Enterprise 2.0: i nuovi mezzi del passaparola1.2 La crisi del marketing tradizionale 10 1.3...

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Alma Mater Studiorum Università di Bologna FACOLTA’ di ECONOMIA – Sede di Forlì Corso di Laurea Magistrale in Economia e Gestione Aziendale (Classe LM-77 – Scienze Economico-Aziendali per le Magistrali) Management e Marketing TESI DI LAUREA in Management e Marketing Internazionale Enterprise 2.0: i nuovi mezzi del passaparola CANDIDATO: RELATORE: Giulia Medri Fabio Guido Ulderico Ancarani Anno Accademico 2009/2010 Sessione II 1

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Alma Mater Studiorum

Università di Bologna

FACOLTA’ di ECONOMIA – Sede di Forlì

Corso di Laurea Magistrale in Economia e Gestione Aziendale

(Classe LM-77 – Scienze Economico-Aziendali per le Magistrali)

Management e Marketing

TESI DI LAUREA

in Management e Marketing Internazionale

Enterprise 2.0: i nuovi mezzi del passaparola

CANDIDATO: RELATORE:

Giulia Medri Fabio Guido Ulderico Ancarani

Anno Accademico 2009/2010

Sessione II

1

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INDICE

Introduzione 4

1. Un nuovo consumatore – un nuovo marketing 6

1.1 La teoria del consumo reincantato apre le porte al

consumatore postmoderno 6

1.2 La crisi del marketing tradizionale 10

1.3 L'approccio dell'ascolto e l'importanza del passaparola 14

1.4 Il marketing del passaparola: il word of mouth marketing 21

2. Il social web: la piattaforma conversazionale 26

2.1 Internet come risorsa di marketing:

cambia i connotati, ne cresce l'utilizzo 26

2.2 Social media e community:

le conversazioni si spostano on-line 33

2.3 Uno sguardo alla realtà: statistiche, ragioni di fruizione

e tipologie di utilizzatori dei social media 41

2.4 Il 2.0 approda in azienda 49

2.5 Monitorare le conversazioni sui social media

e misurare i loro ritorni: il social media monitoring 57

3. Dove e come essere presenti nei social media 60

3.1 Gestire le conversazioni con il corporate blog 60

3.2 Scatenare il passaparola con i social network 66

3.2.1 Attirare fan su Facebook 69

3.2.2 Essere tempestivi con Twitter 74

3.2.3 Rivolgersi ai professional con Linkedin 75

2

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4. Case History 78

4.1 Un corporate blog a supporto della community:

il caso Ducati Desmoblog 78

4.2 Una comunità di esperti a supporto dei processi di innovazione:

il crowdsourcing di Innocentive 82

4.3 Marketing su Facebook per una piccola attività locale off-line:

corsi di pilates Body & Mind 84

Conclusione 90

Bibliografia-Sitografia 94

3

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ELENCO DELLE FIGURE

1.1 Vecchia e nuova scuola di marketing a confronto 12

1.2 Grado di fiducia nelle forme pubblicitarie 17

1.3 Indice comparato dell'influenza del passaparola

tra i primi acquisti e gli acquisti più recenti 18

1.4 Attività svolte prima dell'acquisto 19

1.5 Influenza del passaparola derivante dalle persone non

conosciute professionali (Pros.) vs. individuali (Joes) 19

2.1 Dati Audiweb settembre 2010 26

2.2 La long tail dei media 36

2.3 Il prisma della conversazione 40

2.4 Tempo trascorso sul social web, marzo 2010 42

2.5 Il comportamento degli utenti europei sul social web 44

2.6 La piramide della participation inequality 45

2.7 Dove i consumatori reperiscono informazioni 46

2.8 Dove le persone condividono l'influence on-line 48

2.9 Perché le aziende utilizzano i social media 51

2.10 Perché i progetti di social media falliscono 52

2.11 Obiettivi primari perseguiti in una campagna di social media 53

2.12 Percentuali di utilizzo del blog aziendale 54

2.13 Metriche quantitative e qualitative di misurazione 58

3.1 Blog “Quelli che Bravo” 64

3.2 La piramide dei bisogni di Maslow 67

3.3 Logo di Facebook 69

3.4 Fan page di Technogym 71

3.5 Lo stato dei brand su Facebook 73

3.6 Logo di Twitter 74

3.7 Pagina di Twitter di La Stampa 75

3.8 Logo di Linkedin 75

3.9 Pagina Linkedin di HP 76

4.1 Logo di Ducati 78

4.2 Risultati di Google per “pilates” 85

4.3 Strategia di utilizzo dei social media 86

4.4 Alcuni interventi realizzati 87

4

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INTRODUZIONE

La comunicazione, da sempre anima del commercio, è profondamente mutata;

il grande sviluppo tecnologico-informatico ha fornito alle persone nuovi

strumenti per mettersi in contatto e attraverso cui scambiarsi informazioni e

creare contenuti, permettendo loro di diventare per la prima volta soggetti attivi

del mercato.

Il termine che sta ad indicare l'atto con cui i consumatori ricevono informazioni

da altri consumatori è word of mouth o passaparola; tale fenomeno esiste da

sempre, i prodotti vengono infatti da sempre discussi, giudicati, consigliati da

persone, consumatori e utenti, influenzando le predisposizioni all'acquisto di

altri potenziali consumatori, ma solo oggi, di fronte ad utenti che vivono il

consumo come esperienza fonte di piacere, che condividono e partecipano, il

passaparola è divenuto considerevolmente più influente sul processo di scelta di

consumo.

Per comprendere la portata di tale fenomeno occorre poi considerare il valore

aggiunto fornito da Internet, che ha permesso di abbattere i confini imposti

dalle distanze spaziali e dai canali di comunicazione, offrendo strumenti che

danno all'utente la possibilità di far sentire la propria voce e di imporsi nel

processo di consumo nella veste di co-produttore, insieme all'azienda, di

prodotti e contenuti.

L'azienda non è più la protagonista incontrastata della sua comunicazione; le

conversazioni personali sono entrate nella conversazione illimitata e globale che

chiunque può trovare in Rete, su qualsiasi argomento. In questa era di

“rinascita della conversazione”, gli utenti sono innanzitutto persone che

condividono gli uni con gli altri esperienze e conoscenza.

Di fronte a tale prospettiva è allora opportuno chiedersi qual'è il futuro della

comunicazione aziendale, quali strumenti preferiranno usare i clienti per

comunicare, e se le imprese sono pronte ad affrontare la rivoluzione in atto e a

modificare i tradizionali sistemi finora utilizzati per comunicare con il cliente.

Sono queste le tematiche principali che l'elaborato si propone di affrontare

analizzando, nel primo capitolo, il nuovo consumatore, definito postmoderno, e

i tratti della conseguente crisi del marketing tradizionale di cui egli non

riconosce più la validità; il capitolo prosegue presentando nuovi approcci di

marketing fondati sull'ascolto come risposta a consumatori che basano sempre

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più le proprie scelte di acquisto sulle conversazioni intessute con i loro pari,

facendo passaparola. Del fenomeno word of mouth vengono fornite statistiche a

livello mondiale e nazionale per definirne la portata, e viene definita la branchia

del marketing ad esso propriamente dedicata, il word of mouth marketing, che

si serve della viralità (marketing virale) e del brusio attorno ai prodotti (buzz

marketing) per accrescere la propensione delle persone a scatenare il

passaparola.

Il secondo capitolo si propone di contestualizzare gli elementi presentati nel

capitolo precedente, fornendo una dimensione al nuovo consumatore e al suo

passaparola: Internet, e in particolare il Web 2.0. E' qui che i tratti della

postmodernità trovano il loro habitat naturale e conoscono la loro massima

espressione. Della piazza virtuale vengono innanzitutto fornite le statistiche di

utilizzo, in questo caso quelle italiane, per comprenderne la diffusione e ne

vengono indicati i tratti partecipativi e interattivi di nuova generazione (2.0),

che permettono alle persone di trasferire qui la gran parte delle conversazioni

che intrattengono. Il secondo paragrafo in particolare si sofferma sui luoghi del

Web dedicati allo scambio e alla partecipazione degli utenti, i social media,

considerandoli dal punto di vista del marketing, di cui il paragrafo successivo ne

specifica le statistiche di utilizzo, le ragioni di fruizione e le tipologie di

utilizzatori. Il fulcro del capitolo è costituito dal quarto paragrafo, dove si

analizza l'utilizzo delle piattaforme sociali da parte dell'universo aziendale come

mezzo per prendere parte e intervenire alle conversazioni on-line sulle proprie

marche, indicandone le opportunità connesse e i relativi limiti, tra i quali, il

principale è quello di una mancata formalizzazione di monitoraggio con

conseguente difficoltà di misurarne i ritorni in termini economici.

Il terzo capitolo lo definirei di teoria applicata, e presenta i principali e più

popolari spazi a disposizione delle aziende sul social web per costruire una

conversazione diretta con gli utenti; questi sono il corporate blog e i social

network. Dopo una breve presentazione di entrambi gli strumenti, della seconda

categoria vengono considerate e analizzate le tre piattaforme più utilizzate al

momento a scopo aziendale: Facebook, Twitter e Linkedin.

La trattazione termina con il riferimento a tre casi aziendali, testimonianza di

strategie di marketing dell'ascolto e del passaparola efficaci, utili per

comprendere al meglio l'opportunità che il nuovo scenario del social web

rappresenta per la comunicazione aziendale.

6

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CAPITOLO 1. UN NUOVO CONSUMATORE – UN NUOVO

MARKETING

1.1 La Teoria del consumo reincantato e il consumatore

postmoderno

Quando si parla di consumatore postmoderno ci si riferisce ad un soggetto

nuovo, dinamico, attivo, coinvolto nelle scelte di consumo, con niente a che

spartire con il suo predecessore che dell'atto consumistico coglieva

esclusivamente la dimensione funzionale1.

A parere di Bernard Cova, autore della teoria del consumo reincantato, il

consumatore postmoderno si distaccherebbe dalla logica prettamente

funzionale per intraprenderne una decisamente più esperienziale, per cui

l'acquirente si sforzerebbe più di rivendicare una gratificazione edonista in un

contesto sociale, che di ottimizzare un profitto.2 Considerare il consumo come

esperienza3 significa fare riferimento ai diversi processi (assegnazione di senso,

valutazione e apprezzamento) coinvolti nella dimensione edonica ed estetica del

consumo di un prodotto o servizio. Si tratta di risposte cognitive ed emozionali

necessarie per potersi godere pienamente la relazione con un prodotto o

servizio. In particolare con l'assegnazione di senso si cerca di dare un primo

significato ad oggetti ed eventi, con la pratica di valutazione i soggetti giudicano

l'oggetto o evento attraverso la comparazione con specifiche norme, esperienze

precedenti o altre convinzioni. Infine la pratica dell'apprezzamento si

caratterizza per la risposta emotiva dei soggetti nei confronti dell'oggetto o

evento.

Cova si riferisce alla dimensione esperienziale del consumo con il termine

“reincanto”, utilizzato dai sociologi in opposizione al moderno “disincanto”, che

ha indotto a misurare ogni cosa secondo il principio dell'utilitarismo; il termine

viene utilizzato oggi in ambito di marketing con la formula “reincanto del

consumo” per indicare l'allontanamento dalla dimensione razionale e per

1 La visione funzionale, che appartiene alla tradizione microeconomica e psicologica (sia behavioristache cognitivista), pone l'accento sulla ricerca di informazione e sul processo d'influenza della sceltadel consumatore al fine di ottimizzare le transazioni di individui considerati isolatamente. Cova,Giordano, Pallera, Marketing non-convenzionale,Il Sole 24 Ore, Milano.

2 In tal modo il mercato depura, mediante un'offerta che si definisce “reincantata”, emozioni chevengono da proiezioni immaginarie e olistiche, che non rispondono soltanto a dei bisogni, maattengono alla ricerca identitaria del consumatore. Cova, Giordano, Pallera, Marketing non-convenzionale,Il Sole 24 Ore, Milano.

3 Holt 1995 studio riportato da Dalli, Romani, Il comportamento del consumatore. Acquisti e consumiin una prospettiva di marketing, Franco Angeli, Milano.

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affermare una rivendicazione sensistica.

In contesto commerciale la dimensione del reincanto è riscontrabile in tutte

quelle nuove forme di consumo, che prendono il nome di fun shopping,

retailtainment o shoptainment, per cui la frequentazione dei punti vendita non

sarebbe più un momento di cui minimizzare l'inutilità, ma piuttosto una fonte di

piacere.

É allora intuibile come già in parte si spieghino alcuni tratti del consumatore

postmoderno, quali un più spiccato interesse e un maggiore coinvolgimento; ma

è solo andando più a fondo nella disamina di Cova che si individuano le radici

più profonde del mutamento del consumatore.

Egli propone quattro chiavi di lettura che delineano la struttura del consumo

reincantato: diffidenza istituzionale e powershift, ridimensionamento

microsociale e imprenditorialità tribale, rivincita del sacro e parte del diavolo,

interpassività e potere infinito. Ai fini della mia trattazione reputo meritevoli di

attenzione le prime due poiché spiegano e introducono la metamorfosi del

consumatore a cui questo capitolo è dedicato.

Esaminando la prima interpretazione, secondo alcuni osservatori (Badot, Cova,

Kozinets) sarebbe da segnalare una sorta di manifestazione di diffidenza

istituzionale, per cui si rilevano spesso situazioni di consumatori che si

mostrano soddisfatti ma che in realtà nascondono frustrazioni rispetto alle

aziende. Ciò andrebbe a denunciare un'inattesa disgiunzione tra l'offerta e il

consumo. A questo si aggiungerebbe una certa forma di powershift, ovvero

un'inversione dei rapporti di forza tra aziende e consumatori, per cui il

consumatore non è più considerato, come lo era nell'ottica dominante del

marketing, alla stregua di un ingenuo, bensì come colui che possiede insieme

all'azienda l'expertise; infatti alle competenze acquisite tramite esperienze

quotidiane si aggiunge una serie di conoscenze pseudoteoriche ottenibili grazie

alle tecnologie informatiche, Internet in primis.

A fianco del potere dell'offerta, fino ad ora incontrastato, va quindi a

posizionarsi quello dei consumatori, a rappresentazione di un vero e proprio

contropotere. Nel caso poi di associazioni di consumatori appassionati di un

prodotto, le competenze messe in condivisione, si arricchiscono e aumentano

ancora di più; le imprese dovrebbero allora riconoscere l'expertise di questi

gruppi e trarne beneficio. La presenza di associazioni di appassionati e di

esperti può così far passare il potere dalle mani delle aziende a quella dei

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consumatori uniti non per interesse ma per passione.

La seconda teoria si basa sul modello delle scale di osservazione dei consumi di

Dominique Desjeux, a tre livelli: macrosociale, in cui l'aggregazione tra gli attori

di mercato avviene in maniera strutturale (per nazione, classi sociali,

generazioni, culture ecc.); microsociale con attori concreti e impegnati in azioni

collettive; individuale dove l'attore è considerato a livello cognitivo ed emotivo.

Utilizzando come strumento di analisi della società questo modello, in quella

attuale sembrerebbe prepotentemente riaffermarsi il livello microsociale,

riferito a tutto ciò che riguarda esperienze ed emozioni quotidiane; da tale punto

di vista il sociale appare allora più come una dimensione in cui gli individui

stringono al loro interno dei forti legami emotivi, condividono esperienze simili,

costruiscono una sottocultura comune e un'identica visione del mondo, che

come un insieme di gruppi sociali stabilizzati e strutturati. Ogni individuo può

far parte di più microgruppi e l'appartenenza a queste “tribù” sembra essere

diventata, per il singolo, più importante dell'appartenenza alle aggregazioni

macrosociali.

Le tesi della teoria del consumo reincantato pongono le premesse e gettano le

basi per l'analisi della nuova realtà di consumo e del suo protagonista: il

consumatore postmoderno, un soggetto più scaltro, esigente e selettivo,

competente, proattivo e tendenzialmente infedele alla marca4; marca che da

parte sua non è più sufficiente a garantire la qualità del prodotto, il consumatore

infatti ora sceglie i prodotti in base al modo di agire delle imprese, egli diventa

critico e il suo consumo responsabile.

Il suo nuovo ruolo è generato da un mix di insofferenza alla comunicazione

tradizionale, di maggior consapevolezza del consumo, di completo controllo

informativo e di capacità e volontà di condivisione. Non a caso c'è chi parla delle

4 “C”5 del nuovo consumatore: conoscenza, controllo, creazione e condivisione.

Per quanto riguarda la conoscenza, essa risulta accresciuta dalla mole di fonti di

informazione in continua espansione attualmente disponibili, che permettono al

consumatore da una parte di arricchire il suo range di offerta e dall'altra di

affinare la propria facoltà di selezione. Egli è nella condizione di potersi

facilmente informare su prodotti, persone, aziende e organizzazioni prima di

consumare i prodotti, e ciò ha accresciuto la difficoltà delle aziende nel

4 Caiazzo D., Colaianni A., Febbraio A., Lisiero U. (2209), Buzz marketing nei social media. Comescatenare il passaparola on-line, Galatea, Milano.

5 Arnesano G. (2007), Viral marketing e altre strategie di comunicazione innovativa, Franco Angeli,Milano.

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raggiungere il proprio target. La consapevolezza di una maggiore conoscenza

necessita conseguentemente di un maggior controllo su di essa, non tanto in

termini di controllo del bombardamento pubblicitario a cui l'utente-

consumatore è oramai abituato ed è in grado di filtrare, ma piuttosto controllo

inteso come trovare ciò che si vuole utilizzando al massimo le tecnologie a

disposizione, esprimere le proprie preferenze e conservare le notizie con

possibilità di approfondirle interpretandole a proprio modo. A questo punto il

consumatore è pronto per un'eventuale creazione, che è la fase in cui gli utenti

interpretano la comunicazione aziendale e la trasformano in maniera genuina

arricchendola di contenuti e di messaggi, parlandone liberamente, recensendo

prodotti e esprimendo opinioni. Le informazioni apprese, controllate e create

vengono poi condivise; il momento della condivisione, ovvero dello scambio

gratuito e della relazione, è il momento in cui la volontà e l'operato degli utenti

supplisce in efficienza e in efficacia alla comunicazione aziendale.

In conclusione, volendo elencarne i tratti principali, il consumatore odierno

appare6:

• Autonomo, non più subordinato alla marca. Nel mercato moderno non

sono più i prodotti a competere ma i messaggi.

• Competente, in particolare Internet ha dato un potere enorme al

consumatore che ora ha conoscenze sui prodotti ed è in grado di

scegliere.

• Esigente, pretende sempre più qualità e servizio.

• Selettivo, il consumatore è molto più attento a ciò che acquista anche

grazie alla fonte di informazioni inesauribile che è Internet.

• Orientato in senso olistico, nella scelta sono coinvolte tutte le dimensioni

tangibili e intangibili.

6 Caiazzo D., Colaianni A., Febbraio A., Lisiero U. (2209), Buzz marketing nei social media. Comescatenare il passaparola on-line, Galatea, Milano.

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1.2. La crisi del marketing tradizionale

In uno scenario caratterizzato dalla presenza di una clientela sempre più

esigente e meno "passiva" nel comportamento di acquisto, la rielaborazione

delle strategie aziendali ha innescato una serie di ripensamenti e revisioni delle

strategie di marketing tradizionali.

I nuovi paradigmi di gestione strategica dei mercati e del cliente hanno causato

l'introduzione di moderne filosofie di gestione della relazione come la customer

relationship management, e di sistemi di rilevazione dei gusti e di

coinvolgimento dei clienti nel processo di ideazione e creazione dell'offerta

finale.

Prima di giungere all'accettazione di questa scomoda realtà dei fatti e

comprendere di conseguenza la necessità di dover ammettere i consumatori a

far parte della propria strategia aziendale, gli “addetti ai lavori” hanno dato vita

alle più disparate nuove definizioni di marketing, più propriamente definite

panacee, per mezzo delle quali chiunque, approfittando della momentanea

perdita d'identità del marketing, si è sentito in diritto di darne la propria

definizione aspirando a diventare il “nuovo Kotler”.

“In vent'anni il marketing, dovendo fronteggiare i cambiamenti indotti dalla

postmodernità, ha tentato di rivedere le strategie tradizionali alla luce

dell'evidente importanza dei legami, delle comunità e delle relazioni che si

instaurano tra gli individui nel processo di consumo. Da qui nascono il

marketing relazionale, il marketing esperienziale, il marketing tribale,...una

serie di strategie che tentano di considerare (in maniera talvolta sin troppo

estrema) questa dimensione di socialità e di comunità dei consumatori, ma in

cui i ruoli tra azienda e consumatore sono ancora rigidamente separati”.7 Così

Bernard Cova, professore di marketing che si occupa delle evoluzioni del

marketing in chiave postmoderna, commenta lo scenario e afferma la necessità

di virare verso forme non-convenzionali di marketing.

Questa parentesi di ricerca identitaria del marketing ha avuto inoltre l'effetto di

spingere il consumatore ad un'insofferenza nei confronti del marketing stesso,

tanto da definire il periodo che va dal 1985 ai giorni nostri come la “mid-life

crisis of marketing” .

Fino a quel momento l'approccio di marketing tradizionale, fondato sulla ricerca

accurata e approfondita volta a comprendere i bisogni del consumatore e

7 http://www.gfk.com/gfk-eurisko/materiali/social_trends/index.it.html

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offrirgli i prodotti che più desiderava, era stato vincente; ma questo perfetto

meccanismo ha smesso di funzionare dal momento in cui i ruoli chiave,

produttore da una parte e consumatore dall'altra, hanno iniziato a non essere

più così riconoscibili; lo stesso Cova ribadisce il concetto in un'intervista

riportata dal notiziario Social Trends: “oggi questa distinzione vacilla sempre

di più, i consumatori infatti non sono più solo consumatori ma in un certo

senso essi diventano anche produttori perché inventano il modo di usare certi

prodotti o servizi”.

Così il proliferare delle panacee di marketing, una vasta letteratura volta a

fornire ai manager delle soluzioni alla crisi del marketing, non ha fatto altro che

condurre il consumatore ad una saturazione ancora più accentuata poiché gli

sforzi dei marketer venivano da lui percepiti esclusivamente come tentativi di

invasione dei propri spazi. Quello che il consumatore chiedeva era, al contrario,

un marketing più rispettoso del suo tempo, che non lo considerasse più un

semplice ricettore e che non tentasse di imporre il proprio messaggio senza

ascoltare la sua opinione. Ciò a dimostrazione della mancata accettazione e del

conseguente fallimento di tutte le neo correnti di marketing che non avessero

come punto di partenza il consumatore. La sfida era quella di abbandonare la

logica push finora adottata ma non più gradita ad un pubblico sempre più

attento alla propria privacy ed alla razionalizzazione del proprio processo

decisionale, per abbracciarne una di tipo pull, in cui è l'utente a decidere di

fruire l'informazione se e solo ne ha l'esigenza e la volontà.

La comunicazione di massa unidirezionale, in cui l'impresa “parlava”

indistintamente al suo pubblico e il consumatore “ascoltava”, era oramai

superata.

Si è passati dall'epoca della transazione, in cui il consumatore era oggetto di

analisi volte alla determinazione del prodotto o servizio ideale, a quella della

relazione in cui il cliente è un “partner” con cui interagire per ottenerne la

soddisfazione e la fedeltà.

Il termine coniato per definire il nuovo approccio di marketing è Customer

made, letteralmente “fatto dal consumatore”, con l'intenzione di voler

sottolineare l'apporto che quest'ultimo fornisce al processo di ideazione e

creazione di beni, servizi e esperienze; nel rispetto del nuovo approccio

l'azienda opera in stretta cooperazione con consumatori esperti e creativi, dei

quali sfrutta il sempre più ricco capitale intellettuale, dando loro in cambio la

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possibilità di prendere parola su ciò che viene effettivamente ideato, progettato,

sviluppato, fabbricato, servito e trasformato.

Se solo ora si assiste al boom del fenomeno co-creativo non significa che in

precedenza i consumatori non covassero il desiderio di comunicare

direttamente con i produttori, semplicemente prima non esistevano i mezzi che

oggi permettono e facilitano l'interazione con le realtà aziendali e con altri

consumatori.

Chi ora è chiamato ad ascoltare è paradossalmente l'azienda che si trova a fare i

conti con un certo brusio di fondo; sono le conversazioni che i consumatori

stanno creando attorno alle marche e ai prodotti.

VECCHIA E NUOVA SCUOLA DI MARKETING A CONFONTO

OLD SCHOOLMARKETING

NEO MARKETING

lo fanno gli uomini dimarketing e i pubblicitari

lo fanno tutti

gli uomini di marketinghanno il potere gli utenti hanno il potere

pubblicizzare evangelizzare

marca controllatadall'azienda

marca interpretata daiclienti

messaggio univoco conversazione biunivoca

contenuto creatodall'azienda

contenuto creatodall'utente

focus group feedback degli utenti

focus sul branding focus sugli utentiappassionati

Figura 1.1 Fonte http://www.slideshare.net/tommaso/il-marketing-capovolto-bernard-cova

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Five Key Takeaways8:

• Yesterday – Brands were teachers: Brands had a one directional lesson

to teach consumers.

Today – Brands are students: We need to sit back listen and learn; ask

consumers to help create the stories.

• Yesterday – Take it or leave it: A mentality of brand superiority ruled

Today – Shared values matter more than selling proposition: Successful

campaigns speak directly to consumer’s sentiment.

• Yesterday – Brands were either functional or emotional. Brands were

either one or the other – not both.

Today – Brands are functional, emotional + cultural: We no longer

need to choose. Digital means you connect all three levels.

• Yesterday – It’s all about me: Brands were marketed toward

individuality.

Today – It’s all about us: It isn’t about “I”; it’s about “we.” Successful

brand’s help build relationships with friends and families.

• Yesterday – They need us: Brands told consumers why they needed the

brand.

Today – We need them: Brands need consumers more than consumers

need brands.

8 Considerazioni di Irene Rosenfeld, CEO di Kraft Foods durante il Nielsen's Consumer 360 2010.http://blog.nielsen.com/nielsenwire/consumer/kraft-ceo-that-was-then-this-is-now/

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1.3. L'approccio dell'ascolto e l'importanza del passaparola

Per l'azienda ascoltare significa comprendere innanzitutto che c'è “qualcuno”

oltre a lei che sta parlando, e in secondo luogo che molto probabilmente quello

che questo qualcuno sta dicendo è degno di essere ascoltato e considerato.

A questo proposito è emblematica la definizione di marca fornita da Andrea

Semprini9: “Una marca è costituita dall'insieme dei discorsi tenuti su di essa

dalla totalità dei soggetti (individuali e collettivi) coinvolti nella sua

generazione.” Questa prospettiva mette in chiara luce la necessità di riconoscere

il ruolo delle persone e del loro passaparola nella generazione della marca

poiché sono queste a determinarne la reputazione; e la reputazione non può

essere condizionata o manipolata facilmente, soprattutto nell'era attuale in cui

la trasparenza informativa è altamente garantita.

In questo scenario le scelte che un'azienda può fare sono, da una parte, quella di

prendere atto delle conversazioni e considerare la possibilità di entrare a farne

parte, oppure ignorarle lasciandole proseguire senza la sua presenza per timore

che l'ammettere i consumatori a far parte della propria strategia aziendale possa

comportare una perdita di controllo troppo grande.

Secondo i tanti seguaci del marketing dell'ascolto il vantaggio derivante da

questa relativa perdita di controllo sarebbe ampiamente ripagante, poiché se

impostato correttamente il marketing dell'ascolto può generare utilità concreta

in termini di contatti, diffusione virale, trasparenza, pubbliche relazioni,

reputazione e vendite.

Tra chi lo profetizza c'è Massimo Carraro che sull'esempio del Cluetrain

Manifesto10 ha realizzato un proprio manifesto del marketing dell'ascolto, un

codice comportamentale rivolto alle aziende che vogliano “imparare ad

ascoltare” .

Il Manifesto dell'ascolto si articola in sette punti:

1. La nostra azienda è cosciente che i mercati sono conversazioni, e che un

buon marketing non può prescindere dal loro ascolto.

2. Pratichiamo l’ascolto per mezzo di strumenti trasparenti e

9 Andrea Semprini , sociologo e semiologo, insegna all'università di Lille e allo IULM di Milano. Hapubblicato sugli stessi argomenti Marche e mondi possibili (1993); Analizzare la comunicazione(1997); Il senso delle cose (2000) e La società di flusso (2003). Le sue ricerche attuali riguardano ilrapporto tra marche, mondializzazione e comunicazione.

10 Il Cluetrain Manifesto è un insieme di 95 tesi, organizzato e presentato come un manifesto, scritto nel1999 da Rick Levine, Cristopher Locke, Doc Searls e David Weinberger. Affermando per la primavolta che i mercati sono conversazioni, il Manifesto rappresenta una vera "riforma" del linguaggio concui le aziende comunicano nell'era di Internet.

15

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partecipativi, quali ad esempio i blog.

3. L’ascolto, per la nostra azienda, va oltre la semplice trovata di

marketing. E’ insito al nostro modo di gestire l’attività aziendale.

4. Ci piace utilizzare il linguaggio dei nostri interlocutori, lasciando da

parte ogni autoreferenzialità. Crediamo che uno stile di comunicazione

diretto faciliti la circolazione delle buone idee, e anche dei buoni

prodotti.

5. Sappiamo che in ogni vera conversazione c’è il rischio di venir criticati.

Nel caso, ci impegniamo a rispondere con argomentazioni corrette e

veritiere.

6. Le nostre campagne pubblicitarie sono un momento di scambio con i

consumatori. Per questo mirano a creare complicità e coinvolgimento,

evitando approcci imperativi.

7. Rispettiamo la privacy di chiunque entri in contatto con la nostra

azienda, trattando i dati sensibili secondo le leggi vigenti.

Parallelamente al manifesto dell'ascolto Andy Sernovitz ha dato vita al

manifesto del word of mouth11 con il proposito di descrivere in dodici punti il

nuovo sistema di comunicazione:

1. I consumatori felici sono la tua migliore pubblicità. Rendili felici.

2. Ottieni il rispetto dei consumatori e fai sì che consiglino i tuoi prodotti;

faranno marketing per te. Gratis.

3. Etica e professionalità vengono prima di tutto il resto.

4. UR the UE: you are the user experience (non quello che dice la tua

pubblicità).

5. Il passaparola negativo è un'opportunità. Prestagli attenzione e

impara.

6. I consumatori stanno già parlando. La tua unica possibilità è entrare

nella conversazione.

7. A te la scelta: essere interessante o essere invisibile.

8. Se non vale la pena di parlarne, non vale la pena di acquistarlo.

9. Rendi quella della tua azienda una storia che valga la pena raccontare.

10. Tutti preferiscono lavorare in un'azienda di cui la gente parla.

11. Sfrutta il potere del passaparola per mettere il consumatore al centro

del business.

12. Il marketing basato sull'onestà ti farà guadagnare di più.

11 Sernovitz A.,Word of mouth marketing: how smart companies get people talking

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Le considerazioni teoriche in merito alle potenzialità del passaparola fin qui

riportate sono avvalorate da dati di mercato e statistiche che si propongono di

classificare e quantificare, per quanto possibile, questo fenomeno.

Gli studi effettuati nel 2005 nel mercato nordamericano da Yankelovich12

dimostravano che il 76% delle persone non crede più agli annunci pubblicitari e

lo stesso dichiarava Millward Brown13 rilevando che l'impatto provocato da

informazioni scambiate tra persone è il doppio rispetto a quello provocato dalle

informazioni rilasciate dalle aziende.

E' stato inoltre riportato che il 76% delle conversazioni americane toccano

almeno una volta argomenti riguardanti un brand, con una media di 56

conversazioni settimanali per persona. Il 46% delle conversazioni si svolgerebbe

in famiglia, la parte restante si suddividerebbe tra amici (26%), colleghi (13%)

ed altre conversazioni generiche (con estranei, esperti e conoscenti).

All'interno del target giovanile uno studio Starcom-Cnet14 identifica una

particolare categoria, quella dei brand sirens, che si distingue per la maggiore

propensione a parlare di prodotti ed aziende più spesso dei loro pari (82%

rispetto a 55%). La statistica riporta inoltre che il 90% di essi non riacquista un

prodotto che non ha mantenuto le promesse fatte e attraverso il passaparola

negativo dissuade gli altri dall'acquistarlo.

Statistiche più recenti confermerebbero l'importanza del passaparola il quale

inciderebbe fino al 50% sulle decisioni d'acquisto. Il fenomeno ha

effettivamente acquistato nel tempo sempre più rilevanza grazie ad Internet che

con i mezzi che ha messo a disposizione negli ultimi anni ha permesso di

accelerare la viralità della comunicazione. Lo dimostra un sondaggio effettuato

da Nielsen poco più di un anno fa, che ha testato su un campione allargato, oltre

25 mila utenti di 50 paesi, il grado di fiducia dei consumatori nei confronti delle

varie forme pubblicitarie. Dal grafico, riportato a pagina seguente, si può

evincere come a fare la differenza siano i consigli e le opinioni di persone

conosciute seguiti da quelli provenienti da sconosciuti ma che probabilmente

riescono a trasmettere un alto grado di fiducia in base a ciò che scrivono on-line;

quest'ultima percentuale cresce se confinata ai soli utenti italiani, l'80% di essi

infatti farebbe affidamento su questa forma di passaparola, preceduti dai

vietnamiti (81%), e seguiti dai cinesi e dai francesi (77%). Finlandesi e argentini

12 Yankelovich è una società di consulenza specializzata in soluzioni per il miglioramento dei piani dimarketing aziendali.

13 Millward Brown è una società specializzata in ricerche di mercato.14 Starcom-Cnet (2006), Tapping in to the Superinfluences.

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ci credono invece ben poco, con percentuali di fiducia che non superano il 50%.

GRADO DI FIDUCIA NELLE FORME PUBBLICITARIE

Figura 1.2 Fonte Nielsen Global Online Consumer Survey April 2009

Uno studio risalente ad un paio di anni fa di novaQuant15, effettuato su un

campione di 600 ragazzi e ragazze, ha tentato di quantificare quali categorie e

quali segmenti di popolazione beneficiano maggiormente delle azioni di

marketing che si sviluppano attraverso il passaparola.

I risultati delle indagini mostrano che le decisioni di acquisto di prodotti e

servizi che risultano maggiormente influenzate dal passaparola riguardano i

settori di alta tecnologia e/o prodotti a costi elevati (digital camera, cellulari,

auto, computer, ecc), servizi locali che coinvolgono relazioni personali

(dentista, agenti immobiliari, ecc.), e decisioni ad alto costo di trasferimento o

collegate a nuove esperienze (cambiare gestore telefonico, scegliere un

ristorante, vedere un film al cinema ecc.).

I prodotti e i servizi su cui il passaparola ha un impatto minore sono invece le

marche che sono già state acquistate in precedenza, mentre l'impatto è

particolarmente significativo quando si acquista un brand per la prima volta.

Ciò significa che il primo acquisto gioca un ruolo decisivo per gli acquisti futuri,

il che investe il passaparola di un'ancora più grande responsabilità.

15 novaQuant è una società di ricerche di marketing www.novaquant.com

18

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INDICE COMPARATO DELL’INFLUENZA DEL PASSAPAROLA TRA I PRIMI ACQUISTI E GLIACQUISTI PIÙ RECENTI

Figura 1.3. Fonte NovaQuant

Parallelamente, in Italia, Doxa16 e Human Highway17 hanno effettuato ricerche

al fine di indagare il grado d'influenza del passaparola on-line sulle giovani

generazioni nella scelta delle marche. Lo studio è stato condotto sul Panel Op

Line (circa 12.000 individui) che ha coinvolto un universo di utenti giovani, di

età compresa tra gli 11 e i 19 anni, che si connettono alla Rete almeno una volta a

settimana.

Al campione è stata sottoposta la domanda: “Quali delle seguenti attività svolgi

prima dell'acquisto?”, la cui risposta, riportata a figura 1.4, ha sottolineato il

ruolo rilevante che sta acquisendo il word of mouth web a scapito di quello

finora rivestito dalle altre attività.

16 Doxa opera nel settore delle ricerche di mercato sia in termini di dimensioni che di qualità eaffidabilità. www.doxa.it

17 Human Highway conduce indagini di mercato utilizzando Internet come strumento di ricerca.www.humanhighway.it

19

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ATTIVITA' SVOLTE PRIMA DELL'ACQUISTO

Figura 1.4 Fonte Doxa e Human Highway

Nell'off-line sono per lo più le persone della cerchia amicale e familiare a essere

maggiormente influenti in termini di passaparola, mentre nell'on-line, grazie

alle nuove possibilità di condivisione e partecipazione, sono diventati

fondamentali i giudizi e i commenti telematici di persone sconosciute (78%), tra

cui si distinguono quelli di esperti e professionisti, definiti Pros, il cui giudizio

riveste maggiore influenza rispetto a quello di persone comuni (i Joes), in

particolare per gli acquisti più costosi e che riguardano la salute. Come mostra il

grafico seguente il parere dei Joes, semplici consumatori che commentano ed

esprimono opinioni sui propri acquisti, è influente invece per quanto riguarda la

scelta di hotel e negozi di abbigliamento.

INFLUENZA DEL PASSAPAROLA DERIVANTE DALLE PERSONE NON CONOSCIUTE:

PROFESSIONALI (PROS) vs INDIVIDUALI (JOES)

Figura 1.5 Fonte NovaQuant

20

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In conclusione le ricerche dimostrano che le persone sono più propense a fidarsi

di una comunicazione che avviene attraverso il passaparola rispetto a forme di

persuasione più tradizionali perché esiste una forte credibilità derivata dall'alto

valore percepito dalla fonte, che non avendo un interesse diretto alla vendita è

ritenuta attendibile.

Dimostrano, inoltre, che i consumatori più giovani (età 18-34) ne sono

maggiormente influenzati rispetto a quelli più adulti (età 35-64) e ancora più

predisposti a ricevere queste informazioni on-line; di conseguenza il grande

interesse per il passaparola tra i consumatori giovani potrebbe in parte derivare

dalla possibilità di accedere ad un sempre più elevato numero di informazioni e

dall'avere maggiori spazi di conversazione. Secondo alcuni studi recenti, infatti,

un network on-line di 100 persone genera un potenziale di circa 4950

connessioni e un network di 1000 persone può attivarne fino a 500000.

Esulando dalle statistiche per età, settore o mezzo di comunicazione, è

dimostrato che la conversazione è efficace perché costruisce valore dallo

scambio, e si basa per questo sulla soddisfazione di chi vi partecipa.

21

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1.4 Il marketing del passaparola: il word of mouth marketing

Il word of mouth marketing nasce alcuni anni fa negli Stati Uniti e nasce off-

line, dando vita al passaparola attraverso dei buzz agent, persone a cui veniva

inviato un prodotto e che, dopo averlo provato, lo consigliavano ai propri

amici/conoscenti.

Per quanto vantaggioso, non è semplice costruire il marketing sulle

conversazioni poiché del fenomeno “passaparola” non se ne comprendono

appieno le dinamiche che lo governano e gli strumenti che possono consentire

di manovrarlo e misurarlo. Essendo generato spontaneamente dagli utenti a

volte supera ogni aspettativa, altre degenera, creando effetti collaterali

imbarazzanti.

Un tentativo di misurazione è stato fornito dal Net Promoter Score (NPS),

introdotto da Fred Reichheld della Bain & Company e da Satmetrix Systems. Si

tratta di uno strumento di gestione che valuta il livello di fidelizzazione dei

consumatori di un'azienda, utilizzando la percentuale dei clienti che

raccomandano il prodotto e quella di chi, al contrario, lo sconsiglia. L'NPS è

attualmente uno degli indici più popolari per la misurazione dell'effetto che il

passaparola potrebbe avere sui consumatori. Esso non è altro che una metrica di

misurazione della loyalty, basata sulla risposta ad una semplice domanda:

“quanto, in una scala da 0 a 10 raccomanderesti X prodotto/X azienda a un

amico o a un collega?”. Le risposte a questa domanda dividono i clienti in tre

categorie: i detrattori, sono i clienti insoddisfatti (hanno espresso un punteggio

da 0 a 6), i passivi, sono clienti con i quali non è stato possibile stabilire una

relazione coinvolgente e che possono quindi cedere alla concorrenza ( punteggio

da 7 a 8), i promotori, sono i clienti fidelizzati e che fanno passaparola positivo

(punteggio da 9 a 10). Il Net Promoter Score si ottiene sottraendo la percentuale

dei detrattori da quella dei promotori.

I fautori dell'approccio sostengono che il punteggio possa contribuire a motivare

l'azienda ad essere maggiormente focalizzata nel miglioramento della propria

offerta. Un importante contributo del modello di analisi NPS è, inoltre, quello di

fornire una corrispondenza tra percentuale del proprio Net Promoter Score e

crescita dei ricavi. In un'analisi statunitense, pubblicata un paio di anni fa dalla

Harvar Business Review, Reichheld notava come il net promoter score si

correlasse positivamente all'aumento delle vendite per una dozzina di prodotti e

22

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servizi negli USA.

Per quanto riguarda la difficoltà di manovrarlo e governarlo, se da una parte

non si può esattamente prevedere e riprodurre, dall'altra si può cercare di

incentivarne la creazione, favorendo i presupposti e realizzando un ambiente

adatto in cui il passaparola possa venire a manifestarsi.

Per far si che un prodotto si diffonda in maniera epidermica occorre progettarne

la natura virale, intervenendo sulle caratteristiche “genetiche” che lo rendono

attuale e rilevante per il sistema culturale in cui è inserito, in modo tale da

generare un buzz (ronzio) attorno ad esso.

Per questo motivo il marketing che si propone di operare su queste dimensioni

della marca è definito marketing virale, di cui una definizione esauriente è

fornita dal testo di Cova: “Il marketing virale è finalizzato alla realizzazione di

prodotti, servizi o comunicazioni commerciali che abbiano in sé la propensione

a diffondersi spontaneamente fra le persone come virus”18.

Una volta creata la natura virale di un prodotto/servizio, è compito del buzz

marketing alimentare le conversazioni delle persone attorno ad esso. Secondo il

WOMMA19, il buzz marketing “consiste nell'utilizzo di intrattenimento o notizie

di alto profilo per far parlare le persone della marca”.

Esso, a differenza del passaparola, non si attiva spontaneamente, ma è

innescato da attività di marketing sia on-line che non, volte ad aumentare il

numero e il volume delle conversazioni riguardanti un prodotto o un servizio e,

di conseguenza, ad accrescere la notorietà e la reputazione di una marca.

Uno dei più illustri guru del marketing americano, Seth Godin, si è pronunciato

con interesse sul tema affermando: “Conversations among the members of

your marketplace happen whether you like it or not. Good marketing

encourages the right sort of conversations” che tradotto significa che le

conversazioni tra i membri del mercato hanno luogo che questo piaccia o meno

e un buon marketing le incoraggia.

Per essere oggetto di attenzione tanto da far parlare di sé, un

prodotto/marca/servizio deve possedere alcuni requisti e i contenuti delle

comunicazioni che lo riguardano devono trattare certi aspetti.

Per quel che riguarda le caratteristiche richieste dal prodotto, secondo

l'evidenza empirica esso dovrebbe essere invasivo ma invitato, individuale per

18 Cova B., Giordano A., Pallera M. (2008), Marketing non-convenzionale Viral, Guerrilla, Tribal e i 10principi fondamentali del marketing postmoderno, Il Sole 24 Ore, Milano.

19 Word of Mouth Marketing Association, organo di autoregolamentazione formato da agenzie e clientiper un uso corretto del Wom marketing.

23

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ogni consumatore, creare un'esperienza, essere provocatorio, facilitare la

connessione ed essere creativo.

Riguardo invece agli aspetti che dovrebbero trattare le comunicazioni che lo

riguardano, le teorie più accreditate ne indicano sei: taboo, inusualità,

oltraggiosità, ilarità, straordinarietà, segretezza.

L'agenzia Go Viral20, una delle maggiori viral marketing agency del mondo, ha

elaborato un “viral score” per valutare la qualità del contenuto virale,

assegnando un punteggio da 1 a 5 a sette criteri di valutazione del contenuto così

identificati21:

• outstanding story: per catturare l'attenzione, la storia, deve essere

divertente, provocatoria, irriverente e sovversiva;

• stickiness: il contenuto deve essere qualcosa che l'utente non ha mai visto

prima o comunque migliore di quello che ha già visto;

• relevance: deve intrattenere con leggerezza, senza riferimenti

eccessivamente diretti alla marca;

• portability: l'esecuzione necessita di un format che si possa condividere

on-line con la propria rete sociale;

• shareability: gli esseri umani hanno una tendenza innata a raccontare

storie, e quindi condivideranno e creeranno conversazione quando il

materiale offra i giusti spunti;

• timing/actuality: i riferimenti devono essere ad eventi attuali: dal

momento che la vita di una notizia è breve, questi devono essere utilizzati

con la massima tempestività per evitare di essere respinti;

• seeding hook: il pay-off deve avvenire rapidamente.

Se il risultato finale, ottenuto dalla somma dei singoli punteggi attribuiti ai sette

criteri, è inferiore a 15, significa che il contenuto non ha DNA virale e dovrebbe

essere scartato. Un risultato tra 15 e 25 indica che il materiale ha delle

potenzialità, ma ha bisogno di essere ulteriormente visionato poiché non è

viralmente forte. Un risultato superiore a 25 segnala un contenuto che ha

l'opportunità di essere davvero virale.

Un altro elemento fondamentale per alimentare il buzz è il settore

d'appartenenza dell'oggetto della comunicazione; le campagne di buzz

sembrerebbero perfette per tutti i prodotti a elevato grado di complessità per i

20 www.goviral.com21 Cova B., Giordano A., Pallera M. (2008), Marketing non-convenzionale. Viral, Guerrilla, Tribal e i 10

principi fondamentali del marketing postmoderno, Il Sole 24 Ore, Milano.

24

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quali la decisione se acquistare o meno è basata su fattori razionali, mentre

prodotti a bassa “buzzabilità” sembrano quelli soggetti ad acquisti d'impulso per

i quali è difficile immaginare che un ipotetico acquirente cerchi opinioni o

conversazioni in merito prima di procedere all'acquisto.

Una campagna di buzz marketing deve inoltre avere ben chiaro il suo target di

riferimento; come precedentemente accennato il veicolo principale del buzz è la

Rete e essendo i giovani i maggiori utilizzatori del Web, è a questa categoria che

la campagna dovrà innanzitutto indirizzarsi, senza però trascurare quella

porzione di internauti di età più avanzata.

All'interno di queste due categorie di riferimento è possibile identificare le

tipologie di soggetti che sono più attivi in termini di propagazione del buzz

all'interno delle comunità di consumatori. Ron McDaniel individua tre tipi di

soggetti che possono innescare un buzz22:

• gli influential: non parlano spesso del brand, ma quando lo fanno

esercitano una forte influenza

• gli advocate: sono clienti e amici che amano l'azienda e ciò che

rappresenta

• gli employee: impiegati che non pensano di creare buzz ma che, se

credono nell'azienda, riescono a farlo meglio di chiunque altro poiché

sono insider e perciò più credibili.

Ognuna di queste categorie richiede uno specifico approccio strategico; nel caso

degli influential, essi devono venire attratti al fine di creare buzz intorno ad un

brand, a differenza degli advocate che vanno motivati ed incoraggiati per far si

che intraprendano una conversazione, mentre gli employee vanno educati circa

l'importanza di creare buzz e su come farlo in modo corretto.

In generale tra tutte le figure individuate dalla letteratura di riferimento

implicate nel word of mouth, due in particolare sono quelle che rivestono un

ruolo primario nella propagazione virale di un messaggio commerciale: coloro

che fungono da “evangelisti” e che danno origine al buzz, e coloro che si

impiegano nell'inoltrare il messaggio nel proprio network di conoscenze.

Con queste premesse una strategia di comunicazione corretta deve considerare

un consumatore con potere e necessità di sapere sempre più accresciuti, un

marketing che deve spostare il baricentro della comunicazione dalla costruzione

22 http://blog.Buzzoodle.com/index.php/2006/11/07/three-kinds-of-people-create-Buzz/.

25

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e l'affrancamento del brand alla costruzione di una relazione forte e duratura, e

una comunicazione non più orientata sul canale ma costruita sul consumatore.

26

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CAPITOLO 2. IL SOCIAL WEB: LA PIATTAFORMA

CONVERSAZIONALE

1.1 Internet come risorsa di marketing: cambia i connotati, ne

cresce l'utilizzo

Il mondo è in Rete; secondo i più recenti dati Audiweb23 di audience on-line

riferiti al mese di settembre 2010, 24,042 milioni sono i navigatori italiani, con

un incremento del 11,2% rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente. Gli

utenti attivi nel giorno medio sono 11,986 milioni con una crescita del 13,4% su

base annua, e navigano in media 1 ora e 26 minuti consultando 166 pagine per

persona.

DATI AUDIWEB SETTEMBRE 2010

Figura 2.1 Fonte http://www.audiweb.it/cms/attach/aw_cs_3novembre2010.pdf

Gli italiani on-line sono principalmente i giovani tra gli 11 e i 17 anni (85,3%

degli individui in questa fascia d'età), gli adulti tra i 18 e i 34 anni (83,4%), e

quelli della fascia più matura tra i 35 e i 54 anni (76,1%), con una piccola

differenza numerica tra uomini e donne (il 70,5% di uomini contro il 66,7% di

donne). Sono 32,9 milioni gli italiani che dichiarano di avere un accesso ad

Internet da qualsiasi luogo (casa, ufficio, luogo di studio, ecc.), ovvero il 68,6%

della popolazione tra gli 11 e i 74 anni. La maggior parte degli accessi a Internet

avviene da casa tramite computer, ma cresce notevolmente il numero delle

persone che navigano attraverso i notebook dotati di chiavetta-modem e per

23 Audiweb è il soggetto realizzatore e distributore dei dati sulla audience on-line il cui obiettivoprimario è fornire informazioni oggettive e imparziali al mercato, di carattere quantitativo equalitativo, sulla fruizione del mezzo Internet e sui sistemi on-line utilizzando opportuni sistemi dirilevazione. http://www.audiweb.it/cms/view.php?id=4&cms_pk=189

27

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mezzo dei dispositivi mobili, primi tra tutti gli smartphone di ultima

generazione. L'accesso in mobilità tramite cellulare, disponibile per 5,3 milioni

di italiani, ha registrato infatti un aumento del 26,1% rispetto all'anno

precedente. I dati evidenziano che la maggior parte delle persone che accede ad

Internet ha un livello di istruzione medio-alto (il 94,9% dei laureati e l'84,8%

dei diplomati) e una posizione lavorativa qualificata, anche se rispetto al 2008 è

aumentato l'accesso on-line da parte dei lavoratori meno qualificati (57,3% nel

2009 rispetto al 46,9% nel 2008).

Di conseguenza oggi il passaparola, tipicamente considerato una forma di

comunicazione verbale, si sposta in Rete e diventa digitale, divenendo sempre

più word-of-mouse24. Questo fa si che le conversazioni si moltiplichino e

diventino globali grazie al potenziale comunicativo di Internet che è tale da

abbattere le barriere geografiche dei mercati.

Le tecniche di marketing che si servono del passaparola presentano una serie di

vantaggi in termini di risparmio economico, in quanto, in proporzione ai budget

disponibili, la comunicazione che avviene in Rete è accessibile ad ogni azienda e

la Rete presenta un livello inferiore di dispersione, alti tassi di conversione e

recupero degli investimenti relativamente migliori di altri canali; in termini di

velocità di espansione, poiché l'utilizzo della Rete, che fornisce strumenti che

riducono il gap temporale fra i soggetti, permette una comunicazione istantanea

e la possibilità di raggiungere picchi di crescita enormi in un lasso di tempo

minimo; e vantaggi in termini di relazione, la comunicazione è diretta e gli

individui trovano soddisfatto il loro bisogno di ricevere notizie sui brand e sui

loro benefici grazie alle opinioni di soggetti che hanno già provato il prodotto in

questione.

Il principale contributo fornito da Internet alle imprese, rispetto ai media

tradizionali, risiede nella sua capacità relazionale, in grado di mettere in atto in

modo integrato comunicazioni di massa e comunicazioni interpersonali e

rispondere quindi alle esigenze del consumo postmoderno. Il valore della

comunicazione di marketing ne risulta quindi aumentato; esso è dato da un

insieme di caratteristiche sinergiche quali: l'interattività, la velocità di risposta,

la capacità di interazione personale, la personalizzazione della comunicazione,

la capacità di raccolta dati a basso costo, l'inversione della logica comunicativa e

la copertura mondiale.

24 Cova B., Giordano A., Pallera M. (2008), Marketing non-convenzionale. Viral, Guerrilla, Tribal e i 10principi fondamentali del marketing postmoderno, Il Sole 24 Ore, Milano.

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Il carattere dell'interattività si riferisce al passaggio dal concetto di

comunicazione one-to-many, in cui l'impresa trasmette lo stesso messaggio

attraverso un mezzo ad un gruppo di potenziali consumatori, al nuovo

paradigma di comunicazione many-to-many, dove molteplici

emittenti/destinatari utilizzano un media per raggiungere altrettanti

emittenti/destinatari. La velocità di risposta va intesa come abilità di

rispondere agilmente alle richieste dei clienti e alle azioni dei concorrenti,

mentre la capacità di interazione personale si riferisce alla possibilità di inviare

comunicazioni ad uno specifico individuo privatamente e preferibilmente

mentre questi si trova in una situazione di intimità e relax, in quello definito da

Krugman “stato di coinvolgimento minimale”25, che investe il messaggio di una

maggiore forza persuasiva. La personalizzazione della comunicazione attiene

alla possibilità per l'utente di interagire con il mezzo in maniera attiva

attraverso l'interfaccia digitale e creare percorsi di consumo personalizzati in

base alle proprie preferenze. L'inversione della logica comunicativa significa

che l'utente non è più fruitore passivo del messaggio ma piuttosto è colui che

ricerca il contatto e ricopre un ruolo attivo nella scelta dei contenuti che intende

visualizzare sul proprio monitor. La copertura globale, infine, è una

caratteristica non ottenibile a basso costo con nessun altro media se non con

Internet.

Nella prima era del World Wide Web, poiché non c'era possibilità di interazione,

l'utente limitava le sue azioni alla mera fruizione di contenuti. Il Web 1.0, una

serie interconnessa di pagine web statiche, era concepito esclusivamente come

un modo per visualizzare documenti ipertestuali in formato HTML; l'utente

poteva solo navigare tra i vari siti senza interagire con essi e la creazione di un

sito era riservata solo ad utenti esperti di linguaggi informatici. In questo

contesto le uniche unità di misura del valore on-line erano le page views o page

impressions26 e i click through27.

Lo sviluppo del Web ha col tempo segnato il passaggio dall'era 1.0 a quella 2.0.

25 La teoria del coinvolgimento minimale di Krugman esposta in “The impact of television advertising:learning without involvment” del 1965, evidenziava per la prima volta come la televisione fosseefficace proprio perché considerata uno strumento di comunicazione a debole definizione chestabilisce una situazione di relax e di ridotto coinvolgimento per lo spettatore nei confronti dellapubblicità. Secondo l'autore il riconoscimento razionale è indipendente dal ricordo effettivo. Lapubblicità e cioè potente quando è in una situazione di coinvolgimento minimale e viene pertantoregistrata negli strati profondi della memoria.

26 La page view o page impression è la richiesta di caricare una pagina web da parte dell'utente cheesprime anche il numero di volte che è stato potenzialmente visto l'annuncio in essa contenuto.

27 Il click through è la richiesta di collegamento al sito dell'azienda inserzionista che avviene quandol'utente clicca sul banner o sul bottone sponsor.

29

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Il Web 2.0 è l'insieme di tutte quelle applicazioni on-line che permettono uno

spiccato livello di interazione sito-utente; il termine è utilizzato per indicare

genericamente lo stato di evoluzione attuale di Internet rispetto alla condizione

precedente, coniato da Tim O'Reilly alla prima conferenza sul Web 2.028. Da un

punto di vista strettamente tecnologico, il Web 2.0 è del tutto equivalente al

Web 1.0; la differenza sostanziale risiede nell'approccio con il quale gli utenti si

rivolgono al Web, che passa dalla semplice consultazione alla possibilità di

fruire e creare/modificare i contenuti multimediali.

Come afferma Tim O'Reilly “il 2.0 non rappresenta qualcosa di nuovo ma

piuttosto la più completa realizzazione del vero potenziale della piattaforma

Web”. La Rete infatti è la stessa del passato e ciò che viene comunemente

definito Web 2.0 non è altro che un nuovo modo di concepire Internet e i suoi

strumenti come una piattaforma che rende possibile l'instaurarsi di interazioni

oltre che tra utente e mezzo, tra i vari utenti che si aggregano in comunità

virtuali.

Esso presenta sei caratteristiche di base29:

• Reciprocità: è uno strumento dove è possibile sviluppare una

comunicazione tra pari, dove chi costruisce un contenuto è sullo stesso

livello di chi può fruirne.

• Significatività: dispone di strumenti, come i motori di ricerca, che

consentono di ricercare e selezionare in maniera precisa le informazioni

in qualsiasi momento se ne necessiti.

• Istantaneità: la comunicazione può realizzarsi con l'utilizzo

contemporaneo di testi, immagini, video.

• Multidevice: i contenuti presenti on-line possono essere fruiti attraverso

molteplici strumenti, dal PC classifico fino allo smartphone, anche in

mobilità.

• Partecipazione: i contenuti della comunicazione possono essere fruiti,

condivisi e anche votati da più utenti contemporaneamente, ciascuno dei

quali può contribuire ad arricchire il significato simbolico o testuale di

ciascun contenuto.

28 Il termine Web 2.0 è nato ufficialmente durante una riunione di brainstorming tra 0'Reilly Media eMediaLive International con lo scopo di definire il nome di una conferenza sul nuovo modo diintendere ed utilizzare la Rete. Alla fine della riunione il titolo deciso per la conferenza fu: Web 2.0Conference, e si tenne nell'ottobre 2004 a San Francisco.

29 Prunesti A. (2009), Social media e comunicazione di marketing. Pianificare e gestire le attività dimarketing e comunicazione nell'era del web 2.0, Franco Angeli, Milano.

30

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Il Web 2.0 costituisce un nuovo approccio alla Rete caratterizzato dalla

dimensione sociale della condivisione; in tale contesto è la socialità il nuovo

valore aggiunto da misurare.

Questo fa si che il grado di complessità del sistema ne risulti aumentato e che il

presidio dei nuovi media da parte delle aziende non sia cosa facile da

implementare, ma se stabilito ciò che può apportare in termini di efficacia

sembrerebbe bilanciare ampiamente gli sforzi richiesti. I nuovi strumenti forniti

infatti danno la possibilità di comunicare una maggiore quantità di

informazioni, di scambiare una maggiore quantità di dati fra azienda e cliente,

di instaurare relazioni one-to-one a costi molto più contenuti, di personalizzare i

messaggi e creare gruppi target omogenei e di disporre di strumenti più

misurabili.

Internet, ormai consolidato canale commerciale, si avvia così a divenire uno

strumento pubblicitario alla stregua dei media tradizionali rispetto ai quali offre

due vantaggi in particolare: l'economicità delle iniziative web rispetto a quelle

tradizionali off-line e l'influenza positiva sulla percezione del marchio con

conseguente incremento delle vendite off-line.

Tali obiettivi sono raggiungibili grazie ai mezzi di comunicazione che Internet

mette a disposizione dell'impresa, da cui derivano gli strumenti dell'Internet

marketing. I più popolari sono30:

• Banner: striscione digitale contenente immagini che l'inserzionista

acquista e pubblica su determinati siti ad alto traffico e contenuto

generico o a traffico mirato, contenenti un link alla propria pagina web,

che viene mostrato quando la pagina che lo contiene viene aperta dal

browser dell'utente. Questa circostanza è detta impression ed il click

dell'utente sul banner viene chiamato click through. La funzione dei

banner è quella tipica della pubblicità, e cioè di informare gli utenti della

presenza di un prodotto o di un servizio sul mercato e convincerlo ad

acquistarlo.

• E-mail marketing: una tipologia di marketing diretto che usa la posta

elettronica per comunicare con il target. E' importante un uso prudente

di tale strumento per via della sua natura invasiva che potrebbe farlo

considerare spam31. Per essere efficace dovrebbe quindi basarsi sulle

30 Dominici G. (2009), E-marketing. Analisi dei cambiamenti dai modelli di business al mix operativo,Franco Angeli, Milano.

31 Per spam si intende la diffusione di un messaggio via internet nei blog, nei forum di discussione onelle caselle di posta elettronica. Si tratta di pubblicità indesiderata frutto di azioni di web marketing.

31

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“quattro P”: permission, intesa in termini di autorizzazione dell'utente

alla ricezione delle e-mail; privacy, che deve essere rispettata nel

trattamento dei dati personali; profilazione, attraverso la raccolta dati

tramite cui poter eventualmente modificare il profilo utente; e

personalizzazione, in termini di possibilità che offre l'e-mail marketing di

poter attuare strategie di marketing one-to-one.

• Keyword targeting: è una tipologia pubblicitaria digitale basata

sull'utilizzo di parole chiave (keyword) nei motori di ricerca da cui

dipende la visualizzazione di un determinato messaggio pubblicitario. Le

keyword sono utilizzate dagli utenti per fare le ricerche e acquistate dagli

inserzionisti per comparire tra i risultati visualizzati dal motore ad un

prezzo che varia in base ai rendimenti potenzialmente generabili

mediante quella parola chiave.

• Really Simple Sindication (RSS): è lo standard più diffuso per

l'esportazione di contenuti web in quanto consente agli interessati di

essere aggiornati in tempo reale mediante un software detto

“aggregatore” ed un portale con la funzione di visualizzatore di titoli e di

link diretti a notizie pubblicati su altri siti.

• Podcasting: consiste nella registrazione digitale di una trasmissione

radiofonica o simile resa disponibile su Internet con lo scopo di

permettere il download su riproduttori audio personali. I podcast

risultano un ottimo canale di comunicazione tra impresa e pubblico di

riferimento in quanto la pubblicazione di podcast sul proprio sito web

può rappresentare uno strumento efficace in fase di lancio di un nuovo

prodotto o come supporto informativo per i clienti in ottica relazionale.

Ciascuno di questi strumenti si basa sulla logica del permission marketing

secondo cui la relazione tra impresa e cliente va sviluppata per gradi che

implicano livelli crescenti di esplicita manifestazione di consenso da parte

dell'utente.

Il permission marketing è definito dal suo ideatore, Seth Godin, come una

strategia di marketing il cui obiettivo è ottenere dal consumatore il permesso di

comunicare con lui per far si che questi presti maggiore attenzione al messaggio.

Il principio guida del permission marketing è la risorsa scarsa per eccellenza,

ossia il tempo. In una società sempre più frenetica, dove si è continuamente

sottoposti a stimoli e bombardamenti di informazioni, la gestione del tempo

32

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assume una valenza sempre più strategica. Le iniziative pubblicitarie, così come

le promozioni e gli sconti tentano di attirare l'attenzione dei potenziali

consumatori, tuttavia la frequenza dei messaggi è tale che per autodifesa molti

consumatori rimangono indifferenti a queste iniziative.

Secondo Godin "il permesso del consumatore va ottenuto in modo graduale e

nella maniera meno intrusiva possibile". E questo è il punto di forza di

Internet, che consentendo elevati livelli di personalizzazione delle richieste di

informazioni, a differenza di tutti gli altri media, possiede la capacità di attirare

l'utente in un'ottica pull, facendo in modo che si generi in lui la necessità di

mantenere i rapporti con l'azienda, senza che questi siano forzati e malgraditi

come accade invece con i mezzi di comunicazione tradizionale.

33

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2.2 Social media e community: le conversazioni si spostano on-line

“Ora la Rete consente al mercato di tornare a conversare, così le persone si

raccontano la verità sui prodotti e sulle aziende e su ciò che desiderano

veramente.” The Cluetrain Manifesto

Sin dagli albori di Internet, la Rete è servita a connettere persone in comunità, e

oggi, per mezzo delle applicazioni 2.0, l'interazione, la condivisione e la

partecipazione la fanno da padrone, risultando i pilastri fondanti del Web.

L'interazione offre a ciascun individuo la possibilità di usufruire, in tempo reale

e senza alcun vincolo, dei contenuti che più lo interessano. I contenuti scelti in

base ai suoi bisogni e alle sue esigenze, possono essere condivisi con gli altri

utenti della Rete, in questo modo la comunicazione diviene partecipativa in

quanto ognuno può dare il suo contributo nella diffusione dei contenuti presenti

sul Web che diventano così accessibili a chiunque.

Le tecnologie della condivisione on-line prendono il nome di social media,

categoria che comprende tutti gli strumenti digitali utili alla creazione e alla

diffusione dei flussi di comunicazione partecipativa tra le persone attraverso la

condivisione di contenuti testuali, immagini, video e audio.

La proprietà che permette ai nuovi mezzi digitali di assumere connotazioni

partecipative e conversazionali è la crossmedialità, che fa sì che un singolo

contenuto possa essere veicolato attraverso molteplici canali di comunicazione e

possa assumere differenti forme in base alla tecnologia di trasmissione utilizzata

e alle esigenze di chi fruisce del contenuto. Per cui oggi un videoclip musicale

può essere trasmesso in televisione, così come può essere visto su YouTube, o su

una console di gioco e lo stesso videoclip può essere memorizzato in formato

Mp4 per essere visto su un iPod, oppure in formato DIVX, maggiormente adatto

alla fruizione su PC.

Le principali forme applicative dei social media sono32:

• Giant: i tre siti simbolo del Web 2.0, Wikipedia, My Space e YouTube.

Ecco alcuni numeri che ne chiariscono la diffusione in Italia. Al 19

novembre 2010 l'edizione di Wikipedia in italiano conta 747.331 voci, con

una crescita mensile di circa 12.000 voci, e 571.842 utenti registrati33. Per

quel che concerne MySpace, il tasso di crescita in Italia è di 4500 nuovi

32 Nielsen/NetRatings33 Http://it.wikipedia.org/wiki/Wikipedia_in_italiano

34

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profili al giorno, uno ogni 5 secondi, con un tempo medio giornaliero per

utente trascorso sulla piattaforma di 64 minuti, a fronte dei 39 minuti

degli utenti USA34. In merito alla terza piattaforma, stando alle

dichiarazioni di YouTube Italia, ogni minuto vengono caricate quasi 24

ore di video, il che equivale, considerando una media di quattro minuti a

video, a circa 500.000 video al giorno35.

• Community: insieme di utenti che hanno i medesimi interessi e che si

riuniscono virtualmente e non con una assidua frequenza intorno ad un

sito. E' la categoria più visitata in Italia. Include le comunità virtuali di

incontro e socializzazione, i così detti social network che, per la forte

connotazione partecipativa che la contraddistingue, rappresentano una

delle categorie più conosciute ed utilizzate di social media, tanto da

essere divenuti negli ultimi anni un vero e proprio fenomeno di massa. I

più popolari in Italia sono Facebook, Twitter e MySpace (fonte

Addthis)36.

• Blog: sito in cui pubblicare storie, informazioni e opinioni in completa

autonomia. Ogni articolo è generalmente legato ad un thread, in cui i

lettori possono scrivere i loro commenti e lasciare messaggi all'autore. Il

blog è un luogo dove, in genere, si può esprimere liberamente la propria

opinione. In Italia i lettori assidui di blog nel 2010 sono aumentati a 5,6

milioni, rispetto ai 5 milioni dell'anno precedente(fonte Humah Highway

e Liquida); le piattaforme per la creazioni di blog più popolari in Italia

sono Blogger, BlogAttivo, Bloog, Splinder e Wordpress37.

• Niche: siti dedicati a particolari tematiche in cui gli utenti possono

proporre notizie e collegamenti che vengono poi promossi in prima

pagina in base ad un sistema di elencazione non gerarchico e stabilito in

base alla valutazione degli altri utenti; un esempio sono Digg e Flisxter.

• Photosite: siti dove si possono caricare e condividere le proprie foto con

altri utenti come Flickr.

• Portal: siti in cui i gruppi di persone creano mailing list tramite cui

scambiare messaggi su specifici argomenti, come Google Groups e Yahoo

Groups.

• Video: siti per la condivisione e lo scambio di filmati come Google video,

34 http://blog.digichat.it/40-social-network-famosi-mondo.html35 http://www.ciaoblog.net/youtube-ecco-quanto-e-amato-dagli-italiani/36 http://digg.com/news/world_news/Classifica_aggiornata_dei_social_network_più_usati_in_Italia37 http://provatoo.net/le-10-migliori-piattaforme-gratuite-per-blog/

35

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Metacafe, Libero video.

• Knowledge: pagine web dove è possibile trovare informazioni e risposte

su diversi argomenti, vere e proprie enciclopedie e dizionari on-line ad

accesso libero e costruite grazie ai contenuti creati dagli utenti (UGC),

come Wictionary, Yahoo Answers, Answers.com.

• Virtual Life: siti in cui è possibile creare vite parallele virtuali.

Nonostante non raggiungano numeri molto elevati di utenti, sono quelli

in cui si passano più ore e che generano più fidelizzazione; i più

conosciuti sono Second Life e Habbo.

Questi siti si basano sulla filosofia User-Generated Content (UGC),

letteralmente “contenuto generato dagli utenti”, in cui risiede l'aspetto più

rivoluzionario delle applicazioni 2.0; infatti, grazie alla diffusione di soluzioni

hardware e software semplici e a basso costo, le applicazioni hanno permesso

agli utenti di passare da semplici fruitori a veri e propri editori dei contenuti

multimediali. Il termine nasce nel 2005 nonostante i primi contenuti realizzati

da persone comuni fossero già in Rete sin dalla nascita del Web; il fenomeno ha

poi acquisito dimensioni rilevanti fino a diventare “di massa” grazie alla

diffusione di servizi web che abilitano chiunque a produrre e caricare in Rete i

propri contributi, che per essere considerati User-Generated Content devono

implicare una certa quantità di sforzo creativo. Lo sono fotografie e video

digitali, blog, podcast e wiki38. YouTube è l'esempio più eclatante in quanto la

più grande vetrina al mondo di user-generated content aventi con oggetto

filmati video. Ai content provider tradizionali si affiancano così tutti gli utenti

che, creando e condividendo tra loro i contenuti sulla Rete, hanno assunto il

ruolo di prosumer, ossia di produttori e allo stesso tempo consumatori di un

flusso comunicativo che li vede protagonisti dei contenuti che essi stessi

generano sulla Rete.

Ciò favorisce il fenomeno della coda lunga39 della comunicazione digitale che

dimostra che, se nel sistema tradizionale dei media, è presente un numero

ristretto di emittenti (media mainstrem) che generano ciascuno un elevato

38 Un wiki è un sito web (o comunque una collezione di documenti ipertestuali) che viene aggiornato daisuoi utilizzatori e i cui contenuti sono sviluppati in collaborazione da tutti coloro che vi hannoaccesso. La modifica dei contenuti è aperta, nel senso che il testo può essere modificato da tutti gliutenti (a volte soltanto se registrati, altre volte anche anonimi) procedendo non solo per aggiunte comeaccade solitamente nei forum, ma anche cambiando e cancellando ciò che hanno scritto gli autoriprecedenti.

39 La teoria della “long tail” elaborata da Chris Anderson nel 2006 sostiene che se il canale didistribuzione è sufficientemente evoluto, anche prodotti di nicchia possono raggiungere quotesignificative di mercato ed il loro fatturato totale può superare quello dei pochi prodotti più venduti.

36

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numero di spettatori, nel mondo digitale miriadi di utenti producono contenuti

rivolti agli individui che fanno parte del loro network personale che

relazionandosi tra loro creano una “coda lunga” di tante piccole audience, le

quali sommate possono superare il numero di spettatori legati ai media classici.

LA LONG TAIL DEI MEDIA

Figura 2.2. Fonte http://geofflivingston.com/2010/07/08/the-long-tail-of-media-grows/

Nell'ottica delle applicazioni 2.0 si modifica il target del marketing, che non è

più il singolo ma piuttosto la comunità, considerata come unica entità e non

come somma di individui, in cui l'elemento predominante è l'interazione tra i

suoi componenti.

D'altronde uno dei bisogni fondamentali dell'uomo è da sempre quello di

condividere esperienze e sentirsi parte di un gruppo ed è questo che rende

possibile l'implicazione degli utenti nella Rete.

Le comunità che si generano on-line prendono il nome di comunità virtuali e si

differenziano da quelle off-line per le modalità di sviluppo di forme di

conoscenza condivisa; infatti mentre le comunità fisiche tendono alla protezione

della conoscenza creata all'interno, le comunità virtuali sono aperte a nuovi

affiliati e si basano sulla generazione continua di conoscenza apportata proprio

dai nuovi membri40.

L'appartenenza ad una comunità virtuale da la possibilità di trattare argomenti

interessanti, poiché permette la condivisione di informazioni con altri individui

40 Prandelli e Verona 2006

37

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che hanno gli stessi interessi; consente di stabilire relazioni di amicizia,

sentimentali e contatti con utenti che hanno vissuto esperienze simili; quando

basata sulla costruzione di mondi virtuali, la comunità da la possibilità di vivere

le proprie fantasie; e in ottica di business permette di portare a termine

transazioni commerciali.

Queste sono le ragioni principali che spingono gli utenti a prendere parte ad una

comunità virtuale e che gli esperti di marketing devono considerare nel

momento in cui vogliono prendere parte alle conversazioni che si svolgono al

loro interno.

La comunità virtuale potrebbe essere definita come un insieme di utenti della

Rete con un interesse specifico, che si basa su un network dinamico e

strutturato41 ed è concepita secondo due modalità: comunità intesa come

“gruppo tribale” e le comunità dei social network. Le prime sono formate da

individui legati da relazioni forti e durevoli derivanti da una passione condivisa.

In questo caso i contatti avvengono anche nel mondo fisico e la Rete è utilizzata

per facilitarli, quindi le politiche di marketing non devono trascurarne la

dimensione off-line. Un esempio di questa fattispecie sono i gruppi di

motociclisti legati ad una determinata marca come l'Harley Davidson o la

Ducati, che organizzano raduni off-line tenendo in contatto gli appassionati e la

casa madre on-line.

Il modello di comunità basata sul social network è invece di tipo utilitaristico-

pratico e mira allo scambio di conoscenze tra persone interessate ad uno

specifico tema.

Le comunità sono classificate poi secondo gli obiettivi che perseguono, e quella

che riveste il maggiore potenziale per le azioni di marketing è la brand/product

community, comunità cioè composta da utenti-consumatori appassionati di un

determinato brand o prodotto che considerano parte del loro stile di vita.

In ogni caso, a prescindere dall'obiettivo di riferimento, le comunità offrono

grandi opportunità in ottica di marketing poiché sono innanzitutto fonte di

informazioni sui desideri degli utenti e sul loro grado di apprezzamento dei

prodotti, e forniscono dati preziosi per lo studio del comportamento dei

consumatori. Costituiscono inoltre un sostegno alle politiche di marketing virale

dal momento che i messaggi trasmessi dall'impresa alla comunità possono

raggiungere in breve tempo tutti i membri del gruppo con un efficacia maggiore

e costi di investimento minori rispetto ai media tradizionali, dai quali si

41 Bagozzi et al., 2004

38

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differenziano soprattutto per l'accettazione del messaggio da parte del target che

nelle comunità risulta accresciuta per via della fiducia che viene ad instaurarsi

all'interno.

Alla luce di questi vantaggi l'impresa può scegliere se limitarsi a fornire

supporto alla community o se diventarne membro agendo dall'interno.

Sviluppando contenuti attrattivi che generino partecipazione e interazione,

quindi fedeltà e fiducia il suo scopo sarà quello di attivare iniziative

pubblicitarie. Questo passo si concretizza in un primo momento con

l'affiliazione ed il banner. Nell'affiliazione il sito incanala il traffico verso un sito

affiliato ed in cambio riceve una provvigione o una percentuale delle vendite; il

banner invece consiste nella cessione di uno spazio all'interno del sito con

l'obiettivo di generare page impressions e di stimolare i click through. In un

secondo momento attraverso sponsorizzazioni, offerte e special events che

possano attivare interesse, disponibilità all'acquisto e generare traffico sul punto

di vendita fisico, è possibile richiedere una reazione al potenziale cliente.

Secondo Anthony Bradley, vice presidente Gartner, le comunità virtuali sono la

conseguenza di vincoli precisi che consentono a tutti i partecipanti di

contribuire attivamente ed essere produttivi. Per questo è necessario seguire

specifiche linee di gestione e agire per conseguire i seguenti obiettivi42:

• Magnetismo: i temi devono attrarre utenti che possano sentirsi "chiamati

in causa".

• Allineamento: gli argomenti devono chiaramente essere in stretta

relazione con il business.

• Basso rischio: non si può pretendere di richiamare subito blogger già

molto noti sul proprio social network. La comunità nasce e si arricchisce

nel tempo ampliandosi.

• Obiettivi: tematiche e focus devono essere ben delineati, così che

l'espansione della community possa essere un processo naturale prodotto

dagli utenti stessi secondo i loro interessi.

• Scalabilità: argomenti e strumenti a disposizione della comunità devono

facilitare l'eventuale ampliamento.

• Misurabilità: gli accessi devono essere misurabili per monitorarne i

trend e per profilare gli utenti.

• Autonomia: il valore di una comunità sta nel dare agli utenti la possibilità

42 http://www.pmi.it/marketing/articoli/4014/p2/pmi-blog-e-community-virtuali-valore-e-profitto.html

39

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di proporre argomenti di discussione e intervenire in modo libero con

contributi spontanei.

Una community si distingue da un forum di discussione per avere come valenza

principale la condivisione. Peculiarità del forum è, invece, il confronto di

opinioni, che fa si che tale strumento conferisca un valore maggiore di

trasparenza e onestà al marchio rispetto alla community.

Nel nostro paese sono soprattutto i social network digitali ad essere in forte

espansione superando la quota di utenti delle comunità tribali e diventando

ogni giorno di più una cassa di risonanza delle attività di word of mouth, buzz e

viral marketing intraprese dai brand.

Essere presenti in questi spazi significa per l'impresa poter ascoltare i bisogni e

le opinioni dei consumatori e, sebbene i social media non siano nati come

strumento di marketing, il loro punto di forza sta proprio nell'interagire con gli

utenti in modo trasparente utilizzando i loro stessi codici comunicativi. Questo è

ciò di cui si occupa il Social Media Marketing, un nuovo approccio gestionale di

business per le aziende, che permette di ottimizzare l'offerta di prodotti e servizi

nel lungo periodo puntando sul dialogo e sulla conversazione bidirezionale tra

azienda e consumatore all'interno del social web.

40

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IL PRISMA DELLA CONVERSAZIONE

Figura 2.3 Fonte http://www.theconversationprism.com/

41

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2.3 Uno sguardo alla realtà: statistiche, ragioni di fruizione e

tipologie di utilizzatori dei social media

La percentuale di utilizzatori delle applicazioni web è destinata ad aumentare

grazie a tre fenomeni quali, la moltiplicazione dei device che consentono la

connessione ad Internet, il calo dei prezzi di questi strumenti, e lo sviluppo delle

applicazioni 2.0 che rendono più facile e intuitivo l'uso di Internet, favorendo la

socializzazione nei confronti di questo mezzo di comunicazione. In particolare,

un contributo notevole all'aumento della percentuale di fruizione è stato fornito

dalla nuova generazione, definita negli Stati Uniti generazione Y, sulla quale il

Web gioca un ruolo determinante. Essa è composta dai cittadini nati dopo il

1980 cresciuti in piena espansione della comunicazione digitale, e per questo

considerati dei digital native, che vivono costantemente connessi on-line.

Assidui frequentatori delle più famose community on-line come Facebook e

YouTube, nei confronti dei brand rappresentano un gruppo con un

considerevole potere d'acquisto, una profonda conoscenza dei prodotti e una

fedeltà di marca minore rispetto alla media.

A livello mondiale i social media, con più di 500 milioni di utenti su Facebook

che creano in media 90 contenuti al mese ciascuno, circa 24 ore di video caricati

ogni minuto su YouTube, oltre 90 milioni di “tweets” pubblicati ogni giorno su

Twitter e 5 miliardi di foto postate su Flickr, sono un fenomeno che ha raggiunto

dimensioni globali registrando numeri importanti anche nel nostro Paese; gli

utenti internet italiani sono tra i più assidui frequentatori di social network al

mondo. Secondo uno studio presentato nel primo semestre del 2010 da Nielsen,

osservatorio internazionale tra i più noti per l'analisi del Web, l'Italia sarebbe il

quarto paese al mondo nell'uso dei social network, preceduta solo da Australia,

Stati Uniti e Regno Unito, ma al primo posto per tempo medio mensile trascorso

su queste piattaforme. Su circa 24 milioni di italiani attivi sul Web, ben 16

milioni utilizzano Facebook, il social network più diffuso al mondo, seguito da

altre piattaforme in costante ascesa tra cui Twitter, Linkedin e Flickr, tutte

accomunate da nuove dinamiche comunicative basate sull'interazione e sulla

costruzione di un rapporto diretto con e tra gli utenti. A confermare che nel

nostro paese il fenomeno social media sembrerebbe essere molto più di una

tendenza del momento, è il recentissimo studio realizzato esclusivamente in

Italia da Mediacom per conto dell'azienda di eMail marketing eCircle.

42

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L'indagine dimostra che gli utenti dei social media in Italia sono interessati ad

interagire con i brand: il 50% degli intervistati è interessato alle informazioni

sui prodotti e sulle aziende, il 29% si dichiara follower43 di un'azienda o di una

marca. L'interesse è di tipo “conversazionale” e commerciale. Il 41% dei fan-

follower dichiara di essere interessato a sconti e offerte speciali, il 22% segue

una marca perché ne trova divertente il contenuto , il 20% per dimostrare il

proprio interesse, mentre il 13% segue un brand per dimostrare la propria

fedeltà.

A livello globale, da un'indagine eseguita da Nielsen, emerge come tre persone

su quattro che utilizzano Internet trascorrano abitualmente almeno 6 ore al

mese visitando social network o blog. E' il segno che gli utenti si stanno

abituando a un Web più partecipativo e ad un flusso di comunicazione

orizzontale che tende a privilegiare le fonti di informazione generate dagli stessi

utenti della Rete.

TEMPO TRASCORSO SUL SOCIAL WEB, MARZO 2010

Figura 2.4 Fonte Nielsen

La minoranza che preferisce non prendere parte alle reti sociali presenta

motivazioni che si rifanno o ad una condizione di disagio, nel caso in cui la

persona non abbia ancora sviluppato la capacità pratica di utilizzare

proficuamente gli strumenti della condivisione, o ad un rifiuto, tipico di chi ha

già avuto un'esperienza con i social media che lo ha convinto ad allontanarsene

dall'utilizzo, o ad insicurezza legata ai problemi di privacy sottesi all'utilizzo e

alla condivisione delle informazioni personali sui social media.

43 Neologismo coniato da Twitter per indicare che un utente segue un altro utente, ovvero ha accesso aisuoi aggiornamenti.

43

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Per la maggioranza delle persone che al contrario vi partecipa, molteplici sono le

motivazioni che le spingono ad essere presenti in questi canali; Ayelet Noff di

Blonde 2.0, compagnia di consulenza di Social Media Marketing, le riassume nei

seguenti aspetti44:

• Reciprocità anticipata: un utente è motivato a fornire il suo contributo

nell'aspettativa di ricevere in cambio un aiuto o informazioni utili,

qualora ne avesse bisogno a sua volta.

• Incremento di riconoscimento sociale: in questo caso il fattore alla base è

il desiderio di prestigio.

• Senso di efficacia: gli utenti avvertono di avere qualche effetto all'interno

di una rete sociale.

• Connessione: più un utente è legato ad altre persone in un network, più è

spinto a partecipare attivamente al fine di mantenere le relazioni.

• Emotional safety: il senso di appartenenza e identificazione con un

gruppo accresce la sensazione di sicurezza.

Nonostante sembrerebbe che l'intero Web si stia dedicando alla creazione di

contenuti, uno studio realizzato da Forrester45 su 275mila consumatori di Asia,

Europa e America del Nord ha accertato che solo una bassa percentuale degli

utenti contribuiscono con i loro contenuti ai social network; infatti se gli

internauti che si riuniscono nei social network sono sempre più numerosi, il

numero di coloro che contribuiscono attivamente a questi siti ristagna.

Il numero degli internauti che ha aderito ad un social network è cresciuto

dell'11% in Europa, dietro la Cina (18%) e davanti all'America del Nord (8%). In

totale, il 41% degli europei è membro di una community. Ma, come si evince dal

grafico riportato alla pagina seguente, la parte degli internauti che ha creato

contenuti su questi siti è rimasta invariata attorno al 15%, e il 54% è solo

“spettatore”. La restante parte si diletta a conversare (31%) e partecipare a social

network (41%), commentare (21%) o semplicemente raccogliere (10%) contenuti

social. Sono comunque gli utenti italiani che contribuiscono maggiormente al

Web 2.0 con il 24% di “creatori”.

44 Caiazzo D., Colaianni A., Febbraio A., Lisiero U. (2009), Buzz marketing nei social media comescatenare il passaparola on-line, Galatea, Milano

45 Forrester Research è una società di ricerche tecnologiche e di mercatohttp://www.forrester.com/rb/research

44

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IL COMPORTAMENTO DEGLI UTENTI EUROPEI SUL SOCIAL WEB

Figura 2.5 Fonte http://wearesocial.it/blog/2010/10/social-media-ecco-cambia-il-nostro-comportamento/

Dall'utilizzo che gli utenti fanno delle social technologies dipende l'esistenza di

differenti profili di utilizzatori:46

• Creatori: coloro che almeno una volta al mese pubblicano un blog o un

articolo on-line, aggiornano una pagina web, o caricano dei contenuti

video e audio su siti come YouTube.

• Critici: coloro che reagiscono ai contenuti pubblicati da altre persone,

postando commenti su blog, forum e community e votando e/o

modificando i wiki. I critici sono più numerosi dei creatori in quanto

reagire è più semplice che creare.

• Collezionisti: coloro che memorizzano Url47 e tag48 grazie al servizio di

social bookmarking49, votano per i loro siti preferiti o ricorrono agli RSS

feed. In questo modo essi svolgono attività di raccolta e aggregazione

delle informazioni, fondamentale in vista dell'organizzazione dei

contenuti prodotti dai Creatori. Per ora i Collezionisti rappresentano un

46 LI C., Bernoff J. (2008), Groundswell: winning in a world transformed by social technologies,Harvard Business Press.

47 L'Url (Uniform/universal resource locator) è la stringa di un indirizzo Web.48 Il termine tag può riferirsi sia a un elemento del codice HTML, usato per ordinarlo in modo

gerarchico, sia a una parola chiave associata a un qualche tipo d'informazione, intesa comeun'immagine, una mappa geografica, un video clip o un post preso nella sua totalità. La suddettaparola chiave ha lo scopo di descrivere, quindi, l'oggetto rendendo possibile la classificazione e laricerca di informazioni basata su parole chiave, per esempio sui motori di ricerca. Fontewww.glossarioweb.it

49 Il social bookmarking è un servizio basato sul web, dove vengono resi disponibili elenchi di segnalibri(bookmark) creati dagli utenti. Questi elenchi sono liberamente consultabili e condivisibili con gli altriutenti appartenenti alla stessa comunità virtuale. I siti di social bookmarking organizzano il lorocontenuto tramite l'uso di tag (etichette, categorie). La popolarità di questi siti è in costante crescita, inquanto sono uno strumento facile e intuitivo per individuare, classificare, ordinare e condividere lerisorse internet attraverso la pratica dell'etichettatura e categorizzazione (tagging). Fontewww.wikipedia.it

45

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gruppo d'élite ma si prevede che aumentino con la comparsa di siti che

proporranno attività mirate a questo tipo di partecipazione.

• Socievoli: coloro che partecipano o mantengono un profilo nei social

network, la loro importanza risiede nel fatto che incrementano la

popolazione che utilizza questo tipo di tecnologie.

• Spettatori: coloro che fruiscono di tutto ciò che viene prodotto da altri.

Questo è il gruppo più vasto poiché è quello che richiede lo sforzo

minore.

• Inattivi: coloro che ancora non partecipano alle conversazioni on-line.

Risulta che il 90% degli utenti legge ma non partecipa attivamente alle

discussioni da cui vengono però influenzati. Il 9% partecipa saltuariamente

avendo altre priorità, fanno parte di questa categoria i Critici e i Collezionisti.

Solo l'1% degli utenti partecipa attivamente e, nonostante sia bassa, tale

percentuale è sufficiente ad alimentare e stimolare la conversazione e

l'interazione.

Questi tre gradi percentuali di partecipazione definiscono la teoria del 1-9-90

che regola tutti i social network. Il fenomeno è stato studiato da Jacob Nielsen,

massimo esponente della web usability, e prende il nome di participation

inequality (disuguaglianza partecipativa).

LA PIRAMIDE DELLA PARTICIPATION INEQUALITY

Figura 2.6 Fonte http://www.useit.com/alertbox/participation_inequality.html

Le ricerche hanno evidenziato come il sistema non possa essere rappresentativo

della media degli utenti del Web, in quanto i contributi ai siti a partecipazione

sociale provengono sempre dallo stesso 1% di utilizzatori, che di certo non può

essere portavoce del 90% che non si esprime. Ciò contribuisce a comprendere

l'esistenza di distorsioni in termini di feedback da parte dei consumatori, che le

aziende dovranno considerare nel momento in cui monitorano le conversazioni

46

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on-line che le riguardano; tali conversazioni dovranno essere utilizzate come un

campione, non per forza rappresentativo, del totale degli utenti.

Il divario tra produttori attivi di contenuti e spettatori non può essere colmato,

ed esso tenderà a farsi sempre più evidente all'aumentare della longevità del

sito, in quanto ad una crescita prevista lineare degli utenti attivi ne

corrisponderà una esponenziale degli spettatori. Diviene quindi sempre più

rilevante per le aziende nel definire strategie di coinvolgimento che creino

valore per le marche e per i consumatori, analizzare le persone a livello

sociografico per conoscerne il profilo.

A prescindere dal grado di partecipazione ai social media, in ottica di business

una delle attività che gli utenti compiono maggiormente all'interno di questi

canali, siano essi Creatori o Spettatori, è quella della ricerca di informazioni in

merito a prodotti e servizi.

Secondo un articolo riportato da Penn Olson, tech-business blog asiatico, a

livello globale il 70% delle persone ricerca informazioni sui brand attraverso i

social media. I corporate web site pur essendo di grande utilità rivestono un

ruolo oramai secondario, limitandosi a fornire il catalogo virtuale dei prodotti e

a consentire l'acquisto direttamente on-line, senza però apportare quel valore

aggiunto ricercato dal consumatore odierno nell'interazione e nel dialogo.

DOVE I CONSUMATORI REPERISCONO INFORMAZIONI

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di influencer. Egli ne individua tre:

• Social broadcaster: sono quelli che godono di un maggior raggio

d'azione, solitamente sono i blog letti da un grande numero di persone e

seguiti con una certa regolarità. Dal punto di vista numerico sono la

minoranza degli influencer, ma costituiscono una preziosissima fonte per

l'aggiornamento di novità e consigli. Generalmente godono di minor

fiducia rispetto alle altre categorie, un lettore infatti che viene a

conoscenza di una novità tramite un Social broadcaster si riserva

successivamente di verificarne l'attendibilità da altre fonti. Per questo

motivo sono più consigliati nelle campagne finalizzate all'awareness

piuttosto che in quelle mirate al condizionamento delle preferenze.

• Mass influencer: costituiscono il 16% del totale ma influiscono per l'80%

sulle scelte generate dal word of mouth on-line. Per questo motivo è una

minoranza che non può essere ignorata.

• Potential influencer: sono coloro che godono della massima fiducia.

Costituiscono l'84% della popolazione degli influencer e il loro ruolo è

quello di manifestare on-line le preferenze e le segnalazioni che

raccolgono dalla rete sociale di appartenenza off-line.

Ciascun gruppo è raggiungibile attraverso strategie differenti. I Social

broadcaster, essendo ostili all'advertising tradizionale, ricercano un rapporto

con la marca, da cui richiedono rispetto e considerazione, rifiutando di essere

contattati esclusivamente quando il brand deve essere pubblicizzato. In questo

caso una soluzione potrebbe essere l'istituzione di promozioni e/o premi che

trasmettano un senso di relazione esclusiva e privilegiata. Nel caso dei Mass

influencer, assetati di contenuti esclusivi, il segreto è offrire un argomento di cui

parlare e che non si possa fare a meno di condividere. Per coinvolgere infine i

Potential influencer occorre mettere in atto un'iniziativa che cerchi il

coinvolgimento tramite un gioco o un concorso, in questo caso il fattore

discriminante sarà creare iniziative coinvolgenti e inedite.

Gli “interventi” generati dagli influencer sono distinti in due categorie: le

Influence impression, che sono le preferenze espresse sui social network, e gli

Influence post, ovvero i dati a vita più lunga e meno specifici quali post,

commenti, recensioni e forum on-line. Nella prima categoria, la ricerca svolta

dai ricercatori Josh Bernoff e Augie Ray, ha calcolato 256 milioni di Influence

impression totalizzate in un solo anno; gli Influence post invece sono stati 1,64

48

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miliardi in un anno i quali a loro volta hanno generato 250 miliardi di

impression.

Il grafico seguente mostra dove hanno luogo le influenze.

DOVE LE PERSONE CONDIVIDONO L'INFLUENCE ON-LINE

Figura 2.8 Fontehttp://www.wommi.it/2010/05/indagine-forrester-sul-word-of-mouth-marketing/

49

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2.4 Il 2.0 approda in azienda

In questo scenario le reazioni di chi si occupa di prodotti, marchi e aziende

tendono a essere diametralmente opposte; da una parte il contesto può apparire

talmente denso di opportunità da indurre alcuni a intraprendere scelte

avventate, dall'altra la ricchezza che offre può farlo apparire così confuso e

rischioso da indurre altri ad adottare un atteggiamento più prudente e passivo. I

più recenti studi dimostrano come attualmente la maggioranza delle aziende

italiane abbia ancora un approccio tradizionale all'uso di Internet; le esigenze

del mercato tuttavia sono cambiate, per questo motivo le aziende che

utilizzeranno un approccio di marketing e comunicazione innovativo, che

prevede l'utilizzo dei social media e degli strumenti del Web 2.0, avranno la

possibilità di acquisire quello che Porter chiama vantaggio competitivo e quindi

avere maggiori possibilità di successo sul mercato.

Finora le aziende italiane si sono concentrate sulla pianificazione di strategie di

comunicazione pubblicitaria classica come il display advertising e la

sponsorizzazione, senza sfruttare pienamente i flussi di comunicazione

partecipativa tipici dei social media; a dimostrarlo è il fatto che la categoria dei

banner è ancora la forma più utilizzata per fare promozione on-line. Ma la

scarsa efficacia degli strumenti tradizionali, dal click through fino alla

newsletter, dimostra come Internet sia uno strumento di comunicazione dove la

pubblicità concepita secondo le forme tradizionali stenta ad essere efficace

perché trascura la predisposizione del consumatore ad essere curioso, a

selezionare solo gli argomenti che gli interessano e a crearne di nuovi sulla base

dei suoi precisi interessi. Questo spiega l'irritazione generale degli utenti nei

confronti della pubblicità tradizionale on-line, che ha una percezione di

intrusività più alta rispetto a quella dei media classici.

La chiave di volta per le aziende è comprendere che i siti web non vanno

considerati solo dal punto di vista estetico, ma piuttosto dal punto di vista

funzionale e di servizio. In questo senso “farsi trovare” quando l'utente ne ha

bisogno dovrebbe essere l'obiettivo principale di ogni progetto on-line. La

diffusione e l'importanza dei motori di ricerca dovrebbe motivare le aziende a

investire nel miglioramento del proprio posizionamento all'interno di questi siti

e ottenere in questo modo una migliore visibilità dei contenuti attraverso

operazioni di SEM (Search engine marketing) e SEO (Search engine

50

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optimization). La prima delle due tecniche si riferisce alle azioni di web

marketing atte a rendere il sito il più “user friendly” possibile, mentre la seconda

riguarda l'ottimizzazione del suo posizionamento all'interno dei motori di

ricerca attraverso le parole chiave. L'attività di SEO è fondamentale nel

moderno web marketing per riuscire a lanciare con successo un sito. Basti

considerare che un qualsiasi sito web riceve solitamente dal 60 all'80% del suo

traffico dai motori di ricerca.

Oggi queste attività devono essere pianificate in modo da integrare le attività di

comunicazione svolte sui social media; un fattore chiave in questo caso è la link

popularity, uno dei parametri che caratterizza la visibilità on-line, che indica la

popolarità che un sito web acquisisce grazie ad altri siti che lo consigliano. Oggi

questo è uno dei criteri più importanti per stabilire l'importanza e

l'autorevolezza di un corporate blog o dei contenuti condivisi attraverso un

social network. Naturalmente il fatto che una pagina web contenga un link a un

sito esterno genera potenzialmente visite aggiuntive per il sito segnalato. Inoltre

la link popularity è fondamentale in quanto i motori di ricerca tendono a

privilegiare nei risultati proprio quei siti considerati popolari in termini di

numero di link che ricevono da altre pagine web. Google, il motore di ricerca che

più degli altri favorisce questo criterio, utilizza un parametro chiamato

PageRank che assegna un livello di popularity da 1 a 10 ai siti presenti nel suo

catalogo. La condivisione dei contenuti tipica delle attività partecipative svolte

sul Web 2.0 può favorire la popolarità del proprio blog o sito web misurata da

questo strumento.

Analizzando il posizionamento delle principali aziende italiane raggruppate per

settore di attività in base ai due diversi fattori, livello di ottimizzazione del sito

web e grado di popolarità, i risultati evidenziano che le aziende operanti nel

settore dei servizi, dell'informatica e dei media sono quelle posizionate in

maniera ottimale, mentre le società operanti nei settori dell'abbigliamento, delle

bevande e degli alimentari hanno ancora ampi margini di miglioramento.

Le aziende che intraprendono attività di social media marketing possono

contare su due principali punti di forza. Il primo risiede nella possibilità di poter

sfruttare le relazioni partecipative tra gli individui che condividono i flussi di

comunicazione attraverso siti come YouTube o Facebook, facendo in modo di

renderli disponibili anche alle iniziative promosse da altri membri del social

network, in questo caso le aziende. Questo fa si che esse possano contare su un

51

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secondo punto di forza che consiste nella possibilità di individuare gruppi

specifici di utenti accomunati da identità e esperienze comuni. Ai fini di

marketing si possono utilizzare i desideri e le esigenze comunicati da queste

tribù di individui come leve per promuovere forme di collaborazione con i

consumatori finalizzate a migliorare le caratteristiche del prodotto o del servizio

offerto. Insieme ai punti di forza, le aziende devono considerare anche alcuni

punti di debolezza tipici dei social media. Il primo si riferisce alla difficoltà di

individuare un preciso target di mercato, derivante dal fatto che il contesto

attuale è diventato altamente personalizzato tale da rendere le tradizionali

tecniche di segmentazione e posizionamento inefficaci; oggi sono le

conversazioni e lo scambio di contenuti a comportare una naturale

segmentazione dei possibili mercati di riferimento per l'azienda. Un secondo

ostacolo è il problema del digital divide che impedisce ancora oggi ad una parte

della popolazione di accedere a Internet in banda larga, a cui si somma la

diffidenza ancora elevata da parte degli italiani verso la tecnologia e in questo

caso i social media. Ciò rende impossibile l'utilizzo di tali strumenti per

veicolare una strategia di marketing su un prodotto di massa, il che obbliga a

fare ancora ricorso ai media tradizionali.

Uno studio condotto dall'Extra Mile Audience Research per l'associazione di

marketing americana Pivotcon su un campione di 137 marketers, ha dimostrato

che il 63% dei partecipanti al sondaggio usa i social media per attività di

marketing motivando così questa scelta (valori in %):

PERCHE' LE AZIENDE UTILIZZANO I SOCIAL MEDIA

Figura 2.9 Fonte http://lissimattia.com/2010/08/30/sm/dati-social-media-marketing-perche-usare-i-social-media/

52

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Il 30% degli intervistati ha dichiarato di essere molto soddisfatto delle attività di

social media marketing intraprese, mentre il 59% le ha considerate abbastanza

soddisfacenti. Il mancato raggiungimento della massima soddisfazione è

principalmente dovuto alla difficoltà di costruire un piano strategico adeguato

per i social media, questo perché i social network nel loro insieme sono un'entità

complessa e in continua evoluzione e fare social media marketing non significa

semplicemente essere iscritti a questi siti e pubblicarvi occasionalmente notizie

e commenti. L'assenza di una strategia di approccio ai social media differenziata

per ognuno dei canali disponibili e il loro utilizzo disorganizzato e occasionale

conduce al fallimento, quello che succede nella maggior parte dei casi. Infatti

uno studio condotto dal Brand Science Institute su 563 marketer di 52 brand di

12 paesi europei sui progetti di corporate social media intrapresi per un periodo

di 7 mesi, ha evidenziato che i progetti falliscono principalmente per la

mancanza di una chiara strategia di gestione, per la pretesa di ricevere riscontri

finanziari da queste attività entro 12 mesi e di poter confrontare le prestazioni

con quelle dei media tradizionali. Inoltre perché chi intraprende queste attività

ignora la teoria 1-9-90, secondo cui il 90% degli utenti on-line sono spettatori, il

9% modifica i contenuti e soltanto l'1% li crea. Altre ragioni risiedono

nell'incapacità di saper gestire possibili reazioni negative degli utenti e nel non

intervenire nelle discussioni on-line che lo riguardano. Un grosso limite è

inoltre rappresentato dalla mancata condivisione dei social media con tutti i

membri interni dell'impresa.

PERCHE' I PROGETTI DI SOCIAL MEDIA FALLISCONO

53

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Le aziende, avvezze a definire obiettivi mirati e strategie dettagliate per ogni

aspetto dei propri investimenti promozionali, dovrebbero comprendere che lo

stesso è da fare per le campagne sui social media.

Molteplici sono gli obiettivi che chi svolge attività di social media marketing può

prefissarsi:

• Educare e informare la clientela

• Migliorare il servizio al consumatore

• Monitorare la reputazione del brand

• Aumentare la brand awareness

• Acquisire maggiori informazioni sul proprio target

• Ottenere link verso il proprio sito

Tra questi quello maggiormente perseguito e raggiunto è l'aumento della brand

awareness e della customer loyalty, a dimostrazione che i social media sono più

congeniali in ottica di fidelizzazione piuttosto che di acquisizione della clientela.

OBIETTIVI PRIMARI PERSEGUITI IN UNA CAMPAGNA DI SOCIAL MEDIA

Figura 2.11 Fonte http://www.emarketer.com/Article.aspx?R=1007934

Per poter raggiungere i risultati sperati è essenziale investire tempo e risorse in

attività di ricerca dettagliate che includano necessariamente i seguenti passaggi:

• Determinare se il proprio target audience è on-line

• Scoprire in quali contesti si trova e agisce

• Esaminare successi e fallimenti di altre campagne sui medesimi social

media

• Delineare scadenze temporali ragionevoli

• Stabilire un metodo per misurare i risultati

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L'implementazione della strategia che ne scaturisce deve tenere in

considerazione un aspetto fondamentale, vale a dire che i social network sono

luoghi di incontro complessi molto simili a quelli che si frequentano

abitualmente off-line e il trascurarlo è nel 90% dei casi il male che affligge le

campagne di promozione on-line.

Per quel che riguarda il trend di utilizzo dei social media da parte del mondo del

business, il mercato statunitense presenta dati piuttosto rassicuranti e

incoraggianti. Una ricerca curata da Nora Ganim Barnes ed Eric Mattson ha

utilizzato le aziende della Fortune 50050 presenti nell'anno 2009 come terreno

per condurre esperimenti ed analizzare l'uso dei blog e di Twitter nel mondo

aziendale. Dagli studi è emerso che l'utilizzo dei blog aziendali sta aumentando,

specialmente tra le aziende che occupano le posizioni più basse della classifica.

Nel 2009 c'è stato un aumento del 6% dei blog rispetto all'anno precedente e tre

delle aziende della top five, Wall Mart, Chevron e General Electric, hanno avuto

un blog in entrambi gli anni.

PERCENTUALI DI UTILIZZO DEL BLOG AZIENDALE

Figura 2.12 Fonte http://www.masternewmedia.org/it/2010/05/14/ricerche_sui_social_media_trend_di_utilizzo.htm

Le 108 aziende della classifica con un blog provengono dai settori più diversi,

quelle con il maggior numero di blog sono le aziende del settore computer-

software, periferiche e apparecchiature per ufficio, tra le quali compaiono

Hewlett-Packard, Dell, Microsoft, Apple, Oracle e Xerox. Le prime 100 aziende

dell'elenco rappresentano il 39% dei 108 blog della F500 del 2009 e, nonostante

l'utilizzo del blog sia basso tra le ultime 200 aziende, è interessante notare che

gli ultimi dati mostrano un aumento significativo nell'utilizzo dei blog da parte

delle aziende nelle ultime posizioni. Tutti i 108 blog sono stati esaminati per

determinare il livello di interattività che consente un blog ed è stato rilevato che

50 Fortune 500 è una lista annuale compilata e pubblicata dalla rivista Fortune che classifica le 500maggiori imprese societarie statunitensi misurate sulla base del loro fatturato. Fonte www.wikipedia.it

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il 90% di quelli presenti in classifica accettano commenti, danno la possibilità di

iscriversi ai feed RSS o alle newsletter e vengono aggiornati regolarmente.

Sembra quindi che le aziende che hanno scelto di dotarsi di un blog abbiano

utilizzato correttamente lo strumento. Le aziende presenti nella Fortune 500

però utilizzano meno il blogging rispetto a quelle presenti nella Inc. 50051,

questo a dimostrazione che le aziende più propense ad adottare strumenti social

sono quelle più piccole e con rapido tasso di crescita. L'86% dei blog individuati

sono direttamente collegati ad un account Twitter aziendale, più del triplo di

quelli che risultavano nella classifica del 2008. Molte più aziende hanno un

account Twitter ma non hanno creato alcun collegamento con il loro blog.

Sono 173 (35%) le aziende inserite nella Fortune 500 del 2009 in possesso di un

account Twitter aggiornato, attivi con retweet e repliche negli ultimi 30 giorni e

che mostrano quindi un'interazione persistente con gli utenti. Dei 173 profili

della classifica, il 47% appartiene ad aziende presenti nelle prime 200 posizioni.

Per quanto riguarda l'utilizzo di altri tipi di social media volti al potenziamento

dei blog, i ricercatori si sono concentrati sull'uso del podcasting, sfruttato dal

19% delle aziende della Fortune 500, e dei video, utilizzati sui blog dal 31% delle

aziende.

L'ampio utilizzo dei blog e la crescita esplosiva di Twitter tra le aziende della

Fortune 500 emersi da questa ricerca, sottolineano la crescente importanza dei

social media nel mondo del business.

La situazione è ben diversa in Italia dove, l'assenza di un approccio culturale

all'uso di questi canali, concepiti prevalentemente come canali lontani da quelli

tradizionali di comunicazione più consolidati o, come una semplice ed effimera

moda, fa si che il Web 2.0 e i suoi strumenti siano approcciati solo dalla

minoranza delle aziende. Lo dimostra un sondaggio realizzato nel periodo

marzo – aprile 2010 dall'area Executive Education della Fondazione Cuoa su un

campione di 215 manager con funzioni diverse e con ruoli di responsabilità.

L'indagine ha testato che, se il Web 1.0 è ormai uno strumento assodato

nell'attività quotidiana, più della metà delle aziende (56%) non è ancora

presente sui social media. In questo caso lo studio si sofferma sull'utilizzo dei

social network, tralasciando quello dei blog. Emerge che il social network più

conosciuto e utilizzato dalle aziende intervistate è Facebook, seguito da

Linkedin, YouTube e Twitter. Il limite all'utilizzo di quest'ultimo, molto efficace

51 Inc. 500 è una classifica che comprende le aziende private americane con il tasso di crescita piùrapido.

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per attività di conversazione diretta, customer service e rewarding nei confronti

della propria clientela, sta nel fatto che in Italia, a differenza degli stai Uniti,

stenti a decollare e rappresenti ancora un canale di nicchia per gli amanti dei

social media e per i tecno-appassionati per condividere contenuti e temi

professionali settoriali. Altri servizi di pubblicazione come ad esempio Slide

Share, Flickr o Scribd sembrano essere ancora poco conosciuti o comunque

poco usati. Tra i motivi che vengono indicati come ragioni che hanno portato le

aziende italiane a decidere di utilizzare i social network, compare per primo la

ricerca di potenziali clienti/utenti, seguito dalle attività di promozione di

prodotti e servizi. Sulla decisione di entrare nei social network rileva anche il

costo basso di tale azione. Tra chi, di questo campione, ha provato ad utilizzare i

social network ha in larghissima parte un'opinione positiva dell'esperienza tanto

che solo per un 2% risulta essere un'esperienza da abbandonare.

L'indagine ha concluso che, nonostante social network e Web 2.0 siano

conosciuti, mancano ancora conoscenze approfondite, competenze aziendali e

personale dedicato. In generale si può notare una certa diffidenza nei confronti

dei social network e del Web 2.0 e, di conseguenza, la resistenza ad entrarvi

come azienda e a permetterne l'accesso ai dipendenti.

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2.5 Monitorare le conversazioni sui social media e misurare i loro

ritorni: il social media monitoring

Monitorare e misurare sembrano essere i due imperativi per aziende e

marketers, che hanno sempre più esigenza di sapere dove e in che modo si parla

del loro brand sui media sociali. E' un obiettivo non facile da raggiungere per le

organizzazioni ma assolutamente indispensabile per instaurare un dialogo con

gli utenti, al cui raggiungimento è preposto il Social Media Mononitoring, un

processo di monitoraggio delle conversazioni on-line che riguardano una

persona, un prodotto, un servizio o un brand. L'attività di monitoraggio si

estende a tutti gli strumenti e i canali di comunicazione comprendendo siti,

blog, social network, wiki, podcast, forum, video, microblog.

La possibilità di individuare, decifrare, catalogare ma soprattutto misurare

queste informazioni rappresenta un'importante asset competitivo per qualsiasi

organizzazione.

Monitorare le conversazioni significa pianificare un duplice livello di ascolto52:

• Monitoraggio di primo livello: fase in cui è possibile avere un quadro

della situazione immediatamente successiva al lancio di una campagna.

Gli strumenti che permettono tale monitoraggio sono i cosidetti “meme

website”, aggregatori degli ultimi trend nella Rete che permettono

un'ampia visione dell'impatto delle conversazioni scaturite nei blog. I più

utilizzati sono Google Blog Search, Wikio e Technorati.

• Monitoraggio di secondo livello: fase che prevede la selezione dei social

media a cui applicare la valutazione quali-quantitativa.

Al momento non esistono metriche universali applicabili univocamente ad ogni

business, target ed obiettivo e la relativa formalizzazione sarà di conseguenza

volubile, dinamica e per certi versi soggettiva, almeno fino a quando non si

riuscirà a collegare risultati tangibili di successo in termini di profitto, riduzione

dei costi, incremento dei riacquisti, dilatazione del customer lifetime, con le

suddette metriche.

Il Web a tale proposito pullula di contributi provenienti da esperti del settore

che offrono la propria teorizzazione al riguardo. Tra i tanti quello più completo

mi è sembrato quello di Mike Brown che, sul Social Media Today, ha fornito una

propria interpretazione sintetizzando in uno schema tre macro-metriche sociali,

52 Caiazzo D., Colaianni A., Febbraio A.; Lisiero U. (2209), Buzz marketing nei social media. Comescatenare il passaparola on-line, Galatea, Milano.

58

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ognuna delle quali valutate secondo aspetti sia quantitativi che qualitativi:

• Attività: l'insieme delle azioni effettuabili sui social media tra cui

bloggare, twettare, postare53 e in generale promuoversi.

• Interattività: misura le relazioni che intercorrono con il pubblico

attraverso follower, commenti, link condivisioni, contenuti creati dagli

utenti.

• Ritorni: sono legati al successo, diretto o indiretto, delle attività sui social

media. Possono essere considerati in termini di creazione di ricavi,

contenimento dei costi ecc.

METRICHE QUANTITATIVE E QUALITATIVE DI MISURAZIONE

Figura 2.13 Fonte http://blog.tagliaerbe.com/2010/07/metriche-sociali-qualitative-quantitative.html

Gli aspetti quantitativi comprendono tutto ciò che all'interno dei social media è

conteggiabile: numero e frequenza di post, numero di commenti, numero di

fan/follower, numero di views, numero di lead54/sale.

Attraverso tali metriche è possibile, per ogni tipologia di social media, misurare

l'esposizione sociale mediatica, ovvero quante persone sono state raggiunte dal

messaggio, e misurare l'impegno, ossia quante persone hanno utilizzato il

messaggio nelle loro conversazioni.

Gli aspetti qualitativi invece fanno riferimento alla misurazione dell'influenza

che si basa sulla percezione dell'azienda. Consiste perciò nel valutare la tipologia

53 Neologismi 2.0 che indicano l'azione di comunicare nei social media. Più precisamente, bloggare:attività relativa alla gestione complessiva del blog e delle relazioni sociali legate alla sua esistenza;twittare: il comunicare tramite Twitter; postare: l'azione relativa all'inserimento di un singolo articolo.

54 Generare un lead significa acquisire un contatto qualificato.

59

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dei commenti, il buzz e il sentiment. A questo scopo sono stati realizzati

software on-line, alcuni a pagamento altri gratuiti, che permettono una

scansione dei social media effettuando una ricerca semantica per parole chiave.

Il software semantico è in grado di definire dall'analisi dei commenti degli

utenti, se la mention, ovvero il tipo di commento o il testo in cui l'utente si è

espresso in merito all'azienda e ai suoi prodotti, sia positivo o negativo, e di

calcolare il cosidetto Sentiment, l'indice per mezzo del quale viene misurato il

rapporto tra menzioni negative e menzioni positive. Ma dal momento che il

software non sempre riesce a valutare se il commento di un utente è positivo o

negativo, i sistemi automatizzati non riescono a sostituire ancora pienamente la

capacità di comprensione e di interpretazione individuale.

Il rapporto tra le metriche di misurazione dell'efficacia e i media sociali sono

quindi al momento di difficile monitoraggio. Abituati alle meccaniche

dell'Auditel per la misurazione dei contatti pubblicitari, molti inserzionisti

desidererebbero degli strumenti di analisi per poter capire se il loro

investimento sui social media produce risultati o meno, tanto da pretendere di

calcolarne il ROI. Ma essendo una business metric, tale indice, nella forma

attuale, non è adatto a cogliere le specificità dei media, la cui potenzialità risiede

nella capacità di generare e influenzare le relazioni. A questo proposito è

emblematico il contributo di Gianluca Diegoli che nel suo ebook distribuito in

Rete55 ha scritto: “Non potrete calcolare precisamente il ROI della

conversazione della vostra azienda, davvero. Pensate se vi conviene di più

esserne parte o meno, di quella conversazione.” Ciò a dimostrazione che attività

di marketing nuove richiedono metriche di misurazione nuove.

55 Diegoli G., [mini]marketing 91 discutibili tesi per un marketing diverso.

60

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CAPITOLO 3: DOVE E COME ESSERE PRESENTI NEI SOCIAL

MEDIA

3.1 Gestire le conversazioni con il corporate blog

Il blog è il luogo di conversazione per eccellenza, e rappresenta una delle

componenti più potenti fino ad ora emerse nella rivoluzione della

comunicazione aziendale. Secondo Technorati e l'indagine annuale relativa al

2010 che la società svolge a proposito dello stato della blogosfera, circa la metà

di chi blogga a livello professionale blogga sui brand, un quarto dei blogger

posta mensilmente una recensione di un prodotto relativo ad un brand, un

quinto lo fa settimanalmente, inoltre il 20% dei corporate blogger parla

quotidianamente di prodotti e servizi. Tuttavia, la redazione di un blog non

esaurisce le tematiche del marketing dell'ascolto, ma contribuisce ad innescarle,

essendo di fatto una piattaforma che rende possibile il dialogo tra sconosciuti su

un piano di parità.

Il fenomeno del blogging nasce sulla scia del The Cluetrain Manifesto e sulla

forte reazione emotiva che ha scatenato la tesi che sosteneva: i mercati sono

conversazioni.

Si tratta effettivamente della prima tecnologia che consente ad una semplice

conversazione di diventare immediatamente globale e rappresenta una delle

evoluzioni della produzione di contenuti che più ha cambiato le sorti della

comunicazione on-line, convogliando in un unico strumento l'informazione,

l'autogestione di contenuti e lo scambio del sapere.

In accordo con Wikipedia un blog è un sito internet, generalmente gestito da

una persona o da un ente, in cui l'autore (blogger) pubblica più o meno

periodicamente, come in una sorta di diario on-line, i propri pensieri, opinioni,

riflessioni, considerazioni ed altro, assieme, eventualmente, ad altre tipologie di

materiale elettronico come immagini o video.

Il termine blog è la contrazione di web-log, ovvero "diario in rete" ed è stato

utilizzato per la prima volta nel 1997 in America; il 18 luglio 1997 è stato scelto

come data di nascita simbolica del blog, riferendosi allo sviluppo, da parte dello

statunitense Dave Winer, del software che ne permette la pubblicazione, mentre

il primo blog è stato effettivamente pubblicato il 23 dicembre dello stesso anno,

grazie a Jorn Barger, un commerciante americano appassionato di caccia, che

61

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decise di aprire una propria pagina personale per condividere i risultati delle sue

ricerche sul Web riguardo al suo hobby. La popolarità dello strumento è stata

però raggiunta solo nel 1999 con Blogger, la prima piattaforma per la

realizzazione di blog da parte degli stessi utenti, creata dalla software house

Pyra Labs e acquisita successivamente (nel 2003) da Google a seguito

dell'enorme successo registrato. In Italia i blog hanno iniziato a diffondersi nel

2001 quando sono nati i primi servizi che mettevano gratuitamente a

disposizione il software per la creazione dei blog e lo spazio web per ospitarlo.

Attraverso i blog la possibilità di pubblicare documenti su Internet si è evoluta

da privilegio di pochi, università e centri di ricerca, a diritto di tutti, i blogger,

appunto.

La struttura è costituita, solitamente, da un programma di pubblicazione

guidata che consente di creare automaticamente una pagina web, anche senza

conoscere necessariamente il linguaggio HTML; questa struttura può essere

personalizzata con vesti grafiche dette template, ossia modelli che determinano

la disposizione dei contenuti all'interno del sito e il layout finale.

Il blog permette a chiunque sia in possesso di una connessione internet di creare

facilmente un sito in cui pubblicare storie, informazioni e opinioni in completa

autonomia. Ogni articolo, detto post ed esposto in ordine cronologico inverso, è

generalmente legato a un thread, in cui i lettori possono scrivere i loro

commenti e lasciare messaggi all'autore.

I blog sono collegati tra loro in modo aperto attraverso link interattivi creando

un network globale definito blogosfera che fa sì che, a prescindere dal numero

di visitatori del singolo blog, ogni post pubblicato da un blogger abbia le stesse

enormi potenzialità di circolazione e la possibilità di raggiungere un pubblico di

dimensioni mai viste prima.

Il blog si differenzia da tutti gli altri mezzi di comunicazione per essere l'unico

strumento a presentare in compresenza le seguenti caratteristiche, che vanno a

costituire i sei pilastri del blogging56:

• pubblicabilità: chiunque può aprire e pubblicare un blog visibile a tutti

gli utenti della Rete;

• rintracciabilità: facilità di trovare i blog per argomento, autore, membri

per mezzo dei motori di ricerca;

• socialità: possibilità di coltivare relazioni interpersonali,

56 Scoble R., Israel S. (2007), Business blog. Come i blog stanno cambiando il modo di comunicaredell'azienda con il cliente, Il Sole 24 ore, Milano

62

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indipendentemente dai confini geografici;

• viralità: è la forma più veloce ed efficiente di marketing virale;

• distribuibilità: grazie alla tecnologia RSS è possibile conoscere gli

aggiornamenti di un blog;

• collegabilità: ogni blog è potenzialmente collegabile mediante iperlink a

migliaia di altri blog.

La maggior parte dei blogger utilizza il blog come diario personale, per far

conoscere i propri sentimenti e le proprie opinioni ai lettori che hanno a loro

volta un blog, ma anche a sconosciuti che vagano per la blogosfera passando di

link in link.

Oltre ai blog personali, che sono ancora oggi quelli più diffusi, ne esistono tante

altre tipologie raggruppabili in quattro macrocategorie: i blog politici, i blog

giornalistici, i blog tematici e i blog aziendali. Questi ultimi, in inferiorità

rispetto alle altre tipologie ma in ampia crescita, sono utilizzati dalle imprese

come canali per potenziare la comunicazione aziendale sia interna che esterna.

Per quel che riguarda la comunicazione interna, i benefici derivano dalla

possibilità di utilizzare il canale per trasmettere messaggi ed opininioni sia

orizzontalmente tra colleghi, che verticalmente, in entrambe le direzioni, top-

down e bottom-up, tra i vari livelli gerarchici. Ma, essendo il primo canale

"umano e trasparente" in mano alle aziende, è nella comunicazione esterna che

risiede il più grande potenziale del corporate blog. Da questo punto di vista,

prima ancora di essere un medium promozionale, il blog rappresenta un efficace

medium di ascolto; partendo dal presupposto che i clienti "parlano" già e

comunque dei brand nei blog e negli altri spazi virtuali, l'azienda, la cui

intenzione a dialogare è sempre ben accetta dal cliente, per mezzo dei blog già

esistenti, può intervenire nella conversazione, e successivamente crearne uno

proprio dove trasferirla e gestirla. Placando gli animi dei clienti insoddisfatti e

evangelizzando quelli dei clienti appagati, il blog aziendale viene in questo modo

ad essere implementato sfruttando al meglio le sue potenzialità. Ciò significa

contribuire assiduamente alla diffusione di notizie interessanti e correlate al

marchio, creando interazione da parte degli utenti verso un ottica di

"community building".

Un business blog costruito su questi presupposti apporta due principali benefici

all'azienda; ottenendo informazioni reali sulle opinioni dei clienti, essa potrà

sviluppare ricerche di marketing più mirate e inoltre potrà godere di

63

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un'aumentata affezione alla marca da parte del consumatore, appagato

dall'interesse che l'azienda dimostra ad instaurare una relazione con lui.

La blogosfera è un sistema meritocratico tale per cui, i blog che rispondono

meglio alle esigenze dei lettori e che riescono a creare interazione con gli utenti,

saranno quelli più linkati e perciò in testa alle classifiche di Technorati57 e ai

risultati nelle ricerche di Google; questo meccanismo fa sì che vengano

selezionati solo i blog aziendali migliori di ogni settore commerciale, che

diverranno così i più popolari e redditizi.

Il blog aziendale è inoltre uno strumento in grado di misurare la soddisfazione

del cliente in base ai commenti rilasciati, che costituiscono un passaparola

capace di abbattere qualsiasi pregiudizio nei confronti dell'azienda. Il cliente

soddisfatto diviene infatti per l'azienda un vero e proprio evangelista in grado di

difenderla dagli attacchi esterni sia off line ma soprattutto sul blog aziendale. E'

fondamentale quindi non utilizzare il blog esclusivamente per parlare ai lettori

ma piuttosto per parlare con loro e farli parlare. Il rischio di imbattersi in

commenti negativi, che terrorizza la gran parte delle aziende, si trasformerà in

risorsa, ma solo se esse sono state in grado di crearsi una schiera di fedeli pronti

a difenderla. Ben McConnel, che ha scritto diversi testi sul fenomeno

dell'evangelizzazione del consumatore, ha utilizzato una metafora significativa

per esaltare il concetto: "L'azienda è come una congregazione religiosa, dove la

collettività dei fedeli diventa più forte del predicatore stesso".

In accordo con Alessandro Cosimetti58, esperto di corporate blog, aprire un blog

aziendale è un modo per esternare la propria versione dei fatti e raccogliere

direttamente i commenti dei clienti in modo da gestirli in prima persona. Da

qui ne scaturisce un ulteriore vantaggio, ovvero l'indipendenza dai media

tradizionali. Essendo rapido, immediato e a basso costo, l'azienda può utilizzare

il blog aziendale per comunicare o replicare ad un'accusa fattagli,

contrapponendolo ai tradizionali articoli di giornale e al canale televisivo che

ritardano notevolmente il processo di comunicazione. La rapidità e

l'immediatezza dei suoi post possono evitare perciò una miriade di

problematiche e salvaguardare la reputazione dell'azienda sul mercato.

Iniziano ad essere numerosi i casi di aziende italiane con un blog, non da tutte

però utilizzato come mezzo sociale, diverse sono infatti quelle che dietro la

57 Technorati è un motore di ricerca dedicato al mondo dei blog. Dal dicembre 2005 Technorati indicizzapiù di 20 milioni di blog. Technorati è stato fondato da Dave Sifry e la sede è presso San Francisco,California, USA. Fonte Wikipedia

58 www.bloginazienda.com

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facciata del blog nascondono un altro mero canale pubblicitario. Tra queste, chi

si è distinta per aver realizzato una delle più interessanti campagne di marketing

dell'ascolto, è Fiat, per il lancio della nuova Bravo.

BLOG "QUELLI CHE BRAVO"

Figura 3.1 Fonte http://www.quellichebravo.it/index.php?

Il blog "Quelli che Bravo" è nato nel dicembre 2006, a poche settimane dalla

presentazione ufficiale della nuova media di casa Fiat, con lo scopo di

prepararne il lancio per poi uscire di scena. Nonostante la scadenza, questo

spazio, impostato eccellentemente fin da subito, continua a produrre post per il

proprio pubblico ancora oggi, a distanza di tre anni. Sarà perchè fin da subito

non sono mancate presenze eccellenti (il primo post è stato scritto dal

responsabile brand Fiat Luca De Meo) e interventi che hanno dimostrato la

reale partecipazione dell'azienda, che dopo il primo post, il blog ha continuato a

svilupparsi con passione e autorevolezza. Ne è scaturito un dialogo di cui vale la

pena riportare alcuni momenti topici: la presentazione dello spot Meravigliosa

creatura in anteprima assoluta sul blog, la visita alla sala virtuale, la prova su

strada per i dieci blogger più veloci a commentare, il liveblog dal salone di

Ginevra nel marzo 2008, le interveste a diversi responsabili aziendali, e quella

esclusiva a Gianna Nannini. La pubblicazione dei post, a cura di un team

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ristretto composto da product manager e consulenti esterni, avviene a cadenze

abbastanza regolari nel tempo, assicurando un buon flusso di informazioni.

Oltre ai contenuti di testo, i post sono arricchiti da filmati, creati da Fiat ma

anche da utenti, diversi podcast e fotografie e disegni pubblicati su un account

Flickr.

Per quanto il mezzo fosse anticonvenzionale per il lancio di un nuovo prodotto

sul mercato, è stata proprio la trovata inconsueta di Fiat ad assicurarle

attenzione e visibilità per l'avvio della pubblicazione dei post.

66

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3.2 Scatenare il passaparola con i Social network

Le piattaforme di social networking sono l'espressione più alta e la migliore

rappresentazione dei caratteri che hanno favorito l'esplosione del Web 2.0, ossia

partecipazione, condivisione e facilità d'uso.

Il termine social network significa letteralmente rete sociale che, in accordo con

Wikipedia, rappresenta un qualsiasi gruppo di persone connesse tra loro da

diversi legami sociali, che vanno dalla conoscenza casuale, ai rapporti di lavoro,

ai vincoli familiari. E' chiaro perciò a cosa devono questo nome quelli che

erroneamente oggi vengono definiti social network; essi non fanno altro che

riportare on-line il meccanismo di rete sociale che, nello spazio globale del Web,

raggiunge dimensioni non replicabili nel mondo reale. Si tratta perciò di reti

virtuali di persone che si sviluppano attraverso una piattaforma di aggregazione,

che altro non è che un sito internet realizzato per far si che le persone possano

entrare in contatto, condividere contenuti, stabilire nuovi legami o riprodurre

quelli esistenti nella vita reale.

Il successo straordinario di queste piattaforme a cui si sta assistendo negli

ultimi anni è dovuto principalmente alle implicazioni relazionali e partecipative

che permettono, il concetto di "amicizia" non per niente è uno degli elementi

che ne stanno alla base, e alla possibilità di personalizzazione che ha permesso a

questi siti di distinguersi dalle chat e dagli altri luoghi di incontro virtuale di

matrice 1.0, in cui era possibile esclusivamente inserire un nickname e qualche

altro parametro. Semplicemente, il segreto di questi servizi è la conversazione e

la soddisfazione di alcuni dei fondamentali bisogni umani. Le persone amano

parlare di sé e in particolare comunicare le proprie emozioni e condividerle,

persino con perfetti sconosciuti; e i social network permettono di farlo, non

essendo altro che amplificatori di atteggiamenti naturali. Il trucco è stato capire

ciò che desiderava la gente e regalarlo a tutti. A questo punto è utile il

riferimento alla piramide di Maslow, psicologo statunitense che classificò i

bisogni umani secondo una gerarchia, poichè proprio su questi sembrano aver

fatto leva le social technologies. Maslow raggruppava i bisogni fondamentali in

cinque categorie: bisogni fisiologici, di sicurezza, sociali, di stima e di

autorealizzazione. Quelli implicati con il nostro studio sono quelli di ordine

superiore, ovvero gli ultimi tre, che secondo la teoria di Maslow non si possono

soddisfare senza aver prima soddisfatto quelli primari. E' al terzo livello, quello

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dell'appartenenza e della socializzazione, che i servizi di social networking

vengono in risposta, attraverso la possibilità che forniscono di creare network

tra utilizzatori, incentivando ed agevolando innanzitutto la ricerca di chi

conosciamo già (amicizia), e in secondo luogo incentivando l'aggregazione con

persone che in realtà non si conoscono ma con cui si possono condividere

interessi e passioni (identificazione). Il bisogno di autostima e riconoscimento,

collocato al quarto scalino della piramide, viene soddisfatto attraverso la

possibilità di condivisione estrema che queste piattaforme forniscono,

appagando quella necessità di "dare" che può incrementare l'autostima e dare

l'opportunità di sentirsi riconosciuti. Sia l'appartenenza che l'autostima

concorrono quindi al raggiungimento del bisogno successivo, quello

dell'autorealizzazione.

LA PIRAMIDE DEI BISOGNI DI MASLOW

Figura 3.2 Fonte http://lucadefelice.com/blog/?ibsa=get_content&id=98

E' difficile tracciare una linea di separazione tra quelli che sono veri e propri

social network e le altre applicazioni che permettono la condivisione di

contenuti come YouTube o Flickr facenti tutti parte della più grande famiglia dei

social media. Secondo la definizione fornita dagli studiosi Boyd-Ellison si

possono definire social network sites quei servizi web che permettono la

creazione di un profilo pubblico o semi-pubblico all'interno di un sistema

vincolato, l'articolazione di una lista di contatti e la possibilità di scorrere la lista

di amici dei propri contatti. Tutte le altre funzionalità tra cui la condivisione di

fotografie e di video e la comunicazione diretta tramite chat sono secondarie, ed

hanno l'unica funzionalità di differenziare le varie applicazioni esistenti.

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Poca conta questa distinzione nell'ambito dell'analisi delle dinamiche regolatrici

del fenomeno social network, che a prescindere dalle tipologie e classificazioni

esistenti, può essere interpretato come il ritorno alla piazza virtuale, per

scambiare informazioni, chiaccherare, trovare conoscenti dei quali non si aveva

notizia da tempo, fornire link, dire la propria. Uno scenario intriso di

opportunità per chi si nutre di comunicazione come il marketing, che sta

facendo della promozione attraverso questi canali la sua nuova frontiera. Il

motivo è scontato: essere presenti dove gli utenti sono presenti. L'azienda che

decide di aprire la propria pagina personale sui maggiori social network ha la

possibilità, attraverso molteplici soluzioni, di far vivere all'utente un'esperienza

di marca pur senza che egli usufruisca fisicamente dei prodotti e servizi

dell'azienda stessa. Il fine di chi fa marketing attraverso i social network non è

pertanto la vendita, bensì il passaparola: dare all'utente un valore aggiunto che

permetta all'azienda di distinguersi dalla folla e di cui valga la pena parlare, e,

tenendo conto della natura di questi canali e delle ragioni del loro successo,

offrire alle persone la possibilità di sentirsi importanti e attori di un evento

piuttosto che portavoci di una causa. La chiave del succeso è perciò studiare i

comportamenti, le emozioni e le modalità di comunicazione degli utenti per

vivere le relazioni on-line con i propri clienti.

Al momento il numero dei social network è in costante crescita, il che non

permette di poter fare un elenco preciso di quelli esistenti. Una classifica stilata

ad agosto 2010 dal Wall Street Journal rivela che Facebook continua

incontrastato a dominarla con 598 milioni di utenti iscritti in tutto il mondo. Al

secondo posto si colloca Windows Live della Microsoft con 140 milioni di utenti.

Al terzo posto si trova la piattaforma del microblogging Twitter con 96 milioni

di utenti ed infine al quarto posto il social network MySpace con 95 milioni di

utenti (fonte Ansa 28 settembre 2010). Secondo questi dati Twitter, in forte

crescita negli ultimi dodici mesi, avrebbe conquistato il terzo posto a scapito di

MySpace che, stando alla stima del Wall Street Journal, avrebbe perso circa 1

utente su 5 negli ultimi 12 mesi. I dati confermano anche la continua crescita

esponenziale di Facebook, che aumenta il proprio divario di audience nei

confronti degli altri social network e community. Quest'ultimo, per il bacino di

utenza che ricopre e per gli strumenti di marketing che fornisce, sembrerebbe

attirare più degli altri l'attenzione delle società, che lo scelgono come mezzo

prediletto innanzitutto per informare i clienti circa la propria azienda. La

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tendenza è confermata da una ricerca di Hsm, società leader nel settore

dell'executive education, effettuata su una base di 680 manager scelti tra i quasi

2000 che hanno partecipato al World Business Forum di Milano tenutosi lo

scorso fine ottobre. L'indagine, se da una parte ha confermato la vocazione delle

aziende per Facebook, dall'altra ha fatto emergere che la preferenza personale

dei manager intervistati va a Linkedin (76%), secondariamente a Facebook

(70%), quindi a Twitter (fermo al 21%).

Perciò, utilizzo di Facebook a parte, Twitter e Linkedin sono i due canali che al

momento, ed è importante sottolinearlo vista la dinamicità dello scenario,

stanno aggiornando la propria offerta per sfruttare al meglio le opportunità

aziendali che si presentano all'orizzonte. All'utilità di questi tre servizi a scopo di

business ho scelto di dedicare le prossime pagine.

3.2.1 Attirare fan su Facebook

Figura 3.3 Logo di Facebook

Facebook è un sito web di social network ad accesso

gratuito ed è nel 2010 il secondo sito più visitato del

mondo dopo Google. Fondato nel 2004 dall'allora

diciannovenne Mark Zuckerberg, inizialmente era

un servizio pensato per mantenere i contatti tra studenti di università e licei dal

nome Thefacebook, che in pochi anni si è trasformato in una rete sociale che

abbraccia trasversalmente tutti gli utenti di Internet.

Su Facebook gli utenti creano profili che contengono fotografie e liste di

interessi personali, scambiano messaggi privati o pubblici e fanno parte di

gruppi di amici. La visione dei dati dettagliati del profilo è ristretta ad utenti

della stessa rete o di amici accettati dall'utente stesso. Secondo TechCrunch,

blog statunitense di tecnologia e informatica, circa l'85% degli studenti dei

college ha un profilo sul sito. Di quelli che sono iscritti il 60% accede al sito

quotidianamente. Circa l'85% almeno una volta la settimana, e il 93% almeno

una volta al mese. Secondo Chris Hughes, portavoce di Facebook, le persone vi

passano collegati circa 19 minuti al giorno.

L'Italia ne ha visto il boom nell'agosto del 2008 con 1369000 nuove iscrizioni,

classificandosi nel terzo trimestre dello stesso anno il paese con il maggior

incremento per numero di utenti (+135%).

Il motivo di un così alto appeal è lo stesso per cui i social network stanno

conquistando un enorme riscontro in tutto il mondo, su cui mi sono

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precedentemente soffermata; quello che però rimane da capire è perché questo

particolare servizio abbia riscontrato più successo degli altri. Tutti i servizi di

social networking ruotano intorno ai concetti di amicizia e relazione, ma nella

rete di Facebook tutto sembra più reale di quanto non sia nelle altre piattaforme

sociali, ed è probabilmente questo il motivo di un così alto coinvolgimento.

Dando la possibilità agli utenti di ricercare le persone che si conoscono già nella

vita di tutti i giorni, a differenza di quanto non avvenga negli altri spazi, si

influenza sostanzialmente la vita reale delle persone che sempre più anche off-

line si trovano a parlarne, facendolo divenire un vero e proprio fenomeno

mediatico.

Facebook si è così imposto all'attenzione di tutti, aziende comprese. A molte

iniziative spontanee generate dagli utenti aventi per oggetto i brand, sono infatti

seguiti approcci più strutturati da parte delle aziende, tanto che lo stesso

Facebook si è mobilitato recentemente in questa direzione sviluppando concrete

possibilità di fare social branding attraverso le pagine fan (dette anche di profilo

pubblico), mentre precedentemente l'unica alternativa che offriva alle aziende

era la possibilità di inviare messaggi in blocco alla propria base di utenti, i così

detti fan.

La visibilità per le aziende è notevolmente aumentata con la ristrutturazione di

marzo 2009, quando Facebook ha dato loro la possibilità di creare una pagina

simile in tutto e per tutto ai profili degli utenti, quindi con aggiornamenti,

status, possibilità di pubblicare foto e video e i commenti di altri, trasformando

così la vecchia pagina in un profilo pubblico con le stesse caratteristiche dei

profili personali. Da quella data la pagina aziendale è comprensiva di bacheca su

cui condividere i contenuti con i fan, di una scheda “info” nella quale poter

inserire informazioni relative all'attività, e della scheda “riquadri” con la

possibilità di inserire applicazioni e contenuti personalizzabili. In questo caso ad

esempio un ristorante potrà aggiungere l'applicazione “prenotazioni” per

consentire agli utenti di prenotare un tavolo direttamente dalla pagina. Inoltre,

dal momento che Facebook è in grado di generare automaticamente notizie

riguardanti l'affiliazione di nuovi fan alla pagina, fare marketing su Facebook

consente di creare un circolo vizioso di clienti che attirano altri clienti.

In questo nuovo contesto diverse vengono ad essere le novità per le aziende e

molteplici le possibilità di marketing virale rese da esse possibili. Come prima

cosa l'interazione diventa molto più dinamica, potendo partecipare a

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conversazioni con gli utenti, e di conseguenza più virale, dal momento che ogni

contatto dell'azienda con gli utenti genera notifiche pubbliche sulla bacheca di

ognuno. In secondo luogo, dando modo di integrare i propri contenuti con quelli

di Twitter, Linkedin e del proprio blog, il brusio generabile attorno all'azienda si

eleva prepotentemente, e sfruttando la possibilità di poter veicolare contenuti

continui al pari delle persone, l'azienda può mantenere i fan costantemente

aggiornati attraverso un flusso continuo di informazioni. Per contro,

ammettendo ogni fan alla pagina e dando a ciascuno la possibilità di pubblicare

qualcosa, l'azienda deve considerare che subisce una relativa perdita di controllo

a cui non era sottoposta precedentemente. Alle aziende all'interno di questo

contesto, in cui il traffico del profilo viene ad essere sicuramente elevato, viene

inoltre data la possibilità di utilizzare uno strumento statistico per il

monitoraggio del traffico generato e, aspetto estremamente importante, viene

dato modo di utilizzare le tecniche SEO, poiché ciascuna delle schede è ora

indicizzabile dai motori di ricerca.

Scontato aggiungere che tutte queste nuove opportunità si dimostrano tali solo

se l'azienda che decide di sfruttarle utilizza la presenza su Facebook come step

finale di un piano di web marketing accuratamente studiato.

Egregio esempio italiano di chi ha sfruttato al meglio queste novità assumendo

un perfetto stile social è Technogym.

FAN PAGE DI TECHNOGYM

Figura 3.4 Fonte http://www.facebook.com/TechnogymSpa?v=app_4949752878

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Come mostra la “fan page” di Facebook qui riportata, l'azienda leader nella

produzione di attrezzi da palestra, non si è limitata ad utilizzare al meglio questo

singolo strumento (significativo al riguardo è lo specchietto che ha proposto in

questa pagina dove viene espressa la filosofia di partecipazione,condivisione e

interazione adottata tramite Facebook), ma lo sta utilizzando sinergicamente

insieme a tutti gli altri strumenti “sociali” del Web (nella pagina sono presenti le

icone per connettersi ai social network più diffusi Linkedin, YouTube, Twitter,

Wordpress).

Il potenziale di Facebook in ottica aziendale è stato ulteriormente incrementato

da quando il colosso, non ancora soddisfatto, ha deciso di attivare il servizio di

geolocalizzazione, emulando la piattaforma Foursquare, unicamente dedicata a

questo scopo. Finora tale servizio aveva ricevuto scarsa considerazione,

probabilmente per la realtà ancora troppo piccola che Foursquare

rappresentava; ma con i numeri di Facebook le prospettive si ribaltano

completamente facendo divenire quella delle geolocalizzazione una realtà dalle

forti potenzialità di marketing. Per capirlo basti pensare che Facebook Places,

così si chiama il servizio, è un'applicazione che consente di comunicare tramite

uno smartphone dotato di sensore Gps e connessione ad Internet a colleghi,

amici e contatti la propria posizione geografica e che questo rende possibile per

le aziende inviare annunci mirati e predisporre premi per gli utenti che

segnalano la propria presenza all'interno dei luoghi (fanno "check-in"), o

semplicemente il proprio gradimento. Se sono evidenti i vantaggi per l'utente

nell'utilizzo di queste piattaforme, ne esistono altrettanti per le aziende che in

un primo momento potrebbero non percepirsi. Sono tre i principali: un

aumento della frequentazione del locale con nuovi clienti provenienti dalla

promozione effettuata sul social network, un riconoscimento agli utenti più

fedeli con beni virtuali come sconti od omaggi da utilizzare on-line, e la

generazione di ricavi aggiuntivi, da un pubblico nuovo. Un articolo de "Il Sole 24

ore" dedicato a questa ultima frontiera "Facebookiana" ne conclude la disanima

affermando che l'economia locale può trarre linfa vitale dai servizi web di

geolocalizzazione per crescere in termini di attenzione e interesse nel pubblico

attivo della rete. Senza considerare poi che il telefono cellulare, fulcro dei

servizi geolocalizzati, è destinato a diventare la piattaforma numero uno per

la fruizione di contenuti, informazioni e per gestire le relazioni dei social

network. La tecnologia è pronta, gli utenti numerosi: alle aziende non resta

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che compiere il primo passo.

Le migliorie e gli aggiornamenti fatti dal “gigante blu” hanno reso questo social

network un punto focale di connessione tra imprese ed utenti.

L’infographic mostra attraverso una timeline come la piattaforma di Facebook si

sia evoluta in questo senso, presentando alcuni dati interessanti (non riportati

in figura per questioni di spazio):

• La pagina con più “fan” (like) è quella di Starbucks con 16,8 milioni

• Ogni singolo utente segue mediamente 8,7 pagine di brand

• L’età media degli utenti iscritti alle pagine “brandizzate” è di 31 anni

• Il 75% dei “fan” proviene dalla pianificazione di display advertising

• Le pagine con più di un milione di like sono 139

LO STATO DEI BRAND SU FACEBOOK

Figura 3.5 Fonte http://lissimattia.com/2010/11/18/sm/statistiche-facebook-dati-sulle-pagine-facebook-infographic

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3.2.2 Essere tempestivi con Twitter

Figura 3.6 Logo di Twitter

Twitter è un servizio gratuito di social network e microblogging59

che fornisce agli utenti una pagina personale aggiornabile

tramite messaggi di testo con una lunghezza massima di 140

caratteri. Twitter è stato creato nel marzo 2006 dalla Obvious

Corporation di San Francisco e prende il nome dal verbo inglese to tweet che

significa "cinguettare" (tweet è anche il termine tecnico degli aggiornamenti del

servizio).

Questo servizio di social network fornisce la possibilità di comunicare

minimamente ma immediatamente. Esistono diversi esempi in cui Twitter è

stato usato dagli utenti per diffondere notizie, come strumento di giornalismo

partecipativo. Ad esempio, nel caso del terremoto in Abruzzo del 6 aprile 2009,

gli utenti Twitter hanno segnalato la notizia prima dei media tradizionali. Ha

perciò un grande potenziale come strumento di contatto con il cliente, in cui la

velocità è fondamentale. Ma questo potenziale si può concretizzare solo se i

clienti sono su Twitter e ad oggi la sua penetrazione nel mercato non è ancora

regolare.

Il servizio è diventato estremamente popolare, anche come avversario di

Facebook, grazie alla semplicità ed immediatezza di utilizzo. Ma vanno smentite

le molteplici voci della blogosfera che dicono che Twitter sia destinato a divenire

il nuovo Facebook e che presto scoppierà come fenomeno di massa. Twitter non

potrà mai sostituire Facebook in quanto il primo, mettendo a disposizione

dell'utente esclusivamente un box da completare con 140 caratteri, verte sul

testo e sul contenuto, al contrario del secondo che è centrato sulla sfera

personale degli utenti, che hanno un profilo, condividono foto e commentano

link degli amici. Aspetto quest'ultimo che costringe Facebook a impostare leggi

sulla privacy, e l'utente a dover richiedere l'amicizia ad un altro utente anche

solo se interessato a ciò che scrive. Su Twitter al contrario, è possibile leggere e

rispondere ai tweet di chiunque semplicemente cliccando su “Follow”, che da la

possibilità di “seguire” un altro utente senza che questo debba accettarlo. Questi

due aspetti mostrano chiaramente che Twitter non sarà mai il nuovo Facebook,

piuttosto una sua positiva evoluzione.

59 Il microblogging (o micro-blogging o micro blogging) è una forma di pubblicazione costante dipiccoli contenuti in Rete, sotto forma di messaggi di testo (normalmente fino a 140 caratteri),immagini, video, audio MP3 ma anche segnalibri, citazioni, appunti. Questi contenuti vengonopubblicati in un servizio di Social Network, visibili a tutti o soltanto alle persone della propriacommunity. Fonte www.wikipedia.it

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Le aziende stesse riconosco in questo servizo una grande utilità in termini di

rapidità di gestione delle situazioni in rapida evoluzione, quali crisi in corso ma

anche eventi particolari. Un esempio di utilizzo del servizio in questo senso è il

quotidiano La Stampa che aggiorna i propri lettori via Twitter pubblicando

"tweets" a ritmo particolamente sostenuto.

PAGINA TWITTER DI LA STAMPA

Figura 3.7 Fonte http://twitter.com/la_stampa

3.2.3 Rivolgersi ai professionals con Linkedin

Figura 3.8 Logo di Linkedin

LinkedIn è un servizio di social networking on-line

basatto sulle relazioni professionali e sulla

reputazione e per questo molto diverso dagli altri

social network.

Lo scopo principale del sito è consentire agli utenti

registrati il mantenimento di una lista di persone conosciute e ritenute affidabili

in ambito lavorativo. Le persone nella lista sono definite "connessioni” e la rete

di contatti a disposizione dell'utente è costituita da tutte le connessioni

dell'utente, tutte le connessioni delle sue connessioni (dette connessioni di

secondo grado) e da tutte le connessioni delle connessioni di secondo grado

(connessioni di terzo grado).

Il successo della piattaforma, giunta a 80 milioni di utenti, è dovuto al

molteplice uso che se ne può fare: dal trovare offerte di lavoro e opportunità di

business con il supporto di qualcuno presente all'interno del proprio network,

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all'ottenere, attraverso un contatto affidabile, di essere presentati a qualcuno

che si desidera conoscere.

Il tasso di penetrazione all'interno del mercato del lavoro è consolidato negli

Stati Uniti, in crescita invece in Europa e nel resto del mondo.

Minore si è rivelata finora l'utilità a scopo promozionale rispetto ai concorrenti

Facebook e Twitter, poichè il servizio offriva alle aziende limitate possibilità di

conversare e discutere dei propri brand e servizi. Con il recente lancio delle

pagine aziendali dove mostrare prodotti e raccomandazioni connesse, lo

scenario però è destinato a mutare; infatti le "company pages" consentono alle

aziende di mettersi in risalto plasmando il proprio brand attraverso

raccomandazioni di altri utenti della rete che contribuiranno a costruire

viralmente la brand reputation. Questo perchè ogni volta che un membro di

Linkedin condivide i prodotti o servizi di una certa azienda, la sua

raccomandazione diventa visibile a tutti i suoi collegamenti provocando la così

detta diffusione virale. Inoltre, quando si promuovono queste raccomandazioni,

si hanno credibili e autentiche convalide sui prodotti visibili sulla propria

scheda aziendale.

Le pagine aziendali di Linkedin, comprendono oltre 40 società a livello globale

che vanno dalle piccole imprese alle aziende della Fortune 500 come HP,

Microsoft Corporation, Samsung Electronics America, AT&T Business Solutions

e Dell.

PAGINA LINKEDIN DI HP

Figura 3.9 Fonte http://www.linkedin.com/company/hp-enterprise-services/products

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Le prime reazioni da parte delle società che utilizzano le pagine aziendali di

Linkedin sono state estremamente positive, lo dimostra l'affermazione di

Michael Mendenhall, Chief Marketing office di HP: "LinkedIn è pioniere nel

sfruttare la potenza dei social media e i brand possono trarre notevoli

vantaggi dalla partecipazione in rete da parte dei grandi professionisti".

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CAPITOLO 4: CASE HISTORY

4.1 Un corporate blog a supporto della community: il caso Ducati

Desmoblog

Figura 4.1 Logo di Ducati

Ciao a tutti,

spesso quando si viaggia in moto, ci si rende conto di

quanta strada si è percorso solo quando ci si ferma e ci si

guarda indietro.

Da marzo 2006, quando abbiamo aperto questo spazio, di strada insieme ne

abbiamo davvero fatta tanta. Abbiamo giocato, discusso, sperimentato. Ci

siamo messi in gioco, vi abbiamo ascoltato, e vogliamo continuare a farlo.

I tempi e gli strumenti sulla Rete però scorrono velocemente e noi cerchiamo di

essere sempre al passo. Per questo abbiamo deciso di chiudere il Desmoblog:

per concentrare tutti i nostri sforzi su altri spazi di conversazione. Come

sapete da qualche tempo abbiamo aperto la nostra pagina su Facebook; uno

spazio aperto, visibile anche a chi non è iscritto, che è stato scelto da più di

180.000 persone per rimanere in contatto con noi. Inoltre conversiamo con gli

appassionati e comunichiamo alla stampa on-line tramite Twitter, e

utilizziamo il nostro canale Youtube per mostrarvi video divertenti e

(speriamo!) interessanti.

Noi continueremo a raccontarvi il “dietro le quinte” dell’azienda, quello che

accade nel mondo Ducati attraverso gli occhi dei piloti, dei dipendenti, di

Ducati stessa.

Voi potete fare di più: potete raccontare (e raccontarci) Ducati dal vostro

punto di vista, che sappiamo essere appassionato quanto il nostro. Potete

pubblicare liberamente foto, video, link, e segnalarci le vostre opinioni.

Perciò questo non è un addio, è un arrivederci, tanto breve quanto un click.

Vi aspettiamo on-line!

Redazione Desmoblog

Il 7 luglio 2010 con questo annuncio la Ducati comunica ai propri lettori la

chiusura del blog aziendale che ha scritto una delle pagine più prestigiose del

manuale della comunicazione on-line. La sua metodologia di costruzione ha

infatti rispettato al meglio sia i principi che garantiscono un buon

funzionamento delle comunità, che quelli sottostanti il concetto di blog

aziendale stesso. Fra gli aspetti che hanno contribuito alla buona riuscita

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dell'operazione, tra cui una gamma rinnovata di prodotti con un'immagine

vincente, una serie di successi a livello sportivo e un controllo crescente sul

canale distributivo tradizionale, ne spicca uno che è anche alla base della

definizione del modello di business di Ducati sul canale digitale: la disponibilità

di una base clienti fedele e appassionata. Ducati è infatti un'azienda che unisce

decine di migliaia di appassionati sparsi in tutto il mondo, sino a diventare, per

chi la guida e per chi la tifa, un vero e proprio stile di vita.

Fondata nel 1926, Ducati produce motociclette sportive, caratterizzate da

potenti motori desmodromici, design innovativo e tecnologia all'avanguardia.

La gamma di moto Ducati comprende sei segmenti di mercato, che variano per

caratteristiche tecniche e di design e per tipologia di clientela: Superbike,

Monster, Multistrada, Streetfighter, Hypermotard e la nuovissima Diavel. Le

moto sono vendute in oltre 80 paesi in tutto il mondo, con una concentrazione

maggiore nei mercati europeo, giapponese e nordamericano. Ducati ha

collezionato numerosi successi anche gareggiando nel Campionato Mondiale

Superbike, aggiudicandosi più vittorie individuali di tutte le altre case

concorrenti. Inoltre, dal 2003 partecipa al Campionato Mondiale MotoGP,

ottenendo grandi risultati anche in questa competizione.

L'esperienza di Ducati su Internet ha inizio negli anni Novanta con la classica

presenza tipica di quegli anni: la statica brochure on-line con la presentazione

dell'azienda, la gamma dei prodotti e i contatti. Il nuovo millennio ha portato

però l'azienda a percepire in modo concreto le vere potenzialità di questo canale

e a rivedere la propria posizione on-line, tanto che il 1 gennaio 2000 Ducati

decide di mettere in vendita sul sito web un modello a produzione limitata e

dedicato alla celebrazione del grande campione Mike Hailwood. Il risultato fu la

vendita di 1000 moto in pochi minuti e le restanti 1000 esaurite nei pochi giorni

successivi, talmente clamoroso e inaspettato che una profonda riflessione del

management al riguardo fu inevitabile.

Da quel momento il modello di business sviluppato da Ducati.com si è orientato

in una direzione community-based, sfruttando le caratteristiche e i servizi messi

a disposizione da Internet, per promuovere, animare e potenziare la comunità

dei consumatori e degli appassionati di Ducati. In questo modo l'insieme dei

processi sviluppati all'interno della comunità on-line hanno generato valore per

la Ducati stessa, che ha rafforzato il senso di identificazione dei suoi componenti

con la marca, la fedeltà al prodotto e la disponibilità dei consumatori a essere

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agenti attivi nella costruzione del brand.

Internet è diventato quindi per Ducati il mezzo virtuale per prolungare al

massimo l'esperienza dei propri tifosi, i “ducatisti”, che hanno a disposizione

una finestra sempre aperta sul mondo Ducati con la possibilità di approfondire,

rivivere, conoscere, giocare, informarsi e parlare all'azienda. Quattro in

particolare sono i principi guida di Ducati nella gestione e nello sviluppo del

canale virtuale che le hanno permesso di restare fedele nel tempo alla filosofia di

orientamento alla comunità:

• informazione,

• interazione,

• coinvolgimento,

• dialogo.

L'avvento del Web 2.0, consacrazione del carattere relazionale di Internet, per

Ducati non è stato altro che una naturale evoluzione del modo di sfruttare il

canale virtuale, per mezzo del quale ha potuto rispettare al meglio i proprio

principi e completare la propria proposta sfruttando le possibilità fornite dai

nuovi strumenti di partecipazione on-line. Ducati li ha utilizzati per poter

ampliare il raggio di azione del luogo virtuale d'incontro e dialogo della

community, finora confinato al sito aziendale. E l'esperienza che Ducati ha

saputo creare per mezzo del blog è l'esempio più completo e di successo di

utilizzo integrato di tutti gli strumenti del Web 2.0 a supporto della relazione tra

tifoso e azienda.

Nato da un'idea di Federico Minoli, allora amministratore delegato di Ducati, il

blog intitolato alla due ruote di Borgo Panigale battezzato Desmoblog, ha

pubblicato il suo primo post nel marzo 2006 e da quel giorno è cresciuto nel

tempo fino a diventare un vero e proprio caso di marketing tribale. Il blog ha

fatto nascere una community di 250000 persone, tutte appassionate come solo i

motociclisti sanno essere, e attivamente prodighe di consigli, interventi,

segnalazioni. Il blog, che ha continuato a vedere gli aggiornamenti

dell'amministratore delegato Del Torchio, succeduto a Minoli e da cui ha

ereditato la carica di CEO blogger, ha visto spesso gli interventi dei piloti Casey

Stoner e Nicky Hayden, nonché dei responsabili di gara che raccontavano le

vittoriose vicende del team italiano sui circuiti di tutto il mondo.

Quello che nella media è un fenomeno quantitativamente contenuto, per Ducati

è diventato un vero e proprio canale di comunicazione con migliaia di commenti

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(una media di 5 commenti a lettore), e picchi di interazione in coincidenza di

eventi e iniziative specificatamente rivolte ai desmoblogger. Il caso che ha

scatenato più degli altri la partecipazione dei Ducatisti è stato il programma

relativo al lancio del modello Hypermotard, per il quale è stato scelto come

canale di comunicazione proprio il Desmoblog, che ha tenuto col fiato sospeso la

carica di appassionati dalle fasi di sviluppo al lancio; essi hanno potuto infatti

condividere attraverso questo canale il processo di realizzazione ed esprimere

opinioni su un prodotto che ancora non era stato realizzato che avrebbero di

certo influenzato le decisioni aziendali, come se stessero vivendo in diretta le

stesse fasi vissute internamente all'azienda. Il progetto di co-creazione è durato

quasi un anno, durante il quale l'esperienza virtuale è stata arricchita da quella

reale, invitando in azienda alcuni appassionati per assistere alla produzione

delle prime moto, il cui video è stato pubblicato nel Desmoblog, e premiando i

due desmoblogger più assidui e appassionati con la partecipazione al lancio

stampa internazionale con tanto di prova in pista delle moto. I due fortunati

sono successivamente diventati autori di post per raccontare al resto dei lettori

la propria esperienza.

Ducati, grazie al blog e alle iniziative come questa che lo stesso ha permesso di

realizzare, ha saputo creare un valore per il cliente che poche altre aziende

finora sono state in grado di replicare. La sua chiusura non ha determinato la

fine della proficua conversazione azienda-utente, che si è semplicemente

spostata su altri canali che l'azienda ritiene possano più efficacemente

contribuire alla sua ulteriore espansione.

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4.2 Una community di esperti a supporto dei processi di

innovazione: il crowdsourcing di Innocentive

Innocentive è una comunità on-line che consente agli esperti del settore

chimico, informatico e farmaceutico di venire a conoscenza di una serie di

problemi irrisolti sul fronte della Ricerca & Sviluppo da parte di grandi aziende

che pongono su tale piattaforma quesiti di natura chimica, biologica,

matematica, statistica e ingegneristica. Le aziende possono così attingere ai

talenti di una community globale di ricercatori scientifici senza doverli

assumere tra i propri dipendenti, ma corrispondendo un premio prefissato a

coloro che hanno generato le idee ritenute vincenti.

L'operatore virtuale Innocentive è stato fondato nel 2001 nel Massachusetts da

un'idea di Eli Lilly, proprietario dell'omonima multinazionale farmaceutica,

inizialmente per mettere in relazione ricercatori con le aziende del settore

farmaceutico per poi estendersi a molti altri ambiti, annoverando fra i suoi

clienti società del calibro di Boeing, DuPont e Procter&Gamble. I membri della

community sono oltre 200 mila, tra cui molti scienziati e ricercatori scientifici.

Il suo meccanismo è semplice: le organizzazioni espongono sul sito un

particolare problema e valutano le soluzioni ricevute attribuendo premi che

vanno da un minimo di cinque mila ad un massimo di un milione di dollari in

funzione della difficoltà più o meno elevata del quesito. Il processo sottostante è

articolato in quattro fasi. Nella prima le imprese contattano la community per

proporre problemi di open innovation (OI) di cui gli scienziati fruitori della

piattaforma possono consultarne on-line i contenuti analitici, che includono la

descrizione della struttura molecolare, le specifiche tecniche, l'incentivo

economico, e la data di scadenza per la sottomissione delle relative soluzioni.

Coloro che intendono partecipare alla competizione devono, nella seconda fase,

registrarsi al sito in qualità di “problem solver”. Iscrivendosi ottengono una

stanza virtuale, la “project room”, in cui durante la terza fase possono lavorare

individualmente o come membri di un team allargato, potendo inserire

documenti, proposte e comunicare con l'impresa committente. Quest'ultima,

nella fase finale, valuta le proposte pervenute e premia quella che ritiene più

coerente con le aspettative maturate.

Innocentive può rivelarsi un operatore tanto efficace quanto efficiente per le

imprese che ricercano soluzioni di natura innovativa, in quanto da una parte

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consente ad esse di espandere in modo flessibile le proprie competenze di R&D

e dall'altra, poiché i pagamenti dipendono dall'ottenimento della soluzione

finale, risulta un meccanismo economicamente efficiente.

Innocentive è stata la prima community on-line basata su meccanismi ad

incentivo, creata per aumentare il potenziale di innovazione delle aziende, che

nel tempo si è dimostrata una tra le più valide piattaforme di crowdsourcing. Il

termine che unisce la parola crowd, gente comune, e outsourcing, esternalizzare

una parte della propria attività, è un neologismo che definisce un modello di

business nel quale un’azienda o un’istituzione richiede lo sviluppo di un

progetto, di un servizio o di un prodotto ad un insieme distribuito di persone

non già organizzate in un team. Questo processo avviene attraverso degli

strumenti web o comunque dei portali su Internet, e le community open source,

come Innocentive, sono state le prime a trarne beneficio.

Karim Lakhani, ricercatore della Harvard Business School, ha effettuato uno

studio in cui ha esaminato 166 quesiti formulati da 26 società, scoprendo che, in

media, i quesiti delle aziende sono stati affrontati da 240 persone, e che uno su

tre è stato risolto. Nella maggior parte dei casi le soluzioni provengono da

partecipanti con un elevato grado di specializzazione in settori però

apparentemente molto diversi da quelli in cui hanno vinto la competizione.

Sulle orme del successo di Innocentive, altri hanno dato vita negli ultimi anni a

piattaforme di crowdsourcing; tra i tanti c'è General Electric, che recentemente

ha chiesto aiuto per la progettazione di una rete intelligente di gestione

dell'elettricità, 100 mila i dollari in palio e 3 mila le risposte già pervenute .

Il caso Innocentive è la dimostrazione di come, su Internet, siano le idee più

semplici ad essere vincenti.

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4.3 Marketing su Facebook per una piccola attività locale off-line:

corsi di pilates Body & Mind

Uno dei principali ruoli di Facebook in campo pubblicitario è quello del

facilitatore di passaparola. A questo scopo ha scelto di utilizzarlo un piccolo

centro di pilates di Milano, inserendolo all'interno di una più ampia strategia, in

cui la realizzazione della pagina pubblica su Facebook è stata solo una delle

componenti del piano di web markerting progettato. Per la sua realizzazione, la

piccola attività milanese si è rivolta all'esperto di comunicazione on-line

Massimo Turco, specializzato nella progettazione e realizzazione di soluzioni

che permettono alle aziende di essere presenti sul Web nel modo giusto e senza

spreco di investimenti.

Nel caso in esame, Turco ha inizialmente definito insieme al cliente gli obiettivi

da perseguire e le difficoltà oggettive che, per la tipologia di settore e per il

genere di attività, ci si sarebbe trovati ad affrontare. Fasi, queste, essenziali per

la pianificazione di una strategia coerente ed efficace.

In particolare Body & Mind necessitava di:

• rinnovare il sito web, creando un canale di comunicazione semplice,

accessibile e "fresco";

• acquisire nuovi clienti utilizzando il Web;

• posizionare il sito nei primi risultati di Google per le parole chiave

"pilates Milano" e "centro pilates";

identificando le seguenti, come proprie difficoltà oggettive:

• concorrenza medio alta nel settore;

• richiesta del servizio focalizzata in alcuni periodi dell'anno;

• servizio fortemente legato alla geolocalizzazione (una precisa zona di

Milano).

Come prima mossa è stata utilizzata la ricerca di Google per verificare quello che

al momento il motore di ricerca forniva, digitando la parola "pilates". I risultati

erano:

1. la presenza di pubblicità concorrenti (tramite Google AdWords);

2. gli esercizi commerciali nei pressi della città da cui ci si connette (in

questo caso Milano);

3. presenza di risultati per immagini relative al pilates;

4. presenza di risultati video riguardanti il pilates.

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RISULTATI DI GOOGLE PER “PILATES”

Figura 4.2 Fonte http://www.facebookstrategy.it/files/pilates-milano.pdf

Sulla base delle precedenti valutazioni è stata successivamente pianificata la

strategia da seguire:

• intercettare le ricerche strategiche su Google;

• essere presenti nei risultati per gli esercizi commerciali e su Google

Maps;

• creare una community geolocalizzata interessata al servizio;

• essere presenti nei risultati di ricerca video su Google e YouTube.

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STRATEGIA DI UTILIZZO DEI SOCIAL MEDIA

Figura 4.3 http://www.facebookstrategy.it/files/pilates-milano.pdf

Come si può notare, la realizzazione della pagina Facebook non è presente nè tra

gli obiettivi nè tanto meno nella strategia, a dimostrazione che la creazione di

uno spazio aziendale in questo, o qualsiasi altro social network, non è da

considerarsi un fine bensì un mezzo veicolato al raggiungimento degli obiettivi

preliminariamente prefissati.

Alla formulazione della strategia sono seguiti una serie di interventi ad essa

coerenti:

• progettazione e realizzazione di un sito facilmente aggiornabile, con

modulo di contatto e recapito telefonico presenti in tutte le pagine;

• apertura di un account AdWords per attivare annunci pubblicitari per le

ricerche su Google;

• realizzazione di una Landing Page specifica dedicata alla raccolta di

potenziali clienti;

• inserimento del sito negli esercizi commerciali censiti da Google Maps;

• realizzazione di un canale video su YouTube dove caricare video di

esercizi realizzati ad-hoc;

• progettazione e realizzazione di un servizio di news fortemenente

tematizzato sul pilates;

• realizzazione di una pagina pubblica su Facebook dedicata agli

appassionati di pilates residenti a Milano.

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ALCUNI INTERVENTI REALIZZATI

Figura 4.4 Fonte http://www.facebookstrategy.it/files/pilates-milano.pdf

I risultati ottenuti da settembre 2009 ad agosto 2010, periodo in cui sono stati

realizzati gli interventi, sono stati più che soddisfacenti:

• aumento dei visitatori del sito di oltre il 500%;

• 300 mila visualizzazioni dei due video caricati sul canale di YouTube;

• realizzazione di una lista di oltre 400 contatti fortemente interessati al

servizio e altamente compatibili con la zona geografica;

• rafforzamento della visibilità del marchio e dell'offerta sui motori di

ricerca;

• oltre 250 richieste di informazioni e contatto;

• realizzazione di una micro community di oltre 500 persone;

• aumento del fatturato del 25% rispetto all'anno precedente.

All'ottenimento dei risultati ha largamente concorso la conversazione intrapresa

con gli appassionati di pilates nella pagina fan di Facebook, realizzata

principalmente per tenere aggiornati gli interessati sull'argomento. Per fare ciò

è stato elaborato un micro piano editoriale, identificando gli argomenti

principali che suscitassero l'interesse del pubblico attraverso strumenti come

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Google Keyword Tool External, Google Suggest, Google Insight for Search,

unitamente ai suggerimenti proposti da YouTube tramite il box di ricerca e i

video correlati. Dall'elenco di argomenti ottenuto ne sono stati selezionati 30 e

per questi è stato realizzato un newsradar in grado di intercettare tutte le notizie

pubblicate sui vari canali di informazione (Google News, Yahoo Notizie, Twitter,

Liquida, Digg e lo stesso Facebook). L'analisi dei nuovi contenuti proposti dal

newsradar viene fatta quotidianamente e quelli più interessanti vengono

riproposti nella pagina Facebook in versione sintetica con collegamento

all'articolo originale. Questo servizio di selezionatore delle novità più

interessanti relative al pilates, che Body & Mind ha scelto di fornire attraverso la

pagina Facebook, gli permette di essere presente sugli stream dei fan e di

raggiungere, in maniera naturale, altrettante persone interessate.

Ai fini della viralità è però il nome dato alla pagina ad essere, più di tutto il

resto, strategicamente rilevante, ed in questo caso è stato scelto in modo che

tenesse in considerazione alcuni criteri di rintracciabilità, innanzitutto tramite il

motore di ricerca di Facebook, e che palesasse l'argomento principale ed il focus

della pagina, poichè particolarmente importante per gli aggiornamenti sulla

bacheca dei fan.

Il brusio naturale e gratuito generato attraverso la pagina pubblica è stato

supportato da vere e proprie inserzioni pubblicitarie realizzate su Facebook,

utilizzate per due principali scopi. Innanzitutto per creare popolazione e traffico

iniziale nella pagina, i primi fan sono stati ottenuti proprio tramite un annuncio

che promuoveva il servizio di selezione di informazioni, video e curiosità sul

pilates offerto dalla pagina. Facebook da, in questo caso, la possibilità di

targetizzare il pubblico destinatario del messaggio, e Body&Mind ha scelto come

segmento le donne che vivono nell'area milanese di un'età compresa tra i 25 e i

45 anni a cui piacciono gli argomenti "pilates" o "pilates yoga". In poco tempo e

a costi minimi è stato possibile raggiungere un numero significativo di fan che

in un paio di mesi ha contribuito ad incrementare considerevolmente il numero

di iscritti alla pagina, corrispondente al target ideale per i servizi offerti.

La secondo ragione del ricorso alle inserzioni di Facebook è stata la Lead

Generation: dal momento che il centro ha individuato periodi dell'anno in cui

l'affluenza dei clienti aumenta (inizio settembre e inizio gennaio), sono state

attivate, attraverso inserzioni mirate, campagne orientate allo stesso target ma

con un messaggio personalizzato nell'ottica del "tornare in forma". I risultati

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anche in questo caso sono stati definiti molto buoni con incrementi degli iscritti

in quei periodi di circa il 20%.

Il centro Body & Mind nel suo piccolo ha colto l'importanza della conversazione

e del coinvolgimento, ottenendolo attraverso la trattazione di argomenti

interessanti e non strettamente legati al brand; ed è questo che serve, in canali

ad alta componente sociale come Facebook, se si desidera incrementare in modo

naturale la condivisione e l'interazione con la pagina, che diventa in questo

modo più visibile e di conseguenza più soggetta a ricevere connessioni ed

acquisire fan.

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CONCLUSIONE

Sono consapevole che, ad un primo approccio, il panorama della nuova

comunicazione aziendale possa apparire un pò sfocato, non ci sono infatti regole

formali e teorie scientifiche che lo governano, le organizzazioni giocano in

trasferta su un terreno dai tratti sociali e comportamentali, dove di economico

c'è davvero molto poco; ma vorrei che, in conclusione, risultasse chiaro almeno

un concetto, quello fondamentale.

L'utilizzo dei social media è semplicemente un'occasione per le aziende per

interessere rapporti diretti e continuativi con gli utenti, farsi conoscere e

presentare la propria offerta. Questo fa sì, aumentare la probabilità che gli

utenti si convertano in consumatori, ma non assicura che essi producano

sistematicamente atti d'acquisto.

So bene che questo avvertimento potrebbe bastare a smorzare l'entusiasmo di

molti che avevano pensato di avere tra le mani la "ricetta della felicità", ma dirò

di più a tutti coloro che hanno creduto che, con poco sforzo e minimo

investimento, si potessero raggiungere risultati; se la democrazia e la

partecipazione fanno di questi mezzi qualcosa di unico e potente mai esistito

prima, per un'azienda non del tutto consapevole di cosa significhi destreggiarsi

tra questi nuovi strumenti del marketing, trovarsi in un terreno simile, dove

ogni utente è libero di dire la propria rispetto a prodotti, servizi, persone e

esperienze personali, potrebbe essere piuttosto traumatico, se si pensa che ci

sarà sempre la possibilità di imbattersi in chi non ha opinioni positive sui servizi

e i prodotti offerti. Certo, perchè lo scopo di ogni organizzazione è ridurre al

minimo la fetta dei consumatori insoddisfatti e circondarsi solo di clienti

entusiasti, sempre pronti a mettere una buona parola. Ma superata la

frustrazione iniziale, data dall'imbattersi in domande scomode e lamentele,

provenienti dalla minoranza scontenta a cui i nuovi media permettono di dar

voce, ci si potrebbe sorprendentemente meravigliare che quella che

apparentemente sembrava un'insidiosa minaccia si è rivelata un'insostituibile

risorsa. D'altronde quando si ha a che fare con persone del tutto soddisfatte del

proprio operato, quale stimolo si ha a migliorarsi? E' semplice psicologia

comportamentale, che applicata all'organizzazione aziendale fa dedurre che,

quando questa ha solo clienti soddisfatti, questi difficilmente la stimolano a

mantenere il vantaggio conseguito sulla concorrenza. La crescita è

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effettivamente sempre correlata agli scontenti perciò, piuttosto che domandarsi

se la propria offerta piacerà ai propri clienti soddisfatti, alle aziende

converrebbe scofare quelli insoddisfatti, il social web è una grande risorsa in

questo senso, e chiederlo a loro.

Questo è lo scenario. Cosa farne?

Nei mesi trascorsi a sfogliare testi e a navigare on-line tra articoli di blog e siti

dedicati all'argomento, redatti da agenzie di marketing e da appassionati del

settore (non credevo ce ne fossero tanti), ho potuto rendermi conto che

suggerimenti e spunti su come implementare un'efficace gestione dei social

media a scopo di marketing, non mancano di certo. C'è da perdersi tra i post del

guru del blog in azienda, piuttosto che tra i consigli per costruire un buon

marketing dell'ascolto, o tra i suggerimenti dell'esperto di marketing su

Facebook. Sembrerebbe allora tutto molto semplice: leggere, imparare,

applicare. Ma capire quali siano le scelte gestionali migliori per la propria realtà

aziendale e come implementarle, è la parte più complicata della storia.

Non ci sono dubbi sul punto di partenza: la dimensione sociale che connota i

nuovi media. Chi intende portare la propria realtà aziendale su queste

piattaforme deve considerarla prima di tutto il resto, poichè al contrario,

ignorarla, sarebbe letale. Ma in genere una delle pecche principali delle web

agency italiane è quella di essere costituite da grafici e

programmatori/ingenieri, non curandosi che in tutte le interazioni che

implicano il sociale e la gestione dei media, vanno inserite figure con

competenze in campo sociologico e comportamentale. Il focus si è spostato su

quello che i consumatori vogliono, il contenuto sociale, e non più quello

pubblicitario: la marca, quando arriva, arriva dopo. Chi sceglie di utilizzare i

social media deve essere consapevole di avere tra le mani uno strumento nuovo,

con cui poter e dover fare cose nuove. Questo significa, ad esempio, pensare di

colmare le lacune e di curare le insoddisfazioni lasciate dai vecchi media: quanta

gente è stufa di stare al telefono a premere dei numeri per parlare con qualcuno

di un disservizio o di aspettare risposte da improbabili mail di servizio al

consumatore? Con i social media ce li si può scordare, perchè il canale è diretto,

la linea sempre libera e la comunicazione rigorosamente spontanea. Ecco, a mio

modesto parere credo sia questo il punto da cui partire per evitare di

approcciare queste opportunità con sufficienza e distacco, che condurrebbe le

aziende a ricreare on-line quello che già fanno con i media tradizionali off-line e

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cioè pubblicizzare, pubblicizzare e pubblicizzare. Quello che l'azienda ha la

possibilità di fare attraverso gli strumenti tecnologici di comunicazione sociale è

molto di più, essa può infatti intervenire sul processo di creazione della propria

reputazione più a fondo di quanto non possa fare con il più riuscito degli spot

pubblicitari. La reputazione è fiducia, ammirazione e stima, è in poche parole il

presupposto per divenire rilevanti agli occhi dei consumatori e per far presa sul

target con le proprie campagne pubblicitarie. E' quindi necessario integrare

questa panoramica nelle decisioni di business e prevedere attività di

salvaguardia della reputazione attraverso il blog aziendale e i social network,

che permettono di incentrare la comunicazione sui bisogni dei soggetti

interessati e non sui piani delle società.

Il fatto che i consumatori spesso non si fidino di chi ci sia dall'altra parte

significa che è necessario fare di più di quello che finora ha fatto in questo senso

la comunicazione tradizionale, e il social web è l'unico strumento in grado di

smascherare il falso e premiare l'autenticità. Qui sarà valorizzato chi

abbandonerà i soliti e vuoti slogan per vestire i panni del "problem solver",

fornendo supporto gratuito agli utenti; questo permetterà all'azienda di ottenere

prestigio e autorevolezza. Conquisterà fiducia chi eviterà di condividere ogni

pensiero pur di conquistarsi la simpatia di tutti, ma piuttosto chi preferirà dire

ciò che pensa nonostante la consapevolezza che quello che dice potrebbe non

essere unanimamente condivisibile, questo permetterà di costruirsi una propria

personalità all'interno del social web e gli utenti lo apprezzeranno.

In questo senso quello che operativamente si può fare è utilizzare i social

network per connettersi con vecchi, nuovi e potenziali clienti, condividere il

contenuto ritenuto rilevante e interessante, coinvolgere i propri fan-follower con

concorsi, notizie economiche e contenuti accattivanti e mantenerli informati e

attivi sui prossimi eventi che coinvolgeranno l'azienda. Parallelamente si potrà

utilizzare il blog aziendale per sviluppare una profondità di contenuti in grado di

contraddistinguere l'attività aziendale, avvicinare il lettore con le ultime

informazioni sul settore, e tenere viva nei motori di ricerca la presenza

dell'azienda per quel che riguarda le principali parole chiave del settore.

E' indubbio che tante siano le opportunità offerte dallo scenario, eppure sembra

essere così difficile per le aziende dedicarsi a qualcosa che non assicuri un

ritorno economico immediato. In questo caso, quello che io direi loro, dopo

essere stata catapultata in questo nuovo mondo e averlo conosciuto

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relativamente a fondo, è: partite dalla soddisfazione e la cura del cliente che

questi nuovi strumenti consentono ampiamente di accrescere, e i ritorni

verranno, eccome se verranno.

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