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Universita’ degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli Universita’ degli Studi Suor Orsola Benincasa - Napoli 1 Università degli Studi Suor Orsola Benincasa FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN IMPRENDITORIA E CREATIVIT À PER CINEMA, TEATRO E TELEVISIONE TESI DI LAUREA IN TEORIE E TECNICHE DEL LINGUAGGIO CROSSMEDIALE SOCIAL TV, PARADIGMI E MODELLI INTERPRETATIVI DELLA FRUIZIONE TELEVISIVA CONTEMPORANEA Anno Accademico 2014 2015 Relatore Candidata Ch.mo Prof. Laura Olivazzi Giampaolo Rossi Matr. 177000220

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Università degli Studi

Suor Orsola Benincasa

FACOLTÀ DI SCIENZE DELLA FORMAZIONE

CORSO DI LAUREA MAGISTRALE

IN

IMPRENDITORIA E CREATIVIT À PER CINEMA, TEATRO E TELEVISIONE

TESI DI LAUREA IN

TEORIE E TECNICHE DEL LINGUAGGIO CROSSMEDIALE

SOCIAL TV, PARADIGMI E MODELLI INTERPRETATIVI

DELLA FRUIZIONE TELEVISIVA CONTEMPORANEA

Anno Accademico 2014 – 2015

Relatore Candidata Ch.mo Prof. Laura Olivazzi Giampaolo Rossi Matr. 177000220

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Indice

Introduzione

1. Social Tv e Marketing televisivo

1.1 Sistemi Crossmediali: il ruolo della Social Tv nella fruizione televisiva

1.2 Strategie social in tv, evoluzioni nel tempo: cambiamenti in atto ed orizzonti

promettenti

1.3 Network nazionali: comportamenti social, punti di forza e difetti delle reti

italiane nella gestione della Social Tv

1.4 Social Tv e Advertising: il profitto della pubblicità televisiva corre lungo la linea

dei social network

1.5 Nielsen e Blogmeter: l’Auditel diventa social

1.6 Broadcasting ed interazione: da Periscope agli scenari futuri

2. Il ruolo della Social Tv negli studi sulla televisione

2.1 Excursus sulla conversazione: da Sacks e Goffman alle conversazioni televisive

2.2 Media Literacy, esiste un posto per la Social Tv?

2.3 Media Education: Cattiva Maestra (Social) Tv?

2.4 Hashtag e cronaca in diretta, verso una nuova formularità?

3. Case history italiani di Social Tv

3.1 The Voice of Italy: quando il social prevale su ascolti, talenti e discografia

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3.2 Il Boss delle Cerimonie, il social trash che vince

3.3 Festival di Sanremo 2016, il media event all’italiana che mette d’accordo Auditel

e Social Tv

3.4 Pillole di Social Tv: piccoli media event crescono

Appendice

La formazione ai tempi dei new media: intervista a Marco Gorini

Audience e scenari mediali contemporanei, conversazione con Andrea Materia

Conclusioni

Bibliografia

Sitografia

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Introduzione

In un contesto mediale caratterizzato dall’incertezza, dal cambiamento costante e

dall’ibridazione tra diversi supporti e linguaggi, l’occhio degli operatori del settore

deve dotarsi di strumenti capaci di catturare ogni movimento in atto, senza però

perdere l’orientamento. Quest’ultimo rischio, tuttavia, non è sempre facile da fugare,

soprattutto quando ci si addentra nei contorni sfumati e poco definiti del Web 2.0 e

dei social network, che hanno riconfigurato gli assetti ed equilibri della società

contemporanea, sia da un punto di vista strettamente mediatico, sia per quanto

riguarda gli aspetti più diffusi del quotidiano. Si può dire che i social network

abbiano assunto in poco tempo la medesima importanza di media tradizionali come

la televisione, che nella seconda metà dello scorso secolo ha scritto le pagine più

importanti dell’industria culturale nostrana. In merito all’ibridazione tra media e

linguaggi, dunque, l’incontro osmotico tra social network e televisione è stata

conseguenza naturale e, come vedremo, necessaria, per sviluppare percorsi produttivi

e mediali in grado di soddisfare le esigenze degli utenti e dei network televisivi,

interessati negli ultimi anni ad una vera rivoluzione digitale. Bastano pochi anni,

talvolta mesi, per osservare da vicino fenomeni di notevole portata, così radicali da

far riconsiderare il rapporto tra media, utenti ed utilizzo dei diversi device. Un

discorso nel quale ciò che la massmediologia contemporanea definisce come Social

Tv trova il suo terreno più fertile e redditizio. Per Social Tv s’intende, per l’appunto,

l’incontro e il rapporto di reciproco scambio tra social media e televisione

tradizionale, snodo focale per la creatività degli utenti, per la ridefinizione dei

palinsesti televisivi, per lo sviluppo di nuove forme d’interazione tra aziende e

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consumatori, utili a rispondere in modo accurato ed efficace alle nuove e sempre più

complesse esigenze delle audience.

La ricerca condotta ai fini del presente elaborato punta l’attenzione proprio sulla

Social Tv, ampliando un percorso già tracciato nel 2013, quando il fenomeno

iniziava a consolidarsi tra le abitudini di consumo mediale legate alla fruizione

televisiva. Nel giro di circa tre anni abbiamo assistito ad un ingresso dirompente

delle logiche social nella quasi totalità dell’offerta televisiva fruibile su diverse

piattaforme, un processo che ha riavvicinato i giovani al piccolo schermo e che, per

converso, ha indotto ad una più accelerata alfabetizzazione digitale anche le audience

over 40. Da fenomeno di nicchia, apparentemente destinato ad una stretta cerchia di

nativi digitali, la Social Tv si è affermata nel panorama televisivo quale valido

alleato nelle strategie di Marketing e nell’implementazione di nuovi business, assai

remunerativi anche sotto il profilo legato alle inserzioni pubblicitarie. Gli addetti ai

lavori più sensibili al cambiamento e più interessati all’aggiornamento delle proprie

strutture produttive, sia per quanto riguarda la creazione di nuovi contenuti, sia per

gli aspetti legati alle dinamiche economiche ne hanno compreso sin da subito il

potenziale, stipulando accordi con le principali aziende del mondo social. Alla luce

di questa realtà, così come avvenuto per tutti gli altri media che nella storia umana

abbiano ricoperto ruoli tali da essere protagonisti di mutamenti epocali, anche la

Social Tv potrebbe ritagliarsi uno spazio d’analisi e approfondimento a partire dalle

teorie mediologiche e sociologiche sulle quali si basano le Scienze della

Comunicazione. Per quanto profondamente contemporaneo, il fenomeno scatenato

dalla Social Tv manifesta peculiarità ed atteggiamenti che caratterizzano le

interazioni umane sin dalle prime forme di comunicazione, sembra opportuno notare

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che, seppur in forme e supporti differenti, le esigenze relazionali dell’uomo si

sviluppino costantemente nel corso dei secoli, rispettando leggi dapprima non scritte,

ma, allo stesso tempo, oggetto di perenne analisi.

Scandagliare questa variegata realtà fatta di hashtag, costanti narrative, network e

contenuti multimediali è il primo passo verso lo sviluppo di un ambito di studi che

possa fornire le chiavi di comprensione della fruizione televisiva contemporanea,

muovendosi in un’ottica crossmediale e quasi del tutto votata al digitale.

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Capitolo Primo

Social Tv e Marketing televisivo

Nell’affrontare un percorso di analisi di un fenomeno del tutto in divenire si rischia

spesso di trovarsi di fronte ad un quadro dai contorni assai sfocati, una sorta di

nebulosa, in cui teorie, eventi e messaggi tendono a sovrapporsi e generare nuovi,

affascinanti processi. Si può dire che per la Social Tv sia accaduto proprio questo,

una rapida evoluzione che da strumento quasi eversivo di pochi utenti di ottima

estrazione digitale, l’ha trasformata in tool essenziale delle strategie di Marketing dei

principali network televisivi.

Per fare maggiore chiarezza sull’argomento preso in analisi occorre dare una precisa

definizione di Social Tv, quel fenomeno che in breve si potrebbe definire come

l’incontro tra televisione tradizionale e social network. Più che di fusione tra le due

sfere mediatiche, potremmo parlare di pacifica cooperazione con vantaggi reciproci:

l’attività principale esercitata nell’ambito della Social Tv è la cronaca in diretta di

trasmissioni televisive o eventi mediatici di particolare rilevanza, contornata da altre

attività social direttamente collegate alla dimensione del gaming, dell’instant

messaging e della condivisione, o meglio, sharing di diversi contenuti multimediali.

Ciascuna di queste componenti è generata e pensata da utenti attivi che ricoprono il

ruolo di prosumer, ossia produttori e consumatori di quanto fruiscano all’interno

della sfera social-televisiva. Nel pieno del processo in divenire, inoltre, si sviluppano

reti e panorami mediatici, evoluzioni ed involuzioni che portano ad una definizione

decisamente più complessa del fenomeno che rappresenta la massima espansione

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delle ormai obsolete NetTv ed IpTv, retaggio di un Web 2.0 che si appresta allo step

successivo, quel 3.0 che sancisce l’era delle relazioni, anche quando si tratta di

contenuti apparentemente tradizionali quali news, podcast e vodcast, video, audio e

testi.

Nell’attuale panorama televisivo, disegnato e dominato da palinsesti personalizzati e

a misura di spettatore, assistiamo alla transizione da Appointment Tv, tipica della

fruizione totemica della tv tradizionale, caratterizzata da appuntamenti fissi a

cadenza settimanale, alla Relationship Tv, una televisione costituita da relazioni

umane aperta 24 ore su 24 alle necessità degli spettatori1. Il matrimonio tra universo

social e piccolo schermo, inoltre, fa da collante tra dimensione privata e fruizione

televisiva, accompagnando lo spettatore-utente in ogni angolo e momento della sua

quotidianità. È più o meno questa la mission alla base delle applicazioni di second

screen, strumenti trasversali dell’offerta televisiva che sviluppano un rapporto

dialettico tra utenti e piattaforme.

Una delle dirette conseguenze non soltanto della Relationship Tv, ma dell’esplosione

social in generale, è la creazione di nuovi quadri professionali addetti all’analisi e

alla strutturazione di strategie utili a generare engagement, contatti, click,

visualizzazioni e ROI (Return of Investiment) che nell’era della Social Tv si rivelano

essere pilastri in primo luogo dell’Information Technology in senso stretto, e,

successivamente, anche dell’economia intrinseca a ciascun network televisivo,

nazionale o locale.

Il contesto nel quale attualmente si trovano ad operare gli addetti ai lavori del settore

si presenta oggi assai complesso e variegato, un dado multifaccia da analizzare

1 Definizione di Brian David Johnson (G. Colletti, A. Materia, "Social Tv", Gruppo 24 ore, 2012, pag. 13).

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accuratamente senza lasciare nulla al caso, parole o hashtag2 che siano. Ripulire il

buzz generato dal commento in diretta dal cosiddetto rumore di fondo mediante

syndacation non basta più, è necessario osservare i movimenti degli utenti, captarne i

gusti, intercettare le audience più adatte ad un certo tipo di advertising, rendersi

conto di trovarsi dinanzi ad una creatura mutevole e mai troppo coerente. Le

difficoltà principali di Social Media Manager e Social Media Analyst si trovano

soprattutto nell’individuare le fonti dei dati raccolti, che negli anni si sono

moltiplicate senza controllo, isolare le keywords relative al programma o evento

televisivo soggetto ad analisi, un lavoro assai difficile se consideriamo il fatto che, al

di là degli hashtag ufficiali forniti dalle trasmissioni, gli utenti tendono a dialogare

tra loro inventandone di nuovi o facendo riferimento ad una parola chiave specifica

relativa ad un particolare momento della trasmissione.

2 L’hashtag fu usato per la prima volta sulla Internet Relay Chat (IRC) per organizzare gruppi e argomenti. Anteponendo il simbolo hash (#), a noi noto come cancelletto ad una parola che caratterizzi il post, è possibile aprire percorsi di ricerca per la parola in questione. Gli hashtag consentono di canalizzare l’attenzione degli utenti su un particolare evento di rilevanza mediatica.

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Modello base dell’attività di Social Tv: possiamo osservare le varie fasi strutturate in circolo,

evidenziando una forte apertura del fenomeno. Le fasi fondamentali per ottenere risultati utili in

termini d’ascolto sono la fase pre-air (circa 3 ore prima della diretta) e la fase post-air (3 o più

ore dopo la diretta).

Inoltre, se dapprima si considerava Twitter come social network prediletto per le

interazioni di Social Tv, la contemporaneità e la diffusione di altre piattaforme

impongono di raccontare il fenomeno su più fronti social, motivo per il quale bisogna

tenere in considerazione necessariamente anche gli altri social network, Facebook e

Instagram su tutti, in un’ottica del tutto crossmediale.

Quella che pochi anni fa si definiva come The next big Thing3, letteralmente “la

prossima meraviglia”, con sapore quasi utopico, si è trasformata in una solida realtà

con la quale devono fare i conti le aziende televisive, sfruttandone i vantaggi e le

opportunità. È ormai anacronistico parlare di potenzialità della Social Tv: i network

che non se ne servono si dicano pronti al definitivo switch off.

1.1 Sistemi crossmediali: il ruolo della Social Tv nella fruizione

televisiva

Prima di chiarire il ruolo della Social Tv nel panorama mediatico disegnato dalla

televisione, occorre fare un passo indietro sulla definizione di Crossmedialità.

Per quanto alcuni addetti ai lavori preferiscano parlare di Transmedialità, è nelle

sfumature di significato di crossmedialità che si annidano le caratteristiche essenziali

dei sistemi mediatici del nostro tempo. Per crossmedialità intendiamo l’incrocio, di

3 La Social TV è stata nominata una delle tecnologie emergenti dal MIT Technology Review on Social TV nel 2010. Durante la conferenza Digital Life Design (DLD - Gennaio 2011), il CEO di Endemol ha dichiarato: “social media meets television is the next big thing”.

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qui il prefisso Cross, tra piattaforme e media diversi che partecipano ad un’idea

comune di base, il cosiddetto Grand Master, declinandone i contenuti con linguaggi

e performance diverse. La fruizione dell’utente, a differenza di quanto accade

nell’accezione più stretta di convergenza, diviene impegnativa ed immersiva: è

necessario infatti attivare diverse sfere cognitive per rendere l’esperienza fruitiva

completa ed efficiente. Il ruolo dell’utente-consumatore diviene centrale, l’intenzione

primaria dell’autore di storie e narrazioni crossmediali è quella di integrarvi il

fruitore che può riconoscervisi totalizzando la propria esperienza.

Così, un successo cinematografico, spalmandosi sull’industria editoriale,

nell’oggettistica e nei mercati di ultima generazione, sulle community web e social,

si può definire strettamente crossmediale. Nelle strategie di pianificazione mediatica

che assorbono le logiche della crossmedialità esistono diversi sistemi di produzione,

ciascuno dei quali più o meno efficiente. La maggior parte dei progetti crossmediali

si struttura intorno ad un sistema supportivo, in cui i vari media coinvolti si

sostengono l’un l’altro, integrandosi a vicenda, come accade per la saga di Star Wars

in cui il film si integra con i libri, le community online e i gadgets. Meno efficace ma

talvolta utilizzato erroneamente è il sistema competitivo, in cui i comparti impiegati

nella realizzazione del progetto entrano in competizione tra loro, creando difficoltà

negli autori e addetti ai lavori di promozione. Infine, la rapida diffusione del web ha

dato origine al cosiddetto sistema onnivoro, in cui un medium subordina tutti gli

altri, diventando perno e cardine della fruizione: pensiamo ai siti web di film e serie

tv di successo, è lì che confluiscono tutte le informazioni e le esigenze dell’utente.

Nel caso della Social Tv prevale la terza tipologia descritta, poiché è attraverso il

sistema di relazioni dei social network che si sviluppano narrazioni e comunità

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crossmediali a partire dal tema centrale lanciato dalla trasmissione con la quale si

decide di interagire. Restando nell’ambito strettamente televisivo, citando due

esempi emblematici, si possono definire assolutamente crossmediali prodotti come il

Grande Fratello4, reality di successo prodotto da Endemol che sin dalle prime

edizioni sviluppa strategie di comunicazione sia sul piccolo schermo che sul web,

colpevole, tuttavia, di aver scelto almeno nelle prime edizioni un sistema

crossmediale competitivo. Altro riferimento cardine nella storia della crossmedialità

è Lost5, la serie tv di culto creata da J.J. Abrams, pietra miliare delle narrazioni

televisive, primo caso di enciclopedia partecipata dedicata ad un solo prodotto (La

Lostpedia, per l’appunto). In entrambi i casi assistiamo ad uno sviluppo della

narrazione e del racconto televisivo attraverso media diversi, dai gadget distribuiti

dalle case editrici (raccolta di figurine, libri, magazines) ai giochi da tavolo, dalle

communities online (forum, webistes e fandom6) ai dvd da collezione.

Nonostante la proliferazione di contenuti e piattaforme, il concetto di crossmedialità

restava piuttosto lineare prima dell’avvento dei social media che, com’è accaduto per

i settori più disparati, hanno scatenato la rivoluzione mediatica che fa da spartiacque

tra il vecchio e il “nuovo” web. Con la loro rapidità ed accessibilità, i social media

costituiscono attualmente l’aspetto immateriale ed al contempo più incisivo della

crossmedialitá: attraverso i network sociali le aziende riescono a captare contatti, 4 Il Grande Fratello è un reality show trasmesso in Italia su Canale 5 dal 2000, prodotto dalla Endemol e basato sul format olandese Big Brother. I protagonisti del reality sono persone sconosciute o semi-sconosciute al pubblico equamente divise tra uomini e donne di varia estrazione sociale e collocazione geografica, le quali condividono la vita quotidiana sotto lo stesso tetto spiati 24 ore su 24 da una serie di telecamere. 5 Lost è una serie tv prodotta da ABC, Bad Robot Productions e Grass Skirt Productions e andata in onda dal 2004 al 2010. Acclamata da critica e pubblico, nel 2006 è riuscita a vincere un Golden Globe per la miglior serie drammatica. La serie ha conquistato anche undici Emmy Awards, tra cui il premio per la miglior regia. La peculiarità narrativa di Lost sta nella struttura di ciascun episodio, articolata tra flashback e flashwoforward utili a mantenere desta l’attenzione dello spettatore. 6 Il termine fandom indica una sottocultura formata dalla comunità di appassionati (fan) che condividono un interesse comune in un qualche fenomeno culturale, come un hobby, un libro, una saga, un autore, un genere cinematografico o una moda.

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utenti, e, nell'era della viralità, visualizzazioni e condivisioni che ne incrementano i

fatturati a costi ridotti, talvolta pari a zero. I social media si possono così definire a

pieno titolo come il terreno più fertile delle strategie crossmediali, un processo dal

quale la televisione non solo non è immune, ma diventa, invece, un campo di studi

assai prolifico di prospettive e risultati a lungo e breve termine. Del resto, l’assenza

di barriere culturali e la produzione partecipativa di contenuti ha consentito di

scrivere concretamente nuove pagine nella storia della televisione e dei moderni

social media. La natura stessa della Social Tv è del tutto crossmediale. Pensiamo

infatti alle nuove narrazioni prodotte dagli utenti nel corso della fruizione televisiva:

la sola attività di posting sui propri profili social in relazione ad una trasmissione o

evento specifici è già una rielaborazione dell’idea di partenza, così come la creazione

di hashtag indicativi. Rivolgendo l’attenzione ai social più visivi, inoltre, assistiamo

ad un’ulteriore declinazione della crossmedialità socialtelevisiva, una sezione

costituita da immagini e frame tratti direttamente dal backstage dei nostri programmi

preferiti oppure dalle testimonianze dirette dei protagonisti. Real Time, emittente che

fa capo alla società Discovery Italia, partecipa spesso con gli utenti alle

twittercronache7 in diretta, anche mediante la creazione di meme ed immagini

ironiche lanciati sui diversi social. Un altro esempio concreto viene dal mondo dei

reality show: le ultime edizioni de L’Isola dei Famosi e del già citato Grande

Fratello, hanno goduto dei benefici provenienti dagli account Instagram degli

opinionisti in studio. Durante la settimana i loro followers sono stati costantemente

aggiornati sulle vicende dei protagonisti dei reality mediante immagini e commenti,

al di là delle numerose immagini in studio e dei selfie scattati durante la diretta.

7Neologismo che indica l’attività di commento live su Twitter. Lo sviluppo di una Twittercronaca è piuttosto semplice, occorrono un evento o un programma da seguire, un account Twitter e un hashtag che identifichi l’oggetto e l’argomento principe della nostra cronaca.

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La televisione, del resto, è stata social sin dai suoi albori, un aggregatore di comunità

e gruppi più o meno ristretti di persone che, quando ancora il piccolo schermo era un

lusso che pochi potevano concedersi, fruivano insieme dei programmi più popolari:

eventi sportivi, l’immancabile Festival di Sanremo e i quiz show allora in voga, tra

cui svetta per popolarità e audience Lascia o Raddoppia, condotto da Mike

Bongiorno. Ed è proprio questo show a rappresentare uno dei primi esempi di

produzione crossmediale ante litteram, con le appendici del programma diffuse sui

quotidiani e in radio: gli spettatori più appassionati potevano così informarsi sulle

sorti dei concorrenti in gara qualora non fossero riusciti a guardare la trasmissione,

potevano leggere curiosità e aneddoti, partecipare attivamente alla vita dei

protagonisti dentro e fuori dal piccolo schermo. Il motore della partecipazione e della

condivisione è sempre stato intrinseco alle conversazioni che nell’era dei social

network, ritornano alla dimensione collettiva delle origini, seppur in misure

esponenzialmente maggiori e non quantificabili con precisione, dopo il periodo di

individualismo tipico degli anni Ottanta e Novanta, quando la fruizione televisiva era

per lo più solitaria visto anche il moltiplicarsi degli schermi in diversi ambienti

domestici.

Il web dell’interazione, dinamico e sempre mutevole, ha operato un cambiamento

epocale anche nella fruizione televisiva, liberando il pubblico dalla cosiddetta

dittatura del palinsesto, affollando così le folte schiere del popolo dell’indice8.

La televisione è il medium che più di tutti è riuscito ad assorbire per osmosi le nuove

dinamiche della rete, a differenza di editoria ed informazione che ancora faticano ad

adeguarsi al fenomeno. Un impulso fondamentale in tal senso è stato lanciato dal

8 Si definisce “popolo dell’indice” la generazione cresciuta nell’era del touch screen, tipico di device quali smartphone e tablet, simbolicamente fruibile con il dito indice.

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diffondersi della pirateria online a discapito delle produzioni cinetelevisive. Di fronte

alla proliferazione di siti come Megavideo, chiuso nel 2012 per violazione di

copyright, l’industria degli audiovisivi si è ritrovata a dover rispondere per le rime,

adottando diverse strategie sul web, confluite poi nell’apoteosi o zona aurea creatasi

con i social media. Nonostante contenuti non sempre innovativi, la televisione

continua ad essere il nuovo focolare domestico, un totem intorno al quale ci si siede

accompagnati da device con i quali esprimere la propria opinione, positiva o negativa

che sia, su quanto essa abbia ancora da offrire. Paradossalmente sono le critiche

negative a foraggiare non solo il buzz di commenti e post del pre e post diretta, ma

anche la propria identità digitale.

Lo smartphone, insieme al tablet, si prefigura come device social per eccellenza, se

non altro per il fatto che rappresenti una reale estensione delle nostre attività offline.

Un’estensione che, a sua volta, costituisce un’altra piattaforma d’interazione per i

racconti televisivi, uno strumento del tutto crossmediale protagonista delle attività di

second screen.

Un’indagine condotta nell’ottobre 2015 dalla statunitense Global Web Index9, attesta

che la tendenza di utilizzare device mobili mentre si guarda un film alla tv, talvolta

anche al cinema, è molto elevata soprattutto tra i teenager, che amano controllare i

propri profili social e chattare su WhatsApp10. Il fenomeno va inscritto tra le

conseguenze dell’iperconnettività, come testimoniano le statistiche relative alla

fruizione media delle attività di first e second screen: un utente tende a trascorrere

almeno 7 ore della giornata davanti ad uno schermo, 2 ore e mezza sullo smartphone,

9 Global Web Index è lo studio più importante al mondo sul consumo e i consumatori digitali. 10 È un’applicazione di instant messanging multipiattaforma, creata nel 2009 da Jan Koum e da Brian Acton, due ex-impiegati della società informatica Yahoo!. Nel 2014 è stata acquistata da Facebook Inc.

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mentre il resto del tempo si divide tra televisione e computer11. Questi dati portano

ad una revisione di forma e sostanza dell’accezione di second screen, che,

considerato il tempo trascorsovi dall’utente, può essere considerato in via definitiva

come un First Screen, lo schermo principale delle nostre attività. Al di là della

televisione, infatti, sono molti i casi in cui l’accesso ad internet e agli account social

si effettui soltanto da mobile, che, soprattutto in Italia e nei paesi dell’Europa

mediterranea, ha in parte contribuito ad assottigliare il digital divide, la distanza cioè

tra diversi strati di alfabetizzazione digitale. Gli utenti italiani, nello specifico, stando

alle analisi di AdReaction, lo studio condotto da Millward Brown in trenta paesi del

mondo, dichiarano di trascorrere più tempo con un solo schermo, piuttosto che

spalmare la propria attenzione su dispositivi diversi, mantenendo la fruizione di

smartphone al 34,3% 12.

Presentazione della 5a edizione della ricerca dell’Osservatorio News-Italia: Informazione,

social-Università di Urbino ”Carlo Bo”

11 http://www.cultora.it/second-screen-uno-schermo-non-basta-piu/, in data 02 dicembre 2015. 12 http://www.wired.it/mobile/2014/04/11/cera-una-volta-il-second-screen/, in data 03 dicembre 2015.

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I dati relativi alla Second Screen Dominance tra gli utenti attivi su Facebook rilevata da Global

Web Index.

Una volta chiarita la definizione di crossmedialità e l’ormai certa preponderanza del

social networking nelle modalità contemporanee di fruizione televisiva, ci si appresta

a verificare il quadro generale del panorama mediatico disegnato dal piccolo schermo

e dalle applicazioni ed attività ad esso correlate, figlie di una medesima istanza,

comunicare, fruire e produrre contenuti. Il tutto condiviso sui profili social.

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1.2 Strategie social in tv, evoluzioni nel tempo: cambiamenti in atto

ed orizzonti promettenti

La parola chiave che definisce al meglio lo stato attuale della televisione è

multicanalità, affiancata da una serie di ulteriori funzioni recanti il prefisso multi che

complicano e chiariscono allo stesso tempo la natura del medium televisivo. È ancora

utile citare la teoria della Long Tail di Anderson13, che, applicata all’industria

dell’enterteinment in senso lato, riesce a spiegare perfettamente anche l’aumento di

canali tematici e specifiche televisive, dentro e fuori la rete. Nel giro di un

quinquennio si è passati da una Social Tv praticata in modo quasi eversivo da

ristrette cerchie di nerd e strati socioculturali ad alto tasso di alfabetizzazione

digitale, ad una Social Tv perfettamente integrata nei palinsesti, una sorta di

imborghesimento di un fenomeno che rientra nel mainstream a tutti gli effetti. Non

esiste trasmissione, infatti, che non abbia il suo hashtag di riferimento o il suo

account sui vari social network, non esiste emittente che non abbia implementato le

proprie risorse nell’attuazione di piani strategici su Facebook, Twitter, Instagram e,

nei casi più lungimiranti, anche YouTube. In sostanza, non esiste strategia di

marketing televisivo che non tenga in considerazione i social network, una scelta

obbligata che ha sì, trasformato radicalmente le modalità di fruizione e invaso i

palinsesti, ma che ha saputo anche adattarsi alle esigenze del pubblico senza

provocare particolari traumi da digital divide. Al contrario, l’utilizzo delle

primissime strategie social da parte di personaggi televisivi di spicco, ha contribuito

13

Espressione coniata da Chris Anderson in un articolo dell'ottobre 2004 su Wired Magazine per descrivere il modello economico-commerciale del nuovo millennio: oltre ai prodotti mainstream acquistati da un’alta percentuale di consumatori, la digitalizzazione ha ampliato le nicchie di consumo e i prodotti disponibili.

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all’alfabetizzazione digitale di utenti non esattamente nativi digitali o Millennials14.

Pionieri indiscussi, gli americani hanno utilizzato Twitter come piattaforma primaria

per fidelizzare gli utenti di prodotti televisivi, in particolare serie tv: il network Fox,

infatti, vista l’intensa attività social degli spettatori, ha deciso di indirizzare trailer,

anteprime e contenuti esclusivi relativi alle trasmissioni proprio sul social

cinguettante, controllando così i feedback dell’audience, gli hashtag e le

conversazioni intessute dagli utenti, utili nella pianificazione dei palinsesti. Tuttavia,

il primo a comprendere il potenziale della twittercronaca fu Jeff Probst, volto

simbolo del reality show statunitense Survivor, giunto nel 2011 alla sua ventiduesima

edizione e vittima di un notevole crollo d’ascolti dovuto alla lunga permanenza nei

palinsesti della CBS. Probst riuscì a riportare il suo programma agli onori dello share

grazie al live tweeting, sua sponte, senza l’ufficialità del network televisivo. Il

successo riscosso dall’iniziativa di Probst indusse la CBS a promuovere il live

tweeting prima di ogni break pubblicitario, ponendosi come prototipo di hashtag e

twittercronache di successo. Non è un caso che il fenomeno sia esploso nell’ambito

di un Reality show, genere che, insieme al Talent e al Talk show di stampo politico

meglio si presta alla pioggia di tweet inviati dalle postazioni domestiche.

Il momento della verità per la televisione tradizionale si è palesato con le prime

discrepanze nella rilevazione degli ascolti. I dati dell’obsoleto sistema Auditel, che

prende in considerazione un campione standard di spettatori applicando ad un solo

schermo il meter15, stridevano sin dagli albori della Social Tv con i risultati prodotti

14 I Millennials, o Generazione Y, è propriamente la generazione del Nuovo Millennio, avvezza ai new media e alle nuovissime tecnologie. Si è soliti definirla anche Mtv Generation, vista la forte influenza che l’emittente televisiva ha avuto sugli usi e costumi dei nati tra gli anni ’80 e 2000. 15 Auditel è una società nata a Milano il 3 luglio 1984 per raccogliere e pubblicare dati sull'ascolto televisivo italiano. Il rilevamento è iniziato il 7 dicembre 1986. I dati di ascolto sono diventati nel tempo la misura del successo o dell'insuccesso delle trasmissioni televisive italiane. La società AGB Nielsen, per conto di Auditel, ha installato nelle case di circa 5.200 famiglie italiane, corrispondenti a

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dalle attività online, tanto da portare aziende ed emittenti a riconsiderare in toto il

sistema degli ascolti, mostrandosi decisamente più appetibili anche agli inserzionisti

e al mondo dell’advertising. Le due facce della Social Tv, la prima del tutto user

generated, l’altra strettamente legata alle dinamiche di business televisivo, sono

chiaramente esplicate da Aldo Grasso, tra i massimi esperti italiani del piccolo

schermo: “Da un lato, la social tv viene interpretata come una modalità di

partecipazione del pubblico più libera rispetto alla passività della «semplice»

visione televisiva: i tweet, i post, i commenti e le risposte sono così un’attività

interpretativa piena, e in certa misura indipendente(...) Dall’altro lato, però, non

bisogna sottovalutare, e, anzi, proprio la loro trasparenza le rende particolarmente

importanti, la presenza sempre più diffusa di strategie attivamente perseguite dalle

case di produzione e dai broadcaster per trarre vantaggio, in termini promozionali o

direttamente economici, dal trend della social tv”16.

14.000 individui (aumentati, con una decisione presa dal CdA il 5 giugno 2014, a 15.600 famiglie) un piccolo apparecchio collegato ad ogni televisore dell'abitazione e alla linea telefonica, che registra su quale canale è sintonizzato iln televisore. Il gruppo di nuclei familiari presi in considerazione con il metodo panel, tuttavia, non sempre corrisponde ad un campione veritiero. Da più parti e con motivazioni diverse le scelte e i criteri dell'Auditel per fissare i dati di ascolto sono stati contestati. I primi rilievi sono stati posti dalle Associazioni dei Consumatori che hanno investito il Tar del Lazio. Alcuni studi effettuati da istituti di statistica indipendenti hanno evidenziato la totale inattendibilità dei dati forniti con il sistema di rilevazione adottato, sbilanciato a favore del duopolio Rai-Mediaset. L’emittente satellitare Sky, di fatti, non se ne serve, dato che uno dei principali detrattori del sistema è proprio Rupert Murdoch, proprietario dell’emittente (fonte: Wikipedia). 16 http://lettura.corriere.it/debates/il-contenuto-e-il-mezzo-ecco-la-social-tv/, in data 03 dicembre 2015

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1.3 Network nazionali: comportamenti social, punti di forza e difetti

delle reti italiane nella gestione della Social Tv

Siamo chiaramente ad un punto di svolta nell’organizzazione ed amministrazione dei

palinsesti e di tutto l’organico delle emittenti televisive nazionali. È utile ricordare

ancora che il pubblico pantofolaio dell’era broadcast si è trasformato in un’audience

interattiva che ama partecipare ai programmi di cui fruisce: il 60% dei telespettatori è

solito commentare da casa le percezioni del teleschermo, costruendo il proprio

network media space in un sistema di relazioni tra utenti ed emittenti stesse, con le

quali viene a crearsi una sorta di legame tipico dei love brands17. L’attività di live

tweeting o posting in diretta, da fenomeno spontaneo e del tutto incontrollato, subisce

così la real syndacation, ossia controllo, revisione e rifinitura, da parte dei

responsabili delle emittenti televisive, che incoraggiano gli spettatori a partecipare

attivamente sui profili social, con la tacita promessa di apparire sugli schermi con

tanto di hashtag e nome utente. La diretta conseguenza di questa opportunità sta nel

fatto che soltanto una parte, ovviamente la più lusinghiera, diventa visibile e

condivisibile con il pubblico.

Alla luce di quanto affermato, ciascun network ha sentito l’esigenza, affettiva ed

economica, di adeguarsi alle logiche di mercato in voga, ampliando le proprie

finestre di dialogo con il pubblico verso l’universo social. Analizzando i

comportamenti specifici di ciascuna emittente italiana, si rilevano modalità ed

atteggiamenti differenti che premiano o meno in termini di audience e dunque di

inserzioni pubblicitarie.

17http://magazine.journalismfestival.com/social-tv-social-radio-e-talk-show-il-valore-della-conversazione-in-rete/ in data 04 dicembre 2015

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La caratteristica comune di Rai, Mediaset, La 7 e Sky, considerati i principali

fornitori di prodotti televisivi, è quella di agire costantemente sulle piattaforme social

e sui siti web aziendali ristrutturati all’occorrenza. Fiori all’occhiello della sfera

social nel settore televisivo nostrano, sono sicuramente Real Time e Mtv Italia che,

seppur rivolte a target differenti, hanno incoraggiato sin dai loro albori l’interazione

su piattaforme e reti tipiche della Social Tv.

La Rai si è adeguata alle logiche social in tempi consoni: sin dal 2009, infatti, sono

attivi gli account Facebook e Twitter che rispondono alla menzione di RaiTv,

aggregatore di notizie e curiosità generiche. A partire dal 2013, con l’aumento dei

canali tematici frutto del definitivo passaggio al digitale, sono stati attivati gli

account delle singole reti, da Rai Uno a Rai Storia, ciascuno dei quali twitta o posta

notizie relative ai programmi in onda. Questi ultimi, a loro volta, dispongono di

singoli profili che interagiscono in diretta con gli spettatori, lanciando hashtag,

tendenze, meme ed immagini direttamente dal backstage per quanto riguarda la fase

on air. Nel corso delle fasi pre e post, invece, rendono disponibili contenuti esclusivi

relativi ai momenti salienti delle serate precedenti ed anticipazioni di quanto

potrebbe accadere nelle puntate successive. A guidare la classifica social per numero

di seguaci dei singoli canali è la rete ammiraglia Rai Uno con 180000 follower su

Twitter, 237269 fans su Facebook, 8582 utenti su Instagram, seguita a ruota da Rai

Due e Rai Tre.

Rai Tv, l’account dell’emittente, invece, riesce a far confluire molti più seguaci: poco

più di 389000 su Twitter, 402165 su Facebook. Nel caso di Instagram sono i

programmi specifici a collezionare più follower, forti della componente relazionale

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instaurata con i protagonisti e le vicende narrate: l’account ufficiale di Made in Sud,

la trasmissione comica di Rai Due, può contare su oltre 38000 follower. Svetta per

numero di follower su Twitter, il canale deputato all’informazione: Rai News attesta

oltre 754000 contatti, numero che scende a poco più di 180000 su Facebook.

Ai social media manager della Rai va riconosciuto il merito di aver dato vita ad una

delle prime iniziative social ad alto tasso di interazione e innovazione per i palinsesti

e le audience, seguendo a ruota un esempio di successo targato Mediaset18. Nel 2011,

per incrementare gli ascolti della serie tv di successo Un Medico in Famiglia, in onda

su Rai Uno dal 1998, la società di produzione Publispei chiese all’agenzia Art Attack

Adv di gestire la comunicazione social della fiction. Ne conseguì il gioco interattivo

Febbre da Medico, con il quale gli utenti potevano ricevere regali elettronici

rispondendo a semplici domande sulle puntate successive. Nel frattempo, le video

unit interne realizzavano contenuti esclusivi che portarono ad un livello di

engagement su Facebook triplo rispetto alla fiction I Cesaroni, dalla quale era stato

mutuato il gioco. Altra iniziativa a tutto social, è la trasmissione Social King, in onda

nel 2011 su Rai Due, una sorta di talent show in cui il concorrente di ogni puntata,

tale W.I.P. (Web Important Person), rispondeva alle domande poste dal pubblico

attraverso Facebook. L’errore sostanziale della trasmissione era nella netta

separazione tra web e televisione, un’intuizione rivelatasi errata alla luce dell’ascesa

sul piccolo schermo di star provenienti dal mondo social: il successo televisivo non

deve necessariamente ledere la sfera dei social network, e viceversa19. Basti pensare

18 Il caso de I Cesaroni sarà affrontato nella sezione dedicata al comportamento social di Mediaset. 19 Tra le webstar diventate famose anche sul piccolo schermo è opportuno citare Frank Matano, youtuber di successo, diventato dapprima inviato de Le Iene e poi giudice di Italia’s Got Talent, passando per il cinema. Altro caso emblematico è Francesco Sole, conduttore di Tu si que vales accanto a Belen Rodriguez, e Diana Del Bufalo, ex concorrente di Amici, autrice di esilaranti video virali diffusi su Facebook e YouTube e conduttrice di Colorado Cafè Live con Paolo Ruffini.

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che Frank Matano, uno tra i primi youtuber italiani, si è aggiudicato nel 2015 il

premio come Rivelazione dell’anno agli Oscar della Tv Italiana, grazie alla sua

valenza di star su più canali, social e televisivi. Altra isola felice della Social Tv della

Rai, è Gazebo, la trasmissione di satira politica in onda su Rai Tre. Gli autori e

conduttori del programma dimostrano di saper utilizzare la preziosa cassetta degli

strumenti social, interagiscono con il pubblico, lanciano hashtag, propongono

rubriche e contenuti strutturati intorno al flusso di commenti social, come accadde

con The Stream, il fortunato format di Al Jazeera English basato totalmente sulla

tempesta social di Twitter. Anche nel caso di Gazebo, le interazioni e il

coinvolgimento degli utenti continuano e si sviluppano anche dopo lo show, nella

difficile fase post-air.

Lo spazio che tuttavia si distingue nel palinsesto social e non della Rai, è la

trasmissione del sabato pomeriggio TvTalk, in onda dopo le 15:00 su Rai Tre. Il

contenitore di Massimo Bernardini, autore televisivo molto attivo sui social network,

è un salotto interattivo che, pur rispettando le regole canoniche della conduzione

tradizionale, dedica ampio spazio all’analisi social, commentando le tendenze su

Twitter e Facebook, dando spazio ad ospiti che hanno fatto parlare di sé soprattutto

in rete e, dulcis in fundo, invitando il pubblico da casa alla costante interazione sui

profili social.

Quanto alle fiction targate Rai, i clamorosi successi in termini di audience

tradizionale stridono con la scarsità di tweet e post provenienti dalla sfera social,

come prevedibile da prodotti il cui target risponde a fasce anagrafiche generalmente

over 40.

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Il comportamento social della Rai si mantiene sulla linea della sobrietà, con toni

istituzionali e raramente sopra le righe, fatta eccezione per i programmi più goliardici

che pure non superano mai la linea del bon ton. La comunicazione della televisione

di stato, del Servizio Pubblico la cui missione primaria è quella di garantire

trasparenza ed imparzialità agli spettatori-utenti, si rileva anche nella sfera social che,

al di là dello stream di notizie che si muove a ritmo tempestivo, non risulta invadente

né fastidioso per i follower. Gli account istituzionali, inoltre, contano pochi retweet e

preferiti (di recente divenuti cuori per una sorta di restyling somigliante ad

Instagram) su Twitter, a differenza dei post più specifici relativi alle trasmissioni e

alle news. Talvolta si riscontrano ritardi nell’aggiornamento dei post. La sezione del

sito web dedicata specificamente alla Social Tv, inoltre, non risulta sempre chiara e

scorrevole, presenta una selezione di programmi e rispettivi hashtag che non

rispecchiano necessariamente la reale popolarità riscontrata sui canali social. Non

sempre sono esplicitate le possibilità interattive degli utenti.

Un linguaggio più rapido ed un’attitudine più spiccata ai social, in virtù della natura

commerciale dell’emittente, è la caratteristica principale di Mediaset, diretto

competitor di Mamma Rai, che già dal sito web presenta prerogative social assai più

efficienti. Nella sezione Social Tv del menu, infatti, un breve testo introduttivo ne

espone le peculiarità, affiancato dagli stream Twitter e Instagram aggiornati in tempo

reale. Il servizio di Social Tv è coadiuvato dall’account ufficiale Social Mediaset,

con il quale gli spettatori-utenti possono aggiornarsi sulle attività interattive

dell’emittente, in piena ottica 2.0: notizie, retweet, appuntamenti imperdibili

confluiscono sugli account che contano circa 56000 follower su Twitter e oltre 43000

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su Instagram, un apporto fondamentale alla Social Tv data l’ormai certa

preponderanza delle immagini sui post testuali: a partire dal dicembre 2014, infatti,

Instagram, supportato dal team di Facebook che nel frattempo l’ha inglobato, con i

suoi 400 milioni di iscritti ha superato Twitter fermo a 316 milioni, un distacco che

aumenta costantemente20.

Nonostante il leggero ritardo nell’attivazione degli account, che attestano l’iscrizione

al 2011-2012, Mediaset è riuscita a guadagnare terreno utile nella vittoria sul campo

social, come testimoniano le statistiche.

Al di là delle peculiarità social in senso stretto, dal sito web di Mediaset si accede

alla pagina Facebook di Mediaset On Demand che conta quasi 22000 fan. La forte

presenza sulla pay tv digitale, inoltre, ha garantito un exploit di fan alla rete

SportMediaset, che su Facebook vanta oltre 222 mila fan, ai quali fanno eco gli oltre

293 mila follower di Twitter, complici una serie sempre aggiornata di notizie e

contenuti esclusivi dal mondo del calcio e del motociclismo. Secondo BlogMeter,

infatti, l’evento sportivo più social del 2015 è stata la finale di Champion’s League

tra Juventus e Barcellona, disputata a Berlino e trasmessa da Canale 5, rete

ammiraglia Mediaset. Del resto, il 25% circa dei commenti socialtelevisivi riguarda

proprio manifestazioni sportive.

Abbiamo fatto accenno all’iniziativa social di RaiUno per incrementare l’audience

della fiction Un Medico in Famiglia, mutuata da I Cesaroni, un’altra fiction italiana

di successo trasmessa da Canale 5. Le avventure della famiglia romana, interpretate

da Claudio Amendola, Max Tortora e colleghi, rappresentano il primo caso vincente

di Social Tv italiana. Di fronte ad un calo d’ascolti verificatosi tra la terza e quarta

20 http://www.corriere.it/tecnologia/15_settembre_23/instagram-supera-twitter-400-milioni-utenti-contro-361-511b47fc-61ca-11e5-aa9f-d1a8c0d7928a.shtml, in data 06 dicembre 2015

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stagione, nel 2011, Mediaset e Publispei si sono rivolti ad un’agenzia pubblicitaria

che gestisse le attività social della fiction che, con strategie ben strutturate ed

altissimi livelli di engagement, è riuscita a collezionare oltre 350 mila like sulla

pagina Facebook, trasformando un prodotto tradizionale in una porta d’accesso alla

contemporaneità. È un dato ormai certo, infatti, che Amici, il talent show di Maria De

Filippi, sempre in forza su Canale 5, sia la trasmissione più social della nostra

televisione, con i suoi 3,8 milioni di tweet per la sola quindicesima edizione e quasi 2

milioni di fan su Facebook, segno di intuizioni favorevoli da parte del reparto social

di Mediaset. Stesso discorso per il reality show Grande Fratello che, per la sua

quattordicesima edizione, ha provocato una tempesta di oltre un milione di tweet.

Tra luci e ombre che si stagliano sul panorama social di Rai e Mediaset, tra le

differenze di gestione e linguaggio presentate dalle due emittenti leader della

fruizione televisiva nostrana, entrambe mostrano un vulnus che, ai tempi dei social,

rischia di causare ingenti cali di popolarità. Se cercassimo contenuti video storici su

YouTube, la piattaforma di videosharing più diffusa al mondo, non riusciremmo a

trovare stralci di trasmissioni ed eventi trasmessi da Rai e Mediaset. Entrambe,

infatti, hanno oscurato i propri video da YouTube per violazioni di copyright,

un’operazione che ha fatto molto discutere. Ad aprire le danze, Mediaset che, nel

corso di una sorta di raid anti YouTube verificatosi nel novembre 2010, ha rimosso

con breve preavviso tutti i contenuti tratti dalle sue trasmissioni. L’azienda italiana,

infatti, era da tempo in causa con Google, accusata di aver diffuso materiale video

senza autorizzazione legale e indirizzata verso un risarcimento di circa 500 milioni di

euro. Per recuperare video e reperti storici, dunque, è necessario far riferimento alla

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library di Mediaset, che non sempre può fornirci ciò che cerchiamo. Quattro anni più

tardi, nel 2014, la Rai ha operato più o meno nello stesso modo contro YouTube,

oscurando e ripulendo il suo canale ufficiale dagli oltre 40000 video fruibili sulla

piattaforma. La tv di stato, infatti, non considerava più conveniente l’accordo con

YouTube, vista la possibilità di ottimizzare i profitti derivati dalle visualizzazioni

convogliate al sito ufficiale: l’azienda otteneva circa 700 mila euro ogni anno per

l’upload di 7000 video21. Attualmente vi sono pochissimi estratti e pillole provenienti

dai programmi più popolari, brevi filmati con una durata che oscilla dai 2 ai 7 minuti

circa, utili a rimandare, per l’appunto, alla videoteca online del sito ufficiale.

Non tutti i videoreperti, tuttavia, possono dirsi scomparsi. Un’altra nota piattaforma

di sharing online, la francese Dailymotion22, conserva gli upload di numerose perle

televisive fruibili liberamente, oltre a serie tv e film completi, almeno fino a quando

le grandi emittenti e le case di produzione non procedano legalmente contro

l’azienda. La crociata contro lo strapotere di Google ha coinvolto anche i social

network stessi, a partire da Facebook che, nell’estate 2015 ha sì lasciato intatta

l’opzione di condivisione video esterni sui propri profili, ma ne ha bloccato il counter

di visualizzazioni, a favore dell’algoritmo video interno alla piattaforma che

preferisce video nativi.

Altra emittente, altro social behaviour, se così vogliamo definirlo. Modello

esemplare di tv crosspiattaforma, La 7, fino al 2013 in forza al gruppo Telecom

21 http://www.ilpost.it/2014/06/06/rai-video-youtube/, in data 07 dicembre 2015 22 Dailymotion è la piattaforma di videosharing più famosa al mondo dopo YouTube. Fu lanciata nel 2005 da una società anonima con sede a Parigi. Dailymotion è accessibile sulla TV grazie alla Neufbox di SFR, Livebox di Orange, Freebox e altre TV connesse dal 2009.

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Italia Media e successivamente a Cairo Communication, si è sin da subito distinta nel

panorama mediatico italiano per la sua accessibilità, per la modernità dei linguaggi e

per stili di conduzione fuori dagli schemi tradizionali, imparzialità nei contenuti e

innovazione nei format proposti. Nata nel 2001 da Tmc, la tv degli italiani a

Montecarlo, La 7 fu etichettata come tv giovane, per poi diventare tv

d’approfondimento nel corso degli anni. L’aspetto che colpisce di più, tuttavia, è

l’atteggiamento avveniristico manifestato sul web: La7.tv è stata la prima catch-up tv

italiana23 caratterizzata da visione full screen, ha introdotto la visione in simulcast dei

programmi in prima serata e la possibilità di commentare in diretta, ed ha proposto la

prima diretta streaming italiana su YouTube per il debutto di Enrico Mentana alla

conduzione del Tg nell’agosto 2010. La strategia di La 7 si è articolata in due fasi

principali: dapprima si è ritagliata un ruolo sulle piattaforme social, successivamente

ha provveduto alla creazione di comunità e gruppi d’ascolto intorno ai suoi

programmi. Gli obiettivi, invece, sono essenzialmente tre: ascolto, risposta ed

engagement. Il pubblico risponde positivamente anche grazie alla struttura

multitasking della fruizione, che va dalla tv al sito web, passando per le app

disponibili sui dispositivi mobile, portando a compimento la politica di second

screen tipica della tv crossmediale. Attualmente il profilo Facebook di La 7 conta

circa 180000 fan, mentre l’account Twitter attesta oltre 343000 follower. Buona la

performance di engagement anche su YouTube, con oltre 73600 iscritti e circa 71

milioni di visualizzazioni. Vola su numeri molto più alti, invece, il canale YouTube

La7 Intrattenimento, con oltre 216 mila iscritti e 104 milioni e mezzo di

visualizzazioni totali, forte di un mattatore come Maurizio Crozza, tra i nomi più

23La catch-up TV è un’opzione che consente all’utente di visualizzare e registrare contenuti tv anche dopo la diretta stessa, recuperandoli da un’apposita library.

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forti della satira nostrana. Altra perla della collana offerta da La 7 è il talk show Le

invasioni barbariche di Daria Bignardi, un contenitore a metà tra il radical chic e il

nazionalpopolare che ha dato il via a fenomeni social diffusi e longevi nel panorama

mediatico italiano: l’hashtag #enricostaisereno, inventato da Matteo Renzi, Sindaco

di Firenze divenuto poi Primo Ministro, fu lanciato il 17 gennaio 2014 proprio in

diretta dal salotto più famoso di La 7, ove Renzi figurava tra gli ospiti principali,

diventando trend e tormentone della rete, che subito ironizzò sia sul destinatario, il

premier allora in carica Enrico Letta, sia sulle possibili varianti e declinazioni.

Il quadro appena descritto si focalizza sulle tv free to air, ossia le emittenti non a

pagamento fruibili da qualsiasi schermo televisivo. Nell’ottica di una Social Tv

consapevole e foriera di fenomeni mediatici di grossa portata, merita uno sguardo

particolare anche Sky, il colosso delle tv satellitari a pagamento. Il marchio

televisivo che fa capo alla News Corporation del magnate Rupert Murdoch, approda

in Italia nel 2003 grazie alla fusione di Stream e TELE +, vanta 180 canali che

spaziano da contenuti generalisti a settori più specifici. La qualità dei contenuti

proposti e la vasta scelta offerta agli spettatori, dallo sport all’intrattenimento,

passando per il cinema ed il varietà, ha trasformato le reti Sky in osservatori social

assai efficaci, sia a livello di engagement, sia a livello di interazioni e commenti

effettivi da parte degli utenti e dei social media manager dell’azienda.

Pur trattandosi di un servizio televisivo disponibile soltanto previo abbonamento, e

previa scelta di pacchetti selezionati, Sky s’impone sui social come un’emittente dal

taglio decisamente popolare, per l’accessibilità delle informazioni e la fama

guadagnata nel corso degli anni, sia per quanto riguarda i profili generici, sia per i

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profili dei canali tematici. L’account di Sky Online conta oltre 225 mila fan su

Facebook e circa 29300 follower su Twitter, anche in questo caso si tratta di un

aggregatore di news e curiosità provenienti dal mondo Sky. I numeri lievitano

notevolmente quando ci si appresta ad analizzare gli account di canali tematici e

trasmissioni specifiche, una peculiarità davvero curiosa se consideriamo il fatto che

Sky non sia una televisione pubblica. Guida la classifica per numero di fan su

Facebook Sky Sport con circa due milioni di utenti, ai quali rispondono oltre 1

milione e 800 follower su Twitter, grazie ad un palinsesto sempre folto e ricco di

eventi. Riscuote ampi consensi anche Sky Tg 24, con i suoi 611 mila fan su

Facebook e oltre 2 milioni di follower su Twitter, traguardo storico per la rete.

Seguono Sky Cinema, il canale dal quale è possibile seguire in diretta la Notte degli

Oscar di Los Angeles, tanto amata dai social addicted a quota 500 mila fan e 64000

follower, e Sky Uno con circa 319 mila fan e 146 mila follower.

Sky presenta una strategia ben strutturata anche su Instagram, in particolare per tutti

quei canali che richiedono un apporto visivo superiore oltre che una stimolazione alla

fruizione più dettagliata: Sky Arte, il canale dedicato al mondo della cultura, Sky

Atlantic, dedicato alle serie tv, Sky Cinema su tutti, postano quasi quotidianamente

fotografie ed immagini direttamente dal loro palinsesto.

Una delle peculiarità della Social Tv generata da Sky è l’attività a doppio flusso che

talvolta si verifica con i programmi trasmessi sia in diretta satellitare, sia in differita e

in chiaro su Cielo. Il fenomeno in questione coinvolge gli utenti abbonati a Sky e gli

utenti che fruiscono delle repliche trasmesse pochi giorni dopo, come avvenuto per le

prime edizioni targate Sky di X Factor e per il talent show culinario Masterchef, teste

di serie della Social Tv italiana. Con l’aiuto della tv in chiaro, dunque, si testimonia

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l’importanza del buzz post air che consente di creare interesse mediatico anche dopo

la diretta stessa.

Il lavoro essenziale svolto da Sky, inoltre, sta nella capacità di coinvolgere anche i

più diffidenti verso l’abbonamento, grazie anche alla prontezza delle informazioni

richieste dagli utenti più attivi sui social network.

Un esempio concreto: il passaggio su Sky del talent show X Factor, trasmesso dalla

Rai fino al 2010, ha provocato non poco malcontento negli appassionati non ancora

abbonati a Sky che, come si conviene, hanno espresso questo disappunto a mezzo

social. Di fronte alle numerose lamentele, Sky ha pensato di interagire direttamente

con gli utenti proponendo loro una soluzione veloce ed economica, ossia un

abbonamento allo streaming online del pacchetto Intrattenimento consigliato grazie

ad una mention su Twitter: “Laura Olivazzi: Non ho Sky. Rosico in modo indicibile.

#XF8”-“ Sky Online @LauraOlivazzi naaa, guarda qui: http://www.skyonline.it

registraz. > login > Intratt. e scegli #XF8! #XF8Live”. Social media care al servizio

dei consumatori.

Tra tutte le emittenti analizzate, si nota una spiccata preferenza degli utenti nei

confronti delle news e dell’informazione. I canali deputati allo stream di notizie e ai

tg di rete, infatti, collezionano di norma un numero di seguaci, sia su Facebook che

su Twitter, superiore alla norma dei canali generici e di altri programmi. Abbiamo

già visto il caso di Sky News che ha rafforzato la sua posizione anche con il

passaggio al digitale terrestre, ma colpiscono anche i numeri di TgCom24, il servizio

news di Mediaset con oltre 1 milione e 300 fan su Facebook e circa 628 mila

follower su Twitter. Meno convincente su Facebook la performance di Rai News 24,

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ferma a 51661 fan, che si fa tuttavia notare su Twitter con oltre 754 mila follower. Il

Tg di La 7, complice anche la figura di Enrico Mentana, mantiene buoni livelli con

circa 71500 fan su Facebook e 376 mila follower su Twitter. Le performance social

dei canali d’informazione si spiegano con la sempre maggiore attitudine dell’utente a

cercare informazioni online, le fonti in questo caso, si vestono d’autorevolezza

perché certificate da brand televisivi di fiducia. Anche sul piano dei contenuti e dello

schieramento politico, inoltre, la televisione italiana mostra diversi livelli

d’appartenenza, non soltanto per i servizi d’informazione generalista propriamente

detti, ma anche per il conclamato genere del talk show. Come si nota dallo schema, è

Mediaset a vestirsi, a sorpresa, d’imparzialità, lasciando alla Rai e a La 7 i due

versanti opposti della forbice. Sky, che fa dell’imparzialità il suo baluardo, non

figura in nessuno spazio d’orientamento.

Analisi effettuata a fine 2014 da “Sentimeter”, blog de “Il Corriere della Sera”.

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Al termine di questa breve indagine sul comportamento social delle emittenti

televisive nazionali, è utile verificare quali siano effettivamente le reti più social del

Web. La classifica elaborata da Nielsen fa salire Canale 5 sul gradino più alto del

podio che, alla fine del 2015, ha totalizzato il maggior numero di visualizzazioni,

tweet e commenti grazie ai mostri sacri del social quali Amici, L’isola dei famosi e la

finale di Champion’s League. Al secondo posto troviamo la diretta concorrente, ossia

Rai Uno, che guadagna la medaglia d’argento grazie al Festival di Sanremo con i

suoi circa 2 milioni di tweet e alla fiction Braccialetti Rossi. Al terzo posto troviamo

Rai Due, con l’asso nella manica The Voice, forte ai social, meno all’auditel. A Rai

Tre e La 7 va riconosciuto l’alto tasso di engagement ottenuto con i talk show politici

e con l’approfondimento (vedi Report, Otto e Mezzo, Ballarò e Di martedì, per fare

qualche esempio), mentre Sky può vantare Masterchef e Italia’s got talent, in replica

sulla rete in chiaro Cielo.

Abbiamo fatto accenno alla lungimiranza social di Real Time e Mtv Italia, i cui

account interagiscono attivamente con gli utenti dediti alle conversazioni televisive.

Popolati da personaggi sui generis e trasmissioni indirizzate a target specializzati, le

emittenti si prestano perfettamente a critiche e commenti: per ottenere maggiore

engagement, talvolta, come insegna il mondo dell’informazione, è necessario

rivolgersi a nicchie di consumo che assicureranno una risposta certa al nostro

messaggio, un’ottica glocal, se così la si vuole definire. Le vicende raccontate dai

format di Real Time sono una sorta di Tv verità 2.0, un espediente che ricostruisce

nel virtuale le agorà di discussione tipiche dei talk show diffusi a cavallo tra gli anni

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Ottanta e Novanta. Il tutto condito da goliardia e situazioni pittoresche provenienti da

prodotti televisivi importati dall’America. È naturale per il pubblico dotato di alta

alfabetizzazione digitale, sviscerarne i contenuti nei minimi dettagli: le chiavi di

volta fondamentali per un programma social di successo, talvolta, sono il trash e il

kitsch portati a livelli esponenziali. I social media manager attivi sull’account

Twitter, a quota 283 mila follower, rispondono, menzionano e ritwittano i messaggi

inviati dagli utenti, ben strutturati anche i profili Facebook, con oltre 2 milioni di fan,

e Instagram, seguito da 25460 utenti. Per quanto riguarda Mtv Italia, invece, il focus

d’attenzione punta soprattutto su un pubblico di teenager e giovani adulti dai 25 ai 30

anni, offrendo programmi d’informazione musicale, docureality sulle vite

straordinarie di atleti e baby genitori, classifiche ed eventi mediatici di alta rilevanza,

come gli Mtv Europe Music Awards o i Video Music Awards, che forniscono alla

socialsfera milioni di commenti e tweet al minuto. Poco appetibili per l’auditel

tradizionale, dunque, ma premiate dal pubblico della rete che ne fruisce seguendo i

propri interessi e modalità, dominate dalla regola del touch screen. Aggiornamenti

sicuri e rapidi sui profili social: gli oltre 2 milioni di Fan su Facebook, i 673 mila

follower su Twitter e gli oltre 156 mila di Instagram ricevono notizie, immagini e

curiosità a ritmi serrati e costanti. Una tv pienamente inserita nell’ottica

Millennials24.

24 I dati raccolti e riportati in questo paragrafo sono relativi al mese di dicembre 2015.

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1.4 Social Tv e Advertising: il profitto della pubblicità televisiva

corre lungo la linea dei social network

Le attività social che quotidianamente esercitiamo tramite i nostri account ci

rendono, per l’appunto, profili dotati di gusti, preferenze, orientamenti e filosofie ben

precise, una mole di dati ed informazioni di cui le aziende si sono accorte di non

poter fare a meno. L’esplosione del fenomeno Social Tv ha allettato e allertato gli

inserzionisti pubblicitari, che, tra perplessità e ritardi, hanno iniziato a comprendere

che lo schermo televisivo da solo non poteva bastare: è sui second e third screen che

si gioca la partita vincente della pubblicità che, con dall’avvento delle tv

commerciali, è la principale fonte di sostentamento delle nostre emittenti televisive.

Non esiste migliore occasione di una profilazione precisa dei target per strutturare

campagne pubblicitarie quasi infallibili. La Social Tv ha operato anche in questo

senso, modificando il palinsesto editoriale, ma anche quello pubblicitario e

commerciale. Strutturare campagne pubblicitarie in base ai dati raccolti dalle attività

di Social Tv può essere definita come un’operazione di programmatic advertising,

ossia l’insieme di quei sistemi, algoritmi e regole che consentono di automatizzare

gli spazi pubblicitari modellandoli su audience e pubblico specifici, individuati

tramite un’attenta targettizzazione. Si tratta di un settore ancora tutto da scoprire ed

esplorare per gli addetti ai lavori, che ne hanno tuttavia compreso le enormi

potenzialità in termini di audience e di profitto. Per quanto i dati raccolti provengano

essenzialmente dalla profilazione online degli utenti, è opportuno avere sempre come

riferimento le tecniche di advertising tradizionale, integrandole con i moderni KPI

(Key Performance Indicator), ossia quegli indicatori che monitorano il successo, o

l’insuccesso delle performance sul web.

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Iniziamo con la prima mossa concreta in tal senso. È Nielsen a procedere verso

l’ottimizzazione dei profitti derivati dal business pubblicitario sui social. Nel luglio

2013, infatti, Twitter annunciò negli Stati Uniti il lancio del servizio Tv ad

Targeting, in collaborazione con Nielsen, per l’appunto. Il sistema intercetta gli spot

televisivi in onda, ne informa le aziende e consente loro di proseguire la promozione

tramite dashboard e promoted tweet, ossia post a pagamento sempre visibili nella

propria home, a seconda dei gusti ed orientamenti dell’utente. Le funzioni disponibili

per gli inserzionisti vanno dalla possibilità di controllare il sentiment generale a

quella di correggere le campagne in tempo reale. Le analisi effettuate da Nielsen

negli Stati Uniti confermano l’efficacia del sistema: gli spettatori-utenti raggiunti dai

promoted tweet derivati dallo spot televisivo dimostrano un’associazione al

messaggio incrementata del 95%, con un’intenzione d’acquisto che supera il 58%25.

Questo processo è la diretta conseguenza della crescente personalizzazione dei

consumi, un fenomeno che vede i suoi albori con la nascita del Web 2.0, nel 2004, e

la successiva consacrazione con l’arrivo dei device mobile di ultima generazione,

iPhone e tablet su tutti. Di qui, la logica del second screen tanto cara alla televisione

e alla Social Tv, ma soprattutto, come emerge dalle statistiche, abitudine assai

radicata nelle audience italiane, che utilizzano altri dispositivi mentre guardano la tv.

Siamo un popolo tvcentrico, dunque, ma avvezzo ai nuovi media come supporto o

evasione dalla fruizione televisiva. Circa 25 milioni di italiani sono soliti guardare la

televisione con un altro device a portata di mano, dotato ovviamente di connessione,

il cui utilizzo si spalma su diversi piani: fruire di contenuti correlati a ciò che

vediamo sullo schermo, il cosiddetto meshing che riguarda il 40% degli utenti,

25 http://www.thevortex.it/2013/07/tv-ad-targeting-twitter-si-sincronizza-con-gli-spot-in-tv/, in data 08 dicembre 2015

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oppure, per il 60% degli utenti, svolgere attività esterne, effettuare cioè stacking. È

nel meshing che bisogna scovare i fattori più interessanti per le aziende e gli

adverstiser, che devono distinguere all’interno della categoria altri due sottogruppi,

l’uno intento a discutere ed interagire, l’altro ad approfondire, attività che potremmo

denominare rispettivamente Social Tv, fenomeno già noto, ed Experience

Enrichment. Quest’ultimo rappresenta il suolo più fertile per i brand e le aziende

che vogliano sponsorizzarsi grazie alle conversazioni televisive, visto che la Social

Tv in senso stretto agisce verticalmente e si presenta in forme sempre mutevoli. Uno

spot che possa diventare social e continuare la propria performance ottimale anche su

altri device deve rispettare semplici regole: indicare il sito web, invogliare la ricerca

sulle piattaforme social, grafica responsive26, allineamento tra i vari asset di

comunicazione sia sul versante analogico che sul digitale, assicurarsi di utilizzare le

giuste keywords per scalare il ranking Google. Lo spot perfetto, dunque, deve

integrarsi nelle logiche relazionali dei social network, coinvolgendo anche la sfera

emotiva dell’utente che deve essere invogliato talvolta a condividere la filosofia del

brand in questione sul proprio profilo, trasportando la pubblicità al di fuori dello

schermo televisivo.

Sebbene le audience della tv italiana tendano ad invecchiare, l’attitudine ai social

avvicina alla fruizione tradizionale anche un pubblico più giovane, regalando così

nuovi flussi vitali al medium più antico. Nonostante ciò, i brand continuano ad

investire ingenti somme di denaro nella pubblicità televisiva, per una quota che

arriva anche a 3,6 miliardi l’anno. L’affollamento pubblicitario sugli schermi è

notevole, e risulta molto difficile per i brand riuscire ad essere ricordati, o comunque

26 Il Design Responsivo, o Responsive Web Design, indica una particolare tecnica di web design che si adatta ai dispositivi dai quali il contenuto è visualizzato, modellandosi in base alla risoluzione di schermi e pixel.

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risultare efficaci, merito che viene riconosciuto soltanto al 30% di essi. Una delle

metriche per comprendere la validità del messaggio lanciato dall’adv televisivo, è il

commento che gli attribuiscono gli utenti sui social network. L’attività di Social Tv,

infatti, non coinvolge soltanto i programmi televisivi propriamente detti, ma anche

gli altri contenuti e contributi video fruibili dallo schermo, tra questi figurano senza

dubbio anche gli spot. Secondo le analisi condotte da Nielsen, lo spot efficace

dev’essere fluido, semplice e assolutamente crossmediale, riconoscibile per creatività

e storytelling, declinabile su diversi dispositivi e, dunque, adatto ad un’audience

social. Nel mese di ottobre 2015, l’azienda leader delle survey internazionali ha

elaborato un’infografica interessante sulla Social Tv strettamente legata ai brand

pubblicitari, specificandone i settori d’appartenenza e il numero di autori unici:

Dagli Stati Uniti, come si conviene per ogni ricerca del settore, arriva lo studio

condotto da Forbes Insight, secondo il quale la maggior parte dei marketers fa della

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rete il parametro fondamentale per valutare il posizionamento televisivo dei propri

messaggi pubblicitari. I responsabili del settore Marketing di diverse aziende,

affermano che il Targeting è il sistema più utilizzato, attestato dal 52% degli

intervistati. La Reach, ossia il raggiungimento del target su siti specializzati è

utilizzata dal 12% degli intervistati, il cui obiettivo è quello di raggiungere il maggior

numero possibile di potenziali clienti. L’analisi dei dati provenienti dalla

messaggistica a tema televisivo è un campo ancor più controverso, costellato da

ostacoli e punti ancora oscuri, fattori che non aiutano la pianificazione di budget e

spese complessive per le campagne pubblicitarie27.

Sulla scia del Tv Ad Targeting, sempre nel 2013 Twitter lanciò in edizione limitata

Amplify, un programma di advertising con cui le aziende e i brand potevano estrarre

informazioni e tendenze utili dal buzz generato dai commenti, diffondendo così il

proprio credo agli utenti, non necessariamente ai soli follower. Le conversazioni

social raggiungono picchi rilevanti quando nel corso di un evento televisivo si

verificano colpi di scena o momenti attesi, pensiamo ai goal durante una partita di

calcio o una rissa scoppiata tra gli ospiti di un talk show. Amplify consente alle

trasmissioni di twittare questi momenti salienti, amplificandone le interazioni. A

questo punto entrano in gioco i brand che possono così sponsorizzare i frame video,

comparendo sotto forma di brevi spot in pre-roll destinati ad un target specifico.

Disponibile in un primo momento soltanto negli Stati Uniti, all’inizio del 2015

Amplify è stato accolto con successo anche in Italia, grazie ad una partnership tra

Twitter e Sky che lascia ai brand spazi dai tre ai dieci secondi nei pre-roll

pubblicitari. I contenuti esclusivi targati Sky, inoltre, incrementano il grado

27http://www.emarketer.com/Article/Audience-Targeting-Top-Method-Used-Place-TV-Ads/1013315, in data 08 dicembre 2015

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d’interattività del pubblico, chiamato a prender parte attiva nella fruizione. Ancora

una volta, nonostante il periodo di crisi dovuto alla preponderanza delle immagini,

Twitter si conferma il social network preferenziale per la Social Tv, per rapidità,

tempestività, ma soprattutto, come si conviene nell’era delle visualizzazioni a tutti i

costi, viralità28.

Dal versante Facebook, che può contare su un bacino d’utenza pari a 1 miliardo e

mezzo circa di iscritti, si cerca di trovare soluzioni ottimali per gestire la mole di dati

che ogni mese affolla le sue reti e la strada da percorrere dovrà interessare anche gli

inserzionisti. Per adesso si procede verso metriche di misurazione del tipo panel,

mutuando l’esempio di Nielsen, oppure effettuando sondaggi e annunci ben visibili

anche su mobile. Gli obiettivi sono chiari, ma è ancora in fase di lavorazione la

metodologia per riuscire a raggiungerli. Basandosi sul sistema TRP, ossia Target

Rating Point, Facebook sta utilizzando i tool tipici di Nielsen per far sì che le

aziende comprendano il target di riferimento a cui rivolgere i propri annunci,

sfruttando anche le conversazioni televisive. Per quanto il processo possa sembrare

una sorta di involuzione, si presenta utile per strutturare campagne di successo per il

futuro: l’azienda dovrà infatti mettersi in contatto con i manager di Facebook e

indicare il target prescelto, le caratteristiche della campagna video e dettagli del

brand. Sta poi al social network il compito di integrare e collegare tutti i punti.

Contando su una fetta di audience tipica delle piattaforme social, i già citati

Millennials su tutti, Facebook garantisce agli inserzionisti di raggiungere audience

che la tv non sempre può assicurare, creando così un ponte tra antico e

contemporaneo, tra tv e mobile, tra social e analogico. Ma c’è dell’altro: attivando la

28http://www.marketingarena.it/2015/03/17/twitter-sempre-piu-social-tv-al-via-anche-in-italia-twitter-amplify/, in data 08 dicembre 2015

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funzione d’acquisto, si facilita il processo di fidelizzazione dell’utente, agevolato da

un’ulteriore dimensione di comfort. Per avallare la validità di questo metodo di

confronto tra Facebook e Tv, Nielsen ha monitorato quarantadue campagne

pubblicitarie lanciate negli Stati Uniti, affermando che le impression di Facebook

erano talvolta raddoppiate rispetto a quelle generate dalla sola fruizione televisiva.

Lo step successivo sarà quello di effettuare gli stessi esperimenti in paesi come

Canada, Regno Unito, Francia, Italia, Germania, Australia e Brasile, nei quali sarà

inserita anche l’opzione d’acquisto. Nel primo semestre del 2016 si prevede

l’attivazione anche su Instagram29.

Per riuscire nella missione di engagement anche sui social, dunque, gli inserzionisti

devono necessariamente far leva sulla creatività e sulla capacità di incuriosire oltre

che divertire l’interlocutore, coordinando le attività in rete con quanto già fatto sugli

schermi televisivi, ottimizzando i profitti. Nel momento in cui si riesce a veicolare

l’attenzione dell’utente verso due media, televisione e social network in questo caso,

la missione può dirsi compiuta. L’idea di advertising, inoltre, continua ad essere

talvolta un elemento d’intralcio nella fruizione di contenuti, ed è qui che entra in

gioco lo strumento social per eccellenza, ossia l’hashtag: introducendo una keyword

d’effetto che si allontani almeno apparentemente dai contenuti stessi della pubblicità,

è più probabile che l’utente si senta coinvolto e non aggredito nell’esperienza di

fruizione. La prospettiva delle emittenti nazionali, dunque, è quella di incoraggiare

ed incrementare le attività di second screen, anche senza far riferimento ad

applicazioni come Shazam che offrono contenuti secondari relativi a brand

pubblicitari: l’utente non deve sentirsi costretto a scaricare un’applicazione, che

29http://adage.com/article/digital/facebook-adopts-traditional-tactics-woo-tv-advertisers/300534/ in data 08 dicembre 2015

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potrebbe rappresentare un ostacolo nella scelta di condividere o meno la propria

fruizione. Il punto che resta tuttavia chiaro è che la televisione, nonostante la

continua e rapida diffusione di piattaforme e trend online, continuerà ad essere il

medium principale del pubblico italiano. Torna utile ricordare, dunque, che il social

non annulla la televisione e vice versa, entrambi s’implementano e si nutrono a

vicenda, hashtag e telecomando diventano due strumenti inseparabili e

complementari. Lo hanno capito anche gli advertiser.

1.5 Nielsen e BlogMeter: l’Auditel diventa social

L’azienda che ha saputo cogliere al volo l’allettante richiamo del social auditel è

Nielsen, il colosso a stelle e strisce leader mondiale dei sondaggi e delle statistiche.

Già nel 2011, Nielsen diede vita ad NM Incite, nata dal connubio con McKinsey, un

progetto che si proponeva di analizzare la corrispondenza tra incremento social e

fasce di spettatori suddivise per età e genere. Il passo decisivo verso la creazione di

un tessuto di rilevazione delle audience social fu compiuto però nel dicembre 2012

con lo storico accordo tra Nielsen e Twitter, una sinergia utile a focalizzare

l’attenzione sulle opportunità che la Social Tv potesse offrire agli inserzionisti. Il

primo risultato di questo matrimonio d’interessi fu diffuso nel settembre 2013 con il

primo confronto tra auditel tradizionale e rilevazioni social effettuate su Twitter. Ne

emerse che i generi preferiti da entrambe le fasce di spettatori erano il reality show, il

talent show e le manifestazioni sportive, con picchi relativi alle serie tv sul versante

Twitter e alto gradimento per il varietà dal fronte tradizionale.

Nel giro di due anni, l’accordo tra Nielsen e Twitter si è consolidato e rafforzato,

offrendo spunti di riflessione da diversi punti di vista, dando vita alla felice realtà di

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Nielsen Twitter Tv Ratings, una sorta di osservatorio interattivo con cui è possibile

monitorare autori e numero di tweet relativi alle trasmissioni televisive e i dati di

reach, ossia il numero di utenti che visualizzano ed interagiscono con il tweet stesso.

Attiva dai primi mesi del 2015 nel nostro paese, Nielsen Twitter Tv Ratings attesta

che i generi più commentati e twittati dagli italiani, oggi come due anni fa, sono il

reality e lo sport, seguiti dall’onnipresente varietà e dai talk show politici, prodotti

tipicamente italiani che stanno vivendo una seconda giovinezza grazie ai social

media, che testimoniano la volontà degli utenti di essere “un po’ meno spettatori, un

po’ più autori”30.

I trend popolari sui social network rispecchiano i palinsesti televisivi, confermando

la predominanza di un’audience molto tradizionale, incline al prodotto tipico, anche

soltanto per commentarlo negativamente o per rispondere ai commenti visualizzati

quando non si fruisce direttamente del programma in questione. Del resto, la

televisione nostrana è il classico esempio di come tradizione ed innovazione possano

30 http://www.linkiesta.it/it/article/2014/01/24/giu-nel-vortice-della-crossmedialita/19118/, in data 03 dicembre 2015

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nutrirsi e beneficiare l’una dell’altra, senza stravolgere gli equilibri stabiliti negli

anni dallo spettatore.

Nielsen Twitter Tv Ratings mette a disposizione degli utenti un account Twitter,

@NielsenItaly, per l’appunto, dal quale esperti e curiosi possono attingere

quotidianamente dati ed infografiche utili alla causa della Social Tv, mostrando un

valido esempio di laboratorio attivo a misura di nativi digitali. La televisione si apre

così nelle sue sfumature anche al popolo dei social, aprendo nuovi spiragli

d’interesse ed approfondimento, basta seguire gli aggiornamenti alla voce #nttr,

acronimo di Nielsen Twitter Tv Ratings sotto forma di hashtag. E ciò che

evidenziano i rilievi social di Nielsen, è la sempre crescente attitudine manifestata

dagli italiani nel commentare i programmi televisivi. I dati rilevati nel mese di

settembre 2015 registrano 2,6 milioni di tweet relativi alle trasmissioni televisive,

240 mila unique authors (utenti-autori singoli) hanno twittato almeno su quanto

fruissero dagli schermi tv, generando oltre 128 milioni di impression, ossia il numero

delle singole visualizzazioni di un post e un’audience di oltre 225 mila utenti al

giorno31. L’efficacia di Nielsen sta nella tempestività degli aggiornamenti, peculiarità

che non esclude la precisione delle metriche prese in analisi e la divulgazione dei dati

raccolti, uno strumento che consente di condividere e partecipare in altre forme a

quell’intelligenza collettiva che Pierre Levy ha brillantemente teorizzato con

l’avvento dei new media.

Alle intuizioni pioneristiche di Nielsen si affiancano le attività made in Italy di

BlogMeter, l’azienda italiana fondata nel 2007 specializzata nelle attività di social

media monitoring, analytics e management attraverso l’analisi delle conversazioni 31 http://www.nielseninsights.eu/articles/nielsen-twitter-tv-ratings-for-italy, in data 03 dicembre 2015

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online. Tra i servizi offerti, il più utile alla causa televisiva è sicuramente il Social Tv

Meter, tool che unisce già nella sua definizione le diverse accezioni cronologiche

della misurazione dell’auditel. BlogMeter agisce soprattutto per le aziende, raccoglie

i dati articolando le attività di Social Tv in diverse fasi: dapprima segue il buzz delle

trasmissioni in tempo reale, rilevandone i picchi di audience e le keywords principali,

confrontando poi ciascuna puntata presa in considerazione con le precedenti.

L’analisi si dipana poi nell’arco delle settimane, ricercando generi e performance

utili a pianificare i palinsesti pubblicitari anche in rete. Le metriche tenute in

considerazione per elaborare le statistiche valutative della Social Tv di BlogMeter

sono i nuovi fan e follower, il numero di unique authors e il total engagement.

Inoltre, con il SocialTv Meter si osservano la popolarità ed il grado d’influenza di

personaggi televisivi, webstar e trasmissioni stesse, consultando le apposite

classifiche settimanali lanciate sui canali social. A differenza di Nielsen Twitter Tv

Ratings, BlogMeter osserva il comportamento degli utenti anche su Facebook, che

presenta un’audience assai più variegata della piattaforma di microblogging. I

risultati delle ricerche, tuttavia, hanno mostrato trend molto simili alle analisi già

effettuate da Nielsen, portando ancora una volta in vetta alle classifiche social reality

e talent show come Amici di Maria De Filippi e X Factor.

Il comportamento social degli utenti più attivi su Facebook tende a preferire il

programma televisivo singolo piuttosto che l’emittente, favorita, talvolta, dai

follower su Twitter. L’infografica aggiornata ad ottobre 2015 elaborata da BlogMeter

chiarisce questo punto, evidenziando l’alta percentuale di nuovi fans su Facebook per

un programma come il Grande Fratello a cui risponde su Twitter la vittoria di Sky

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TG24, forte dello sdoppiamento su digitale terrestre32, seguita da altre emittenti come

Mtv Italia, e account di singole trasmissioni. In entrambi i casi presenziano il talent

show di Sky X Factor e il contenitore d’infotainment Le Iene, cavallo di battaglia di

Italia Uno, la rete Mediaset più giovane.

Facebook, tuttavia, non resta a guardare. A partire dal 2013, infatti, Zuckerberg e

colleghi hanno stipulato un accordo con le principali emittenti statunitensi per la

vendita di conversazioni pubbliche e private il cui tema verta intorno alle

trasmissioni televisive. In questo caso il confine tra analisi e violazione della privacy

è davvero molto labile e controverso.

I casi di Nielsen Twitter Tv Ratings e di BlogMeter, dunque, sanciscono

l’affermazione del Qualitel, una sorta di Auditel moderno basato sulla sentiment

analysis rilevata dalle interazioni sul web, a differenza dell’Auditel tradizionale che

si limita ad un criterio meramente quantitativo. La Social Tv apre le porte alle

32 Dal 27 gennaio 2015 Sky Tg24 è disponibile anche su Digitale Terrestre, fruibile anche dai non abbonati Sky.

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emozioni, alle reazioni, ai profili e ai gusti del consumatore, in una logica user

oriented sia dei palinsesti che delle inserzioni pubblicitarie.

1.6 Broadcasting ed interazione: da Periscope agli scenari futuri

Abbiamo già fatto riferimento alla logica dei prosumer, ossia produttori e

consumatori di contenuti di vario genere. Nell’ottica della Social Tv, il terreno più

fertile sul quale innestare dinamiche di produzione partecipata è rappresentato da

Periscope, l’applicazione che riesce a fondere l’identità di broadcaster e l’interazione

quasi pervasiva degli utenti. Diffusa all’inizio del 2015, lanciata da Twitter come

ulteriore supporto alle attività di live streaming, Periscope ha subito mostrato le

caratteristiche essenziali per cambiare le modalità di comunicazione e

d’informazione attraverso i social network. Per utilizzare l’applicazione è necessario

collegarla al proprio account Twitter, seguire gli utenti che ci interessano e ampliare

la propria rete di contatti. Di qui, una volta fornite informazioni di tipo geografico

utili a localizzare interessi ed utenti, si apre l’opportunità di creare trasmissioni in

diretta alle quali potranno assistere non soltanto i nostri followers, ma anche utenti

provenienti potenzialmente da ogni parte del mondo. Le sperimentazioni sono state

notevoli, anche se gli esperti affermano che non è esattamente chiara la reale utilità

di Periscope. L’aspetto innovativo sta nella reale fusione tra twittercronaca e

broadcasting, dato che nel corso della diretta gli utenti possono commentare le

immagini ricevute mediante l’apposita barra di testo posizionata in basso. Lo

spettatore si veste così a pieno titolo del ruolo di influencer, la lettura in diretta dei

commenti inviati è causa necessaria e sufficiente per cambiamenti di rotta della

trasmissione, modellata intorno alle richieste e provocazioni dei followers, senza

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filtri e rigorosamente live. I rischi delle dirette libere, per così dire, rientrano tutti nei

problemi di censura e di buongusto, nell’utilizzo di linguaggi ed atteggiamenti poco

consoni che potrebbero ledere la sensibilità altrui. Un problema con il quale anche la

televisione tradizionale si trova a dover combattere ormai da decenni.

Periscope ha catturato l’attenzione di molte agenzie pubblicitarie che ne apprezzano

la forte componente interattiva, utile a creare un senso d’urgenza negli utenti indotti

ad acquistare un particolare prodotto. Marchi noti in tutto il mondo, hanno utilizzato

la video app per lanciare nuovi articoli mediante brevi dirette girate dietro le quinte e

nei loro uffici. La possibilità di assistere ad uno spettacolo che rompa i cardini

dell’intrattenimento tradizionale è la vera valuta di scambio social con la quale

accattivare consumatori ed utenti, quell’imprevisto consapevole che funziona anche

nei palinsesti propriamente detti. Rob Fitzgerald, Presidente di We Are Social U.S.,

afferma che Periscope è la chiave di volta per tutti i clienti di agenzie pubblicitarie

che cerchino contenuti innovativi, Tuttavia, secondo l’opinione comune degli esperti

del settore, sembra che Twitter non stia dando a Periscope la dovuta importanza,

mostrandola soltanto come una semplice parte delle performance video introdotte dal

social network33, non come un prodotto separato. Prima di Periscope, tuttavia,

un’altra app di live streaming ha fatto parlare di sé per la sua portata fortemente

social-innovativa: Meerkat, creata dall’israeliano Ben Rubin e disponibile all’inizio

del 2015 nell’App Store. Anche in questo caso, l’applicazione si collega direttamente

all’account Twitter, trasformando i propri followers in potenziali spettatori. Poco

dopo il lancio, Redbull ed IBM tra i brand, Barack Obama e Jimmy Fallon tra i vip,

33 Twitter ha introdotto l’opzione video nel gennaio 2015, un servizio nativo per rendersi più competitivi sul mercato dei social network.

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se ne sono serviti per comunicare, pubblicizzare, diffondere informazioni e contest,

regalando a Meerkat un’ondata di successo e di download molto remunerativa.

Le video app, d’altro canto, potrebbero dare nuovo slancio alla piattaforma di

microblogging, considerata l’introduzione da parte di Facebook delle mentions34

in

diretta, video live di risposta ai commenti postati principalmente su pagine fan di

dominio pubblico35. Ma il social di Mark Zuckerberg non si è limitato soltanto a

questo. L’arrivo di Periscope ed il successivo oscuramento dei frame di Meerkat dal

social graph di Twitter, ha dato inizio ad una sfida a distanza alla quale si aggiunge,

per l’appunto, la concorrenza di Facebook. Il social network per eccellenza, infatti,

ha lanciato la funzione di live video per mobile, offrendo così al singolo utente e non

soltanto alle pagine fan, di andare in diretta con contenuti originali. La sfida diventa

ancor più competitiva se pensiamo al numero di iscritti al social di Zuckerberg:

potenzialmente oltre un miliardo di persone potrebbero diventare papabili

broadcaster. I live video made in Facebook si apriranno anche ai commenti live, un

deja vu al quale gli utenti più immersi nella socialsfera non si sottraggono. Le dirette

live di Facebook non sfidano soltanto Periscope e Meerkat, ma anche Skype, dato

che gli utenti possono selezionare il numero e le identità dei contatti ai quali far

pervenire le loro immagini, collage fotografici o video da condividere con una platea

a scelta.

34 Nell’agosto 2015 Facebook ha lanciato la funzione “Mentions” per le pagine e i profili certificati, un’opzione che consente di trasmettere video in diretta per comunicare in tempo reale con i propri fan. 35http://www.valuewalk.com/2015/12/periscope-popular-twitter-not-know/, in data 04 dicembre 2015

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Capitolo Secondo

Il ruolo della Social Tv negli studi sulla televisione

Il quadro descritto dalle attività social legate alla fruizione televisiva suggerisce una

revisione, o meglio, un aggiornamento consapevole di indagini sociologiche e studi

accademici sulla televisione. Il piccolo schermo è, sin dai suoi albori, il principale

vettore culturale del nostro paese, protagonista assoluto dell’alfabetizzazione nel

secondo dopoguerra e artefice di mode, usi e costumi dell’Italia così come la

conosciamo oggi. Descrivere sistematicamente le fasi dello sviluppo culturale

italiano, in termini di industria culturale, per l’appunto, è un’operazione complessa,

talvolta contraddittoria, se consideriamo l’atteggiamento molto spesso restìo

dell’élite colta nei confronti dei media, colpevoli di aver omologato la produzione

intellettuale.

È stata dunque conseguenza naturale, se non doverosa, da parte di intellettuali e

pensatori dello scorso secolo, l’attitudine ad analizzare e studiare l’impatto della

televisione sul modo di pensare e d’agire degli spettatori, consegnando così alla

storia del medium pagine di eccezionale valore letterario, sociale e filosofico.

Già la televisione tradizionale, intesa come piccolo schermo, telecomando, antenna

ed etere, diede il suo ampio contributo alle critiche provenienti dalla sinistra più

radicale; del resto, l’introduzione di una nuova tecnologia richiede da sempre tempi

di domestication36 adeguati. Eppure, nel mare magnum di teorie e critiche, la

36 La nozione di “domestication” si riferisce al processo mediante il quale le tecnologie dell’informazione e della comunicazione entrano a far parte della vita quotidiana delle persone, solitamente all’interno di un’unità domestica, ma anche in altre strutture sociali, come le Organizzazioni. Il termine evoca l’idea di “addomesticamento del selvaggio”, suggerendo che l’artefatto tecnologico non venga semplicemente adottato, con esclusivo riguardo per le specifiche

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televisione costituisce la chiave di lettura universale, la linea guida

nell’interpretazione e comprensione dei principali fenomeni culturali, sociali e

mediatici del nostro paese. Se per la televisione il processo si è spalmato su un lasso

di tempo relativamente breve, ma rispondente ad uno spontaneo processo

transgenerazionale, l’avvento tempestivo e irruente di internet prima e del Web 2.0

poi, ha dissolto e riorganizzato gli equilibri stabilitisi tra i diversi media e le

interazioni reciproche, lasciando lungo il percorso una serie di domande alle quali si

prova a dare risposta passo dopo passo, evoluzione dopo evoluzione. Il discorso

s’intensifica con i social network, intesi sia come reti sociali e relazionali

propriamente dette, sia come ulteriore strumento utilizzato dai network televisivi per

incrementare ascolti, introiti economici, per fidelizzare il pubblico attraverso

linguaggi ed espressioni nuovi. Nel mezzo, troviamo la fase di transizione che, per

quanto breve da un punto di vista cronologico, ha vissuto trasformazioni e riassetti

tanto rapidi quanto rivoluzionari, nel senso letterale della parola: hanno modificato

dall’interno determinate strutture di fruizione, pur lasciando in parte invariati i gusti e

le attività dello spettatore medio che, dotato di estensione “smart”, approccia al

palinsesto insignito di un nuovo potere, quello di modificare e influenzare la propria

dieta mediale con la sua opinione, elargita attraverso i social network. Il terreno

disegnato dalle interazioni social è l’ampliamento massimo dei focus group tipici

della sociologia tradizionale, dell’agorà e dello spirito aggregativo con il quale

venivano a formarsi comunità di fruizione o semplici gruppi d’ascolto. È cambiata

la modalità di conversare sui programmi televisivi, ma i contenuti, come una

funzionalità con cui viene offerto sul mercato, ma sia piuttosto fatto oggetto di un processo di assimilazione, teso a ricondurlo entro le cornici delle azioni e dei significati che punteggiano la vita quotidiana (Fonte: “Tecnologie comunicative e vita quotidiana: il modello euristico della domestication”, articolo di Gabriele Qualizza consultato in data 07/01/2016).

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costante narrativa contemporanea e nostrana, tendono alla coerenza, seppur

adeguandosi ai tempi e alle tecnologie.

Talvolta, però, l’estraneità al mezzo induce a formulare considerazioni e valutazioni

superficiali in merito alla reale utilità e potenzialità delle sue funzioni. La scarsa

alfabetizzazione digitale di gran parte della classe dirigente e del corpo docenti in

servizio negli istituti scolastici ed universitari, ha prodotto effetti che non hanno

sempre reso giustizia alla reale natura del Web e dei device deputati al caso. Si tende

spesso a demonizzare il “mostro” informatico, puntandovi contro il dito come

principale responsabile di devianze comportamentali diffuse tra i più giovani. Altre

volte, invece, sono proprio le generazioni poco avvezze ai new media a subirne le

conseguenze negative, proprio perché scarsamente educati alla fruizione

consapevole. Proprio come accadeva con la televisione, e come ancora accade. Nel

nuovo millennio, però, il piccolo schermo trova ottima compagnia con i second (o

first) screen tipici della contemporaneità, le estensioni dell’essere umano che, per

quanto sedi della nostra memoria digitale ed artefici di un progresso che va a toccare

tutti gli ambiti della produzione economica e mediatica, sembrano dover ancora fare i

conti con reticenze e diffidenza da parte degli studi accademici propriamente detti.

Non mancano le eccezioni che testimoniano la volontà di aprire spiragli

d’innovazione anche tra le pagine di volumi che, per forza di cose, vanno

riattualizzati o semplicemente consegnati alla storia di Sociologia e Mediologia.

Senza le teorie del passato, le tesi e gli esperimenti condotti non troppi decenni fa,

tuttavia, è impossibile procedere nella scrittura di nuovi capitoli.

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2.1 Excursus sulla conversazione: da Goffman e Sacks alle

conversazioni televisive

In principio era il logos. L’incipit del Vangelo secondo Giovanni, pilastro del

cristianesimo primitivo, è l’emblema di quanto sia stata, e continua ad essere

importante la parola. Letteralmente logos in greco significa parola, verbo, intesa,

nella sua accezione religiosa, come luce e dunque conoscenza. Certo, non esiste nulla

di più broadcasting della parola cristiana, ma il paragone può essere utile a

comprendere gran parte della filosofia e sociologia dedicate al verbo e di

conseguenza alla comunicazione, che vede tra i suoi principali veicoli di trasmissione

la parola, per così dire, parlata. Scendendo ancor di più nei particolari, il parlato va

considerato come una delle prime forme di interazione, o quanto meno la più diffusa,

e alla voce interazione, si può inserire a buon diritto anche l’attività della

conversazione. Il preambolo descritto dal logos cristiano può apparire azzardato, ma

nell’ambito degli studi sulla comunicazione e sulla socializzazione da essa derivata,

non si può fare a meno di ricordare il cristianesimo o comunque il fattore religioso in

generale quale vettore potente e infallibile per la diffusione di messaggi, idee e

cultura, ne sono infelice testimonianza anche gli estremismi del nuovo millennio, che

fanno largo uso, tra l’altro, dei social network e dei new media.

È necessario, tuttavia, focalizzare l’attenzione sull’atto particolare descritto

dall’interazione. L'importanza della parola e della conversazione, al di là degli studi

sul linguaggio, interessò studiosi e sociologi sin dagli anni Cinquanta e Sessanta del

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'900. È in quel periodo storico che si sviluppa infatti l'etnometodologia37 , un

progetto di studi che approccia alla società e alle relazioni tra individui con metodo

scientifico ed esperienziale, contrapponendosi alla sociologia tradizionale. Uno dei

principali esponenti del metodo fu Harold Garfinkel che fece del rapporto tra

sociologia e società stessa lo snodo cruciale dei suoi studi. Essendo una sorta di

impegno laico, fondato cioè sull'interesse verso l'ordine sociale spontaneo e non

imposto da ideologie dominanti, l'etnometodologia si spinge ad approfondire altri

percorsi d'indagine relativi alla vita quotidiana, che fa dell'interazione il suo ago della

bilancia preferenziale. Nell’ambito della sociologia dell’interazione, la personalità di

spicco per eccellenza è Erving Goffman, sociologo canadese che ha fornito

contributi essenziali alle scienze della comunicazione. Goffman teorizzò per primo il

cosiddetto gioco delle facce, che risponde ai quesiti relativi ai requisiti e alle

condizioni necessarie per costruire vita sociale. Il concetto di faccia introdotto da

Goffman supera l’aspetto meramente espressivo, diventando una concessione che la

società, e dunque gli altri individui, consegnano al soggetto, al quale sottrarla in caso

di errore o comportamento deviante. Nel gioco delle facce è essenziale

l’accountability, ossia il senso di morale e responsabilità verso gli altri, lo strumento

attraverso il quale l’individuo comprende la reciproca dipendenza dai suoi simili.

Secondo Goffman la società e la vita quotidiana non sono altro che una

drammaturgia, un susseguirsi di facce e ruoli assunti in base alle situazioni nelle

quali si è immersi, quelle che più diffusamente possiamo definire come convenzioni

37 Coniato dal sociologo statunitense H. Garfinkel, il termine designa una teoria dell'azione sociale ispirata alla fenomenologia e, in particolare, all'opera di A. Schütz. Costruito sulla base di termini simili, come etnoscienza, etnobotanica, ecc., il termine si riferisce all'insieme dei ''metodi'' impiegati dagli attori per creare e sostenere, nei confronti del mondo sociale, la quotidianità e la naturalità del vissuto sociale; l'e. studia in particolare i fenomeni cosiddetti ''microsociali'' non oggettivabili in sistemi di regole. (Fonte: Enciclopedia Treccani).

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sociali. La comprensione della società umana avviene indagando tra le pieghe della

consuetudine, tra azioni e ruoli prestabiliti, comportamenti e costruzioni di senso

derivati dall’azione, un terreno che offre numerose opportunità. Uno dei contesti che

emerge da questa esigenza è proprio lo studio del parlare, della conversazione e,

dunque, della vita quotidiana. La scoperta del parlare come oggetto di studio è uno

dei traguardi più significativi della filosofia e della sociologia, tanto che si è parlato

di “svolta linguistica” delle scienze sociali, un corso di studi che ha prodotto risultati

interessanti non senza difficoltà. Nella sua ultima opera, “Forme del Parlare” del

1981, Goffman afferma, per l’appunto, l’esistenza di più forme del parlare, ciascuna

legata ad una situazione particolare. Una delle questioni più spinose riguarda

l’identità del parlante: in contesti come la cabina radiofonica o le aule in cui si

svolgono lezioni didattiche possono sorgere dubbi sulla rispondenza tra autore di ciò

che si dice ed agente del parlato stesso. Nel corso di una conferenza o di una lezione

possono avvenire cambiamenti di flusso o prestiti da altri autori, secondo quello che

Goffman definisce footing, vale a dire un riposizionamento dell’interlocutore che può

modificare la forma dell’enunciato e la percezione degli ascoltatori. Anche il

rapporto con questi ultimi diventa per Goffman oggetto d’analisi, in virtù della

riconoscibilità dei soggetti che popolano la schiera dei riceventi. Nel momento in cui

si esce dagli schemi del modello di comunicazione biunivoco, trasformando i propri

interlocutori in un insieme indistinto e non riconoscibile di persone, si passa dalla

nozione di ascoltatori a quella di pubblico, una versione più complessa

dell’ascoltatore tradizionale. Le attenzioni di Goffman si concentrarono

essenzialmente sui monologhi, evidenziando una lacuna effettiva nella reale analisi

del parlato e della conversazione. A supplire questa mancanza intervenne Hervey

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Sacks, l’allievo di Goffman che sviluppò brillantemente la Conversation Analysis,

letteralmente l’analisi della conversazione, vera conquista della sociologia

dell’interazione. Il lavoro di Sacks, che in una fase iniziale contò sul supporto e

confronto con Garfinkel, prevedeva la registrazione di conversazioni quotidiane di

diverso tipo, successivamente trascritte per elaborare un valido canovaccio d’analisi.

Sacks preferì puntare i suoi studi sull’esperienza e sulle reali espressioni emerse dalle

registrazioni, che restituiscono così l’immagine di un vero ordine sociale, momento

dopo momento, azione dopo azione. Il linguaggio parlato fu bistrattato per lungo

tempo data la forte imprevedibilità, accompagnata da incertezza, che caratterizza le

conversazioni, non esiste infatti un linguaggio ordinario ideale. L’avvento di una

nuova tecnologia quale il nastro registrabile, consentì di sviluppare una branca di

studi dedicata totalmente all’analisi precipua del parlato quotidiano, articolando le

indagini in due stadi: la prima fase è proprio il momento della registrazione, la

successiva, invece, prevede la trascrizione di quanto raccolto, valutando parole,

pause e anche silenzi che pure assumono un significato particolare. Alla

Conversation Analysis va dunque il merito di aver dato valore a ciascuna

componente dell’interagire umano, anche quelle che apparentemente non avevano

alcun significato. Questo approccio alla conversazione è ben integrato

nell’etnometodologia poiché dà senso all’agire e al parlato in base a quanto accade in

fieri, a differenza della sociologia propriamente detta che impone un certo modo di

pensare e teorizzare sulle vicende prese in analisi. La cospicua mole di dati che si

presenta agli studiosi della Conversation Analysis, inoltre, rende il tutto molto

complesso nel ricercare una strada unitaria allo sviluppo di un’analisi coerente, vista

la frammentarietà del discorso parlato: anche la minima esitazione, una pausa

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imprevista, un cambiamento improvviso del tono di voce può modificare il senso di

un’intera conversazione. Nonostante i risultati empirici raggiunti, la Conversation

Analysis fu ben lontana dall’imporre le proprie idee e metodologie sugli oggetti di

ricerca individuati, ma riuscì, tuttavia, a dare dignità ad un settore di studi fino ad

allora considerato vacuo e per la sua mutevolezza, privo di senso perché troppo

immerso nella vita quotidiana e nella consuetudine.

Pur essendo più concentrato sul fenomeno della persuasione e sugli studi legati alla

comunicazione di massa, bisogna ricordare Robert Merton per il suo forte

contributo alle indagini sugli eventi mediatici e, in un certo senso, anche sulla

conversazione, anche se in forme e metodi diversi rispetto a ciò che poi si vedrà con

Goffman e Sacks. Il sociologo americano ma europeo di formazione, seguendo il

fortunato esempio di Paul Lazarsfeld e del suo Project Radio relativo alla “Guerra dei

mondi” inscenata da Orson Wells38 e su suggerimento di Lazarsfeld stesso, concentrò

le sue attenzioni su un altro evento mediatico di spicco, ossia la lunga maratona

radiofonica condotta da Kate Smith per raccogliere fondi con la vendita dei titoli di

stato durante la Seconda Guerra Mondiale. Era il 1941 e Kate Smith era una delle

cantanti radiofoniche più popolari negli Stati Uniti, la sua fama avrebbe facilmente

persuaso il pubblico ad elargire denaro e a mettere in mostra il proprio patriottismo,

visto anche il sostegno dell’allora Presidente Franklin Delano Roosvelt che la definì

come “una delle più grandi cantanti” e “rappresentazione delle virtù americane”. Le

trasmissioni condotte dalla Smith sull’emittente CBS pubblicizzavano sigarette,

caffè, cereali e teglie da forno, prodotti adatti ad una sana e virtuosa vita domestica,

38 “La guerra dei mondi (War of the Worlds)” fu un celebre sceneggiato radiofonico trasmesso il 30 ottobre 1938 negli Stati Uniti dalla CBS e interpretato da Orson Welles, tratto dall'omonimo romanzo di fantascienza di Herbert George Wells. È rimasto famoso per avere scatenato il panico descrivendo una invasione aliena. Paul Lazarsfeld la considerò un’ottima opportunità per analizzare e studiare gli effetti dei media di massa sulla popolazione.

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piuttosto che alla guerra. Kate Smith s’intrometteva nel flusso radiofonico per circa

quindici minuti ogni ora per diciotto ore, convincendo e persuadendo gli ascoltatori a

rendersi utili alla causa del paese. La maratona radiofonica fruttò oltre 40 milioni di

dollari, a testimonianza del forte potere persuasivo della radio e dunque dei media di

massa. Entrato di diritto nel team di ricerca di Lazarsfeld, Robert Merton apportò

nuova linfa ai metodi di ricerca, introducendo un metodo pioneristico e assai efficace

strutturato intorno ad interviste mirate: nasce il focus group. Questo metodo fu alla

base dell’analisi empirica relativa alla trasmissione di Kate Smith, che coinvolse

emotivamente ed economicamente milioni di telespettatori. Merton articolò le

interviste partendo dapprima dall’analisi dei contenuti della trasmissione,

interrogando successivamente e in maniera approfondita un gruppo di circa cento

persone che avessero seguito la trasmissione, formulando interviste campione con

una cross-section di circa mille persone. Le due fasi servirono a mostrare da un lato il

carattere oggettivo delle trasmissioni, dall’altro, attraverso il punto di vista degli

intervistati, si rilevava la reale capacità di persuasione del medium: dalle interviste

emerse che gli ascoltatori non si sentivano soltanto testimoni, ma addirittura

partecipanti attivi. Come affermò la stessa protagonista, “più andavi avanti, più eri

coinvolto”, l’evento assunse i connotati di un esperimento di persuasione, più che di

propaganda, dato che si richiedeva una rispondenza biunivoca e non unidirezionale

tra mezzo e ascoltatore.

“Il solito monologo radiofonico divenne qualcosa di simile a una conversazione. La

sostanza di una conversazione è ciò che ciascuno dice, riprende quello che l’altro ha

appena detto o detto diversamente, che quello che uno anticipa sarà ripreso da colui

che parlerà dopo: la maratona permise alla Smith di rappresentare l’apparenza, e in

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parte la realtà, di una conversazione”, nelle parole di Peter Simonson si raccoglie il

senso dell’esperimento e della comunicazione dei media di massa, che fanno della

conversazione, seppur inscenata, uno dei pilastri portanti, ieri, come oggi.

Abbiamo fatto riferimento al focus group che, in forme ristrette e limitate alle

scienze sociali, pure rappresenta in nuce ciò che l’agorà allargata e sfumata dei social

network ha disegnato con la Social Tv, chiarirne la natura specifica può

accompagnare la comprensione della contemporaneità, decisamente più complessa.

Robert Merton utilizzò la tecnica delle interviste mirate anche per valutare il morale

dei soldati durante la Seconda Guerra Mondiale, spianando la strada alle ricerche di

mercato che si servono abbondantemente di questo metodo e alle indagini relative a

cause di volontariato e gusto orientato del pubblico. Alla base del focus group che è

sempre guidato da una terza persona, vi è l’interazione che viene a crearsi all’interno

del gruppo selezionato per l’intervista, la conversazione tra i partecipanti, infatti,

genera interessanti flussi d’informazione e consapevolezza dei propri ruoli sociali. Il

numero dei partecipanti varia a seconda degli argomenti scelti, spesso si preferisce

scegliere partecipanti omogenei per estrazione culturale e sociale in modo da favorire

l’interazione. Una volta fornite le linee guida della discussione ai partecipanti, il

focus group si svolge secondo il metodo stimolo-risposta, assicurandosi che non si

creino ambiguità ed imbarazzi nel rispondere alle domande elaborate dal team di

esperti. Talvolta può essere utile servirsi anche di immagini e filmati per far sì che i

membri del focus group interiorizzino gli argomenti trattati. È importante che i

partecipanti siano ubicati in un territorio neutro e privo di riferimenti negativi al loro

vissuto particolare. La conversazione generata nel corso dell’esperimento va

registrata e sottoposta ad analisi successiva. La sbobinatura a posteriori consente di

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creare categorie interpretative e valutative con le quali elaborare i risultati e gli

obiettivi posti all’inizio della ricerca, e in questo caso gioca un ruolo fondamentale

l’osservatore del focus group, l’esperto incaricato a supportare silenziosamente il

conduttore della conversazione. In alcuni casi è difficile comprendere la provenienza

degli intervistati, ci si può trovare dinanzi ad un pubblico ignoto e sfumato, ed è qui

che diventa importante l’analisi dei dati raccolti, la fase che consente di creare le

categorie interpretative di cui sopra anche in ambiti e contesti più difficili da

individuare, caratterizzati da dettagli e particolari non percepibili in altre situazioni.

L’apparato teorico relativo ai media di massa, dunque, si serve abbondantemente

della conversazione che, al di là dell’accezione propriamente legata all’interazione,

rappresenta il primo veicolo di socializzazione conosciuto dall’uomo. Nonostante la

natura broadcast della radio, l’ascoltatore era indotto ad una partecipazione quasi

conversazionale con la voce udita dall’apparecchio, il più delle volte fruito insieme

ad altre persone o gruppi d’ascolto. Il medesimo discorso è del tutto consono anche

alla televisione, medium più giovane della radio che sin dai suoi albori, soprattutto

nel nostro paese, rappresentò il fulcro di diverse attività fondanti della cultura

nostrana, dalla scolarizzazione allo spirito aggregativo tipico della socializzazione.

La televisione può essere definita a buon diritto come il primo vero social network

dell’età contemporanea. Filiberto Guala, tra i primi a ricoprire il ruolo di

Amministratore Delgato della Rai, definì la televisione come “Il focolare del nostro

tempo”, una delle metafore più felici attribuite alla funzione specifica della tv delle

origini. Ed è da questo efficace paragone che il passato del medium televisivo

diventa di colpo un presente a noi noto, un presente che sa di modernità ma che si

radica nelle tradizioni culturali della nostra “preistoria tecnologica”. Una delle dirette

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conseguenze provocate dalla diffusione dei primi schermi televisivi fu la creazione

spontanea e centralizzata di reti sociali a carattere locale, costituite da uno o più

nuclei familiari che si riunivano intorno al piccolo schermo. Non era insolito

intavolare discussioni e conversazioni su quanto apparisse sugli schermi, se non altro

perché “lo aveva detto la televisione”. I programmi educativi promossi dal progetto

ministeriale Telescuola, inoltre, spinsero alla creazione di vere e proprie classi in cui

si partecipava insieme alle lezioni del maestro Alberto Manzi, un fenomeno che,

sotto il profilo sociologico, si declina come forma d’aggregazione. A partire dagli

anni Sessanta, con il miglioramento delle condizioni economiche, sono sempre di più

gli italiani a dotarsi di televisore, trasformando progressivamente la fruizione in

attività privata e individuale. Il potere della Tv dal punto di vista prettamente

aggregativo, tuttavia, non conosce crisi. Il merito è tutto dello sport, il veicolo

principale dell’integrazione e interazione tra gruppi sociali diversi, schermo sul quale

proiettare il proprio immaginario collettivo, che si manifesta durante gli eventi di

portata nazionale ed internazionale. Le trasmissioni sportive sono le più longeve del

palinsesto, sin dalle origini. I Mondiali di Calcio, le Olimpiadi Invernali del 1956 e le

Olimpiadi svoltesi a Roma nel 1960, costituiscono esempi di successo validi ancora

oggi. Per avere un’idea sulla persistenza dell’accezione della tv come rete sociale,

basti pensare ai maxischermi installati nelle piazze italiane in occasione dei

Campionati Mondiali ed Europei di Calcio, o semplicemente alla formazione di

gruppi d’ascolto per le trasmissioni culto (sulla falsa riga dei “focus group”

d’indagine sociologica sopracitati), come il Festival di Sanremo, in onda per la prima

volta sul Primo Canale nel 1955. Il desiderio di riunirsi e fruire insieme della

televisione non si è mai spento, si è soltanto evoluto. E si sono evolute anche le

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tecnologie e le modalità attraverso le quali si sviluppano socializzazione e

conversazioni televisive. L’ondata rivoluzionaria e fortemente innovativa del Web

2.0 non poteva lasciare immune la televisione che, pur sentendosi minacciata in un

primo momento dall’esplosione informatica, ha tratto nuove energie dalle numerose

declinazioni della rete. La massima espressione del Web 2.0, interattivo e dinamico,

è rappresentata dai social network, le reti sociali attraverso cui si snodano oggi le

strade maestre della comunicazione e dell’interazione. Come già descritto in

precedenza, era inevitabile che due realtà così pregnanti del panorama mediatico si

incontrassero, producendo un ulteriore fenomeno in costante evoluzione ed

espansione. L'incontro tra fruizione individuale e voglia di socializzazione, due

implicazioni diverse e opposte del modo di guardare la tv, l'una recente, l'altra

primogenita della tv delle origini, produce la Social tv. A una diversa visione del

mondo corrispondono diversi modi di fruire dei contenuti audiovisivi, cambia la

morfologia del salotto nel quale sono tutti davanti alla tv ma allo stesso tempo tutti

connessi39. L’aumento dei device di telefonia mobile con i quali svolgere le proprie

attività social ha avviato accesi dibattiti sulla perdita del contatto umano e sullo

svilirsi delle relazioni sociali, a favore di forme relazionali sviluppate da uno a molti

mediante le conversazioni social. La televisione e in particolare il commento in

diretta delle trasmissioni, è una delle attività preferite degli utenti social,

confermando la potenza culturale e mediatica del piccolo schermo, il medium più

longevo e familiare del nostro tempo. Le statistiche testimoniano che la

conversazione sui social media è molto frequente tra gli italiani, che trascorrono il

59% del tempo speso online proprio sui loro profili social. La televisione non lede

39 cit. Pieranna Calvi, Responsabile Marketing editoriale e pubblicitario Web&Interattività Sipra SPA (G. Colletti, A. Materia, "Social Tv", Gruppo 24 ore, 2012, pag. 45)

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questa abitudine, ne diventa componente attiva e portante, facendo dei social network

un elemento complementare e, si può dire, oggi indispensabile40. Così come lo studio

sulle conversazioni della vita quotidiana teorizzato da pionieri come Goffman e

Sacks ha dato slancio vitale alla sociologia, anche le conversazioni televisive

sviluppatesi sui social media hanno ridisegnato gli assetti produttivi dei palinsesti, i

quadri professionali deputati al caso, determinando nuovi modelli di fruizione e

nuove consapevolezze da parte del pubblico, considerato parte attiva del processo

piuttosto che elemento passivo da plasmare. Le conversazioni televisive, inoltre,

hanno ridefinito il concetto di audience ed Auditel, denunciando in un certo senso la

scarsa attendibilità dei metodi di rilevazione tradizionali, a favore di una più

completa visione d’insieme di utenti, spettatori e audience diverse che realmente

fruiscono dei programmi. Una valida spalla anche per le aziende che possono

comprendere al meglio il target di riferimento per le proprie campagne

pubblicitarie41. L’intuizione dei sociologi citati è di fondamentale importanza per

comprendere la portata delle interazioni social nell’ambito televisivo, che possono

oggi integrarsi in un discorso radicato nelle dissertazioni accademiche più raffinate

ed efficaci della Sociologia. In epoche diverse, con tecnologie diverse, tuttavia, si

rilevano differenze sostanziali da evidenziare.

Ciò che viene a crollare nelle conversazioni televisive è l'accountability teorizzata da

Garfinkel nello studio sull'interazione sociale, ossia quella base di moralità e

responsabilità che caratterizza le relazioni interpersonali. La libertà che il web

consegna nelle mani degli utenti scioglie talvolta le briglie del buonsenso, un

fenomeno che pure assicura un certo grado di popolarità a chi assume tale

40 http://wearesocial.it/blog/2014/07/la-tv-parte-della-conversazione/, in data 07/01/16 41 cfr. capitolo 1, paragrafo 1.4

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comportamento. Gli influencer più popolari, gli opinion leader della socialsfera in

generale, e in questo caso anche i più social tv addicted, sembrano venir meno a quel

senso di accountability di cui sopra, facendo della critica aspra e senza scrupoli

l'arma vincente della propria popolarità, ma anche, paradossalmente, del programma

stesso: un commento negativo induce all'effetto valanga, stimolando la curiosità di

altri utenti che si precipitano a fruire del prodotto televisivo in questione42.

Il buzz post-air gioca un ruolo fondamentale in questa fase, supportato dai palinsesti

contemporanei modellati dagli spettatori-utenti, on demand e aperti alla fruizione

perenne, almeno nella maggior parte dei casi.

È interessante notare come evolva il concetto di faccia, ossia la risposta data da

Goffman alla buona riuscita di una vita sociale fatta di interazioni. La faccia è un

fattore che la società concede all'individuo, con la facoltà di toglierla in qualsiasi

momento, basti pensare alla tanto diffusa forma colloquiale "perdere la faccia" per

comprenderne il senso. Modellata in base alle situazioni e alle caratteristiche fisiche

dei luoghi in cui ci si trova, la faccia assume nella sfera sfumata e vastissima dei

social network diverse connotazioni di stile, carisma e orientamento, decifrabili sotto

forma di hashtag, menzioni, atteggiamento nei confronti degli eventi oggetto di

discussione e interazione con il mondo. Mentre le facce descritte da Goffman nel suo

"gioco delle facce" si stagliano dinanzi ad individui e contesti ben definiti e

fisicamente prossimi al soggetto, la faccia social si rivolge ad un pubblico

potenzialmente infinito, con i rischi e i benefici annessi al caso. Nell'ambito delle

conversazioni televisive sviluppate sui social network, questa caratteristica assai

controversa e poco definita, rappresenta invece la chiave di volta nella comprensione

di gusti e preferenze degli spettatori, liberi di esprimere nella modalità da uno a molti 42 cfr capitolo 1, paragrafo 1.5

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e da molti a molti le proprie opinioni in merito all'offerta mediatica dei network

televisivi.

Andrea Materia, esperto di new media e autore insieme ad Giampaolo Colletti di

"Social Tv-Guida alla nuova Tv nell’era di Facebook e Twitter", uno dei primi testi

italiani sull'argomento edito da Gruppo Sole24Ore, asserisce che le conversazioni

televisive siano la killer application43

dei social media prima, dei palinsesti e

dell’industria televisiva poi. Il contenuto killer sta nella creatività dell’utente che

integra la fruizione alla conversazione, generando audience che implementano piani

di business ben articolati. In questo modo la Social Tv è sempre più canalizzata da

accordi ai vertici delle aziende che la trasformano progressivamente da fenomeno

spontaneo e pressoché incontrollato a strumento di marketing a tutti gli effetti.

Le interazioni generate sui social network costituiscono una mole di dati indefinita,

quasi come accadde ad Harvey Sacks con le sue registrazioni: in entrambi i casi si ha

a che fare con difficoltà logistiche legate all’abbondanza del materiale da sottoporre

ad analisi, il buzz prodotto nella fase post air ne è una versione allargata in

proporzioni ben più ingenti. I dati raccolti dalle conversazioni televisive rientrano

nella macrocategoria dei Big Data44, il cui dominio è l’ambizione di aziende e

network televisive, considerando l’altissimo valore che potenzialmente posseggono.

Ciascun macrogruppo d’ascolto attivato dalla conversazione televisiva, inoltre, si può

definire come una sorta di focus group amplificato in cui lo schema stimolo-risposta

43 La locuzione inglese killer application (abbreviata anche come killer app), spesso utilizzata nel gergo dell'informatica, dell'elettronica, dei videogiochi e in altri settori, significa letteralmente applicazione assassina, ma viene intesa nel senso metaforico di applicazione decisiva, vincente. Applicazione assassina si riferisce a un prodotto di successo costruito su una determinata tecnologia (quindi una applicazione di quella tecnologia), grazie al quale la tecnologia stessa penetra nel mercato, imponendosi rispetto alle tecnologie concorrenti e aprendo la strada alla commercializzazione di altre applicazioni secondarie. 44 Big data è il termine usato per descrivere una raccolta di dati così estesa in termini di volume, velocità e varietà da richiedere tecnologie e metodi analitici specifici per l'estrazione di valore.

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si articola rispettivamente con la trasmissione che fa da stimolo, mentre la risposta

risiede nell’interazione social. Così come avviene per i focus group di stampo

sociologico, l’ambiente nel quale e dal quale si interagisce è necessariamente

familiare, connotandosi spesso presso l’abitazione dell’utente stesso e nello spazio

ritagliato dai propri device, mobili o fissi.

2.2 Media Literacy, esiste un posto per la Social Tv?

“Media Literacy may be defined as the ability toaccess, analyse and evaluate the

power of images, sounds and messages which we are now being confronted with a

daily bases and are an important part of our contemporary culture, as well as to

communicate competently in media available on a personal basis. Media literacy

relates to all media, including television and film, radio and recorded music, print

media, the Internet and other new digital communication technologies”45.

“La media literacy è un repertorio di competenze che consentono allo

spettatore/utente di analizzare valutare e creare messaggi all’interno dell’ormai

vasto universo mediatico. Un cittadino media literate è quindi un individuo che sa

come cercare una determinata informazione, sa comprenderne il messaggio e la sua

provenienza.”[European Association for Viewers Interests, 2010].

45 Traduzione: “La media literacy può essere definita come la capacità di accedere, analizzare e valutare il valore di immagini, suoni e messaggi con i quali ci confrontiamo quotidianamente e che costituiscono una parte importante della nostra cultura contemporanea, nonché la facoltà di comunicare con competenza con i media di cui disponiamo. La media literacy si riferisce a tutti i mezzi di comunicazione, tra le quali vi sono, la televisione e il cinema, la radio e la musica, la stampa, internet e le altre tecnologie di comunicazione digitale”.

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Le citazioni sopra riportate rappresentano due esempi esplicativi ed efficaci nella

comprensione del significato reale di Media Literacy, che potremmo letteralmente

tradurre con la definizione di Alfabetizzazione digitale. Quest’ultima è tuttavia

un’interpretazione molto riduttiva, data la vasta mole di accezioni e sfumature di cui

si compone il vasto panorama mediatico di cui oggi disponiamo. La prima

definizione è stata redatta dalla Comunità Europea nel 2009, a supporto di una

sempre più radicata necessità di diffondere una cultura consapevole dei media e delle

attività ad essi correlate, a partire da una reale alfabetizzazione digitale che ancora

rappresenta un problema per alcune realtà sociali. I media devono essere strumento

di facile accesso per comprendere al meglio la società nella quale i cittadini vivono,

ma soprattutto rappresentano una chiave portante della vita democratica. Il veicolo

che meglio esprime i valori culturali di cui siamo testimoni è sicuramente il settore

audiovisivo, di cui fa parte anche la televisione. Da questo punto di vista l’Unione

Europea si è attivata negli ultimi anni affinché sia proprio il panorama mediale a dare

forte contributo alla creazione di un’identità di cittadinanza. Nel 2007, su incarico

della Commissione Europea, l’Universidad Autonoma de Barcelona realizzò uno

studio intitolato “Current trends and approaches to Media Literacy in Europe”,

avente l’obiettivo di delineare una mappa delle agenzie ed enti del territorio europeo

che si impegnassero ad incoraggiare ed implementare la Media Literacy nei piani di

formazione. Intercettando le azioni e gli approcci possibili alla Media Literacy, il

team di esperti ne individuò quattro livelli, ciascuno di essi è in grado di scaturire

conseguenze evidenti sul piano sociale, economico e, talvolta, politico sulle vicende

dell’Unione Europea. I quattro livelli individuati sono la Classic Literacy, basata su

testi scritti, l’Audiovisual Literacy, la Digital Literacy e, per l’appunto, la Media

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Literacy, interpretata come effetto principale della convergenza mediale tra i media

di massa propriamente detti, quali cinema, televisione e radio, e i media digitali, ai

quali afferiscono anche i social network. All’interno dei livelli descritti si

individuano altri tre piani di competenza, ossia: il piano semiotico, per il

riconoscimento di codici e linguaggi; il piano tecnico, legato alla capacità di

utilizzare le tecnologie; ed il piano culturale, che consiste nell’abilità di intervenire

ed interpretare i media del proprio ambiente sociale. Quest’ultima abilità si rivela

essenziale nell’era del social networking e del videosharing, non solo per

l’opportunità creativa messa a disposizione da piattaforme a basso costo, ma anche

per la necessità di selezionare e discernere i vari livelli interpretativi del flusso

d’informazioni percepito attraverso i social media. Come risulta evidente negli ultimi

anni e come evidenziato dai sociologi contemporanei, la convergenza mediale

impone in un certo senso l’ibridazione di media e di livelli interpretativi, un’ulteriore

skill richiesta al cittadino-utente contemporaneo.

La Media Literacy fa dunque riferimento alla capacità d’accesso ai media, per

valutarne in modo critico i contenuti e le diverse declinazioni, incoraggiando gli

utenti-spettatori alla creazione di nuovi prodotti e narrazioni. La Media Literacy è,

inoltre, un vettore fondamentale per la costruzione della cosiddetta cittadinanza

attiva, il perno della società dell’informazione. L’accesso ai media, o comunque le

competenze necessarie per portarlo a termine, sono pressoché scontate per i nativi

digitali e i Millennials, è necessario, tuttavia, che anche le generazioni più adulte

possano accedervi senza problemi di linguaggio. Accedere alla Media Literacy è

sinonimo e garanzia di libertà, considerando la maggiore disponibilità a compiere

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scelte sensate e consapevoli. Nuovi linguaggi, nuove logiche di produzione, modelli

di rappresentazione e narrazioni non possono essere indecifrabili per i cittadini.

Alcune correnti di pensiero insistono nella volontà di introdurre tra i banchi di scuola

ore dedicate all’alfabetizzazione digitale, così come già avviene nel Nord Europa. Il

concetto di literacy sottoscrive in primo luogo la capacità di leggere e scrivere, che,

applicate ai media, si traducono con la capacità e la competenza nel fruire e disporre

delle nuove tecnologie senza gap di sorta. È questione di sopravvivenza all’interno

della società, i media sono di fatto le chiavi d’accesso all’integrazione e

all’inclusione sociale, ecco perché l’Unione Europea insiste molto su questo punto.

In sostanza, possiamo distinguere la Media Literacy in capacità di maneggiare i

media, abilità nell’utilizzo e competenza, e Media Literacy come alfabetizzazione in

senso stretto. I diversi ambiti di ricerca disciplinari nei quali si sono sviluppate le

analisi46 hanno portato a questa differenziazione, che vede le media skills, ossia le

abilità mediali come la capacità di saper apprendere e comunicare in ambienti

virtuali, mentre per media competence, ossia competenza mediale, e alfabetizzazione

s’intendono capacità utili per orientarsi da un punto di vista media-culturale nella

società contemporanea. I due concetti vanno inevitabilmente presi in considerazione

nello stesso momento, proprio perché è evidente che determinino un flusso continuo

e inscindibile, sostenendosi a vicenda.

46 Secondo Kupiainen e Sintonen (2010, p. 63), la media literacy può essere considerata come una pratica “focale” che richiede cose, fisiche o mentali, attorno cui gli individui si raccolgono e attraverso la discussione e lo scambio di significati creano contesti sociali. Oltre alla pratica “focale”, la media literacy richiede anche tecnologia, conoscenza e abilità. Per quanto riguarda il concetto di competenza, Erstad (2005, pp. 120-152) con riferimento alla competenza digitale opera una distinzione tra «possedere requisiti» ed «essere competente». La competenza digitale consiste in primo luogo non nell’avere ma nell’essere; indica l’essere pronti ad agire e include la capacità di formulare giudizi; essa è pertanto necessaria per vivere nella società dell’apprendimento. Il suo significato è vicino al sopra citato concetto di literacy ed essere alfabetizzato, «bildning» (svedese). (fonte: http://formare.erickson.it/wordpress/it/2010/la-media-literacy-nella-prospettiva-finlandese-nordica-ed-europea-1/, in data 07/01/2016).

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Le dimensioni della media literacy: comprendere, agire e valutare (Arnolds-

Granlund, 2010, p. 52).

Nella definizione di Media Literacy fornita dalla Comunità Europea figura tra i

media interessati anche la televisione che, come già ricordato ed evidenziato più

volte, rappresenta il vettore culturale più importante del nostro paese, a partire dal

secondo dopoguerra. Inizialmente il problema dell’accesso allo schermo televisivo, e

di qui la media competence relativa, era quasi prettamente economico, dato che i

primi televisori avevano un costo troppo elevato per le masse popolari. L’aumento

dei dispositivi creò le premesse per una Media Literacy televisiva, o meglio, una Tv

Literacy ben più articolata e radicata, aprendo soprattutto a cavallo tra gli anni

Ottanta e Novanta accesi dibattiti sugli aspetti educativi e persuasivi dei programmi

trasmessi, in virtù del successo riscosso dalle nascenti televisioni commerciali47.

Nell’era di internet e del Web 2.0, la questione relativa alla Media Literacy diventa

più importante nel momento in cui la società da mediatizzata diventa del tutto

informatizzata.

47 Cfr. paragrafo 2.3

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Lo schema rappresenta un’efficace descrizione del concetto di Digital Literacy nella

quale s’integrano anche l’accesso e la fruibilità del Web.

Al di là dell’annoso problema rappresentato dal digital divide, ossia la discrepanza

tra chi ha la possibilità di fruire dei servizi della tecnologia dell’informazione e chi

ne resta escluso, il vero vulnus della società italiana è l’assenza di infrastrutture

capillari che assicurino la banda larga, ossia la connessione 3G e 4G in tutta la

penisola. Oltre alle differenze generazionali che diventano più pungenti nel processo

di digitalizzazione delle pubbliche amministrazioni e, nel caso più vicino a questa

ricerca, allo switch off del tubo catodico televisivo a favore dei decoder digitali, si

pone un problema strutturale che complica la situazione. Nonostante ciò, è opportuno

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ricordare che la vasta diffusione di dispositivi mobili quali smartphone e tablet ha

sensibilmente assottigliato il digital divide del nostro paese: i prezzi talvolta molto

vantaggiosi di smartphone e altri dispositivi ne consentono una larga diffusione,

assicurando accesso a internet, e in particolare ai social media anche a frange di

popolazione non abbienti. Il panorama mediatico che si staglia nella contemporaneità

è sempre più rivolto ad una ridefinizione del Web 2.0 che, con l’espansione del web

delle relazioni e dei social network, si appresta a trasformarsi ed evolversi in Web

3.0. Senza un’opportuna Social Media Literacy, il rischio di rimanere esclusi dal

ciclo di informazioni diffuse sul web è reale e imminente. I social media possono

essere utili alla società in base all’utilizzo da parte dei cittadini, e la storia recente ne

è valido esempio. Una vera social media literacy consiste nella capacità di valutare

criticamente i post e le conversazioni messe in atto sulle piattaforme in questione,

applicandovi criteri di responsabilità sociale, oltre alla costruzione di reti sociali e

professionali basate sulla relazione. È utile tenere a mente che nell’ambito dei social

media, che pure costituiscono una fonte d’informazione diffusa ed efficace, si è

prima di tutto producer, non soltanto consumer, una figura ibrida che collochiamo

sotto la definizione di prosumer.

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Il diagramma costituito da cerchi concentrici è una valida rappresentazione grafica

del posizionamento della Social Media Literacy nell’intero contesto descritto dalla

Media Literacy.

Le solide basi teoriche sulle quali la Sociologia e l’esperienza hanno costruito

interessanti teorie sui media, con particolare riferimento alla televisione e ai social

media, consentono di avviare un percorso di studi ed inserimento della Social Tv tra

le file della Media Literacy. In base a quanto detto sulle conversazioni, la Social Tv

si veste di notevole interesse data la sua portata innovativa e rivoluzionaria nel senso

letterale del termine, artefice della riprogettazione dei palinsesti televisivi. La prima

difficoltà incontrata da un pubblico appartenente ad una generazione non del tutto

digitalizzata, è stato, come ricordato in precedenza, l’avvento del digitale terrestre su

tutti gli schermi italiani, regione, dopo regione, a partire dal 2009, fino alla totalità

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del territorio nazionale nel luglio 2012. Reimpostare i canali fruiti fino a quel

momento e l’ampliamento dell’offerta televisiva su più frequenze e trasmissioni,

rappresentò un motivo di disorientamento soprattutto per i pensionati e i digital

migrants poco avvezzi alle nuove tecnologie, proprio perché adottate in una fase

della vita differente. L’esplosione della Social Tv, invece, non avendo basi

istituzionali, ha interessato la fruizione in modo progressivo, passando dalla fase per

così dire, clandestina e di nicchia, alla completa integrazione nei modelli di business

televisivo. Il potere delle conversazioni e dissertazioni intessute sui social media è

stato tale da ridefinire gli assetti di un medium tradizionale, lo stesso medium al

quale l’accesso era garantito e consolidato da decenni. Con i social network il

discorso sulla media literacy intreccia diverse strade, dato che è possibile accedere

alle narrazioni televisive da più punti, sia fisicamente, dato il moltiplicarsi dei

dispositivi (si pensi alle attività di first, second e third screen), sia idealmente, vista la

divergenza d’opinioni in merito alla fruizione da parte del pubblico dei nativi digitali,

principali fautori delle attività di social tv, e pubblico over 40. Il ruolo che la Social

Tv si ritaglia in questo contesto si pone a metà strada tra la Media Literacy

propriamente detta, quella descritta cioè nei primi anni Duemila dalla Comunità

Europea, e la Social Media Literacy degli ultimi anni, proprio come avviene

all’interno delle attività di Social Tv nel loro svolgersi. Più volte si è descritto

l’universo socialtelevisivo italiano come un ottimo compromesso tra passato e

presente, tra programmi tradizionali e nuovi punti di vista provenienti dal pubblico

alfabetizzato. La chiave d’accesso alla Social Tv Literacy, dunque, è una sorta di

compromesso ulteriore, una password efficace per fruire appieno della televisione

contemporanea, che si dipana sul web e sulle piattaforme social attraverso contenuti

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esclusivi e innesti narrativi paralleli. La comprensione del nostro tempo, quindi,

conosce la sua totalità nel momento in cui l’utente riesce ad assumere una visione

d’insieme dentro ed oltre il piccolo schermo.

Il fenomeno descritto rappresenta una componente importante del panorama

mediatico al quale accedere, essere educati e dedicare attenzioni accademiche. Ma

c’è un altro aspetto che, dapprima la televisione, ed ora anche la Social Tv, devono

necessariamente considerare per il benessere e la tutela dell’utente-spettatore e

cittadino. Parliamo di Media Education, volgendo lo sguardo ad una dimensione

quasi didattica e formativa della nostra dieta mediale.

2.3 Media Education: Cattiva Maestra (Social) Tv?

Superato il problema dell’accesso ai media e alle tecnologie, si apre un altro dibattito

foriero di prospettive e domande talvolta irrisolte. Le media skills e competence

descritte dalla Media Literacy, nonostante la loro valenza fortemente democratica e

testimone di libertà, non possono essere lasciate, per così dire, allo sbando. È

necessario guidare gli utenti, spettatori e cittadini nell’utilizzo dei media, un

intervento che si rivela salvifico soprattutto per gli strati sociali e anagrafici più

facilmente plasmabili da messaggi negativi e troppo persuasivi. Nessun medium è

escluso da questa esigenza, dal cinema alla radio, passando per la televisione e il web

che, nella sua struttura indefinita per convenzione, rappresenta una zona in cui si

alternano luci ed ombre, diverse facce di una medaglia che a volte può indurre a

correre rischi. La guida in questione prende il nome di Media Education,

letteralmente Educazione ai Media, un apparato di competenze e scopi formativi con

lo scopo di tutelare il cittadino nell’accesso e fruizione dei media.

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Prima dei new media e dei social network, la protagonista indiscussa dei dibattiti

sull’educazione a l’accesso consapevole ai media è stata, ed è tutt’ora la televisione.

La pervasività delle immagini è giunta alla massima potenza proprio con il piccolo

schermo, che ha condizionato usi e costumi, ma anche modalità d’acquisto e

produzione, degli spettatori-consumatori. L’avvento delle prime pubblicità è la prova

di tale influenza, sin dagli albori. Secondo Marshall McLuhan, padre della sociologia

e della massmediologia moderna, l’acquisto di un prodotto pubblicizzato dalla

televisione era considerato come la conclusione perfetta di un meccanismo di

fruizione, che poteva dirsi completo soltanto quando il prodotto si palesava

concretamente tra le mani del consumatore. Del resto, l’età del trionfo della

televisione, che possiamo collocare nell’arco di tempo compreso tra la fine degli anni

Cinquanta e la metà degli anni Settanta corrisponde a quella che lo storico

d’ispirazione marxista Eric Hobsbawm definì come “l’età d’oro del capitalismo”:

l’affermazione della televisione come elettrodomestico più diffuso nell’ambiente

domestico sancisce la crescita di un capitalismo che punta ad ogni tipo di pubblico,

influenzandone abitudini e costumi.

Il trionfo della televisione ha traghettato il pubblico verso approcci fruitivi ed

educativi sempre più complessi, iniziando a tracciare un percorso che, con l’avvento

del Web 2.0 e dei social media si è potenzialmente aperto all’indefinito. In

particolare, l’utilizzo dei social media e social network per le più disparate attività,

compresa la fruizione televisiva, ha indotto a riconsiderare imputati e colpevoli delle

devianze comportamentali e di scarsa consapevolezza della potenza scatenata da un

singolo post o commento pubblicato. Se nel vasto arco temporale descritto a partire

dagli anni Cinquanta fino alla fine degli anni Novanta la televisione si è ben prestata

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al ruolo di capro espiatorio per i mali della società, la rivoluzione informatica ha

mescolato le carte, offrendo nuovi bersagli agli educatori di stampo più tradizionale.

È ingiusto, tuttavia, demonizzare totalmente l’uso dei social network quale covo di

comportamenti devianti e degenerazioni di sorta, ma è proprio in questi spazi di

sgomento e libertà incontrollata che la Media Education deve svolgere il suo ruolo

primario, ricordando agli utenti di ogni estrazione sociale e culturale che ogni post,

fotografia o video pubblicato in rete diventa il nostro curriculum virtuale. Se sia

positivo o negativo, è il nostro grado di alfabetizzazione digitale a deciderlo.

Un’alfabetizzazione che prevede dimestichezza con modalità e linguaggi che

evolvono quasi quotidianamente, un fenomeno che interessa diversi comparti della

dieta mediale, anche i più intoccabili, almeno apparentemente. È proprio

nell’evoluzione dei linguaggi che risiede il senso primario della Social Tv, che, di

base, rappresenta la fusione di due mondi che i più scettici consideravano

inconciliabili.

.Se la tv ha a suo tempo rappresentato la svolta dei linguaggi televisivi, anche la

Social Tv può vantare attenzioni particolari nella costruzione di senso relativa alla

Media Education contemporanea. Il discorso in questione vede confluire due aspetti

fondanti, ossia la percezione della televisione tradizionale, a cui si è fatto ampio

riferimento, e la media education relativa ai social media, che, ibridandosi possono

fornire chiavi di lettura efficienti nella comprensione critica della Social Tv. I

genitori o tutori dei minori, se capaci di filtrare i messaggi televisivi, non sempre

riescono a mostrarsi adeguati nel controllo dei new media. Accanto ai fenomeni di

bullismo e troll in rete, si è verificato negli ultimi anni un aumento massivo dei

teenager iscritti a Twitter, il social network preferito dalla Social Tv. Con la

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comparsa di teen idol sugli schermi televisivi, si verificano fenomeni di

sovraffollamento sulle bacheche e sui profili social, falsando talvolta i risultati di

ascolto raccolti in rete. Ma non solo. L’attività di posting assiduo e frenetico sui

social network trascina gli utenti, teenager e non, nel vortice del cosiddetto overload

informativo, il sovraccarico di informazioni non desiderate che infastidisce la

propria rete di contatti. È una conseguenza negativa assai vicina ai Social Tv

addicted che, presi dalla FOMO - Fear of missing out, che sintetizza la volontà

spasmodica di partecipare a qualsiasi evento mediatico proposto dai social media e

dalla rete, si sentono obbligati a commentare qualsiasi programma televisivo.

Per converso, l’aspetto positivo che l’approccio alla Social Tv può garantire ad una

valida media education è lo stesso descritto da David Bukingham in Watching Media

Learning. Making Sense of Media Education, saggio del 1990: il sociologo inglese definisce

il processo educativo come learn by doing, ossia sviluppo di abilità pratiche insieme alle

capacità critiche: il commento costruttivo di prodotti televisivi, volto anche a

scomporne le parti, può essere chiave d’accesso all’utilizzo dei social media e alla

creazione di nuove narrazioni tipiche della televisione nell’era della crossmedialità,

fenomeno del quale i prosumer, i produttori-consumatori che bene si identificano

negli spettatori social, sono i principali fautori.

Il flusso derivato dalle cronache in tempo reale aumenta la consapevolezza

dell’utente, il potere decisionale che questi esercita nell’influenzare palinsesti e

assetti narrativi e produttivi della televisione contemporanea, attivando nuovi

meccanismi di domanda e offerta sempre più modellati intorno alle esigenze degli

utenti. La media education della Social Tv garantisce la fine dell’era broadcasting, e,

se applicata realmente a tutti gli strati sociali e anagrafici del pubblico, una maggiore

facoltà di selezione e scrematura delle informazioni proposte dalla rete. La fine del

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broadcasting si evidenzia anche nel fatto che mentre la televisione tradizionale

tendeva a considerare il pubblico come una massa a tratti informe e priva di una

propria identità, la diffusione dei social network ha restituito questa dimensione agli

utenti che, fuori dall’anonimato, applicano tecniche di riconoscibilità e di personal

branding anche inconsciamente. La stessa profilazione delle audience è un processo

fortemente identitario, è l’affermazione di un valore personale e personalizzato della

fruizione della televisione, dei social network e dell’intero panorama mediatico. Un

flusso a più direzioni che il digitale ha reso ancor più complesso e affascinante.

2.4 Hashtag e cronaca in diretta, verso una nuova formularità?

Allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, denominata anche La Grande Guerra per

la sua portata disastrosa, l’umanità si trovava all’inizio del ‘900, quello che Eric

Hobsbawm ha brillantemente definito “il secolo breve”. Eventi, crisi, grandi

depressioni economiche e altrettanto grandi riprese hanno caratterizzato questo

periodo storico, la premessa ideale al nuovo millennio che ha portato a compimento

alcuni dei processi iniziati proprio qualche decennio fa. Una caratteristica che ha

interessato non soltanto i fenomeni politici e sociali, ma anche la cultura, gli usi e

costumi globali, influenzati ovviamente anche dall’avvento dei media di massa

elettronici, primo su tutti la televisione. Ma il Novecento è stato anche il secolo della

forte frammentazione ideologica e culturale, della perdita d’identità e talvolta del

disorientamento storico, delle grandi metropoli e dell’intensificarsi dei flussi

d’informazione, la cui apoteosi si è verificata, come sappiamo, nell’attuale società

dell’informazione (o informatizzazione?).

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Iniziare questo discorso a partire dalla Prima Guerra Mondiale, dunque dal 1914 ha

uno scopo preciso. È in quel periodo infatti che il filosofo e critico letterario

ungherese Gyorgy Lukàcs inizia a scrivere una delle sue opere più importanti, Teoria

del Romanzo. Il saggio, ultimato nel 1915 e pubblicato nel 1920 costituisce una

brillante riflessione sulla frammentarietà dell’età contemporanea a Lucacks

attraverso la ricostruzione sistematica delle diverse forme letterarie conosciute

dall’uomo, dall’epica antica al romanzo moderno. Lo scopo sembra essere quello di

rintracciare un tipo di produzione che potesse ricostruire l’unità tra interno ed

esterno, tra anima e corpo, tra pensiero e azione. Lucacks individua nell’epica antica

l’emblema dell’unità, dell’insieme organico di testo e cultura, quell’enciclopedia

tribale, per usare una definizione di Eric Havelock, che sintetizza lo spirito della

Grecia Antica48. L’arrivo della filosofia sancisce già una prima frattura tra uomo e

pensiero, lesione che diventa più profonda con la capillare e rapida diffusione delle

religioni, fino ad approdare alle scissioni e crisi conosciute anche dalla fede. In

questo panorama culturale così frammentato, il romanzo moderno, comparso per la

prima volta alla fine del Settecento rappresenta un valido compromesso per il

filosofo. Gyorgy Lukàcs individua infatti al suo interno la frammentarietà tipica degli

altri prodotti culturali, come la ricerca, l’avventura, l’introspezione psicologica dei

protagonisti, ricondotta però ad un’opera unitaria e autoconclusiva, che ridimensionò

il cosiddetto loisir della borghesia e delle classi alfabetizzate. Non è un caso, infatti,

che nel nostro paese i primi grandi successi della televisione tradizionale siano

strettamente legati alla produzione narrativa di fine Ottocento, riproposti sotto forma

di sceneggiato, un termine ormai entrato nel linguaggio comune. Lo sceneggiato fu

48 cfr. Eric Havelock, Cultura orale e civiltà della scrittura. Da Omero a Platone (1963)

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uno dei generi più amati e diffusi di quella che Umberto Eco definisce come

paleotelevisione, il periodo televisivo che va dalle origini sino all’avvento della tv

commerciale. Si tratta di un prodotto audiovisivo pensato e progettato per il piccolo

schermo sulla base di opere letterarie di successo. Al di là della componente legata

all’intrattenimento, gli sceneggiati costituirono una valida forma di scolarizzazione e

diffusione della cultura, portando nelle case degli italiani opere letterarie come I

Promessi Sposi, rappresentato a più riprese nel corso dei decenni, Mastro Don

Gesualdo e La Cittadella, per citare alcuni tra gli esempi più famosi.

La televisione ha ridimensionato lo spazio domestico e collettivo, ergendosi a fattore

unificante di una cultura e di una società che sembrava aver perso le redini del

proprio percorso. Illuminante è, in tal senso, il commento del sociologo e

massmediologo italiano Alberto Abruzzese al saggio sul romanzo di Lukàcs.

Abruzzese rapporta l’importanza delle grandi narrazioni primitive tanto apprezzate

dal sociologo ungherese con il successo della televisione delle origini, illustrandone i

motivi salienti: “(…) A sua volta la radiotelevisione è andata più in profondità ed

estensione, ampliando non più il tempo della storia ma lo spazio del presente: ha

ripreso su scala locale e insieme globale i ritmi delle narrazioni orali e conviviali

della civiltà contadina e primitiva. Non a caso ha funzionato così bene in Italia.

Persino i ceti colti italiani e le loro istituzioni, inizialmente non poco resistenti alla

natura di flusso invece che di opera del prodotto televisivo, hanno finalmente

compreso il contributo determinante che la tv pubblica, la Rai, ha dato alla

costruzione dell'identità nazionale”.

Non trascorrerà molto tempo prima che la situazione mediale e culturale italiana

subisca un nuovo scossone derivato da evoluzioni e mutamenti tecnologici.

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L’avvento dei new media e la progressiva digitalizzazione della società di massa,

televisione compresa, ha dato adito ad una ulteriore riframmentazione dei consumi e

delle idee, in virtù di quella Coda Lunga teorizzata da Chris Anderson nel 2004:

aumenta la disponibilità di prodotti, diminuiscono i costi, le vetrine e le esigenze di

complicano e si trasformano costantemente. Ma la digitalizzazione e il web, d’altro

canto, hanno definitivamente portato a compimento il processo di democratizzazione

dell’arte e della cultura già teorizzato da Walter Benjamin49, aprendo le porte a

nuove piattaforme e strumenti di condivisione che hanno di fatto ricompattato le

audience e trasformato gli utenti in prosumer consapevoli, abili nel maneggiare la

cassetta degli attrezzi messi a disposizione dal digitale. I new media, internet prima e

il Web 2.0 poi, rappresentano la massima conquista di quella che filosofi e sociologi

contemporanei hanno definito come intelligenza collettiva, l’opportunità di

condivisione e creazione del sapere che le nuove tecnologie mettono a disposizione

di tutti gli utenti. Il filosofo francese Pierre Levy ne dà una brillante definizione:

«Che cos'è l'intelligenza collettiva? In primo luogo bisogna riconoscere che

l'intelligenza è distribuita dovunque c'è umanità, e che questa intelligenza,

distribuita dappertutto, può essere valorizzata al massimo mediante le nuove

tecniche, soprattutto mettendola in sinergia. Oggi, se due persone distanti sanno due

cose complementari, per il tramite delle nuove tecnologie, possono davvero entrare

in comunicazione l'una con l'altra, scambiare il loro sapere, cooperare. Detto in

modo assai generale, per grandi linee, è questa in fondo l'intelligenza collettiva»50

.

49 Pubblicato nel 1936, “L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica” di Walter Benjamin è il saggio passato alla storia per le sue brillanti tesi in merito ai consumi e alla produzione della cultura di massa. L’intuizione più brillante è la famosa “perdita dell’aura” dell’opera d’arte, che dalla dimensione museale e sacrale, diventa, grazie alla stampa e alla fotografia, disponibile a un pubblico molto più vasto. 50 "L'intelligenza collettiva", intervista rilasciata da Pierre Levy all’European IT Forum di Parigi, 04/09/95

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L’intelligenza collettiva e le modalità di scrittura, narrazione e creazione del sapere

da essa derivate sancisce il ritorno dei grandi racconti, della ricerca e della

propensione alla narrazione fictional, un desiderio che l’uomo conserva sin

dall’antichità. Le prime fasi del Web 2.0 hanno conosciuto l’espansione di fenomeni

quali la narrazione partecipativa e la narrazione collaborativa o sinergica, due

facce di una medaglia che vede la creatività dell’utente al primo posto, insieme ad

una concezione della comunicazione votata ad un’ottica del tutto crossmediale. Nel

caso della narrazione partecipativa ci troviamo in una fase creativa a valle del

processo produttivo: gli utenti generano contenuti a partire da un’idea già condivisa,

in un ambiente protetto costituito da cornici narrative preesistenti, basti pensare alle

fanfiction, storie inventate dai fan di una particolare narrazione aventi per oggetto i

personaggi o le ambientazioni già conosciute e apprezzate. Per quanto riguarda la

narrazione collaborativa o sinergica, invece, ci troviamo nella fase a monte del

processo, dato che gli utenti contribuiscono sinergicamente alla creazione di un

contenuto del tutto originale, descrivendo quella che gli amanti della classicità

amano definire come reductio ad unum, letteralmente una ricostituzione dell’unità.

Questo è il panorama che si stagliava prima dell’avvento dei social media, che pure

hanno rappresentato una nuova, dirompente tempesta nel mondo dell’Information

Technology. La comunicazione e le relazioni social hanno eroso dall’interno le

modalità di scambio e fruizione delle informazioni, tanto da determinare la nascita e

la necessità di un Web 3.0 che si sviluppa a partire e all’interno dei social media

stessi. È lecito chiedersi se ci si trova di fronte ad un’ennesima frammentazione delle

audience e dei consumi, e la risposta, come si conviene nel mondo assai eterogeneo

dei social media e social network tende ad accontentare diverse scuole di pensiero.

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Ciascun profilo social è, potenzialmente, un luogo di condivisione a metà tra il

virtuale e reale nel quale formulare opinioni, narrazioni, ideologie e movimenti

sociali, ciascuno dei quali con le sue peculiarità ed istanze specifiche. Ma i social

network sono diventati anche uno dei principali luoghi d’aggregazione e

convergenza, piattaforme in grado di animare movimenti politici e mediatici. Quei

media event teorizzati nel 1992 da Daniel Dayan ed Elihu Katz, ossia quegli eventi

mediali capaci di attirare l’attenzione massiva di migliaia, se non milioni di utenti e

spettatori, sono la reductio ad unum dell’era social, lo spirito partecipativo che

prende forma attraverso i 140 caratteri di Twitter e i post su Facebook, ma soprattutto

attraverso la chiave, è il caso di dire, della comunicazione contemporanea, ossia gli

hashtag. Ogni media event che si rispetti dispone del suo hashtag di riferimento,

ottimo per canalizzare le attenzioni e le notizie. E il medium attraverso il quale si

fruisce e si partecipa anche emotivamente ai media event in questione è, ormai da

oltre sessant’anni, la televisione. Media event televisivi e social network

costituiscono la spina dorsale della Social Tv, il fattore che ne ha determinato la

nascita in tempi non sospetti, quando ancora gli hashtag e il commento in tempo

reale erano un passatempo di pochi geek iscritti ai social network d’avanguardia.

L’hashtag consente di catalogare ciascun argomento come un verso formulare,

portando a compimento quella che Walter Ong definisce seconda oralità, fase

storica in cui dominano tecnologia digitale e progresso, ma permane la mistica

partecipatoria tipica delle società disegnate nel periodo dei grandi miti e racconti51.

L’ipertestualità imposta dallo sviluppo di reti e sistemi informatici è una diretta

conseguenza di un’oralità che si trasforma in scrittura, costituita da rimandi e

formule fisse, che, nonostante la loro intrinseca mutevolezza si rilevano nella 51 cfr. Walter Ong, "Oralità e scrittura. Le tecnologie della parola", Il Mulino, 1986.

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struttura base e nell’attuale utilizzo di Twitter e della Twittercronaca. Come tanti

aedi, forse inconsapevoli del ruolo ricoperto, i social tv addicted si rendono partecipi

di una narrazione che ricorda, sempre in forme, modi e tecniche diverse, l’attività

compositiva e mnemotecnica dei loro antichi predecessori, che utilizzavano formule

fisse per ricordare, rielaborare e declamare in pubblico i loro versi, testimoni della

cultura del tempo. E in un certo senso, anche i tweet relativi ai media event

rappresentano una spia della contemporaneità, facendo riferimento a ciò che si

fruisce in televisione, sempiterno vettore delle mode, dei consumi e della cultura del

nostro paese, oggi come allora.

Con la Social Tv la televisione tradizionale perde la sua intoccabile sacralità, riscritta

e rimodellata dagli utenti. Una versione televisiva di quella perdita dell’aura descritta

da Benjamin nel suo celeberrimo saggio L’opera d’arte nell’epoca della

riproducibilità tecnica, pubblicato nel 1940. Le immagini del piccolo schermo

viaggiano oltre le cornici narrative precostituite dell’hic et nunc tipico

dell’appointment tv, seguendo la scia della creatività consapevole degli spettatori.

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Capitolo Terzo

Case history italiani di Social Tv

In base alle osservazioni compiute nel corso degli ultimi anni risulta evidente che un

programma televisivo ben riuscito in termini di Social Tv debba rispettare parametri

particolari che, per quanto ancora piuttosto blandi, necessitano di coerenza e

rispondenza tecnica alle principali caratteristiche dei social media. I case history,

dunque, si rivelano come tali nel momento in cui attivano sfere cognitive, relazionali

e mediali che possano configurarsi nella contemporanea organizzazione

dell’economia televisiva. È anche vero, tuttavia, che quasi tutti i programmi inseriti

nei palinsesti nostrani potrebbero definirsi social, considerandone la presenza attiva

sulle principali piattaforme. Soltanto alcuni di essi, però, riescono ad emergere come

modelli esemplificativi di quanto affermato in precedenza, abbracciando discorsi che

vanno dalla rilevazione degli ascolti alla comprensione di messaggi più o meno

educativi lanciati dal piccolo schermo e spalmati in modalità e linguaggi diversi su

bacheche e profili social. Dai talent show all’informazione, dal nazionalpopolare al

media event, i case history costituiscono una valida chiave di comprensione della

Social Tv, accompagnando lo spettatore nella scoperta di approcci alla fruizione

votati all’integrazione ed alla piena consapevolezza delle proprie skills, raccontando

particolari altrimenti nascosti, una sorta di backstage interattivo che porta a

compimento il processo di trasformazione e domestication della televisione. I

principali artefici di questa evoluzione in atto, sono, ovviamente, i telespettatori, leva

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fondamentale del riassetto di palinsesti, format e professioni legate alla grande

industria culturale del nostro tempo.

3.1 The Voice of Italy: quando il social prevale su Auditel, talenti e

discografia

Il dubbio che attanaglia i network nazionali (ed internazionali) da poco più di un

decennio a questa parte si può sintetizzare in modo efficace ed esaustivo con la

domanda Make or buy?, letteralmente “produrre o acquistare?”. Il riferimento è

prettamente economico, considerando che produrre autonomamente un programma

televisivo richiede costi molto più elevati rispetto all’acquisto di un cosiddetto

semilavorato, ossia un format già pronto e disponibile sui mercati televisivi

internazionali da adattare e modellare in base al contesto mediatico di riferimento.

Complici crisi economica e creativa, gli attuali palinsesti sono dominati da format

non esattamente originali, quei programmi che si ripresentano in diversi paesi del

mondo utilizzando cast e contenuti differenti. A far la parte del leone vi sono i reality

show, primo fra tutti il Big Brother o Grande Fratello, i più recenti factual52 e gli

onnipresenti talent show. Questi ultimi rivestono un ruolo preponderante sotto ogni

punto di vista, mediatico, culturale e artistico, vista la portata intrinseca dei vari

prodotti, fucine di talenti di diversi settori dello spettacolo che rifocillano

costantemente le hit parade, la discografia, i set cinematografici e televisivi. Lo

scopo del talent show è proprio questo, lanciare nuove stelle nel firmamento dello

spettacolo, attraverso un percorso a tappe in cui crescere e dimostrare le proprie

52 Programma informativo basato su una sceneggiatura che ricostruisce in forma romanzata, più o meno rigorosa, fatti realmente accaduti

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qualità puntata dopo puntata, il tutto deciso dal pubblico sovrano che ha in pugno le

loro sorti mediante il famigerato televoto. I talent show più famosi e seguiti del

nostro paese sono senza ombra di dubbio Amici di Maria De Filippi, creatura di

Mediaset, che ha consacrato artisti vincitori di Festival di Sanremo come Marco

Carta, Valerio Scanu ed Emma, oltre che nomi onnipresenti nelle classifiche

discografiche quali Alessandra Amoroso o Dear Jack, giusto per fare qualche

esempio, e X Factor, la creazione di Simon Cowell che nel nostro paese, dapprima

sulla Rai e successivamente su Sky, ha prodotto star del calibro di Marco Mengoni e

Giusy Ferreri, giunti anche alla ribalta internazionale. E poi c’è The Voice, il talent

show di Rai Due che resta una grande incognita, un mistero da un punto di vista

discografico che non trova risposta neanche consultando i dati d’ascolto tradizionale

rilevati tramite sistema Auditel. Un dilemma che, tuttavia, ad un telespettatore, o

meglio, a un prosumer più attento risulta facile da risolvere verificando l’andamento

social della trasmissione. Del resto, come chiarito in precedenza, sono proprio i talent

show gli anelli forti della catena intrecciata sulle trame della Social Tv.

The Voice, che nella versione italiana prende il nome di The Voice of Italy, è un

format ideato dall’olandese John De Mol andato in onda per la prima volta nel

settembre 2010 proprio nei Paesi Bassi, con un ottimo riscontro di pubblico. Si tratta

di un talent show esclusivamente canoro, come si desume dal titolo stesso, infatti, è

la voce a dover colpire e convincere i quattro giudici incaricati a formare altrettante

squadre. La prima fase delle selezioni avviene con le blind auditions, audizioni al

buio, per l’appunto, durante le quali i giudici-coach, seduti di spalle, devono

ascoltare l’aspirante concorrente ed eventualmente schiacciare il tasto I Want You

qualora volessero ingaggiare la voce ascoltata per la propria squadra. Dopo questa

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prima selezione, che va in onda in differita, si passa alle battles, la fase live durante

la quale due membri di una stessa squadra si sfidano in duetto, lasciando al loro

giudice di riferimento la facoltà di scegliere chi passi poi alla fase finale, il live show

che vede tutti contro tutti, fino a decretare il vincitore finale. La novità introdotta da

The Voice è costituita dal fattore blind, un espediente che, al di là dell’impatto

scenico del concorrente, lascia ampio margine di meritocrazia nell’ambito vocale.

Nella primavera del 2011 il format fu esportato con altrettanto successo negli Stati

Uniti, vantando un parterre di giudici quali Pharrell Williams, Shakira, Usher,

Christina Aguilera e Adam Levine. The Voice of Italy approda su Rai Due nel 2013,

tra ripensamenti e slittamenti continui: dopo il passaggio di X Factor su Sky e il

fallimento di Star Academy nel 2011, alla seconda rete Rai era rimasto soltanto il

reality show L’Isola dei Famosi per colmare il vuoto avvertito da un target già

avvezzo ai social network e al linguaggio scandito da televoto e lotte interne. Quando

anche il reality ha chiuso i battenti nel 2012 in seguito alle accuse di scarsa

rispondenza alla funzione di servizio pubblico, si iniziò a parlare di un probabile

approdo di The Voice in Rai, ma i costi troppo elevati fecero slittare il tutto sino alla

primavera del 2013. La prima edizione di The Voice of Italy, diffuso sin da subito sui

social network con l’hashtag #tvoi, inizia il 7 marzo 2013. I giudici della versione

italiana sono Raffaella Carrà, Riccardo Cocciante, Piero Pelù e Noemi, il primo

giudice proveniente da un talent show, X Factor in questo caso. La conduzione,

invece, fu affidata all’attore Fabio Troiano, primo bersaglio delle critiche social: il

popolo del web bocciò sonoramente la sua performance, stessa sorte per la sua spalla

Carolina Di Domenico, inviata speciale della trasmissione. Vincitrice della prima

edizione fu la cantante di origini albanesi Elhaida Dani del team Cocciante, voce

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potente, indubbie qualità artistiche, ma scarso riscontro da parte del pubblico italiano

dopo il talent show. È diventata famosa nel suo paese d’origine, figurando tra i volti

dell’emittente Agon Channel53, alcuni tra gli altri talenti, invece, hanno deciso di

reinventarsi in altri programmi54.

La media di ascolti, invece, si attesta intorno ai 3.304.000 spettatori, con uno share

del 13,74%, con un picco del 15,58% durante le blind auditions, la fase più seguita

del programma. Per quanto riguarda i risultati sui social, in particolare su Twitter,

The Voice of Italy prometteva bene già sin dalla prima edizione, come testimoniano

le ricerche condotte da BlogMeter all’indomani della finale del 30 maggio 201355. Il

Social Listening dell’osservatorio interattivo di Social Tv ha preso in considerazione

le puntate live del programma, fase che ha totalizzato 359 mila tweet, 82 mila autori

unici e oltre 67 milioni di impression totali, premiando la finalissima come puntata

più discussa. La sentiment analysis di BlogMeter rileva che anche i social addicted

attivi su Twitter erano d’accordo per la vittoria di Elhaida Dani, che ha raccolto

l’85% delle opinioni positive, insieme al coach più giovane, ossia Noemi, regina dei

social sin dalle blind auditions, e Raffaella Carrà, la più amata di sempre dal target

tipico dei talent show. Scarso gradimento, invece per i due conduttori. Il verdetto del

televoto, che ha attestato al secondo posto il concorrente Timothy Cavicchini del

team Pelù, è stato smentito dal parere diffuso sul web, che avrebbe premiato Silvia

Capasso e Veronica De Simone, rispettivamente team Noemi e team Carrà.

Attraverso l’infografica realizzata proprio da BlogMeter, è possibile ottenere una

53 Agon Channel è un canale televisivo italiano fondato dall'imprenditore Francesco Becchetti e ora parte del gruppo Canale Italia. Il nome agon in lingua albanese significa "alba" 54 È il caso di Francesca Monte, cantante che, dopo essere stata scartata dal suo coach Noemi, ha partecipato a X Factor nel duo Komminuet 55 https://www.blogmeter.it/blog/2013/05/31/the-voice-of-italy-anche-per-twitter-la-vincitrice-e-elhaida-dani/, in data 11/02/2016

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panoramica completa dell’attività social televisiva della prima edizione di The Voice

of Italy, considerando l’essenza piena della Twittercronaca live, tipica, per l’appunto,

degli eventi televisivi in diretta:

Grande successo sui social, discreto successo di Auditel, ma scarso impatto

discografico per la vincitrice e gli altri concorrenti, fatta eccezione per Veronica De

Simone che ha partecipato successivamente all’edizione 2014 di Sanremo Giovani,

senza ulteriori riscontri di popolarità. Non tutte le prime edizioni dei talent, tuttavia,

hanno fornito talenti di successo, così, forte del buzz generato in rete, The Voice of

Italy torna anche l’anno successivo con una seconda edizione, molto più ricca e

appetitosa della prima, sia da un punto di vista social, sia dal versante strettamente

televisivo in merito alla drammaturgia dello show, con i suoi personaggi e i suoi

snodi narrativi, colpi di scena compresi.

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La prima novità in ordine d’apparizione della seconda edizione, andata in onda a

partire dal 12 marzo 2014, è un cambio tra le file dei giudici, al posto di Riccardo

Cocciante arriva il rapper J-Ax, icona transgenerazionale che negli anni Novanta,

insieme da Dj Jad formava gli Articolo 31. A differenza degli altri tre giudici, J-Ax si

mostra sin da subito molto attivo sui suoi profili social, non disdegna siparietti

virtuali e polemiche a distanza con altri utenti vip, insomma, l’ingrediente ideale per

mobilitare anche la socialsfera di The Voice. Cambia anche la conduzione, al posto di

Fabio Troiano e Carolina Di Domenico arrivano Federico Russo, già volto di Mtv e

voce di Radio DeeJay e Valentina Correani, decisamente più apprezzati dei

predecessori. S’introducono, inoltre, gli knockout una nuova fase della gara,

posizionata tra le battles e lo show live, che vede i concorrenti scontrarsi su due brani

differenti. Ma il vero motore social della seconda edizione del talent di Rai Due è

stata l’apparizione, è il caso di dire, di una concorrente che ha fatto scalpore in tutto

il mondo: The Voice of Italy sarà sicuramente ricordato come il talent show di Suor

Cristina, concorrente e poi vincitrice del programma. La sua prima esibizione è

andata in onda nel corso della seconda blind audition, il 19 marzo 2014, scatenando i

Social Tv addicted e le star internazionali che si sono espresse con meraviglia e

plauso per la religiosa di origini siciliane, prima fra tutte a partecipare ad un talent

show. Suor Cristina si è presentata con No One, tra i brani più famosi della

cantautrice soul statunitense Alicia Keys, che le ha subito fatto i complimenti via

Twitter. Il riferimento a Sister Act era inevitabile, ed ecco che anche l’attrice

Whoopy Goldberg, protagonista dell’indimenticabile film si esprime a favore della

Suora. L’effetto valanga non tarda ad arrivare, fioccano commenti e retweet, mentre

il video della blind audition in questione raggiunge i 24 milioni di visualizzazioni in

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due settimane56, totalizzandone, successivamente circa 80 milioni, cifre che gli hanno

concesso di diventare il video italiano più visualizzato di sempre nella classifica

mondiale57. Dieci minuti di esibizione trasformano la Suora siciliana in un vero

fenomeno mediologico, con l’hashtag #SuorCristina in vetta ai trending topic di

Twitter e un’opinione pubblica sempre più rapita e divisa sull’argomento. L’effetto

Suor Cristina ha influito molto anche sugli ascolti, portando ad un progressivo

aumento dell’audience puntata dopo puntata. Ad attirare l’attenzione internazionale,

poi, ci ha pensato la sua cover di Like a Virgin, tra i primi successi di Madonna: la

regina del Pop non ha perso occasione per sbeffeggiare la Suora sul suo profilo

instagram, scatenando l’ilarità del web58. La media di ascolti della seconda edizione

di The Voice of Italy, tuttavia, resta salda intorno ai 3.208.000 spettatori, con uno

share del 14,3%. Altro fenomeno social e nazionalpopolare per la seconda edizione

del talent è la partecipazione alle blind auditions di Alessandra Drusian, un nome che

da solo può suggerire ben poco, ma che i più appassionati di fenomeni mediatici

ricorderanno sicuramente: la Drusian è stata la voce femminile dei Jalisse, il duo che

con Fiumi di parole vinse il Festival di Sanremo nel 1997. L’audizione non è andata

a buon fine, nessuno dei giudici ha deciso di premere il fatidico tasto, scatenando

ancora una volta i commenti del popolo social: l’hashtag #Jalisse, insieme a

#SuorCristina, risulta tra i più popolari della seconda edizione del talent. Durante la

finale andata in onda il 5 giugno 2014, inoltre, la vincitrice Suor Cristina ha proposto

56 http://www.fastweb.it/social/trionfo-su-youtube-e-sui-social-per-suor-cristina-di-the-voice-of-italy-/, in data 12/02/2016 57 http://tvzap.kataweb.it/news/99137/suor-cristina-i-jackal-e-lorenzo-fragola-i-piu-visualizzati-su-youtube/, in data 12/02/2016 58 http://www.repubblica.it/esteri/2014/10/24/news/suor_cristina_madonna_chiesa-98953470/, in data 12/02/2016

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un improbabile siparietto a sfondo religioso recitando il Padre Nostro in diretta,

piatto ghiotto per i social influencer e per la rete in generale.

La crescita di The Voice of Italy su Twitter risultava evidente già dalla prima

settimana di trasmissione, come testimoniano i dati raccolti da BlogMeter:

Il talent canoro di Rai Due è riuscito a superare veri colossi social come il Grande

Fratello (ascolto medio pari a 4.115.000 spettatori con uno share del 19,15%) e

Amici di Maria de Filippi (ascolto medio del serale pari a 4.662.000 spettatori con

uno share del 21,87%), che, tuttavia, continuano a restare più forti sul versante

Auditel.

Al di là delle performance canore dei concorrenti, che, come nel caso della prima

edizione hanno avuto scarsa risonanza al di fuori del talent, il vero protagonista del

programma è stato il giudice J-Ax, dapprima apprezzato musicista, ma portato alla

ribalta di personaggio televisivo grazie al talent59. I fattori che ne hanno determinato

il successo sono molteplici. Innanzitutto il rapper è stato coach di Suor Cristina, la

59 La popolarità ottenuta con The Voice of Italy ha portato J-Ax alla conduzione de I sorci verdi, un programma in onda su Rai Due in seconda serata che ha vantato ospiti di spicco come Maria De FIlippi.

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cui vittoria era pressoché già annunciata sin dalle blind auditions. J-Ax è inoltre idolo

di intere generazioni di Millennials, la fascia d’età compresa tra i 14 e i 35 anni che

costituisce il target di pubblico più appetibile e al contempo più difficile da captare

per i network televisivi. Dulcis in fundo, J-Ax è un personaggio social a tutti gli

effetti, sia per la sua propensione alle piattaforme di sharing online, sia per il

linguaggio utilizzato, uno slang che ben si presta alle logiche di hashtag, sintesi ed

incisività richieste dalla rete: la sua presenza tra le file dei giudici di The Voice,

infatti, è stata scandita a suon di Ax-forismi, ossia aforismi targati J-Ax così ridefiniti

da un utente su Twitter, twittati in tempo reale e ricondivisi da migliaia di follower

ed utenti. Nel corso delle puntate di The Voice, infatti, accanto ai nomi dei

concorrenti e all’hashtag ufficiale #tvoi, la keyword #axforismi ha permesso a J-Ax

di aumentare notevolmente il suo engagement social, strappando a Noemi lo scettro

di giudice più discusso e twittato del talent show60.

Intuito il potenziale degli Ax-forismi, Alessandro Alotti (questo il vero nome di J-

Ax) ha deciso di creare un instant book ad hoc, una raccolta di tutte le sue massime

pronunciate nel corso della trasmissione con prefazione di Paolo Bonolis. Pubblicato

nel giugno 2014, appena un giorno prima della finalissima di The Voice of Italy, il

volume rappresenta un esempio ideale e ben riuscito di strategia crossmediale di un

programma televisivo, spalmando i contenuti e l’idea centrale su un medium

differente, ancor più tradizionale, se vogliamo, e trasportando contenuti pensati ab

origine per il web e i social sul dispositivo cartaceo. Il processo tra First e Second

Screen, dunque, si amplia anche verso i libri, consacrando The Voice come

fenomeno mediale in toto.

60 http://www.datalytics.it/the-voice-of-italy/, in data 12/02/2016

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Lontano dagli albori televisivi disegnati da Suor Cristina e dagli ax-forismi, la terza

edizione di The Voice of Italy si è rivelata, per molti esperti del settore, come un

fallimento su più fronti, soprattutto per quanto accaduto dopo la finale. Cambia

nuovamente il cast, via Raffaella Carrà, arriva il duo Roby e Francesco Facchinetti,

che gareggiano come unico giudice, riconfermati Federico Russo e Valentina

Correani alla conduzione. A smuovere le acque dei social ci pensano ancora una

volta le bilnd auditions che anche stavolta accolgono due volti già noti al grande

pubblico: Chiara Iezzi, l’ex bionda del duo Paola&Chiara, che passa la prima

selezione scegliendo J-Ax, e Dennis Fantina, primo vincitore di Saranno Famosi, il

format che sarebbe poi diventato Amici di Maria De Filippi che non riesce a superare

la prima fase. Al di là del clamore iniziale e dell’ironia istantanea della rete, i due

episodi restano ancorati al momento, lontani dal clamore mediatico scatenato da Suor

Cristina e Alessandra Drusian nell’edizione precedente. L’atmosfera piatta è stata

vivacizzata dai costanti battibecchi tra Francesco Facchinetti e J-Ax sulle divergenze

artistiche tra i due: il rapper si è spesso espresso in modo negativo contro i cosiddetti

“figli d’arte”, di cui Francesco Facchinetti è esponente più che illustre.

Gli ascolti rilevati dall’Auditel calano drasticamente, attestandosi in media sui

2.673.000 di spettatori con uno share dell’11,8%, percentuale nettamente inferiore

rispetto alle due precedenti edizioni. Il vincitore, Fabio Curto del team Facchinetti è

finito nel dimenticatoio, mentre due giudici molto forti da un punto di vista

mediatico, ossia Piero Pelù e il conclamato J-Ax, decidono di abbandonare il

programma dopo la terza edizione, dichiarando alla stampa l’incapacità del talent di

lanciare i concorrenti nel mondo della musica. Come se non bastasse, la finale andata

in onda il 27 maggio 2015 è stata superata in termini di ascolti persino da Chi l’ha

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visto?, trasmissione di punta di Rai Tre condotta da Federica Sciarelli: gli oltre 4

milioni di telespettatori che avevano assistito l’anno precedente al trionfo di Suor

Cristina si sono drasticamente ridotti a soli 2.556.000 spettatori, contro i quasi 3

milioni di Chi l’ha visto?61. A dispetto degli ascolti non proprio esaltanti, The Voice

of Italy continua a muoversi bene sui social, salvando in parte le sorti del

programma. Ancora una volta è BlogMeter a testimoniare il buon livello di

engagement riscosso dal programma in termini social:

Amici di Maria De Filippi si conferma dominatore incontrastato, ma The Voice of

Italy, sul versante Twitter, canale preferenziale della Social Tv, continua a difendersi

bene nonostante il calo d’ascolti.

Fino a pochi anni fa sarebbe bastata la scarsa percentuale di share per far sì che The

Voice of Italy chiudesse i battenti, come accadde nel 2011 a Star Academy, condotto

61 http://www.funweek.it/tv/the-voice-2016/flop-di-the-voice-finale-superata-da-chi-lha-visto.php, in data 12/02/2016

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da Francesco Facchinetti62, senza considerare che, a differenza degli altri talent

show, dalla fucina canora di Rai Due non sono emersi successi discografici

memorabili. Eppure, nel giro di poco più di cinque anni, la situazione è totalmente

cambiata, complice l’avvento dei social media che hanno ridisegnato l’assetto

dell’audience. Se la Rai continua ad insistere su The Voice, è merito (o colpa?) dei

social network, che hanno consentito al talent di gareggiare per la conquista della

menzione speciale alla Social Tv promossa dal Premio Regia Televisiva nel 201563.

Ma non finisce qui, con un cast del tutto rinnovato, The Voice of Italy tornerà anche

per una quarta edizione prevista per la primavera del 2016, reintegrando Raffaella

Carrà tra i giudici, affiancata dalle new entries Dolcenera, Emis Killa e Max Pezzali.

New entry anche nella conduzione: accanto al riconfermato Federico Russo, l’inviata

speciale sarà Alessandra “Angelina” Angeli, ex concorrente di Pechino Express e

volto noto al popolo social.

Si è già parlato dell’intrinseca efficacia social dei talent show, che, azionando il

fattore emotivo nello spettatore, riescono a coinvolgere l’audience meglio di altri

format. È nella struttura drammaturgica di The Voice, che, tuttavia, si evidenzia la

sua rilevanza in termini di Social Tv. Come nelle migliori sceneggiature, il talent

show di Rai Due condensa l’aspetto del mistero carico d’attesa nelle blind auditions,

dando al pubblico a casa la parziale possibilità di conoscere in anticipo le reazioni

dei giudici, e, allo stesso tempo, la libertà di tifare o meno per il concorrente. La fase

delle cosiddette battles, invece, richiama alla memoria le lotte fratricide già viste in

62 Alla chiusura del programma nell’autunno 2011, Facchinetti si disse comunque soddisfatto del successo riscosso sui social, anticipando in parte ciò che sarebbe accaduto con la Social Tv perfettamente integrata nei meccanismi televisivi. 63 Il Premio TV - Premio regia televisiva (precedentemente chiamato Oscar TV) è una manifestazione italiana ideata da Daniele Piombi nel 1961, che attribuisce i cosiddetti Oscar TV, decisi da una giuria composta da personaggi della cultura e dello spettacolo che fanno parte dell'Accademia degli Oscar TV.

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pellicole di successo come Hunger Games64, in cui due membri di una stessa squadra

si sfidano a colpi di intonazione ed interpretazione. Un meccanismo che funziona da

sempre, mascherando la tessitura narrativa con la componente live, che non esclude

ruoli e funzioni drammaturgiche tipiche dei grandi racconti, proprio come accade in

rete: le piattaforme social costituiscono la contemporanea tela di scrittura di racconti

e nuove narrazioni, sulle quali i talent show assurgono a pretesto preferenziale, dotati

di componente artistica, improvvisazione drammaturgica ben strutturata intorno alle

impalcature della narrativa più classica. Al termine della vicenda, esiste sempre un

vincitore, un aiutante (il coach), una lotta (interna nel caso delle battles), e una

conquista dell’elisir che induce alla crescita personale, ossia il contratto discografico.

Paradossalmente tutto questo va a beneficiare gli orizzonti d’attesa del pubblico, che

esternano istanze, critiche e preferenze sui propri profili social, poco importa se la

discografia ne trae ben pochi vantaggi. Del resto, lo scopo del Marketing è un

consumatore soddisfatto, per quanto The Voice sia un talent show resta comunque un

programma televisivo il cui scopo primario è coinvolgere il pubblico.

3.2 Il Boss delle Cermonie, il social trash che vince

La televisione è stata spesso accusata, soprattutto negli ultimi trent’anni, di restituire

agli spettatori immagini falsate della realtà, producendo immaginari troppo distanti

dalla quotidianità. Altre volte, invece, l’accusa più forte rivolta ai contenuti del

piccolo schermo è stata quella di cavalcare l’onda di pregiudizi e stereotipi

appartenenti al senso comune meno lungimirante, lo stesso che tende a incasellare

persone, situazioni ed eventi in categorie standard a scarso tasso osmotico. Un

64 Saga cinematografica tratta dagli omonimi romanzi di fantascienza scritti da Suzanne Collins.

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rischio, quest’ultimo, che l’emittente Real Time, nota per i suoi format innovativi e

verosimili, ha corso senza però farsi male, uscendone addirittura vincitrice. Da

gennaio 2014, infatti, Real Time può contare su un bacino di sicuro successo grazie a

quella che in pochi mesi è diventata una delle sue trasmissioni di punta, complici le

ambientazioni pittoresche, ma reali, e personaggi diventati testimoni di quella

comicità forse involontaria che tanto piace al pubblico televisivo e ai social addicted:

il vaso di Pandora in questione ha il titolo de Il Boss delle Cerimonie, un reality tv

ambientato nel resort La Sonrisa, un’oasi kitsch dell’entroterra partenopeo, locale di

prestigio situato nel comune di Sant’Antonio Abate (Napoli) e meta di culto per

festeggiare ricorrenze che vanno dalle nozze ai battesimi, passando per le prime

comunioni e le feste per la maggiore età. Il Boss di cui si fa menzione nel titolo è il

proprietario del complesso, Don Antonio Polese, uomo di umili origini che ha

edificato intorno a sé un vero regno a base di pranzi luculliani, sale fastose, suite di

lusso e clienti sempre più esigenti. Un panorama umano e culturale che non poteva

sfuggire all’occhio attento di Real Time, che ha deciso di farne un programma

televisivo a metà tra il docu-reality, il set di un videoclip di musica neomelodica, un

factual e un contenitore di puro enterteinment.

Il format è molto semplice: ogni episodio racconta l’iter di organizzazione della

cerimonia, dal primo incontro con i responsabili de La Sonrisa, fino ai

festeggiamenti veri e propri, spesso protratti fino a tarda notte, passando per la scelta

dell’abito, la serenata prima delle nozze, il rito religioso, testimonianze e pareri più o

meno accorati dei parenti coinvolti nella celebrazione. Il tutto raccontato da una

vivace voce narrante che, con termini forbiti, sembra stridere con il contesto di

riferimento. Le venature trash del mosaico raccontato dalla trasmissione

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costituiscono terreno assai fertile per il popolo social che ha fatto de Il Boss delle

Cerimonie uno degli appuntamenti più commentati e discussi in termini di

twittercronaca e prodotti crossmediali, dentro e fuori la rete. Sin dalla prima

edizione, infatti, l’hashtag #IlBossDelleCerimonie balza tempestivamente in vetta ai

trending topic italiani, coinvolgendo, come del resto accade per tutte le sue

trasmissioni di punta, anche i social media manager di Real Time che richiamano

all’attenzione gli utenti connessi ed i propri follower. Anche in occasione delle

repliche, che in genere dovrebbero attirare meno attenzione e pubblico, l’hashtag in

questione riesce ad entrare facilmente nei trending topic, conferma della potenza

social di Don Antonio e del suo staff. Ma se Il Boss riscuote successo sui social,

l’altro lato della medaglia vede la trasmissione come lesiva e dannosa per

l’immagine di Napoli e dei napoletani, relegati, secondo le critiche più veementi, ad

uno stereotipo fatto di trash ed esagerazione connesso ad un livello culturale

piuttosto basso. In molti hanno osteggiato la scelta di rappresentare soltanto una parte

delle usanze partenopee in fatto di celebrazioni e nozze, ma è pur vero, tuttavia, che

lo spaccato di realtà raccontato da Real Time è, per l’appunto, una delle sfaccettature

presenti nel modus vivendi partenopeo65. L’emittente, infatti, già prima che fosse

trasmesso Il Boss delle Cerimonie si era distinta per format simili, come ad esempio

Il Mio Grosso Grasso Matrimonio Gipsy, che testimonia lo sfarzo kitsch e trash delle

nozze celebrate nelle comunità gipsy americane. Oltretutto, Real Time è sempre stata

molto attenta all’universo del wedding, esplorato in tutte le sue sfumature,

dall’aspetto strettamente organizzativo, a quello legato alla competizione tra spose,

senza dimenticare format focalizzati sulla scelta dell’abito: il Boss delle Cerimonie

65 http://www.maridacaterini.it/news/2104-il-boss-delle-cerimonie-e-le-polemiche-infiammano-i-social-network.html, in data 13/02/2016

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rappresenta un ulteriore evoluzione del racconto legato al mondo del matrimonio, la

chiosa ideale di un quadro che tiene insieme come trame di una tela unitaria

sfumature diverse e complementari66. Ad infiammare le polemiche degli utenti

napoletani colpiti da tanto trash sono stati soprattutto i sospetti trascorsi malavitosi

del resort nel quale sono ambientate le puntate, soggetto qualche anno prima della

messa in onda a ordinanze e sequestri giudiziari per abusi e lottizzazione edilizia67.

L’effetto negativo subito dalla Social Tv in questione ha visto successivamente

l’apertura di numerosi gruppi su Facebook recanti titoli simili a Chiediamo la

chiusura de Il Boss delle Cerimonie, nel quale si raccoglievano adesioni per indurre

l’emittente a cancellare dai propri palinsesti il format in questione. Un’operazione

che, come possiamo immaginare, non è andata a buon fine. Accanto all’indignazione,

la maggior parte degli utenti, campani e non, ha accolto la trasmissione con ironia e

sportività, accettando di buon grado il racconto di quella che, a tutti gli effetti,

rappresenta comunque una porzione veritiera del contesto culturale d’appartenenza.

L’operazione messa in atto da Real Time, infatti, è paradossalmente uno stimolo ad

attivare categorie cognitive ed educative che consentano all’utente-spettatore di

discernere lo stereotipo dalla realtà, una prerogativa che un pubblico alfabetizzato e

avvezzo alle dinamiche del web e dei social network in particolare, dovrebbe aver

già incamerato sin dall’età scolare. La Social Tv ha in tal senso aiutato la

trasmissione di Real Time ad emergere dalla coltre di polemiche, dato che il pubblico

social tende e preferire programmi dal retrogusto trash per commentarli, prenderne le

66 Personaggio di punta dell’emittente è, infatti, Enzo Miccio, tra i più prestigiosi wedding planner italiani al timone, per l’appunto, della trasmissione Wedding Planner. Si ricordano inoltre format come Quattro Matrimoni, versione italiana, inglese o statunitense e Abito da Sposa Cercasi, anche questo in versione italiana o internazionale. 67 http://www.roadtvitalia.it/il-boss-delle-cerimonie-e-lo-sdegno-degli-spettatori-napoletani/, in data 13/02/2016

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distanze o analizzarli nelle loro componenti culturali, dando prova alle altre comunità

di utenti, magari provenienti da altre regioni o contesti geografici differenti,

dell’esistenza di uno o più aspetti della propria appartenenza. Lo stereotipo regionale,

infatti, non è un’assoluta novità dei palinsesti televisivi, Il Boss delle Cerimonie non

ha portato in tv un’immagine negativa di Napoli e del suo entroterra, ne ha

semplicemente raccontato una parte, rumorosa, kitsh, trash e caotica, ma comunque

veritiera.

Al di là delle polemiche sorte in merito ai presunti stereotipi promossi da Real Time,

l’emittente sembra aver fatto centro con le avventure di Don Antonio Polese e

relativo staff, tanto che la prima puntata della serie, andata in onda il 10 gennaio

2014, ha totalizzato ben 658000 telespettatori, con uno share del 3,6% nella prima

parte e del 4,5% nella seconda, cifre record per un programma che va in onda dopo le

23:00, in seconda serata inoltrata su un’emittente relativamente nuova e certo non

avvantaggiata dal cosiddetto LCN-Logical Channel Numbering68, essendo trasmessa

sul canale trentuno del Digitale Terrestre.

Il successo della trasmissione è cresciuto puntata dopo puntata, totalizzando tre serie

durante le quali dalle nozze si è passati anche al racconto di altre ricorrenze. Ma non

solo. Don Antonio Polese, il vero mattatore, nonché Boss di cui si fa riferimento nel

titolo del format, è diventato uno dei volti di punta di Real Time, che ne ha fatto

testimonial di diversi messaggi, anche a sfondo sociale, diffusi sui suoi profili social.

Agli inizi della terza edizione del programma, andato in onda nella stagione autunno-

inverno 2015, si è diffuso in rete un video nel quale Don Antonio invitava gli utenti a

68 È una funzione presente in alcuni apparecchi televisivi (televisori, set-top box, videoregistratori, ecc.) che consente di assegnare automaticamente a ogni servizio televisivo ricevuto una posizione predefinita all'interno della lista che li elenca. Tale funzione è stata implementata in molti paesi.

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commentare su Twitter le puntate di cui era indiscusso protagonista69, scatenando

subito il fenomeno virale, complici il suo accento marcato, la pronuncia sui generis,

l’abbigliamento assai caratterizzante.

Le nuove serie del format hanno dato inizio ad ulteriori sviluppi narrativi che hanno

reso le feste e le vicende del Castello più dinamiche ed appetibili da un punto di vista

social, regalando al programma una drammaturgia inedita di cui Don Antonio è

indiscusso protagonista, dotato di comicità intrinseca e senso della scena. Nel corso

della terza stagione, infatti, Don Antonio si è recato dapprima in Calabria, per una

missione speciale a sostegno di Nicola Flotta, un altro Boss delle Cerimonie in seria

difficoltà: il compito di Don Antonio è stato quello di aiutarlo a rinnovare il suo

business. Dopo una breve vacanza rigenerante a Capri, il nostro Boss è stato

chiamato ad una missione ancor più coinvolgente, volando a New York per ritrovare

un amico emigrato oltreoceano molti anni fa. La trasferta americana di Don Antonio

ha avuto risvolti narrativi fuori da ogni previsione. Il proprietario de La Sonrisa è

venuto a contatto con la comunità italoamericana della Grande Mela, ha partecipato

ad un matrimonio celebrato in un Castello a stelle e strisce e ha incontrato il più

illustre Boss di Real Time, ossia Buddy Valastro, il Boss delle Torte che ha

appassionato il pubblico qualche tempo prima di Don Antonio70. Lo speciale

gemellaggio tra Don Antonio e Buddy, finalizzato ad un aggiornamento sulle

tecniche di produzione per le torte nuziali, è stato il fiore all’occhiello del palinsesto

69 https://www.facebook.com/realtimeitalia/videos/901917876512868/, in data 13/02/2016 70 Il boss delle torte (titolo originale Cake Boss) è un reality show a puntate di genere documentario e culinario. È centrato sull'attività della famiglia italo-americana Valastro, di origini siciliane e pugliesi, che si occupa di pasticceria ed è specializzata nella confezione di torte scenografiche per ogni occasione. Il set è collocato a Hoboken, New Jersey, nella Pasticceria da Carlo (così chiamata nella versione italiana del reality. Nome originario Carlo's Bakery), fondata nel 1910 da Carlo Guastaferro e acquistata nel 1964 da Bartolo "Buddy" Valastro Sr. Le serie dello show sono andate in onda in Italia fin da 2009 sulla rete televisiva Real Time. Originariamente il reality show va in onda sulla rete televisiva americana TLC.

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di Real Time, che ha strutturato una collaborazione osmotica e vincente tra due dei

programmi e dei volti più amati dell’emittente, convogliandone attenzioni,

apprezzamenti ed ironia anche sui social network. Il tutto, infatti, è stato

documentato in tempo reale sugli account social di Real Time, una degna

conclusione della terza stagione andata in onda l’11 dicembre 2015 in formato extra.

Anche in questo caso, la promozione della puntata speciale è stata affidata in gran

parte ai video virali diffusi tramite social, con un Don Antonio impegnato a

cimentarsi con la lingua inglese, un canovaccio di spunti per generare meme, hashtag

e photo frame da condividere e postare sui propri profili. In particolare, lo spot in cui

Don Antonio si esibisce in un personalissimo I want You, ha totalizzato oltre 17 mila

like e circa 10 mila condivisioni, un vero record personale per il Boss de La

Sonrisa71.

In occasione delle festività natalizie del 2015, inoltre, insieme agli altri volti di Real

Time come Benedetta Parodi, Enzo Miccio e Carla Gozzi, Don Antonio ha augurato

a tutti gli spettatori di trascorrere delle serene feste, naturalmente alla sua maniera. Il

vero colpo di genio messo a punto da Real Time, tuttavia, è stato quello di schierare

Don Antonio a favore delle Unioni Civili in occasione della campagna Real Love e

della promozione di #DiFattoFamiglie, format in cui si raccontano esperienze di vita

familiare tra coppie di fatto. Nella clip diffusa il 30 gennaio 2016, giorno in cui si è

svolto il Family Day72 al Circo Massimo di Roma, Don Antonio esprime la sua

vicinanza a tutte le forme d’amore, guadagnandosi simpatia, e forse anche stima, da

ampie fasce di utenti. Avvicinare il Boss ad un tema socialmente rilevante lo ha

71 http://www.ilmattino.it/spettacoli/televisione/boss_cerimonie_napoli_usa-1402447.html, in data 13/02/2016 72 La locuzione «Family Day» indica diverse manifestazioni organizzate in Italia in difesa dei valori tradizionali cattolici della famiglia e in contrapposizione all'estensione dei diritti per le famiglie omosessuali.

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riscattato dalle accuse mosse in passato, elevandolo ad icona di libera espressione,

per quanto altamente pittoresco e connotato in un contesto specifico. Operazioni,

queste, che mettono in atto la vera essenza della televisione contemporanea,

proiettata in un’ottica crossmediale che fa dei social network, e dunque della Social

Tv, il canale preferenziale e più efficace per generare engagement e sentiment da

parte dei telespettatori, coinvolti dapprima sul piano cognitivo e, successivamente,

sul versante emotivo.

Accanto ai commenti diffusi con l’hashtag ufficiale della trasmissione ed ai video

postati sugli account di Real Time, Il Boss delle Cerimonie vanta un cospicuo seguito

anche sui canali paralleli, vista la presenza di pagine e profili ad hoc creati per

celebrare, è il caso di dire, le cerimonie allestite presso il Castello. Tra le pagine di

maggior successo si ricorda L’Ignoranza del Boss delle Cerimonie, contenitore social

che raccoglie tutto il meglio (o il peggio) delle puntate trasmesse in televisione. La

pagina ha totalizzato in poco meno di due anni circa quasi 140000 like73,

coinvolgendo gli utenti tramite posting di meme con le citazioni più eclatanti tratte

da ciascun episodio, di brevi montaggi video ancor più ironici dell’originale, e, dulcis

in fundo, con le pagelle di ciascuna cerimonia: sposi, parenti, staff e altri personaggi

coinvolti nei preparativi della festa sono sottoposti all’esame attento degli admin

della pagina, un appuntamento fisso che gli utenti premiano mediante like,

condivisioni e commenti. L’alto tasso di realismo, inoltre, è stato testimoniato dagli

interventi diretti dei protagonisti delle puntate, che hanno spesso intavolato

discussioni e botta e risposta a colpi di commenti pungenti con gli utenti colpevoli di

aver criticato scelte ed ambientazione delle nozze. Ingredienti vincenti per un format,

in questo caso social, di successo. Accanto ai fenomeni sviluppatisi online, è 73 Dati aggiornati a febbraio 2015

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opportuno ricordare, sempre nell’ottica crossmediale di cui si è fatto riferimento, gli

episodi offline che sanciscono il successo del Boss delle Cerimonie. In occasione del

Carnevale 2016, infatti, sono state numerose le testimonianze di travestimenti che

ricalcavano le fattezze di Don Antonio Polese, con tanto di documenti fotografici

postati sui social network74. Un episodio, quest’ultimo, che conferma la valenza de Il

Boss delle Cerimonie come vero e proprio fenomeno di costume, oltre che emblema

della Social Tv e della versatilità dei palinsesti della televisione contemporanea.

3.3 Festival di Sanremo 2016, il media event all’italiana che mette

d’accordo Auditel e Social Tv

Tutti cantano Sanremo. È questo lo slogan che ha accompagnato la sessantaseiesima

edizione del Festival della Canzone italiana di Sanremo, condotto per il secondo

anno di fila da Carlo Conti. Considerando però il successo di pubblico riscosso, è il

caso di dire Tutti guardano Sanremo. Le cinque serate dedicate alla manifestazione

canora più attesa della televisione italiana, andate in onda dal 9 al 13 febbraio 2016,

hanno sbaragliato la concorrenza oltre ogni previsione, segnando record d’ascolti ed

interazioni senza precedenti. I fattori del successo sono diversi e molteplici, occorre

soffermarsi su ciascuno di essi, spalmati su diverse prospettive, sia culturali che

strettamente mediologiche.

Reduce dagli ottimi risultati riscontrati con la precedente edizione, Carlo Conti ha

lasciato la formula pressoché invariata, rinnovando il cast che lo ha affiancato nel

corso delle puntate: se nel 2015 la scelta dei co-conduttori era ricaduta sulle ultime

donne vincitrici del Festival, ossia Emma e Arisa, prime rispettivamente nel 2012 e

74 http://www.napolitoday.it/cronaca/carnevale-2016-costume-boss-delle-cerimonie.html, in data 13/02/2016

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nel 2014, quasi a rispettare la classica equa ripartizione tra bionda e mora, l’edizione

del 2016 ha visto un parterre di conduzione ben più nutrito, costituito da Gabriel

Garko, tra i volti più amati della fiction italiana, Madalina Ghenea, modella e attrice

rumena già nota al pubblico italiano e la brillante comica ed imitatrice Virginia

Raffaele. L’annuncio del cast aveva già incuriosito il pubblico, data la popolarità di

Gabriel Garko e Virginia Raffaele, a loro modo fortemente caratterizzati nel

palinsesto italiano. Inoltre, un incidente che ha visto coinvolto Garko qualche giorno

prima dell’inizio del Festival75, ha alimentato ulteriormente l’attesa. Anche la prima

diffusione della lista dei Big in gara, avvenuta il 13 dicembre 2015 nel corso de

L’Arena di Massimo Giletti aveva gettato benzina sul fuoco, annoverando artisti

notoriamente in contrasto tra loro, come Morgan dei Bluvertigo ed Elio, oppure

gruppi sciolti e nuove formazioni, come nel caso di Alessio Bernabei, ex frontman

dei Dear Jack presentatosi da solista, gareggiando proprio contro i suoi compagni di

squadra, che nel frattempo hanno assoldato una nuova voce, Leiner Riflessi.

Oltre agli aspetti legati alla gara, a movimentare i salotti televisivi e il buzz sui social

network anche l’annuncio della partecipazione di Elton John tra i superospiti della

prima puntata: l’inizio del Festival, infatti, ha coinciso con la discussione in Senato

del ddl Cirinnà sulle Unioni Civili, argomento molto vicino al cantautore britannico,

omosessuale e padre di due bambini. Il suo intervento sul palco dell’Ariston sarebbe

stato, secondo le critiche più accese, un espediente per cavalcare l’onda dell’attualità.

Un’operazione riuscitissima, in ogni caso, per attirare l’attenzione del pubblico e

coinvolgere gli spettatori.

75 La villa in cui risiedeva l’attore è stata colpita da un’esplosione, forse dovuta a una fuga di gas, a causa della quale la proprietaria di casa ha perso la vita. Gabriel Garko è stato ricoverato in ospedale pur non avendo subito particolari danni.

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Una vigilia così carica d’attesa è un ottimo banco di prova per il Carlo Conti bis, che

la sera del 9 febbraio non delude le aspettative dell’azienda: boom di ascolti per la

prima puntata del Festival, che raggiunge in media 11.135.000 di spettatori per uno

share del 49%, con picchi pari al 50%, arrivando a 12.551.000 nella prima parte del

programma76. Il mondo della Social Tv risponde con lo stesso grado di

partecipazione, facendo registrare cifre da record anche sulle piattaforme di sharing

online. Il re dei commenti, delle critiche e delle citazioni, è stato a sorpresa Gabriel

Garko, presentatosi piuttosto goffo rispetto all’immagine impeccabile alla quale il

pubblico è abituato: l’umanizzazione di Garko, per così dire, ne ha fatto crescere la

popolarità serata dopo serata, complice una rielaborazione delle critiche in chiave

autoironica, tentativo apprezzato dal pubblico di first e second screen. Messaggi

positivi invece per Virginia Raffaele, che ha debuttato offrendo una riuscitissima

imitazione di Sabrina Ferilli, un espediente che, in termini di hype e attese ha lasciato

ai telespettatori la curiosità sulle imitazioni delle serate successive. Plauso e lodi

anche per i superospiti Laura Pausini ed Elton John, presenti tra le tendenze con

relativi hashtag. I messaggi diffusi sui social network con argomento Sanremo sono

stati, almeno nella prima serata, circa 660 mila, più di 100 mila in più rispetto alla

precedente edizione. Per l’occasione, su Twitter, è stata creata un’emoticon apposita

che compariva accanto all’hashtag ufficiale della kermesse, ossia #Sanremo2016.

L’attenzione social del pubblico si è ben distribuita nel corso dell’intera prima serata,

facendo però registrare picchi d’interazione in due occasioni particolari, come si nota

dal grafico realizzato da BlogMeter:

76 Dati ufficiali Auditel.

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L’engagement è vistosamente aumentato anche sui profili social di Sanremo, che, su

Facebook ha acquisito oltre ventottomila fan dopo la prima serata, con un incremento

del 75% delle interazioni rispetto al 2015. Se l’acquisizione di nuovi follower su

Twitter è stata inferiore rispetto all’anno precedente, la partita più interessante si è

giocata su Instagram, che ha generato oltre dodicimila interazioni e oltre quattromila

follower, complici i post destinati soprattutto a un pubblico di giovanissimi: lo scatto

più commentato e apprezzato, infatti, riguardava Lorenzo Fragola, cantautore

proveniente dalla fucina di X Factor e teen idol nostrano.

Nella seconda serata si consuma il vero record: Carlo Conti, primo nella storia del

Festival, riesce a superare se stesso, facendo registrare share più elevato rispetto alla

serata di debutto: 12.391.000 spettatori per uno share del 50%. Un effetto positivo

ricaduto anche sul DopoFestival, condotto per l’occasione da Nicola Savino e dalla

Gialappa’s Band, con medie d’ascolto di oltre due milioni di telespettatori per ogni

serata, cifre record considerando che la trasmissione va in onda tradizionalmente a

notte inoltrata.

Il trend positivo continua anche sui social network, complice l’imitazione di Virginia

Raffaele, cimentatasi nei panni di Carla Fracci e del superospite Eros Ramazzotti. Le

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menzioni e gli hashtag dedicati a Sanremo 2016 continuano a spopolare su Twitter,

facendo registrare ancora notevoli incrementi rispetto all’edizione del 2015, come si

nota dall’infografica di Nielsen Twitter Tv Ratings:

Il ritmo di crescita rilevato per il Festival di Sanremo 2016 si mantiene costante per

tutto il corso della manifestazione, aiutato dalle sempre originali imitazioni della

Raffaele, cimentatasi nei panni di Donatella Versace e di Belen Rodriguez, cavallo di

battaglia di sempre, e dalle gaffe involontarie di Gabriel Garko, perenne oggetto di

discussione sui canali social. Il pubblico si mantiene sempre superiore ai 10 milioni

di telespettatori, con uno share al di sopra del 40%, cifre record per la televisione

dell’era digitale. Il fenomeno più interessante si è rilevato, tuttavia, per la serata

finale del 13 febbraio, caduta in concomitanza con la sfida più attesa del campionato

di calcio di Serie A tra Napoli e Juventus. Da un lato il successo di Auditel, con un

ascolto medio pari a 11.222.000 spettatori e uno share del 52,5%, dall’altro, il

dominio assoluto della Social Tv condiviso con la partita di Campionato. Il big

match di Serie A, utile alla conquista del primo posto in classifica ha generato, con

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l’hashtag #JuveNapoli, oltre centomila tweet inviati da 27 mila autori unici nel corso

della sua durata, un risultato che, sommato alle cifre e alle interazioni del Festival di

Sanremo ha fatto sì che i due eventi monopolizzassero la Social Tv raggiungendo

insieme il 92% delle menzioni e dei messaggi condivisi sulle piattaforme social. Le

menzioni al Festival di Sanremo, infatti, hanno raggiunto invece quota 603.500 tweet

e oltre 71 mila autori unici, con una notevole crescita del target under 34, con un

picco di quasi 4400 tweet al minuto all’annuncio della classifica provvisoria e dei tre

big in corsa per il primo posto.

La profilazione dell’audience effettuata da Nielsen lascia intravedere segnali di forte

rinnovamento nella ricezione e nell’engagement che hanno interessato il Festival:

Se consideriamo i soli contenuti dei tweet inviati, con o senza hashtag ufficiale, la

cifra arriva a sfiorare i 4 milioni di messaggi, con cifre ragguardevoli anche per gli

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hashtag relativi ai titoli delle canzoni, prime fra tutte #noisiamoinfinito e

#finalmentepiove, rispettivamente brani in gara di Alessio Bernabei e Valerio Scanu.

Per quanto riguarda i conduttori, il più citato è stato Gabriel Garko, che si è

guadagnato la simpatia del pubblico e un incremento delle interazioni sui suoi canali

social, diventando, al contempo, il principale bersaglio di critiche negative. La più

amata è stata, invece, Virginia Raffaele, apprezzata soprattutto per aver scelto, nella

serata finale, di vestire i suoi panni, abbandonando le imitazioni. Il padrone di casa

Carlo Conti e Madalina Ghenea, invece, hanno registrato notevole incremento sui

propri profili instagram (BlogMeter):

Accanto alle performance strettamente legate ai contenuti televisivi e alla gara

canora, tuttavia, la sessantaseiesima edizione del Festival va ricordata anche per

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fenomeni a latere che ne hanno ampliato la portata innovativa sia sul piano della

comunicazione che sulle attese e coinvolgimento del pubblico. Sanremo 2016 è stato

innanzitutto il Festival dell’arcobaleno: si è fatto riferimento al clima politico che ha

interessato il periodo del Festival, un momento storico che non è sfuggito agli artisti

in gara e agli ospiti che, guidati dall’apripista Noemi, hanno esibito simboli rainbow

a sostegno delle unioni civili. La volontà di schierarsi apertamente sul palco più

importante del paese non è sfuggita al popolo social che subito ha lanciato l’hashtag

#sanremoarcobaleno, tra i più diffusi della manifestazione canora. Un altro

tormentone del Festival è stato Peppe Vessicchio, il maestro d’orchestra ormai

storico simbolo della kermesse che, non essendo comparso nel corso della prima

puntata, ha scatenato l’ironia della rete, pronta ad una petizione per averlo sul palco:

numerosi gli hashtag utili ad invocarlo, il più diffuso su tutti è stato

#uscitevessicchio. Il risultato si è concretizzato nelle ripetute standing ovation a

favore del Maestro ogniqualvolta che Carlo Conti annunciava il suo nome.

Altre aziende, invece, hanno utilizzato la Social Tv sanremese come volano di

viralità e visibilità tramite social attraverso campagne di digital marketing ben

strutturate e in sintonia perfetta con il clima instauratosi nell’ambiente media

nostrano nel corso della settimana sanremese. Il primo caso da prendere in

considerazione è la strategia messa in atto dal birrificio danese Ceres, noto al

pubblico social per le iniziative di instant marketing innovative e originali. Il brand

ha lanciato l’hashtag #sanremoceres appositamente dedicato al Festival, utilizzandolo

per ogni post relativo alla kermesse, ma non solo: Ceres ha deciso di coinvolgere

concretamente il pubblico allestendo una sede di live printing in un edificio vicino al

teatro Ariston, esponendo ogni pomeriggio, dal 9 al 13 febbraio 2016, uno striscione

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dedicato al Festival e ai singoli cantanti (lo striscione dedicato a Lorenzo Fragola, ad

esempio, recitava “Fragola e Ceres, merenda dei campioni”). L’azienda ha così

attirato l’attenzione del popolo social, degli influencer, chiamati a twittare e

testimoniare il tutto tramite post brandizzati e i cantanti stessi accorsi sul balcone

allestito dagli addetti alla comunicazione del brand.

Più tradizionale ma comunque molto orientata alla Social Tv è stata la strategia

proposta dalla compagnia di volo Vueling, che ha creato meme e immagini dedicate

ai big del Festival. L’originalità sta nella scelta di slogan ed esortazioni riferite

direttamente ai brani in gara:

Un’edizione del Festival, dunque, che ha coinvolto diversi apparati di produzione e

comunicazione, anche al di fuori della fruizione audiovisiva77.

77 http://www.insidemarketing.it/laltro-lato-social-divertente-sanremo2016_13179/, in data 18/02/2016

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I veri vincitori del Festival, tuttavia, secondo le opinioni più diffuse e dati concreti a

misura di social engagement, sono stati i videomaker partenopei del gruppo the

Jackal, considerati mattatori a distanza di Sanremo 2016. Divenuti famosi a livello

nazionale con le parodie di Gomorra-La serie, con i siparietti comici di Gay Ingenui,

Negri Sbiaditi, Nipples, nonché autori di una delle prime web serie nostrane, ossia

Lost in Google, i Jackal possono vantare nel proprio parterre di collaborazioni volti

noti del mondo della cultura e dello spettacolo, quali Alessandro Cecchi Paone, Max

Pezzali, Malika Ayane e Roberto Saviano. Forti di questa notorietà ben salda nel

mondo social, i Jackal hanno deciso di ampliare la propria attività d’interazione e

Social Tv relativa al Festival, caratterizzata da post e status irriverenti: gli sciacalli

hanno lanciato ai big in gara esilaranti sfide incitandoli a pronunciare frasi

improbabili tratte dai loro video più famosi al termine di ciascuna esibizione canora.

Le vittime designate, ossia Noemi, Clementino, Dear Jack e Zero Assoluto, hanno

accolto positivamente l’invito, scatenando l’ilarità del web ad ogni missione

compiuta dai Jackal. Alla vigilia di ogni serata, infatti, gli utenti interagivano sulla

pagina Facebook dei videomaker chiedendosi chi fosse il prossimo artista coinvolto,

azionando un meccanismo di Social Tv che ha invertito la priorità degli schermi: la

televisione diventa un second screen nel quale veder concretizzate le aspettative

espresse e meditate nell’area social, trasformata in first screen. Il momento più

esilarante della missione condotta dai Jackal, tuttavia, si è consumato nel corso della

serata finale, il 13 febbraio. Il team partenopeo lancia la sfida più difficile della

kermesse a Guglielmo Scilla, in arte Willwoosh, che da famoso youtuber è diventato

protagonista di Baciato dal Sole, fiction in prima serata di Rai Uno. A Scilla l’arduo

compito di rivolgere una domanda direttamente al conduttore Carlo Conti, ossia Hai

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mai cercato Google su Google?. L’espressione perplessa di Conti dinanzi al bizzarro

interrogativo ha consegnato lo scettro di dominatori assoluti del Festival ai The

Jackal, comparsi, tra l’altro, nella sezione relativa alle Curiosità della

sessantaseiesima edizione del Festival di Sanremo pubblicata su Wikipedia. Il

potenziale di engagement generato dai Jackal è stato intuito positivamente dall’attore

e doppiatore Luca Ward che ha interagito e commentato attivamente, come un utente

qualsiasi, le vicende social delle ormai affermate star del mondo social nostrano.

Il riferimento a Carlo Conti nel raccogliere i meriti di questo successo di audience è

d’obbligo. Per quanto il presentatore toscano sia fortemente connotato nell’ottica del

servizio pubblico, mai sopra le righe, garbato, accomodante e familiare, è comunque

riuscito a coinvolgere un pubblico giovane nella fruizione, anche critica, del Festival,

che da tempo lamentava una forte lacuna di audience tra gli strati di pubblico under

34. Carlo Conti ha ascoltato le esigenze della rete, accogliendo come superospite

Cristina D’Avena, la maggiore interprete italiana delle sigle dei cartoni animati,

richiesta tramite petizione online nei mesi precedenti, mostrandosi al passo con i

tempi nel presentare cantanti e artisti internazionali la cui popolarità è stata

declamata non in base alle copie vendute, ma alle visualizzazioni totalizzate su

YouTube. Un linguaggio moderno che non ha leso l’immagine rassicurante della rete

ammiraglia Rai.

L’esplosione social di Sanremo 2016 è valsa inoltre per definirlo come il Festival dei

Millennials. E alla modifica dello slogan iniziale di cui si è fatto riferimento

all’inizio del paragrafo, da Tutti cantano Sanremo a Tutti guardano Sanremo, se ne

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aggiunge un’altra: Tutti twittano Sanremo78, o quanto meno, lo commentano in

diretta.

3.4 Pillole di Social Tv: piccoli media event crescono

Si è già notato che, negli ultimi anni, la maggior parte delle trasmissioni televisive si

sia dotata di apparati social più o meno efficienti, garantendosi la presenza sulle

principali piattaforme di condivisione. Il grado di engagement, tuttavia, non è uguale

per tutti, vi sono programmi che, per loro natura intrinseca e, si potrebbe dire, per

contratto, riescono ad avere appeal social molto più spiccato rispetto ad altri, più

deboli da quel punto di vista. Vi sono però occasioni ed episodi particolari in cui

anche i programmi apparentemente più deboli o meno esposti al buzz social riescono

a diventare dominatori della Social Tv seppur per un arco di tempo limitato o una

cornice narrativa ben definita. Si riportano alcuni casi utili a comprendere il

fenomeno, sistemati in ordine di portata innovativa ed effetto eclatante sul pubblico e

sulle sorti di emittenti, addetti ai lavori e utenti coinvolti.

Partiamo con il caso scoppiato in rete tra Report, la trasmissione di giornalismo

d’inchiesta condotta da Milena Gabanelli su Rai Tre ed Eni, impresa integrata nella

produzione energetica. La puntata del 13 dicembre 2015 ha avuto come tema

principale l’acquisizione da parte di Eni di una licenza per effettuare esplorazioni a

largo della Nigeria per trovare nuovi giacimenti petroliferi, con presunte implicazioni

giudiziarie. Altra inchiesta della puntata in questione ha riguardato il piano di

dismissioni che Eni sta seguendo per cedere alcune delle sue attività non ritenute più

rilevanti. Per quanto non siano state lanciate vere e proprie accuse, l’azienda leader

78 http://www.engage.it/social/sanremo-2016/59156, in data 18/02/2016

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della produzione energetica italiana ha deciso di rispondere a Report per le rime,

mettendo in atto una strategia social senza precedenti. Mentre in televisione andava

in onda il dossier di Luca Chianca su quella che “si sospetta essere una delle più

grosse tangenti mai pagate al mondo”, dall’account Twitter di Eni Energia, alle 21:52

partiva il primo tweet di difesa, “@reportrai3 parla di #Eni. Qui il dossier con le

nostre info, anche quelle che la trasmissione non vi dirà

http://www.eni.com/it_IT/media/dossier/dossier-report-13-12-2015.html …

#Report”.

Questo è stato il primo di una lunga serie di tweet mandati in rete nel corso della

trasmissione, con brevi intervalli. Ciascun tweet riportava dati, grafici, informazioni,

documenti che testimoniassero la regolarità delle operazioni condotte da Eni,

discolpando così l’azienda da quanto affermato su Report. La difesa si è articolata in

forma innovativa per un programma d’inchiesta, portando gli spettatori a spalmare le

proprie attenzioni tra first e second screen. I tweet di Eni hanno rispettato una

tempistica ben precisa, dopo il primo ne sono seguiti altri cinque nella fase iniziale

compresa tra le 21:58 e le 22:06, per poi passare alla fase finale individuata tra le

22:37 e le 22:42, quest’ultima più breve ma intensa, senza considerare i tweet di

risposta ai messaggi lanciati dall’account ufficiale di Report79. Tra le accuse mosse

alla trasmissione di Milena Gabanelli anche quella di non aver dato opportunità di

replica all’azienda, ed è su questo punto che si focalizza la prima risposta di Report,

“I programmi d’inchiesta non sono talk show” è il messaggio diffuso da un account

a nome della giornalista volto di Rai Tre, rivelatosi poi un profilo fittizio,

costringendo la Rai ad una rettifica arrivata però con ventiquattro ore di ritardo. È su

questa risposta, seppur fittizia che, tuttavia, si è articolato il dibattito in rete tra gli 79 http://www.webnews.it/2015/12/14/report-eni/#, in data 16/02/2016

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utenti, fino ad arrivare alla risposta ufficiale di Report, ossia la pubblicazione dell’e-

mail con la quale Eni avrebbe rifiutato di rispondere alle domande inviate dalla

redazione. A questo punto entra in campo anche Andrea Vianello, direttore di Rete,

con replica tempestiva di Marco Bardazzi, responsabile della Comunicazione di Eni

e, probabilmente, della strategia messa in atto nel corso della trasmissione.

I messaggi più retwittati della serata sono stati quelli diffusi dall’account di Report,

con un picco di 239 retweet per il primo tweet “Eni sta scrivendo il falso. Hanno

rifiutato l’invito con attese e richieste andate avanti per un mese”. Meno retwittati

ma di certo più rumorosi i tweet di Eni, il cui primo messaggio ha totalizzato oltre

145 retweet.

Per quanto entrambe le parti avessero ragione di difendere i propri punti di vista, il

fenomeno messo in atto da Eni è una riuscitissima operazione di fact checking in

tempo reale, ossia smontare un’inchiesta in corso d’opera con dati e testimonianze

provate, dando vita a un precedente di cui i network televisivi, soprattutto nel

comparto dell’informazione, dovranno necessariamente tener conto. Eni ha ribaltato

e mescolato le carte in gioco della costruzione e diffusione di reportage giornalistici,

che in televisione ancora conservavano l’aura di inaccessibilità e certezza, nonostante

il sempre presente buzz sui social network. Al settore comunicazione di Eni va il

merito di aver difeso la propria identità davanti ai consumatori, assurgendo ad

esempio per altre aziende e consegnando alla Social Tv una sorta di dialogo B2B,

acronimo di Business to Business, nel quale gli spettatori hanno potuto assistere ad

una reale trasparenza delle informazioni, da entrambe le parti. L’ultima parola, è

ormai un dato di fatto, non appartiene più alla televisione.

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Dal taglio più ironico, ma decisamente più nocivo per l’immagine dell’azienda

televisiva è l’episodio legato al Capodanno festeggiato nel corso de L’Anno che

verrà su Rai Uno, rete ammiraglia della Televisione di Stato. Come ogni anno, le reti

televisive adeguano i palinsesti all’arrivo dell’anno nuovo, proponendo contenuti dal

taglio più frivolo e leggero: musica, spettacolo, giochi e puro enterteinment per

accompagnare gli spettatori fino ed oltre la mezzanotte. L’arrivo del 2016 non è stato

roseo per Rai Uno, a causa di una congerie di errori ripetuti in successione che hanno

scatenato la rete e i social network anche la notte di Capodanno. L’Anno che verrà,

condotto in questo caso da Amadeus e Rocco Papaleo in diretta da Matera, location

scelta come Capitale Europea della Cultura nel 2019, ha messo in scena un teatrino

grottesco in cui ad autori e tecnici è stata addossata la responsabilità di un fallimento

d’immagine assicurato. Primo incidente di percorso in ordine cronologico è il forfait

di Claudio Lippi, terzo conduttore designato, per un malore che l’ha colpito poco

prima della trasmissione. L’annuncio è stato dato proprio in diretta. Veniamo ai due

episodi clou del Capodanno targato Rai. Il più eclatante, proprio perché evidente e

sotto gli occhi di tutti è stato l’annuncio della mezzanotte con oltre un minuto

d’anticipo, una gaffe provocata da un problema tecnico all’orologio, bloccato per

quattro minuti e ripartito con quaranta secondi d’anticipo. Su Twitter i telespettatori

si sono scatenati a colpi di battute e ironia, paragonando la trasmissione di Rai Uno

ad un famoso episodio della saga di Fantozzi durante il quale i musicisti di

un’orchestra diretta dal Maestro Canello, poiché coinvolti in altri festeggiamenti,

spostano l’orologio in avanti e fanno brindare il pubblico alle 22:30. L’hashtag

#Fantozzi, accanto a #Capodanno e #lannocheverrà balza subito tra i trending topic.

Il vero spettacolo in termini di audience e di Social Tv, tuttavia, si è svolto grazie ai

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messaggi comparsi in sovrimpressione, gli sms di auguri inviati dagli spettatori.

Accanto ad innocenti saluti e buoni propositi, sono comparsi una bestemmia a dir

poco oltraggiosa per i telespettatori più religiosi e lo spoiler di Star Wars-Il risveglio

della Forza, diffuso nelle sale cinematografiche proprio in quel periodo. Nonostante i

notevoli incidenti di percorso, il risultato di audience ottenuto ha decisamente

premiato la rete ammiraglia Rai, che ha totalizzato per il Capodanno in diretta da

Matera ben 8.810.000 spettatori, con uno share del 48,49%80.

Un risultato eccellente per la Rai, considerando il giorno particolare ma senza tener

conto dello stato d’animo con il quale il pubblico ha accolto la messa in onda, un

sentiment raccolto egregiamente dai social network che, anche stavolta, costringono

aziende ed emittenti a fare i conti con la verità.

Musica, premi e target di giovanissimi, invece, hanno determinato il successo

dell’emittente Mtv che, grazie agli Mtv Europe Music Awards 2015 condotti dal

cantautore britannico Ed Sheeran in diretta da Milano, ha concluso l’anno

attestandosi tra le reti social più forti del panorama televisivo italiano. La kermesse si

svolge ogni anno in diverse città europee, prevede la consegna di riconoscimenti

attribuiti a furor di popolo ai più degni rappresentanti del mondo della musica e, sin

dagli albori, attrae un pubblico di teenager e giovani fino ai trent’anni. Scegliere

Milano proprio nell’anno dell’Expo è stata una mossa vincente, il capoluogo

lombardo ha infatti concentrato su di sé le attenzioni del mondo intero anche sul

versante musicale, ospitando, oltre gli eventi previsti per l’Esposizione Universale e i

suoi padiglioni, anche spettacoli e iniziative legati all’evento targato Mtv.

80 http://tvzap.kataweb.it/news/150047/capodanno-su-rai-1-bestemmia-in-diretta-sospeso-il-responsabile/, in data 16/02/2016

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La diretta del 24 ottobre 2015 dal Mediolanum Forum di Assago e il relativo hashtag

#mtvema hanno generato in una sola sera oltre un milione di tweet in lingua italiana,

con un incremento del 400% rispetto all’edizione precedente. Una cifra record che di

fatto ha consacrato gli Ema’s come l’evento televisivo più social dell’anno. La

strategia social di Mtv è stata, come di consueto per la più giovane delle emittenti

televisive, accurata e oculata, a partire dalla fine di agosto 2015, periodo in cui è

stato chiesto agli utenti di votare i propri idoli per la categoria Biggest Fans tramite

Twitter utilizzando l’hashtag apposito, #mtvema per l’appunto. Il risultato si è

concretizzato negli oltre dieci milioni di tweet collezionati in due mesi. Buoni i

risultati di engagement anche su Facebook, dove la pagina ufficiale di Mtv Italia ha

ottenuto oltre 186 mila interazioni tra condivisioni, like e commenti, con un

incremento dell’88% rispetto al 2014. Le infografiche riportano i dati rilevati

dall’Osservatorio Social di BlogMeter:

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Nel 2014, quando fu annunciata da Glasgow la scelta di Milano per la diretta degli

Ema’s 2015, il pubblico social italiano aveva accolto la notizia generando oltre

duemila tweet al minuto, un preludio rivelatosi promettente visti i risultati concreti

riscontrati con l’evento stesso. I tweet di maggior successo sono stati rivolti all’idolo

dei teenager Justin Bieber, vincitore in numerose categorie. Altra scelta vincente di

Mtv è stata quella di assoldare youtubers e vlogger famosi come inviati direttamente

dal red carpet, mentre per quanto riguarda Instagram, è stata allestita un’area

apposita nel backstage dedicata ai selfie con i performer e i cantanti premiati nel

corso della serata, occasione utile a promuovere anche l’app Boomerang che

consente di scattare cinque foto in un secondo creando una sorta di loop video dagli

effetti esilaranti. In un’ottica pienamente crossmediale, inoltre, Mtv ha dato agli

utenti prosumers la possibilità di partecipare attivamente alla diretta, oltre che fornire

una concreta opportunità di farsi notare nel mondo dello spettacolo. L’iniziativa Mtv

Canvas, così come la precedente Mtv Bump, ha dato spazio agli user generated

content dei fan più affezionati, video mandati in onda durante gli spot pubblicitari81.

Gli Mtv Europe Music Awards 2015 sono stati a tutti gli effetti un evento a misura di

Millennials, per i contenuti e le logiche di fruizione, con le quali tutti gli schermi a

disposizione dell’utente si ponevano come first, ciascuno con i suoi contenuti

esclusivi e la possibilità di vivere la diretta in tempo reale. La vera essenza della

Social Tv.

81 http://www.osservatoriosocialtv.it/2015/11/25/mtv-ema-2015-la-nuova-social-tv-che-avanza/, in data 16/02/2016

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Una creatura assai strana e televisivamente singolare è, nella storia dei palinsesti

nostrani, la manifestazione canora internazionale denominata Eurovision Song

Contest, italianizzato in Eurofestival. Nata nel 1956 ed organizzata dall’Unione

Europea sulla base del Festival di Sanremo, la kermesse coinvolge artisti europei che

presentano un brano votato per il 50% dai telespettatori tramite televoto e per l’altro

50% dalla giuria costituita da rappresentanti di ciascuna nazione. L’Italia, che fa

parte dei cosiddetti Big Five, ossia i paesi fondatori della manifestazione, accede di

diritto alla fase finale della gara, trasmessa in eurovisione e anche in alcuni stati al di

fuori dell’Unione Europea. Nel nostro paese la finale dell’Eurovision va in onda su

Rai Due. Il clima festoso proposto dalla televisione, tuttavia, nasconde alti e bassi

che ne hanno in parte oscurato la storia, soprattutto in Italia: trasmesso

ininterrottamente fino al 1997, l’Eurovision ha subìto un periodo di oscurantismo nel

corso dell’intero primo decennio degli anni Duemila, a causa di presunti boicottaggi

da parte della Rai ai danni dei cantanti in gara a rappresentare l’Italia, dato che il

paese vincitore deve ospitare il festival l’anno successivo, pagando delle penali in

caso di rifiuto. L’episodio scatenante vide protagonisti i tanto discussi Jalisse,

vincitori del Festival di Sanremo e in gara per l’Italia all’Eurovision, vittime,

secondo i rumors, di sabotaggi interni come accadde nel 1993 ad Enrico Ruggeri82.

Dopo vari tentativi di riconciliare Rai e UER-Unione Europea Radiodiffusione,

durante i quali scese in campo anche Raffaella Carrà per ridestare curiosità nel

pubblico83, finalmente, nel 2010, l’allora Direttore di Rai Due Massimo Liofredi,

durante la presentazione di X Factor, annuncia il ritorno dell’Italia tra i partecipanti

82 Il cantautore milanese farà riferimento all’accaduto in Piccoli Mostri, raccolta di racconti pubblicata nel 2000. 83 Nel settembre 2008 Raffaella Carrà, reduce da successi televisivi in Spagna, chiese ed ottenne di poter ospitare all'interno di Carràmba! Che fortuna un cantante o gruppo che ha preso parte all'Eurovision Song Contest 2008.

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all’Eurovision Song Contest. Il nuovo debutto dell’Italia avviene così nel 2011 con

Raphael Gualazzi sul palco di Dusseldorf, in Germania, classificandosi secondo in

volata finale.

Il ritorno dell’Eurovision sui nostri schermi televisivi avviene in un momento storico

molto particolare per la televisione nostrana, che proprio in quel periodo muove i

suoi primi passi nel mondo della Social Tv e della twittercronaca, che trova

nell’Eurovision un piatto assai ricco per sperimentare la tecnica del second screen.

Le scenografie e l’offerta musicale proposte dalla kermesse, notoriamente kitsch e

pompose, inoltre, costituiscono sin da subito l’ingrediente vincente per una Social Tv

ante litteram, complice anche la diretta in streaming commentata dagli admin di

Twittercronaca, account deputato al commento in tempo reale. Uno dei risultati più

sorprendenti di questa attività di live tweeting furono l’engagement di nuovi

telespettatori attraverso gli hashtag #ESCita o #Eurofestival, balzati in trending topic

ed il conseguente rovesciamento, se così lo si vuole definire, della logica first-second

screen: la curiosità suscitata dall’hashtag di successo ha portato molti utenti ad

accendere il televisore per capire di cosa realmente si trattasse. Ancora una volta,

tuttavia, i contributi ironici twittati a discapito di variopinte popstar provenienti

dall’Est europeo, hanno giocato la parte più importante nello svolgersi in fieri

dell’attività di Social Tv. A commentare il ritorno della kermesse sulla televisione

italiana, Raffaella Carrà in diretta da Roma, affiancata dagli opinionisti di Tv Talk e

dal dj francese Bob Sinclair, totalizzando per la finale del 14 maggio 1.291.000

telespettatori, con uno share del 6,42%.

Nel giro di pochi anni l’Eurovision Song Contest è diventato uno degli eventi più

attesi dai Social Tv addicted, con ottimi risultati sulle piattaforme di sharing, grazie

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anche alla partecipazione di artisti molto amati dal pubblico italiano: nel 2012 è stata

la volta di Nina Zilli, mentre nel 2013 è toccato a Marco Mengoni, già reduce da

numerosi premi di livello internazionale84 e vincitore del Festival di Sanremo. Nel

2014 la partecipazione di Emma Marrone, pur non essendo stata premiata dalla

classifica (la cantante salentina si è classificata soltanto ventunesima), ha riscosso

enorme successo su Twitter, consacrando l’Eurovision come il programma più social

della settimana di riferimento. I momenti più twittati sono stati l’esibizione di Emma

Marrone e la premiazione finale di Conchita Wurst, la cui esibizione ha rappresentato

uno degli spunti social più interessanti di quella edizione. La sintesi dei dati è ben

rappresentata dall’analisi di BlogMeter, che rileva anche gli autori unici e le

impressions dei tweet diffusi in rete:

Nel 2015 si è registrato il record d’ascolti italiano nella nuova era televisiva del

festival: la finale del 23 maggio, durante la quale si sono esibiti i tre tenori de Il

Volo, vincitori del Festival di Sanremo e rappresentanti in concorso per l’Italia, ha

ottenuto ben 3.292.000 telespettatori con uno share del 16,35%, mentre il picco

84 Il cantautore aveva già vinto nel 2010 il prestigioso riconoscimento di Best European Act agli Mtv Europe Music Awards.

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massimo si è rilevato all’apertura del televoto con quasi 5 milioni di telespettatori.

L’esibizione de Il Volo, come prevedibile, è stata la più seguita con i suoi 4.554.000

telespettatori, con un sensibile aumento del target di Millennials compresi tra i 15 e i

34 anni, i più attivi sui social network e i maggiori artefici delle pratiche di first e

second screen. A coronare il tutto, la conduzione di Federico Russo e Valentina

Correani, già volti noti di The Voice of Italy.

Scelta vincente, dunque, quella di riportare in auge l’Eurovision Song Contest

Festival, tanto da indurre la Rai a trasmettere l’edizione 2016 su Rai Uno, proprio

come accadde nel 1997, l’ultima edizione pre-Social Tv. A rappresentare l’Italia ci

sarà la cantautrice Francesca Michielin, seconda classificata a Sanremo e vincitrice

della prima edizione di X Factor nell’era Sky, la quinta in assoluto. Un volto già noto

agli utenti più attivi e attenti della Social Tv nostrana.

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Appendice

L’esperienza sul campo, al di là delle dissertazioni teoriche e delle ipotesi formulate

attraverso la ricerca, costituisce da sempre il metro di giudizio fondamentale per

avallare, smentire o implementare le analisi condotte su temi specifici. A fronte di

questa esigenza, che negli studi sulla Social Tv si rivela necessaria e aperta al

rinnovamento giorno per giorno, la chiosa ideale del presente elaborato si sviluppa

attraverso le testimonianze dirette di due esperti del settore, sia dal punto di vista

didattico e formativo, sia dal versante strettamente tecnico. Il contributo di Marco

Gorini e Andrea Materia chiarisce ed approfondisce la disamina sviluppata nel corso

delle pagine precedenti.

La formazione ai tempi dei new media: intervista a Marco Gorini85

L’educazione all’utilizzo formativo e professionale dei new media sembra essere la

missione quasi impossibile della contemporaneità. Sono ancora troppe le persone che

guardano all’universo social con un certo distacco, frutto delle categorizzazioni non

sempre positive partorite da una generazione di massmediologi poco aggiornati.

Orientarsi tra i network e le reti sociali può essere dunque considerata un’urgenza da

colmare a partire dai banchi scolastici ed accademici. Una forma mentis che di sicuro

appartiene al dottor Marco Gorini, docente ed esperto di New media e Marketing,

Laureato cum laude in Scienze della Comunicazione con una tesi sull’Intelligenza

85 Intervista pubblicata il 26 maggio 2014 sul magazine online Inside Marketing (http://www.insidemarketing.it/formazione-tempi-dei-new-media-inside-marketing-intervista-marco-gorini_3261/), aggiornata ed implementata ai fini dell’elaborato nel marzo 2016.

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Collettiva, si è guadagnato attestati di stima da Pierre Levy, teorico di maggior

spessore in materia. Attivo nell’ambito dell’event management e consulente in

comunicazione e formazione presso enti privati e pubblici, ha intrapreso un percorso

didattico e professionale nel vasto e affascinante mondo della comunicazione di

massa, un settore nel quale ha trovato stimoli per le proprie passioni e la giusta

collocazione per attuare i principi dell’intelligenza collettiva, a partire

dall’insegnamento.

New Media e Marketing: si tratta di un ambito didattico assai vasto e in costante

evoluzione. Un rischio per l’insegnamento?

Dal punto di vista didattico è sicuramente uno stimolo, è necessario mantenersi

sempre in aggiornamento ed essere attenti agli spunti d’attualità, soprattutto perché si

tratta di discipline strettamente legate allo sviluppo tecnologico e, in quanto tali,

vanno rinfrescate e rielaborate di volta in volta. Le prime lezioni che ho tenuto sono

ormai superate, per questo motivo la didattica diventa un continuo laboratorio di

conoscenza e un momento di formazione per me stesso.

Esistono ancora numerosi pregiudizi verso le Scienze della Comunicazione e lo

studio dei New media. Qual è la strategia giusta per ovviarli?

Sono dell’idea che le Scienze della Comunicazione debbano essere propedeutiche a

ciascun tipo di percorso formativo. L’attenzione a ciò che accade intorno a noi come

recettori di ruoli o informazioni necessita di un approccio di conoscenza al mondo

della comunicazione, sia nelle relazioni professionali, sia nella fruizione degli stessi

media. Sarebbe bello immaginare un anno di studi sulla Comunicazione prima di

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avvicinarsi a qualsiasi professione, basti pensare che consulenti esperti in materia

affianchino numerose figure professionali affini ad altri ambiti, proprio in virtù della

necessità di uno sviluppo concreto di questo ramo. Credo che il pregiudizio sarà

destinato ad assottigliarsi proprio nell’ottica di questa necessità di conoscenza senza

la quale si resta vincolati ad un solo settore, mentre la comunicazione è immanente a

qualsiasi attività.

Quali sono gli strumenti necessari affinché uno studente possa orientarsi in questo

mondo così complesso?

Già dalla scuola sarebbe opportuno sviluppare un senso critico, in relazione alla

laurea si rivelano necessarie capacità d’analisi, volontà di mettersi in gioco, fare

tesoro delle conoscenze in un’ottica di partecipazione nel mondo del lavoro,

cercando di assumere come momento di leadership anche la frequenza in aula. Lì si

possono applicare gli elementi base dell’intelligenza collettiva, come la fruizione

partecipata ed i feedback. È soprattutto necessario immaginare l’uso dei new media e

dei social come primo approccio al mondo del lavoro, come è accaduto con Skype:

dapprima era utilizzato come strumento di confronto tra colleghi, poi è diventato

canale preferenziale per le call conference d’ufficio, oppure pensiamo alla velocità

che la ricerca guadagna attraverso i nuovi strumenti deputati al caso. In questo,

tuttavia, i social network possono costituire una minaccia.

Oltre a studiare i new media si può studiare con i new media?

Si può e si deve, considerandoli come una fonte inesauribile di saperi, ma su questo

va operato un lavoro a monte: così come quando ci recavamo in biblioteca per

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scegliere i testi più vicini alle nostre attitudini, così anche sui social dobbiamo

pensare che ciascuna relazione equivalga ad una fonte, e considerando il tempo a

nostra disposizione va effettuata una selezione preventiva. Un contatto che non

costituisce interesse per la mia formazione o per le informazioni di cui ho bisogno è

soltanto una perdita di tempo prezioso, è inutile seguire troppi utenti se questi non

possono contribuire alla nostra crescita. I social diventano strumento di formazione

quando tendono ad ampliare e sviluppare concetti dell’intelligenza collettiva, quali

crowd, condivisione, costruzione di saperi e di piattaforme editoriali per la creazione

di nuovi contenuti.

Qual è in tal senso il gap della formazione italiana?

Il problema sta nei formatori. Se l’approccio ad uno strumento diverso rispetto alla

formazione, propria, di partenza è percepito come alterità, è perché non lo si conosce.

I docenti che non usano i new media sono destinati ad essere autoreferenziali ed

imbalsamati nei loro saperi, una distanza che ne ostacola la diffusione. Nella mia

ottica la docenza è una mentorship, più che una mera diffusione di conoscenze, è una

guida alla metodologia d’apprendimento. Chi non applica questa filosofia è estraneo

al Life Long Learning, l’evoluzione dell’insegnamento visto come una continua

scuola per cambiare ed imparare. L’idea di girare link utili ai tesisti tramite social

network, ad esempio, è utile a diffondere una conoscenza condivisa che altrimenti

andrebbe persa.

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L’ibridazione tra media diversi è un dato di fatto, soprattutto per quanto riguarda

il rapporto tra social network e televisione. In un’ottica formativa quale ruolo può

avere la Social Tv?

Non darei alla Social Tv un ruolo in ottica formativa, nel senso che interventi di

applicazione di Social Tv possono essere semplicemente immaginati come una

possibile declinazione di utilizzo dei social insieme ad un altro medium, in questo

caso la televisione. E’ difficile utilizzarla come strumento formativo quale potremmo

immaginare la radio, l’e-learning, o in funzione di un’erogazione di contenuti o

trasferimento di competenze. Se parliamo di formazione alludendo al rapporto tra

studente e docente, al versante strettamente accademico o alla formazione

professionale, entriamo in un contesto in cui sono differenti ed altri gli strumenti ed i

canali di attuazione. Non parlerei quindi di formazione attraverso la Social Tv, sarei

quasi drastico nel dire che non è uno strumento formativo, se non nell’accezione

individuale dell’acquisizione di competenze per utilizzare uno strumento, dunque

come esperienza individuale alternativa alla tradizionale ottica broadcasting.

È necessario, secondo Lei, inserirla tra le discipline accademiche?

Posso parlarne per esperienza diretta come manager didattico di un master in Media

Enterteinment: nell’ottica di specializzazione, di formazione e didattica specifica del

settore può assurgere ai livelli di disciplina accademica, intesa come spazio di

interazione ed attuazione di determinati strumenti. Nell’ottica di formazione di base,

quale può essere ad esempio la laurea triennale in Scienze della Comunicazione, non

credo si possa adesso immaginare una specificità della disciplina, in quanto ha una

storia per ora poco consolidata e può essere più un modulo all’interno di un corso sui

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new media o, meglio, di marketing televisivo. Nell’ottica netnologica va immaginata

come un ambito di studi altamente specializzato.

E- learning e lezioni frontali. Esiste un giusto compromesso?

Più che di compromesso si potrebbe parlare di diversi canali di trasferimento, poiché

sono utili entrambi: il momento dell’aula è partecipativo, sociale, aggregativo,

un’occasione per mettersi in discussione. Tutto questo può essere sostituito dall’on-

demand quando si tratta di mero scambio o accesso al dato in un momento dedicato

alla sola formazione di professionisti che non hanno tempo di frequentare lezioni in

classe. L’approccio in aula ha ancora valenza di crescita, fermo restando che tutto ciò

va fatto in condizione di agio, altrimenti si tende a preferire l’altra soluzione che può

innescare pericolosi meccanismi di solitudine. Il mondo del lavoro è fatto di contatti

e relazioni reali, se già nella fase d’apprendimento ce ne priviamo, possiamo correre

seri rischi.

La formazione didattica nel settore new media afferisce al contesto decisamente

più ampio della Media Education. Quali sono le linee guida di questo

macrosettore?

È un argomento più vicino alla pedagogia, rispetto ai new media. È tuttavia

interessante l’apporto dell’Unione Europea, che nell’ambito territoriale sta tracciando

delle linee guida affinché siano garantiti a tutti accesso e fruizione dei mezzi di

comunicazione, per cui viene a concretizzarsi una forma di democratizzazione del

sapere secondo regole condivise: in questo ampio spazio che è la Media Literacy, la

Media Education diventa educazione all’uso del mezzo di comunicazione.

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Personalmente ho immaginato questa situazione declinata sui new media il cui

utilizzo vada indicato da scuole, enti di formazione e genitori educati a questo, quindi

una media education che consenta anche agli adulti l’utilizzo di nuovi devices. Ho

anche immaginato un format radiofonico nel quale, attraverso un medium evergreen

e rimediato con la digitalizzazione, si possa istruire sui nuovi media utilizzando un

linguaggio specifico. Inoltre, da questo punto di vista, trovo molto interessanti i

tutorial come strumenti di condivisione, indicando un how to do relativo a ciò che si

sta guardando come testimoni di intelligenza collettiva, perché nel momento in cui ne

fruisco, posso venire a contatto con tantissime altre risorse utili alle mie conoscenze.

Le attività di Social Tv possono ledere in qualche modo la sensibilità degli utenti?

Siamo nel solito discorso secondo cui non è mai lo strumento che può ledere la

sensibilità degli utenti, ma l’utilizzo che se ne fa, come quando è stato inventato il

telefono allorquando s’immaginava che un estraneo potesse invadere il nostro spazio,

oppure come quando si guarda la televisione per 18 ore su 24, alienandosi.

La Social Tv non può ledere la sensibilità degli utenti se non nei termini in cui può

farlo qualsiasi altro strumenti; al più le uniche a poter essere lese sono le industrie di

produzione tv che sono molto più esposte a critiche, logiche di conflitto ed

interazione, così come si conviene per gli strumenti digitali; quindi deve esserci

molta attenzione nella consapevolezza dell’utilizzo, come di recente si è dimostrato

sui canali nazionali più prestigiosi. Nel contesto della Media Education bisognerebbe

piuttosto pensare alla formazione degli operatori del settore. Sarei più preoccupato da

Snapchat che da strumenti di Social Tv.

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Social Tv: un’ulteriore barriera per il digital divide?

Questa è una naturale declinazione di quello che deve essere un percorso di

unificazione per la fruizione di contenuti digitali, come insegnano le discipline

crossmediali. La televisione ha sentito l’esigenza di avvicinarsi al web anche grazie a

tutti quei fenomeni nati dal basso: avvicinandosi ad essi, con la nascita dei

prosumers, la deriva diventa necessaria da questo punto di vista. Il digital divide

aumenta nei confronti di un tipo di pubblico ancora estraneo ed avulso da questo tipo

di comunicazione, ma è lo stesso che si può avere quando le istituzioni richiedono la

PEC86, oppure impongono l’utilizzo di un bancomat per ricevere la pensione o anche

tutti quegli interventi che si fanno a livello sociale integrando le nuove tecnologie, al

punto di rinnovare il nostro punto di vista sulla realtà. Se si fruisce dell’offerta

televisiva e si notano nuove modalità di partecipazione alle quali non sempre si può

accedere, ci si può sentire esclusi; è vero però che il mercato magari tende per

esigenze di business a rivolgersi ad un pubblico già abituato a questo tipo di

fruizione, per cui non parlerei di mero digital divide ma di accelerazione nella

separazione da chi è nativo digitale ed i Digital Immigrants. Non credo sia frustrante

non poter partecipare in termini di live tweeting o votazioni online per quei contenuti

che non interessano a quel tipo di pubblico che non accede a questa modalità di

fruizione.

86 La posta elettronica certificata (PEC) è un tipo particolare di posta elettronica, disciplinata dalla legge italiana, che permette di dare a un messaggio di posta elettronica lo stesso valore legale di una raccomandata con avviso di ricevimento tradizionale garantendo così il non ripudio. Anche il contenuto può essere certificato e firmato elettronicamente oppure criptato garantendo quindi anche autenticazione, integrità dei dati e confidenzialità.

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Audience e scenari mediali contemporanei: conversazione con

Andrea Materia

Nel 2012, quando la Social Tv si manifestava a piccole dosi nel panorama mediatico

nostrano, Andrea Materia e Giampaolo Colletti pubblicarono la prima guida per

orientarsi tra nuovi percorsi e direzioni disegnati dall’ibridazione tra social media e

televisione tradizionale. “Social Tv-Guida alla nuova Tv nell’era di Facebook e

Twitter”, edito da Gruppo24Ore, introdusse studenti ed appassionati di new media

nelle dinamiche tecniche e social che avrebbero caratterizzato e inciso

profondamente sui diversi modelli di business televisivo. Per suggellare la ricerca

condotta nel corso degli ultimi anni, è necessario comprendere cosa sia realmente

cambiato, quali siano i punti di debolezza o di forza della Social Tv italiana, una

panoramica offerta da Andrea Materia, specializzato nei linguaggi e modelli di

business della Tv interattiva, autore dei primi format di Social Tv della Rai, esperto

di web tv e new media.

Nel 2012 ha scritto un libro sulla Social Tv insieme a Giampaolo Colletti, Social

Tv-Guida alla nuova TV nell’era di Facebook e Twitter, edito da Gruppo 24 Ore.

Cosa è cambiato da allora?

In termini di architettura del meccanismo di propagazione sui social del messaggio

televisivo, ad oggi non ci sono differenze sostanziali. I criteri si basano sempre sulla

forte presenza sulle maggiori piazze, dove accanto a Facebook e YouTube, che non è

propriamente un social network, si è imposto Instagram ed in alcune realtà come il

mercato americano Snapchat, ancora poco diffuso e a livello europeo. Si è verificato

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inoltre un parziale declino di Twitter che ha difficoltà di identità. Al di là di questo,

la sostanza non è cambiata, bisogna puntare sulle fasi pre e post air, sviluppare

dinamiche di engagement in diretta, soprattutto per quanto riguarda eventi sportivi e

talent show. I criteri, rimanendo gli stessi, non hanno fatto emergere ad oggi una

riscossa delle entità proprietarie come i siti o le applicazioni dei broadcaster in grado

di compensare la presenza su parti terze, si è consolidata la necessità di arrivare a

formule sinergiche rispetto ai colossi tech della Silicon Valley, che ha portato come

conseguenza un intenso processo di acquisizioni, di M&A, (letteralmente Merger

and Acquisition). Lo scopo è quello di creare realtà intermedie tra piattaforme e

canali, che sono poi quei soggetti accreditati a filtrare ed indirizzare le campagne

destinate ad esplodere all’interno di YouTube, com’è avvenuto per Disney negli

ultimi anni.

Per molto tempo Twitter è stato considerato come il social network più indicato per

le attività di Social Tv. Il calo subito negli ultimi mesi potrebbe influirvi

negativamente oppure vi sono altri sbocchi?

Facebook e Instagram hanno assunto un’enorme importanza nelle politiche dei

grandi brand, cluster tv e broadcaster, soprattutto con l’inserimento del video come

contenuto preferenziale, in virtù della composizione demografica più eterogenea di

Facebook. Introducendo gli autoplay va a competere con la pubblicità televisiva per i

gross rating points, cosa che ha portato ad uno spostamento di budget dalla tv a

internet, raggiungendo risultati evidenti anche in una sola sera.

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La rapida diffusione dei video su Facebook e sul web determina una

moltiplicazione delle audience. Quali sono le differenze sostanziali tra pubblico dei

web video e pubblico tradizionale?

La più grande differenza oggi è sul tempo speso: gli italiani spendono circa quattro

ore davanti alla tv, è una fruizione distratta, non è detto che la tv accesa venga

guardata. La piattaforma video leader dell’online play, ossia Netflix, rileva un tempo

speso dall’utente più o meno simile, in alcuni casi, poi, può avvenire il sorpasso. Per

quanto riguarda le piattaforme di sharing video abbiamo oggi delle medie di

consumo piuttosto basse: innanzitutto va considerata la porzione di persone connesse

e non la popolazione in toto, come invece avviene per la televisione. La conclusione

è che online gli utenti possono vedere tanti video ma lo fanno solo per pochi minuti,

questo anche per la diffusione dello shortform che può creare problematiche anche di

natura creativa, visti i tempi ridotti, non si possono creare cose di natura prettamente

televisiva, non si possono ingaggiare spettatori senza un lavoro precedentemente

studiato. Allo stesso tempo c’è pochissimo spazio per affollamenti pubblicitari:

banalmente dentro 4 ore e mezza di fruizione tv partono numerosi blocchi

pubblicitari. In una media per singolo video di 5-6 minuti e 15-16 minuti di sessione

giornaliera su YouTube è possibile a inserire meno preroll pubblicitari: la differenza

poggia su questo, va a impattare da un lato sull’aspetto creativo, dall’altro sul lato di

monetizzazione, anche se è possibile traghettare sull’online un pubblico non

raggiunto dalla tv, che in cambio si aspetta sicuramente qualcosa.

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YouTube e Webtv, minaccia o bacino di risorse per la televisione tradizionale?

Assolutamente risorsa, i tempi sono cambiati, nel corso degli anni ciascuno si è

ritagliato il suo ruolo. Tra l’altro YouTube non è mai stato un editore puro, soltanto

adesso con YouTube Red87 sta creando dei contenuti, per ora soltanto in America.

Gli iscritti al canale di un determinato editore sono una risorsa di data mining nelle

mani di Google, non proprio del broadcaster, nonostante ciò non è una situazione di

ostilità, anche perché il broadcaster deve provare a creare traffico sul sito

proprietario. È evidente che Facebook stia facendo una cosa analoga introducendo il

video in modo aggressivo, vi sono delle piazze che riescono a raggiungere quegli

utenti non raggiunti dalla televisione a priori, al tempo stesso c’è la difficoltà di

creare una formula vincente. In America vi sono esempi riusciti, come i Late Night

Show, situazioni nelle quali si è riusciti a trovare una formula redazionale perfetta

per sfruttare le dinamiche vincenti su YouTube, dall’altro lato c’è stata la capacità di

utilizzare fenomeni virali del web, trasformandolo in bacino di risorse, ma

ovviamente sono trasmissioni e redazioni con uno staff immenso.

I nostri palinsesti sono ancora molto legati ad una scansione tradizionale di generi

e contenuti. Come s’inserisce la realtà social in questo contesto?

È evidente che nel tempo è aumentato l’impegno dei broadcaster, un impegno che

almeno per i principali è imperniato sui propri siti ed in parte su Facebook, in modo

limitato su YouTube, ma c’è grande differenza tra il pubblico che segue

tradizionalmente la tv in prime time e day time e quello che è invece il consumatore

87 Servizio a pagamento lanciato da YouTube negli Stati Uniti, consente lo streaming video senza messaggi pubblicitari, previo pagamento. Lanciato per la prima volta nel novembre 2014, il servizio è stato riproposto in versione aggiornata nell’ottobre 2015. Dapprima consentiva l’accesso ai soli video musicali, con la versione più recente è possibile fruire di ogni tipo di video senza advertising, con contenuti premium elaborati in accordo con artisti e case di produzione.

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medio di attività social. In tv c’è una situazione in cui riesce difficile concepire come

programmi rivolti a un target over e difficilmente interessato a trascorrere tempo

online, possano poi essere “reimpacchettati” per renderli appetibili anche a un

pubblico giovane. Ci sono generi come lo sport che superano questo tipo di

problematiche, per i quali però le tv sono solo distributori visto che non lo producono

in proprio, così come la parte legata alle notizie. Per tutto quello che è varietà e

programmazione seriale vi è uno scollamento forte e al tempo stesso la necessità di

pensare quale tipo di offerta online proporre, senza snaturare ciò che non è stato

pensato per l’interattività, vice versa è necessario sviluppare prodotti editoriali

innovativi.

I social network consentono una profilazione più precisa delle audience. Un

rischio per la privacy?

Questo è un antico dibattito, premesso che sia sbagliato tracciare gli utenti una volta

fuori dalle piattaforme, è anche vero che gli utenti devono essere consapevoli della

legge, non conoscerla non giustifica comportamenti sbagliati: una volta accettati i

termini di servizio è evidente che i nostri dati possono essere trattati nella misura

ritenuta congrua rispetto ai termini di servizio accettati, il punto è non tracciare ciò

che avviene al di fuori, ma è una controversia superata. Tutto ciò che avviene

all’interno dei social è trattabile, sono dati sensibili che non devono essere venduti

superficialmente, ma a riguardo c’è una normativa ben definita da anni. Uno dei

maggiori punti di vantaggio dell’adv online rispetto al tradizionale è proprio quello

di potersi rivolgere ad un target ben preciso. Al tempo stesso è evidente che togliere

l’accesso ai dati degli utenti agli inserzionisti andrebbe a danneggiare fortemente i

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vantaggi competitivi acquisiti rispetto al messaggio tradizionale, credo che sia

abbondantemente superato il tema, anzi, di contro si sta mettendo in atto da parte dei

media tradizionali la corsa ad acquisire una propria quantità di dati per effettuare una

profilazione interna alle loro strutture proprietarie o ai network affiliati, ma è una

corsa che parte in salita.

Punti di forza e debolezze della social tv italiana?

Non ci sono punti di forza, almeno rispetto ad altri mercati. Forse l’unico interessante

è la propensione degli italiani ad accedere al web via mobile e quindi l’opportunità di

sviluppare offerte editoriali shortform e concepite per una fruizione via mobile. Per

tutto il resto c’è una difficoltà nel concepire questa marcata identità della

programmazione televisiva per un pubblico over 50 ed invece la comunicazione via

social che va a impattare con un pubblico più giovane, le due cose non sempre

conciliano perché il programma è uno, il conduttore è uno e non sarebbe conveniente

renderli, per così dire, bipolari. O cambia l’identità della programmazione televisiva,

ma è un processo che richiede moltissimo tempo, oppure bisognerebbe affiancare

alla programmazione televisiva una programmazione nativa per internet.

Youtuber e web star sono da sempre personaggi giovanili. La loro invasione del

piccolo schermo li rende più vicini anche ad altri target?

Dipende dal contenitore in cui vengono inseriti: alcuni youtuber sul grande schermo

non hanno riscosso tanto successo al botteghino, ma la loro presenza sul web non è

necessariamente una causa. In televisione, prima di fare trasmissioni completamente

autonome imperniate su personaggi nati online, la best practice è integrare il

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personaggio divenuto popolare online in un programma esistente per ammiccare a un

pubblico diverso, in modo da creare anche spinoff online. Forse in questo caso

avremmo molti più casi di web star famose in tv piuttosto che al cinema.

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Conclusioni

Un percorso accademico, se affrontato con la giusta dose di spirito critico, curiosità e

propensione al rinnovamento, non può mai dirsi realmente concluso.

L'apprendimento e la ricerca, specialmente se maturati in un contesto sempre

mutevole e pregno di evoluzioni, non possono essere considerati del tutto ultimati.

Le competenze acquisite costituiscono lo strumento essenziale per continuare anche

al di fuori delle dissertazioni accademiche quei discorsi volti ad indagare discipline

totalmente immerse nella contemporaneità. È con questo tipo di atteggiamento che

nel corso degli ultimi decenni abbiamo avuto la possibilità di assistere alla creazione

di nuovi panorami mediali, nuovi tool e nuove esperienze di fruizione. È risaputo ma

non è banale né retorico ribadire che gli studi legati al mondo della comunicazione e

dei media si trovino quotidianamente al punto di svolta, vista la rapidità con la quale

evolvono. Il discorso sulla Social Tv, in tal senso, deve tener conto di due piani

evolutivi differenti ma complementari, quello relazionale legato al mondo dei social

network, e quello tradizionalmente broadcasting della televisione. Il tentativo

compiuto tra le pagine di questo lavoro si propone di individuare un tassello che

possa in qualche modo arricchire la congerie di teorie e analisi elaborati in merito.

Ancora una volta è da considerarsi dunque come punto di partenza per un’analisi

ulteriore, visti i numerosi ambiti disciplinari e sfumature che si trova

necessariamente a toccare, ciascuno di essi dotato di scomparti pronti a fornire nuove

chiavi di lettura ed interpretazioni.

Se pensiamo al contesto originario nel quale si è sviluppata la Social Tv delle origini,

ad esempio, vediamo una netta preponderanza di Twitter e Facebook rispetto ad altri

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social network. La creatura di Mark Zuckerberg continua a conservare un certo

primato, ma la piattaforma di microblogging famosa per i suoi cinguettii paga lo

scotto del cosiddetto ritorno delle immagini. In sostanza, mentre Twitter si

presentava come elemento essenziale per la diffusione e la nascita della Social Tv,

tanto da essere definito dagli esperti quale suo social network preferenziale, la

situazione oggi appare quasi ribaltata. Sembra proprio che, per riguadagnare terreno

sul mercato di riferimento, sia Twitter a dover far leva sulla Social Tv, ampliatasi nel

frattempo verso nuove prospettive, puntando sul buzz scatenato nelle fasi pre, on e

post air dei programmi televisivi più appetibili dalle audience social. È in questa

riflessione che si annidano due considerazioni tratte dall’intera riflessione effettuata

nelle pagine precedenti: da un lato, è evidente che lo scenario di riferimento può

mutare da un momento all’altro, in modo talvolta imprevedibile, invertendo la rotta

che si dava per scontata, dall’altro, è chiaro che il rapporto instaurato tra social

network e televisione è ormai imprescindibile. Un rapporto che si può declinare sia

sul piano relativo ai contenuti, di cui gli utenti si rivelano talvolta artefici ed

influencer, sia sul piano economico, dato che la profilazione delle audience fornisce

nuovi orizzonti remunerativi per inserzionisti e aziende televisive, che ampliano

potenzialmente all’infinito i propri database di ricerca ed i bacini d’utenza dai quali

attingere informazioni utili.

Bastano pochi elementi per comprendere che una sola analisi non può bastare a

delineare il quadro completo della situazione in atto, ma può contribuire alla

realizzazione di un percorso a più fasi e tappe che possa gettare ponti al fine di

raccordare ambiti di studio sempre più vicini, quasi in rapporto osmotico. La cassetta

degli attrezzi utile alla causa deve tener conto di fattori alla portata di tutti, ma

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pienamente visibili a chi voglia regalare dignità ad una disciplina ancora in progress.

Memoria, elasticità ed intuizione sono le facce di una medaglia plasmata dalle

molteplici meraviglie fruibili dai nostri schermi, sia live che da remoto, sia via

mobile che da postazioni fisse. Tra First, second o third screen, dunque, l’incanto è di

nuovo una realtà tangibile.

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