Giorgio La Pira · 2019. 6. 15. · La lettera alla zia Settimia La zia Settimia, moglie dello zio...

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Giorgio La Pira Il sindaco “santo”

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Giorgio La Pira

Il sindaco “santo”

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La vita di Giorgio La Pira

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Gli anni siciliani Giorgio La Pira nasce a Pozzallo, nel sud della Sicilia, il 9 gennaio 1904.

A dieci anni va dallo zio Luigi a Messina, per proseguire gli studi. Lo zio gestisce un commercio di vini, tabacchi e liquori di cui Giorgio diviene collaboratore; massone e anticlericale, non vuole neanche vederlo parlare con i preti.

La sua formazione giovanile si compie nella Messina degli anni del grande terremoto.

Fa parte di un gruppo di giovani che respirano a pieni polmoni l’aria che circola: si ispirano soprattutto a D’Annunzio e Marinetti perché incarnano la ribellione, l’anticonformismo; ma, allo stesso tempo, leggono moltissimo e si avvicinano ad altre esperienze. Del gruppo fa parte Salvatore Quasimodo, futuro premio Nobel per la letteratura.

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Diplomatosi in ragioneria nel 1921, La Pira viene convinto dal suo insegnante di italiano, Federico Rampolla Del Tindaro, a proseguire gli studi. Consegue la maturità e si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza. Conosce monsignor Mariano Rampolla Del Tindaro, fratello di Federico, che diviene sua guida in una intensa vita spirituale.

Nel 1924, durante la Messa di Pasqua succede qualcosa che lo porta a consacrare la vita a Dio. È il giorno che i biografi indicano come data della sua conversione. La Pira dunque decide di consacrarsi a Dio: il suo desiderio però è di svolgere il suo apostolato nel mondo.

I motivi li spiega in una lettera alla zia Settimia.

Gli anni siciliani - segue

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La lettera alla zia Settimia

La zia Settimia, moglie dello zio Luigi, è considerata come una mamma dal giovane La Pira. È proprio in una lettera a lei, inviata da Firenze del 1931 che La Pira scrive nel modo più chiaro il “progetto” della propria vita con tre frasi che lo esprimono compiutamente: “(…) vorrei che il fuoco che brucia nella mia anima bruciasse nelle altre: affinché il Cielo e la gioia venissero infine a prendere stanza nelle anime. (…) Lo stato attuale mio si esprime in una sola parola: sono un libero apostolo del Signore felice di amarne e di proclamarne l'ineffabile bellezza e misericordia. (…) Che il Signore abbia messo nella mia anima il desiderio delle grazie sacerdotali non c'è dubbio: solo, però, che Egli vuole da me che io resti col mio abito laico per lavorare con più fecondità nel mondo laico lontano da Lui. Ma la finalità della mia vita è nettamente segnata: essere nel mondo il missionario del Signore: e quest'opera di apostolato va da me svolta nelle condizioni e nell'ambiente in cui il Signore mi ha posto.

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I primi anni a Firenze

Il giovane Giorgio La Pira arriva a Firenze nel 1926, seguendo il professore con cui sta preparando la tesi in storia del Diritto Romano. Viene per laurearsi, e ci rimarrà tutta la vita. È un amore a prima vista, come testimoniano le prime lettere scritte ai familiari.

A Firenze La Pira studia, insegna, partecipa alle attività caritative della San Vincenzo de’ Paoli. Lo chiamano “il professorino”; quando è lui a parlare alle riunioni della Gioventù Cattolica c’è sempre il pieno. Nel frattempo, rinnova l’adesione al Terz’ordine Domenicano, e sceglie come abitazione una cella nel convento di San Marco.

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A Firenze resterà fino a che la tendenza a ammalarsi di bronchite non lo costringerà a trasferirsi; ma tornerà spesso a pregare e a condividere la mensa con i frati. Il desiderio di consacrarsi a Dio lo porta anche ad essere tra i fondatori, nel 1928, dell’Istituto dei Missionari della Regalità di Cristo, voluto da padre Agostino Gemelli, un istituto - che opera nell'ambito dell'ordine francescano - presso il quale prenderà i voti di povertà, obbedienza, castità. Gli anni trenta a Firenze sono anni pieni di fermento. Ci sono i poeti, gli scrittori: Giovanni Papini, Piero Bargellini... Tra le persone che hanno maggiore influenza su La Pira c’è don Giulio Facibeni, il fondatore della “Madonnina del Grappa”. E il cardinale Elia Dalla Costa, con il quale La Pira si consiglia prima di qualsiasi decisione e che tante volte lo difenderà dalle critiche e dalle malignità. La Pira frequenta anche la casa di don Raffaele Bensi, che diviene suo padre spirituale e confessore. È qui, come racconta lo stesso La Pira, che nasce l’idea della “Messa dei Poveri” nella chiesetta di San Procolo.

La vita a Firenze negli anni 30

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La nascita della passione per la politica

È proprio dagli impegni di carità che nasce la passione di La Pira per la politica che per lui è un modo efficace per fare del bene. Molti, all'interno della Chiesa italiana, avevano capito che il crollo del regime fascista era vicino e si doveva preparare una classe politica nuova, in grado di diventare protagonista nella ricostruzione della società: il giovane La Pira occupa un ruolo importante. La Pira partecipa agli incontri clandestini che sin dal 1940 si svolgono a Milano, nell’ambito dell’Università Cattolica, insieme a Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani. In quegli stessi anni, viene invitato spesso ai raduni del Movimento Laureati Cattolici e della FUCI; quando, nel 1943, a seguito di questa intensa attività viene redatto il “Codice di Camaldoli”, vero e proprio manifesto di impegno politico elaborato da intellettuali e studiosi cattolici, La Pira figura ufficialmente tra gli esperti consultati per la stesura del documento.

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La rivista“Principi", la guerra

Nel 1939 fonda la rivista “Principi”, sulle cui pagine difende in maniera coraggiosa il valore della persona umana e la libertà e che viene soppressa dal regime fascista.

Nel periodo delle persecuzioni razziali si dedica anche ad aiutare famiglie di ebrei a nascondersi nei conventi.

Quando la città è occupata dai nazisti, nel 1943, La Pira, ricercato, si rifugia a Fonterutoli, nella casa di campagna dell’amico Jacopo Mazzei, padre di Fioretta, poi a Roma, in casa di monsignor Giovambattista Montini, il futuro papa Paolo VI.

In questo periodo tiene corsi di dottrina sociale all’università Lateranense nei quali La Pira sottolinea l’urgenza, per i laici cristiani, di passare dalla preghiera all’impegno sociale: le lezioni saranno poi pubblicati nel volume “La nostra vocazione sociale” .

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Alla Costituente e al Governo

Quando torna a Firenze dopo la Liberazione, nel 1944, La Pira è uno degli esponenti più preparati del movimento cattolico italiano. Il 2 giugno del 1946, viene eletto a far parte dell’Assemblea Costituente, cioè l’insieme delle persone incaricate di redigere la Costituzione Italiana. All’interno della Costituente, fa parte della prima sotto-commissione, quella che scrisse i “Principi fondamentali”. Tanti articoli della Costituzione italiana portano la sua firma: quelli sulla dignità della persona (articoli 2 e 3), sul rapporto tra stato e chiesa (articolo 7), quello in base al quale l’Italia ripudia la guerra (articolo 11). Fu tra gli artefici del dialogo tra gli esponenti cattolici (tra gli altri Giuseppe Dossetti, Giuseppe Lazzati, Amintore Fanfani, Aldo Moro) e i rappresentanti di altre correnti ideologiche (i socialisti Lelio Basso e Piero Calamandrei, il comunista Palmiro Togliatti).

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Alla Costituente e al Governo - segue

Nel 1948 viene eletto alla Camera dei Deputati.

In Parlamento, insieme a Fanfani, Dossetti, Lazzati, compone il gruppo dei “professorini”: intransigenti nel porre come priorità assolute le questioni sociali e la lotta alla disoccupazione, sono spesso in contrasto con i vertici del governo e della Dc.

De Gasperi lo chiama come sottosegretario al lavoro nel suo quinto governo. In tale funzione La Pira si trova spesso a svolgere un difficile ruolo di mediatore in aspre battaglie, tra sindacati agguerriti, industriali non disposti a cedere e i ministri del bilancio e delle finanze poco inclini alla trattativa.

La Pira indica, come obiettivo fondamentale dell’azione politica, la “piena occupazione”: dare lavoro a tutti non è un miraggio, ma un obiettivo possibile. La politica doveva rispondere, diceva La Pira, alle attese della povera gente : proprio questo è il titolo di un suo famoso articolo, che suscitò un profondo dibattito.

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L'elezione a Sindaco di Firenze

La Pira lascia il governo nel 1949. Nel 1951 accetta, a seguito di forti pressioni esercitate anche da autorità religiose, di fare il Capolista per la Democrazia Cristiana nelle elezioni amministrative del 10 e 11 giugno.

Decisivo per l’accettazione il progetto di dare una risposta concreta e

globale alle emergenze nuove della politica soprattutto dopo l’esperienza di governo che seguì quella alla Costituente.

In seguito alla vittoria della sua coalizione La Pira, cui erano andate oltre

19000 preferenze, viene eletto per la prima volta Sindaco di Firenze, prendendo il posto di Mario Fabiani, che aveva guidato nei quattro anni precedenti una giunta di sinistra.

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Le dimissioni da Parlamentare Nel 1952, La Pira dovrà dimettersi da parlamentare: per escludere La Pira

dal Parlamento fu approvata una legge ad hoc, che stabilisce l’incompatibilità fra il mandato parlamentare e la funzione di sindaco di una grande città.

Il 15 dicembre del 1952, il presidente della Camera Giovanni Gronchi scrive a La Pira per sollecitarlo a scegliere tra le due cariche. La risposta di La Pira è contenuta in un lapidario telegramma : “Davanti alla illegittima alternativa tra Montecitorio e Firenze, alla quale mi ha posto la Camera, scelgo Firenze, perla del mondo”.

Giorgio La Pira siederà ancora alla Camera dal 1958 al 1960; e sarà nuovamente eletto deputato nel 1976, un anno prima di morire. Per il resto, non ricoprirà più alcun incarico politico di livello nazionale. Avrà anzi con i Palazzi romani e con i vertici della DC rapporti piuttosto difficili: celebri in particolare le sue polemiche con don Luigi Sturzo, “padre spirituale” della Democrazia Cristiana

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L’impegno sociale per Firenze

La Pira trova a Firenze il terreno più adatto in cui svolgere il suo impegno politico.

La città diventa il laboratorio in cui mettere in pratica le sue idee, rivolgendo il suo impegno ai problemi concreti della povera gente.

Giorgio La Pira aveva chiara la sua idea di città e dei diritti sociali che aveva contribuito a porre alla base della Costituzione.

I diritti sociali sanciti dalla Costituzione non possono infatti restare, per La Pira, sulla carta. Il concreto impegno - prima nel governo, poi nella amministrazione della città - lo mettono a confronto con le realtà della disoccupazione, della malattia, dei problemi abitativi ecc.

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L’impegno sociale per Firenze - segue

“Ho un solo alleato” (scrive nei suoi appunti nel 1961 in preparazione della visita di Gaitskell in Palazzo Vecchio): “la giustizia fraterna quale il Vangelo la presenta.

Ciò significa:

1) lavoro per chi ne manca

2) casa per chi ne è privo

3) assistenza per chi ne necessita

4) libertà spirituale e politica per tutti 5) vocazione artistica e spirituale di Firenze nel quadro universale della città cristiana ed umana”

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I problemi della povera gente prima di tutto

Nel novembre del 1951, racconta la sua esperienza di sindaco, in un discorso durante un convegno di giuristi cattolici in cui descrive le mille difficoltà e i grandi problemi da risolvere: ci sono famiglie senza casa, disoccupazione, miseria.

I problemi sui quali si concentra primariamente sono il lavoro e la casa.

Uno dei primi drammi da sciogliere è infatti quello dell’emergenza casa: gli sfratti sono in continuo aumento…

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La requisizione delle case sfitte

La Pira è preoccupato per l’aumento degli sfratti: 437 nel 1950, 799 nel 1951, per il 1952 ne sono previsti più di mille. Vara un programma di edilizia pubblica (le “case minime”) e, per fronteggiare l’emergenza, chiede ad alcuni proprietari immobiliari di affittare temporaneamente al Comune una serie di appartamenti vuoti. A seguito delle risposte negative, ordina la requisizione degli immobili.

Il provvedimento si basa su una legge del 1865, che dava facoltà ai sindaci di requisire qualsiasi proprietà privata in situazioni di emergenza o per motivi di ordine pubblico.

La Pira rispolvera questa norma, e la applica alla situazione fiorentina. “Il problema di un alloggio ai senza tetto – recita l’ordinanza – riveste gli aspetti di una grave necessità pubblica”.

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Il diritto al lavoro

• Per La Pira il diritto al lavoro è, dal punto di vista sociale, uno dei fondamentali diritti di cittadinanza posti dalla Costituzione alla base della comunità civile:

• da un punto di vista economico è il cardine di un sano stimolo della produttività

• da un punto di vista morale e religioso, inoltre, esso è un imperativo categorico (“Se io sono uomo di Stato il mio no alla disoccupazione ed al bisogno non può che significare questo: -che la mia politica economica deve essere finalizzata dallo scopo dell’occupazione operaia e della eliminazione della miseria: è chiaro! Nessuna speciosa obbiezione tratta dalle c. d. «leggi economiche» può farmi deviare da questo fine”)

• Numerose sono le occasioni in cui La Pira si è trovato a fronteggiare situazioni in cui la difesa di questi diritti si urtava ad ostacoli formidabili. Emblematico è rimasto il caso Pignone.

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Il caso Pignone

Da sindaco, Giorgio La Pira non ha trascurato lo sviluppo industriale, commerciale, finanziario di Firenze. Tra le tante cose realizzate sotto la sua amministrazione, la Centrale del Latte, il Mercato ortofrutticolo di Novoli, la rete delle farmacie comunali, la ricostruzione dei ponti distrutti dai nazisti, il quartiere dell’Isolotto.

Ma il “pezzo” di economia fiorentina e nazionale a cui La Pira ha legato per sempre il suo nome è senza dubbio la Pignone. La fabbrica Pignone si era ingrandita nel periodo bellico producendo armi. Dopo la guerra aveva tentato di riconvertirsi nel campo dei telai tessili, ma con poco successo.

La società proprietaria, la Snia Viscosa, aveva già ridotto il personale: quando, nel novembre 1953, annuncia la chiusura degli stabilimenti, gli operai occupano la fabbrica e La Pira si schiera pubblicamente dalla loro parte. Non solo per difendere il diritto al lavoro ma con una chiara strategia per l’economia della città.

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Il caso Pignone - segue

Con gli operai, nasce l’idea di utilizzare negli impianti di estrazione del petrolio le turbine prodotte dall’azienda.

Questa, specializzandosi in questo tipo di produzione, avrebbe potuto diventare strategica per l’Eni di Mattei, che era in grande espansione grazie ai contatti (anche questi stimolati dall’azione di La Pira) con i paesi arabi.

Dopo una lunga trattativa, il 9 gennaio 1954 l’accordo viene firmato e per la Pignone (diventata “Nuovo Pignone”) inizia una stagione di grande crescita. L'azienda, anche dopo l'acquisto (1993) da parte della General Electric, è rimasta la principale azienda produttiva fiorentina ed è oggi la capofila della divisione Oil & Gas della GE Energy (caso unico per General Electric di capofila non basata in USA).

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La fama e le critiche

La fama di questo singolare personaggio, che i fiorentini chiamano ormai il “sindaco santo”, giunge presto anche all’estero.

Per la sua attività, La Pira riceve però anche attacchi di ogni tipo. Viene

accusato di fare il gioco dei comunisti; il giornale fiorentino La Nazione lo attacca quotidianamente, lo chiama “comunistello di sacrestia”; accuse e frecciate vengono anche da ambienti cattolici. Significativa la sua “autodifesa” in una lettera al Papa Pio XII.

Alle elezioni comunali del 1956 La Pira, per quanto osteggiato dai poteri

forti, riscuote un grande sostegno popolare (quasi 34.000 preferenze). Però la nuova legge elettorale, rigidamente proporzionale, rende più instabile la maggioranza: La Pira è eletto sindaco ma dopo un anno deve lasciare la guida del Comune a un commissario prefettizio.

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La fine di una stagione

Alle elezioni comunali, nel 1960, sarà di nuovo il più votato e guida la sua terza amministrazione, dal 1961 al 1965, sostenuto da una coalizione DC-PSDI-PSI.

La costruzione di 17 nuove scuole, la sistemazione dell’acquedotto, il varo del nuovo piano regolatore, la valorizzazione dell’artigianato fiorentino e del Maggio musicale e molte altre realizzazioni che hanno cambiato il volto della città, sono i punti intorno ai quali si concentra l'azione amministrativa. Contemporaneamente accompagna il periodo del Concilio Vaticano II e la speranza della distensione internazionale.

Alle nuove elezioni ottiene ancora un notevole successo, ma il clima

politico è ormai deteriorato: in un telegramma al segretario della DC Mariano Rumor e al Primo Ministro Moro La Pira denuncia le trame con cui, nelle segreterie dei partiti e nei “salotti” cittadini, si lavora per mettere fine alla sua singolare esperienza di sindaco.

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Il valore delle città In un celebre discorso pronunciato nel 1954 a Ginevra sul “valore delle

città” La Pira affermò il diritto delle città a sopravvivere e quindi il dovere degli amministratori di operare per la pace.

Negli anni della guerra fredda convocò a Firenze i Convegni per la pace e la civiltà cristiana, e poi i Colloqui mediterranei.

Il punto di partenza era quello della inadeguatezza della guerra a risolvere i conflitti e della inevitabilità del negoziato: l’unica strategia capace di governare l’epoca della decolonizzazione e della presa di coscienza della fondamentale comunanza di destino dei popoli.

In questa strategia rientrano anche i gemellaggi di cui La Pira si fece promotore, creando legami tra Firenze e le città di tutti i continenti: Reims, Fez, , Kiev, Filadelfia …“Bisogna unire le città - diceva - per unire le

nazioni”.

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Abbattere i muri, costruire ponti…

Organizzò anche, nel 1955, un convegno dei sindaci delle capitali del mondo: Washington, Varsavia, Londra, Parigi, Pechino, Mosca. A Mosca andò nel 1959, primo politico occidentale non comunista a varcare la “cortina di ferro”: un’esperienza importante che lo vide anche al Cremlino, dove non ebbe timori a sollevare il problema dell’ateismo di Stato.

Quello a Mosca è solo uno dei suoi tanti viaggi volti ad abbattere i muri, costruire ponti coerentemente con l’ipotesi di fondo (storica e teologica) dell’unità della famiglia umana. Uno dei più delicati fu quello in Viet Nam dal quale riportò una offerta di trattative che avrebbe potuto evitare anni di inutile sanguinosa guerra.

Altri viaggi importanti li fece in Medio Oriente: non ci potrà essere pace nel mondo, diceva, finché non ci sarà pace tra cristiani, ebrei, musulmani, quella che lui chiamava la “ triplice famiglia di Abramo”.

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Presidente delle Città Unite

Gli ultimi anni della sua vita, La Pira li trascorre tra i giovani, ospite dell’Opera per la Gioventù. Proprio le nuove generazioni erano state più volte al centro delle sue parole.

Dopo il 1965, pur non essendo più sindaco di Firenze, La Pira rimane al centro di mille contatti internazionali: come presidente della Federazione delle Città Unite viene invitato a tenere discorsi e conferenze in tutto il mondo.

Si impegna attivamente per la pace e il disarmo e per la distensione in Europa. Parallelamente, si adopera all’interno della Chiesa per il dialogo ecumenico tra le religioni e la responsabilizzazione del laicato.

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Nuovi impegni politici

E anche la politica nazionale lo chiama a nuovi impegni. La Pira è in prima linea nelle battaglie per il referendum sull’aborto e sul divorzio e difende con forza il valore della vita, della persona, della famiglia.

Nel 1976, in un clima teso in cui le prospettive di dialogo tra le forze di progresso italiane rischiano, a suo parere, di immiserirsi in puri tatticismi la Democrazia Cristiana, guidata da Benigno Zaccagnini, gli chiede nuovamente di candidarsi.

È eletto deputato, ma la sua salute peggiora gravemente. Uno degli amici di sempre, Paolo VI, gli ribadisce la sua vicinanza con una commovente lettera scritta di proprio pugno.

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La morte

Giorgio La Pira muore il 5 novembre 1977 in un “sabato senza vespri” di cui lui stesso aveva parlato. Il giorno dopo, la salma viene esposta a San Marco: i fiorentini si riversano in massa a salutare il “sindaco santo”, mentre da tutto il mondo arrivano personalità della politica e della cultura, uomini di ogni nazione e religione. Il 7 novembre, i funerali: in Duomo, il cardinal Benelli afferma: “Nulla può essere capito di Giorgio La Pira se non è collocato sul piano della fede”.

Il giorno dopo i quotidiani italiani, che erano stati spesso molto critici con La Pira, sono unanimi nel riconoscere il valore della sua opera: “Un profeta da rivalutare” (Corriere della Sera), “Un profeta in politica” (La Stampa), “Il

professore che volle essere mediatore di pace” (La Repubblica), “Il profeta della pace planetaria” (Il Tempo).

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La testimonianza di Giorgio La Pira nel ricordo dei suoi amici

I suoi amici riflettono sulla sua testimonianza. “Se si dovesse con un tratto segnare il peso della sua vicenda –

scrive Carlo Bo - bisognerebbe dire che La Pira è passato, sì, come una meteora nel cielo della politica che era indegna di lui, ma è stato, per altro verso, il simbolo di un’altra e più alta ragione: anche un santo può fare politica a patto che la sua vocazione politica sia soltanto il riflesso e l’eco della sua più antica e vera scelta religiosa”.

E Paolo VI, nell’udienza generale del mercoledì, esprime il suo

cordoglio per la morte del “generoso e fedele servo del Signore Giorgio La Pira".

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Pace, Shalom, Salam

Giorgio La Pira viene sepolto nel cimitero di Rifredi, accanto all’amico don Facibeni.

Sulla sua tomba c’è una lampada, dono di alcuni ragazzi fiorentini, israeliani e palestinesi. Sopra c’è scritto “Pace, Shalom, Salam”.

Nel 2007, nel trentesimo anniversario della morte e in seguito alla conclusione della fase diocesana del suo processo di beatificazione la sua salma viene traslata nella Basilica di San Marco.

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