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Edizioni Quasar SEMINARI ROMANI DI CULTURA GRECA n.s. IV, 2015 SemRom estratto

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  • Edizioni Quasar

    SEMINARI ROMANI DI CULTURA GRECA

    n.s. IV, 2015

    SemRom

    estratto

  • Redazione:“Sapienza” Università di Roma, Dip. di Scienze dell’Antichità piaz zale A. Moro 5, I-00185 Roma; tel. ++39-0649913604, fax ++39-064451393 email [email protected]à di Roma “Tor Vergata”, Dip. di Studi letterari, filosofici e di Storia dell’arte, via Columbia 1, I-00133 Roma; tel. ++39-0672595066; fax ++39-0672595046 e-mail [email protected]

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    ISSN 1129-5953

    Direttore responsabile: Roberto Nicolai

    Registrazione Tribunale di Roma n. 146/2000 del 24 marzo 2000

    Finito di stampare nel mese di novembre 2015

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  • 1. Due frammenti del secondo libro delle Storie fenicie di FiloneIn questo contributo vorrei discutere due passi che appartengono – si

    curamente il primo, probabilmente il secondo – alle Storie fenicie di Filone di Biblo. Di fatto, solo il primo di essi è attribuito esplicitamente a Filone dalla nostra fonte; vorrei tuttavia argomentare che anche il secondo dei due frammenti, che attribuisce genericamente ai Fenici, senza ulteriori specificazioni, una interpretazione razionalizzante del mito di successione di Crono e Zeus, doveva appartenere in origine al lavoro di Filone e precisamente allo stesso contesto del primo1.

    Riporto innanzitutto il testo e la traduzione dei due frammenti, che sono citati ambedue nel quarto libro del lavoro Sui mesi dell’erudito bizantino Giovanni Lido; ho sottolineato le parti che in particolare ci interessano2.

    Lyd. de mens. 4. 154, p. 170. 3 Wünsch = FGrHist 790 F 5:κες κατὰ τς ὁμωνυμίας ά τινα ἀίαν ἄλλως πως περὶ Κρόνου (corr. Hase: χρόνου O) ἔχους δευτέρας τῶν Φοινικικῶν τοῦ ῾Ερεννίου Φίλωνος ν. καὶ βασιλεῦσαι δὲ αὐτὸν ἡ ἱστορία παδίδωσιν, σθεν ἀφηγησάμην, κ τε τὴν Λιβύην Σικελίαν πους, καὶ πλιν κτίσαι, ὡς ὁ Χάραξ (FGrHist = BNJ 103 F 32) φησίν, τομένην Κρονίαν, νῦν δὲ ῾Ιερὰν πόλιν, ὡς ᾽Ισίγονος ικῶν θεῶν (FHG IV, p. 437, fr. 20) καὶ Πολέμων (fr. 102 Preller) καὶ Αἰσχύλος ἐν τῇ Αἴτνῃ (fr. 11 Radt) πα ἡ ἱστορία κατὰ τὸν Εὐήμερον ποικίλλ (cf. FGrHist 63 T 4) ...

    I Fenici hanno un’opinione diversa riguardo a Crono, secondo il procedimento dell’identità del nome oppure secondo una spiegazione allegorica, come è possibile capire dal secondo libro delle Storie fenicie di Erennio Filone. E la tradizione, come ho esposto precedentemente [4. 71, p. 123 Wünsch], racconta che fu un re della Libia, della Sicilia e delle zone a occidente, e che fondò una città, come dice Charax (FGrHist = BNJ 103 F 32), che allora era chiamata Cronia, ora invece Hierapolis, come tramandano Isigono nel lavoro Sugli dei Palici (FHG IV, p. 437,

    1 Vorrei ringraziare i colleghi Pietro Vannicelli, che per primo mi ha segnalato le analogie tra questi due passi, Maurizio Sonnino ed Eleonora Tagliaferro, che hanno letto questo contributo durante la sua preparazione e mi hanno fornito diversi utili suggerimenti.

    2 Ripropongo il testo stabililito da Wünsch nel 1898.

    Maria Broggiato

    FGrHist 790 F 5: Filone di Biblo e il mito di Crono

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    fr. 20) e Polemone (fr. 102 Preller) ed Eschilo nell’Etna (fr. 11 Radt), e come tutta la tradizione viene rielaborata da Evemero (cf. FGrHist 63 T 4) ...

    Lyd. de mens. 4. 71, p. 123. 1 ss. Wünsch:οἱ δὲ Φοίνικες βασιλέα φασὶν αὐτὸν [scil. τὸν Δία] γενέσθαι δικαιότατον, ὥστε τὴν περὶ αὐτοῦ δόξαν κρείττονα γενέσθαι τοῦ χρόνου· ταύτῃ Κρόνον ἐκβαλεῖν τῆς βασιλείας λέγεται, οἱονεὶ τὸν χρόνον καὶ τὴν ἐξ αὐτοῦ λήθην ὑπερβαλεῖν. ὁ δὲ †Μηλίας ὑπὸ Ἀμαλθείας αὐτὸν τραφῆναι, οἷον ἐκ τῆς δυνάμεως, τουτέστιν ἐκ τῆς ἀμαλακιστίας. ὁ δὲ Κράτης τὸν Κρόνον φησὶ Σικελίας καὶ Ἰταλίας καὶ τοῦ πλείστου μέρους τῆς Λιβύης βασιλεῦσαι ἀπηνῶς, τὸν δὲ τούτου υἱὸν ἐπιθέσθαι τῷ πατρὶ καὶ αὐτὸν μὲν εἰς ἔσχατον ἐλάσαι τῆς δύσεως, ἡμερώτατα δὲ τῆς βασιλείας ἀντιλαβέσθαι, καὶ διὰ τοῦτο τιμηθῆναι ὡς θεόν.

    I Fenici raccontano che Zeus fu un re talmente giusto che la sua fama riuscì a sconfiggere il tempo (χρόνος): per questo si dice che spodestò Crono, nel senso che prevalse sul tempo e sulla perdita di memoria che ne deriva. †Melias dice che Zeus fu allevato da Αmaltea, cioè dalla “potenza”, dalla “forza”. Cratete a sua volta dice che Crono regnò con crudeltà sulla Sicilia, sull’Italia e sulla maggior parte della Libia; suo figlio gli si ribellò e, cacciatolo nell’estremo occidente, governò con grande mitezza: per questo fu onorato come dio.

    Il lavoro di Filone sulle tradizioni mitologico-religiose dei Fenici, in otto o nove libri, fu composto tra la fine del I e la prima metà del II secolo d. C. e ci è giunto per lo più grazie a Eusebio di Cesarea, che nella Praeparatio evan-gelica cita stralci abbastanza ampi del primo libro3. Come è noto, Filone stesso afferma di basare il suo lavoro sul resoconto di Taautos (un altro nome del dio egizio Thoth), che avrebbe scoperto la scrittura e che per primo avrebbe dato un’interpretazione razionale delle credenze religiose, esaminando le tradizioni religiose e le narrazioni sull’origine del cosmo; più tardi un certo Sanchuniathon, il cui floruit veniva posto nell’età della guerra di Troia, avrebbe riscoperto le dottrine di Taautos (vd. Attridge-Oden 1981, pp. 3-9). Il lavoro di Filone è stato molto discusso non solo riguardo alla questione dell’autenticità delle sue affermazioni riguardanti le sue fonti e quindi della datazione del materiale che ci ha conservato, ma anche perché le tradizioni del Vicino Oriente che Filone riporta trovano paralleli nei miti di successione greci riportati nella Teogonia di Esiodo (Filone stesso, del resto, afferma che le tradizioni fenicie erano all’origine della mitologia greca); più in generale, in vista del suo contenuto, si tratta di un testo imprescindibile per chi si occupa della

    3 I frammenti superstiti delle opere storiche, antiquarie e grammaticali di Filone sono stati inclusi da Jacoby nella sua edizione dei frammenti degli storici greci (FGrHist 790); successivamente, quelli appartenenti alle sole Storie fenicie sono stati discussi e commentati da Baumgarten (1981) e riediti, con traduzione inglese e commento, da Attridge e Oden (1981, pp. 70 s. e 96). Più recentemente, Anthony Kaldellis e Carolina López Ruiz hanno nuovamente pubblicato per il Brill’s New Jacoby online tutti i frammenti di Filone, con traduzione e note.

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    storia delle religioni del Vicino Oriente antico4. Filone inoltre affronta il materiale tradizionale con un’ottica che deriva dalla sua cultura ellenistica, e in particolare in una prospettiva evemeristica: i popoli più antichi, come i Fenici e gli Egizi, tributavano onori divini a persone che avevano reso particolari servigi all’umanità oppure alle forze della natura assurte al rango di divinità (su quest’ultimo punto si veda in particolare il § 3).

    Il primo dei nostri due frammenti, quello attribuito espressamente dalle nostre fonti al secondo libro, non è stato finora oggetto di particolare attenzione; è stato comunque incluso da Felix Jacoby nella sua edizione dei frammenti di Filone (FGrHist 790 F 5) e viene citato e brevemente commentato nei principali studi sul lavoro di Filone5. Questa mancanza di interesse da parte degli studiosi moderni non è sorprendente, in considerazione del fatto che si tratta di un riferimento breve ed enigmatico alle tradizioni fenicie riguardo alla figura di Crono; le vicende di Crono infatti vengono discusse da Filone in un lungo brano, ben più noto, del primo libro, citato nella Praeparatio evangelica di Eusebio (1. 10. 15-38 = FGrHist 790 F 2, pp. 809-813 Jacoby): qui Crono occupa un posto importante nella narrazione fatta da Filone dei miti di successione riguardanti gli dei Eliun/Hypsistos e i suoi discendenti Urano, Crono e i figli di Crono. Il nostro frammento, di conseguenza, è passato comprensibilmente in secondo piano non solo per la sua brevità ma anche per il suo contenuto, assai meno perspicuo al confronto della dettagliata testimonianza di Eusebio: nel nostro passo Lido afferma solo che le tradizioni fenicie su Crono riportate da Filone erano diverse da quelle che Lido stesso ha appena discusso nei paragrafi che precedono la citazione (si tratta di alcune interpretazioni allegoriche del mito di Fetonte e di quello su Deucalione e il diluvio); non sappiamo però quali fossero esattamente le tradizioni fenicie alle quali Lido sta facendo riferimento.

    2. La fonte dei due frammentiA ciò si aggiunge lo stato lacunoso del testo della nostra fonte, il lavoro

    Sui mesi di Giovanni Lido; questi fu un erudito e antiquario bizantino, originario di Filadelfia, in Lidia, che nella prima metà del VI secolo d. C. ricoprì una serie di importanti cariche presso la corte imperiale di Costantinopoli. Quando la sua carriera nella burocrazia imperiale subì una battuta d’arresto, si ritirò a vita privata e ottenne in seguito una cattedra all’università della capitale, grazie alla sua conoscenza del latino. Di lui ci rimangono tre opere, il Περὶ μηνῶν (de mensibus), sull’antico calendario romano e le sue feste, il Περὶ

    4 Si vedano per esempio Baumgarten 1981, pp. 1-6, l’introduzione di Attridge-Oden 1981, p. VII e pp. 1-9, e i numerosi contributi di S. Ribichini, in particolare Ribichini 1986 sulla mitologia fenicia in Filone.

    5 Vd. Troiani 1974, p. 55 n. 140 e p. 57; Baumgarten 1981, p. 260; Attridge-Oden 1981, pp. 70 s. e 96; a essi si aggiunge ora il nuovo commento di Kaldellis-López Ruiz nel BNJ online.

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    διοσημειῶν (de ostentis), un’opera di contenuto astrologico, e il Περὶ ἀρχῶν τῆς Ῥωμαίων πολιτείας (de magistratibus), sugli ordinamenti della burocrazia romana. I tre lavori di Lido furono letti da Fozio, che li recensisce nella Biblioteca (cod. 180): Fozio ne dà un giudizio non del tutto positivo, criticandone in particolare la mancanza di continuità a livello stilistico6.

    Tra le opere di Lido, il De mensibus è la più sfortunata dal punto di vista editoriale e dello stato di conservazione del testo, dato che ci è giunta in gran parte solo sotto forma di estratti. L’edizione di riferimento è ancora quella pubblicata da R. Wünsch nel 1898; di recente A. Bandy ha lavorato per molto tempo a una nuova edizione del testo, con traduzione inglese: essa è stata pubblicata nel 2013 da amici e colleghi, dopo la sua morte, ma si presenta come un lavoro ancora allo stato provvisorio7.

    Ho riportato il primo dei due passi del De mensibus con le integrazioni stampate da Wünsch8; esso ci è giunto grazie al codex Caseolinus (Par. Suppl. gr. 257, comunemente noto come cod. O), il più antico testimone delle opere di Lido, mutilo all’inizio e alla fine. Questo manoscritto, l’unico che in origine conteneva il testo integro del De mensibus, purtroppo ce ne conserva solo una piccola parte; si tratta dei ff. 99 e 100, due fogli staccati, ora uniti alla fine del codice, che si presentano molto macchiati dall’umidità e di difficile lettura9: il frammento di Filone è citato appunto nel f. 100. Il resto del lavoro di Lido ci è arrivato solo attraverso una lunga serie di excerpta bizantini, grazie ai quali Wünsch ha ricostruito l’intera opera, che nella sua edizione, pubblicata da Teubner nel 1898, occupa in tutto circa 180 pagine10. Il fatto che nessun altro

    6 Su Lido vd. Klotz 1927; Carney 1970; l’introduzione a Bandy 1983; Maas 1992; Perria 2003. Delle tre opere, il De magistratibus è quella più studiata in tempi recenti (vd. Bandy 1983, Caimi 1984; ora anche la nuova edizione di M. Dubuisson e J. Schamp per le Belles Lettres (2006). Il De ostentis è stato edito da Wachsmuth 1863.

    7 Vd. Bandy 2013, con la recensione di A. Kaldellis in BMCR 2014.01.09. In ogni caso il testo dei nostri due frammenti, come è pubblicato da Bandy, ricalca quello di Wünsch (i capitoli che ci interessano si trovano rispettivamente a p. 204 e a p. 250 dell’edizione di Bandy).

    8 Wünsch si basava sulle proprie letture del cod. O e sulle integrazioni proposte dal primo editore, Charles Benoît Hase, le cui note, con l’apografo dei due fogli, aveva potuto consultare alla Biblioteca Nazionale di Parigi (Wünsch 1898, p. VII).

    9 I due fogli contengono notizie relative a feste romane che avevano luogo nei mesi di novembre (f. 99) e di dicembre (f. 100), e sono stati editi per la prima volta da Hase nel 1823. Una descrizione dettagliata del manoscritto dal punto di vista codicologico e paleografico si trova ora in De Gregorio 2000, p. 145 s.: esso contiene le opere di Lido, il De ostentis (ff. 1r-35v), il De magi-stratibus (ff. 36r-98v) e infine il De mensibus (ff. 99r-100v); si veda anche Dubuisson-Schamp 2006, pp. DCCXLII-DCCXLVIII. Il manoscritto è descritto anche da Hase 1812 (pp. LXXI-LXXVII), da Wünsch nella prefazione alla sua edizione del De mensibus (1898, p. VI ss.) e da Bandy 1983, pp. XLIII-VI. Il codice fu scoperto a Costantinopoli da Jean-Baptiste-Gaspard d’Ansse de Villoison, che si trovava in Oriente al seguito dell’ambasciatore francese Choiseul-Gouffier (dal quale il codice Caseolinus ha tratto il nome).

    10 Nuovi excerpta dell’opera sono stati scoperti di recente in un manoscritto (D 37) della biblioteca del Centro di Studi bizantino-slavi “Ivan Dujčev” di Sofia da Lidia Perria; si tratta di tre striscioline usate per rinforzare gli ultimi tre fascicoli di un Triodio del XIII-XIV sec.: si veda Perria 2003, pp. 247-255.

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    codice integro sia giunto fino a noi si spiega con la struttura stessa dell’opera di Lido, che consisteva in una vastissima raccolta di notizie di varia natura non ben collegate tra loro: di qui la diffusione degli excerpta dell’opera, che cominciarono a circolare già in età molto antica (Wünsch 1898, p. X). Va comunque osservato che il cod. O, in ogni caso, non costituisce l’archetipo del De mensibus: infatti dal confronto tra O e un passo parallelo conservato nell’epitome del lavoro preparata da Massimo Planude (Y) risulta evidente che O non contiene l’originale dell’opera, ma piuttosto una sua versione che comprende allo stesso tempo omissioni e aggiunte rispetto all’originale (così Wünsch 1898, pp. VIII-X).

    Ritornando al primo dei nostri due frammenti, va osservato che la citazione da Filone termina con la menzione del secondo libro delle Storie feni-cie; infatti Lido, nel periodo che segue immediatamente (καὶ βασιλεῦσαι δὲ αὐτὸν ἡ ἱστορία παδίδωσιν ...) passa a parlare di un altro aspetto del mito di Crono, affermando che il dio viene identificato con un antico re del Mediterraneo occidentale e facendo riferimento a quanto ha già detto sopra a tale proposito (σθεν ἀφηγησάμην): si tratta di un richiamo a una sezione precedente dello stesso libro quarto del lavoro, dove Lido cita la medesima interpretazione, assegnandola al grammatico Cratete di Mallo11. Come si vede, si tratta della parte finale del secondo passo che ho riportato nel paragrafo 1: Lido quindi nel primo passo (4. 154) sta evidentemente parafrasando il frammento di Cratete che ha già riportato diversi capitoli prima (4. 71)12.

    3. Una possibile ricostruzione del contenuto del frammentoSe la citazione da Filone nel primo dei passi che stiamo analizzando si

    conclude con la menzione del suo nome e del titolo dell’opera, le Storie fenicie, quale era la tradizione su Crono riportata da Filone alla quale Lido sta facendo riferimento? A mio giudizio questa tradizione è quella riportata anonimamente da Lido nelle prime righe del secondo passo, con un’attribuzione generica ai Fenici: οἱ δὲ Φοίνικες βασιλέα φασὶν αὐτὸν [scil. τὸν Δία] γενέσθαι δικαιότατον, ὥστε τὴν περὶ αὐτοῦ δόξαν κρείττονα γενέσθαι τοῦ χρόνου·

    11 Questa sezione è stata correttamente identificata da Wünsch con il cap. 71 (p. 123 della sua edizione): vd. Wünsch 1898, p. 170, apparato alla linea 8. La storia di Crono che in origine era stato un re della Libia, della Sicilia e del Mediterraneo occidentale non fa quindi parte del frammento di Filone. Kaldellis e López Ruiz al contrario nelle note a BNJ 790 F 5 ipotizzano che il passo risalga a Filone e individuano un collegamento con la cultura punica del Nordafrica e dell’ovest del Mediterraneo, visto che Crono in età ellenistica era identificato con il dio Baal Hammon.

    12 Cratete, fr. 8 p. 71 Wachsmuth = fr. 4 Mette = fr. 129 Broggiato, ap. Lyd. de mens. 4. 71, p. 123. 7 ss. Wünsch. Immediatamente dopo Lido menziona una serie di testimonianze riguardanti la città che Crono avrebbe fondato: le fonti citate sono lo storico Charax di Pergamo, della prima metà del II secolo d. C. (FGrHist 103, con la nuova edizione dei frammenti curata da G. Squillace per il BNJ); il paradossografo Isigono di Nicea (FHG IV, p. 437, fr. 20), l’antiquario Polemone di Ilio (fr. 102 Preller), vissuto tra il III e il II secolo a. C., ed Eschilo nell’Etna (fr. 11 Radt).

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    ταύτῃ Κρόνον ἐκβαλεῖν τῆς βασιλείας λέγεται, οἱονεὶ τὸν χρόνον καὶ τὴν ἐξ αὐτοῦ λήθην ὑπερβαλεῖν. In questo passo Lido riporta una tradizione fenicia secondo la quale Zeus era in origine un re, che, per la sua giustizia, non fu dimenticato dai posteri; in questo modo si spiega il mito di Zeus che aveva spodestato il padre Crono: Crono è qui identificato con Chronos, cioè il Tempo, per cui il mito viene interpretato nel senso che Zeus aveva sconfitto l’oblio, conseguenza del passare del tempo.

    Queste notizie vengono attribuite da Lido genericamente ai “Fenici”, ma penso che si possa ipotizzare che questa tradizione fenicia derivi proprio dallo stesso Filone, dato che essa ha diversi punti in comune con quanto Filone afferma nel nostro frammento a proposito di Crono. Anzitutto, a sostegno della mia ipotesi, va osservato che l’interpretazione anonima gioca sul nome Κρόνος e, sulla base di una paretimologia ben radicata nel mondo greco, la accosta alla parola Χρόνος, “tempo”13; questo può certo corrispondere all’espressione κατὰ τς ὁμωνυμίας , «secondo il procedimento dell’identità del nome», nel frammento del II libro di Filone.

    Anche dal punto di vista del contesto culturale di questa interpretazione, inoltre, possiamo trovare dei punti di contatto con le Storie fenicie: il procedimento evemeristico della spiegazione (Zeus era stato in origine un uomo di grande saggezza) è molto vicino infatti al modo in cui Filone affronta l’interpretazione del mito nel corso dell’opera. Filone teorizza questo procedimento in un passo ben noto del primo libro, citato da Eusebio di Cesarea nella sua Praeparatio evangelica14: qui Filone avverte il lettore che la sua trattazione parte dal presupposto che i più antichi tra i popoli barbari, e in particolare i Fenici e gli Egizi, dai quali a suo giudizio sono derivate le tradizioni degli altri popoli, tributavano onori divini a quegli uomini che avevano fatto scoperte utili per le necessità della vita o a coloro che in qualche modo avevano reso dei benefici ai loro popoli. Essi erano onorati come divinità anche dopo la morte e a loro venivano dedicati templi e stele; i Fenici poi assegnavano i nomi dei loro re agli elementi del cosmo e ad alcune delle divinità riconosciute, e consideravano come dèi tra gli elementi naturali solo il sole, la luna e i pianeti, gli elementi e le loro combinazioni, così che per essi alcuni degli dei erano mortali e altri invece immortali15.

    13 Chronos, personificazione del Tempo, compare tra le divinità primordiali già in Ferecide di Siro e nelle teogonie e cosmogonie orfiche; l’identificazione allegorica del Tempo con Crono/Saturno era molto comune e si trova tra l’altro nella filosofia stoica. Vd. in generale Graf 1997, coll. 1174-1175; Ricciardelli 2000, p. 292; in particolare per Filone è utile López-Ruiz 2006, p. 87 n. 52.

    14 Eus. Praep. evang. 1. 9. 29 = FGrHist 790 F 1, p. 805. 25 ss. Jacoby.15 Sulle origini della distinzione proposta da Filone tra dei immortali (gli elementi del cosmo)

    e mortali (inventori e benefattori divinizzati dopo la morte) vd. Baumgarten 1981, p. 84, che la attribuisce a Evemero (vd. FGrHist 63 F 2, 2, con il commento di P. Christesen nel BNJ = Euhemerus test. 25 Winiarczyk) e la discussione in Attridge-Oden 1981, p. 74 s.

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    Il procedimento evemeristico di cui in questo passo Filone propone le basi teoriche, cioè il far derivare le figure degli dei da figure di uomini divinizzati dopo la morte per i loro meriti nei confronti dei loro popoli, è chiaramente riconoscibile in diversi passi di frammenti superstiti del I libro delle Storie fenicie. Tale metodo è particolarmente evidente nella sezione sugli inventori, dove si parla dei fratelli Samemrumos e Usoos, il primo dei quali secondo le tradizioni fenicie avrebbe inventato le capanne di canne e giunchi, mentre il secondo si sarebbe vestito di pelli di animali e si sarebbe avventurato sul mare su un tronco d’albero: essi furono oggetto di culto dopo la morte e in loro onore venivano celebrate feste annuali (Praep. evang. 1. 10. 9-10 = FGrHist 790 F 2). Ugualmente Filone attribuisce a una serie di uomini del passato (Praep. evang. 1. 10. 11-14 = FGrHist 790 F 2) l’invenzione della caccia, della pesca, degli oracoli, dei mattoni cotti al sole, dell’uso del sale, e così via; essi avrebbero poi ricevuto onori divini16.

    4. Il mito di Crono nel I libro delle Storie fenicieRitornando alla tradizione fenicia anonima riportata da Lido, essa riguar

    da in particolare Crono e suo figlio Zeus; a questo punto potremmo chiederci se nei passi conservati delle Storie fenicie sia possibile trovare dei paralleli più precisi, in particolare riguardo alle vicende di Zeus e di Crono. Come ho già detto (§ 1), infatti, la narrazione del mito di Crono occupa un posto importante nelle sezioni conservate delle Storie fenicie che espongono i miti di successione riguardanti gli dei Eliun/Hypsistos e i suoi discendenti Urano, Crono e i suoi figli; essa ci è arrivata grazie a una lunga citazione di Eusebio17. Questa narrazione è stata oggetto di particolare interesse da parte degli studiosi moderni, perché presenta numerosi paralleli con altri miti sull’origine degli dei, sia greci sia orientali: Filone, o la sua fonte, ha fatto un’opera di razionalizzazione di queste teogonie indipendenti, inglobandole nella sua più ampia storia della cultura umana18. I paralleli con i miti greci sono evidenziati da Filone stesso più avanti: a suo giudizio Esiodo e i poeti del ciclo si sarebbero appropriati dei miti fenici, ornandoli e abbellendoli per affascinare i lettori19.

    La tradizione fenicia riportata da Lido su Crono e Zeus, che sarebbero stati in origine dei re, si lascia inserire senza difficoltà, credo, nel resoconto che troviamo nel frammento di Filone su Eliun e i suoi discendenti. Il parallelo più evidente sta nel presupposto da cui prende le mosse il resoconto di Filone, cioè che queste divinità fossero state in origine dei mortali; non a caso la sezione inizia con l’esplicita menzione del fatto che si parla di uomini (γίνεταί τις Ελιοῦν, «nacque un certo Eliun», che viveva con la moglie vicino a Biblo,

    16 Vd. Troiani 1974, p. 104 ss.; Baumgarten 1981, p. 140 ss.; Attridge-Oden, pp. 81-86.17 Praep. evang. 1. 10. 15-30 = FGrHist 790 F 2, pp. 809. 14-811. 23 Jacoby.18 Attridge-Oden 1981, p. 86 n. 79.19 Praep. evang. 1. 10. 40-41 = FGrHist 790 F 2, p. 813, 11-22 Jacoby.

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    p. 809. 14 s. Jacoby), e questo atteggiamento evemeristico rimane dominante nel corso della narrazione.

    La funzione preponderante dell’evemerismo nel racconto di Filone è evidente anche nel resoconto che ne fanno le nostre fonti: lo stesso Eusebio, nel terzo libro della Praeparatio evangelica (3. 10. 20), riferendosi a un passo della storia di Crono in Filone, di cui ha già parlato nel primo libro, lo parafrasa dicendo che i primi tra i Fenici a occuparsi dell’origine degli dèi tramandano che Zeus era figlio di Crono, un mortale di stirpe fenicia (vd. Attridge-Oden 1981, p. 89 s. n. 112)20. Ugualmente un padre della Chiesa del V secolo d. C., Teodoreto di Cirro, intende nello stesso modo il passo di Filone, che conosceva attraverso il resoconto di Eusebio: Teodoreto afferma infatti che, secondo Sanchuniathon, Crono e Rea erano un uomo e una donna, e Zeus ed Era erano i loro figli: per le loro buone azioni, dopo la loro morte erano stati onorati come divinità dai Fenici (citato da Attridge-Oden 1981, p. 86 s. n. 85)21.

    Va notato, a questo punto, che nella trattazione genealogica di Filone non troviamo dettagli sulla rivalità tra Crono e il figlio Zeus; nemmeno è espressa in modo esplicito l’equivalenza tra il dio Crono e il Tempo, attribuita ai Fenici da Lido. Tuttavia, essa può essere riconosciuta in un altro passo di Filone, dal cui contenuto è possibile dedurre elementi che rimandano all’identificazione Crono/Tempo. Si tratta del punto in cui egli descrive i segni della regalità di Crono (Eus. Praep. evang. 1. 10. 36-37 = FGrHist 790 F 2, p. 812. 18-27 Jacoby):

    ἐπενόησε δὲ καὶ τῷ Κρόνῳ παράσημα βασιλείας ὄμματα τέσσαρα ἐκ τῶν ἐμπροσθίων καὶ ὀπισθίων μερῶν, (suppl. Jacoby), δύο δὲ ἡσυχῆ μύοντα· καὶ ἐπὶ τῶν ὤμων πτερὰ τέσσαρα, δύο μὲν ὡς ἱπτάμενα, δύο δὲ ὡς ὑφειμένα. τὸ δὲ σύμβολον ἦν, ἐπειδὴ Κρόνος κοιμώμενος ἔβλεπε, καὶ ἐγρηγορῶς ἐκοιμᾶτο· καὶ ἐπὶ τῶν πτερῶν ὁμοίως, ὅτι ἀναπαυόμενος ἵπτατο, καὶ ἱπτάμενος ἀνεπαύετο. τοῖς δὲ λοιποῖς θεοῖς δύο ἑκάστωι πτερώματα ἐπὶ τῶν ὤμων, ὡς ὅτι δὴ συνίπταντο τῷ Κρόνῳ· καὶ αὐτῷ δὲ πάλιν ἐπὶ τῆς κεφαλῆς πτερὰ δύο, ἓν ἐπὶ τοῦ ἡγεμονικωτάτου νοῦ καὶ ἓν ἐπὶ τῆς αἰσθήσεως.

    egli (Taautos) escogitò anche come emblema del potere di Crono quattro occhi, sulla fronte e sulla nuca, due aperti e due serenamente chiusi; e sulle spalle quattro ali, due aperte in volo e due chiuse. Il simbolismo significava che, dato che Crono vedeva anche quando dormiva, egli aveva un sonno vigile; e ugualmente

    20 Eus. Praep. evang. 3. 10. 20 Mras: Φοινίκων μὲν οὖν οἱ πρῶτοι θεολόγοι, ὡς ἐν τῷ πρώτῳ συγγράμματι παρεστήσαμεν, τὸν Δία παῖδα Κρόνου θνητὸν ἀπὸ θνητοῦ γενόμενον, ἄνδρα Φοίνικα τὸ γένος, ἀπεμνημόνευον, κτλ. Il rimando è a 1. 10. 26 = FGrHist 790 F 2, p. 811. 7 Jacoby.

    21 Theodoret. Graec. affect. cur. 3. 25 ed. Raeder: καὶ γὰρ δὴ καὶ τὸν Κρόνον ἄνθρωπον εἶναι Σαγχωνιάθων ἔφησε καὶ γυναῖκα τὴν ῾Ρέαν τὴν ἐκείνου ὁμόζυγα καὶ τὸν Δία καὶ τὴν ῞Ηραν ἐκείνων γε παῖδας, εἶτα εὐεργεσιῶν τινων ἄρξαντας καὶ δεξαμένους τοῦ βίου τὸ τέλος, θείας παρὰ Φοινίκων ἀξιωθῆναι τιμῆς, καὶ θεοὺς ἀναγορευθῆναι καὶ βωμοῖς καὶ θυσίαις καὶ ἐτησίοις τιμηθῆναι δημοθοινίαις.

    estratto

  • 155FGrHist 790 F 5: Filone di Biblo e il mito di Crono

    per quanto riguarda le ali, che volava mentre riposava e riposava quando era in volo. Al resto degli dei assegnò due ali sulle spalle per ciascuno, dato che volavano insieme con Crono; e a lui diede anche due ali sulla testa, una per la mente, la parte più autorevole, e una per i sensi.

    Di recente si è ipotizzato che queste insegne della regalità di Kronos rimandino a un’identificazione Kronos/Tempo: Filone stesso del resto spiega che i quattro occhi sono simbolo del fatto che il dio è sempre vigile (evidente caratteristica del Tempo). Gli occhi che guardano in avanti e all’indietro probabilmente rappresentano il fatto che il Tempo poteva guardare al passato e al futuro; un parallelo si trova per esempio nella tradizione egizia, dove il tempo era rappresentato da due leoni che guardavano l’uno in direzione opposta all’altro (vd. Kaldellis-López-Ruiz, nel commento a F 2, 36-37 e López-Ruiz 2006, pp. 79-94)22.

    Quindi, il passo delle Storie fenicie che descrive le insegne regali di Crono contiene probabili tracce dell’identificazione di Crono con il Tempo, cioè è coerente con il contenuto del secondo passo di Lido, che propongo di assegnare appunto a Filone.

    5. ConclusioniIn sostanza, credo che la proposta di assegnare al secondo libro del la

    voro di Filone la tradizione fenicia riportata anonimamente da Lido a p. 123 Wünsch possa essere argomentata con una serie di indizi di metodo e di contenuto che vanno oltre la somiglianza superficiale tra i due passi. Lido, secondo la mia ricostruzione, farebbe riferimento allo stesso passo di Filone due volte, citando però solo in un’occasione il nome della sua fonte, esattamente come fa con la diversa tradizione su Crono e Zeus tratta da Cratete di Mallo, che compare due volte nel lavoro Sui mesi, una delle quali anonimamente, e forse non per caso proprio in prossimità dei riferimenti a Filone e alle tradizioni fenicie. L’assetto attuale del testo del De mensibus ci autorizza a prendere in considerazione anche un’altra possibilità, cioè che nel secondo passo, dove il nome di Filone non è citato (p. 123 Wünsch), esso comparisse in origine, ma sia caduto a causa del processo di riduzione in excerpta al quale, come abbiamo visto, fu sottoposto il lavoro di Lido. Di conseguenza, in questo passo, conservato in estratti, forse in origine poteva comparire la menzione della fon

    22 Una rappresentazione ellenistica di Chronos con le ali si trova nel famoso rilievo di Archelao di Priene, ora al British Museum, che rappresenta l’apoteosi di Omero (l’identificazione di Chronos è assicurata dall’iscrizione); in generale sulle rappresentazioni di Chronos nel mondo grecoromano si veda la voce relativa nel LIMC (III 1, s. v.). Su Chronos nel pensiero religioso greco e sulla sua identificazione con Crono/Saturno rimando a Graf 1997; López-Ruiz 2006, pp. 79-94. – Chronos/Tempo era elencato tra i principi primordiali nella cosmogonia fenicia di Eudemo (FGrHist 784 F 4, ora anche nel BNJ, con il nuovo commento di C. López-Ruiz; il frammento è pubblicato anche in Attridge-Oden 1981, Appendix II, p. 102 s.).

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    te, cioè le Storie fenicie di Filone, che poi sarebbe caduta; riprendendo lo stesso argomento successivamente (cioè nel primo dei nostri due frammenti, a p. 170 Wünsch) Lido riporta l’autore e il titolo dell’opera, ma fa riferimento in modo allusivo al contenuto del frammento, che ha già illustrato in precedenza.

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    estratto

  • 157FGrHist 790 F 5: Filone di Biblo e il mito di Crono

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    Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, Dipartimento di Scienze dell’Antichitàe-mail: [email protected]

    Abstract: The paper discusses a short fragment from the second book of Philo of Byblos’ Phoenician Histories, about the myth of Kronos (FGrHist 790 F 5 = John the Lydian, On Months 4. 154, p. 170, 3 Wünsch) and compares it with an anonymous Phoenician tradition regarding Kronos and Zeus, where Kronos is identified with Chronos, “Time” (also reported by John the Lydian, On Months 4. 71, p. 123, 1 ss. Wünsch). The similarities between these two passages, as well as the comparison with the succession myth of Kronos reported at length in the surviving sections of the first book of Philo’s work, suggest that the anonymous Phoenician myth could be ascribed to Philo.

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