EXTRA 50 SCOTTANTI RIVELAZIONI

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Una ricca famiglia di armatori, in cui il denaro e le questioni politiche si legano a impetuose passioni, impossibili da mettere a tacere.

Da aprile a ottobre in quattro imperdibili uscite Extra i numerosi componenti di questa importante stirpe vi terranno compagnia.

Questo mese si conclude la saga con Scottanti ri-velazioni.Nella prima storia Marc deve riuscire a evitare che il suo nome venga infangato per sempre. Certo è che Dana, la sua sexy bodyguard, non gli facilita il com-pito. Nel secondo romanzo Tanya e David sono alle prese con l’accettazione di un’eredità dai termini a dir poco singolari: dovranno vivere insieme a Cotton Creek per almeno un anno, se non vogliono perdere tutto. Nel terzo e ultimo romanzo finalmente sapre-mo se Abraham, capostipite della famiglia, riuscirà a coronare l’agognato sogno d’amore con la sua bella assistente Nicola.

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L. Conrad - S. rogerS - L. BankS

SCOTTANTI RIVELAZIONI

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Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Laws of Passion Terms of Surrender

Shocking the Senator Silhouette Desire

© 2004 Harlequin Books S.A. © 2004 Harlequin Books S.A. © 2004 Harlequin Books S.A.

Traduzioni di Elisabetta Elefante

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma.

Questa edizione è pubblicata per accordo con Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg.

Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà

Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2005 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano Prima edizione Harmony Destiny

ottobre 2005 Prima edizione Harmony Destiny

novembre 2005 Prima edizione Harmony Destiny

dicembre 2005 Seconda edizione Harmony Extra

ottobre 2009

Questo volume è stato impresso nel settembre 2009 presso la Rotolito Lombarda - Milano

HARMONY EXTRA ISSN 1824 - 6567

Periodico mensile n. 50 dell' 8/10/2009 Direttore responsabile: Alessandra Bazardi

Registrazione Tribunale di Milano n. 651 del 20/9/2004 Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale

Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione

Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI) Gli arretrati possono essere richiesti

contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A. Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

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Prologo

Chi diavolo credeva di essere quel ragazzino imberbe, per dirle come doveva svolgere il suo lavoro? Dana non aveva alcuna intenzione di dare ascolto a Paul Renuart, il collega fresco di nomina che conti-nuava a insistere perché si cambiasse con qualcosa di più appropriato. Jeans e scarponcini stringati andava-no più che bene per quell'incarico. «Senta, agente speciale Aldrich» riprese il giovane, «il nostro sospetto esce con top model e roba del ge-nere. Per indurlo a parlare, le conviene adeguarsi al suo stile.» Prima che Dana aprisse bocca per mandarlo a quel paese, la porta dell'ufficio si spalancò per lasciar en-trare l'uomo le cui parole, per lei, erano legge: Steve Simon, l'agente speciale dell'FBI mandato da Atlanta per seguire il caso e coordinare le indagini. Steve era una vecchia conoscenza di Dana, un pro-fessionista tutto d'un pezzo con oltre vent'anni di espe-rienza sulle spalle. «Agente Simon...» «Qualche problema, agente speciale Aldrich?» «No, signore» rispose lei. «Mi stavo preparando per il nuovo incarico e questo pivellino pretende di dirmi come...»

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«Ci scusi un momento, Renuart.» Steve scoccò a Dana una breve occhiata per invitarla a non continuare mentre il colletto bianco usciva, lasciandoli soli. «Non è da te fare tanto la schizzinosa, Dana» riprese Steve, appena la porta si fu richiusa. «Ti renderai conto che si tratta di un incarico delicato. Il padre di Marcus Danforth è un ricco imprenditore, noto in tutto lo sta-to, ed è politicamente impegnato nelle prossime ele-zioni per il Senato.» «Certo, me ne rendo conto, ma il fatto che Marcus Danforth sia il classico figlio di papà non lo pone al di sopra della legge.» «Essere accusati di connivenza e associazione a de-linquere ed essere dichiarati colpevoli sono due cose diverse.» Dana lo sapeva bene, ma sapeva altrettanto bene che i figli di genitori ricchi sfondati erano spesso vi-ziati e incontentabili. Forse Marcus voleva dimostrare ai fratelli maggiori di essere capace di guadagnare più soldi di loro. E per farlo, era disposto a tutto. «Io so solo che stiamo lavorando da mesi a questo caso per incastrare quei narcotrafficanti. Sappiamo dai nostri informatori che si servono di alcuni grossi pro-duttori di caffè colombiani per riciclare denaro sporco e per far entrare nel nostro paese grosse partite di stu-pefacenti. Non ci resta che dimostrarlo.» Steve annuì. «Il problema è che, ogni volta che ci avviciniamo alla verità, un informatore ci rimette le penne. Gli altri se la fanno sotto e si convincono a te-nere la bocca cucita.» «Be', ma se Marcus Danforth sa qualcosa, troverò il modo di farlo parlare.» Era il suo lavoro: cercare nuo-vi informatori e convincerli a collaborare. «La mia copertura?»

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«È tutto pronto. I documenti e una storia dettagliata della tua vita sono già sulla scrivania di Renuart. Ho contattato chi di dovere, che confermerà tutto se qual-cuno dovesse insospettirsi.» Steve le mise una mano su una spalla. «Tieni gli occhi aperti, Dana. Non credo che Marcus sia pericoloso, anzi, temo che sia lui a es-sere in pericolo. La politica e la droga possono essere una combinazione letale.» Le sorrise. «E io non voglio perdere il mio migliore infiltrato.» «Sta' tranquillo.» Dana si abbottonò il giubbotto di denim. «Se non sarò costretta a portare i tacchi a spil-lo, troverò il modo di trasformare Danforth in un man-sueto agnellino.» Quel damerino di Marcus Danforth, laureato con il massimo dei voti ad Harvard, poteva anche essere fur-bo, rifletté Steve Simon, ma gli conveniva stare in guardia: con l'agente speciale Dana Aldrich c'era dav-vero poco da scherzare.

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«Non vedo l'ora di farmi una doccia» sospirò Marc, uscendo assieme a suo fratello dal penitenziario della contea di Chathan. Dopo averlo sottoposto all'ennesi-mo interrogatorio e non essendo riusciti a cavargli di bocca nemmeno una parola, i poliziotti avevano pen-sato bene di schiaffarlo in una fetida cella, forse spe-rando di convincerlo a confessare. Ma confessare che cosa? Marc aveva tenuto duro e il suo avvocato era riuscito a tirarlo fuori. «Qualche minuto e siamo a casa.» Adam gli conse-gnò un giaccone di pelle. «Tieni questo, fa freddo. La macchina è in fondo al parcheggio. Non ho trovato un posto libero più vicino.» A Marc quell'aria frizzante parve meravigliosa, la migliore che avesse mai respirato. Forse perché era l'aria della libertà, dopo aver rischiato di passare una notte in gattabuia. Se ne riempì i polmoni. «Non im-porta, avevo giusto bisogno di fare due passi a piedi.» Si infilò il giaccone. «Grazie per essere venuto a pren-dermi.» «Fino a pochi minuti fa, c'era anche papà ad aspet-tare che ti rilasciassero, ma gli ho suggerito di svi-gnarsela quando hanno cominciato ad arrivare i primi

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reporter. Ha detto di dirti che ci aspetta a Crofthaven.» «Non per brindare alla mia scarcerazione, scom-metto.» Marc immaginava che suo padre fosse molto in collera per l'ombra che quell'arresto avrebbe gettato sulla sua campagna elettorale. «Nessuno di noi ha dubbi, Marc. Stanno cercando di incastrarti. È tutta opera di quei narcotrafficanti co-lombiani. In quest'ultimo anno hanno provato in tutti i modi a forzare la mano a Ian. Prima quella bomba... e ora questo. Papà sa benissimo che le nostre battaglie personali non hanno niente a che vedere con la sua corsa al Senato.» Marc annuì e sospirò. Da un pezzo non dava più importanza a tante delle cose che invece, un tempo, ne avevano avuta. La famiglia era forse una delle poche realtà a cui ancora teneva molto. La famiglia... Ripensò alla splendida ragazza con cui aveva sorpreso Adam solo il giorno prima, in uffi-cio. «Hai detto a Selene del mio arresto?» Suo fratello tossicchiò. «Ero con lei quando papà mi ha chiamato, per avvisarmi.» «Maledizione!» imprecò Marc. Data l'ora, non era difficile intuire dove potessero essere Adam e Selene: ovviamente in un letto. «Allora ti devo delle scuse, per averti interrotto.» Adam non negò. «Per stavolta, ti perdono.» Marc sorrise, poi un pensiero gli si affacciò nella mente. «E se ci fosse il padre di Selene dietro questa storia?» «No, non credo. Van Gelder ha fatto diversi sgam-betti a papà per metterlo in cattiva luce, ma abbassarsi a tanto...» Dopo averci riflettuto qualche istante, Marc diede ragione al fratello. Anche perché, in quel momento,

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non era in grado di pensare razionalmente. Nei suoi confronti era appena stata formulata un'accusa formale per connivenza e associazione a delinquere. Un reato per cui rischiava la galera. C'era in ballo la sua carrie-ra, e non solo. Si stava giocando tutta la sua vita! «E ora che cosa farai, ti rivolgerai a qualche grosso penalista?» riprese Adam. «Voglio dire, il tuo amico andava bene per chiedere al giudice il rilascio su cau-zione, ma ho paura che per cavarti da questo pasticcio dovrai farti rappresentare da qualche nome di spicco fra i tuoi colleghi penalisti.» Marc si passò una mano tra i capelli. «L'unica cosa certa è che non posso difendermi da solo, visto che io mi occupo perlopiù di diritto commerciale e societa-rio. All'università ho dato un esame di penale, ma non è mai stato il mio forte, mi ci vorrebbe qualcuno che abbia una grossa esperienza in questo campo.» «Papà può sicuramente suggerirti qualche nome. Tu, però, prenditi qualche giorno di pausa per rimet-terti in sesto, prima di cominciare a cercare.» «Qualche giorno un corno!» esclamò Marc, bloc-candosi sui suoi passi. «Io sono innocente e intendo mettermi subito al lavoro per trovare tutte le prove ne-cessarie per dimostrarlo. Non c'è tempo da perdere. Chi mi ha incastrato farà in modo di occultare le in-formazioni che potrebbero scagionarmi.» Aveva parlato con una determinazione che sorprese lui per primo. In quell'ultimo anno, era andato avanti per forza di inerzia, votandosi completamente al lavo-ro e a nient'altro. Era un lusso che ora non poteva più concedersi. Entrambi i fratelli si voltarono verso una macchina che svoltò all'angolo del parcheggio con uno stridio di gomme e procedette spedita verso il punto in cui si

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trovavano loro. L'automobile rallentò e si arrestò a pochi passi dai due: era una berlina a quattro porte di un giallino insignificante, di produzione statunitense, proprio il genere di anonimo trabiccolo dato in dota-zione ai poliziotti in borghese. Marc sbuffò tra sé e sé, preparandosi a un altro incontro con un rappresentante della legge. Quando la portiera si aprì, dall'auto uscì una donna alta e snella. Stivaletti di pelle marrone, jeans e giub-botto imbottito di denim, aveva una cascata di riccioli scuri ribelli che incorniciava un volto serio. E molto attraente. Se quella era una poliziotta, pensò Marcus, forse non gli sarebbe dispiaciuto farsi arrestare di nuovo. «Marcus Danforth?» si sentì chiedere da una voce vellutata come il buon whisky d'annata. «Sono io. E questo è mio fratello Adam.» La donna girò intorno alla macchina. «Molto lieta. Sono Dana Aldrich.» Strinse vigorosamente la mano prima a Marc, poi al fratello. «Lei è della polizia?» domandò Adam. «No. Faccio l'investigatore privato e collaboro con Michael Whittaker, la guardia del corpo di suo padre. Mi ha chiamata lui, incaricandomi di controllare che a suo fratello non succeda niente fino al processo.» «Che cosa?» Marc alzò gli occhi al cielo. «E che diavolo dovrei farmene di una guardia del corpo? A parte che lei, senza offesa, tutto sembra tranne che una guardia del corpo.» A guardarla bene, la ragazza non aveva né il collo taurino, né una faccia da mastino in-ferocito, né i bicipiti gonfi come prosciutti che lui as-sociava all'idea di un gorilla. Adam ignorò l'uscita del fratello. «Possiamo vedere le sue referenze?»

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Lei tirò fuori dalla borsa una valigetta portadocu-menti di pelle marrone. «Modestia a parte, sono una delle migliori» sottolineò a beneficio di Marc. Marc sbirciò da sopra le spalle del fratello mentre questi studiava le foto sulla licenza da detective della ragazza e sulla sua patente di guida, prima di restituir-gliele. «Ci dia un secondo, signorina Aldrich.» Adam pre-se il fratello per un gomito e si allontanò di un paio di metri. «Questa faccenda non mi convince. Potrebbe essere una fandonia.» «E perché dovrebbe mentirci?» «Per diverse ragioni. Per esempio, potrebbe essere una reporter a caccia di uno scoop.» Marc valutò quella possibilità. «No. Il mio istinto mi dice che possiamo fidarci. Comunque, possiamo sempre chiamare Michael e chiedergli se è stato dav-vero lui a mandarla. Non per niente, ma sono curioso di sapere perché pensa che io abbia bisogno di una guardia del corpo. E perché, fra tutti i suoi collabora-tori, abbia deciso di mandarmi questo bocconcino.» Adam ridacchiò. «Lo chiamo subito.» Si sfilò il cel-lulare dal taschino della giacca. «Tu, intanto, vai a fa-re due chiacchiere con la signora.» «Con piacere. Fai con comodo.» Mentre tornava sui propri passi, Marc pensò che forse avere una guardia del corpo donna poteva presentare dei risvolti positivi. Specie se la donna in questione era uno schianto come la signorina Aldrich. Dana guardò nello specchietto retrovisore e sterzò bruscamente a sinistra. L'ora di punta era passata da un pezzo, ma molte strade erano ancora intasate. «Fame?» chiese a Marcus, che sedeva sul sedile del

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passeggero. «Potremmo fermarci a mangiare un boc-cone da qualche parte. Giusto il tempo di far smaltire il traffico.» Immettendosi nella statale, Dana si rilassò sul suo sedile. Era stato facile far credere a Marcus di essere una guardia del corpo: Adam le era sembrato più so-spettoso, ma una breve telefonata a Michael Whittaker aveva convinto anche lui. Si concentrò sul fratello che più le interessava: Marcus, il più giovane dei Danforth. Aveva un intero dossier fitto di ogni genere di informazioni sul suo conto. Nessun fascicolo, però, le aveva riferito di que-gli occhi marroni incredibilmente luminosi, di quella voce profonda, baritonale, suadente al punto da risul-tare carezzevole. Scosse il capo, cercando di scacciare quei pensieri indesiderati. Stava lavorando. Quello che sedeva alla sua destra era un uomo sospettato di un crimine, e lei era una professionista. «Ho una fame che non ci vedo» rispose Marcus. «Non ho avuto il piacere di assaggiare le specialità della prigione» scherzò. «Ma francamente non vedo l'ora di tornarmene a casa. In frigorifero dovrei avere qualcosa di commestibile.» «A casa, allora. Mi dica dove devo andare.» «Proceda dritto per una ventina di chilometri. Le dico io quando dovremo uscire dalla statale.» Così, la sua copertura aveva retto, rifletté ancora Dana. Steve aveva convinto Michael, suo vecchio compagno d'armi, che l'indagine dell'FBI non era mi-rata solo a dimostrare la colpevolezza di Marcus: star-gli alle costole poteva significare anche avere la pos-sibilità di trovare le prove della sua innocenza. Inoltre, riteneva opportuno farlo affiancare da una guardia del

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corpo, mentre lui aspettava di presentarsi in tribunale per il processo. Per quanto la riguardava, lei si era già fatta un'idea: qualcosa le diceva che il giovane avvocato di buona famiglia avesse davvero le mani in pasta in qualcosa di poco pulito. Sapeva che, facendo affidamento sui soldi del suo vecchio, Marcus poteva assumere i migliori avvocati per farsi scagionare; perciò era decisa a trovare al più presto delle prove schiaccianti contro di lui. Avrebbe potuto servirsene per proporgli un patteggiamento e convincerlo a voltare le spalle ai suoi compari traffi-canti, diventando così un informatore della polizia fe-derale. Guardò ancora nello specchietto retrovisore. Notò la stessa berlina nera che aveva avvistato un quarto d'ora prima. «Prendiamo una scorciatoia. Si tenga for-te.» Si spostò con una brusca sterzata sulla corsia di sorpasso e premette l'acceleratore. «Ma che diavolo...» protestò lui, dopo aver battuto la testa contro il finestrino. Dana si mosse veloce nel traffico, superando alcuni camion; la macchina si sollevò quasi su due ruote mentre sorpassava una Mercedes nera decappottabile e le tagliava la strada per imboccare l'uscita della sta-tale, poi percorse a rotta di collo tutta la rampa e ol-trepassò uno stop senza fermarsi. Procedette per diverse centinaia di metri prima di rallentare, adeguandosi al limite di velocità consentito. «Ha idea di dove ci troviamo?» «Le sembra il modo di guidare?» strepitò Marcus, che ancora non si era ripreso dallo spavento. «Che co-sa diavolo credeva di fare?» «Le stavo salvando la pelle. Il conducente della

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macchina che ci seguiva aveva una faccia che non mi piaceva per niente.» «Ci seguiva?» Dana annuì. Entrò in un'area di servizio senza met-tere la freccia, si arrestò nel parcheggio e spense il motore. «Mi risulta che lei sia legato a certi narcotraf-ficanti. Non sono un'esperta, ma so che a quel genere di persone piace guidare vistosi macchinoni come quello che ci è stato alle costole da quando siamo an-dati via dal penitenziario. Era arrivato il momento di seminarlo.» «Quali narcotrafficanti? E perché dovrebbero se-guirmi?» «Forse i suoi amici hanno paura che ci ripensi e che vuoti il sacco. I federali le hanno offerto qualcosa in cambio della sua collaborazione?» «Mi hanno interrogato per non so quante ore, ma non mi hanno offerto un bel niente. Ho avuto la netta sensazione che avessero già un sacco di prove contro di me. Il viceprocuratore incaricato del caso mi ha fat-to il pelo e il contropelo, però non mi è sembrato che fosse interessato ad avere da me altre informazioni. O a propormi un qualche genere di patteggiamento.» Marc si girò sul sedile e la fissò a occhi socchiusi. «E perché parla di amici, poi? Io con quei narcotrafficanti non ho mai avuto niente a che fare. Non li ho mai nemmeno visti. Perché è convinta che possa essere in buoni rapporti con loro?» «Perché l'hanno arrestata per connivenza e associa-zione a delinquere, o sbaglio?» «Sì, ma sono innocente! Stanno cercando di inca-strarmi! E se lei crede a quelle accuse, allora non ri-tengo che sia la persona più adatta a farmi da guardia del corpo.»

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Dana ricontrollò per l'ennesima volta lo specchietto retrovisore, poi girò la chiave dell'accensione. «Io non sono pagata per credere o non credere. Mi limito a svolgere il mio lavoro. E il mio lavoro consiste nel-l'assicurarmi che lei rimanga vivo.» Uscì in retromar-cia dal parcheggio. «Lei ha bisogno di una guardia del corpo e io sono la migliore sulla piazza. Quello che penso non ha importanza.» «Per me ne ha, invece.» Marc le posò una mano su un braccio. «Mi dia almeno la possibilità di dimostrar-le che è come dico io.» Gli occhi di Dana si abbassarono sulla sua mano. «Io le starò accanto giorno e notte fino al processo. Se salterà fuori qualcosa che potrebbe scagionarla, sarò la prima ad accorgermene.» Strattonò il braccio da sotto la mano di Marc, ma, un attimo prima di farlo, alzò lo sguardo e lui credette di scorgervi qualcosa, un'emo-zione diversa. Non era semplicemente una bella donna dalla scor-za dura, cominciò a ricredersi. La sua espressione, in quel momento, parlava di desideri nascosti, soffocati da tempo. Qualcosa che male si adattava all'immagine della persona forte e controllata che Dana Aldrich vo-leva proiettare di sé. In quegli occhi profondi gli era parso di scorgere una ragazzina spaventata, in cerca di qualcuno che fosse capace di amarla e di prendersi cura di lei. «Allora» riprese Dana, «sa come fare per arrivare a casa sua da qui?» La donna forte e tutta d'un pezzo era tornata. Una versione altrettanto intrigante agli occhi di Marc, che in quel momento se la immaginò in un letto, avvin-ghiata a lui tra le lenzuola aggrovigliate. Annuì, ma gli mancò la voce per risponderle. Per la

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miseria! Abbandonarsi a certe fantasie erotiche per una donna che conosceva da meno di un'ora... Che co-sa gli stava succedendo? Era una reazione all'arresto, decise. La causa di tut-to doveva essere l'adrenalina che lo aveva animato quando, nel corso dell'estenuante interrogatorio soste-nuto quel giorno, aveva dovuto lottare con le unghie e con i denti per difendere la propria libertà. Doveva averne ancora parecchia in circolo. Si trattava, comunque, di reazioni che doveva sfor-zarsi di contenere: la sua vita adesso dipendeva da una lucidità di intenti e di azioni. Inoltre, ripensandoci, Dana poteva anche essere uno schianto di ragazza e avere un corpo da favola, ma che cosa sapeva di lei? Poteva anche darsi che non fosse quello che diceva di essere. O che gli stesse nascon-dendo qualcosa. Avrebbe indagato anche su quello, decise Marc. Per curiosità. E perché, certo, la prudenza non era mai troppa. «Abiti qui?» Per strada avevano deciso di evitare certe formalità e di darsi del tu, visto che avrebbero dovuto frequen-tarsi molto da vicino nelle settimane successive. «Sì» rispose Marc, divertito dal tono sorpreso di Dana. Fece un grosso sospiro di sollievo. «Casa, dolce casa. Come sono contento di rivederla!» Guardando al di là del parabrezza, Dana mise a fuoco una casa colonica circondata da diverse centi-naia di metri quadrati d'erba e di terra recintata. Era molto più piccola della villa che si sarebbe aspettata. E lo era certamente rispetto a Crofthaven Manor, la residenza dei Danforth.

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La guardò con più attenzione: una costruzione di forma allungata, semplice nelle linee, tinteggiata di bianco. Molto rustica, per essere l'abitazione del figlio di un milionario. Calcolò che potessero esserci... tre, quattro camere da letto. Perciò non doveva essere poi così piccola. E paragonato alla topaia di cinque metri per cinque in cui lei era cresciuta ad Atlanta, quel po-sto poteva definirsi un castello. «Che cosa te ne fai di tutto questo spazio?» chiese a Marc, dopo aver avvistato anche un altro edificio, alle spalle della casa vera e propria. Un granaio, forse. O un garage. «Non è granché, lo so, ma è la mia fattoria. Tutta mia.» «E di che cosa ti occupi? Di animali, di un orticello con le verdure di stagione...?» Dana arrestò l'auto da-vanti all'ingresso della casa e si girò, chiedendosi co-me mai Marc non si fosse affrettato a negare. Lui sorrideva, un sorriso pieno di orgoglio. «Ho di-versi alberi di pesche, laggiù» le indicò. «E l'estate scorsa ho raccolto pomodori, melanzane e zucchine. Non erano niente male. Ho anche delle pecore e un piccolo pollaio con delle galline che mi danno uova fresche tutti i giorni.» Pronunciate queste parole, uscì dall'auto e si sgranchì le gambe. «Anche gli animali. Però...» mormorò Dana, sem-pre più stupita. Chi avrebbe mai detto che un rampollo di buona famiglia con una professione avviata potesse amare la vita all'aria aperta e i piaceri della campagna? Ma poi l'investigatore in lei riaffiorò. Mai fidarsi delle prime impressioni. E quando c'erano in gioco grossi interessi economici, mai fidarsi di nessuno, nemmeno di chi di soldi ne aveva già a palate. Perciò

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quel delizioso quadretto agreste doveva casomai inso-spettirla: perché un uomo di mondo come Danforth abitava in aperta campagna? Uscita a sua volta dall'auto, Dana si guardò intorno circospetta, temendo che potesse esserci qualcuno ap-postato nell'ombra. Tornò a voltarsi per girare la chia-ve nella serratura della portiera dell'auto, quando udì un movimento improvviso alle proprie spalle. «Dana, attenta!» urlò Marc. Lei aveva già sfilato il revolver dalla fondina e lo aveva impugnato saldamente nella mano, quando si girò di scatto di centottanta gradi. «No! Non sparare!» Un istante più tardi, era distesa a terra e fissava una fila di zanne affilate pronte a squarciarle la gola.

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Dana nascose la fondina sotto il giubbotto prima di ribattere: «Mi crederesti se ti dicessi che è solo que-stione di allenamento?». Lo vide stringere gli occhi. «No, eh? Allora diciamo che usare la pistola è uno dei miei numerosi talenti.» «E un altro è sicuramente guidare come un pilota da rally.» «Anche quello fa parte dell'addestramento per di-ventare guardie del corpo. È importante sapersi distri-care nel traffico, per sventare un eventuale tentativo di rapimento.» Marc corrugò la fronte. «Perché, credi che qualcuno voglia rapirmi?» «Una guardia del corpo deve pensarle tutte. Nel tuo caso specifico, se mai volevo evitare che ti sparassero addosso. Comunque, è sempre meglio essere preparati al peggio.» Se aveva parlato per spaventarlo, ci era riuscita be-nissimo. Marc si accinse ad aprirle la porta d'ingresso. «Ti faccio fare un giro della casa» le disse. «Poi, però, devo pensare agli animali.» «Perché, te ne occupi tu?» «Di solito, sì. Quando sono fuori, mi dà una mano un vicino. È il proprietario della fattoria accanto e ci lavora a tempo pieno. Per me è solo un hobby.» «Se devi uscire per occuparti degli animali, vengo con te» dichiarò Dana, dando per scontato che lui non avrebbe obiettato. E Marc non obiettò. Si sbottonò il colletto della camicia e gettò giacca e giubbotto su una panca, ac-canto alla porta d'ingresso. «Andiamo, Lassie. Vieni a sgranchirti le zampe con noi.» «In che modo ti occupi di quegli animali, esatta-mente?» gli domandò Dana, incuriosita.

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«Tu non hai mai avuto degli animali da accudire?» «No. Mai avuto il tempo da dedicare a certe cose.» «Nemmeno da bambina?» Lei si strinse nelle spalle. «Dove sono cresciuta io, gli animali erano considerati un lusso. Due bambini che abitavano nella mia stessa strada avevano un cane, ma mio padre diceva sempre che mantenere un anima-le era uno spreco di soldi e che i nostri vicini avrebbe-ro fatto meglio a mangiare quella bestia, invece di nu-trirla.» Marc rabbrividì al solo pensiero. «Dove sei cresciu-ta?» le chiese. «In un posto molto lontano da quello in cui sei cre-sciuto tu» replicò lei con pesante sarcasmo. «Non tutti i ragazzini del mondo sono così fortunati da crescere in case stupende, circondati dal lusso. Casa mia era più piccola di uno dei tuoi bagni per gli ospiti.» «Ehi, frena! Guarda che non volevo offenderti. È che non riesco nemmeno a concepire l'idea di mangia-re un cane. A me viene da piangere solo al pensiero che un giorno dovrò vendere le mie pecore.» «Mio padre aveva un modo di pensare molto diver-so da quello di chiunque altro» disse ancora Dana, mantenendosi sul vago. Ma non era lì per raccontare la storia della sua vita. «Così, tu consideri animali do-mestici anche le tue pecore?» «Non dovrei, lo so, però non le allevo solo per rica-varci dei quattrini, un giorno.» Arrivarono al cancello che divideva un recinto dal pascolo. Marc lo aprì e, al suo fischio, Lassie si siste-mò alle spalle del piccolo gregge di pecore che, una alla volta, rientrarono nel recinto. «Seguimi» disse ancora Marc a Dana, quando ebbe finito di dare da mangiare alle sue pecore. «Ti faccio

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vedere come si fa a pulire un pollaio. È divertente.» Dana lo guardò come se fosse ammattito e la sua espressione lo fece scoppiare a ridere. Poteva essere cresciuta dovunque, ma sicuramente non in una fatto-ria. Tuttavia, di lì a poco, Marc si sorprese nel constata-re che la sua guardia del corpo non era per niente schizzinosa: la vide affondare le mani nude nel paglie-riccio sporco senza pensarci due volte. Non aveva mai conosciuto una ragazza come lei. Una ragazza completamente diversa, sotto tutti i punti di vista, dalla sua ex. Ma quella era una storia a cui non voleva ripensare. Ci stava ancora troppo male. Quella sera, dopo cena, Dana lo aiutò a lavare i piatti e a rigovernare. Rimase a guardarlo mentre lui ripuliva il ripiano della cucina: vederlo impegnato in un ruolo così domestico, così tipicamente femminile, le parve strano. Marc era un uomo talmente virile... Prima di mettersi a tavola, mentre lui era sotto la doccia, ne aveva approfittato per fare un rapido giro di perlustrazione. Non aveva notato oggetti personali che potessero appartenere a qualcun altro, quindi Marc vi-veva da solo. Non aveva avuto il tempo di controllare anche nei cassetti, tra le sue cose, ma aveva visto che la spia luminosa della sua segreteria telefonica lam-peggiava: dovevano esserci diversi messaggi. «Come mai sei venuto a vivere in una fattoria?» gli chiese d'un tratto. Qualsiasi informazione poteva tor-narle utile per l'indagine. Quando lui si voltò dal lavandino, un sorriso imba-razzato gli aleggiava sulle labbra. Un sorriso disar-mante, che Dana trovò irresistibile.

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Doveva riconoscere che Marc era un gran bell'uo-mo. I capelli, ancora bagnati dopo la doccia, erano ravviati all'indietro. Si era cambiato, rispetto a prima: niente camicia, niente scarpe. Solo un paio di vecchi jeans da lavoro. I muscoli tonici del suo torace erano una gran bella vista, rifletté Dana, trovandoseli di fronte. Ma non puoi permetterti di soffermarti ad ammira-re questo fisico atletico, ricordò a se stessa. Marc era un sospetto e un potenziale informatore. Doveva te-nerlo a mente e agire di conseguenza. «Non so che dirti» rispose lui. «Il lavoro all'ufficio legale della Danforth & Co. mi impegna molto e non ho altri hobby. Ho comprato questa fattoria un paio di anni fa, perché me ne sono innamorato e ho pensato che fosse il posto ideale per crescerci una famiglia.» Appese lo strofinaccio e si appollaiò su uno sgabello. «Circa un anno fa, poi... ho cambiato idea riguardo al-la famiglia. Ma questo posto mi sembrava troppo vuo-to senza bambini in giro, così ho pensato di comprar-mi qualche pecora, per movimentarlo un po'. Ed ec-comi qua, a fare anche l'allevatore.» «E non ti pesa questo lavoro?» «Al contrario, mi rilassa e mi piace da matti. Dopo tante ore di fatica mentale, in ufficio, qui mi scarico. E poi, è soltanto un fazzoletto di terra, non mi impegna più di tanto.» «Anche a me piace il lavoro fisico. Quando devi te-nere in movimento i muscoli, è come se il resto del mondo svanisse. La mente si svuota di ogni pensiero.» «Vero.» Marc cercò di non pensarci, ma fu più forte di lui: gli apparve davanti l'immagine di Dana, di quel corpo agile impegnato in un certo tipo di esercizio fi-sico assieme al suo... Un'immagine nitidissima.