Federpietre n.4 Settembre 2014

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Editore: Studio EffeErre Sas - Via Albani, 58 - 20148 Milano | POSTE ITALIANE SPA - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv., in L. 27.02.2004, n. 46), art. 1, comma 1, DCB MILANO 04 SETTEMBRE 2014 Trimestrale della Federazione Nazionale dei Commercianti in Diamanti, Perle, Pietre Preziose e dei Lapidari FEDERPIETRE ...E il sogno può diventare realtà, editoriale di Raffaele Maino Al cuore delle gemme: le inclusioni Diamante sintetico: tecnologia e commercio

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Trimestrale della Federazione Nazionale dei Commercianti in Diamanti, Perle, Pietre Preziose e dei Lapidari.

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Editore: Studio EffeErre Sas - Via Albani, 58 - 20148 Milano | POSTE ITALIANE SPA - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv., in L. 27.02.2004, n. 46), art. 1, comma 1, DCB MILANO

04SETTEMBRE 2014 Trimestrale della Federazione Nazionale dei Commercianti

in Diamanti, Perle, Pietre Preziose e dei Lapidari

FEDERPIETRE

...E il sogno può diventare realtà, editoriale di Raffaele Maino

Al cuore delle gemme: le inclusioniDiamante sintetico: tecnologia e commercio

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SOMMARIO

EDITORIALEDEL PRESIDENTE

05 // ...E il sogno può diventare realtà

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IN REDAZIONE10 // Moda, lavori in corso

11 // That’s cool:intervista a Carlo Massarini

12 // Due passi nei giardini d’Italia14 // Il ritorno al futuro del Made in Italy

15 // Orafi , non fate come la NASA!

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GEMMOLOGIA22 // Diamante sintetico:tecnologia e commercio

24 // Al cuore delle gemme:le inclusioni

26 // Italian gemologist27 // IGI docet

28 // Il nuovo consiglio direttivo IGI

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CULTURA20 // La gloria di Augustoin una gemma

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NOTIZIE06 // Brevi dal mondo

06

ECONOMIA16 // Svalutare

in un mondo globalizzato19 // Ripensare l’Euro

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LEGGENDOQUA E LÀ

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30 IL PUNTO DI VISTA30 // Il futuro dei mestieri artigianali

Periodico di Federpietre - Federazione Nazionale dei Commercianti di Diamanti,Perle, Pietre Preziose e dei LapidariTrimestrale - Anno XIV - N° 4/Settembre 2014FederpietreE-mail: [email protected]

Registrazione Tribunale di Milano n. 653del 17-10-2000 - POSTE ITALIANE SPA - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv. in Legge 27.02.2004, n. 46), art.1, comma 1, DCB MILANO

EditoreStudio EffeErre SasVia F. Albani 58 - 20148 MilanoTel. +39 02 33001100Tel. +39 02 39264512Fax: +39 02 [email protected]

Direttore EditorialeAnnalisa Fontana

Direttore ResponsabileGloria Belloni

RedazioneSonia Sbolzani

Hanno collaboratoa questo numeroAlberto MalossiRaffaella NavoneEmanuele CostaFranco Cologni

Progetto grafico,impaginazionee coordinamentoStudio EffeErre - Milano

Pre-stampaGrafimar - Milano

StampaJona srl - P. Dugnano, MI

FEDERPIETRE

Editore: Studio EffeErre Sas - Via Albani, 58 - 20148 Milano | POSTE ITALIANE SPA - Sped. in Abb. Post. - D.L. 353/2003 (conv., in L. 27.02.2004, n. 46), art. 1, comma 1, DCB MILANO

04SETTEMBRE 2014 Trimestrale della Federazione Nazionale dei Commercianti

in Diamanti, Perle, Pietre Preziose e dei Lapidari

FEDERPIETRE

E il sogno può diventare realtà, editoriale di Raffaele Maino

Al cuore delle gemme: le inclusioniDiamante sintetico: tecnologia e commercio

In copertina:Di Van Cleef & Arpels gioielli della nuova collezione “Peau d’Ane” (Pelle d’Asino)

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I SOCI DI FEDERPIETREPubblichiamo qui l’elenco delle aziende associate a Federpietre (non tutte, poiché alcune per motivi personali non hanno dato il loro consenso).

Vuole essere un modo per sottolineare il loro “valore aggiunto” generato dall’appartenenza ad una Federazione coesa e attiva, che da sempre opera per

tutelare e promuovere la professionalità e l’etica dei commercianti di pietre preziose aderenti, sostenendo il settore orafo nel suo complesso.

Bianco Gian Piero DiamantiViale Galimberti 12 - 15048 Valenza (AL)Telefono: 0131 924704 - Fax: 0131 942218E-mail: [email protected]

Bidiamond srlCorso Garibaldi 138/C - 15048 Valenza (AL)Telefono: 0131 955875 - Fax: 0131 945339 E-mail: [email protected]

Borsalino Diamanti srlVia Mazzini 15 - 15048 Valenza (AL)Telefono: 0131 941003 - Fax: 0131 946557E-mail: [email protected]

Boss Diamond SrlVia Michelangelo, 1 - 15048 Valenza (AL)Telefono e Fax: 0131 947575E-mail: [email protected]

Brioschi srlViale Vicenza 3/A - 15048 Valenza (AL)Telefono: 0131 943029 - Fax: 0131 951602E-mail: [email protected]

Capellaro & C. srlVia Baiardi 33 - CO.IN.OR.Zona D2 Lotto 2G 15048 Valenza (AL)Telefono: 0131 924809 - Fax: 0131 945689E-mail: [email protected]

Castellini DiamantiVia San Maurilio 13 - 20123 MilanoTelefono e Fax: 02 72094241E-mail: [email protected]

Diamante srlVia Pietro Micca 10 - 10122 TorinoTelefono: 011 533532 - Fax: 011 532472E-mail: [email protected]

Dott. Carlo Paolillo & C. srlVia della Scrofa 14 - 00186 RomaTelefono: 06 6875006 - Fax: 06 6893368E-mail: [email protected]

Enzo Liverino 1894 srlVia Montedoro 61 - 80059 Torre del Greco (NA)Telefono: 081 8811225 - Fax: 081 8491430E-mail: [email protected]

Ideal Diamonds srlVia Calefati 42 - 70122 BariTelefono: 080 5230138 - Fax: 080 5230138E-mail: [email protected]

IGI - Istituto Gemmologico ItalianoPiazza San Sepolcro 1 - 20123 MilanoTelefono: 02 80504992 - Fax: 02 80505765E-mail: [email protected]

Maino sasVia Curtatone 11 - 20122 MilanoTelefono: 02 5466375 - Fax: 02 55014924E-mail: [email protected]

Mineralgemme sasC.so Porta Romana 68 - 20122 MilanoTelefono: 02 58318040 - Fax: 02 58318050E-mail: [email protected]

Pasquarelli Danilo srlVia Camasio 15 - 15048 Valenza (AL)Telefono: 0131 954361 - Fax: 0131 953366E-mail: [email protected]

Petramundi srlVia Donizetti 14 - 15048 Valenza (AL)Telefono: 0131 946234 - Fax: 0131 971579E-mail: [email protected]

Taché Diamonds Italia srlCorso Garibaldi 114 - 15048 Valenza (AL)Telefono: 0131 947322 - Fax: 0131 947332E-mail: [email protected]

Storchi ChiaraViale S. Michele del Carso 3 - 20144 MilanoTelefono: 02 40095499 - Fax: 02 48701676E-mail: [email protected]

Valentini srlVia C. Battisti 3 - 15048 Valenza (AL)Telefono: 0131 941000 - Fax: 0131 951643E-mail: [email protected]

Z.B.F. sncViale Repubblica 141/A - 15048 Valenza (AL)Telefono: 0131 943481 - Fax: 0131 951675E-mail: [email protected]

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Ho iniziato il mio terzo mandato come Presidente di Federpietre con due pensieri, uno rivolto all’esterno, l’altro al nostro “orticello”.

Il primo si connette a quello che, malgrado il lungo strascico della fase recessiva, dovrebbe essere l’inizio della ripresa. Come riuscirà il mondo orafo a interpretare tale momento? Riusciremo a mettere a frutto i sacrifici compiuti in questi ultimi anni di “magra” e cavalcare la tigre del decollo? E basterà avere le carte in regola, supposto che ce le siamo procurate, per vincere la partita? Tante metafore per esprimere qualche mio timore sì, ma anche una fiducia profonda nel valore della passione e dell’impegno in questa professione che, per quanto se ne dica, resta uno dei mestieri più “speciali”. Tra i comparti di punta del made in Italy, come ha evidenziato anche l’ultima ricerca del Centro Studi di Intesa Sanpaolo, i preziosi continueranno ad essere, anzi lo saranno ancora maggiormente, i prodotti con la più alta vocazione all’export nei prossimi anni (assieme agli articoli di pelletteria).Per noi commercianti di gemme

l’importante è che dopo esserci riorganizzati in modo adeguato siamo in grado di uscire dalla logica della compressione della filiera e sappiamo caratterizzarci sempre più come partner insostituibili in termini di fornitura di servizi, non solo di materie. Quindi dovremo diventare sempre più soft, hi-tech e hi-touch.

La seconda idea riguarda più da vicino la nostra Federpietre, per cui sogno un futuro da “fronte della qualità”, composto da commercianti di professionalità riconosciuta, in grado di offrire gemme “sicure”, così da tutelare i clienti al meglio. A mio parere, il futuro delle associazioni di questo settore è proprio questo. È una riflessione che ho fatto quando nei mesi scorsi ho letto la notizia del ritrovamento (in USA e India) di alcuni diamanti sintetici in lotti naturali. Prima mi sono detto: “Che guaio in termini di reputazione per i diamantaires!”.Poi però ho considerato che da ogni problema può nascere un’opportunità, soprattutto quando a volerla cogliere sono gli operatori più onesti, competenti e preparati. Che bello sarebbe, in riferimento ad una

circostanza come questa, avere una sorta di “community” di diamantai di alto profilo che potesse offrire ai propri clienti una garanzia certa di naturalità delle gemme vendute, magari formulando una dicitura da inserire in fattura come “Guaranteed by Federpietre: natural diamonds totally, no synthetic lab grown gems”. È un esempio, ma credo che renda bene l’idea di quello che vorrei...

Ciò non toglie che dovremo continuare ad impegnarci sul fronte della collaborazione reciproca con le altre associazioni del comparto delle gemme e del settore orafo in generale per poter disporre insieme della forza e della massa critica per contare davvero in ogni contesto, a cominciare da quello politico-istituzionale.

Lavorerò dunque perché il mio sogno si tramuti in realtà, consapevole che una grande mano me la daranno gli stessi soci di Federpietre, che rappresentano da sempre il fior fiore del comparto a livello nazionale da tutti i punti di vista.

Raffaele Maino

...E IL SOGNO PUÒ DIVENTARE REALTÀ

L’editorialedel Presidente

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I “fantastici quattro”dei diamanti

I vertici dei 4 principali enti rappresentativi del settore diamantifero hanno deciso di istituire “The Presidents Forum”, una commissione congiunta avente compiti consultivi, formata dai Presidenti di ciascun organismo. Costoro dovranno discutere insieme ed elaborare strategie e politiche coordinate per affrontare le più importanti questioni di comune interesse. Nello specifico i “fantastici 4” sono: Gaetano Cavalieri, Presidente di CIBJO (World Jewellery Confederation), Maxim Shkadov, Presidente della International Diamond Manufacturers Association (IDMA); Ernest Blom, Presidente della World Federation of Diamond Bourses (WFDB) e Edward Asscher, Presidente del World Diamond Council (WDC). L’accordo tra le parti è stato siglato ad Anversa, lo scorso Giugno, sotto l’egida di Eli Izhakoff, Presidente Onorario di CIBJO, WFDB e WDC. Il Presidents Forum, che assurge ad alfiere dell’industria mondiale dei diamanti ad ogni livello della pipeline, ha tra i suoi scopi più immediati quello di formulare linee guida di due diligence per difendere l’integrità della catena produttiva e commerciale.

A seguito delle votazioni indette in occasione dell’Assemblea Generale dei Soci, sono state assegnate le cariche direttive di Federpietre per il triennio 2014-2016.

IL NUOVO CONSIGLIO DIRETTIVO DI FEDERPIETRERISULTA COSÌ COMPOSTO:

• Raffaele Maino, Presidente

• Paolo Valentini, Vicepresidente

• Rocco Gay, Segretario

• Marco Borsalino, Tesoriere

• Gian Piero Bianco, Consigliere

• Pietro Boccalatte, Consigliere

• Alberto Galante, Consigliere

• Vincenzo Liverino, Consigliere

• Bruno Zilio, Consigliere

Il Presidente Raffaele Maino, 65 anni, milanese, commerciante di diamanti, è al suo terzo mandato. Appena eletto, ha dichiarato che mira a consolidare la struttura associativa di Federpietre e ad intensificare i rapporti di collaborazione con gli altri enti del settore orafo che perseguono i medesimi obiettivi.In particolare, egli intende valorizzare la missione etica della Federazione, promuovendo normative che responsabilizzino gli operatori e ne tutelino gli interessi. Inoltre, il Presidente Maino si propone di qualificare sempre più Federpietre come un sodalizio di operatori dotati di professionalità superiore nell’ambito delle gemme, in grado di garantire l’eccellenza dei propri prodotti e servizi.

Avantipiano

Il settore orafo ancora una volta si è confermato, insieme alla pelletteria, un autentico volano per il commercio italiano con l’estero, secondo i dati 2013 di Intesa Sanpaolo, che evidenziano per il nostro comparto una crescita del 7,8% (6

Eletto il Consiglio Direttivo di Federpietre2014-2016

NOTIZIE DAL MONDO

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Gioielleriada fiaba

A Van Cleef & Arpels Franco Cologni ha dedicato un prezioso libro - “Elogio della mano”, edito da Marsilio e illustrato con dovizia - rendendo omaggio al lavoro, discreto ma essenziale, dei maestri d’arte che hanno reso la maison parigina un’icona mondiale dell’alta gioielleria. È un invito a compiere un viaggio affascinante tra i capolavori delle

Ashish Deoè il nuovo CEOdi RJC

Il Responsible Jewellery Council (RJC), organismo internazionale di standardizzazione e certificazione che annovera circa 500 membri rappresentativi di tutta la filiera produttiva e commerciale, ha nominato l’anglo-indiano Ashish Deo nel ruolo di Chief Executive Officer. Ashish, che vanta una solida esperienza nel settore sia dei beni di consumo che di lusso, intende portare avanti e intensificare la missione di RJC di diffondere a livello globale le migliori pratiche di business, puntando in particolare sul concetto di responsabilità d’impresa, sempre più sentito e preteso dai consumatori finali. Il Presidente del RJC James Courage ha affermato che l’arrivo di Ashish darà impulso alla crescita dell’ente e all’offerta di sempre più efficienti servizi. Intanto il Responsible Jewellery Council ha pubblicato il suo primo Impacts Report, intitolato “Building Responsible Jewellery Supply Chains”, che delinea lo stato dell’arte dei programmi di certificazione alla luce del quadriennio 2010-13, gettando le premesse dell’attività futura in tema di valutazione del business.

Orafo Italianosi cambia

Ilaria Danieli è il nuovo direttore editoriale della prestigiosa rivista di gioielleria “L’Orafo Italiano” (Edifis editore), succedendo alla stimata Marina Morini alla guida di una delle voci storiche del panorama mediatico di settore in Italia. Giornalista, consulente, insegnante accademica, esperta di gioielli e moda per autorevoli testate, Danieli ha lavorato tra l’altro per “Vogue Gioiello”, “Vogue Pelle”, “Vogue Accessory” del gruppo Condé Nast e poi per Class, Rizzoli, Gold Magazines. Auguri di buon lavoro a Ilaria da parte di Federpietre! E buon lavoro parimenti ad Andrea Aiello, amministratore delegato de “L’Orafo Italiano”, che ha assunto anche l’incarico di direttore responsabile della rivista.

miliardi di euro in termini di valore), a riprova che la recessione è quasi finita, benché la ripresa sia estremamente lenta. La ricerca condotta dal Servizio Studi sul Sistema Moda&Design e presentata da Stefania Trenti ha fatto emergere uno scenario economico in cui il Giappone appare in frenata, mentre l’America è in fase di assestamento e l’Europa vira verso la crescita. Per quanto riguarda l’Italia, il ciclo volge verso una fase timidamente espansiva. La fiducia dei consumatori è infatti in aumento, come rilevato anche dall’Istat. L’indagine di Intesa San Paolo stima che da qui al 2016 le vendite saliranno sia nell’industria manifatturiera sia nella moda e nel design (gioielli compresi), ovvero i comparti in cui il nostro Paese ha saputo preservare meglio i suoi punti di forza grazie anche alla filiera integrata del Made in Italy ed al suo straordinario patrimonio di conoscenze e know-how.

“Mains d’Or”; in effetti ad ogni mestiere è riservato un capitolo che ne ripercorre la storia e le peculiarità. In questo modo viene indagata tappa per tappa la creazione di un gioiello sublime, dal momento in cui questo viene ideato e disegnato fino alla sua realizzazione finale, per scoprirne non solo il valore intrinseco ed estetico, ma anche e soprattutto la sua straordinaria storia, fatta di maestria, di disciplina, di tante ore di studio e di lavoro. Fondata a Parigi nel 1896, Van Cleef & Arpels svela in questo libro dell’italiano Cologni, forse per la prima, tutti o quasi i suoi segreti. Scrive l’autore: “L’Alta Gioielleria è l’universo del sogno, del lusso autentico, della preziosità degli oggetti che la mano dell’uomo riesce a foggiare partendo dai materiali più nobili offerti dalla Terra. Ciò nonostante, le numerose operazioni necessarie per la creazione di un pezzo d’Alta Gioielleria non sono sempre conosciute e valorizzate, benché si tratti, secondo me, di un fattore importante. È proprio la straordinaria abilità dei suoi artigiani che contribuisce alla distinzione di una Maison”.E proprio a Van Cleef & Arpels è dedicata la copertina di questo numero di Federpietre Informa con l’immagine di tre versioni di uno dei “pezzi” di alta gioielleria della collezione ispirata a una fiaba ben nota, Peau d’Ane (Pelle d’Asino). Le creazioni portano in vita una storia preziosa ed evocano una ricca gamma di emozioni.

Damiani - Alchimiadel desiderio

Dal 19 Giugno al 7 Settembre alla Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti a Firenze la maison Damiani ha festeggiato il suo novantesimo compleanno con una grande retrospettiva delle

Federpietre Informa // NOTIZIE

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La Russia, quinto mercato del lusso in Europa (e decimo nel mondo), nel 2014 registrerà un calo dei consumi nel segmento dei prodotti di fascia elevata tra il 4 e il 6%. È quanto previsto dalla Fondazione Altagamma, che ha sottolineato come pesino sulla “frenata” russa, più che gli squilibri geo-politici (situazione della Crimea in testa), le debolezze strutturali dell’economia, a cui si sono aggiunte, di recente, la caduta del rublo e la fuga di capitali sull’onda del clima di incertezza. Solo nel 2017 l’andamento dovrebbe migliorare, allorché sarà effettiva la riduzione dei dazi sui prodotti haut-de-gamme. “La

Russia:lussoin sofferenza

Sono le gemme con effetti ottici le protagoniste della conferenza tenuta dalla gemmologa Loredana Prosperi il 9 Settembre, in occasione di VicenzaOro Fall (“Gli effetti speciali delle gemme: magie ottiche nel cuore del colore”, sala 7.1.2a, ore 11). L’evento organizzato dall’Istituto Gemmologico Italiano affronta un tema molto affascinante anche per i non addetti ai lavori, focalizzandosi su aspetti scientifici curiosi delle pietre di colore, come ad esempio l’arlecchinamento dell’opale nobile, l’adularescenza della pietra di luna, l’avventurinamento della pietra del sole e del quarzo avventurina, il metamerismo o cangianza della alessandrite e di alcuni granati, ecc. Maggiori informazioni sulla conferenza si trovano su www.igi.it

L’appuntamentoIGIa VicenzaOro Fall

Una mostra sulla storica Collezione Castellani - “L’oro nei secoli” - è in scena fino al 2 Novembre negli spazi espositivi della Basilica di San Francesco ad Arezzo. Curata da Alfonsina Russo e da Ida Caruso, l’esposizione presenta, attraverso un’importante selezione di gioielli e documenti d’archivio, nonché un innovativo allestimento multimediale, la storia dell’oreficeria italiana nel XIX secolo, in una fase culturale e politica caratterizzata dalle vicende risorgimentali da una parte e dalle grandi scoperte archeologiche nel Lazio e in Etruria dall’altra. Protagonista principale di questo momento fu la famiglia Castellani, composta da cultori del mondo classico e abilissimi orafi, in grado per un secolo di dettare al mondo una nuova moda: quella del “gioiello archeologico”. La mostra aretina è arricchita da un’antica bottega orafa, ricreata grazie alla collaborazione di Argenterie Giovanni Raspini. Tradizione e innovazione, arte e storia si uniscono dunque in questo evento che offre al pubblico uno straordinario florilegio di gioielli della Collezione Castellani, custodita al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia di Roma e finora uscita solo per mostre a Londra e New York.

Arezzoospita i gioielli Castellani

Per un pugno di pepite… Viene voglia di parafrasare il titolo del celebre film di Sergio Leone apprendendo la notizia della contesa nata tra Regione Valle d’Aosta e Regione Lombardia riguardo ad alcuni pezzi d’oro. Si tratta di cinque pepite appunto, che alcuni cercatori trovarono nel 1999 nella miniera valdostana di Brusson, poi venduti nel 2009 al Comune di Milano rappresentato dall’allora sindaco Letizia Moratti. In seguito, Palazzo Marino decise di cedere i preziosi reperti al Museo di Storia Naturale, dove tuttora si trovano esposti. Solo oggi, però, la Valle d’Aosta sembra essersi accorta di quello che considera un furto e, per vie legali, intende far valere le proprie pretese di restituzione, in quanto le pepite sarebbero state trovate “senza qualsivoglia permesso di ricerca” e, pertanto, l’acquisto da parte del Comune ambrosiano deve ritenersi illegittimo. Ai giudici il compito di stabilire chi sono in questa vicenda il “buono, il brutto e il cattivo”.

Le pepitecontese

sue creazioni: un’occasione per offrire una carrellata delle più splendide parure d’epoca del brand valenzano, a cui si aggiungono le 18 creazioni che si sono aggiudicate l’Oscar della gioielleria. Il marchio amato dai vip (da Sharon Stone a Brad Pitt, da Gwyneth Paltrow a Sophia Loren, storica ambasciatrice dell’azienda) è celebrato anche da un volume patinato uscito in libreria col titolo “Damiani - Alchimia del desiderio” curato da Cristina Morozzi, nel quale l’impresa fondata nel 1924 da Enrico Grassi Damiani si racconta attraverso foto e disegni d’archivio che documentano la sua lunga evoluzione creativa. Fra gli spunti più interessanti contenuti nella preziosa monografia vi sono le testimonianze dei maestri artigiani che con le loro abili mani hanno saputo trasformare gemme e metalli in meravigliosi gioielli “eccellenze d’Italia”. Nel libro è pubblicata anche un’intervista esclusiva alla sempre brillante Loren, super-fan di Damiani.

base attuale dei consumatori di alta gamma non dovrebbe ridurre la sua capacità di spesa - ha precisato Armando Branchini, Vicepresidente di Altagamma - ma l’incognita sarà se la platea di consumatori russi si amplierà o meno”. Comunque Mosca si conferma la prima città per il consumo di beni personali di lusso con il 59% del totale, seguita da San Pietroburgo con il 16%. Secondo Global Blue il consumo dei cittadini russi nell’Unione Europea nel primo semestre 2014 è crollato del 13% circa in Italia e in Francia, del 16% in Germania e del 20% in Gran Bretagna, rispetto ad un anno fa. Un tonfo pesante soprattutto per il nostro Paese, che vede nei cittadini russi la prima nazionalità per acquisti.

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Al Forum Sustainable Pearls svoltosi nel Giugno scorso a Hong Kong il Presidente di CIBJO Gaetano Cavalieri ha affrontato il tema di un eventuale Sistema Universale di classificazione delle perle, che è già all’esame della relativa Commissione interna alla stessa Confederazione Mondiale della Gioielleria. “Ci rendiamo conto che non si tratta di un compito facile e che esiste una varietà di pareri sull’argomento” - ha dichiarato Cavalieri - “Ci vuole tempo, ma siamo pazienti, nella convinzione che tale sistema migliorerà la trasparenza e, di conseguenza, la fiducia dei consumatori, che è un pre-requisito assoluto per far andare avanti qualsiasi azienda”. Il Forum di Hong Kong è stato soprattutto l’occasione per promuovere il concetto di “sostenibilità” nel comparto delle perle coltivate, per cui è stata posta particolare enfasi su un approccio globale che tenga conto delle istanze economiche, etiche, ambientali, nonché della responsabilità sociale. “Le perle sono gemme sostenibili” - ha affermato il medesimo Cavalieri, spiegando: “Possediamo gli strumenti e le conoscenze per sviluppare secondo natura la produzione di nuovi prodotti in un periodo di tempo economicamente ragionevole... Ma con le opportunità di business deve venire pure la reponsabilità che riguarda tutti gli stakeholder coinvolti nella filiera”. Il caso dell’industria delle perle coltivate di Tahiti (nella Polinesia francese), che tra 1995 e 2012 ha visto crollare la produzione di quasi l’80%, è un monito a perseguire un corretto bilanciamento tra rispetto per

Perle:un approccioglobale

Italia in primo piano alla International Diamond Week in Israele dall’1 al 4 Settembre grazie alla presenza onoraria di Matteo Marzotto, Presidente della Fiera di Vicenza, e di Corrado Facco, Direttore Generale della stessa realtà vicentina che è tra i principali organizzatori fieristici al mondo. A Ramat Gan i due manager italiani hanno discusso con le controparti asiatiche del rafforzamento dei legami tra il comparto fieristico nazionale e l’industria dei diamanti di Israele, che è un solido avamposto dell’Occidente nella regione medio-orientale. Inoltre hanno avuto l’occasione propizia di incontrare numerosi diamantaires partecipanti all’evento in virtù del piano commerciale ad hoc predisposto dalla Borsa Diamanti israeliana (Israel Diamond Exchange - IDE), presieduta da Schmuel Schnitzer. Marzotto si è detto fiducioso nella possibilità di collaborare con gli operatori israeliani in modo da assicurare valore aggiunto ai membri di entrambi i settori mediante lo sfruttamento sinergico dei rispettivi punti di forza, mentre Facco ha sottolineato gli aspetti etici condivisi con le Borse Diamanti mondiali (World Federation of Diamond Bourses).

Fieradi Vicenzaalla International Diamond Week

Il Consiglio dei Ministri del 23 Luglio scorso, su proposta del Ministro dello Sviluppo economico, Federica Guidi, ha deliberato la nomina a componente del Consiglio di amministrazione dell’ICE - Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, di Licia Mattioli, in sostituzione di Paolo Zegna.Per la prima volta un rappresentante del comparto orafo è presente nel vertice dell’Agenzia ICE, questo a poche settimane di distanza dalla nomina della Presidente di Federorafi a capo del Comitato per l’Internazionalizzazione e gli investitori esteri di Confindustria. Due cariche di grande responsabilità in un paese manifatturiero, di imprese soprattutto medio-piccole ed unbranded e votato all’export, che per la globalizzazione è sempre più alla ricerca di strumenti nuovi e sofisticati per affrontare al meglio i mercati internazionali. Le nuove cariche sono un riconoscimento sicuramente alla persona e all’imprenditrice, ma anche ad un comparto, quello orafo, argentiero e gioielliero, che è da sempre uno degli ambasciatori del Made in Italy nel mondo. Licia Mattioli è Presidente Federorafi dal Maggio 2011 e dal Settembre 2012 è a capo anche degli industriali di Torino.

Licia Mattioliin ICE

Pittore di notevoli capacità tecniche espresse in temi naturalistici e soggetti sacri, in grande auge nella Firenze medicea di fine XVI secolo, il veronese Jacopo Ligozzi (1548-1627), fu un artista estremamente versatile, che si applicò anche al disegno di abiti, arredi, carrozze, oggetti in vetro, suppellettili e gioielli. Il capoluogo toscano, che fu la sua città d’elezione, gli dedica ora una doppia mostra, in corso fino al 28 Settembre presso la Galleria Palatina e il Gabinetto dei Disegni e delle stampe degli Uffizi (a cura di A. Cecchi, L. Conigliello, M. Faietti). A testimonianza della sua viva attenzione per i gioielli, basta ammirare il ritratto che dipinse di Virginia de’ Medici, i cui dettagli ornamentali sono un capolavoro, soprattutto per la dovizia descrittiva dei preziosi monili. In particolare, la sua passione per le gemme si esaltava nell’esecuzione di piani di tavolo a mosaico, come quello che raffigura una stupefacente veduta del porto di Livorno, realizzato su suo disegno dalla manifattura granducale con varie pietre preziose e semi-preziose.

Un artistapoliedrico:mostra a Firenze

l’ambiente e profittabilità dell’impresa. Intanto è giunta la conferma che il prossimo Congresso di CIBJO si terrà in Brasile, a Salvador de Bahia, dal 4 al 6 Maggio 2015.

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MODA,lavori in corso

di Sonia Sbolzani

Cosa vediamo?Vediamo che le grandi aziende si stanno muovendo sempre più verso il controllo diretto della qualità e quantità dell’assortimento nei punti vendita, centralizzando il potere decisionale e ridimensionando l’autonomia dei partner retail.Vediamo che un’adeguata gestione della supply chain rappresenta per le imprese una fonte di vantaggio competitivo, specialmente nelle produzioni più innovative, dove a vincere è chi sa rispondere rapidamente ai cambiamenti della domanda.L’obiettivo non può che

essere quello di una logistica appropriata che sappia ridurre o eliminare del tutto il cosiddetto “lean time gap”, ovvero il tempo che occorre per produrre e commercializzare un articolo (un tempo che purtroppo è di solito più lungo di quello che il cliente è disponibile ad aspettare).

Vediamo poi che le imprese puntano ormai quasi tutte sui social media, pur cercando di preservare i codici aspirazionali della comunicazione.In particolare, attraverso il web tentano di differenziarsi sul triplice livello dei contenuti, del linguaggio e dei servizi, al fine ultimo

di instaurare un rapporto costante e reciproco con i clienti. Ancora poche, però, riescono ad impiegare strumenti realmente avanzati in grado di garantire una certa efficacia (Web 3.0, caratterizzato dal massimo grado di interazione con i clienti, funzionalità commerciale ed informativa, personalizzazione dei servizi, attività di transmedia-storytelling).

Vediamo anche che le aziende del lusso a fronte di nuove sfide investono sempre più in competenze, ossia in persone “che sanno, che sanno fare, che sanno essere”.È finita l’era di un fashion system dominato da creativi e imprenditori egocentrici. Oggi sono necessarie risorse umane dotate di apertura mentale e spirito innovativo, capaci prima di tutto di ragionare velocemente e definire subito il prodotto ad hoc per un certo target ottimizzandolo allo stesso tempo rispetto alle questioni di industrializzazione.Ultimo ma non ultimo, vediamo il successo delle imprese che scelgono di posizionarsi intorno ai valori ambientali, etici, sociali, mantenendo la propria identità di marca e imbevendola dei concetti di Corporate Social Responsibility.

In sostanza, sull’onda della recessione economica, i brand si sono sentiti in dovere di offrire ai loro clienti sempre più sensibili ed esigenti, oltre a forti contenuti di prodotto tali da giustificare il prezzo elevato, anche un valore della proposta aziendale complessiva, ovvero nuovi significati su cui innestare motivazioni all’acquisto innovative ed emozionali come l’etica, l’ecologia, l’esperienza, la comunità. La Corporate Social Responsibility si configura così non come un semplice elemento di marketing o un mero approccio gestionale, ma come una strategia concreta ed autorevole di posizionamento, che va di pari passo con le performance reddituali: più aumenta la reputazione di un’azienda, più in alto salgono i suoi fatturati.

In conclusione, essere un’azienda del lusso destinata a vincere la sfida del futuro significa proporsi non come una sorta di ente benefico, bensì come una struttura socialmente responsabile, che si pone il problema della sostenibilità sotto ogni aspetto, che rispetta i clienti finali, quelli trade, tutti gli stakeholder. Insomma Brunello Cucinelli docet (e la quotazione in Borsa è lì a dimostrarlo).

Il volano della globalizzazione, a prescindere dagli stop-and-go imposti dalla crisi economica, sta facendo sì che nel settore della moda e del lusso in generale siano in atto alcuni fenomeni destinati a traghettare le realtà più evolute verso traguardi completamente nuovi, in termini soprattutto di marketing.

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IN REDAZIONE

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È ancora ricco di talenti originali il nostro Paese? Cosa si intende oggi per creatività nella moda e nel design? Insomma cos’è “cool”?

THAT’S COOLINTERVISTA A CARLO MASSARINI

di Sonia Sbolzani

Lo abbiamo chiesto a Carlo Massarini, noto giornalista e conduttore radio/televisivo, espertissimo di media, dotato di una grande apertura mentale e costantemente affacciato sulla scena internazionale. Nel suo carnet professionale spicca un programma di culto come “Mister Fantasy”, dedicato a videoclip e video arte; e da ultimo è arrivato “Cool tour”, rotocalco di moda, design, architettura, musica, spettacolo, cucina, eventi, media, trasmesso su Rai5 dalla Fabbrica del Vapore di Milano, luogo iconico scelto come base di partenza per ogni viaggio a corto o lungo raggio, a caccia di “visioni” ovvero di conoscenze. Abbiamo cercato di capire insieme a Massarini in quali direzioni spazio-temporali dovrebbe muoversi il nostro Paese per restare leader nei settori ad alto tasso estetico-creativo.

Non si parla molto di moda e design nella TV italiana e, quando lo si fa, si affrontano i temi in modo piuttosto superficiale per non dire banale. Perché, secondo Lei?La nostra televisione è fatta così, un grande “generalizzatore” che tende ad offrire un prodotto accessibile a tutti e, quindi, finisce per considerare la moda solo come un fenomeno da passerella (cosa che talvolta effettivamente è), un articolo da entertainment

vendibile, ovvero ben fatto e distribuito in modo efficace. È sempre più necessario per le nostre aziende riuscire a controllare le loro filiere.

Esiste ancora un’Italian way of life che il mondo ci invidia?Se penso all’attuale stile di vita italiano, penso in realtà ad un incubo, visti i problemi politici, economici, sociali, morali, ecc. che abbiamo. Nonostante tutto, all’estero ci guardano ancora con simpatia perché sono consapevoli che possediamo alcune eccellenze incancellabili: l’arte, la moda, l’ambiente, le tradizioni alimentari e così via. Ma dobbiamo recuperare il terreno perso negli ultimi tempi. Aggiungo questo: ovunque andiamo noi Italiani siamo sempre riconoscibili fra tutti: stessi abiti di buona qualità, stesse griffe esibite, stessi atteggiamenti… Da un lato, se questo essere uguali a noi stessi può essere apprezzabile e in passato lo era molto, ora è diventato un limite. Dobbiamo essere meno provinciali e proiettarci in un mondo che amplia continuamente i suoi orizzonti.

“Cool tour” dedica molte attenzioni al tema dell’innovazione su vari fronti. A dispetto di quanto si sente ripetere, Lei crede che l’Italia sia ancora una buona fucina di invenzioni, soprattutto per quanto riguarda moda e design?

al pari di tanti altri. Non mancano gli spazi televisivi dedicati al fashion, ma io credo che la moda potrebbe essere valorizzata al meglio da un programma transculturale che la ponga in relazione a vari temi.

Cosa continua ad alimentare la creatività italiana nel corso degli anni?Per quanto riguarda la moda, direi che sono la classe e la classicità, ancor più che l’originalità. La moda deve essere caratterizzata dalla vestibilità, dalla bellezza e dalla funzionalità, nel senso che deve essere in grado di interpretare un’esigenza e di farlo nel tempo. A ben vedere, esistono due mode: una fuori dal tempo - come quella di Armani, per intenderci - e una dentro il tempo. Noi Italiani abbiamo entrambe le capacità; speriamo di averle ancora a lungo. Ma dobbiamo comprendere che la moda in generale è sempre più destinata a cambiare sull’onda della globalizzazione, per cui vestirsi bene costerà meno che in passato e la firma tenderà a scivolare via. Basta guardare alla forza crescente di una realtà come Zara.

Cosa trasforma la mera fantasia in creatività?La capacità di coniugarsi con la produzione e col gusto del pubblico. Non basta avere una bella idea, bisogna saperla tradurre in un prodotto

Sì, senz’altro, c’è ancora tanta creatività sostenuta da un solido gusto estetico, ma siamo in seria difficoltà industriale. In effetti, noto una sostanziale differenza rispetto al passato: in certi campi dove eravamo nettamente superiori siamo rimasti tali, ma ci siamo quasi fatti raggiungere dagli stranieri. In altri termini, siamo rimasti fermi nei settori in cui eccellevamo, mentre il resto del mondo è avanzato parecchio. Diciamo che i maestri sono ancora tali, ma gli allievi stanno diventando bravi quanto loro. Una grande responsabilità va imputata al nostro sistema industriale che non ha saputo sostenere adeguatamente le eccellenze, valorizzandole al meglio, cioè trasformando la creatività in prodotti globali. Si prenda l’esempio dei mobili italiani: una volta erano considerati il top, ora si trova tutto ovunque.

Cosa si aspetta da Expo 2015 per l’evoluzione della nostra cultura?Mi attendo una maggior capacità di aprirsi al mondo, per cogliere tutte le novità in atto. Abbiamo perso molte rendite di posizione ed ora dobbiamo umilmente guardare anche agli altri.

Infine, non si può non porLe la domanda: cos’è per Lei davvero “cool”?Avere personalità e non curarsi del giudizio altrui.

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I “Soloni” dell’economia pontificano in continuazione sulle opportunità che il lusso made in Italy potrebbe cogliere sfruttando le sinergie con il contesto storico-artistico-paesaggistico del nostro meraviglioso Paese. In effetti si vanno sempre più diffondendo questi “matrimoni di interesse” anche per il settore orafo, che però ha ancora un rapporto un po’ conflittuale con il milieau intellettuale, non avendo del tutto concepito la cultura come parte integrante della propria filosofia.È un tema, questo, su cui riflettere attentamente e che si può approcciare in diversi modi. Ne proponiamo uno, forse un po’ inconsueto, ma

l’importante forse è proprio cominciare con l’effetto sorpresa.Nella fattispecie, ci riferiamo alla scelta della sede o, se si preferisce masticare l’inglese, location, di un evento aziendale/istituzionale quale può essere un convegno, un’esposizione di gioielli, un meeting, una conferenza stampa, una presentazione, ecc. Perché non organizzarla in un giardino? Magari in uno dei magnifici parchi storici di cui l’Italia può fregiarsi da Nord a Sud?Oltretutto, già da qualche anno, è tornata in grande stile la passione per orti e giardini, confermata dal crescente successo di manifestazioni come “Orticola” a Milano.

Da sempre gli esseri umani amano vivere tra le piante, da cui traggono alimento e combustibile. Ma soprattutto amano vivere circondati da piante ornamentali che, lungi dal soddisfare le mere necessità materiali, ne appagano le esigenze spirituali, garantendo loro quella gratificazione estetica a cui aspirano e che si manifesta attraverso i sensi. Di questo interesse dell’uomo per il verde resta testimonianza in innumerevoli documenti e reperti archeologici. L’arte, la letteratura, la religione, il folklore, la musica, la mitologia, la storia, la simbologia, la cultura tout court hanno sempre trovato nelle affascinanti creature vegetali sicura fonte di ispirazione, di idealizzazione, di espressione (ne sa qualcosa la gioielleria!).I primi giardini fioriti si possono far risalire a 5000 anni addietro, costituendo un indubbio segno di civiltà dei diversi popoli che li hanno concepiti, dall’Estremo Oriente all’Asia Minore. In Europa, dopo la distruzione dei giardini antichi in epoca alto-medioevale, si assistette alla rinascita degli spazi verdi come elementi architettonici armonici e complessi solo nel XV secolo grazie all’Umanesimo (poi trionfò il cosiddetto “giardino all’italiana” rinascimentale). Ma fu soprattutto con l’esplorazione delle regioni tropicali, in tempi più recenti, che nel nostro continente dilagò una vera e propria passione per le piante decorative, a cominciare dall’Inghilterra. Nell’Ottocento, in particolare, il business delle piante esotiche conobbe un autentico boom, mentre esplodevano in successione le varie “febbri”: per cactus, felci, orchidee, ecc.Con la tendenza, in seguito,

ad un “ritorno alla natura” furono nuovamente valorizzati anche i fiori locali e in questo modo si sviluppò notevolmente la concezione del giardino paesaggistico, ancora in gran voga al giorno d’oggi.Non è priva di fondamento, pertanto, l’idea di sviluppare in Italia un tipo sofisticato di turismo che, in parallelo ai circuiti classici, privilegi i giardini più belli.Solo per citare qualche “meraviglia”, potremmo indicare, partendo da Sud, lo splendido parco di Villa Bellini a Catania, aperto al pubblico nel 1882 e dedicato al più grande musicista locale. Ricca di fiori, palme, alberi secolari, questa oasi verde che sembra spezzare il ritmo frenetico della città siciliana è nata dalla “fusione” di due giardini, detti “Il Labirinto” e “L’Orto di San Sebastiano”, e si caratterizza per un’antica scalinata alla sommità della quale si trovano un curioso orologio floreale con meccanismo elettronico e la galleria dei busti di insigni personaggi.Unico nel suo prodigioso incanto è a Firenze il Giardino dei Boboli, tra i più celebri e visitati al mondo, esteso ben 45.000 mq alle spalle di Palazzo Pitti, tipicamente “all’italiana”, con i suoi viali e aiuole dal tratto geometrico perfetto, progettati secondo vaste prospettive ed ornati di fontane con squisiti giochi d’acqua, statue, architetture verdi in cui trionfa l’arte topiaria. Commissionato nel 1550 dai Medici al progettista Niccolò Pericoli, detto il Tribolo, fu completato da grandi artisti come l’Ammannati, il Buontalenti, i fratelli Parigi. Ancora oggi cornice di prestigiosi eventi, il Giardino dei Boboli - e il suo anfiteatro settecentesco in particolare - ospitò le feste e le cerimonie più sontuose

Due passi neiGIARDINID’ITALIA

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dell’aristocrazia fiorentina.Nella verde campagna di Valeggio sul Mincio (VR) sorge un altro magnifico parco, visitato ogni anno da circa 100.000 persone (a partire dal 1978, anno di apertura al pubblico). Concepito dal conte Giuseppe Carlo Sigurtà, che volle fare di 50 ettari di arida collina un giardino lussureggiante, il luogo rifulge di incredibili alberi ad alto fusto, profumati sottoboschi, fiori di ogni sorta, cascatelle, laghetti con fresche ninfee, prati smeraldini, “statue verdi” (ottenute con potature artistiche), viali ombrosi, rocce piene di fascino e romantici angoli panoramici sull’ariosa valle del fiume Mincio. Vero capolavoro di giardinaggio, che fonde insieme gusto italiano ed inglese, il Parco Sigurtà è visitabile sia in auto che a piedi, seguendo un itinerario prestabilito a tappe, che consente di apprezzare al meglio l’intero complesso.Degno dell’incanto di Torino è, invece, il Parco Europa, che si stende per 13 ettari sulle pendici della collina di Cavoretto, rigoglioso di vegetazione mediterranea grazie alla sua riparata posizione volta a sud. Nato nel dopoguerra su una superficie dove i Savoia coltivavano ulivi per la produzione di olio, era in origine destinato ad area di erezione di un castello dei duchi d’Ormea che, allo scopo, nel ‘600 avevano addirittura spianato un’altura. Oltre agli ulivi, le piante più diffuse sono lecci, allori, pini, querce, castagni, carpini, frassini. Vi si trovano poi bellissimi ciliegi, roseti, rampicanti come il glicine e tanti altri fiori. Da questo giardino si gode pure di una vista straordinaria sul catino delle Alpi e sulla città sabauda, per proseguire con lo sguardo su Langhe e Monferrato.

Spostandoci sulla costa ligure, troviamo i più unici che rari Giardini botanici Hanbury sul promontorio della Mortola (Ventimiglia), che occupano un’area di18 ettari. Tipicamente all’inglese, con vialetti irregolari e suggestive costruzioni, sono attraversati dalla via consolare Julia Augusta, con il mare sullo sfondo. Creati a partire dal 1867 dall’inglese Thomas Hanbury, che aveva fatto fortuna in Cina come mercante di tè e si era poi stabilito in Rivera acquistando il palazzo dei marchesi Orengo, ospitano 6.000 specie botaniche provenienti dall’intero pianeta, in prevalenza tropicali e subtropicali (agavi, aloe, cactus, eucalipti, euforbie, passiflore, agrumi, banani, yucca, ginko-biloba, rose, peonie, piante aromatiche, ecc.). Nel 1960 lo Stato italiano acquistò il complesso e, dopo alterne vicende, nel 1987 la gestione venne affidata all’Università di Genova (nel 2000 una legge regionale ha istituito l’odierno parco con solido vincolo storico-paesaggistico).Ci fermiamo qui, ma potremmo continuare menzionando altri “Eden” diffusi nel Belpaese come i Giardini di Villa Olmo a Como, di Villa d’Este a Tivoli, D’Avalos a Pesaro, di Villa Taranto a Pallanza, di Villa Torreggiani a Camigliano (LU), di Palazzo Reale a Caserta, Villa Pasole a Pedavena (BL), Bomarzo (VT), della Palazzina di Marfisa d’Este a Ferrara, di Villa Carlotta a Cadenabbia sul Lago di Como, di Castell’Arquato a Piacenza, di Villa De Capua a Campobasso, di Parco Ducale a Parma.Tutti in giardino prossimamente, allora? Pensiamoci e intanto buona passeggiata nella bellezza del verde!

Nella pagina a fianco: il giardino dei Boboli a Firenze.Qui sopra, dall’alto: il parco di Villa Bellini a Catania,

il parco Europa a Torino e i Giardini botanici Hanbury a Ventimiglia.

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Quali sono i mercati su cui le imprese italiane dovranno puntare per vincere la sfida dell’internazionalizzazione e per rilanciare la competitività del Sistema Italia nel mondo? Come sta cambiando lo scenario mondiale e quali spazi ed opportunità ci sono ancora da cogliere per il Made in Italy negli storici mercati di esportazione?Al tema “Made in Italy e grandi mercati: ritorno al futuro?” è stato dedicato il XIII Forum del Comitato Leonardo, svoltosi l’8 Luglio scorso a Roma, dove rappresentanti delle istituzioni, imprenditori e mondo del credito si sono confrontati sulle prospettive di sviluppo e sulle misure da intraprendere.Sono intervenuti il Presidente del Comitato Leonardo Luisa Todini, il Presidente dell’Agenzia ICE Riccardo M. Monti, il Presidente del Comitato Tecnico per l’internazionalizzazione e gli investitori esteri di Confindustria Licia Mattioli (che è anche Presidente di Federorafi e da poco membro del CdA di ICE), il Viceministro degli Affari Esteri Lapo Pistelli ed il Viceministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Hanno partecipato alla tavola rotonda gli imprenditori Guido Grassi Damiani (Presidente Damiani), Giovanni Anzani (Presidente Poliform), Carlalberto Corneliani (A.D. Corneliani), Aurelio De Laurentiis (Presidente Filmauro), Nicola Fabbri (A.D. Gruppo Fabbri). Nell’ambito del Forum sono stati presentati i risultati di una ricerca realizzata dall’Ufficio Pianificazione

Strategica, Studi e Rete Estera dell’Agenzia ICE in collaborazione con Prometeia, volta ad analizzare il posizionamento italiano e le opportunità per le imprese italiane nei 12 grandi mercati d’esportazione: dai principali Paesi europei (Germania, Francia, Regno Unito, Svizzera, Spagna) a Stati Uniti e Giappone, cui si sono aggiunti Paesi di più recente industrializzazione come Turchia, Russia, Cina, Brasile e Emirati Arabi. Sono questi che nel complesso assorbono la parte più consistente dell’export italiano nei settori alimentare, arredo, moda e meccanica: nel 2013 oltre 210 miliardi di euro di importazioni, il 59% del nostro export totale.Per tutte le merceologie “Made in Italy” considerate (gioielleria compresa), tali Stati hanno nell’Italia uno dei maggiori fornitori di fascia alta grazie a stile, design, qualità e originalità; essi fungono anche da avamposti per raggiungere mercati più periferici e rischiosi e, inoltre, consentono un premium price superiore di almeno il 50% rispetto alla media dei mercati esteri.Il report ha previsto altresì i tassi di crescita medi annuali delle importazioni di moda nel triennio 2014-2016. In mercati “familiari” come la Germania e la Francia è atteso, rispettivamente, un incremento tra il 3 e il 4% e oltre il 5% (a prezzi correnti). L’aumento in Gran Bretagna è invece stimato del 9% circa. Nei mercati “premium”, gli Usa dovrebbero registrare un +10% annuale dell’import di moda. Per gli Emirati Arabi è

previsto un tasso di crescita annuo superiore al 14%, contro una performance sotto i 6% del Giappone. Tra i mercati definiti “ibridi” spicca il +10% annuale del Brasile. Cina e Russia dovrebbero procedere a un ritmo dell’8% circa, mentre per la Turchia si stima un +5% circa annuo. “Le imprese italiane devono continuare ad avere un ruolo da protagoniste nello scenario degli scambi internazionali” ha dichiarato Licia Mattioli. “Confindustria intende sostenere questa opportunità soprattutto per preparare le PMI ad affrontare i mercati esteri, incrementando il numero di quelle che esportano. C’è una classe di consumatori benestanti che cresce nelle aree più diverse del mondo, dobbiamo intercettarla. Noi siamo pronti. Dobbiamo promuovere il Made in Italy organizzando molteplici iniziative anche abbinate alla cultura, vettore straordinario di promozione del nostro Paese. E puntando a rafforzare le vendite dei macchinari, tra le eccellenze della nostra manifattura, sia nei mercati che stanno sviluppando l’industria locale sia nelle economie mature, che richiedono processi produttivi sempre più tecnologici e sofisticati. L’industria italiana c’è”.“Siamo al fianco delle imprese italiane, soprattutto delle PMI, per promuovere il Made in Italy attraverso la “Diplomazia della crescita” ha dichiarato il Vice Ministro Lapo Pistelli. “L’obiettivo del Sistema Italia e’ valorizzare il potenziale ancora inespresso della nostra industria, dall’agroindustria alla moda,

tanto nei mercati maturi come in quelli emergenti”.Aumentare il presidio nei grandi mercati, dunque, non deve essere solo una strategia di breve termine, ma può rappresentare un volano di crescita per la qualità e la redditività delle produzioni italiane.Si tratta infatti di mercati in cui il Made in Italy può essere più competitivo puntando su eccellenza e capacità di differenziazione, al di fuori di una mera concorrenza di prezzo.Gli elementi che connotano maggiormente i prodotti italiani nei Paesi oggetto dell’indagine sono infatti qualità (al primo posto in tutti i Paesi), lusso, design, eleganza, ma anche ed in misura crescente soprattutto nei mercati più maturi, sostenibilità ambientale e benessere: elementi che testimoniano i nuovi bisogni dei consumatori e definiscono i driver strategici per valorizzare l’offerta italiana in questi Paesi.Per cogliere appieno il potenziale di crescita in tali mercati è necessario che le imprese italiane si preparino non solo dal punto di vista dell’offerta, ma anche e soprattutto da quello degli aspetti logistici e organizzativi, percepiti come il vero fattore di debolezza: approccio al mercato non sufficientemente informato, distribuzione poco organizzata e spesso delegata ad operatori locali, incapacità di predisporre adeguati canali distributivi sono alcune delle principali lacune del Sistema Italia sui mercati esteri evidenziate dalla ricerca.

IL RITORNO AL FUTUROdel Made in Italy

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Ci ha colpito molto un recente intervento di Massimo Magni, Assistant Professor presso il Dipartimento di Management e Tecnologia dell’Università Bocconi di Milano, che spiegava come le imprese debbano evitare di ripetere gli errori della NASA, il celebre ente spaziale americano. La “morale” della storia che stiamo per raccontare può ben applicarsi alle “squadre di lavoro” di tante nostre aziende orafe.L’11 Dicembre 1998 la NASA lanciò la sonda Mars Climate Orbiter con l’obiettivo di monitorare l’atmosfera e la superficie del pianeta rosso per un anno. Purtroppo, però, il 23 Settembre dell’anno seguente il veicolo si disintegrò a contatto con i gas dell’aria marziana, avendo assunto una traiettoria orbitale errata a causa di errori di calcolo. Cos’era successo?Una parte del team, stanziata in Colorado, aveva lavorato utilizzando il sistema di misurazione imperiale (in pollici). L’altra componente, con sede in California, aveva invece usato il sistema metrico (in centimetri). Uno sbaglio che in pochi istanti è costato più di 100 milioni di dollari e ha vanificato il lavoro di 6 anni.Questo episodio evidenzia sin troppo chiaramente come un sistema di comunicazione inefficace tra i membri di

una squadra possa portare a errori apparentemente semplici, la cui potenzialità però si rivela disastrosa per l’esito finale. Di recente la Scuola di Direzione Aziendale della Bocconi ha intrapreso la ricerca “Team Check-Up” volta a comprendere i principali elementi di forza e di debolezza che caratterizzano i gruppi di lavoro e le iniziative che possono essere attivate dai leader per migliorare la produttività del lavoro di squadra. È emerso che il maggior punto di debolezza dei team attuali è in realtà vecchio quanto il mondo e consiste nella difficoltà di raccordare le opinioni dei membri e la comunicazione. Ma quali sono le azioni che un team leader può mettere in campo per migliorare la fiducia e l’integrazione delle informazioni tra i soggetti? Secondo il professor Magni, il primo passo sta nel creare conoscenza tra i membri del team. L’atto iniziale che il leader può intraprendere quando si trova nella condizione di dover gestire un gruppo di persone è infatti quello di favorire la socializzazione tra i membri ancor prima di definire ruoli e responsabilità. L’essere consapevoli delle competenze e delle personalità degli altri tende

ad allentare la diffidenza tipica di una squadra favorendo un clima fondato sulla condivisione e sul valore delle diversità individuali. Il secondo step è rappresentato dall’allineamento di intenzione e azione: un aspetto fondamentale che il team leader deve presidiare per creare un clima di fiducia è dimostrare sin dall’inizio una coerenza tra quanto dichiara e le azioni effettivamente intraprese. In questo modo, infatti, può suscitare un’atmosfera orientata alla responsabilizzazione dei membri agendo in prima persona come modello di ruolo. Terzo passaggio per favorire uno scambio di informazioni diffuso tra i membri è la definizione delle norme che ne regolano l’interazione. La messa a punto di modalità di comunicazione e scambio informativo aumenta la percezione di equità tra i membri e diminuisce la probabilità che le informazioni circolino all’interno di sottogruppi.I conflitti, comunque, possono avere talvolta un “lato buono”, come ha sottolineato un altro professore bocconiano, Leonardo Caporarello, docente di teambuilding.Nella maggior parte delle dinamiche conflittuali del team nessuno dei membri ha piena ragione e gli altri pieno torto. Piuttosto il conflitto ha origine perché ciascuno interpreta lo stesso fenomeno in modo diverso o perché ha interessi o motivazioni diversi. In teoria sembrerebbe vincente evitare che si determinino delle situazioni conflittuali. Ma come? La vera questione, in realtà,

è non tanto quella di “come evitare il conflitto”, bensì di “come gestirlo nel modo migliore possibile”. Saper gestire il conflitto è una competenza che sempre più il “capo” deve acquisire. Significa essere consapevoli che una stessa situazione può avere “letture” diverse, saper riconoscere le differenze e far leva su di esse per identificare un percorso operativo il cui valore sia superiore a quello che altrimenti si sarebbe scelto. Alla base di tutto ciò stanno due condizioni senza le quali il conflitto non può essere trasformato in una condizione positiva: si tratta della capacità di creare e gestire le relazioni interpersonali e della capacità di comunicare in modo coerente con il messaggio e il destinatario dello stesso. Perché questo si realizzi, nel team devono esserci delle occasioni che consentano ai membri di argomentare il proprio punto di vista, di avere dei chiari criteri di valutazione, di attivare ascolto e discussione con meccanismi che facilitino la formulazione di azioni condivise.Comunicare in modo non adeguato, avere uno stile di leadership non appropriato, considerare il confronto come inutile, definire obiettivi in modo non chiaro, esprimere disaccordo senza essere propositivi… sono tra le più ricorrenti cause che creano e alimentano dinamiche conflittuali nei team. Il team che intende aumentare la sua efficacia con l’annullamento del conflitto è esposto all’elevato rischio di finire in un gorgo negativo che lo conduce a una perdita di motivazione, energia e produttività.

ORAFI,non fatecome la NASA!

La comunicazione come requisito fondamentale per un team efficiente.

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SVALUTAREin un mondo globalizzato

da www.lavoce.infodi Carlo Altomonte e Tommaso Sonno

La tesi di chi sostiene un’uscita dell’Italia dall’euro è che in questo modo le aziende italiane potrebbero esportare di più grazie a una svalutazione della nuova lira. Ma è un’analisi che guarda al mondo di oggi con strumenti analitici del secolo scorso.

Al riguardo, proponiamo un articolo degli autorevoli economisti Carlo Altomonte e Tommaso Sonno, tratto dal sito lavoce.info del 20/05/14.

IL MONDO CAMBIA

Negli ultimi giorni di campagna elettorale per le elezioni europee, continua vivace il dibattito sui costi e i benefici che l’Italia ha avuto dalla moneta unica, con posizioni divise tra chi ritiene che il nostro Paese abbia sofferto oltre modo nell’euro a causa delle sue ancora irrisolte debolezze strutturali, e chi invece ritiene che la moneta unica sia la principale causa dei nostri mali.La tesi sostenuta da chi auspica un ritorno alla lira è molto semplice: “se tornassimo padroni della nostra moneta, potremmo monetizzare il nostro debito e compiere svalutazioni competitive per stimolare la domanda dei nostri beni da parte dei mercati esteri”.Al di là dei costi associati

all’uscita dalla moneta unica, su cui molti si sono espressi, quello che non convince di queste argomentazioni è (anche) la parte legata ai benefici. (1)Certo, storicamente svalutazioni competitive sono state associate in diversi Paesi a guadagni di crescita, ma il punto è proprio questo: “storicamente”. Negli ultimi anni, e anche tenendo conto della crisi, la produzione si è frammentata internazionalmente, con flussi di commercio di beni intermedi tra Paesi, organizzati (prevalentemente) dalle imprese multinazionali nell’ambito di catene globali del valore (o global value chains, Gvc). Per dare un’idea del fenomeno, l’Unctad stima che l’80 per cento del commercio globale (in termini di esportazioni lorde) sia oggi in qualche modo connesso a transazioni in cui almeno una delle controparti è un’impresa multinazionale che organizza una global value chain. (2)

Ne consegue che l’esportazione “diretta” di beni e servizi sul mercato legata a un vantaggio di prezzo, ossia quella modalità di commercio cui le svalutazioni competitive danno beneficio e che viene “storicamente” registrata dalla letteratura economica, è probabilmente molto meno importante di prima.

ESPORTAZIONIE TASSO DI CAMBIO OGGI

Per capire come questa modalità di organizzazione della produzione possa attenuare di molto i benefici teorici delle svalutazioni competitive, prendiamo per esempio lo spazzolino da denti prodotto da una nota multinazionale europea e assemblato con componenti che provengono da siti produttivi localizzati in dieci diversi Paesi (con dieci valute diverse), in tre continenti.Che ruolo avrebbe il tasso di cambio dell’euro nel determinare, da solo, la

competitività del prodotto?Immaginando che sia assemblato fuori dall’Europa, per produrre il più vicino possibile al mercato di riferimento, come accade peraltro per la gran parte della produzione di automobili tedesche vendute in Asia, cosa c’entrerebbe l’euro con il successo di queste aziende? In generale, la letteratura economica che ha analizzato questi effetti limitandosi all’evidenza degli ultimi anni, ossia da quando le catene globali del valore hanno un impatto significativo sui flussi di commercio, suggerisce che non esiste una relazione statisticamente forte tra profitti delle aziende e livello dei tassi di cambio, né questa relazione sembra differenziarsi, come dovrebbe, tra settori esposti alla concorrenza internazionale (il manifatturiero in generale) e settori che per loro caratteristica (come i servizi alla persona) restano locali. (3)

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ECONOMIA

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EFFETTI PER L’ITALIA

Ma come si posiziona l’Italia rispetto a queste dinamiche? Per rispondere, possiamo guardare ai dati recentemente pubblicati dall’OECD che fanno vedere come l’importanza dei diversi mercati di esportazione del nostro Paese cambia se distinguiamo tra esportazioni lorde (ossia dove vanno fisicamente i nostri beni quando escono dai confini nazionali) ed esportazioni in valore aggiunto (ossia quale domanda viene servita dai nostri beni quando escono dai confini nazionali, ma entrano nella produzione di beni di altri Paesi prima di essere consumati).Come si può vedere dai grafici sottostanti, quello che emerge è che la Germania è di gran lunga al primo posto come mercato di sbocco

delle nostre esportazioni (lorde). Ma se guardiamo al principale mercato dalla cui domanda dipendono le nostre esportazioni, scopriamo che è quello degli Stati Uniti. (4)Se ne deduce che l’Italia esporta beni “direttamente” alla Germania, ma “indirettamente” esporta componenti che entrano in prodotti che poi la Germania vende agli USA. (5)L’evidenza è peraltro coerente con il dato che, a livello mondiale, vede l’Europa come il mercato in cui maggiormente si è integrata la produzione regionale tra Paesi, Italia inclusa.Cosa succederebbe, allora, se applicassimo questa realtà a un sistema di monete locali e non di moneta comune, ipotizzando una svalutazione della lira, ma non dell’euro tedesco? Innanzitutto, per la parte di esportazione

GERMANIA

FRANCIA

USA

UK

SPAGNA

SVIZZERA

CINA

RUSSIA

POLONIA

GIAPPONE

0 0.05 0.1 0.15 0.2 0.25

SHARE OF GROSS EXPORTS

USA

GERMANIA

FRANCIA

UK

SPAGNA

GIAPPONE

CINA

RUSSIA

SVIZZERA

POLONIA

0 0.05 0.1 0.15 0.2 0.25

SHARE OF VA EXPORTS(final demand approach)

“diretta”, potremmo in teoria vendere di più.Tuttavia, oggi l’80 per cento del commercio internazionale di beni avviene attraverso le catene globali del valore, e mentre uscire da una value chain è facile, entrarci è difficile, perché i costi fissi di chi importa input sono alti, l’efficienza richiesta a chi esporta è elevata e, in generale, prima di modificare la struttura di una catena del valore ci si pensa seriamente.Non basta quindi costare di meno per essere automaticamente ammessi al desco della produzione internazionale di beni, e d’altra parte i ritardi strutturali dell’economia italiana, con un sistema di imprese ancora in parte piccolo, sottocapitalizzato e meno efficiente rispetto ai concorrenti internazionali, resterebbero immutati.Inoltre, i dati disponibili dimostrano come esista una relazione positiva e statisticamente significativa tra variazione della quota di mercato delle nostre esportazioni in un dato settore e la variazione (ritardata) della quantità di beni esteri che quel settore utilizza per l’esportazione: in sintesi, al giorno d’oggi per esportare di più è necessario importare di più. E dunque svalutare in un sistema di Gvc, oltre a non garantire necessariamente maggiori vendite, si tradurrebbe sicuramente anche in un costo per le nostre imprese.Per quel che riguarda l’esportazione “indiretta” (che pesa per oltre il 20 per cento dell’export italiano), bisogna chiederci cosa succederebbe alla domanda americana di beni tedeschi, da cui in ultima analisi dipende parte della domanda tedesca di beni italiani. Agli occhi americani tutto quello che conta è il prezzo dei beni tedeschi, che a quel punto dipenderà dalla competitività delle imprese tedesche (che noi non controlliamo) e dal tasso di cambio euro tedesco-dollaro, che oggi in parte controlliamo attraverso la BCE, ma che domani, uscendo dall’euro,

non controlleremmo più. Con una svalutazione della nuova lira, se decidessero di non modificare i loro prezzi, le imprese tedesche pagherebbero sicuramente meno la stessa quantità di beni italiani, facendo profitti maggiori, senza che per questo le imprese italiane vendano di più alla Germania, poiché la domanda americana dei prodotti tedeschi non varia. In compenso le aziende italiane, senza vendere di più, pagherebbero comunque di più le importazioni di materie prime comunque necessarie per produrre gli input da vendere alla Germania.Dunque, un’uscita dell’Italia dall’euro rischia di avere come risultato profitti che salgono in Germania e che scendono in Italia: sono queste le conseguenze se si guarda al mondo di oggi con gli strumenti analitici del secolo scorso.

(1) Si veda in particolare A. Baglioni “Uscire dall’euro? No, grazie”, e C. Altomonte e T. Sonno, “L’Italia alla sfida dell’euro”, www.sfidaeuro.it.(2)Unctad, “Global Value Chains and Development, Investment and Value Added Trade in the Global Economy”, 2013(3) M. Amiti, J. Konings e O. Itskhokiin “Importers, Exporters, and Exchange Rate Disconnect” del 2012, dimostrano che le grandi imprese esportatrici (importatrici) sono decisamente poco influenzate dai cambiamenti nei tassi di cambio. Nello specifico, gli autori mostrano come le aziende connesse internazionalmente sono in grado di assorbire in maniera indolore quasi il 50 per cento della eventuale variazione di cambio. Poiché in ogni Paese le grandi aziende esportatrici rappresentano circa il 70-80 per cento del valore delle esportazioni, di fatto oggi abbiamo una situazione per cui una gran parte dell’export di uno Stato europeo è in realtà parzialmente isolato dall’effetto del tasso di cambio.(4) Per una distinzione tra esportazioni lorde ed esportazioni in valore aggiunto, e una completa analisi di queste dinamiche sull’export italiano si veda R. Cappariello e A. Felettigh “How does foreign demand activate domestic value added? A dashboard for the Italian economy”, mimeo.(5) Tutte queste informazioni e i dati sono liberamente scaricabili dal sito dell’Oecd.

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L’unione monetaria europea è stata una scommessa sin dagli albori. Ha istituito la Banca Centrale Europea non per uno Stato, ma per un grande territorio, ragion per cui non rappresenta nessun Governo in particolare. I padri fondatori non avevano previsto tutte le problematiche che sarebbero derivate da questa specificità. In effetti ogni ampliamento dell’area euro ha portato automaticamente all’estensione del consiglio direttivo della Banca Centrale, senza tener conto che in tal modo diventavano più complesse le decisioni di politica monetaria. Per superare problemi di governance tanto profondi, è necessaria una revisione dalle fondamenta dell’Eurosistema. Gli economisti hanno sempre messo in guardia contro i rischi di una politica monetaria unica allorché si rende necessario un aggiustamento e non si può ricorrere alla svalutazione. Nonostante gli avvisi, i

politici europei si sono arroccati su un sistema che appare minato già nelle fondamenta.Una politica monetaria comune deve essere formulata ad un livello superiore, ma in realtà accade che le banche centrali nazionali dell’area euro influenzano non poco la BCE in senso negativo, ad esempio esitando ad imporre haircut sul valore delle garanzie offerte dalle banche private degli Stati membri per finanziare le loro attività di credito (per haircut si intende la percentuale sul valore di un asset dato in garanzia, richiesta dal creditore contro il rischio di una minusvalenza). L’haircut rappresenta invece uno dei pochi freni naturali all’indebitamento da parte dei Governi, soprattutto quando è dovuto a politiche fiscali irresponsabili. E la BCE avrebbe dovuto applicarlo ben prima, quando a metà degli anni Duemila divenne chiaro che i Paesi del Sud Europa stavano perdendo competitività e i loro governi non adottavano misure per contenere la spesa pubblica (si veda il caso greco).Ora la soluzione più logica appare quella di ridisegnare la BCE sull’esempio del Federal Reserve System degli Stati Uniti, dove le dodici Federal Reserve Bank regionali coprono vaste parti di territorio che non coincidono con i confini dei singoli Stati. Anche tra i vari distretti delle Federal Reserve Bank regionali sorgono problemi di bilancia dei pagamenti e disallineamenti della competitività, ma sono apolitici e immuni dalle pressioni dei Governi dei singoli Stati. Comunque è escluso a priori il salvataggio di uno Stato da parte della filiale locale della Federal Reserve. Un ripensamento della BCE in questa direzione contribuirebbe a ristabilire

un’allocazione neutrale del denaro e del credito. Propone Michael Burda, professore di economia alla Humboldt University di Berlino: “Il numero dei membri del Consiglio direttivo in rappresentanza dei distretti potrebbe essere basato sulla popolazione o sul Pil pro-capite. Il Consiglio direttivo della nuova BCE potrebbe ricevere una legittimazione democratica dal Parlamento europeo, su nomina delle autorità nazionali. I Paesi più piccoli non sarebbero penalizzati, anzi beneficerebbero della riduzione della naturale egemonia esercitata dagli Stati membri più grandi. Le eredità dell’attuale situazione potrebbero essere assegnate ai nuovi distretti della Bce pro-rata sulla base della popolazione o della quota di Pil: perderebbero così immediatamente la loro rilevanza politica”.Sottrarre la politica monetaria all’influenza degli Stati membri aumenterebbe l’efficienza e la funzionalità dell’unione monetaria. Regole rigorose di haircut per il rifinanziamento da parte della BCE sulla base del merito del credito costringerebbero gli Stati membri ad adottare al proprio interno una maggiore disciplina di bilancio, permettendo così un ritorno credibile al principio del “No-bailout” (anti-salvataggio degli insolventi) contenuto nel Trattato europeo. Questo passo sarà il più difficile del cammino verso l’integrazione comunitaria e significherà anche ribadire l’impegno nel progetto della valuta unica. Tuttavia, è indispensabile per assicurare il futuro sostenibile di una politica monetaria davvero indipendente e neutrale. Senza passi credibili verso la de-politicizzazione è improbabile che l’euro nella sua forma attuale possa far fronte a eventuali shock macroeconomici nei prossimi anni.

Ripensare L’EURO

Quanto importante sia per il settore orafo il rapporto tra monete, in particolare euro-dollaro, lo sanno tutti. Ecco perché vogliamo dedicare un articolo a commento della politica monetaria europea. Non saremo i primi a suggerire un ridisegno dell’intero sistema per mettere l’euro al riparo da crisi future, ma ci sentiamo in dovere di farlo lanciando una proposta.

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1590). Non molto tempo dopo fu venduta per 12.000 monete d’oro a Rodolfo II. Nel XVII secolo entrò a far parte del tesoro tedesco. Questa collocazione ha fatto supporre agli studiosi che il cammeo sia stato danneggiato prima che Rodolfo II l’acquistasse, verso il 1700 circa (la parte in alto a sinistra, infatti, sembra infranta, con la possibile perdita di uno dei personaggi effigiati).

Passiamo ora all’esame del gioiello, partendo dalla parte superiore.La figura seduta sul trono rappresenta l’imperatore Augusto, alle cui spalle, sulla destra, appare una donna, facilmente identificabile con Oikoumene, la personificazione del mondo abitato, che simboleggia il mondo civilizzato dell’Impero

Romano. Costei indossa sul capo una “corona muraria” ed un velo; a sua volta rende omaggio ad Augusto con la “corona civica” di foglie di quercia, usata per onorare chi salvi la vita a cittadini romani. I personaggi alla destra dell’imperatore sono ritratti uno in piedi e l’altro, più giovane, seduto. Il primo raffigura Nettuno/Oceano, il secondo la Terra (o l’Italia). Costituiscono un insieme coerente e fanno da pendant alle altre due figure alla sinistra dell’imperatore, che rappresentano il regno dell’acqua e della terra, mentre i bambini che le circondano potrebbero essere un’allegoria delle stagioni estate ed autunno (uno di essi tiene in mano delle spighe di grano).La figura sotto Augusto è l’aquila di Giove, a significare che l’imperatore è seduto al posto di Giove (comunque

LA GLORIADI AUGUSTOin una gemma

Si tratta di un cammeo di stupefacente bellezza e magistrale manifattura, databile al 12 d.C., il cui autore è ritenuto essere il celebre intagliatore cilicio Dioscuride o uno dei suoi discepoli (a Dioscuride si devono probabilmente anche il “Gran Cammeo di Parigi” custodito al Cabinet des médailles della Bibliothèque nationale de France ed il “Cammeo di Ermes” al British Museum di Londra).La Gemma augustea, che ora è conservata presso il Kunsthistorisches Museum di Vienna, si presenta come un’incisione in leggero rilievo su due strati, intagliati su di una pietra araba d’onice. Uno strato è bianco, l’altro marrone-bluastro, per far risaltare meglio i particolari delle figure rappresentate e creare un netto contrasto con il fondo scuro. Misura 23 x 19

cm e presenta uno spessore di poco più di 1 cm.

Si reputa che la Gemma sia stata realizzata in occasione del trionfo di Tiberio (erede designato di Augusto), futuro imperatore, dopo i successi ottenuti sugli insorti Dalmati e Pannoni, oltre che sui ribelli Germani (9 d.C.).L’iter seguito dal prezioso oggetto per giungere sino a noi resta ancora da acclarare con esattezza, sebbene alcuni passaggi siano noti. Esso potrebbe essere stato portato dai palazzi romani del Palatino a Bisanzio all’epoca di Costantino. È assodato che nel 1246 la Gemma venne custodita nel tesoro dell’abbazia di San Sernin a Tolosa in Francia. Più tardi, nel 1533, Francesco I se ne appropriò e la trasferì a Parigi dove presto essa scomparve (intorno al

La Gemma augustea (Gemma Augusti)è considerata uno dei capolavori assoluti dell’arte di tutti i tempi.

CULTURA

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Augusto a Roma non volle mai essere venerato come un Dio, anche se accettò ed anzi promosse il suo “culto” al di fuori dell’Urbe, nelle provincie del vasto impero).Assisa a fianco all’imperatore è Roma stessa, che indossa un elmo sulla testa e tiene una lancia nella mano destra, mentre la sinistra sfiora l’elsa della spada, a conferma della sua vocazione guerriera. Tenendo il piede sopra l’armatura delle popolazioni conquistate, la dea Roma sembra guardare compiaciuta ad Augusto. Taluno ha ravvisato una qualche somiglianza tra questa figura e la moglie dell’imperatore Livia Drusilla, madre del successore Tiberio. Tra Augusto e Roma si inserisce il simbolo zodiacale del Capricorno, sotto cui era nato il Princeps medesimo.A fianco di Roma si nota un giovane in uniforme militare, identificabile con

Germanico, nipote prediletto dell’imperatore, assegnato a Tiberio come figlio adottivo. Al suo fianco un carro trionfale, sul quale si staglia una figura con indosso una toga, raffigurante proprio Tiberio. La toga rappresenta la civiltà e vuole celebrare il ritorno alla pace dopo la guerra. In tale scena Tiberio scende dal carro del trionfo per recarsi da Augusto, in segno di obbedienza e di ossequio, mentre alle sue spalle la dea della Vittoria guida il carro.Per quanto riguarda la parte inferiore del cammeo, non è facile interpretare le varie figure che vi appaiono. Le due sedute in basso sulla sinistra potrebbero rappresentare i popoli dei Pannoni, dei Dalmati e dei Germani appena sottomessi. Alle loro spalle dei soldati romani stanno montando un trofeo di guerra con le spoglie dei nemici battuti, i quali saranno

raffigurati poi anche sulle due colonne traiana ed aureliana, oltre che nel Trofeo delle Alpi augusteo.Il soldato più a sinistra sembra indossare un elmo tracio, probabilmente attribuibile al re Remetalce I che aiutò Tiberio in Pannonia negli anni 6-9. Un altro dei soldati potrebbe essere identificato con Marte in virtù dell’armatura pregiata che indossa. La figura immediatamente alla destra dei militi che stanno montando il trofeo potrebbe essere Diana (o semplicemente un ausiliario come pure la figura alla sua destra). La dea sembra tenere nella mano sinistra alcune lance, mentre alla sua sinistra un uomo, identificabile con Mercurio, tiene per i capelli una prigioniera di guerra. A terra, sempre sulla destra, si osserva un personaggio virile barbuto, con al collo un

torque, tipico collare dei popoli celti e di alcune popolazioni germaniche.

L’arte del cammeo trovò il suo campo più fecondo e il suo naturale appoggio alla corte degli imperatori romani, dove si esercitò soprattutto nel riprodurre le effigie dei duci e la glorificazione delle loro gesta. Augusto, in particolare, volle portare con sé dall’Oriente proprio Dioscuride, il massimo artista in questa arte aulica, il quale ebbe come aiutanti e successori i suoi due figli Illo ed Erofilo. A Dioscuride si possono anche attribuire una buona parte dei ritratti di Augusto, che ci rappresentano il grande imperatore per lo più idealizzato (per non dire divinizzato), sebbene non manchino di un certo realismo. La Gemma Augusti resta comunque l’esempio più superbo del suo straordinario talento.

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DIAMANTE SINTETICO:tecnologia e commercio

di Alberto Malossi

Da principio come curiosità scientifica, poi anche come opportunità commerciale,il diamante sintetico si è affacciato da qualche anno sul mercato, un mercato che possiamo definire in lenta, ma costante crescita. Se i costi di produzione subiranno una flessione,il commercio del diamante sintetico potrà avere un crescente e veloce sviluppo, ed è quindi importante inquadrarne ora le caratteristiche gemmologiche e commerciali in modo corretto, per poter capirne le potenzialità e i confini etici.

CARATTERISTICHE GEMMOLOGICHE

La produzione

I metodi per far crescere un diamante in laboratorio sono fondamentalmente due:

1) Il metodo BARS/HPHT (entrambi acronimi, il primo dal russo “Besspressovaya Apparatura visokogo davleniya Razrezanaya Sphera (Press-free high-pressure apparatus split sphere) e il secondo dall’inglese “High Pressure High Temperature”) è utilizzato per la produzione di diamanti sintetici di tutte le tonalità del giallo, ottenuto molto più facilmente del blu,

dell’arancione e del marrone (le colorazioni rosa, rosso e verde che si trovano in commercio sono ottenute con irradiazione). La produzione comprende carature da 0,30/0,40 a poco più di ct 2,50: al di sotto non sarebbero commercialmente convenienti, al di sopra non è possibile per un limite tecnico delle apparecchiature. I produttori attualmente presenti sul mercato non sono più di cinque, mentre qualcuno crea brand rivendendo il prodotto con nomi di fantasia. La produzione è limitata perché limitate sono le richieste del fancy color, e il prezzo è ancora notevolmente elevato.

2) Il metodo CVD (Chemical Vapor Deposition) è un processo meno costoso e recentissimo, che permette la produzione di diamanti sintetici di non oltre ct 1,50, incolori, brown, rosa e blu. Al mondo vi sono pochi produttori di qualità gemma, e il mercato è piuttosto opaco, non è facile accedervi e comunque il costo non è per ora conveniente.Lo sviluppo futuro del diamante sintetico si affermerà sicuramente con questo processo.Da diversi laboratori gemmologici internazionali sono stati segnalati diamanti sintetici incolori prodotti con il metodo CVD in specie di piccole dimensioni, anche di un punto.

L’identificazione

Spesso la tecnologia della creazione è più avanzata di quella dell’identificazione. Non tanto per i diamanti sintetici realizzati con metodo BARS/HPHT - sempre identificabili anche se con esami sofisticati non alla portata di tutti - ma per quelli che verranno prodotti con il processo CVD: una tecnologia supportata da enormi risorse - perché orientata alla realizzazione di prodotti elettronici - che produrrà diamanti sintetici sempre più perfetti e difficili da identificare.Per questo motivo è importante sostenere economicamente la ricerca universitaria e i laboratori gemmologici di eccellenza

GEMMOLOGIA

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Chi aderisce a Federpietre aggiunge valore alla sua impresa.

Chi desideri conoscere meglio o associarsi a Federpietre, non esiti a contattare per qualsiasi informazione e curiosità la segreteria organizzativa di Federpietre:e-mail: [email protected]

Per la pubblicità su Federpietre Informa preghiamo le aziende interessatedi rivolgersi direttamente all’uffi ciodi segreteria della Federazioneper notizie su tariff e e spazi disponibili.

Van Cleef & Arpe

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impegnati in un comune progetto di studio per una corretta identificazione.

ASPETTI COMMERCIALI

I cambiamenti radicali degli ultimi anni hanno affermato nuovi stili di vita e nuovi significati del concetto del lusso e del valore stesso: il gioiello non più come bene rifugio, come simbolo di ricchezza e di condizione sociale, di trasmissibilità alle generazioni future, ma scelta consapevole e ponderata, basata su un’attenta informazione sempre più facilitata anche dalla navigazione in rete. Il consumatore finale sa che esistono le gemme di sintesi, le prende in considerazione come possibili alternative, e le può scegliere per motivazioni diverse, tutte estremamente valide.

Non sempre la motivazione è puramente economica (la possibilità di possedere gioielli altrimenti inaccessibili), ma sempre più spesso è dettata dal bisogno di sicurezza (furti, smarrimenti e distrazioni sono diventati un deterrente per acquisti di un certo impegno) e il fatto che il diamante sintetico sia difficilmente riconoscibile da quello naturale riesce a renderlo particolarmente convincente. Il target è rappresentato da donne dai 35 anni in su, di livello medio-alto, colte, aggiornate, attente. Sono assecondate nelle loro scelte anche da una buona percentuale di uomini. È sempre più in crescita la motivazione prettamente etica, anche nel mondo della gioielleria, e il diamante sintetico ne racchiude perfettamente il paradigma.

L’oggetto si devalorizza come materiale puro, l’importanza è il suo significato dato dal design, dalla marca, dalla propria capacità interpretativa.

Il suo valore è più complesso, non legato in modo indissolubile al concetto di pietra naturale. Così l’atteggiamento del consumatore verso le gemme di sintesi in generale è notevolmente cambiato negli ultimi anni, un’evoluzione rapidissima che fa rilevare una mancata coincidenza tra le esigenze e i desideri del consumatore e i prodotti offerti.

CONCLUSIONI

“La sfida per il commercio del diamante consiste nel decidere che cosa fare con i diamanti sintetici. Se li releghiamo in una prigione sotterranea, troveranno un modo furtivo per entrare ed inquinare il nostro mercato. Se li posizioniamo come una categoria legittima di prodotti differenziati, ne trarrà beneficio sia il consumatore, sia l’industria del diamante naturale, perché se ne aumenterà la richiesta.[….]L’autentico e il vero sono valori meravigliosi per cui la gente è disposta a pagare un prezzo speciale. Ma la gente è anche disposta a pagare per cose moderne, differenti e nuove. La formula è molto semplice: più diamante, più gioielleria, più consumatori, più profitti, il sogno “diamante” appartiene ai consumatori che sognano di comprare il diamante… tutti i tipi di diamante.”*

Ecco come il commercio del diamante di sintesi può diventare un’ eccezionale opportunità per molti, se sapremo cambiare per crescere, senza pregiudizi o demonizzazioni. E gli istituti universitari e i laboratori gemmologici possono posizionarsi in prima linea per diffondere cultura e informazione, accanto ad un attento, preciso e necessario controllo.

*(Da Martin Rapaport, “RAPAPORT DIAMOND REPORT” Vol. 26, n° 37, 30 Ottobre 2003)

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Nell’asettico linguaggio tecnico della gemmologia qualunque disomogeneità presente in una pietra viene chiamata inclusione, sia essa completamente inglobata nell’esemplare oppure affiorante alla sua superficie. Esempi di inclusioni, indicate anche come caratteristiche interne, sono: cristallini di minerali della stessa natura della pietra ospitante (es.

diamante in diamante) o differente (es. rutilo in zaffiro), fluidi, bolle gassose, fessure, inclusioni multifase (bifase: cavità con un liquido e una bolla di gas; trifase: cavità con un liquido, una bolla di gas e un cristallo).

Nel gergo commerciale una pietra viene detta “pura” quando non contenga inclusioni osservabili alla lente. Termini coloriti come

“carboni” e “ghiacciature”, usati nel commercio per indicare rispettivamente inclusioni scure o biancastre, devono essere abbandonati perché obsoleti e privi di contenuto scientifico. Un tempo i gioiellieri italiani usavano il termine jardin, ormai in via di estinzione,preso a prestito dai francesi per nobilitare l’insieme di inclusioni presenti negli smeraldi.

Mentre il commercio considera in generale tutte le caratteristiche interne come difetti causa di deprezzamento e indice di inferiore qualità, la gemmologia si avvale di esse come miniera di informazioni. Esse permettono di identificare la gemma che le ospita,consentendo di stabilire se l’esemplare è naturale, sintetico, trattato.

Al cuore delle gemme: LE INCLUSIONI

di Raffaella Navone - Laboratorio Gemmologico R.A.G.,Torinoe Emanuele Costa - Dipartimento di Scienze della Terra, Università degli Studi di Torino

La bellezza è una delle virtù cardinali delle gemme, insieme a rarità e durevolezza.Ma c’è una bellezza non immediatamente evidente, che si svelerà solo esplorando l’interno. Il microscopio apre uno scenario che cattura l’osservatore: intricati disegni, forme esotiche, bizzarre, popolano il microcosmo segreto delle gemme.

Cristalli aghiformi raggiati di goethite in ametista. Illuminazione in campo scuro e fibra ottica (50 x). Foto by Paolo Cerruti.

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Ringraziamo:Sergio Pelissero, di Diamante S.r.l., Torino, per lo smeraldo illustrato nella figura n°2.Carlo Trossarelli per gli utili consigli su questo articolo.

* http://www.lescienze.it/news/2014/03/13/news/acqua_mantello_minerale_ringwoodite-2049649

In certi casi la presenza di inclusioni tipiche è sufficiente per determinare la natura della gemma che le ospita. Gli aloni di tensione discoidali (lily-pads) sono il marchio di fabbrica del peridoto (olivina). Le sottili fibre di bissolite disposte a raggera (horsetail) sono uniche e distintive del granato demantoide. Cristalli di albite circondati da numerose fessurine irregolari che si dipartono trasversalmente dal cristallo disegnano dei “millepiedi” all’interno della pietra di luna (adularia).

Inoltre le inclusioni sono un utile strumento per riconoscere la zona geografica di provenienza di rubini, zaffiri, smeraldi, come il mercato internazionale richiede. Alcuni tipi di inclusione sono dei veri contrassegni. È il caso, per esempio, delle tipiche inclusioni trifasi con bordo dentellato che firmano gli smeraldi colombiani.

Ottenute le preziose informazioni dal gemmologo, il commerciante può determinare il valore della pietra: il “difetto” si trasforma in alleato.

Infine alcuni tipi di inclusioni danno origine ad affascinanti fenomeni ottici. È il caso dei cristalli lunghi e sottili, aghiformi, solitamente rutilo, che, grazie a un taglio a cabochon opportunamente orientato, causano l’effetto a stella (es. rubino o zaffiro asteria) o il cosiddetto gatteggiamento (es. crisoberillo occhio di gatto).

Poco nota al pubblico è la nicchia dei collezionisti di inclusioni: per questi appassionati vengono appositamente studiati tagli che mettano in risalto inclusioni inusuali, rare per natura o forma.

Per il mineralogista, le inclusioni sono una finestra

aperta sui meccanismi geologici che hanno guidato la formazione di interi continenti e catene montuose, e assumono una importanza scientifica di assoluto rilievo. Esse sono fondamentali per capire la natura dell’ambiente di formazione, per calcolare a quale profondità e temperatura si sono formati i minerali e come si sono accresciuti.È recente la notizia della scoperta in un piccolo diamante grezzo brasiliano di un’inclusione di ringwoodite (minerale con la stessa composizione chimica dell’olivina, ma con differente struttura cristallina, formatosi ad alta pressione), finora rinvenuta solo nelle meteoriti*.La grandissima importanza scientifica del ritrovamento della ringwoodite sta nel fatto che essa contiene acqua nella sua struttura. Tale presenza dimostrerebbe che nel mantello terrestre, dove si sono formati i diamanti, si trovano quantità di acqua maggiori di quelle finora sospettate.

Non possiamo non ricordare qui il dott. E.J. Gübelin (1913-2005), pioniere nello studio delle inclusioni e della fotomicrografia. Con un lavoro di anni e di migliaia di fotografie ha catalogato gemme e inclusioni da tutto il mondo, insegnando alla comunità gemmologica la bellezza, il valore e l’importanza di queste gemme nelle gemme. Frutto della collaborazione con John I. Koivula, rinomato specialista delle inclusioni, sono i tre volumi del “Photoatlas of Inclusions in Gemstones”, pietra miliare della scienza gemmologica.E proprio il Koivula (Photomicrography for gemologists in Gems & Gemology, Fall 2013, Vol. 49, No. 3, pag. 4-23) ricorda come ancora oggi, in un’epoca in cui la gemmologia ricorre sempre più a strumentazione

avanzata, un’accurata osservazione al microscopio e l’utilizzo degli altri metodi di analisi tradizionali forniscono ancora molte informazioni utili, che “possono eliminare esami avanzati non necessari, oppure servire come guida per ulteriori analisi”.

1) Gruppo di cristalli di pirite in smeraldo colombiano. Luce trasmessa e obliqua (50 x) 2) Inclusione trifase in smeraldo colombiano. Luce trasmessa e obliqua

(25 x) 3) Rubino sottoposto a trattamento termico a bassa temperatura. Aloni di tensione causati dall’espansione termica dei cristalli di pirite. Luce trasmessa e obliqua (80 x) 4) Rubino sintetico da fusione alla fiamma. Strie curvilinee e bolle di gas. Luce trasmessa (25 x)5) Cristalli fibrosi di bissolite che si irradiano da un

cristallo di cromite in granato demantoide. Luce obliqua (25 x).Tutte le foto in questa pagina by Carlo Trossarelli.

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Italian GEMOLOGIST

I principali problemi a cui un laboratorio si trova oggi a far fronte quali sono? Innanzitutto direi l’identificazione del trattamento termico nei rubini e negli zaffiri così come la presenza di materiale estraneo (olio o resine) negli smeraldi. Nei corindoni esiste la possibilità di trattamento termico con l’aggiunta di additivi per indurre una colorazione: il trattamento di termodiffusione. Questo trattamento è stato utilizzato in passato per indurre la colorazione blu nei corindoni con l’ausilio di ferro e titanio. In tempi più recenti l’evoluzione tecnica ha permesso l’utilizzo del berillio per indurre colorazioni arancioni, gialle, rosa e blu e questa evoluzione presenta maggiori difficoltà identificative.Un’altra importante problematica è rappresentata dalla corretta identificazione della tipologia delle perle. Bisogna individuare se si tratti di una perla naturale o coltivata. Tra le perle coltivate se di acqua salata o di acqua dolce e se le perle sono state coltivate con l’utilizzo di un nucleo rigido oppure no. Poi risulta sempre una sfida per ogni laboratorio gemmologico l’identificazione dei diamanti trattati HPHT (ad alta pressione ed alta temperatura).

Questo trattamento è prevalentemente eseguito su alcuni diamanti bruni (di tipo IIa) che divengono incolori. Il valore economico dei diamanti perfettamente incolori, a causa della loro rarità, è molto elevato. E’ quindi cruciale che i diamanti trattati vengano riconosciuti per mantenere la fiducia nel mercato dei diamanti.

Novità recenti in fatto di trattamenti e sintesi?Nel campo dei trattamenti stiamo assistendo ormai da qualche anno alla diffusa presenza di rubini e zaffiri con fratture riempite da vetro. Alcuni campioni sono addirittura composti più da materiale vetroso che da matrice cristallina di ossido di alluminio (corindone) e in tal caso si è scelto di identificarli con la denominazione di “materiali compositi”. È una tipologia di gemma molto diffusa, ma che non presenta problematiche identificative per i laboratori.L’identificazione dei trattamenti effettuati sui diamanti naturali al fine di modificare il loro colore di partenza risultano ad oggi una delle sfide maggiori per i laboratori di analisi. I diamanti sono oggetto di studio, ormai da più di un secolo, dei maggiori centri di ricerca al mondo. L’alterazione del diamante durante le fasi di trattamento

avviene su scala atomica e si traduce, dal punto di vista macroscopico, in una differente colorazione rispetto a quella di partenza. Ad oggi, infatti, è possibile ottenere diamanti di qualsiasi colore (neri, gialli, rosa, incolori, rossi, verdi, blu, azzurri etc.) mediante dei processi artificiali condotti in laboratorio dall’uomo con strumentazioni alquanto sofisticate (reattori nucleari, acceleratori lineari di particelle, Split Sphere). Fortunatamente dal punto di vista sperimentale esistono delle evidenze tali da poter distinguere colorazioni naturali da colorazioni indotte, ma è possibile farlo solo caratterizzando lo stato difettuale dei diamanti su scala atomica. Le tecniche analitiche coinvolte richiedono il dispiego di strumentazioni e protocolli di analisi molto complessi. Nel campo delle sintesi si segnala la presenza di diamanti sintetici prodotti con il metodo CVD (Chemical Vapour Deposition) e HPHT (High Pressure High Temperature) di ultima generazione. Il diamante sintetico rappresenta in questo momento una importante realtà nel mondo delle gemme, grazie anche all’alta qualità del materiale prodotto. Con il metodo CVD ormai si ottengono grezzi sintetici perfettamente trasparenti di oltre 2 ct. (eccezionalmente fino a

3 ct.), mentre con l’HPHT fino ai 2,5 ct. Questi valori sono indicativi e massimali, ma fanno capire il livello raggiunto sul fronte “diamante sintetico”. Dal punto di vista analitico, anche in questo caso si deve ricorrere all’utilizzo di tecniche spettroscopiche avanzate (spesso complementari), affiancate da un’accurata analisi gemmologica di base.

Quale equipaggiamento è richiesto in un laboratorio gemmologico al giorno d’oggi?Oltre alla strumentazione gemmologica di base (microscopio, rifrattometro, bilancia idrostatica, polariscopio, set di master, proporziometro), occorrono strumentazioni e conoscenze che vanno ben oltre la concezione comune dell’analisi gemmologica. Come in ogni branca sperimentale della scienza è possibile studiare e caratterizzare i materiali (nel nostro caso le gemme) a diversi livelli e con obiettivi molteplici. Il mondo delle gemme è molto più articolato di quanto si possa immaginare. Basti pensare che la gemmologia intesa come scienza non può prescindere da una profonda conoscenza della mineralogia, della geologia della terra, della fisica e della chimica. Quando un laboratorio di analisi si propone

Abbiamo chiesto alla dottoressa Loredana Prosperi, responsabile del laboratorio dell’Istituto Gemmologico Italiano, nonché neo-Consigliere, di delineare lo stato dell’arte della gemmologia in Italia.

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IGIdocet

“Campus Italia” in onda su RaiItalia ha ospitato nella puntata dell’8 Giugno scorso Loredana Prosperi, docente e responsabile del laboratorio dell’Istituto Gemmologico Italiano. Il programma infatti si concentra sulle possibilità di formazione d’eccellenza in Italia, spaziando dall’educazione universitaria a quella professionale nell’ambito delle arti e dei mestieri. Le gemme sono state scelte per raccontare una realtà nazionale particolarmente affascinante e tipica di alcuni contesti territoriali, con un profilo internazionale e spettacolare dal punto di vista della resa televisiva.

Nel suo intervento la dottoressa Prosperi ha trattato delle potenzialità professionali della gemmologia, focalizzandosi in particolare sul corso di IGI dedicato alle pietre di colore, il quale insegna a riconoscere gemme che vanno dai corindòni, cioè rubini e zaffiri, fino ai berilli, gruppo che riunisce smeraldi e acquamarine, passando per una miriade di altri materiali preziosi, inclusi quelli di origine animale come il corallo, le perle o l’avorio, e di origine vegetale come l’ambra e il giaietto.Loredana Prosperi ha sottolineato che il gemmologo non è solo un esperto conoscitore di pietre preziose,

capace di identificarle e valutarle, ma è anche un tecnico specializzato nella loro lavorazione. In particolare, il gemmologo impara a riconoscere le pietre naturali da quelle di sintesi, con l’aiuto di tutta una serie di strumenti e tecnologie. L’Istituto Gemmologico Italiano svolge formazione in questo campo da quarant’anni, con diverse sedi in tutto il territorio nazionale, diplomando negli anni centinaia di gemmologi.

Sempre in tema di formazione, IGI è stato anche protagonista del blog del Corriere della Sera “La Nuvola del Lavoro” con un’intervista realizzata dalla reporter Laura Bonani. Il tema è stato quello delle potenzialità professionali del mestiere di gemmologo al giorno d’oggi, per cui sono stati interpellati ragazzi che, dopo il diploma conseguito all’Istituto Gemmologo Italiano, hanno intrapreso attività lavorative gratificanti. “La Nuvola del Lavoro” è infatti uno spazio pubblico rivolto ai giovani e ai temi dell’occupazione, quindi un collage di ritratti e di esperienze. A smentita del fatto che questa generazione non è tutta “perduta”, come sentenzia qualche apocalittico, ma che è ancora possibile farcela. Grazie anche alla gemmologia!

come ente certificatore a servizio del settore deve sempre misurarsi con le responsabilità che esercita. Il laboratorio dell’Istituto Gemmologico Italiano ha a disposizione una serie di strumentazioni che risultano fondamentali quando l’analisi ordinaria non è più sufficiente per raggiungere diagnosi univoche e inconfutabili. Per questo oggi un laboratorio di analisi deve disporre di uno spettrofotometro UV-VIS, uno spettrometro IR, uno spettrometro Raman, uno spettrometro a fluorescenza X (XRF), una laser ablation (LA-ISP-MS)… nomi che spaventano, ma che per noi sono ormai importanti strumenti di lavoro. Queste strumentazioni risultano proibitive per molti non solo dal punto di vista economico, ma soprattutto perchè il loro utilizzo richiede un profondo “know how” e “know why” di complessi processi fisici che avvengono all’interno della materia. Questa è la realtà odierna di un centro di analisi e non si pensi che quanto appena detto sia solo un leziosismo accademico.Tengo a sottolineare che l’Istituto Gemmologico Italiano ha stipulato convenzioni con Università e CNR che consentono l’utilizzo di strumentazione adeguata e prevedono programmi di analisi e ricerche congiunte.

IGI svolge anche attività di ricerca autonoma?Collaboriamo con alcune Università italiane al fine di caratterizzare vecchi e nuovi materiali gemmologici, giacimenti, trattamenti, sintesi, metodi di indagine. Queste ricerche talora hanno solo un utilizzo interno al laboratorio, ma spesso i risultati vengono pubblicati su riviste internazionali (Gems & Gemology, Journal

of Gemmology, Australian Gemmology, Journal of Raman Spectroscopy).L’Istituto Gemmologico Italiano è inoltre membro fondatore della FEEG, Federazione Europea di Educazione in Gemmologia, insieme ad altri 12 Istituti Europei. In molti di questi Istituiti è presente, come da noi, il laboratorio di analisi gemmologica e spesso gli analisti dei vari laboratori europei si confrontano su alcune problematiche.

Cosa si prospetta per la gemmologia italiana nel prossimo futuro?La specificità italiana nell’ambito dell’analisi gemmologica, secondo me, è l’esistenza da anni di tre Norme UNI (Ente Nazionale Italiano di Unificazione):- UNI 9758: “Diamante. Terminologia, classificazione, caratteristiche e metodi di prova”;- UNI 10173: “Classificazione del taglio”;- UNI10245: “Materiali gemmologici, Nomenclatura”.Queste Norme non sono attualmente cogenti, ma lo diverrebbero nel momento di promulgazione della “Legge Mattesini” sulla regolamentazione dei materiali gemmologici (AS 683 in via di approvazione). Per i laboratori gemmologici esteri non esiste una regolamentazione paragonabile nei vari ambiti nazionali. In essi si seguono per lo più o norme interne di autoregolamentazione o norme di associazioni di categoria (ad esempio quelle CIBJO o IDC). Ritengo che le sfide della gemmologia italiana siano le stesse della gemmologia in altre Nazioni. È fondamentale mantenere e aggiornare continuamente le competenze tecnico-scientifiche per risolvere le questioni che continueranno a presentarsi.

Federpietre Informa // GEMMOLOGIA

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SEDE DI MILANO CORSO SUL DIAMANTE (4 moduli - 120 ore totali) 15 settembre 2014APPROFONDIMENTO DIAMANTE V 1 tipo (1 modulo - 30 ore ) 22 settembre 2014CORSO INFORMATIVO TEORICO E PRATICO DI STIMA DI GIOIELLI (3 giorni -18 ore totali) 06 ottobre 2014CORSO SULLE PERLE (1 modulo - 30 ore totali) 10 novembre 2014

SEDE FORMATIVA DI ROMA CORSO SUL DIAMANTE (4 moduli - 120 ore totali) 15 settembre 2014CORSO SULLE PERLE (1 modulo - 30 ore totali) 01 dicembre 2014

C/O CENTRO ORAFO IL TARÌCORSO SUL DIAMANTE (4 moduli - 120 ore totali) 06 ottobre 2014CORSO SULLE PERLE (1 modulo - 30 ore totali) 24 novembre 2014

SEDE FORMATIVA A CATANIA CORSO SULLE PERLE (1 modulo - 30 ore totali) 29 settembre 2014

VALENZA, in programmazione un corso sul diamante.

Per informazioni e prenotazioni chiamaci!Tel. 02.80504992 | e-mail: [email protected] | www.igi.it

Come sempre, l’Istituto Gemmologico Italiano è il punto d’ incontro della Gemmologia.La formazione gemmologica, ormai strategica per ora� , è il cuore dell’attività IGI:

ecco il calendario per i prossimi mesi con numerosi corsi da non perdere!

Il nuovo consiglio direttivo IGISarà Paolo Valentini, 63 anni (foto), a guidare l’Istituto Gemmologico Italiano per il quarto mandato consecutivo (2014-2016). La nomina ufficiale è avvenuta l’8 Giugno scorso durante l’annuale Assemblea dei Soci svoltasi a Milano, in occasione della quale è stato rinnovato l’organo amministrativo. Il nuovo Consiglio Direttivo di IGI risulta ora composto da:

• Paolo Valentini Presidente • Haneda Corsetti Vicepresidente• Raffaele Maino Vicepresidente/Economo• Chiara Storchi Consigliere/

Economo• Paola Emma Vaccari Consigliere/Segretario • Pasquale Brignola Consigliere• Loredana Prosperi Consigliere

”Continuerò ad impegnarmi perché l’Istituto Gemmologico Italiano rafforzi le sue basi e punti a traguardi ambiziosi, eccellendo nella fornitura di servizi ad alto valore aggiunto sia agli addetti ai lavori che ai privati” ha dichiarato il Presidente Valentini, spiegando: “Penso all’elevata qualità dei

corsi di formazione, delle analisi e delle certificazioni gemmologiche, ma mi riferisco anche all’attività di ricerca, diffusione di cultura e responsabilizzazione del settore attraverso la promozione di una sana deontologia. Ci attendono grandi sfide, dai materiali sintetici ai trattamenti, per cui sono indispensabili, oltre a strumenti all’avanguardia, operatori molto preparati, capaci di agire con efficienza e sostenuti da una forte carica etica”.

Paolo Valentini, nato a Roma e “adottato” da Valenza Po,

è attivo da oltre 40 anni nel commercio delle pietre preziose. Socio fondatore nel 1985 dell’International Colored Gemstone Association (ICA), l’associazione mondiale dei commercianti di gemme di colore, di cui è stato Presidente dal 1995 al 1999, Valentini ha anche guidato dal 1996 al 1999 Federpietre, di cui è membro dal 1974. Inoltre è stato delegato per l’Italia ai consessi di CIBJO, la Confederazione mondiale della Gioielleria.Membro del Club degli Orafi Italia, Paolo Valentini presiede l’Istituto Gemmologico Italiano dal 2005.

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Delle tre sorelle di Napoleone Bonaparte la più celebre fu Paolina, donna bellissima che il grande scultore Antonio Canova rese immortale nella splendida statua della “Venere vincitrice” (1805-1808), conservata alla Galleria Borghese di Roma. Molto legata all’Italia (sposò il principe romano Camillo Borghese, visse in prestigiosi palazzi a Milano e Roma, e fu nominata dal fratello Duchessa di Guastalla), Paolina amava il lusso ed era dedita alla vita mondana (ebbe uno stuolo di

amanti); fu sempre attentissima alla moda, ma più di tutto adorava i gioielli, al punto che il suo unico argomento di conversazione erano bracciali, tiare, collier, anelli, orecchini, spille e monili vari. Chi parlava d’altro veniva addirittura bandito dalla sua corte (corte della quale faceva parte anche un cardinale: l’arcivescovo Giuseppe Maria Spina di Genova). Nei dipinti che la ritraggono appare sempre con stupendi ornamenti indosso, tra cui una superba corona. Non a caso fu l’attrice Gina

Lollobrigida, un’altra somma intenditrice e collezionista di gioielli, ad interpretare il personaggio di Paolina nel famoso film “Venere imperiale”. La principessa, che subì la perdita di entrambi i figli (uno avuto dal primo marito, il generale francese Victor Emanuel Leclerc, l’altro dal secondo, il Principe Borghese) morì nel 1825. L’augusto fratello era scomparso quattro anni prima a Sant’Elena, dove a Paolina era stato proibito di fargli visita.

L’Art Nouveau fu tra gli stili che contribuirono più sensibilmente a stimolare la gioielleria, con la natura come principale fonte di ispirazione, arricchita dalla smaltatura e dall’introduzione di nuovi materiali quali opali o pietre semipreziose. L’interesse per l’arte giapponese promosse nuove tematiche e approcci agli ornamenti, meno legati al puro tornaconto economico. Stava nascendo un nuovo tipo di gioielleria, motivato più da un’artista-designer che da un

artigiano mero incastonatore di pietre preziose. Furono in particolare i gioiellieri di Parigi e Bruxelles a definire l’Art Nouveau nel campo dei preziosi, e fu in queste città che vennero realizzati gli oggetti più rinomati. La critica francese vide nel disegnatore di monili René Lalique il fulcro della radicale trasformazione in atto. In effetti egli rese gloria alla sua arte, estendendone il repertorio a nuovi aspetti naturalistici (ad esempio libellule o erba) ad alto

livello decorativo. Tutti i gioiellieri si dimostrarono molto sagaci nell’evocare col nuovo stile la nobile tradizione rinascimentale, caratterizzandosi per gli articoli in oro lavorato e smaltato, e la visione del mestiere come arte prima che artigianato. Nella maggior parte delle opere le pietre preziose retrocessero in secondo piano, compresi i diamanti per lo più utilizzati con un ruolo secondario, accostati a materiali meno noti come il vetro, l’avorio e il corno.

Che l’oro possa rappresentare un efficace modo per proteggere il valore della propria ricchezza non è una novità. Il suo appeal dura da secoli. Il suo fascino moderno, tuttavia, ha qualcosa di molto solido che va oltre l’interesse culturale: chi ha investito in oro all’inizio del nuovo millennio ha moltiplicato il capitale molto più che se avesse impiegato i suoi soldi nelle alternative tradizionali. Non può sorprendere, quindi, che sia ripartita da tempo la

caccia al prezioso metallo. In questi ultimi anni il lingotto è apparso un bene sicuro agli occhi di molti, mentre l’euro e il dollaro perdevano valore e credibilità, affermano Matthew Bishop e Michael Green in “Caccia all’oro. Vecchie e nuove monete per il futuro” (Università Bocconi Ed., Milano 2013). L’investimento in oro è una buona opportunità anche per il futuro? A giudicare dalla diffusione capillare di Compro Oro, verrebbe da concludere che convertire gioielli e monete

in cash sia diventato più facile che in passato. “Tanto che” afferma Francesco Daveri nella prefazione al libro, “quelli che gli autori definiscono fondamentalisti dell’oro propongono di tornare ad agganciare ad esso le monete. Ma questa sarebbe una soluzione o invece pura follia come sostengono molti economisti, secondo i quali si ritroverà un equilibrio nel sistema attuale?”. Gli autori considerano sbagliate entrambe le ipotesi.

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LEGGENDOQUA E LÀ

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IL fUTURODEI MESTIERIARTIGIANALI

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selezioniamo ogni anno alcune decine di ragazze e di ragazzi, che per sei mesi lavoreranno presso la bottega, l’atelier o l’impresa artigianale cercando di imparare da un maestro / tutor. Il loro stipendio mensile è pagato direttamente dalla Fondazione. La selezione parte dalle migliori scuole di formazione presenti in Italia: il loro ruolo è fondamentale, perché dalle scuole escono i ragazzi cui affidiamo il futuro del Made in Italy.

Lo scorso anno siamo riusciti a mettere “a bottega” venticinque giovani, e la nostra ambizione è quella di aumentare il numero sempre di più sino ad arrivare a cento. Per riuscire a cogliere questo traguardo abbiamo però bisogno del supporto di chi crede nel valore del mestiere d’arte: per questo, nell’ambito del progetto, abbiamo anche attivato la campagna “Adotta un giovane artigiano”. Con una donazione di 5.000 euro è possibile finanziare un tirocinio formativo: ogni donazione, o adozione, ci permette quindi di aumentare il numero di giovani messi a bottega.

Lo scorso anno abbiamo ricevuto parecchie adozioni, e speriamo davvero che anche per questa nuova edizione del progetto potremo contare sulla generosità di chi sa che una “mano intelligente”, educata al bello, è un investimento per l’intero Paese.

Franco CologniPresidente della Fondazione Cologni

dei Mestieri d’Arte (Milano)

Quando si pensa a quel “tratto distintivo” che rende i prodotti del migliore Made in Italy così riconoscibili e desiderati in tutto il mondo, troppo raramente si valorizza l’importanza di coloro che sono i veri artefici della sua bellezza e della sua distintività: i maestri d’arte. Ovvero, i grandi artigiani che sono gli interpreti del progetto creativo e che lo sanno trasformare in un prodotto fatto per durare.I mestieri d’arte sono attività di altissimo artigianato, tradizionali o contemporanee, in cui all’abilità manuale si accompagna una grande capacità di interpretazione del progetto, un notevole senso artistico, una destrezza innata per creare cose belle.Saper creare e saper fare: un dialogo al quale si aggiunge oggi un terzo interlocutore fondamentale, ovvero il designer, del quale il maestro d’arte può avere oggi necessità per inserirsi con più facilità nel mondo contemporaneo.

In tutti i campi in cui l’Italia eccelle la mano del maestro d’arte è fondamentale; e nella gioielleria, in particolare, fa ancora la differenza.

Ma occorre attivarsi per formare una nuova generazione di artigiani, che sappiano porre sempre creatività e saper fare in dialogo tra loro.Con il progetto “Una Scuola, un Lavoro. Percorsi di Eccellenza” la Fondazione Cologni dei Mestieri d’Arte vuole dunque contribuire alla creazione di questa nuova generazione di maestri: per questo

Federpietre Informa // IL PUNTO DI VISTA

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