Fashion

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Sommario Prefazione 6 TODD BRANDOW Introduzione 8 NATHALIE HERSCHDORFER PARTE I Gli inizi: 1911-1939 24 Fotografi e creatori di moda: una stretta collaborazione 82 OLIVIER SAILLARD PARTE 2 L’età d’oro: 1940-1959 89 La nascita di una modella: la manipolazione del desiderio 140 SYLVIE LéCALLIER PARTE 3 La new wave: 1960-1979 146 FRANCA SOZZANI Fotografare la moda: la creatività prima della novità 216 INTERVISTA DI NATHALIE HERSCHDORFER PARTE 4 Riappropriazione e rinnovamento: 1980-2010 223 Note 288 Biografie dei fotografi 289 Crediti delle immagini 294 Ringraziamenti 295 Indice dei nomi 296 frontespizio MILES ALDRIDGE Vogue Italia, settembre 2002 © 2012 Contrasto srl via degli Scialoja, 3 – 00196 Roma www.contrastobooks.com Il libro è pubblicato in occasione della mostra “Fashion.” curata da Nathalie Herschdorfer e organizzata dalla Foundation for the Exibition of Photography. Le istituzioni partecipanti: C/O Berlino City Art Centre, Edimburgo Fondazione FORMA per la Fotografia, Milano Musée Galliera – Musée de la Mode de la Ville de Paris Norton Museum of Art, Palm Beach, Florida Edizione originale: Coming into Fashion: A Century of Photography at Condé Nast © 2012 Thames & Hudson Ltd, Londra Per i testi © 2012 FEP Per le immagini © i singoli fotografi. Per i crediti specifici vedi p. 294 Art Direction a cura di William A. Ewing Progetto grafico: Maggi Smith Impaginazione: Tania Russo Traduzione: Davide Vergnano Stampato e rilegato in Cina da C&C Offset Printing Co. Ltd ISBN: 978-88-6965-380-3 Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, interamente o in parte, memorizzata o inserita in un sistema di ricerca delle informazioni o trasmessa in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo (elettronico o meccanico, in fotocopia o altro), senza il previo consenso scritto dall’editore.

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Traduzione dall'inglese del libro Fashion, la storia dei fotografi di Vogue

Transcript of Fashion

Page 1: Fashion

Sommario

Prefazione 6T o d d B r a N d o w

Introduzione 8N aT h a l i e h e r s C h d o r f e r

P a r t e i Gli inizi: 1911-1939 24

Fotografi e creatori di moda: una stretta collaborazione 82o l i v i e r s a i l l a r d

P a r t e 2 L’età d’oro: 1940-1959 89

La nascita di una modella: la manipolazione del desiderio 140s y lv i e l é C a l l i e r

P a r t e 3 La new wave: 1960-1979 146

f r a N C a s o z z a N i

Fotografare la moda: la creatività prima della novità 216i N T e r v i s Ta d i N aT h a l i e h e r s C h d o r f e r

P a r t e 4 Riappropriazione e rinnovamento: 1980-2010 223

Note 288

Biografie dei fotografi 289

Crediti delle immagini 294

Ringraziamenti 295

Indice dei nomi 296

frontespizio

M I L E S A L D R I D G E

Vogue Italia, settembre 2002

© 2012 Contrasto srlvia degli Scialoja, 3 – 00196 Romawww.contrastobooks.com

Il libro è pubblicato in occasione della mostra “Fashion.” curata da Nathalie Herschdorfer e organizzata dalla Foundation for the Exibition of Photography.

Le istituzioni partecipanti: C/O BerlinoCity Art Centre, EdimburgoFondazione FORMA per la Fotografia, MilanoMusée Galliera – Musée de la Mode de la Ville de ParisNorton Museum of Art, Palm Beach, Florida

Edizione originale: Coming into Fashion: A Century of Photography at Condé Nast© 2012 Thames & Hudson Ltd, Londra

Per i testi © 2012 FEP

Per le immagini © i singoli fotografi. Per i crediti specifici vedi p. 294

Art Direction a cura di William A. EwingProgetto grafico: Maggi SmithImpaginazione: Tania RussoTraduzione: Davide Vergnano

Stampato e rilegato in Cina da C&C Offset Printing Co. Ltd

ISBN: 978-88-6965-380-3

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, interamente o in parte, memorizzata o inserita in un sistema di ricerca delle informazioni o trasmessa in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo (elettronico o meccanico, in fotocopia o altro), senza il previo consenso scritto dall’editore.

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QuaSi ogni libro di fotografia pubblicato al giorno d’oggi avrà un capi-tolo dedicato alla fotografia di moda così come si occuperà di ritrattistica e di fotogiornalismo. La fotografia di moda diventa un genere a tutti gli effetti nei primi anni del Novecento, sebbene non sia ancora riconosciuta come arte. I suoi stili continuano a evolversi con il progredire del mezzo stesso. Il grande fotografo americano Edward Steichen sostiene di aver pubblicato nel 1911 “le prime vere fotografie di moda della storia”1, quan-

do gli fu chiesto di illustrare un articolo intitolato “L’arte dell’abito”. L’articolo era dedicato nientemeno che al grande stilista Paul Poiret, e doveva uscire su Art et Decoration, una rivista francese nota per la qualità delle sue illustrazioni. Fin dall’inizio della sua carriera fotografica, il nome di Steichen fu così associato a quello di un grande stilista, famoso per aver creato una nuova concezione della silhouette femminile, e le sue fotografie comparvero accanto ai disegni del celebre illustratore francese Georges Lepape.

Un tempo era possibile vedere delle fotografie di moda unicamente sulle pagine di una rivista o appese alle pareti della camera di un adolescente. Negli ultimi anni però le cose sono cambiate, i musei organizzano mostre importanti,2 si vendono stampe di moda nelle gallerie e nelle case d’aste e gli editori fanno uscire costantemente nuovi titoli dedicati alla fotografia di moda. Le immagini iconiche di Erwin Blumenfeld, di Irving Penn, di Helmut Newton e di Peter Lindbergh sono entrate a far parte della nostra storia culturale e sono vendute a prezzi da record. Questi fotografi sono diventati famosi durante la loro attività per le edizioni Condé Nast. La casa editrice americana è ora conosciuta in tutto il mondo grazie alle sue attività a livello globale, e molti fotografi hanno cominciato il loro percorso sulle sue riviste, soprattutto sulla leggendaria Vogue, alle quali hanno dedicato buona parte della loro carriera. È grazie a queste riviste che tali fotografi si sono fatti un nome, guadagnandosi la reputazione che hanno attraverso la pagina stampata, prima ancora di esporre in una galleria o in un museo.

Nel 2011 la giornalista Suzy Menkes rileva un crescente interesse per il mondo dell’alta moda e per tutto ciò che gli gira intorno: “Grazie alla potenza della tecnologia, alle immagini istantanee e alla partecipazione globale, da passione per pochi la moda è diventata un’attrat-tiva e un divertimento per tutti”.3 Il concetto di bellezza ideale proposto dalla moda continua ad affascinare e le riviste del settore sono anche un grosso affare. La fotografia di moda però non è solo un piacere per gli occhi, può anche essere una sfida e una provocazione intellet-tuale. Nell’ambito delle riviste, Helmut Newton è stato uno dei primi a essere considerato, per il suo talento, non soltanto un fotografo, ma anche un artista. Le sue immagini femminili vanno al di là della moda: con Newton la fotografia è diventata seducente, elegante, potente, provocatoria, scandalosa e scioccante. Ci mostra le sue credenziali e noi la guardiamo in modo diverso. Non più considerata frivola, viene ora elevata a forma d’arte.

C L I F F o R D C o F F I N Vogue, giugno 1949

Introduzione N AT h A L I E h E R S C h D o R F E R

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Non va però dimenticato che fin dall’inizio la fotografia di moda ha origini com-merciali e continua a essere legata al mercato e alla vendita di capi d’abbigliamento. Lo storico James Laver osserva che “la macchina fotografica [è stata] un elemento decisivo per imporre delle tipologie di bellezza”.4 Oltre ai fattori economici c’è anche una dimensione sociologica della fotografia di moda, che ha influenzato nell’ultimo secolo la costruzione dell’identità femminile e che si è strutturata attorno a dei concetti legati alla bellezza, alla seduzione e al culto dei giovani. La fotografia di moda è anche un’industria che impiega un’ampia gamma di figure professionali, dai fotografi agli esperti di ritocco fotografico, da-gli stylist ai make-up artist, dagli art director ai caporedattori e agli editori. C’è da sempre una domanda ricorrente: possiamo definire la fotografia di moda un’arte? Un sarto d’alta moda non è più soltanto qualcuno che realizza degli abiti ma è un artista creativo,5 e lo stesso discorso vale per i fotografi. Prima di diventare capo fotografo a Vogue e a Vanity Fair nel 1923, Edward Steichen era già considerato un artista importante nel suo ambiente e vendeva le sue immagini e i suoi dipinti nelle gallerie d’arte. All’improvviso si ritrovò in prima linea, attaccato dai critici che lo accusano di essersi artisticamente svenduto. Stei-chen si difese sostenendo che le sue fotografie erano finalmente accessibili a milioni di let-tori e non erano più soltanto carta da parati per ricchi collezionisti; ma dovrà passare quasi un secolo prima che gli stessi collezionisti comincino ad acquistare fotografie di moda.6 Nonostante siano realizzate su commissione e stampate su carta patinata, le fotografie di moda sono oggi considerate opere d’arte a tutti gli effetti, a dispetto della natura breve e

arbitraria delle riviste. E la rivista, realtà effimera che riflette e promuove le tendenze del suo tempo, è diventata negli ultimi anni essa stessa un oggetto da collezione, valutata per la grafica, per il formato, per la carta e persino per il profumo dell’inchiostro. Secondo Philippe Garner, esperto di fotogra-fia di moda, “la pagina stampata è stata il vero mezzo di comunicazione del Novecento”.7

Questo progetto è il risultato di una ricerca approfondita effettuata su migliaia di pagine di riviste. Prima di poter apprezzare le fotografie in sé, è stato importante vederle sulla pagina stampata, nel loro contesto della rivista, per poi tornare all’immagine originale, prima della sua pubblica-zione. I fotografi che lavorano per le riviste accettano che le loro immagini siano spesso ritagliate per essere adattate al formato di pagina. Pur essendo stati scelti per il loro talento creativo e per le loro capacità, raramente sono liberi di operare esattamente secondo i loro piani. Le immagini di una ri-vista non sono mai il frutto del lavoro di una sola persona, ma il risultato della collaborazione fra professionalità diverse, la modella, lo stylist, l’art-director, l’esperto di ritocco e il caporedattore. L’industria della moda è un mondo complesso e l’elenco dei crediti che compaiono accanto al nome del fotografo diventa sempre più lungo. Oggi preparare un servizio fotografico per Vogue equivale quasi a fare un film, e può arrivare a coinvolgere fino a cinquanta persone, con sessioni infinite e budget astronomici negoziati dal-le agenzie.8 Dietro alle scene viene fatto un lavoro preparatorio notevole e sono pochi i fotografi che lavorano in modo spontaneo. Annie Leibovitz, che aveva iniziato la sua collaborazione con il gruppo Condé Nast su Vanity Fair, è nota per aver utilizzato delle controfigure durante la preparazione delle sessioni finali di scatti. Karl Lagerfeld rivela una certa ansia quando scrive: “Non sai mai se l’immagine finale di un fotografo sia frutto interamente del

tuo lavoro o il risultato della stretta collaborazione con lo stylist”.9 Tuttavia questo non è un fenomeno nuovo. Ricordando le sue prime esperienze a Vogue alla fine degli anni Venti, Cecil Beaton racconta che “Nast era un signore che aveva le idee molto chiare su ciò che era eccellente e ciò che era inaccettabile. Aveva istituito delle regole fotografiche per elevare la qualità delle immagini nelle sue riviste. […] Ogni cliché doveva essere perfettamente nitido e tecnicamente perfetto. Non permetteva al suo staff di usare macchine fotografiche a mano libera”.10 Nast non aveva timore di far notare ai suoi fotografi i difetti delle loro im-magini. A volte li accusava persino di essere troppo creativi, se una fotografia non mostrava come era fatto un capo o come poteva essere indossato. Nast e la sua fedele collaboratrice Edna Woolman Chase, caporedattrice di Vogue, criticarono apertamente diversi lavori di Horst P. Horst, di Cecil Beaton e di George Hoyningen-Huene, perché non in linea con lo stile editoriale e visivo della rivista.

Alcuni dei più grandi nomi della fotografia di moda sono presenti in questo libro, ma perché dovremmo interessarci alle loro immagini giovanili? Perché gli inizi della carriera di un fotografo spesso rivelano l’evoluzione del suo stile e perché è interessante osservarne il consolidamento graduale nel tempo. Ogni decennio ha i suoi talenti emergenti, che non sono molti, e gli esordienti costruiscono la loro carriera parallelamente ai fotografi affer-mati. La carriera di Irving Penn è durata sessanta anni, quella di Newton quaranta, mentre Steven Meisel è stato attivo per un venticinquennio. Pubblicando insieme sulle stesse rivi-ste, i nuovi fotografi hanno inevitabilmente familiarità con il lavoro dei loro colleghi più

h E N R Y C L A R K E

Vogue, settembre 1955

A L B E R T wAT S o N

Vogue, maggio 1977

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affermati. È questo sicuramente il caso di Vogue, che è sempre rimasta fedele ai fotografi che ha contribuito a lanciare.

Anna Wintour, direttrice di Vogue America dal 1988, ha creato una sua cerchia di fotografi – Patrick Demarchelier, Arthur Elgort, Steven Klein, Annie Leibovitz, Peter Lind-bergh, Craig McDean, Steven Meisel, Herb Ritts, Mario Testino, Ellen von Unwerth e Bruce Weber – continuando a lavorare con Irving Penn e Helmut Newton, collaboratori di vecchia data della rivista. Carine Roitfeld, direttrice di Vogue Francia dal 2001 al 2011, ha lavorato con Mario Testino, con Terry Richardson e con Inez van Lamsweerde & Vinoodh Matadin. Emmanuelle Alt, che ne ha preso il posto, continua a collaborare con gli stessi fotografi e con pochi altri, tra i quali Hans Feurer, Mike Reinhardt e Franco Rubartelli, da lei richia-mati nel circuito della moda. A Milano, Franca Sozzani ha collaborato con Steven Meisel, con Paolo Roversi, con Ellen von Unwerth, con Bruce Weber e con Steven Klein per più di venti anni. Quando emerge un nuovo nome, pensiamo a Sølve Sundsbø per esempio, i suoi compensi per i servizi che farà uscire saranno inferiori a quelli dei collaboratori fissi.

Nel corso degli anni, i nomi dei fotografi sulle varie edizioni di Vogue sono sempre gli stessi, anche dopo decenni ciò che cambia sono le immagini. Ci sono senza dubbio molti altri validi fotografi di moda, ma le loro immagini sulle riviste di Condé Nast sono spes-so oscurate dal lavoro dei “grandi maestri” come Blumenfeld, Penn, Newton, Bourdin e Lindbergh. Questi hanno uno spazio così rilevante perché le loro immagini non propongono solo collezioni di vestiti, ma un intero stile di vita.

I fotografi che riescono a emergere sono quelli che fin dall’inizio propongono approcci nuovi o diversi, anche senza creare necessariamente una nuova visione. Se analizziamo le fotografie di moda più significative dell’ultimo secolo, possiamo notare che il genere conti-nua a reinventarsi partendo sempre dallo stesso punto di partenza. Sul numero di maggio del 1999 di Vogue, per rendere omaggio alla storia della fotografia di moda, Steven Meisel imita lo stile dei primi fotografi del genere, facendo posare la sua modella Natalia Vodianova come Jean Patchett, Lauren Hutton, Twiggy, Penelope Tree, Marisa Berenson, Verushka e Jean Shrimpton, riconoscendo così che alcune icone della moda fanno ormai parte dell’im-maginario collettivo. I fotografi conoscono la storia del loro mezzo e non temono di svelare i legami che li uniscono ai loro predecessori: per esempio, Steven Klein è legato a Helmut Newton, Arthur Elgort a Martin Munkacsi, Miles Aldridge a Guy Bourdin, Tim Walker a Cecil Beaton. Nel mese di ottobre del 2010, in occasione del novantesimo compleanno di Vogue Francia, ai fotografi è stato chiesto di creare un servizio a partire da un’immagine scelta negli archivi della rivista. Sono emerse ancora una volta alcune influenze particolari, Mert Alas e Marcus Piggot hanno reso omaggio a Horst P. Horst, Mario Sorrenti a David Bailey, Hedi Slimane a Jeanloup Sieff, Terry Richardson a Guy Bourdin. Ai fotografi di moda è richiesto di creare moltissime immagini nel corso della loro carriera, e la vera sfida è trovare una fonte di ispirazione creativa a cui è possibile continuare ad attingere. Alcuni cominciano come pittori (Irving Penn, Guy Bourdin e William Klein) o come illustratori (Cecil Beaton, Bob Richardson e Steven Meisel) e utilizzano le loro esperienze artistiche per esplorare nuove soluzioni e per scoprire modi di reinventarsi.

Le immagini qui raccolte provengono tutte dagli archivi Condé Nast. Per un lavoro di questo genere avremmo certamente potuto utilizzare altri archivi (per esempio quello del gruppo rivale Hearst Corporation, editore di Harper’s Bazaar). Abbiamo invece voluto concentrarci su Condé Nast, che al momento pubblica trenta titoli,11 vista la mole dei suoi archivi, le cui raccolte, sparse in tutto il mondo, abbracciano l’intero secolo scorso. L’oggetto primario di indagine di questo lavoro è Vogue e le sue edizioni americana, francese, inglese

h A N S F E u R E R

Vogue Francia, marzo 1975

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e italiana in particolare, e, dato il nostro interesse per gli inizi di carriera dei fotografi di moda, era importante prendere in considerazione anche gli altri titoli del gruppo Condé Nast come Allure, Glamour, GQ, Vanity Fair, W e Teen Vogue. La rivista è una realtà effime-ra, un’immagine è pubblicata solo per essere immediatamente sostituita da un’altra, e così via, numero dopo numero, anno dopo anno. Alcune delle fotografie di questo libro sono apparse una sola volta sulle riviste, altre immagini iconiche sono invece ricordate ancora oggi, pensiamo ad alcuni lavori di Irving Penn, di Deborah Turbeville, di Peter Lindbergh e di Corinne Day, ma chi ricorda i primi lavori di Edward Steichen, di Helmut Newton, di David Bailey, di Bruce Weber e di Mario Testino? Ripercorrere un secolo di fotografia di moda significa anche riscoprire fotografi importanti i cui nomi sono stati dimenticati, Toni Frissell per esempio, attivo negli anni Trenta, Clifford Coffin e Richard Rutledge negli anni Quaranta e Cinquanta e Tony Viramontes negli anni Ottanta. Setacciando archivi così ric-chi si possono fare alcune scoperte straordinarie: Diane Arbus e suo marito Allan hanno lavorato diversi anni per Condé Nast, così come Duane Michaels e, più recentemente, Taryn Simon, tutti nomi che non sono solitamente associati alla fotografia di moda. C’erano diverse possibilità di strutturare un progetto editoriale di questo tipo. Avremmo potuto concentrare l’attenzione sull’industria editoriale, sulla storia dei mezzi di comunicazione e sull’evolu-zione del gruppo Condé Nast, oppure avremmo potuto analizzare la fotografia di moda da un punto di vista socio-politico o dei costumi sessuali. Avremmo potuto anche partire dalla figura di Condé Nast per analizzarne le diverse influenze, oppure avremmo potuto concentrarci esclusivamente su Vogue, rivista dalla lunga e importante storia, nata nel 1892 e acquisita diciassette anni dopo da Condé Nast, per tracciarne lo sviluppo e la crescita nel tempo. Avremmo anche potuto individuare dei momenti chiave nella storia della fotografia, mostrando immagini mai pubblicate prima, riscoprendo quei fotografi provenienti da altri ambiti che hanno avuto incontri occasionali con la fotografia di moda, come André Kertész, Robert Frank, Bruce Davidson, Andres Serrano e Alec Soth.12 Condé Nast, Vogue e i suoi creatori sono stati oggetto di molte pubblicazioni.13 L’obiettivo di questo libro è assai specifi-co: studiare i lavori iniziali di alcuni fotografi di moda, analizzare l’evoluzione dei loro stili nel tempo e farne emergere i tratti distintivi nella storia del mezzo.14

Condé Nast ha sempre prestato molta attenzione alla qualità delle illustrazioni delle sue riviste. Ispirandosi fin dall’inizio alle pubblicazioni francesi,15 prende come riferimento la raffinata Gazette du bon ton, rivista fondata da Lucien Vogel nel 1912, che si occupava di creazioni di moda, di bellezza e di stili di vita. La Gazette era famosa per la qualità delle sue riproduzioni, per questo motivo Nast chiama i migliori illustratori del momento, affidando a loro le copertine delle sue riviste,16 essendosi reso conto che le immagini degli abiti erano la chiave del successo. Il suo interesse per la fotografia era stimolato dalle nuove conquiste nel campo della stampa e della litografia. Vogue era stata progettata per venire incontro ai bisogni di un pubblico che era al passo coi tempi, e la moda secondo Nast era qualco-sa da indossare piuttosto che un’arte decorativa. Durante il periodo dell’Art Nouveau, le donne erano rappresentate dagli artisti in modo manieristico – una donna era un fiore tra i fiori – secondo la definizione dei preraffaelliti inglesi, che a loro volta si ispiravano a Botticelli. Con la nascita del cinema, la fotografia diventa un mezzo popolare, rivelandosi una forte attrattiva per le masse. Nast ne intravede chiaramente le potenzialità e comincia a educare i gusti del pubblico, definendo l’identità e lo stile della donna moderna. Ingaggia fotografi che erano estranei al mondo della moda ma che lui apprezza per il loro lavoro, chiedendo loro di mostrare come avrebbe dovuto essere una donna affascinante, che stile avrebbe dovuto avere e che immagine avrebbe dovuto dare di sé. Il risultato è Vogue, la

sua rivista di punta, leader del mercato. Il pri-mo fotografo della rivista è il barone de Meyer, seguito da Edward Steichen, la cui instancabile attività si estende dal 1923 al 1937, poi da George Hoyningen-Huene, da Horst P. Horst e da Cecil Beaton, reclutati questi ultimi in Europa.

La strategia di Nast è vincente. Quando ac-quista Vogue nel 1909, la tiratura è di 14.000 co-pie mensili, che diventano 138.000 nel 1928. Nel 1916 viene lanciata l’edizione inglese, nel 1920 quella francese. Fra il 1924 e il 1926 esce Vogue Argentina, fra il 1918 e il 1923 Vogue Havana e dal 1928 al 1929 Vogue Germania. La casa madre, con sede a New York, lavora a stretto contatto so-prattutto con le redazioni londinese e parigina. Le immagini create negli studi delle diverse città sono utilizzate su tutte le edizioni. Fu così che, tra le due guerre, la fotografia ormai considerata uno straordinario mezzo promozionale prese gra-dualmente il posto dell’illustrazione.17 I fotografi newyorchesi vedevano le loro immagini pubbli-cate sulle edizioni francese e inglese di Vogue, e i fotografi parigini erano mandati a lavorare negli studi americani. Gorge Hoyningen-Huene e Horst P. Horst cominciarono la loro carriera a Parigi prima di trasferirsi a New York.

Fin dall’inizio della sua attività, Nast ha sempre avuto il dono di attrarre i migliori talenti creativi, i migliori illustratori, scrittori e fotografi. Della sua cerchia più stretta facevano parte anche esperti di riviste femminili. Lucien Vogel, capore-dattore di Jardin des Modes, da lui stesso fondata nel 1922, sovrintende fin dall’inizio alla produzio-

ne di Vogue Francia, il cui direttore, dal 1929 al 1954, sarà Michel de Brunhoff, cofondatore della Gazette du bon ton con Vogel. Nast era convinto che il successo di Vogue, una delle pubblicazioni illustrate più raffinate dell’epoca, era dovuto al talento dei suoi creatori di immagini, e non badava a spese pur di reclutare le persone giuste. Quando ingaggiò nel 1923 il celebre Edward Steichen, la fotografia di moda non era ancora un fenomeno culturale e Nast suggerì addirittura a Steichen di non firmare i suoi lavori, per non compromettere la sua reputazione artistica. Steichen era comunque entusiasta di un progetto che non ri-guardava soltanto la documentazione ma permetteva una rielaborazione creativa dell’alta moda. “Dobbiamo fare di Vogue un Louvre”,18 diceva a Edna Woolman Chase, una delle più strette collaboratrici di Nast.19 La visione di Nast sposava perfettamente arte e commercio, e in quegli anni arriva anche Man Ray. L’artista si unisce agli altri fotografi del gruppo, orgogliosamente definiti da Vanity Fair negli anni Venti “i fotografi più pagati al mondo”.

Nast teneva anche d’occhio Harper’s Bazaar, il rivale più diretto di Vogue.20 Ogni re-dazione aveva una squadra di fotografi eccellenti ed era sempre in cerca di nuovi talenti.

E D wA R D S T E I C h E N

Vogue, gennaio 1924

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Il primo gennaio 1940, Vogue indice un concorso fotografico. In palio c’è un periodo di ap-prendistato di sei mesi per due persone (un uomo e una donna) nelle riviste del gruppo, con la possibilità di un impiego stabile al termine del periodo. “La redazione di Vogue”, recita l’editoriale “è convinta che questo concorso contribuisca alla causa della buona fotografia, una tradizione che da sempre caratterizza le pubblicazioni del gruppo Condé Nast”.21 Uno dei vincitori fu Donald Honeyman. Un secondo concorso sarà indetto l’anno dopo e un terzo nel 1948. I successi di Condé Nast dipendono dai suoi fotografi ma anche dai suoi art director. Il primo fu Heyworth Campbell, dal 1909 al 1925. Nast poi lavora con l’illustratore Eduardo Benito prima di ingaggiare Mehemed Agha, che si occupa inizialmente di Vogue Germania fra il 1928 e il 1929, assumendo poi la responsabilità di tutti i titoli del gruppo fino al 1943. Il Dr. Agha diventa il braccio destro di Condé Nast, e sarà una figura chiave negli anni Trenta, intervenendo a tutti i livelli del processo editoriale. L’arrivo di Alexander Liberman, chiamato da Nast poco prima della sua morte nel 1942, mette in discussione il ruolo di Agha, che alla fine rassegna le sue dimissioni. Liberman aveva studiato a Parigi con il pittore cubista André Lhote, l’architetto Auguste Perret e il cartellonista A.M. Cassandre, cominciando la sua carriera con Lucien Vogel a VU, il famoso settimanale francese fondato nel 1928, e sarà lo stesso Vogel a presentarlo a Nast.

Liberman arriva a New York in fuga dalla guerra in Europa, e Nast gli affida le co-pertine di Vogue. Due anni dopo diventa art director e ha la possibilità di ingaggiare nuovi fotografi.22 Il primo a essere chiamato è Erwin Blumenfeld. Avevano lavorato insieme a VU, e Liberman si rende conto che in quegli anni di stagnazione, a causa della guerra, i nuovi sti-moli creativi che arrivano dall’Europa sono ciò di cui Vogue ha bisogno. Il suo rivale diretto è Alexej Brodovič, art director di Harper’s Bazaar, che anche lui deve il suo successo al ta-lento dei fotografi della rivista. Il barone de Meyer è stato il primo fotografo a lasciare Vogue per Harper’s Bazaar, seguito da Hoyningen-Huene e da Man Ray che passano alla squadra di Brodovič, di cui facevano parte Lilian Bassman, Louise Dahl-Wolfe, Martin Munkacsi e George Platt Lynes. Liberman diventa il tramite primario fra le edizioni Condé Nast e i nuovi potenziali fotografi, ai quali offre libertà di movimento e fondi illimitati. “Ogni nuo-

vo fotografo aveva a disposizione uno studio personale, un salario e tutti i mezzi tecnici e l’assistenza di cui aveva bisogno”, scrive Kennedy Fraser. “In cambio doveva essere sempre a disposizione per eseguire qualsiasi incarico gli fosse assegnato”.23 Il pupillo più famoso di Liberman era Irving Penn, che avrebbe lavorato per il gruppo per più di sessant’anni.

La posizione di Liberman si rafforza dopo l’acquisizione del gruppo Condé Nast da parte di Samuel I. Newhouse nel 1959.24 Nel 1962 è nominato direttore editoriale generale, posizione che occuperà fino alla pensione nel 1994, lavorando a stretto contatto con i diret-tori delle varie testate, occupandosi dello stile di ciascuna rivista. Dopo aver collaborato con Edna Woolman Chase e con Jessica Daves che ne aveva preso il posto, fece arrivare Diana Vreeland da Harper’s Bazaar.25 Nello stesso periodo Liberman cercò di portare a Vogue Richard Avedon, capo fotografo di Harper’s Bazaar dal 1947. A questo proposito dichiara: “Poco dopo l’arrivo della Vreeland ci rendemmo conto che ci mancava un capo fotografo d’eccellenza”.26 Avedon ha già una posizione consolidata. Liberman cerca di ingaggiarlo nel 1945 ma senza successo. Ci sarà una nuova occasione nel 1965. La Vreeland aveva lavorato con Avedon per diciassette anni e ora che Brodovič ha lasciato Harper’s Bazaar non c’è più nulla che gli impedisca di passare alla rivista rivale, portando con sé la sua reputazione e quello stile di successo che aveva costruito negli ultimi due decenni a Harper’s Bazaar. Avedon arriva a Vogue il 15 marzo 1966 e lavora per la rivista ininterrottamente per almeno venticinque anni. Un altro fotografo dallo stile consolidato che lascia Harper’s Bazaar è il giapponese Hiro, che si era formato con Brodovič ed era stato assistente di Avedon nel 1956. Condé Nast ingaggiò anche dei fotografi che avevano cominciato la loro carriera in altre riviste, continuando al tempo stesso a far crescere i nuovi talenti.

Nella seconda metà del Novecento New York non è più l’unica scena internazionale della moda. Ci sono anche Londra e Parigi. Vogue Gran Bretagna era uscita dal cono d’ombra della casa madre ed Edmonde Charles-Roux, caporedattrice di Vogue dal 1954, aprì la strada a una nuova generazione di fotografi. L’Europa è in fermento. Guy Bourdin e Helmut Newton cominciano a distinguersi e, nei primi anni Sessanta, il giovane talento David Bailey irrompe sulla scena inglese attraverso le pagine di Vogue. Negli anni Settanta,

E R w I N B L u M E N F E L D

Vogue, novembre 1944

R I C h A R D AV E D o N

Vogue, marzo 1966I R V I N G P E N N

Vogue, ottobre 1943

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Francine Crescent, che ha sostituito a Parigi Edmonde Charles-Roux27, pubblica una serie di immagini che sono considerate troppo audaci e troppo erotiche per il pubblico ameri-cano. A Londra Beatrix Miller lavora con Guy Bourdin, Helmut Newton e David Bailey, e negli anni Ottanta,28 le edizioni italiana e inglese di Vogue diventano una piattaforma di lancio per i nuovi giovani talenti: Bruce Weber, Peter Lindbergh, Paolo Roversi e Steven Meisel. A Milano Franca Sozzani, che aveva iniziato a Vogue Bambini, diventa caporedat-trice di Vogue nel 1988. Determinata a far emergere l’edizione italiana, la Sozzani utilizza per Vogue Italia gli stessi standard artistici che l’avevano contraddistinta durante la sua attività a Lei 29 e a Per Lui. Conosce Steven Meisel quando lui era ancora un illustratore di moda e gli offre l’incarico di realizzare le copertine della rivista e un servizio al mese, sicura che avrebbe fatto fruttare la sua vasta conoscenza del mondo della moda. La Sozzani gli dà carta bianca (riservandosi il diritto di veto su ogni immagine) e la loro collaborazio-ne porterà Vogue Italia a un successo internazionale immediato. La Sozzani resta fedele ai suoi fotografi, continuando comunque a scoprire nuovi talenti. Craig McDean, Miles Al-dridge e Tim Walker si aggiungono alla sua squadra negli anni Novanta e Vogue Italia nel 2011 lancia PhotoVogue, un sito che raccoglie le immagini di aspiranti fotografi di moda, pubblicando le tre migliori fotografie del mese sulla rivista.

Gli editori americani di Condé Nast sono consapevoli che le attività delle sedi europee hanno il vantaggio della creatività. La sfida editoriale in Europa è differente, perché qui le edizioni sono indirizzate a un pubblico più ristretto. Condé Nast distribuisce circa 1.200.000 copie30 di Vogue America e per continuare a essere leader del mercato l’edizione america-na deve avere fra le sue priorità di spesa gli investimenti nella vendita e nella produzione della rivista. Accanto a Vogue America, l’edizione francese, che ha una tiratura mensile di 220.000 copie, è considerata un laboratorio di creatività, e più che al grande pubblico si ri-volge soprattutto agli addetti del settore, i giornalisti e gli specialisti di moda. Di conseguen-za diventa una pratica comune, da parte della direzione americana, il monitoraggio costante degli sviluppi fotografici in Europa. Negli ultimi anni l’attenzione è rivolta all’andamento della nuova pubblicazione semestrale Love, uscita in Inghilterra nel 2009 e diretta da Katie Grand, che si è fatta conoscere per aver curato le sessioni fotografiche delle sue creazioni su Dazed & Confused e per essere stata caporedattrice di Pop, rivista da lei lanciata nel 2000. Con l’uscita di Love, considerata da Condé Nast una rivista d’avanguardia e di sperimenta-zione31, la Grand è libera di sperimentare nuovi approcci fotografici che caratterizzerano la rivista nel panorama editoriale.

Quanta libertà hanno i direttori responsabili che lavorano per il gruppo Condé Nast? Come riescono a destreggiarsi fra le diverse esigenze editoriali, gli inserzionisti (la fonte primaria di finanziamento delle riviste), il reparto vendite e le aspettative di diffusione della rivista da parte della casa madre? Nella creazione dei servizi fotografici, come riescono ad avere tutto sotto controllo – il marchio, i fotografi, la rivista e gli interessi commerciali? E in che modo si occupano dei fotografi del futuro? Le riviste del gruppo Condé Nast non cerca-no di essere alternative, nonostante alcuni titoli abbiano goduto di maggiore libertà artistica rispetto ad altri. È questo il caso di Jardin des Modes in Francia, che in parte è servito da palestra per i giovani fotografi. Lo stesso è avvenuto con Glamour in America, che è servito per mettere alla prova i nuovi fotografi prima di lanciarli su Vogue, mentre Love è la risposta alle riviste alternative di successo londinesi degli anni Ottanta e Novanta.

La competizione è sempre esistita. Basti pensare a Harper’s Bazaar e alla straordina-ria coppia formata da Carmel Snow e Alexej Brodovič che imposero il loro formidabile stile artistico alla rivista negli anni Trenta. Harper’s Bazaar non era l’unico rivale, Condé Nast

C R A I G M c D E A N

Vogue Italia, marzo 1997

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dovette contendersi il mercato anche con Marie-Claire (fondata nel 1937) e, nel dopoguerra, con Elle. Gli anni Sessanta vedono la nascita di nuovi titoli come Queen, Nova, Cosmopoli-tan e Dépêche Mode. Negli anni Ottanta compaiono altre riviste con un’immagine potente, la francese Jill, che ha vita breve, Egoïste e Interview. Gli stilisti pubblicano anche dei cata-loghi,32 collaborando con alcuni fotografi di moda di talento che apprezzano molto questo tipo di interazione per le possibilità creative che ne derivano. Durante gli anni Novanta il Regno Unito è stato terreno fertile per altri tipi di riviste che si rifacevano alla cultura punk e rifiutavano l’idea di eleganza tradizionale delle riviste femminili. La fotografia di moda contemporanea è stata notevolmente influenzata da riviste come The Face, i-D, Numéro, Purple, Self Service, Dutch, Details, Pop, Surface, Popcorn, 032c e Garage. Queste hanno rovesciato l’approccio tradizionale alla fotografia di moda, portando alla ribalta un’intera nuova generazione di fotografi, tra cui Elaine Constantine, Corinne Day, Glen Luchford, Nick Knight, Craig McDean, Rankin, Stéphane Sednaoui, Nigel Shafran, David Sims, Mario Sorrenti, Juergen Teller, Inez van Lamsweerde & Vinoodh Matadin,33 grazie ai quali, negli ultimi anni del Novecento, viene introdotto un approccio sperimentale alla fotografia di moda che sconfina nell’arte contemporanea.

Che cosa riserverà il futuro alla fotografia di moda? Si trasformerà in una serie di immagini in movimento su uno schermo? Miles Aldridge, confessando il suo interesse nel potenziale cinematografico delle sue immagini, dichiara: “A un certo punto dovrò pensare a come far muovere le persone nelle mie fotografie, perché possano agire invece di stare ferme a pensare a qualcosa che non stanno facendo in quel momento”.34

È sempre esistito un legame fra cinema e fotografia e alcuni fotografi a un certo pun-to della loro carriera si sono dedicati all’attività cinematografica, come William Klein per esempio negli anni Sessanta35, e oggi sempre più fotografi di moda si dedicano alle riprese video. Nel 2000 Nick Knight ha lanciato il canale di moda online SHOWstudio.com, che punta sulla trasmissione di video in diretta. Altri fotografi, come Steven Klein, sono attratti dalle immagini in movimento, perché danno la possibilità di sviluppare un nuovo linguag-gio stilistico basato sul ritmo e sul movimento. I video di moda sono oggi presentati alle mo-stre e in eventi speciali a loro dedicati. Il Fashion in Film Festival di Londra è nato nel 2006 al Central St. Martins College of Art and Design, mentre nel 2011 si è tenuto il primo New York Fashion Film Festival alla SVA (School of Visual Arts). Anche la rete può aumentare l’impatto di una rivista. Style.com per esempio, un sito di notizie e di informazioni sul mon-do della moda, è stato pensato non tanto per scopi commerciali ma per proiettare il gruppo Condé Nast nel futuro. I video aprono nuove prospettive in un mercato ormai saturo, e Vogue.tv è ormai considerato il prolungamento naturale della rivista. La nuova generazione di fotografi non ha problemi a muoversi tra la fotografia e il video, grazie anche alle nuove macchine fotografiche che danno la possibilità di utilizzare entrambi i formati.

I fotografi di moda fanno ormai parte della nostra cultura visiva. Ogni immagine rac-conta una storia e ci invita a interagire con lei in modo stimolante, ma racchiude anche in sé qualcosa dei gusti, delle aspirazioni e dei sogni del suo tempo. Il fascino, l’eleganza e la sensualità sono concetti in continua ridefinizione, che durante gli anni Novanta, soprattutto, convivono con i loro opposti – la bruttezza, l’oscenità, la mancanza di estetica e la deformità – messi in mostra sia dagli stilisti36 che dai fotografi. “Le fotografie di moda diventano inevi-tabilmente dei commentari sull’idea di ciò che è di moda”,37 scriveva Susan Sontag a questo proposito. E l’idea si evolve in base ai tempi, al medium e all’osservatore. Dipende da queste tre variabili se sia più importante l’attitudine o il vestito in sé e se la tendenza vada verso una visione tradizionale o una sottocultura, verso la seduzione o una sessualità sfacciata.

B E N wAT T S

GQ, dicembre 2002

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La fotografia di moda è spesso paradossale: può essere sia creativa che commerciale – realiz-zata su commissione, ma al tempo stesso generatrice di immagini progressiste, sperimentali e artistiche – rappresentando contemporaneamente l’alta moda e la cultura popolare. La fo-tografia di moda può essere considerata una forma d’arte, ma è anche un settore produttivo (un’industria visiva) al servizio di un altro settore (la moda, il prêt-à-porter, gli accessori o i cosmetici). Il critico Vince Aletti sostiene che “i fotografi di moda sono artisti commerciali quasi per definizione”.38 Le loro immagini promuovono degli oggetti specifici che devono poter essere visti sulla pagina stampata.

I fotografi di moda degli inizi potevano controllare in qualche misura la produzione delle loro immagini, finché le loro creazioni non cominciarono gradualmente a passare sotto il controllo di altri decisori, gli editori ovviamente, ma anche gli inserzionisti che promuove-vano i marchi prestigiosi. Anna Wintour ammette che “ci saranno sempre delle tensioni fra il direttore e i fotografi”.39 Già nel 1981 Liberman riconosce che la situazione sta cambiando: “Il controllo del fotografo è molto limitato. Il soggetto, la modella e l’ambientazione sono già

J o h N R Aw L I N G S

Vogue, luglio 1942scelti in anticipo. Quindi non la ritengo, in generale, un’affermazione personale. È interes-sante notare però che qualcuno riesca lo stesso a personalizzare il proprio lavoro, nonostan-te tutte queste imposizioni”.40 I direttori delle riviste più vendute sono diventati molto cauti, non vogliono correre rischi con i giovani fotografi, e per chi è all’inizio è sempre più difficile entrare. Gli aspetti finanziari sono diventati così rilevanti da far passare in secondo piano le capacità artistiche. I numeri più importanti delle riviste41 sono oggetto di scrupolosa atten-zione e i contratti dei fotografi sono stipulati mesi in anticipo. Sfogliando oggi una rivista, le immagini pubblicitarie possono essere a volte confuse con i contenuti editoriali. Come nota Susan Bright, scrittrice e docente di fotografia, “all’occhio inesperto, la distinzione fra pub-blicità e articoli è ormai quasi impercettibile, e sulla più patinata delle riviste patinate questi due elementi spesso sono uniformati da uno stile omogeneo complessivo”.42 Di conseguenza, i legami fra articoli e pubblicità sono più numerosi di quanto si pensi, e spesso le scelte dei fotografi sono condizionate da queste connessioni.

La fotografia di moda è saldamente ancorata all’interno del sistema di consumo capi-talistico, quello che il regista e teorico marxista Guy Debord chiama società dello spettacolo. Esteticamente parlando, una rivista costruisce una narrazione visiva. Gli stili dei fotografi contribuiscono a plasmare la storia della rivista. La fotografia di moda si trova su uno spar-tiacque, a metà fra arte e commercio. Riflette la società e la cultura del proprio tempo. Ha a che fare con l’eleganza, ma anche con la gente. Utilizza un linguaggio le cui parole hanno molteplici significati e ricrea quello che è stato definito uno scenario ibrido.43 Le immagini di moda non sono fatte per essere eterne, rispecchiano lo Zeitgeist, le ansie e le aspirazioni del loro tempo. Se osserviamo lo sviluppo della fotografia di moda nel corso dell’ultimo se-colo, appare chiaro che l’impulso creativo è sopravvissuto a un sistema di controlli sempre maggiori. Con l’espansione dell’industria della moda e della sua economia, i fotografi hanno continuato a dimostrare la loro capacità di invenzione e di innovazione, nonostante l’in-fluenza crescente degli stilisti, degli inserzionisti e degli esperti di ritocco fotografico. Hanno dimostrato che è possibile svilupparsi come fotografi di moda a livello artistico e creativo, nonostante le restrizioni che arrivano dall’alto. John Szarkowski, parlando dei fotografi che esposero i loro lavori nella mostra Glamour Portraits al MoMA di New York nel 1965, osser-va che “trionfarono sui loro collaboratori” e che ognuno di loro aveva scoperto “un tipo di donna che era in gran parte frutto della loro invenzione”.44 I fotografi di moda realizzano nel corso della loro carriera un numero considerevole di fotografie, e nel caso di attività che durano venti, trenta o quarant’anni, devono essere creativi per evitare di ripetersi. Questa è una filosofia che non si impara col tempo ma che si mette in pratica fin dall’inizio. Ed è gra-zie a talenti precoci e duraturi che vengono create immagini di moda senza tempo, in grado di rappresentare qualcosa in più di un singolo momento. Cecil Beaton diceva che ci sono due tipologie di fotografi di moda, quelli che creano immagini passeggere e quelli che pensano ai posteri.45 I fotografi che presentiamo in questo libro appartengono indubbiamente alla seconda categoria.