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1 Esistono due tipologie tipo di frattura: duttile e fragile. Nel vetro si parla di frattura fragile (che avviene per propagazione veloce e instabile di un difetto).

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Esistono due tipologie tipo di frattura: duttile e fragile. Nel vetro si parla di frattura fragile (che avviene per propagazione veloce e instabile di un difetto).

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La resistenza teorica di un materiale può essere calcolata dalla curva che esprime la forza di interazione tra due atomi (derivata del potenziale).

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La funzione “forza” è approssimabile con una funzione seno. La forza massima applicabile è definita FM. Questa corrisponderà alla resistenza teorica del materiale. Inizio traslando l’asse y. A. Considerando piccole deformazioni la funzione seno è approssimabile con il suo argomento. Inoltre il comportamento sarà di tipo elastico. B. Porto il sistema a rottura e creo quindi due nuove superfici. L’energia spesa per creare tali superfici sarà pari al lavoro compiuto dalla forza.

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La resistenza teorica dipende direttamente dal modu1o elastico e dall’energia superficiale e inversamente dalla distanza interatomica (ovvero dalla dimensione atomica). La resistenza teorica è dell’ordine dei GPa!

Facendo una piccola approssimazione (λ = r0) si dimostra che la resistenza teorica è una frazione “importante” (1/3 - 1/20) del modulo elastico. Per il vetro sodico-calcico: E = 70 GPa e quindi σM = 70/20 = 3,5 GPa!!

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Sperimentalmente si osserva che nei materiali la resistenza meccanica è di molto inferiore a quella teorica.

Inlotre, in particolare nei materiali “fragili”: - la resistenza è molto dispersa; - la resistenza dipende dall’estensione del componente (osservazioni di L. de Vinci su fili in “ferro” e di Griffith su fibre di vetro).

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Secondo Griffith la resistenza del componente è legata alle discontinuità presenti nel materiale che provocano un’amplificazione degli sforzi applicati e quindi arrivano localmente a valori critici. Griffith arrivò a tale risultato applicando un modello di Inglis.

Tuttavia egli riteneva erroneamente che la resistenza dipendesse dalla forma e non dalle dimensioni dei difetti.

Griffith elaborò però una fondamentale teoria per la quale il processo di frattura risultava essere un processo termodinamico nel quale l’energia meccanica si trasferiva in energia di superficie.

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L’analisi di Inglis riguarda sforzi e deformazioni di una lastra contenente un foro ellittico e sottoposta a carico uniforme di trazione. La presenza del foro è causa della nascita di sforzi in direzione ortogonale a quella del carico applicato. La biassialità degli sforzi(attorno al punto C) inibisce eventuali processi di snervamento (non essendo presenti sforzi di taglio).

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La presenza del foro è anche causa di concentrazione degli sforzi. Per un foro circolare in una lastra infinita l’amplificazione è pari a 3.

Analogo comportamento si ha per altre geometrie dove si hanno variazioni di spessore o larghezza del componente.

Per fori ellittici allungati (b<<c) lo sforzo in C dipende quindi dal rapporto c/ρ, ovvero dalla forma del foro. Per raggi di curvatura molto piccoli l’amplificazione (fattore di concentrazione degli sforzi) tende a infinito.

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Nel modello di Griffith il campione contenente una discontinuità è inserito in un sistema chiuso (dal punto di vista termodinamico). L’energia del sistema è data dalla somma dell’energia meccanica (associata alle forse e agli sforzi), di superficie e cinetica. Si ipotizza un processo quasi-statico di frattura per cui il contributo cinetico è nullo. L’energia meccanica tenderà a far propagare il difetto; quella di superficie a frenarlo. La condizione di equilibrio nei confronti della propagazione del difetto impone che la derivata dell’energia totale sia nulla (dU/d c= 0).

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Facendo riferimento al modello di Inglis è possibile calcolare i contributi energetici e quindi definire analiticamente la condizione di equilibrio. L’equilibrio è in questo caso di tipo instabile essendo negativa la derivata seconda nel punto di massimo. Quindi, una volta raggiunto l’equilibrio, la propagazione del difetto avviene anche annullando il carico. Ciò vuol dire che l’energia dovrebbe diminuire con l’aumentare della lunghezza del difetto. In realtà l’energia in più viene “dissipata” creando nuove superfici per biforcazioni successive del fronte di frattura oppure va ad aumentare l’energia cinetica.

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Griffith ha verificato sperimentalmente la sua teoria utilizzando ampolle e tubi sottili in vetro nei quali erano stati prodotti dei difetti (“ellissi allungate”). Le sue prove sperimentali, oltre a dimostrare la relazione tra resistenza e lunghezza dei difetti, portarono a calcolare valori dell’energia superficiale in accordo (per l’epoca!) con misure di bagnabilità.

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Riassumendo: secondo Griffith la resistenza dipende dalla forza del legame (E, γ) e dalla dimensione dei difetti. Questi sono difficilmente visibili in quanto di larghezza inferiore alla lunghezza d’onda del visibile. I difetti sono generati da: disomogeneità (bolle..), porosità, impatto con particelle dure, coalescenza di dislocazioni (metalli) o “crazing” (polimeri).

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Nei vetri e nei ceramici i difetti superficiali sono creati per impatto con particelle dure.

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L’impatto con particelle dure può essere studiato analizzando il processo di indentazione (prova di durezza). Nel caso si usi un indentatore appuntito (Vickers o Knoop) il contatto provoca inizialmente la formazione di una zona plastica (zona altamente danneggiata deformata irreversibilmente); si produce quindi un sistema di cricche semicircolari (“mediano-radiali”), ortogonali tra di loro che partono dai vertici dell’impronta di durezza.

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Nel caso di indentatore arrotondato in fase di carico si genera inizialmente, attorno all’area di contatto, una fessura circolare che può penetrare nel materiale con una forma a tronco di cono (“cono herziano”).

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Nei metalli e nei polimeri i difetti sono generati normalmente e rispettivamente per coalesceiza di dislocazioni e per fenomeni di crazing.