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FARISEISMO Il maestro amava la gente comune ed era sospettoso di coloro che emergevano per la loro santità. A un discepolo che lo consultava sul matrimonio disse: «Assicurati di non sposare una santa». «E perché no?». «Perché è il modo più sicuro di fare di te stesso un martire», fu l'amena risposta del maestro. (A. De Mello) ESSERE «Cosa devo fare per raggiungere la santità?» chiese un viaggiatore. «Segui il tuo cuore», rispose il maestro. Il viaggiatore apparve compiaciuto della risposta. Prima che partisse, però, il maestro gli disse in un sussurro: «Per seguire il tuo cuore avrai bisogno di una costituzione robusta». DISCREZIONE Un uomo famoso per la sua spiritualità si recò dal maestro e disse: «Non so pregare, non capisco le scritture, non so fare gli esercizi che prescrivo ad altri...». «Allora lascia perdere tutto», rispose il maestro «Ma come faccio? Sono considerato un sant'uomo e ho dei seguaci da queste parti». Più tardi il maestro disse sospirando: «La santità oggi è un nome senza realtà. È genuina solo quando è una realtà senza un nome». VANITÀ Il maestro ricordava spesso ai discepoli che la santità, come la bellezza, è genuina solo se è inconsapevole di se stessa. Amava citare i versi: Fiorisce perché fiorisce, la rosa: non chiede perché, né si pavoneggia per colpire il mio occhio. E il detto: «Un santo è un santo finché non sa di esserlo».

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«Chi non arde non incendia» (b. Giuseppe Allamano, mission. Consolata) «La santità è la misura della vita cristiana» BXVI 31 Ottobre 2012

Consegna del segno della Croce In questo «Anno della fede» siamo chiamati a ricordare il segno della nostra identità cristiana: il segno della Croce. All’inizio della celebrazione del sacramento del Battesimo il ministro dice: «Cari bambini, con grande gioia la nostra comunità cristiana vi accoglie. In suo nome io vi segno con il segno della croce. E dopo di me anche voi, genitori e padrini, farete sul vostro bambino il segno di Cristo Signore». Esso, afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, «esprime il sigillo di Cristo su colui che gli appartiene e significa la grazia della redenzione che Cristo ci ha acquistata per mezzo della sua croce» (1235). È il segno che ci identifica e che ci ricorda il Mistero Pasquale con cui Cristo ci ha salvati. Il segno di Croce è consegna e consacrazione della Comunità alla persona che chiede di diventare credente. È preghiera e benedizione liturgica. Il Vescovo della diocesi in cui vivo, padre Gabriele, ha invitato la comunità cristiana a «tornare a fare in pubblico e in privato il segno della croce in modo maestoso e solenne. La Croce sul nostro corpo ci avvolge, ci abbraccia, ci definisce e ci identifica. Al mattino e alla sera, in famiglia come nei momenti comunitari liturgici, reimpariamo a fare su di noi questo grande segno battesimale e cristiano». Vi invito, come preghiera questa sera, a riceverlo come dono e benedizione, a reimparare a fare questo segno e a capire il significato delle azioni che compiamo. Fare il segno della croce vuol dire: annunciare che Gesù è morto sulla croce per salvarci; riconoscerci cristiani; esprimere il desiderio di vivere come Gesù ci ha insegnato. Pertanto faremo un piccolo segno di Croce dove indicano le parole pronunciate. • Ricevo il segno della Croce sulla fronte per usare l’intelligenza

a servizio del Vangelo ed essere protetto da Cristo con il segno del suo amore e della sua vittoria sul male e sulla morte. Amen. [oppure: Gloria a te, Signore!]

Tematiche di vita spirituale

Un solco nell’anima

Don Marino Gobbin

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• Ricevo il segno della Croce sugli orecchi per ascoltare il creato e gioire del dono della parola che mi mette in comunicazione con Gesù e con i fratelli. Amen.

• Ricevo il segno della Croce sugli occhi per vedere il volto di Gesù nei bisognosi e le cose belle che lui ha fatto per la gioia del mio cuore e rallegrarmene con lui. Amen.

• Ricevo il segno della Croce sulla bocca per rispondere a tutti e sempre con amore come ha fatto Gesù, annunciando la sua Parola con coraggio e fedeltà. Amen.

• Ricevo il segno della croce sulle mani per aiutare con generosità il mio prossimo ed edificare il mondo. Amen.

• Ricevo il segno della Croce sul petto per amare nel mio cuore ogni uomo sull’esempio di Gesù e far sì che, grazie al dono della fede, la Trinità santa abiti in me e nei fratelli tutti. Amen.

• Ricevo il segno della Croce sulle spalle per essere forte nelle difficoltà, e, sostenuto e incoraggiato dalla grazia di Cristo, restare fedele nel sostenere il suo giogo soave. Amen.

C Ora, per vivere con e come Gesù, rinnoviamo il nostro abbandono a lui e la nostra fede, segnandoci: Nel nome… Preghiamo: Dio onnipotente, che per mezzo della Croce e della risurrezione del tuo Figlio hai donato la vita al tuo popolo, in questo anno della fede concedici, segnati col segno della Croce, di seguire gli esempi di Cristo, di attingere da essa la forza che salva e di rendere con la nostra vita testimonianza al Vangelo. Per Cristo nostro Signore. Amen. «Chi non arde non incendia», diceva il b. Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari/e della Consolata. Se il segno di Croce non ci impegna, non ci identifica vuol dire che noi non ardiamo e pertanto la nostra fede non avrà mai la forza di incendiare il mondo e il cuore dei fratelli. E se non riusciamo a incendiare neppure il nostro cuore, quale via della santità possiamo intraprendere? La santità è vita che incendia, brucia di amore per Dio e per i fratelli. Infatti i santi non erano angosciosamente fissati sulla propria santità. Al contrario, non pensavano a se stessi, amavano Dio e il prossimo e servivano la Chiesa. Per questo un prefazio dei santi prega: «Nella festosa assemblea dei santi risplende la tua gloria, e il loro trionfo celebra i doni della tua misericordia. Nella loro vita ci offri un esempio,

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erano molto amiche e che avevano in comune lo stesso sogno: diventare sante. Tuttavia, della santità ave-vano due concezioni molto diverse, quasi opposte. La prima, che era la piantina di un mandorlo, sapendo che i santi stanno in paradiso, era convinta che la santità consistes-se nel tendere verso l’alto, staccandosi da terra. La seconda, che era la piantina di una quercia, avendo letto la vita dei santi, era convinta, invece, che la santità consistesse nel tendere verso l’alto, ma stando con i piedi per terra e dando il massimo di sé in questo mondo. Col passare del tempo la piantina del mandorlo, pur potendo, non riu-sciva a portare frutti perché era poco attenta al terreno che avvolgeva le sue radici e, per via della sua convinzione, cercava di spingerle sempre più verso l’alto a tal punto che un giorno seccò e fu tagliata dal padrone del terreno. L’altra piantina, invece, spin-gendo le sue radici sempre più in profondità, crebbe e divenne una grande e maestosa quercia e, pur non potendo produrre frutti commestibili per il suo padrone, era molto apprezzata per la sua frescura ed era diventata ormai casa e riparo per molti animali di quella zona. Quali che siano i nostri frutti e quali che siano le nostre capacità, l’importante, nel cammino di santità, è dare il massimo di se stessi nel tendere verso l’alto, ma tenendo ben saldi i piedi per terra. PECCATO Uno degli insegnamenti più sconcertanti e piacevoli - del maestro era: Dio è più vicino ai peccatori che ai santi. Ecco come lo spiegava: Dio in paradiso tiene ogni persona per un filo. Quando pecchi tagli il filo. Allora Dio lo riannoda, e così facendo ti avvicina un po' di più a lui. E ancora i tuoi peccati tagliano il filo... e con ogni nodo Dio continua a tirarti sempre più vicino a sé. Una formula: siate santi come Gesù. La santità si configura come un “ascoltare” Gesù, un “seguirlo” e, infine, un “rimanere” in lui. Anzi il segreto della santità è questo bellissimo verbo “rimanere”: verbo che indica “assumere lo stesso stile di vita”, “comportarsi in modo simile”, indica cioè una saldatura di esistenze delle quali una diventa forza e origine dell’altra.

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Accogliere ogni minuto come dono di Dio e ringraziare di cuore. Credere che Dio accompagna e benedice ogni nostra azione, ogni nostro pensiero. È il coraggio della verità, della libertà, della giustizia. È costruire la pace attraverso i piccoli gesti di ogni giorno. È lasciare che la Parola di Dio illumini la nostra vita. È il paradiso raggiunto nel quotidiano. È gratuità, generosità, condivisione. È dare e ricevere Per don Bosco la santità è: Primo: ALLEGRIA, quello che toglie la serenità non viene da Dio. Secondo: IMPEGNO di studio e di preghiera. Tutto questo non farlo per ambizione, ma per amore. Terzo: FAR DEL BENE AGLI ALTRI. Aiutare i compagni sempre, anche se costa sacrificio. La ricetta della santità Un consiglio… un infuso suggerito dal Beato Luigi Maria Monti, che non ha date di scadenza. Per godere di buona salute di anima e di corpo, prendete • radici di fede, • verdi fronde di speranza, • rose di carità, • viole di umiltà, • gigli di purità, • assenzio di contrizione, • legno della Croce. Legate tutto in un fascetto col filo della rassegnazione. Mettetelo a bollire • sul fuoco dell’amore, • nel vaso dell’orazione, • con vino di santa allegrezza • e con acqua di temperanza, • ben chiuso col coperchio del silenzio. Lasciatelo la mattina nel sereno della meditazione. Prendetene una tazza mattino e sera, e così godrete buona salute. La grande quercia C’erano una volta, in un terreno coltivato, due piccole piante che

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nell’intercessione un aiuto, nella comunione di grazia un vincolo di amore fraterno. Confortati dalla loro testimonianza, affrontiamo il buon combattimento della fede, per condividere al di là della morte la stessa corona di gloria» (prefazio dei santi I). I santi, quelli veri, vivono oggi nell'eroismo del quotidiano: non hanno bisogno né di pubblicità né di processi, né di miracoli perché la loro vita brilla di luce propria. Sono realtà quotidiane. "La santità non è cosa per privilegiati", diceva San Josemaría Escrivá, maestro di speranza quotidiana. «La santità è una cosa normale, un vivere il quotidiano in maniera eroica». In effetti dice il card. Angelo Amato: «La santità non fa distinzioni di sesso, cultura, lingua, razza e condizione sociale. È il sacramento del battesimo che apre a tutti i cristiani la via della santità, qualunque sia la nostra condizione». Nei santi splende la gloria e la misericordia del Padre, e a noi viene offerto un esempio, una intercessione, una comunione… Tutto ciò ha uno scopo: aiutarci nel combattimento della fede così da incendiare il mondo e la Chiesa e portare tutti a vivere la gioia del paradiso. Giustamente ha rilevato il cardinale Joachim Meisner: «Nessuno è tanto pericoloso per i nemici della Chiesa quanto un beato martire, perché in realtà lui non è morto: è vivo e spinge molte persone a seguire le sue orme». È ancora il corpo di un prefazio a metterci sulla scia interpretativa giusta di questa azione, quanto dice: «Nella testimonianza di fede dei tuoi santi tu rendi sempre feconda la tua Chiesa con la forza creatrice del tuo Spirito, e doni a noi, tuoi figli, un segno sicuro del tuo amore. Il loro grande esempio e la loro fraterna intercessione ci sostengono nel cammino della vita perché si compia in noi il tuo mistero di salvezza» (prefazio dei santi II). È la presenza dello Spirito Santo la grande rivoluzione nel cuore dell’uomo prima a chiamarlo a santità e poi a renderlo esempio vivente per i fratelli. Il dono dello Spirito rende il battezzato capace di ardere e di incendiare provocando sempre nuovi seguaci in questa via stretta, solo apparentemente non eccessivamente affollata, in cui non si procede per spintoni e raccomandazioni, ma per gratuità d’amore, generosità di vita, apertura del cuore… La santità ha orizzonti infiniti. Tocca al prefazio di questo giorno di Tutti i Santi a metterci con il naso all’in su per contemplare la Chiesa celeste sollecitando nel medesimo tempo il nostro cammino: «Oggi ci dài — prega — la gioia di contemplare la città del cielo, la santa Gerusalemme che è nostra madre, dove l’assemblea festosa dei

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nostri fratelli glorifica in eterno il tuo nome. Verso la patria comune noi, pellegrini sulla terra, affrettiamo nella speranza il nostro cammino, lieti per la sorte gloriosa di questi membri eletti della Chiesa, che ci hai dato come amici e modelli di vita» (prefazio di Tutti i Santi). La santità dunque è per tutti, non è una via straordinaria o esclusiva. Ciascuno può trovare la sua strada per praticare il Vangelo e mettersi in cammino verso la patria comune. Il Concilio Vaticano II afferma con chiarezza che «tutti nella Chiesa… sono chiamati alla santità, secondo il detto dell'apostolo: la volontà di Dio è questa, che vi santifichiate». Tutti, nessuno escluso, sono chiamati alla santità. Persino chi non crede — se è sincero in coscienza — deve interrogarsi sulla santità. Il grande scrittore Albert Camus, che non credeva in Dio, si chiedeva: «Si può essere santi senza Dio»? E aggiungeva: «È il solo problema concreto che oggi io conosca». Se si interrogava così questo non credente, quanto più noi che crediamo? I santi non sono i valorosi. Santi sono coloro che accolgono il Vangelo e si impegnano a metterlo in pratica. Sono loro a far ardere il mondo di una vita che dà senso e pienezza. Per questo, non si è santi da dopo la morte, ma da quando si entra a far parte della «famiglia di Dio», ossia da quando ci si «separa» («santo» vuol dire «separato») da un destino di solitudine e di angoscia, da una vita triste svilita nelle beghe di questo mondo e si entra a far parte della famiglia del Signore. Si è santi dal Battesimo, dal momento in cui si diventa membri della Chiesa. Da allora la santità deve diventare l'impegno decisivo del credente. Purtroppo non è così, anche perché abbiamo un'idea sbagliata della santità. Difficilmente essa è l'orizzonte nel quale iscrivere i nostri pensieri, le nostre azioni, le nostre scelte, i progetti che vogliamo attuare. I Santi sono un capolavoro di personalità Una volta domandarono a Buddha: «Chi è l’uomo santo?». Egli rispose: «Ogni ora è divisa in un certo numero di minuti, ogni minuto in un certo numero di secondi e ogni secondo in un certo numero di frazioni». «Chi è capace di essere totalmente presente in ogni frazione di secondo è davvero un sant’uomo». Secondo lo psichiatra non credente Vittorio Andreoli «sarebbe un errore lasciare il compito di studiare la santità solo agli uomini di fede, ma anche limitarlo agli uomini che non credono perché

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semplice brevissima risposta: Basta volere! E gliela rinviò così. «Signore! Dammi un po' di curiosità ed entusiasmo per quel programma di santità, che è la veste splendente del tuo regno di amore! Signore! Dammi appetito e gusto della perfezione morale, giacché "il vero uomo è l'uomo interiore" (Plotino). Signore! Sono tanto vuoto e ho tanta paura di me, di fallire nella vita. Rendimi immagine viva, palpitante, luminosa della tua santità, della tua ricchezza e bellezza infinita, quale unico vero ideale di ogni creatura!». «I santi — ha scritto Luigi Accattoli, vaticanista del Corriere della sera — sono l’unico messaggio cristiano che “arriva” davvero, dopo il Vangelo. Ma noi cristiani non li sappiamo raccontare. Facciamo i moralisti e il mondo sbadiglia». Egli non è tenero con i colleghi. «I responsabili dei media ritengono noioso il cristianesimo, che invece, quando è vero, è di fuoco. Si tratta di un pregiudizio laicista e di una pigrizia culturale. Sono i nostri media a essere noiosi». E continua: «L’umanità di oggi ha un grande bisogno dei pugni nello stomaco che sanno dare i santi. Se fossi un regista di cinema, il personaggio di Massimiliano Kolbe lo farei interpretare da Roberto Benigni. Per Raul Follereau vorrei Antonio Albanese e una canzone su Chiara Luce la proporrei a Paola Turci: “Non è così che si fa – non è così che si fa”. Il dono che ha avuto Chiara Luce di guardare in faccia “sorella morte” potrebbe risultare dirompente se proposto con immediatezza a una generazione che con la morte gioca inconsapevolmente». Santità non è… stare tutto il giorno in chiesa a pregare “roba” di vecchiette e di bigotti un’invenzione della Chiesa o del Papa fatta per fare soldi un qualcosa che è solo di preti e suore Santità è… L'impegno di ogni giorno vissuto con gioia. La forza di sorridere anche nei momenti più duri. Dio incontrato in ogni istante della vita. Accoglienza incondizionata di ogni fratello. Preghiera che si incarna nella vita e vita che diventa preghiera. Impegno perché la giustizia sia realtà per tutti. Dono semplice del proprio essere.

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cammino inverso. Essa parte, sì, da premesse meno gaudiose circa la nostra realtà di persone, toccate e intaccate dal peccato, sia da quello di origine, come da quelli personali, né l'uomo si sente di poter varcare con le sole sue forze le soglie di un presente storico, intriso di vizi e di contraddizioni; ma ecco che, pur partendo da questa situazione di precarietà e debolezza, si avverte che la perfezione diventa possibile, anzi si fa progressiva, liberante, piena di fiducia e di valori fino al compimento finale, cioè fino alla santità, a motivo della sovraeminente potenza della grazia di Dio (cf Paolo VI, 7 agosto 1978). Non si dice, pertanto, nulla di nuovo, ripetendo che lo scopo della nostra esistenza non è tanto la ricerca del successo materiale, quanto piuttosto la crescita spirituale, cioè la santità. Leggendo questo tema in chiave di responsabilità personale viene, ora, spontanea la proposta di adottare qualche mezzo, affinché la meditazione diventi impegno di reale perfezione. Il maestro condannava sempre tutto ciò che appariva sensazionale. Il divino, sosteneva, si trova solo nelle cose comuni. A un discepolo che stava sperimentando forme di ascetismo che rasentavano la bizzarria, lo sentirono dire: «La santità è una cosa misteriosa: quanto più è grande e tanto meno la si nota» (De M). «Un giorno — si racconta — si presentò a Don Bosco un tale che cercava numeri per vincere un terno secco al lotto. "Siete proprio fortunato — gli rispose Don Bosco — proprio questa notte ho sognato tre numeri per voi: 7, 10 e il numero 2". "Grazie, caro Don Bosco — esclamò, riconoscente, l'interessato —. Me lo ha detto anche mia moglie: Vai da don Bosco, ella insisteva, ti aiuterà: è un veggente!". Don Bosco, però, continuando la conversazione, chiese a quel brav'uomo: "Ma su quale ruota giocherete, mio caro amico?". "Su quella di Torino, naturalmente", rispose ancora quello. "No! — concluse il grande patrono e padre della gioventù — se volete veramente vincere, occorrerà puntare sulla ruota del paradiso. Ecco. Il numero 7 indica i sette sacramenti; il 10 rappresenta i dieci comandamenti, mentre il numero 2 indica i due massimi impegni della religione e cioè: l'amore di Dio e l'amore verso il prossimo. Se farete così, la vincita sarà enorme: avrete come premio la santità!"». Non ci resta, pertanto, che passare all'azione... Si dice che s. Tommaso d'Aquino, ricevendo una lettera da parte della sorella, nella quale gli si chiedeva la via più sicura per acquistare la santità, si limitasse a scrivere in calce alla lettera ricevuta questa

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potrebbero arrivare a conclusioni solo parziali». La santità è un fenomeno che chiede di essere analizzato da punti diversi e lo si deve fare, afferma Andreoli «applicando le proprie conoscenze senza presunzioni e, soprattutto, senza falsità». Al recente Sinodo dei Vescovi è stato rilevato come i santi, lungo la storia della Chiesa, siano stati autentici cristiani e gli evangelizzatori più efficaci. Dai tempi degli apostoli e dei primi martiri, la Chiesa ha potuto contare sulla testimonianza dei santi nei momenti più difficili della sua vita e della sua missione: santi martiri e confessori, santi pastori e dottori, santi missionari e predicatori, santi mistici, vergini consacrate, santi della carità, santi fondatori, e perché no, santi genitori! (E non sono pochi!) Questi furono sempre veri discepoli e missionari di Gesù e suoi testimoni nel mondo! Perciò, la nuova evangelizzazione può trovare nella vita, nella testimonianza e nell’intercessione dei santi un’immensa risorsa. La devozione ai santi e la «comunione» con i santi consentono ai fedeli di provare la vicinanza a quel «mistero della fede» a cui la Chiesa crede e che è da essa proclamato nel mondo. Ma i santi, rilevavo, sono dentro e fuori la Chiesa tanto che Antonio Maria Baggio, filosofo, docente all’Istituto universitario Sophia, non dubita che la santità sia patrimonio anche di chi non crede: «Soprattutto quando diventa sinonimo di giustizia, in profeti come Amos e Osea, dove il santo è uno che costruisce e ha misericordia. Gesù porta una rivoluzione perché la santità non è di alcuni, ma di tutti. Quindi questa presenza giusta e misericordiosa è qualcosa che anche gli uomini possono attuare e ciò è adatto alla modernità che vuole agire dentro la storia». E prosegue Baggio: «Esempi di santità li vedrei anche in Martin Luther King o nel sindaco di Pollica (Angelo Vassallo, 57 anni, assassinato con 9 colpi di pistola nella notte mentre rientrava a casa): martiri per la funzione che ricoprivano per il bene comune. Non sempre è necessaria un’etichetta di fede, ma nell’uomo c’è un mistero di interiorità e una capacità di dono e di far “miracoli” che partono dal piccolo e non si sa dove arriveranno, perché nel mondo moderno la perfezione non è per sé, ma per gli altri». Gli antichi Greci, desiderosi di luce e di splendore, volendo salvare qualche cosa di bello nella loro storia, fatta pur essa di ombre e di sconfitte morali, cercarono di inneggiare, con i loro scritti e con le loro opere, ad alcuni felici e fortunati mortali, che avevano avuto in dono dagli dei di far rilucere, in terra, l'armonia delle realtà

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celesti. Per questi nostri antenati ciò fu solo una speranza, un orgoglio; meglio, forse, una loro intelligente e poetica rivincita contro l'opacità della loro triste cronaca. Nel cristianesimo questa speranza è diventata esperienza, storia, certezza per la presenza dei Santi, «gli uomini dello splendore, che conducono alla pienezza della luce di Dio» (Giovanni Paolo II). Ogni santo può affermare con s. Teresina del Bambino Gesù: «Il volto di Dio è la mia patria». Ma chi sono, in concreto, i Santi? Una definizione, fra le più comuni, li denomina come «le creature tutte pervase e arricchite della grazia divina, della vita soprannaturale, per mezzo dello Spirito Santo». Tale grazia, o fuoco di vita e di amore, penetra come luce la loro intelligenza, rendendola atta a comprendere i misteri stessi di Dio donando loro il senso gerarchico delle cose, il gusto sapienziale della storia. È la grazia che potenzia la loro volontà, infondendo nel loro spirito insolite energie e un inspiegabile entusiasmo, non solo per rifuggire dal peccato, ma per vivere la vita ordinaria in modo straordinariamente qualificato, spiritualmente indovinato. È ancora la grazia del Signore che trasforma il loro cuore, rendendolo capace di amore oblativo per gli altri, quasi amati con il cuore stesso di Dio. I Santi sono un capolavoro di personalità, anche a livello umano, tanto da dare ragione al Concilio quando afferma che «chiunque segue Cristo, l'Uomo perfetto, si fa pure lui più uomo» (Cost. Chiesa e Mondo, 41). Sia sufficiente un solo esempio. Così scrive di s. Tommaso d'Aquino il suo biografo Guglielmo di Tocco: «Tommaso era umilissimo nel pensare di sé, purissimo di corpo e di mente, devoto nell'orazione e previdente nel consiglio, placido nel conversare, espansivo nella carità, chiaro nell'intelligenza, acuto nell'ingegno, certo nel giudizio, tenace nella memoria, quasi quotidianamente elevato sopra i sensi...: sicché un uomo solo pareva avesse gli abiti di tutte le virtù...» (Vita Thomae Aquinatis, cfr. DS II, 1899). Quali esseri eccezionali e completi in tutti i sensi, i Santi si rivelano anche i veri e autentici benefattori e operai della città terrestre. Sono soprattutto i Santi a decidere positivamente della storia, a fecondarla di valori spirituali e umani. Coloro che hanno l'esperienza del divino sono stati sempre i più adatti a risolvere anche gli aspetti terrestri della convivenza umana; coloro che si

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immergono, come fanno i mistici, nel futuro di Dio, si rendono, per ciò stesso, operai idonei e seriamente validi ai fini della costruzione della città terrestre. Quando il santo si presenta alla storia ne domina gli avvenimenti, pur conservando, nel suo intimo, un atteggiamento dimesso, distaccato. Il Santo è un intrepido diffusore della verità e della parola di Dio, ma, in pari tempo, è il mite per eccellenza, che non si lamenta della vita, né dell'inganno. I Santi sono capaci di autocostituirsi guide generose ed esigenti degli altri verso la rivendicazione di legittimi diritti sociali, rimanendo però, sempre, «i puri di cuore», dall'animo umile e trasparente come cristallo. I Santi sono quegli esseri strani, o meglio straordinari, che hanno il coraggio di rimproverare, di consigliare, di implorare i fratelli, anche se nella loro anima essi preferiscono essere trascurati, umiliati, disprezzati per il regno di Cristo. Se essi soffrono e sono contraddetti, lungi dal vendicarsi, fanno scattare dal loro cuore l'unica rappresaglia efficace, risolutiva, qual è quella di nascondersi nel beneplacito di Dio e nella sua santissima volontà, attuando, in tal modo e pienamente, il programma delle Beatitudini. Per questo, anche se essi, i Santi, non sono belli fisicamente, sono sempre luminosi nel volto! E ti afferrano dentro in modo unico e straordinario provocando, come la luce del laser, un’azione dirompente e rigenerante nello stesso tempo del cuore dell’uomo. E questo anche da morti, anche in tempi lontani. Essi hanno la forza di parlare, di trasfondere nel cuore dell’uomo in quanto tale il loro messaggio di amore. Tutti siamo chiamati alla santità Tutti siamo chiamati alla santità. Ce lo ha ripetuto il Concilio Vaticano II (cfr. Cost. Chiesa e Mondo, 41). Notiamo, di sfuggita, due concezioni della vita: una pagana e l'altra cristiana. La prima, quella profana, parte da premesse ottimistiche, proclamando che l'uomo è buono, libero e possiede in se stesso la forza per raggiungere la pienezza della sua forma ideare. Purtroppo, però, questa concezione ottimistica della persona e della storia cede il passo, piano piano, a una visione pessimistica, quasi passando da un processo di luce verso le tenebre e da un ideale sognato di ricco umanesimo a una vita agitata, posta sotto il segno della frustrazione e della tristezza. Nella concezione cristiana la parabola etica dell'uomo percorre, invece, un