzate perrealizzare più pienamente la riforma psichiatrica e l’ascolto della voce della sofferenza mentale.

I limiti e i difetti sono moltissimi, ma niente è lontanamente paragonabile alla devastazione delmanicomio, che riproduceva all’esterno un processo di silenziamento e di distruzione che èsempre in procinto di riaffacciarsi all’interno di ciascuno, verso se stessi e verso gli altri: sedare,silenziare, ignorare, rinchiudere (Ferruta, 2011). Il manicomio è un rischio sempre presente nella

 psiche umana: costruirlo anche all’esterno crea un circolo vizioso di continuo rafforzamento,che finisce per presentarsi alla coscienza come una muraglia insormontabile da conservare ericostruire continuamente.

Qualcuno, Basaglia, non se ne è lasciato intimidire, e ha dato a tutti la possibilità lavorare per ricercare metodi di cura che non comportassero nuovi silenzi e nuove chiusure. Dopo di lui, i

discorsi sulla sofferenza mentale non possono più essere generici, ma devono entrare nel meritodi quali cure per quali pazienti, in un nesso relazionale che non isola il folle, ma lo include nel processo di cura e di vita sociale: terapeuti e pazienti, sofferenza del soggetto e ricercascientifica, io e altro.

quale terapia consigliare a chi, come si diceva, ma anche di come costruire forme nuove di integrazione tra terapiafarmacologica e terapia della parola e di come articolare tipologie di interventi specificamente tagliati su misura del

 paziente. […] Le neuroscienze non sapranno mai dirci come relazionarci con un paziente, come ascoltarlo e checosa dirgli e sciocco sarebbe aspettarselo: ma mi piacerebbe molto che fossimo in grado di accettare la loro sfida

 per la costruzione di una disciplina che offra spazi interdisciplinari per la comprensione del funzionamento mentalee delle sofferenze dell’intersoggettività, e quindi, in prospettiva, per aiutarci come terapeuti e come gruppo umano,

a vivere meglio». 

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Conclusioni

Questo numero di  Psiche vuole fare una riflessione e aprire un dialogo sullo stato dellecose tra psichiatria e psicoanalisi, per sviluppare linee future. Si tratta di lavorare nel campo: è

 proprio la pratica condivisa di tutti questi territori che è venuta a mancare, e che invece potrebbe

 permettere sviluppi profondi e comunicabili reciprocamente. Si tratta di individuare nellospecifico fenomeni precisi da approfondire, tecniche adeguate da inventare.

In fondo, sappiamo quali sono le cose che fanno stare meglio le persone. Lo sanno i poeti,che aiutano in modo emozionale psichiatri e psicoanalisti a capire umanamente l’altrosofferente, proprio come un tempo aiutavano il medico condotto che teneva nel suo studio i testidei grandi classici.

Per questo voglio concludere facendo risuonare la voce di un poeta, il premio Nobel DerekWalcott, dell’isola e dello stato Caraibico di Santa Lucia, che raccoglie e ricanta i suoni e idesideri di un mondo plurale, storico e astorico, a cominciare dal suo poema Omeros. In questiversi Tomorrow, Tomorrow parla della necessità interiore di mettersi in cammino per incontrarel’altro, il non ancora conosciuto, e della struggente difficoltà a farlo, quando si ha negli occhi enel cuore, as dawn roses the brickwork,  l’orizzonte della propria isola, il mondo a cui siappartiene, ma with one beep of its horn arriva il richiamo ad andare verso l’incontro.

Tomorrow, Tomorrow

 I remember the cities I have never seen

exactly. Silver-veined Venice, Leningrad

with its toffeee-twisted minarets. Paris. Soon

the Impressionists will be making sunshine out of shade.

Oh! and the uncoiling cobra alleys of Hyderabad.

To have loved one horizon is insularity;

it blindfolds vision, it narrows experience.

The spirit is willing, but the mind is dirty.

The flesh wastes itself under crumb-sprinkled linens,

widening the Weltanschauung with magazines.

 A world’s outside the door, but how upsetting

to stand by your bags on a cold step as dawn

roses the brickwork and before you start regretting, your taxi’s coming with one beep of its horn,

 sidling to the curb like a hearse – so you get in.7  

7  Domani, domani

Ricordo le città che non ho mai vistodavvero. Venezia venata d'argento, Leningradodai minareti di meringa ritorta. Parigi. Prestogli impressionisti estrarranno luce dall’ombraAh! e i vicoli di Hyderabad districati come cobra.

Aver amato un solo orizzonte è insularità; metteuna benda alla visione, limita l’esperienza.

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SINTESI E PAROLE CHIAVE

Questo articolo introduttivo affronta il fenomeno del progressivo e reciproco isolamento di psichiatria e psicoanalisi. Eppure il terreno comune è sempre più esteso: concerne le teorie complesse che configuranodinamiche multiple continuamente in via di trasformazione tra aspetti bio-psico-sociali del soggetto

umano. L'articolo si interroga intorno al quesito se c'è una specificità dell'oggetto, la sofferenza psichica profonda, che rende l'incontro tra psichiatria e psicoanalisi difficile, anzi sollecita ad intraprendere stradedifferenti, alla ricerca di una teoria statica e di una qualità risolutiva della risposta di cura. Propone poiterreni privilegiati nei quali psicoanalisi e psichiatria possono fecondamente incontrarsi: formazione,clinica, ricerca, cultura. Si tratta di lavorare nel campo: è proprio la pratica condivisa di tutti questiterritori che è venuta a mancare, e che ha reso impraticabili sviluppi profondi e comunicabilireciprocamente.PAROLE-CHIAVE: Clinica, cultura, formazione, psicoanalisi e psichiatria, qualità della risposta dicura, relazioni primarie, ricerca, teorie statiche. 

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Lo spirito è operoso, ma la mente è infetta.Sotto lenzuola cosparse di briciole la mente s’infesta,espandendo la Weltanschauung  con le riviste.

Là fuori c'è un mondo, ma quant’è frustrantestarsene accanto alle borse sui gradini glacialimentre l’alba arrosa i mattoni e, prima che si alzi il rimpianto,

il tuo taxi arriva con un colpo di clacson,si accosta come un carro funebre – così sali.

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